BastaBugie n�319 del 18 ottobre 2013
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L'ITALIA COMINCIA A SCENDERE IN PIAZZA CONTRO LA DITTATURA GAY
Giornali e televisioni non ne hanno parlato, eppure ''La Manif Pour Tous - Italia'' e ''Le sentinelle in piedi'' si stanno battendo per la libertà di opinione
Autore: Andrea Lavelli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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APPRODO FINALE DELLA RIVOLUZIONE ANTI-UMANA
Il rovesciamento dell'antropologia umana è iniziata con la contraccezione e proseguita poi con divorzio, aborto, fecondazione artificiale, per arrivare all'omosessualismo
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Il Timone
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CHI COLMA IL CUORE DELLA DONNA?
Ecco la relazione, che avevo preparato per il convegno per i 25 anni della ''Mulieris Dignitatem'', da leggere davanti al Papa
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
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COSA RESTA DI BERLUSCONI?
Berlusconi è stato a lungo vincente perché ha rovesciato l'ideologia risorgimentale: prima che obbligare a rispettare le leggi occorreva sincerarsi che le leggi rispettassero gli italiani
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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COME DAN BROWN HA RAGGIUNTO IL SUCCESSO CON IL CODICE DA VINCI
Ed ecco perché, nonostante i soliti trucchi, il suo nuovo libro ha venduto pochissimo
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Studi cattolici
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L'ARGENTINA APPROVA IL CAMBIAMENTO DI SESSO PER UN BAMBINO DI SEI ANNI
Primo paese dell'America Latina ad approvare i matrimoni gay nel 2010, ecco le conseguenze: in nome dei diritti degli adulti, si violano quelli di un bambino innocente e indifeso
Autore: Lupo Glori - Fonte: No Cristianofobia
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CRISTO GUIDA LA CHIESA: CHI LO DIMENTICA, FINISCE PER TRATTARE I PAPI IN BASE A CIO' CHE PENSA E CREDE LUI
Da parte sua il Papa, da buon pastore, nel cercare la pecorella smarrita deve stare attento a non perdere le altre novantanove
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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IL PAPA CHE PIACE ALLA GENTE CHE PIACE
Intervista a Gnocchi e Palmaro dopo l'espulsione da Radio Maria
Autore: Luciano Capone - Fonte: Corrispondenza Romana
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OMELIA XXIX DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO C - (Lc 18,1-8)
Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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L'ITALIA COMINCIA A SCENDERE IN PIAZZA CONTRO LA DITTATURA GAY
Giornali e televisioni non ne hanno parlato, eppure ''La Manif Pour Tous - Italia'' e ''Le sentinelle in piedi'' si stanno battendo per la libertà di opinione
Autore: Andrea Lavelli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14/10/2013
Nello scorso fine settimana centinaia di persone hanno riempito le piazze di varie città d'Italia per ribadire il loro no al disegno di legge Scalfarotto sull'omofobia. Lo hanno fatto in modo pacifico e silenzioso: seduti per terra con un bavaglio sulla bocca o semplicemente restando in piedi come sentinelle, intenti nella lettura di un libro. "La manif pour tous – Italia" e "Le sentinelle in piedi", due realtà differenti per stile e impostazione, ma unite dal comune obiettivo di contrastare l'avanzare dell'ideologia di genere nel nostro Paese, hanno centrato l'obiettivo di dare vita alla prima grande mobilitazione nazionale contro il disegno di legge sull'omofobia che dopo il via libera della Camera passerà ora all'esame del Senato. Venerdì sera a Roma erano in più di mille a riempire Piazza della Rotonda, all'ombra del Pantheon, chiamati in piazza da "La Manif pour tous – Italia", associazione nata sulla scia dell'omonima realtà francese che in primavera ha portato per le strade di Parigi milioni di persone contro al legge Taubira sul matrimonio omosessuale. «Il nostro modo di operare è quello di una vera e propria veglia. I partecipanti si sono disposti seduti per terra con un bavaglio sulla bocca, mentre venivano declamati alcuni brani di grandi scrittori sulla libertà di pensiero - spiega Gianfranco Pillepich, portavoce de "La Manif" - È stato anche letto e analizzato il testo della legge, insieme ai pareri di vari giuristi e psicologi. La manifestazione romana ha avuto un ottimo risultato: tutti hanno partecipato con grande silenzio e attenzione». Al termine della Manif di Roma sono stati distribuiti pacchi di pasta Barilla a ricordare il fatto che Guido Barilla è stato la prima vittima della legge Scalfarotto. In contemporanea, centinaia di persone scendevano in piazza per vegliare anche a Pisa, Bolzano, Bologna, Bisceglie, mentre sabato sera è stata la volta di Venezia. «Abbiamo registrato in media 200 persone a piazza e la realtà è in crescita - spiegano dalla "Manif" - La nostra battaglia non si fermerà qui e anzi continuerà più forte di prima a dimostrazione che la società civile italiana è vigile e non si arrende di fronte all'arroganza di chi vuole impedire la difesa della famiglia fondata tra uomo e donna». Sempre in campo contro la legge Scalfarotto e contro le limitazioni che comporterebbe alla libertà di pensiero, sono scese in piazza a Milano le "Sentinelle in piedi". Erano in tutto 500 provenienti soprattutto dai coordinamenti di Milano, Bergamo e Brescia che si sono dati appuntamento nella centralissima piazza Cordusio per vegliare secondo il modello dei "Veilleurs debout" francesi. Il colpo d'occhio per i tanti passanti del sabato sera milanese è impressionante: una piazza piena di persone in piedi, immobili, in silenzio, immerse nella lettura di un libro e assiepati ovunque anche lungo le pensiline dei tram. «Siamo un gruppo di amici, che ha deciso di vegliare in questo modo per lanciare un forte segnale: vogliamo e speriamo in un futuro in cui ci sia ancora la libertà di espressione - spiega Pietro Invernizzi, portavoce delle Sentinelle in Piedi di Milano - Con questa legge anche solo affermare pubblicamente che una coppia omosessuale non ha il diritto di adottare un bambino, potrebbe essere considerato reato punibile con il carcere. Vogliamo trasmettere a tutti la nostra preoccupazione: quando in una società si inizia a limitare la libertà d'espressione si deve cominciare ad aver paura». Anche le "Sentinelle in piedi" sono una realtà in espansione: da qualche tempo in alcune città d'Italia si è cominciato a vegliare in questo modo ed è in aumento il numero dei coordinamenti cittadini. Il prossimo gruppo a scendere in piazza sarà Trento, con una manifestazione organizzata per sabato prossimo 19 ottobre.
Nota di BastaBugie: per vedere il dossier rinnovato sulla legge che, se approvata anche al Senato, introdurrà il reato di omofobia in Italia, clicca qui!
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14/10/2013
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APPRODO FINALE DELLA RIVOLUZIONE ANTI-UMANA
Il rovesciamento dell'antropologia umana è iniziata con la contraccezione e proseguita poi con divorzio, aborto, fecondazione artificiale, per arrivare all'omosessualismo
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Il Timone, settembre-ottobre 2013 (n.126)
Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L'uomo contesta la propria natura. (...) Esiste ormai solo l'uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. (...) Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l'uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell'essenza del suo essere». Papa Benedetto XVI lo aveva spiegato molto bene nel discorso in occasione degli auguri natalizi alla Curia Romana lo scorso 21 dicembre. L'ideologia del genere, fonte di quell'assurdo giuridico-culturale che è il concetto di omofobia, è l'attacco decisivo alla Creazione, al progetto di Dio. In qualche modo Giovanni Paolo II lo aveva già preannunciato nel 1997 quando all'Incontro mondiale delle famiglie a Rio de Janeiro aveva chiaramente detto che la battaglia del Terzo millennio sarà intorno all'uomo, perché Satana, non potendo colpire direttamente Dio, attacca il vertice della Creazione. Che il senso della battaglia politica sulla legge anti-omofobia sia proprio questo lo ha confermato il dibattito nell'Aula della Camera dei deputati lo scorso 5 agosto. È lì apparso chiaro che dietro le tante parole sulle presunte violenze e discriminazioni contro le persone omosessuali, il vero obiettivo è che venga riconosciuta l'omosessualità come natura, o come una delle tante possibili opzioni esistenti in natura. È lo stesso motivo per cui è stata scelta la strada dell'estensione della Legge Mancino-Reale - che punisce il razzismo - per introdurre il reato di omofobia. Parificando l'omofobia al razzismo si pone l'omosessualità sullo stesso piano di un dato di natura (la razza). È il pericolo che avvertiva già nel 1992 la Congregazione per la Dottrina della Fede, con il documento "Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte dì legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali": «La "tendenza sessuale" non costituisce una qualità paragonabile alla razza, all'origine etnica, ecc. rispetto alla non discriminazione. Diversamente da queste, la tendenza omosessuale è un disordine oggettivo e richiama una preoccupazione morale».
