BastaBugie n�328 del 20 dicembre 2013
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LA DITTATURA GAY IMBAVAGLIA I GIORNALISTI ITALIANI
Fermiamo questa macchina impazzita prima di ritrovarci tutti in un gulag gestito da militanti LGBT
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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LA PERSECUZIONE DEI FRANCESCANI DELL'IMMACOLATA
In meno di 4 mesi di commissariamento si è riusciti a smantellare, pezzo dopo pezzo, quanto i frati avevano edificato in 40 anni
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie
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CON L'EURO SI E' CONSUMATO UN VERO COLPO DI STATO
La soluzione? Abbandonare l'Euro (cosa possibile ed anzi auspicabile: ecco come e perché)
Autore: Federico Catani - Fonte: Corrispondenza Romana
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L'ASCESA MONDIALE DEL PARTITO DEI PEDOFILI
Clamorosa sentenza della Cassazione che vuole le attenuanti per i rapporti sessuali tra un 60enne ed una bimba di 11 anni: le motivazioni? Lei lo ''amava''!
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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GLI ADULTI HANNO PAURA DI EDUCARE
Intervista a Costanza Miriano: viviamo in una società pansessualista dove i genitori si preoccupano solamente di evitare gravidanze indesiderate o malattie
Autore: Pietro Vernizzi - Fonte: Blog di Costanza Miriano
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QUELLO CHE TELEVISIONI E GIORNALI NON DICONO
Tutti a incensare Mandela... ma nessuno si ricorda dei vescovi cattolici fra lager, prigioni e lavori forzati in Cina oppure di Asia Bibi condannata a morte in Pakistan perché cristiana...
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
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IL SECONDO FILM DE LO HOBBIT, LA DESOLAZIONE DI SMAUG, COGLIE PERFETTAMENTE L'ANIMO DI TOLKIEN
Il tema costante è la tentazione a cui nessuno, seppur diversamente, sfugge
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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OLTRE 1000 ''SENTINELLE IN PIEDI'' IN PIAZZA PER LA LIBERTA' D'ESPRESSIONE
Vegliamo in silenzio oggi per essere liberi di esprimerci domani
Fonte: Sentinelle in Piedi
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OMELIA IV DOMENICA DI AVVENTO - ANNO A - (Mt 1,18-24)
Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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OMELIA DI NATALE - MESSA DEL GIORNO - ANNO A (Gv 1,1-18)
Troverete un bambino
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Un Natale vero?
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LA DITTATURA GAY IMBAVAGLIA I GIORNALISTI ITALIANI
Fermiamo questa macchina impazzita prima di ritrovarci tutti in un gulag gestito da militanti LGBT
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 15/12/2013
Credevate che l'UNAR, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del Ministero delle Pari Opportunità ce l'avesse solo con gli insegnanti, imponendo loro d'insegnare obbligatoriamente l'ideologia di genere? Sbagliavate. Ora se la prende con i giornalisti, pubblicando il 13 dicembre un documento tecnicamente incredibile, intitolato «Linee guida per un'informazione rispettosa delle persone LGBT» [...]. Il modesto titolo «Linee guida» non inganni. Si precisa subito infatti che i giornalisti che non si piegheranno ai diktat dell'UNAR violeranno le norme deontologiche, per cui la denuncia all'Ordine dei Giornalisti è dietro l'angolo. Inoltre il testo - tutto bastone e poca carota - spiega anche che è solo questione di tempo: «l'Italia si sta adeguando» ai Paesi più civili, presto il Parlamento introdurrà una «legislazione specifica» contro l'omofobia e il giornalista che sbaglia rischierà non solo il deferimento all'Ordine ma la galera. E che cosa si deve fare per adeguarsi? Occorre rispettare dieci comandamenti, redatti dagli esperti - quasi tutti di organizzazioni LGBT - che hanno preparato le linee guida. Primo: non confonderai il sesso con il