PRIMO PASSO: LA CONTRACCEZIONE, DISTRUZIONE DELLA RESPONSABILITÀ PROCREATIVA Quello che sta avvenendo oggi in Italia - ma che è già avvenuto in altri paesi - è dunque l'atto decisivo di una guerra all'uomo e a Dio scatenata dalle forze del Male. Ma non è certo un attacco che nasce oggi, e nemmeno ieri. Come qualsiasi guerra, ci sono diverse tappe e diverse battaglie prima di arrivare allo scontro finale, decisivo. In questa negazione dell'uomo, in questo rinnegare se stesso e la propria natura e perciò sovvertire l'ordine della Creazione, si è proceduto a tappe, che oggi possiamo riconoscere abbastanza facilmente. -Si è cominciato con la contraccezione, ovvero con la separazione dell'atto procreativo dall'atto d'amore. E si noterà che tutte queste battaglie hanno in comune proprio un atto di divisione, la separazione dell'uomo da una parte di se stesso. Ovviamente tutto è presentato come l'affermazione della libertà, come una grande possibilità di emancipazione, di superamento di limiti imposti: dalla famiglia, dalla società, dalla religione. Ma con la contraccezione non solo si hanno effetti sulla salute - visto che l'assunzione di pillole o l'uso di contraccettivi meccanici hanno comunque effetti collaterali che possono arrivare anche a maggiori probabilità di tumori - e oltretutto sono tutti potenzialmente abortivi, ma si hanno anche conseguenze antropologiche molto gravi. Ed è quello che ai fini del nostro discorso maggiormente interessa. Anzitutto si afferma in questo modo una concezione della libertà profondamente errata, perché essa diventa scioglimento dai vincoli piuttosto che appartenenza. E in questo modo si nega anche l'evidenza più elementare della nostra esperienza. Basta chiedersi ad esempio quando è che ci siamo sentiti liberi, quando abbiamo provato un senso di libertà. Credo che tutti possano dire che una delle prime esperienze di libertà accade quando ci si innamora di una persona e a un certo punto si è corrisposti. Vale a dire che ci sentiamo effettivamente liberi nel momento in cui si riconosce l'appartenenza a un altro o un'altra. Se questa è la realtà che sperimentiamo, ecco allora che la mentalità contraccettiva introduce una ideologia che nega la realtà. Il sesso diventa un gioco e il piacere è l'unica cosa che si ricerca nel partner: l'altro è un oggetto di consumo, ogni forma di sessualità è in fondo equivalente perché è utile solo a soddisfare la propria libido. Da qui la conseguenza di facilitare ogni genere di immoralità, dal sesso a pagamento al tradimento coniugale fino a quell'elenco sterminato di perversioni che, non a caso, nella nostra società proliferano e, tra le altre cose, provocano un aumento spropositato delle malattie infettive. Alla libertà non corrisponde più una responsabilità. Il matrimonio "riparatore" - che nell'Italia di 50-60 anni fa era ancora un obbligo sociale per chi causava la gravidanza della propria fidanzata - pur con tutti i suoi limiti svolgeva però anche una funzione educativa, perché richiamava alla responsabilità personale: si può sbagliare, ma alle proprie responsabilità non si sfugge. La mentalità contraccettiva cancella proprio questa responsabilità e non a caso quello che continua a essere spacciato per uno strumento di emancipazione della donna è in effetti causa di una sua maggiore solitudine e sofferenza. Perché è soprattutto l'uomo che in questi casi può facilmente fuggire le proprie responsabilità.
SECONDO PASSO: IL DIVORZIO, DISTRUZIONE DELLA RESPONSABILITÀ UNITIVA Da qui al divorzio il passo è perciò breve. La responsabilità che si fugge prima di sposarsi, diventa un peso insopportabile dopo il matrimonio. Iniziata sempre con la proposizione dei soliti casi estremi o pietosi, l'introduzione del divorzio è stata in realtà un passo decisivo per affermare la libertà come scioglimento da un legame. Anche qui, la difficoltà di uno stare insieme diventa non già occasione di approfondimento del significato del rapporto, ma obiezione al suo proseguimento. In aggiunta, l'indebolimento del legame tra l'uomo e la donna che hanno liberamente scelto di condividere la vita diventa separazione anche dal resto della comunità. Ne è un esempio clamoroso la mentalità diffusissima anche tra molti cattolici che già al tempo dell'approvazione della legge dicevano: «lo non lo farò mai ma non posso impedire ad altri di farlo». È un modo di ridurre il matrimonio a fatto privatistico, come se non fosse il fatto sociale più importante, quello su cui si fonda la stabilità e il futuro di una società. Basta vedere oggi le conseguenze economiche disastrose di questa divisione che è partita dalla famiglia. Come potrà essere stabile una società se è instabile la sua cellula fondamentale, quella che genera ed educa le future generazioni? E come potrà sopravvivere una società che non genera più figli? È qui che dobbiamo cercare le radici della crisi economica che viviamo oggi.
TERZO PASSO: ABORTO E FECONDAZIONE ARTIFICIALE, DISTRUZIONE DELLA RESPONSABILITÀ MATERNA Il resto è purtroppo una conseguenza, un crescendo di divisioni e violenze. L'aborto: la donna - ormai sola, anche per legge -che si separa violentemente da suo figlio, rifiuta anche lei quella responsabilità che già il suo partner non ha più da tempo. E poi, la fecondazione artificiale, una violenza radicale di cui si fa fatica a comprenderne la gravità. Tra tutti gli aspetti che si potrebbero sottolineare, basti pensare alla forza dell'immagine che trasmette: nella maternità naturale l'immagine di una appartenenza è comunque evidente; prima può essere successa qualsiasi cosa, ma nulla può cancellare quell'esperienza. Quel bambino nasce da un rapporto d'amore tra un padre e una madre e quel bambino è frutto di quel legame, è il segno più evidente di una appartenenza. La fecondazione artificiale cancella tutto questo, l'amore tra due persone che genera un figlio diventa solo una delle opzioni possibili. L'appartenenza come evidenza originaria viene cancellata anche come immagine. L'uomo nega, rinnega una parte costitutiva di sé, della propria natura. Possiamo ora meravigliarci di essere arrivati in pochi anni al punto di negare definitivamente l'uomo, e quindi Dio?
Fonte: Il Timone, settembre-ottobre 2013 (n.126)
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CHI COLMA IL CUORE DELLA DONNA?
Ecco la relazione, che avevo preparato per il convegno per i 25 anni della ''Mulieris Dignitatem'', da leggere davanti al Papa
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 14/10/2013
Quando lessi la prima volta la Mulieris Dignitatem credo proprio che non ne capii praticamente nulla, nella sostanza: avevo diciassette anni, e idee tutte strampalate su come dovessero essere maschi e femmine, sul matrimonio, su una malintesa parità tra i sessi. Mi sembravano belle parole, ma destinate a rimanere su carta. Dieci anni dopo l'enciclica mi sono sposata, e i successivi quindici li ho passati praticamente a cercare di comprenderla. Piano piano, con il tempo, le parole del Santo Padre si stanno traducendo in carne, si sono incarnate nella storia della nostra coppia, hanno dato un nome a ciò che vivevo e anche in parte soffrivo. Credo che in amore si soffra quando si dimentica che "C'è un paradosso nell'esperienza dell'amore: due bisogni infiniti di essere amati si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare". (R.M:Rilke) "Solo nell'orizzonte di un amore più grande è possibile non consumarsi nella pretesa reciproca e non rassegnarsi, ma camminare insieme verso un Destino di cui l'altro è segno". (C:S:Lewis) Uomo e donna sono due povertà che si incontrano e si donano. Quella che Lewis chiama pretesa reciproca è destinata a rimanere delusa a causa del nostro peccato, e a causa delle differenze tra l'uomo e la donna. Avere un'identità adulta a mio parere significa proprio accogliere questa verità: cioè che l'altro non potrà mai colmare tutte le attese, anche involontarie, o le pretese che noi riversiamo sulla persona che ci è a fianco. Avere un orizzonte più grande significa invece che le piccole mancanze e delusioni reciproche le possiamo vivere non come crepacci nei quali cercare di non cadere, né tanto meno come rivendicazioni, ma come "giogo soave", un peso leggero che serve alla propria conversione, che è poi il fine della vita qui sulla terra. Ogni attesa disattesa – perché l'amore non è quell'unione simbiotica spontanea, gratuita, facile, che prende il nome di amore, almeno nella cultura occidentale dal romanticismo in poi – ogni attesa disattesa, dicevo, dunque non è che lo scartavetramento della vita sul nostro ego, su quella parte di noi che è ferita dal peccato originale e che quindi non funziona, non ci permette di entrare in un rapporto vero e personale con Dio. Ogni uomo e ogni donna sono chiamati a essere sposi prima di tutto del Signore, sia che siano consacrati, e allora è direttamente lui lo sposo, sia che siano invece sposati, e quindi l'altro diventa la via privilegiata per amare e ricevere amore da Dio, che rimane sempre però il nostro sposo. Quello che guarisce i rapporti è ricordare che se il fine oggettivo del matrimonio è quello di generare figli, quello soggettivo è generare se stessi, quindi, poiché esattamente come per le persone consacrate, è il rapporto con Dio che ci definisce, lo sposo è la via per realizzare questa unione con Dio. Amando lo sposo, la sposa, si ama Dio, e questo ci permette innanzitutto di uscire dalla logica "del ragioniere" che sembra prevalere in tante coppie. E poi, ad un livello molto più profondo, l'uomo maschio e femmina è a immagine di Dio, quindi necessariamente il rapporto con l'altro ci dice qualcosa di decisivo su noi stessi. L'altro dunque, così diverso, che così spesso ci fa arrabbiare, venire i nervi, ci delude, ci ferisce, non è sbagliato, ma è semplicemente il "segnaposto del totalmente Altro", come lo definisce il cardinal Scola, e ci costringe a una domanda sul senso, ci costringe alla conversione. Ci porta a una forma di amore preterintenzionale direi, che parte cioè dalla rinuncia a tutto o a molto di quanto si era atteso o proiettato sull'altro. Si abbraccia quasi la morte dell'amore come lo si era immaginato, e si accetta di perdere. Si ama non più con lo slancio dell'emozione ma con l'amore di un monaco che scolpisce una minuscola scultura sotto la volta di una cattedrale, qualcosa di piccolo e prezioso che non vedrà quasi nessuno, solo coloro che avranno la pazienza di alzare lo sguardo. Preparare un pasto o accogliere le critiche, accettare cambi di programma, silenzi quando si vorrebbe parlare e parole quando si vorrebbe dormire, allegria quando si vorrebbe piangere e riposo quando si vorrebbe proporre. Nella fedeltà al matrimonio partecipiamo dunque anche noi come parte della Chiesa a un'opera che ci trascende, il regno dei cieli, anche se a noi è stata affidata solo quella piccola scultura là in alto, che nessuno guarderà. Quando manca questa dimensione c'è un amore solo emotivo e si soffre. E sono soprattutto le donne, per la mia esperienza e per quella di coloro con cui sono entrata in contatto dopo aver scritto i miei libri, in scambi anche profondi, a soffrire. Soffrono perché hanno perso il contatto con la loro identità profonda. Gli ultimi decenni per la donna sono stati davvero di grande cambiamento, e non è il tema del mio intervento quindi non mi attardo su questo. Mi limito solo a dire che se la donna ritrova il suo posto tutto si rimette in ordine. La donna soffre perché in lei c'è quella nostalgia del primo sguardo che si è posato su di lei. L'eccomi dell'uomo che risponde all'eccomi di Dio è essenzialmente femminino. Più interiorizzata – scrive Pavel Evdokimov ne La donna e la salvezza del mondo – più vicina alla radice, la donna si sente a proprio agio nei limiti del proprio essere e con la sua presenza riempie il mondo dall'interno. La donna possiede una complicità con il tempo, perché sa che il tempo è gestazione, è attesa per qualcosa, per qualcuno. È predisposta al dono di sé, e infatti si realizza quando può donarsi, che sia a dei figli di carne o no. Ha nostalgia dello sguardo che si è posato su di lei al momento della creazione, infatti desidera intimamente che qualcuno le dica che è bella, mentre l'uomo desidera sentirsi capace di portare a termine progetti, di risolvere problemi, di proiettarsi fuori di sé. Per mezzo della donna l'umanità è invitata a trovare la sua vocazione sponsale con il Signore. È sempre una vocazione in cui la Sposa risponde con il suo amore a quello dello Sposo, dice la Mulieris Dignitatem, lo sposo con la S maiuscola, il Signore. Per questo, scrive il catechismo della Chiesa cattolica, la dimensione mariana, la vocazione prima di tutto sponsale dell'umanità, precede quella petrina. San Paolo nella lettera agli Efesini parla del matrimonio tra un uomo e una donna come di un mistero grande. Accostarsi al mistero del maschile e del femminile ci introduce al mistero di Dio, che ci ha creati maschio e femmina, a sua immagine. La tensione tra maschile e femminile rimanda alla tensione amorosa fra le tre persone della Trinità, solo che noi uomini siamo feriti dal peccato originale. In Efesini 5 sono individuati i punti cruciali, i nodi di peccato dell'uomo e della donna. La donna è invitata a essere sottomessa allo sposo, l'uomo a dare la vita per la sposa, in modo che replichino nel matrimonio la dinamica tra Cristo e la Chiesa, quindi senza dominio o sopraffazione, ma in un dono reciproco. La donna è invitata a essere sottomessa perché al contrario la sua costante tentazione è quella del controllo, di cercare di plasmare, di formattare coloro che le sono affidati. I figli ma anche lo sposo, spesso. In realtà queste sono qualità di cui l'ha dotata la Provvidenza perché la donna è chiamata a formare, a educare, come diceva anche Benedetto XVI: la donna conserva la consapevolezza che il meglio della sua vocazione è nell'aiutare la vita nel suo formarsi. Che sia sposa o che sia nubile la donna è chiamata a preservare e a fecondare la vita, a orientarla verso la luce. È chiamata a essere promemoria per l'umanità tutta. Come dice ancora Evdokimov c'è una particolare connivenza tra la donna, essere naturalmente religioso, messa di fronte ai misteri più gravi della vita, e lo Spirito datore di vita e consolatore. Lotta per l'uomo, per la sua salvezza. In questa vocazione lavora come sempre il peccato, e così la capacità di orientare al bene rischia continuamente di trasformarsi in tentazione di volere che le cose nel mondo vadano come vogliamo noi. Prendiamo un uomo che mediamente ci può andare, e lo vogliamo migliorare, così rischiamo di non permettere all'altro di essere. Finiamo per correggere, riprendere, per non lasciar emergere gli altri con le loro vere qualità. La donna invece è chiamata proprio a questo, a fare da specchio all'uomo, a rimandargli un'immagine positiva di sé, a mettere il lievito dell'amore nel rapporto. Serve una donna che sappia fare spazio, che non abbia paura di perdere posizioni, che parta da un pregiudizio positivo sull'uomo, che prenda l'impegno di fidarsi di lui e del suo sguardo sul mondo, lealmente decisa a riconoscere di non essere l'unica depositaria del bene e del male – Eva! – non perché debole ma proprio perché solida, resistente, accogliente. Questo atteggiamento, quando è onesto, limpido, non manipolatorio è un lievito potentissimo perché l'uomo non resiste a una sposa che gli sta lealmente accanto, sottomessa nel senso che rinuncia a imporre sempre il suo punto di vista e comincia a fidarsi, a valorizzare ciò che vede di bello nell'uomo. E così l'uomo comincia a sentire il desiderio di dare la vita come Cristo per la Chiesa. Non una semplice cooperazione di sforzi, ma la creazione di una realtà assolutamente nuova del maschile e del femminile che vanno a formare il corpo del sacerdozio regale. Gloria dell'uomo, come dice san Paolo, la donna è come uno specchio che riflette il volto dell'uomo, glielo rivela e così lo corregge. E così l'uomo si sente spinto a uscire fuori e dominare la terra, e a farlo non per sé ma per coloro che gli sono affidati, per i quali diventa pronto a prendere su di se i colpi della vita. Il nodo di peccato dell'uomo, infatti, quello per cui san Paolo lo invita a essere pronto a morire per la sposa, è l'egoismo. Il desiderio di tenere qualcosa per sé. Di coinvolgersi ma risparmiando qualcosa, di mettere da parte, di rifugiarsi ogni tanto nel suo spazio privato, senza interferenze. Per l'uomo è faticoso tenere lo sguardo sempre rivolto alla donna, al rapporto, alla casa. L'uomo infatti ha una diversa accentuazione esistenziale: va al di là del proprio essere, ha un carisma di espansione, aspira alla crescita di tutte le sue energie che lo prolungano del mondo, ha un diverso rapporto con il potere. Sto facendo, è appena il caso di puntualizzarlo, un discorso non sociologico, ma spirituale: non sto dicendo che sia solo l'uomo chiamato a uscire fuori di casa e a dare il suo contributo per migliorare il mondo. Non stiamo parlando del mondo del lavoro né del potere. Non è un discorso su chi abbia più o meno dignità, è ovvio che siamo su un altro piano, e che diamo per assodato che l'unica dignità che conti nella Chiesa non può essere altro che l'acquisizione dello Spirito, e in questo la donna è privilegiata. Sul piano dunque spirituale l'uomo esce la donna accoglie, l'uomo si tende verso l'esterno la donna verso l'interno, l'uomo è il muro, il senso della realtà, la donna l'accoglienza, e questo lo si vede sul piano educativo, nel rapporto con i figli, la donna ha il genio della relazione, tesse trame, spesso l'uomo è più bravo nel potare i rami secchi. Per concludere vorrei ricordare quello che Karol Wojtyla, da vescovo, diceva alle coppie di fidanzati: non dire "ti amo" ma "partecipo con te dell'amore di Dio". Questo, credo, sia avere un'identità davvero matura.