genere. Il sesso è una caratteristica anatomica, ma ognuno sceglie se essere uomo o donna «indipendentemente dal sesso anatomico di nascita». È davvero il primo comandamento dell'ideologia di genere, ma ora diventa obbligatorio. Secondo: benedirai il «coming out». Vietato parlare di «gay esibizionisti»: il giornalista porrà invece attenzione a sottolineare gli aspetti positivi della «visibilità» degli omosessuali e il coraggio di chi si rende visibile. Terzo: riabiliterai la parola «lesbica». «Dare della lesbica» non è un insulto: è un complimento. Ma attenzione a non esagerare, promuovendo il «voyeurismo» dei maschietti. Quarto comandamento: attenzione agli articoli. Se un transessuale si sente donna il giornalista deve scrivere «la trans» e non «il trans». Per Vladimir Luxuria, per esempio - è esplicitamente citato (o citata?) nelle linee guida - vanno sempre usati articoli e aggettivi al femminile. Non importa - al solito - l'anatomia: se qualcuno «sente di essere una donna va trattata come tale». Quinto: non associare transessuali e prostituzione. E comunque mai parlare di prostitute o prostituti. Il giornalista userà invece l'espressione «lavoratrice del sesso trans». Come è giusto per materie di questo genere, molto si gioca sul sesto comandamento: il giornalista dovrà educare i suoi lettori a considerare cosa buona e giusta il «matrimonio» omosessuale, «o almeno il riconoscimento dei diritti attraverso un istituto ad hoc» . Farà notare che «il matrimonio non esiste in natura, mentre in natura esiste l'omosessualità». Fuggirà come la peste «i tre concetti: tradizione, natura, procreazione», sicuro indizio di omofobia. Ricorderà ai suoi lettori che il «diritto delle persone omosessuali ad avere una famiglia è sancito a livello europeo». Il sesto comandamento dell'UNAR basta a mettere nei pasticci qualunque giornalista che per avventura fosse d'accordo con il Magistero cattolico. Se qualcuno sfuggisse al sesto, incalza però il settimo comandamento: vietato parlare di «matrimonio tradizionale» e, per converso, di «matrimonio gay», che il giornalista dovrà invece qualificare come «matrimonio fra persone dello stesso sesso» per non rischiare, anche involontariamente, di diffondere la pericolosa idea secondo cui si tratterebbe di «un istituto a parte, diverso da quello tradizionale». Difficilissimo poi per il giornalista cattolico - o, che so, per il collaboratore di questa testata - evitare di violare l'ottavo comandamento, il quale in tema di adozioni vieta di sostenere che il bambino «ha bisogno di una figura maschile e di una femminile come condizione fondamentale per la completezza dell'equilibrio psicologico». Il giornalista che sostenesse questa tesi si renderebbe responsabile della propagazione di un «luogo comune», smentito dalla «letteratura scientifica». Vietatissimo, poi, parlare di «utero in affitto», espressione «dispregiativa» da sostituire subito con «gestazione di sostegno». Il nono comandamento sembra scritto apposta per il caso di Giancarlo Cerrelli, il noto vicepresidente dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani colpevole di rappresentare troppo efficacemente le ragioni di chi ė contrario alla legge sull'omofobia in televisione e quindi dichiarato persona non gradita nei programmi RAI. «Quando si parla di tematiche LGBT - si legge in un passaggio delle linee guida che sarebbe esilarante se non ci fosse la minaccia di gravi sanzioni per chi sgarra - è frequente che giornali e televisioni istituiscano un contraddittorio: se c'è chi difende i diritti delle persone LGBT si dovrà dare voce anche a chi è contrario». Sembrerebbe il minimo sindacale del pluralismo e della democrazia, specie se parliamo della RAI e di servizio pubblico. Ma le linee guida ci dicono che questo «non è affatto ovvio». Il caso Cerrelli insegna. «Cosa deve accadere affinché il contraddittorio fra favorevoli e contrari ai diritti delle persone gay e lesbiche non sia più necessario?». La risposta corretta sarebbe che deve accadere l'instaurazione di una dittatura, per dirla con Papa