Nota di BastaBugie: vi invitiamo a vedere il seguente video con la conferenza di Costanza Miriano alla parrocchia Gran Madre di Dio a Roma il 12 novembre 2012
http://www.youtube.com/watch?v=V6fkInwlq0A
Seconda parte: http://www.youtube.com/watch?v=ckemywj-ugQ
Terza e ultima parte: http://www.youtube.com/watch?v=lVrZr9-ZLNQ
Fonte: Blog di Costanza Miriano, 14/10/2013
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COSA RESTA DI BERLUSCONI?
Berlusconi è stato a lungo vincente perché ha rovesciato l'ideologia risorgimentale: prima che obbligare a rispettare le leggi occorreva sincerarsi che le leggi rispettassero gli italiani
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13/10/2013
Gli editoriali che si susseguono su diversi quotidiani nazionali hanno un punto in comune. Manifestano, oppure criticano, l'incapacità della sinistra italiana di capire il berlusconismo, e la fretta di ridurlo - come già avvenne per il fascismo - a una semplice «parentesi» nella storia d'Italia. Questo atteggiamento non è casuale. Deriva da un errore sociologico che risale a Friedrich Engels (1820-1895) e alla prima Scuola di Francoforte, attiva in Germania fra le due guerre mondiali e che cercava di mettere insieme marxismo e psicanalisi. Secondo la visione della storia di Karl Marx (1818-1883) e di Engels, il cammino storico è sì accidentato ma si muove in una direzione precisa: quella del «progresso», che culminerà nella società socialista e nel comunismo. La necessità di questo esito può essere provata scientificamente ricorrendo all'economia, che per Marx è la scienza delle scienze. Questa scienza proverebbe che i «lavoratori» - in particolare, ma non solo, gli operai - sono destinati ad acquisire sempre maggior peso sociale. E, siccome questi lavoratori sono per definizione progressisti - ancorché abbiamo bisogno del Partito Comunista per rendersene conto - ecco che la direzione progressista della storia è ineluttabile. La Scuola di Francoforte si trovò di fronte al dramma dell'ascesa del fascismo in Italia e del nazionalsocialismo in Germania. I suoi esponenti dovettero ammettere negli anni 1930 che il fascismo e il nazismo erano genuinamente popolari, e che fra i loro sostenitori non c'erano solo «ricchi» ma anche milioni di «lavoratori», il che metteva in crisi la teoria marxista. I «lavoratori», che avrebbero dovuto essere antifascisti, invece erano in buona parte fascisti. Questo problema - si resero conto i teorici di Francoforte - non era nuovo. Engels se l'era già posto a proposito di movimenti ancora più reazionari, secondo lui, della destra politica: le grandi religioni. Anche queste erano cresciute grazie al sostegno di milioni di poveri, non solo dei ricchi. Com'era stato possibile? Una prima spiegazione - che Engels usava per Muhammad (570-632), il fondatore dell'islam, ma non è che Gesù Cristo gli fosse tanto più simpatico - era che i leader religiosi fossero affetti da patologie - erano schizofrenici o epilettici - o presentassero quelle deformazioni della psiche che la scienza dell'Ottocento attribuiva ai grandi criminali: e che questa follia o depravazione li rendesse in qualche modo affascinanti. La Scuola di Francoforte applicò la stessa interpretazione ad Adolf Hitler (1889-1945) o Benito Mussolini (1883-1945), riducendoli a casi da manicomio criminale. Ma la spiegazione non convinceva. Ammettendo anche che Muhammad, o Mussolini, fossero pazzi, non si spiegava perché alcuni pazzi «perdono» e finiscono all'ospedale psichiatrico e altri «vincono» e radunano milioni di seguaci. Quando nella sua totalità la Scuola di Francoforte scappò dalla Germania nazista e si trasferì negli Stati Uniti, l'analisi si fece più sofisticata. Si sostenne che i folli criminali che hanno successo nella storia si distinguono per la loro sagacia nell'uso della propaganda. Theodor Adorno (1903-1969) e Max Horkheimer (1895-1973) diedero persino la colpa ai fumetti, che avrebbero veicolato ideologie «di destra», così sottilmente imposte dalle «destre» ai «lavoratori», incorrendo nei giustificati lazzi di Umberto Eco, uomo di sinistra ma grande estimatore dei fumetti. La sinistra italiana si è trovata di fronte allo stesso problema con Berlusconi. Finita la Prima Repubblica, la direzione della storia e del «progresso» era chiara: i «lavoratori» avevano vinto - con un piccolo aiuto dei magistrati - e la sinistra sarebbe andata al potere. Invece, nel 1994, vinse Berlusconi, con numeri che dimostravano come non avessero votato per lui solo i «ricchi». La sinistra italiana - rimasta più marxista di quelle di altri Paesi - applicò gli schemi di Engels e della Scuola di Francoforte. Cominciò a sostenere che Berlusconi era un «gangster» - nelle ultime settimane Eugenio Scalfari ha rivendicato più volte di essere stato il primo a usare questa espressione per il Cavaliere, prima ancora che entrasse in Parlamento - affetto da vere patologie psicologiche se non psichiatriche. E continuò con la seconda spiegazione: il gangster malato vinceva grazie alla sua abilità nell'uso dei mezzi di propaganda - stavolta (il progresso vale anche per i cattivi) non i fumetti ma la televisione. La sinistra ha continuato per vent'anni a spiegare il berlusconismo con queste categorie. E ha continuato a perdere. Giunge ora come un soffio di aria fresca il libro di uno storico accademico, Giovanni Orsina, «Il berlusconismo nella storia d'Italia» (Marsilio, Venezia 2013), che fa piazza pulita di queste idee davvero stantie. Orsina è molto attento a non offendere i suoi colleghi legati alla vulgata marxista, e a chiarire che neppure a lui è troppo simpatico Berlusconi - a sostenere il contrario si rischia di perdere la cattedra o peggio - ma rovescia completamente l'interpretazione corrente. Se Berlusconi sia o meno affetto da turbe psico-patologiche o sia un delinquente nato è cosa, suggerisce Orsina, che interessa abbastanza poco allo storico o al politologo - meno ancora al sociologo, aggiungo io - dal momento che la vera domanda è perché il suo messaggio abbia avuto successo. Né tutto si può spiegare con la televisione e il denaro. La potenza di fuoco mediatica della sinistra non è mai stata veramente inferiore a quella del Cavaliere. Si tratta dunque finalmente di spostarsi dal mezzo al messaggio, cercando di capire perché i contenuti di Berlusconi abbiano sedotto tanti italiani. Qui sta il centro del libro di Orsina, la cui argomentazione riposa su un'intuizione che mi sembra brillante e corretta. Per capire Berlusconi, sostiene Orsina, dobbiamo tornare al Risorgimento, quando l'Italia fu fatta contro la maggioranza degli italiani. La classe dirigente politica e culturale del Risorgimento voleva rifare gli italiani. Si riempiva la bocca con l'elogio degli italiani ideali, ma degli italiani reali aveva «ribrezzo». Di qui una robusta politica che Orsina definisce non solo pedagogica ma «ortopedica»: gli italiani andavano rieducati e rifatti, se del caso ingessandoli e intervenendo chirurgicamente. Da questo punto di vista, insiste Orsina, nonostante le evidenti differenze, il fascismo e la Prima Repubblica non furono poi tanto diversi dall'Italia del Risorgimento. Anche il fascismo - e perfino la Prima Repubblica, dal momento che i suoi leader erano cattolici liberali e progressisti che accettavano nella sostanza la narrativa risorgimentale - erano «ortopedici» e volevano rifare gli italiani, considerati intrinsecamente disordinati, lavativi, evasori fiscali, ribelli allo Stato e alle sue leggi. Rispetto a questa lunghissima storia, Berlusconi rappresentò una vera rivoluzione copernicana. Scese in campo affermando «L'Italia è il Paese che amo» e dichiarando che prima che gli italiani rispettassero le leggi occorreva sincerarsi che le leggi rispettassero gli italiani. Per la prima volta - non in assoluto, ma nell'ambito di forze politiche in grado di vincere le elezioni e andare al governo - qualcuno rovesciava l'ideologia risorgimentale: gli italiani - affermava Berlusconi - sono già fatti, vanno benissimo così o quasi, si tratta semmai di rifare l'Italia, cioè lo Stato e la politica che per decenni si sono costruiti contro il Paese reale. Miscela di populismo e di liberalismo economico, il berlusconismo - ci spiega Orsina - ebbe enorme successo proprio per questo rovesciamento. Il Cavaliere capì che in Italia c'erano milioni di elettori «di destra» che si turavano il naso e votavano DC ma in realtà non condividevano neppure il dossettismo filo-risorgimentale della classe dirigente democristiana. Tuttavia - è la seconda parte del libro di Orsina - il berlusconismo è fallito. Non perché alla fine il Cavaliere abbia dovuto soccombere ai giudici - in una loro parte di rilievo, espressione eccellente di quella mentalità «ortopedica» e anti-italiana - ma perché, sottovalutando forse quanto gli «ortopedici» avessero occupato tutti i gangli vitali e culturali della società italiana, non riuscì mai veramente a rovesciarne i metodi e i programmi. Qui, però, mi separo in parte da Orsina. La rivoluzione di Berlusconi - che ha certo avuto qualche risultato parziale positivo - è fallita non solo per le ragioni indicate dallo storico, ma - o così penso io - perché il Cavaliere non ha mai chiarito, a se stesso e a chi lo ascoltava, che cosa esattamente amasse dell'Italia. Si è limitato per lo più a dire che l'Italia com'era - quella disprezzata dagli «ortopedici» a partire dal Risorgimento - gli piaceva perché era fantasiosa, creativa, intelligente, spiritosa, piena di amore contrapposto all'odio spacciato dalle ideologie. Tutte belle cose, ma che non toccano la sostanza. Gli intellettuali risorgimentali e post-risorgimentali e i loro mandatari politici odiavano e odiano gli italiani non perché sono creativi o spiritosi ma perché sono cattolici. Sono cattolici anche se non vanno a Messa, come dimostrano tante reazioni spontanee agli eccessi del laicismo. Per mentalità personale, per calcolo politico, per timore dei «poteri forti», per i collaboratori che si è scelto Berlusconi non ha mai dato eccessivi contenuti alla sua apologia dell'Italia reale, né è mai arrivato a dire la verità sul carattere intrinsecamente cattolico dell'ethos italiano. Per questo, la sua rivoluzione contro il «partito anti-italiano» è sempre rimasta a metà, e finalmente è fallita. Ma il libro di Orsina dimostra pure che una critica della cultura «ortopedica» e anti-italiana, anche radicale, ha un grande potenziale elettorale. Dopo Berlusconi, l'errore più fatale che il centro-destra italiano può commettere è quello di diventare la «destra moderna» alla Cameron o alla Chirac che non a caso invocano i vari Scalfari: una destra un po' massonica, laicista, attenta ai «nuovi diritti» che occupi la nicchia meno entusiasta del vasto campo degli «ortopedici» e dia anche lei il suo modesto contributo al tentativo di rifare gli italiani. Questa «destra moderna» non serve e non raccoglie neppure voti: lo dimostra la parabola di Gianfranco Fini. Dopo Berlusconi si tratta dunque non di attenuare, ma al contrario di rafforzare e rendere semmai più dura e radicale la critica al «partito anti-italiano» e alle politiche «ortopediche», una critica che deve necessariamente coinvolgere il Risorgimento, il fascismo e anche la Prima Repubblica. Ma la durezza verbale non basterà. Per cambiare le cose non basta urlare più forte. Occorrerà riempire questa critica di contenuti, scavare nell'ethos nazionale italiano disprezzato e conculcato da centocinquant'anni. Scavando, non si potrà che incontrare il cattolicesimo.
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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13/10/2013
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COME DAN BROWN HA RAGGIUNTO IL SUCCESSO CON IL CODICE DA VINCI
Ed ecco perché, nonostante i soliti trucchi, il suo nuovo libro ha venduto pochissimo
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Studi cattolici, settembre 2013 (n.631)
Poiché molti si son portati sotto l'ombrellone Inferno di Dan Brown, sarà il caso di fare il punto non sul romanzo in sé (l'ha già fatto bene Massimo Introvigne sulla Nuova bussola quotidiana il 17.5.2013) ma sull'autore, visto che si tratta dello scrittore di thriller più letto (attualmente) al mondo. Mentre scrivo, il sunnominato Inferno ha già raggiunto i dieci milioni di copie. Niente, in paragone ai settanta del famigerato Codice Da Vinci, insidiato solo dalle altrettanto famose Cinquanta sfumature di grigio: quaranta. Certo, quest'ultima cifra dice tutto sul livello intellettuale del pubblico medio mondiale, ma gli editori sono imprenditori commerciali e a loro interessa il profitto, non la qualità. Infatti, la qualità senza profitto è come l'evangelica lucerna sotto il moggio, e di capolavori di cui nessuno mai conobbe l'esistenza deve essere piena la storia recente. Eh, l'epoca dei mecenati che, amando circondarsi di bellezza, tenevano a libro paga gli artisti migliori (i migliori, non i più noti) è finita da un pezzo. Il che significa, per tornare al nostro argomento, che oggi uno scrittore deve cercare la fama presso il grande pubblico. Solo dopo che l'avrà ottenuta gli editori gli stenderanno tappeti rossi ai piedi. Ma guai a lui se comincia a perdere colpi, perché i tappeti glieli strapperanno di sotto rimandandolo nel buio da cui è uscito. Si prenda, per esempio, il celebrato Saviano, autore di Camorra. Ingolosito dal successo debordante e dallo starring televisivo del funereo scrittore, il suo editore ha stampato un numero spropositato di copie del di lui nuovo Zero zero zero, molte delle quali rischiano ora di restargli sul gozzo (e sul conto perdite, visto che anche tenerle in magazzino costa). INIZI COL FLOP: MANCAVA QUALCOSA Ma torniamo al nostro Brown, che è tanto consapevole della precarietà del suo mestiere da, si dice, appendersi a testa in giù per fare affluire sempre nuove idee al cervello. Certo, quel che ha fin qui guadagnato gli basta a vivere di rendita, ma i riflettori sono una droga dalla quale è arduo disintossicarsi quando si spengono. Il sottoscritto ha letto tutta l'opera browniana e si è fatto un'idea precisa del modus operandi del Nostro. Il quale aveva cominciato con un thriller di stampo classico, La verità del ghiaccio. Ben costruito, ricchissimo di colpi di scena, ottima suspence. Ma era la solita roba: complotti internazionali, Cia, elicotteri, inseguimenti, lotta contro il tempo. Infatti, nessuno se ne accorse. Allora il Nostro virò su un argomento che «tira» sempre: il Vaticano. E fu Angeli e demoni. Si badi, sto seguendo la cronologia di esordio delle opere browniane, rimesse in circolo solo dopo il successo del Codice Da Vinci. Ma pure Angeli e demoni non fu sufficiente a portare Brown alla ribalta. Infatti, mancava qualcosa. Il Vaticano «tira», sì, ma solo se ne se parla male. In questo caso magari interviene qualche manina che aiuta il «caso editoriale» a éclater, come dicono i francesi. E così, la «caccia al tesoro» del protagonista fisso Robert Langdon, che in sole ventiquattr'ore risolve misteri millenari, diventa un fenomeno non solo letterario ma pure sociale. Eggià: settanta milioni di copie sono un numero di lettori superiore agli abitanti di una pur grossa nazione europea, sono altrettanti cristiani che si son sentiti «rivelare» che Cristo non era Dio e che la Chiesa ha truffato l'umanità per duemila anni. Dan Brown dev'essere, per forza di mestiere, un lettore onnivoro: dalle riviste di divulgazione scientifica ai libri di «misteri», dalle guide turistiche ai testi di enigmistica. Ora che può spendere, un sopralluogo nei posti che intende descrivere e uno studio delle mappe cittadine sono per lui consueti. Più, la consulenza di informatici, traduttori, medici, chimici eccetera. Secondo la moda dei romanzi d'azione americani, tutto è minuziosamente riportato, dai modelli d'auto alle marche delle bibite. Il che permette, tra l'altro, di superare le cinquecento pagine, perché il lettore medio americano non spende venticinque dollari per meno. Ma l'americanità di Brown si nota di più all'estero. Infatti, solo un americano medio potrebbe pensare che «Da Vinci» sia il cognome di Leonardo, laddove uno europeo avrebbe titolato Il codice di Leonardo. Ora, se uno fosse complottista, dopo la lettura dell'opera successiva del Nostro, Il simbolo perduto, potrebbe dire: ecco il segreto del successo di Dan Brown, è massone. Infatti, quanto Il Codice Da Vinci parla male della Chiesa tanto Il simbolo perduto parla bene della Massoneria. Dunque, sono stati i «fratelli» a decretare, e pompare, il boom di Dan Brown. Solo che, se così fosse, Il simbolo perduto avrebbe dovuto ripetere l'exploit del Codice. Invece, così non è stato. IL TIRO AL BERSAGLIO DOVE VINCI SICURO Se ne deduce che Dan Brown, nei suoi romanzi «a tesi» (quelli classici, come La verità del ghiaccio, non fanno discutere e quindi fanno flop), si rivela per quel che semplicemente è: uno che sta bene attento a lisciare i veramente potenti, quelli di cui è meglio parlare solo bene. Così, con Inferno, è tornato a parlar male della Chiesa. Che, a differenza di altre forze di respiro planetario, non ha i mezzi per fargliela pagare cara. Infatti, le «tesi» dei suoi romanzi (specialmente l'ultimo) sono così politicamente corrette da rasentare il banale. In Inferno il clou è che c'è la sovrappopolazione. E sai la novità. Tutti i meritori sforzi per farvi fronte sono vanificati dal Vaticano («un gruppo di ottuagenari celibi che pretendono di insegnare come si fa sesso») che manda in Africa torme di missionari a predicare criminalmente la fecondità. Se avesse letto Veltroni, Brown saprebbe che questa storia gli italiani l'avevano già sentita. Ma, che volete, un americano non può leggere tutto, qualcosa sempre sfugge. Per il resto, la solita caccia al tesoro in ventiquattr'ore da parte di Robert Langdon (che insegna ad Harvard!), sempre inseguito da qualche brutto ceffo, e in compagnia di una bella donna. Consigliamo a Dan Brown di rinnovarsi, come ha fatto l'autrice di Harry Potter, perché il cliché a lungo andare stufa. Per quanto riguarda gli «ottuagenari» contrari alla contraccezione, ce ne sono anche tra gli imam islamici e tra i rabbini ortodossi ebraici. Ma questi è meglio non stuzzicarli (il caso Salman Rushdie ha insegnato molto agli scrittori). C'è una sola organizzazione mondiale che perde d'immagine se si vendica: la Chiesa. La perderebbe all'esterno ma anche tra molti dei suoi adepti. Perciò, è l'unico tiro al bersaglio in cui si vince sicuro. Noi cattolici, che nella scommessa di Pascal abbiamo puntato tutto sull'altro cavallo, ricordiamo le parole del nostro Maestro, il quale fece presente una cosa ovvia: puoi accumulare tutti i soldi e la fama del mondo, ma dovrai lasciare tutto anche tu, e che cosa potrai dare in cambio per la tua anima? I mondani rispondono che, tanto, loro non ci credono. Sta appunto qui la scommessa. Ci vediamo all'Altro Lato.