Francesco, simile a quella del romanzo «Il padrone del mondo» di Benson. La risposta delle linee guida invece è che basta una «scelta puramente politica» - che l'UNAR si arroga l'autorità di fare - per dire basta a questi dibattiti fastidiosi e pericolosi. Il buon conduttore televisivo avrà cura che sia espressa solo un'opinione, quella corretta. «Non esiste una soglia di consenso prefissata, oggettiva, oltre la quale diventa imprescindibile il contraddittorio». Quindi su questi temi se ne deve prescindere. Tornatene a casa, avvocato Cerrelli - in attesa magari di sentire anche per televisione il ritornello scandito da certi simpatici attivisti: «e se saltelli muore anche Cerrelli». Non si salvano, infine, neanche i fotografi. Il decimo comandamento li invita a fare attenzione a che cosa fotografano nei gay pride, evitando immagini di persone «luccicanti e svestite». L'obiezione secondo cui se chi partecipa ai gay pride non si svestisse non correrebbe il rischio di essere fotografato nudo non sembra essere venuta in mente agli esimi redattori del testo. Che però hanno pensato a una possibile difesa del malcapitato giornalista, il quale potrebbe sostenere che lui la pensa diversamente, ma per dovere di cronaca ha ritenuto di riportare anche le strane idee di chi si oppone al «matrimonio» omosessuale, e che magari ha radunato in una sala centinaia di persone. Difesa debole, sentenzia il documento. Il giornalista che riporta dichiarazioni, anche «di politici e rappresentanti delle istituzioni», contrarie alle linee guida può farlo per «dovere di cronaca» ma deve «attenersi ad alcune regole»: «virgolettare i discorsi», spiegare che sono sbagliati, contrapporre dichiarazioni di rappresentanti delle organizzazioni LGBT, che andranno tempestivamente intervistati, usare «particolare attenzione nella titolazione». Non sono forniti esempi, ma il bravo giornalista capisce al volo. Se per esempio un vescovo si dichiara contrario al «matrimonio» omosessuale, il titolo dovrà essere «Fedeli scandalizzati dal discorso omofobo del vescovo» e non «Il vescovo ricorda: la Chiesa non accetta il matrimonio omosessuale». Giornalista avvisato, mezzo salvato. Ma anche italiani e parlamentari avvisati, mezzi salvati. Perché le linee guida per i giornalisti rendono involontariamente un enorme servizio. Spiegano esattamente, nero su bianco, che cosa sarà davvero vietato dalla legge contro l'omofobia. Altro che proteggere le persone omosessuali - com'è giusto che sia, e come già affermano le leggi in vigore - da insulti, minacce e violenze. Qui si tratta della dittatura del relativismo, senza sottigliezze e senza misericordia. Fermiamo questa macchina impazzita prima di ritrovarci tutti in un GULag gestito da militanti LGBT.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 15/12/2013
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LA PERSECUZIONE DEI FRANCESCANI DELL'IMMACOLATA
In meno di 4 mesi di commissariamento si è riusciti a smantellare, pezzo dopo pezzo, quanto i frati avevano edificato in 40 anni
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie, 17/12/2013
L'Istituto dei Francescani dell'Immacolata sta conoscendo una persecuzione di una tale entità che non si sarebbe mai sospettata. Si parla di dialogo, di incontro, di pluralità di carismi e poi qualcuno propone una visione dell'obbedienza religiosa fondata sulla mera autorità, vista in sé sola e giustificata per sé sola. Non un briciolo di riflessione che tragga le conseguenze di quello che si dice, un briciolo di giustificazione, alla luce del buonsenso e del pensiero della Chiesa, riguardo alle decisioni che si prendono: tutto, dalla soppressione di un seminario, alla spedizione di frati, dall'oggi al domani, in Camerun, Portogallo, Usa, Austria, viene giustificato dal Commissario apostolico in ragione della sua autorità, anzi di quella del Papa e della S. Sede, a cui sempre ci si appella, e in nome della quale in meno di 4 mesi di commissariamento si è riusciti a smantellare, pezzo dopo pezzo, quanto quei poveri frati, con i loro fondatori, avevano cercato