Fonte: Studi cattolici, settembre 2013 (n.631)
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L'ARGENTINA APPROVA IL CAMBIAMENTO DI SESSO PER UN BAMBINO DI SEI ANNI
Primo paese dell'America Latina ad approvare i matrimoni gay nel 2010, ecco le conseguenze: in nome dei diritti degli adulti, si violano quelli di un bambino innocente e indifeso
Autore: Lupo Glori - Fonte: No Cristianofobia, 07/10/2013
In Argentina le autorità, sulla base di un disegno di legge sull'identità di genere approvato nel maggio 2012, hanno detto sì al cambiamento ufficiale di sesso per un bambino di sei anni. La nuova legislazione argentina in materia di genere consente, infatti, il cambiamento del sesso e del nome sui documenti ufficiali senza la necessità di alcuna approvazione da parte del tribunale. Il governatore di Buenos Aires, Daniel Scioli, ha, dunque, approvato la richiesta di Manuel di cambiare il suo nome di battesimo in Lulu sulla carta d'identità argentina e sul proprio certificato di nascita. I media locali, come riporta il sito della "BBC" del 27 settembre, hanno messo in risalto come sia il primo caso al mondo in cui un bambino ottiene il cambiamento della propria identità attraverso un processo amministrativo senza ricorrere ai tribunali. Tale decisione è arrivata dopo mesi di tentativi da parte dei genitori di Manuel, che avevano visto la loro richiesta negata due volte a causa dell'età del bambino al di sotto dei 14 anni e quindi non in grado di prendere consciamente una simile decisione. Ma la vicenda ha subito un improvviso cambiamento di rotta a seguito di una lettera inviata dalla madre del bambino ad una agenzia nazionale per la protezione dell'infanzia. Tale organo federale ha, infatti, rilevato come negare al bambino il cambiamento di genere fosse una violazione dei suoi diritti, in base alla "Convenzione sui diritti del fanciullo delle Nazioni Unite". Alberto Perez, capo di Gabinetto della Provincia della capitale argentina, ha motivato tale provvedimento dichiarando al quotidiano locale "La Nacion": «Il governo della provincia di Buenos Aires ha deciso di fornire una soluzione a questo caso specifico sollevato dalla famiglia». La decisione è stata presa dopo che la madre di Lulu, Gabriela, si era rivolta al governatore di Buenos Aires, nonché al presidente argentino Cristina Kirchner, scrivendo come suo figlio si fosse identificato come una bambina, non appena aveva iniziato a parlare. Alfredo Grande, uno degli psicologi coinvolti nel caso, ha dichiarato al quotidiano brasiliano "Folha de Sao Paulo": «Il DNI (carta d'identità argentina) è come uno specchio. Se una persona non vi si identifica, non va bene. È stata una lotta importante che abbiamo vinto». Come era scontato, anche i gruppi di attivisti gay hanno accolto con entusiasmo la decisione delle autorità della capitale argentina. Cesar Cigliutti, a capo della Comunità Omosessuale Argentina (CHA), ha sottolineato la portata storica di tale decisione dichiarando alla stampa: «Sarà il primo caso al mondo di una ragazza che ottiene nuovi documenti attraverso una procedura amministrativa, senza dover fare appello alla giustizia». Tale rivoluzionario provvedimento mostra ancora una volta le inquietanti conseguenze sociali e culturali della legislazione omosessualista. L'Argentina è stato, infatti, il primo paese dell'America Latina ad approvare i matrimoni dello stesso sesso nel 2010, seguito dall'Uruguay quest'anno. Tuttavia, la decisione delle autorità di Buenos Aires, presa in nome di un'ambigua violazione dei diritti del bambino, sembra non tener in nessuna considerazione un dato elementare e fondamentale: il fatto che il bambino ha solo sei anni, un'età nella quale il giudizio e la ragione di una persona sono ancora in costruzione e formazione. In tale prospettiva, la richiesta dei genitori e la conseguente approvazione da parte delle autorità argentine costituiscono, loro sì, un'autentica violazione dei diritti di un bambino innocente e indifeso, la cui natura viene irreparabilmente violentata, con il prevedibile rischio che un domani questo bambino possa chiedere loro conto di tale negazione della realtà fatta sulla propria pelle.
Fonte: No Cristianofobia, 07/10/2013
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CRISTO GUIDA LA CHIESA: CHI LO DIMENTICA, FINISCE PER TRATTARE I PAPI IN BASE A CIO' CHE PENSA E CREDE LUI
Da parte sua il Papa, da buon pastore, nel cercare la pecorella smarrita deve stare attento a non perdere le altre novantanove
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 15/10/2013
«Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura». Queste parole pronunciate da Benedetto XVI nell'ultima udienza del mercoledì il 13 febbraio 2013, per dare ragione anche delle sue dimissioni, sono state poi citate il 15 marzo da papa Francesco nell'omelia della messa con i cardinali dopo la sua elezione a Pontefice. «E' Cristo che guida la Chiesa» è però la certezza che sembra proprio mancare nella disputa che da mesi va avanti sull'interpretazione che si dà di papa Francesco da due fronti contrapposti: da una parte i progressisti, esultanti per aver trovato finalmente un "Martini" da cui ci si aspetta una rivoluzione (guarda caso, soprattutto sessuale); dall'altra i cosiddetti "tradizionalisti", decisamente preoccupati che si smarrisca la ricchezza bimillenaria dell'insegnamento della Chiesa per inseguire il mondo e la modernità. Entrambi gli schieramenti sembrano concordare su un solo punto: questo Pontificato rappresenta una svolta epocale, una rottura con il passato. Ecco allora i "ribelli" di ieri che si comportano da "padroni" della Chiesa, che dettano al Papa la propria agenda; ecco anche il revival del catto-comunismo, con vecchi arnesi ringalluzziti che ci spiegano come avevano ragione negli anni '70; rispuntano fuori i preti-sandinisti, i teorici della teologia della liberazione (ma non si diceva che l'allora cardinale Bergoglio l'aveva sconfitta?), gli ecumenici del "cerchiamo solo quello che ci unisce" (dimentichi che il dialogo ha senso solo su ciò che ci fa diversi). Ora, non ci si può ovviamente nascondere la profonda diversità di stile e di approccio pastorale di papa Francesco da chi l'ha preceduto, e basta leggere la risposta di Benedetto XVI al matematico Odifreddi e quella di Francesco a Scalfari per rendersene conto. Ma sarebbe altrettanto miope non vedere i segni di una continuità, che ha radici ben più profonde della diversità di approcci con il mondo. Ne segnalo solo alcuni: il desiderio di portare Cristo a ogni uomo (vogliamo ricordare i continui viaggi di Papa Wojtyla in tutto il mondo?) e che sia soprattutto la testimonianza a essere decisiva; il riconoscimento che la crisi della nostra società sia soprattutto una crisi di fede e che dal primo annuncio bisogna ripartire (non è stato forse Benedetto XVI a indire l'Anno della Fede?); la devozione e l'affidamento a Maria. Il punto è però che se si appanna la certezza che a guidare la Chiesa sia Cristo, si finisce per trattare i papi come fossero i presidenti degli Stati Uniti: si tifa per il candidato democratico o per quello repubblicano, e li si giudica in base a ciò che noi pensiamo e crediamo; ciò che conta è la persona o, meglio, il personaggio, a cui si attribuisce un potere senza limiti. Non così può essere per la Chiesa. Il Papa è il vicario di Cristo, il "dolce Cristo in terra" come diceva Santa Caterina da Siena, e questo viene prima di ogni altra considerazione. Come cattolici seguiamo il Papa, non questo o quel Papa, per poi rimanere in stand-by o mugugnare se a essere eletto è quello dell'altra fazione. Siamo noi, insieme al Papa, a doverci convertire a Cristo e non il Papa a doversi convertire al nostro sentire. Ciò non vuol dire che sia indifferente chi occupa il soglio di Pietro né che non sia possibile discutere e anche criticare certe scelte, ma l'appartenenza alla Chiesa e l'unità con il Papa sono il criterio ultimo di ogni azione. Come in una famiglia: padri e madri fanno certamente errori e a volte assumono anche comportamenti platealmente scorretti, ma un vero figlio cercherà di correggere l'errore dentro un rapporto di amore, non con sprezzante lontananza. Peraltro chi vuole dimostrare la rottura con il passato, seleziona gli interventi del Papa a questo scopo. E guarda caso il punto di riferimento di entrambi gli schieramenti sono i colloqui con Scalfari e l'intervista alla Civiltà Cattolica che, per quanto importanti, sono l'unica cosa che certamente non è Magistero come monsignor Antonio Livi ha esemplarmente spiegato proprio su La Nuova BQ. Anzi, si tratta di affermazioni che alla luce del Magistero andrebbero interpretate. A questo proposito va però aperta una parentesi. Il disagio e la perplessità che tanti cattolici hanno provato davanti agli interventi "giornalistici" di papa Francesco hanno un fondamento serio, che sta soprattutto nei limiti del mezzo scelto. Siamo entrati ormai in un'epoca in cui i Papi non prendono la parola solo nelle forme solenni del passato. Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e anche il temperamento dei singoli fanno sì che oggi il Pontefice parli in diversi modi. Già Benedetto XVI aveva introdotto delle novità accettando un libro-intervista e pubblicando i suoi libri su Gesù: era consapevole della novità e per questo nell'introduzione alla ricerca su Gesù aveva spiegato che non si trattava di Magistero e quindi poteva essere tranquillamente contraddetto. Ma ovviamente non è semplice scindere il teologo dal Papa. Ora con Francesco i nuovi canali di comunicazione si sono enormemente ampliati. Il problema è però che la lettura di certe espressioni e interventi alla luce del Magistero è un esercizio che il 99% dei lettori di giornali sicuramente non pensa neanche di fare. E gli stessi cattolici solo in minima parte vanno oltre i titoli del giornale, figurarsi leggere le encicliche o le catechesi. Dunque il messaggio trasmesso dal Papa, ciò che il mondo capisce del Papa, è legato soprattutto ai titoli dei giornali. C'è il serio rischio che si affermi un Magistero "percepito" che si riduca alle interviste, alle lettere o alle telefonate. Da questo punto di vista non può non fare riflettere il fatto che del colloquio del Papa con Scalfari e dell'intervista alla Civiltà Cattolica nell'opinione pubblica è passato che "la verità non è assoluta", "per salvarsi basta seguire la propria coscienza", "il Papa apre a gay, aborto e divorzio" (qualunque cosa significhi "aprire"); vale a dire un messaggio chiaramente in contrasto con il Catechismo della Chiesa, e certamente diverso da quanto papa Francesco ha detto nell'intervista e nella lettera. Siamo certi che anche il Papa, da lettore dei giornali, si renda conto dei rischi di un certo tipo di comunicazione e che saprà quindi trovare le forme migliori per non essere equivocato. Anche perché il buon pastore, nell'andare alla ricerca della pecorella smarrita sta anche bene attento a non perdere le altre 99.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 15/10/2013
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IL PAPA CHE PIACE ALLA GENTE CHE PIACE
Intervista a Gnocchi e Palmaro dopo l'espulsione da Radio Maria
Autore: Luciano Capone - Fonte: Corrispondenza Romana, 12/10/2013
Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, due giornalisti cattolici, hanno rotto l'unanimismo mediatico favorevole a Papa Francesco con un articolo su Il Foglio dal titolo Questo Papa non ci piace. I due hanno mosso dure, ma precise critiche ad alcune prese di posizione e agli strappi del Pontefice, pagando le opinioni espresse con un'epurazione da Radio Maria, emittente dove da 10 anni conducevano trasmissioni sulla bioetica e sul Vangelo. Partiamo dall'articolo, cos'ha fatto e detto il Papa che non piace a due giornalisti cattolici? Ci sono due aspetti problematici: la forma e i contenuti. Francesco ha assunto comportamenti e uno stile che portano alla dissoluzione del pontificato nella sua struttura formale, e che tendono a ridurre il papa a uno dei vescovi, e non al "dolce Cristo in terra" di cui parlava Santa Caterina. Sul piano dei contenuti, nelle interviste a Civiltà cattolica e a Repubblica ci sono non solo ambiguità ma oggettivi errori filosofici e dottrinali. Parliamoci da giornalisti, stiamo dibattendo sul classico caso di una non notizia. Qui ci sono due cattolici battezzati che ascoltano per mesi quanto dice il papa e, per mesi, si trovano a disagio perché quanto sentono stride evidentemente con quanto sostiene la dottrina. Alla fine, visto che fanno il mestiere di scrivere e commentare, scrivono e commentano. Non lo prevede solo una delle regole base dell'informazione, ma lo prevede anche il diritto canonico. La lettera e l'intervista a Scalfari, l'intervista a Civiltà Cattolica sono solo gli ultimi esempi più eclatanti. Hanno fatto il giro del mondo, hanno fatto gridare alla rivoluzione, hanno lasciato di sasso migliaia e migliaia di fedeli, quindi di anime, e nessuno trova niente da dire? La notizia invece è il coro unanime di osanna che va da certi cattolici conservatori fino a Pannella passando per Enzo Bianchi e Hans Kung. Avete criticato l'intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari. Non andava bene l'intervista o l'intervistatore? La scelta di Eugenio Scalfari è singolare e lascia interdetti molti cattolici. Egli infatti non è solo un laico o un non credente, ma uno storico antagonista del cattolicesimo. La Repubblica è il quotidiano simbolo di quella cultura radical chic che ha fatto di divorzio e aborto le colonne di una nuova società nichilista, nella quale non c'è più posto per Cristo e i sacramenti. Diverso sarebbe stato incontrare in modo riservato Scalfari, e parlare con lui in vista del suo bene. E nella speranza della sua conversione. Quanto all'intervista del Papa a Civiltà cattolica, dite che le frasi sull'aborto contrappongono dottrina e misericordia. Cosa vuol dire? La prima forma di carità è la verità. Il buon medico non nasconde al malato la gravità della sua patologia, affinché si curi. Dio desidera senza sosta di perdonarci, ma pretende il nostro pentimento, il riconoscere che abbiamo peccato. Una Chiesa che tacesse sulla morale per non scontrarsi con il mondo mancherebbe di carità verso i peccatori. È facile dire che trecento morti a Lampedusa sono "una vergogna". Più difficile dire che trecento bambini abortiti legalmente in Italia ogni giorno sono una vergogna ancor più grande. Per questo ed altro ve la siete presa con i "normalisti", i cattolici che, a differenza della stampa laica, non avrebbero visto la rivoluzione rispetto al magistero della Chiesa. Ma cos'è cambiato in realtà? Ce la siamo presa con quelli che abbiamo definito normalisti per un motivo molto semplice. Questi signori, da sei mesi, non fanno che mettere pezze agli svarioni di papa Francesco. Sulla coscienza, su etica e bioetica, sulla vita religiosa. Fatta salva la buona fede e le buone intenzioni, producono un danno tremendo perché, dicendo che tutto è normale e che non c'è nulla di nuovo, iniettando dosi di cattolicità là dove non ci sono, finiscono per far passare per cattoliche le affermazioni nude e crude del papa. Si illudono, poveretti, di essere mediaticamente più forti di Bergoglio e pensano che le loro correzioni arrivino al destinatario. Ma non hanno capito proprio niente di che cosa è la macchina massmediatica. contemporanea. Non sono loro a correggere il papa, è il papa a fagocitare loro. Ma se il papa farebbe addirittura affermazioni non cattoliche, perché i normalisti fanno finta di non vedere tutto ciò? Perché al centro del problema c'è niente meno che il Papa. Giustamente i cattolici lo considerano la guida della Chiesa nella storia, e non vorrebbero mai doverlo criticare. Per intenderci: se l'intervista a Civiltà Cattolica fosse stata rilasciata da un teologo o perfino da un vescovo, sarebbe stata contestata nelle molte parti che non quadrano. Ma, interviste a parte, avete criticato anche l'interpretazione che il Papa dà del Concilio Vaticano II. Non è una critica troppo forte? Ci atteniamo ai fatti: con il Vaticano II la Chiesa dichiara apertamente di volersi aprire al mondo e di rispondere alle sue aspettative. Un capovolgimento che in questi decenni ha prodotto i suoi risultati: i seminari si sono svuotati, in molti di essi si insegnano dottrine non cattoliche, e in cattedra si mettono, come volle Carlo Maria Martini, i non credenti. Imputate a Bergoglio anche l'eccessivo feeling con i mass media. Non pensate invece che stia rafforzando l'immagine della Chiesa? Qui la risposta è sempre quella di McLuhan: i media creano una finzione che diventa un facsimile del Corpo Mistico, e lui la chiama "un'assordante manifestazione dell'anticristo". Ma ieri il Papa nella sua predica ha insistito sul fatto che il Diavolo è una realtà e non una metafora, dicendo che "Chi non è con Gesù, è contro Gesù, non ci sono atteggiamenti a metà". Non è in contraddizione con la vostra immagine di "Papa progressista"? In questi mesi Papa Francesco ha detto molte cose cattoliche. Ma questo è normale: è il Papa. Ma nel nostro articolo abbiamo messo a confronto quanto dice sulla coscienza papa Francesco e quanto nel 1993 ha scritto papa Giovanni Paolo II nell'enciclica "Veritatis splendor". Ebbene, uno dice esattamente il contrario dell'altro e pensiamo che nessun contorcimento della mente più contorta possa dire che, in fondo, sono la stessa cosa. Fino a oggi, nessuno è entrato nel merito di quanto abbiamo scritto. Nessuno ha trovato da ridire su una sola riga. Un gentile signore ci ha anche invitato pubblicamente ad andare a confessarci. Ma lo sa, questo signore, che ci è capitato di dire queste cose in confessione e di sentirci dire dal confessore che la pensa allo stesso modo, ma non lo può dire a nessuno? E dovrebbe sapere, questo signore, quante lettere e telefonate abbiamo ricevuto da cattolici che non ne potevano più e ci ringraziano per quanto abbiamo scritto. Queste considerazioni vi sono costate l'epurazione da Radio Maria. Era una decisione che potevano evitare o l'avevate messa in conto prima di esporvi? Ci avevamo pensato, ma non era possibile tacere oltre. Eravamo amici di padre Livio Fanzaga prima di questa vicenda e lo siamo anche adesso. Lui è il direttore della radio e lui stabilisce la linea editoriale. Se questa linea prevede che il papa non si possa criticare neanche se parla di calcio, evidentemente due come noi sono fuori posto. Ma ci permettiamo anche di dire che questa linea proprio non la condividiamo. Non si può soffocare l'intelligenza e non si possono censurare a priori domande più che legittime. Questo non fa bene al mondo cattolico e non fa bene alla Chiesa. Se c'è qualche cosa che lascia l'amaro in bocca è che, dopo dieci anni di collaborazione, la telefonata sia arrivata due ore dopo l'uscita dell'articolo, senza neanche un momento per pensarci. Dieci anni in cui abbiamo avuto la libertà di dire tutto quello che ritenevamo opportuno anche su temi scottanti. Ecco, questa immediatezza fa male. Pensate che la vostra espulsione sia stata decisa altrove? Bisognerebbe chiederlo a padre Livio, che è un bravo sacerdote e una persona per bene. Ma si può stare in una radio cattolica e criticare il Papa? Certo che sì, a patto che le critiche non siano contrarie alla dottrina della Chiesa. Se Paolo di Tarso non avesse criticato il primo papa, oggi noi cattolici saremmo tutti circoncisi, perché San Pietro voleva stabilire questa norma. Se Santa Caterina non avesse rimbrottato i papi, oggi Avignone sarebbe ancora la sede del papato. Il Papa ha dialogato con tantissime persone, anche con diversi atei militanti, vi aspettate una sua telefonata? Che voglia ascoltare le ragioni di due cattolici intransigenti e che magari intervenire per ridarvi la trasmissione in radio? Pensiamo che sia molto meglio che il Papa si dedichi al suo ministero: confermare il suo gregge nella vera fede, far tornare i cattolici a conoscere i catechismo e la dottrina, e operare affinché i lontani si convertano.
Fonte: Corrispondenza Romana, 12/10/2013
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OMELIA XXIX DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO C - (Lc 18,1-8)
Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 20 ottobre 2013)
La prima lettura di oggi e il Vangelo ci parlano dell'importanza della preghiera. La prima lettura, tratta dal libro dell'Esodo, ci narra l'episodio della battaglia degli Israeliti contro gli Amaleciti. Durante quella battaglia Mosè stava sulla cima di un colle con le mani innalzate verso il cielo in atteggiamento di supplica. Quando le sue mani erano alzate, Israele aveva la meglio; come le abbassava, gli Amaleciti prevalevano. Così è pure per noi. La vita su questa terra è tutta una battaglia contro le forze del male. Finché preghiamo, riusciamo a superare tutte le tentazioni; se invece veniamo meno a questo dovere fondamentale dell'orazione, il male prende il sopravvento nella nostra vita. C'è un particolare che dobbiamo tenere in considerazione: Mosè si fece aiutare da Aronne e da Cur nel tenere innalzate le braccia che cadevano dalla stanchezza. Ciò indica che anche noi dobbiamo ricorrere alla preghiera dei nostri fratelli. Da soli non ce la faremo; ma, come si dice, l'unione fa la forza. Le mani di Mosè, in questo modo, rimasero innalzate fino al tramonto del sole. Così la nostra preghiera dovrà essere perseverante. E' soprattutto il Vangelo che ci insegna quanto sia importante la perseveranza. La pagina di oggi riporta la parabola della vedova che ricorre al giudice. L'evangelista Luca scrive che questa parabola ci fa comprendere la necessità di pregare sempre "senza stancarsi mai" (Lc 18,1). Dobbiamo imitare la perseveranza di quella vedova che, alla fine, venne esaudita per la sua insistenza. Se quel giudice disonesto accontentò la povera vedova, quanto più Dio farà prontamente giustizia a quelli che gridano a Lui? (cf Lc 18,7). La pagina del Vangelo si chiude però con una domanda che deve farci molto riflettere: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" (Lc 18,8). E' necessaria la fede. Solo così la nostra preghiera avrà effetto. Tante volte si prega, ma non si ha una sufficiente fede nella potenza della preghiera. Per questo rimaniamo a mani vuote. Ogni volta che preghiamo dobbiamo ravvivare la nostra fede in quello che stiamo per fare. Dobbiamo pensare che c'è una enorme differenza tra il recitare, ad esempio, una corona del Rosario e il non farlo; tra il fare un'ora di Adorazione eucaristica e il perdere il tempo in ozio; tra il ricevere la Santa Comunione e il farsi vincere dalla pigrizia e non andare alla Messa. Tante volte, purtroppo, siamo presi da una strana tentazione che ci fa dire che, in fin dei conti, è sempre la stessa cosa. E così la nostra preghiera è come un corpo senz'anima. Prima di pregare, dunque, rinnoviamo la nostra fede ripetendo le parole della Coroncina al Sacro Cuore di Gesù, tanto cara a Padre Pio da Pietrelcina: "O Gesù che hai detto: chiedete e otterrete, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto; ecco che io picchio, io cerco, io chiedo la grazia tanto desiderata". Dobbiamo pensare che con la preghiera possiamo ottenere tutto, che la preghiera, come diceva san Claudio de La Colombiere, è l'Onnipotenza di Dio nelle nostre mani. Dobbiamo pensare che Gesù può e vuole esaudirci più di quanto possiamo desiderare di essere esauditi. Dobbiamo pensare che, se ricorriamo all'intercessione della Vergine Maria, la nostra preghiera diventerà molto gradita al Cuore di Gesù e otterrà più facilmente ciò che desideriamo, se veramente quanto chiediamo è secondo la Volontà di Dio e per il nostro bene. Se preghiamo sempre con queste disposizioni interiori otterremo sicuramente molto dal Signore. Ciò che ferisce il Cuore del nostro Salvatore è la nostra mancanza di fiducia.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 20 ottobre 2013)
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