di edificare in 40 anni di vita religiosa. Una Chiesa approva e un'altra sfascia? È mai possibile che sia la Chiesa, in entrambi in casi, ad agire? Non è piuttosto la bramosia di alcuni? E il Papa non è forse informato soltanto dagli stessi che stanno diffondendo calunnie e menzogne sul fondatore e sui suoi più vicini aiutanti? Ma mentre i frati tacciono, obbediscono, partono per le destinazioni indicate... il medico di padre Manelli urla allo scandalo e si indigna per le parole di padre Volpi contro il suo paziente, e i laici della MIM e del Tofi, si angustiano, scrivono, soffrono, vedendo tanto lavoro, di tanti anni, sfumare in pochi giorni, vendendo che un solo cappuccino, incapace di dialogo e di ascolto, mena fendenti a destra e a manca colpendo religiosi, laici, riviste, reputazione. Perché il commissariamento dei Frati dell'Immacolata? Non si è ancora risposto con chiarezza. Di tanto in tanto, nelle veloci risposte - senza mai la precisione che richiederebbe una vicenda simile - il Commissario, o chi per lui, ha accennato a qualche dato di elevata importanza. È emerso, per esempio, in una riposta del Commissario ad una lettera pubblicata sul blog del giornalista Marco Tosatti della Stampa, che la colpa più grave dei Frati dell'Immacolata, ovvero del Consiglio Generale che guidava l'Istituto, oltre alla mancanza di «dialogo costruttivo» era la «deriva cripto-lefebvriana e sicuramente tradizionalista». Cos'è il tradizionalismo? Si parla per frasi fatte, mentre in un'accusa che ha addirittura portato al commissariamento di un istituto, le parole dovrebbero essere spiegate e misurate, una ad una. È una deriva tradizionalista l'aver celebrato anche, e non solo, la S. Messa secondo la forma antica della Liturgia Romana? È tradizionalismo cercare di comprendere quale sia l'applicazione illuminata dell'ermeneutica della riforma nella continuità? Papa Benedetto XVI aveva offerto i principi: stava ai teologi poi applicarli. I convegni sul tema, cui hanno partecipato alcuni frati Francescani, hanno visto la presenza del cardinal De Paolis, di mons. Luigi Negri, di mons. Atanasio Schneider, di mons. Agostino Marchetto, di mons. Bux: tutti pericolosi "tradizionalisti"? E la libertà di discussione, nei limiti del rispetto dell'ortodossia? Le suore americane "ribelli", che mettono in dubbio i fondamenti più evidenti della fede, vanno trattate con i guanti bianchi (e per carità, se serve a riportare all'ovile, ben vengano le buone maniere, la pazienza, la dolcezza), ma i Frati Francescani dell'Immacolata, quelli vanno bastonati, umiliati, pubblicamente vilipesi! E se tutto ciò che i Francescani propongono è "tradizionalismo", l'aver buttato all'aria l'osservanza della vita regolare in molti ordini religiosi, l'insegnare che non la teologia spirituale, ma la psicologia freudiana con cui i religiosi devono psicoanalizzarsi e così sostituire l'esame di coscienza per poter risolvere quel problema innato di una loro sicura carenza affettiva: tutto ciò cos'è? E' progresso? Padre Volpi si è prefisso il compito di riportare l'Istituto «alla sua ispirazione originaria», al suo carisma delle origini, adulterato coll'andar degli anni, e con i fondatori ancora in vita. Ma a parte le dichiarazioni generiche, si capisce poco: sia perché l'accusa di imporre il Vetus ordo come unico rito, è una palese falsificazione, sia perché le altre imputazioni risultano piuttosto vaghe e indistinte e mai così gravi da determinare una persecuzione a 360 gradi. Che segue, sia detto chiaramente, a svariati anni di "successi", in cui i F.I. hanno avuto riconoscimenti di vario genere: dalla possibilità per alcuni di loro di collaborare con l'Osservatore Romano, all'apertura di nuove case e attività in varie diocesi italiane, con il plauso di non pochi vescovi e cardinali (e l'opposizione di altri: ma è così per tanti, ad esempio CL, Neocatecumenali, Focolarini, ecc.). Si parla della cosiddetta Traditio viva, che cresce grazie al magistero ecclesiastico e al soffio dello Spirito. Invece, il carisma dei Frati dell'Immacolata, a dire di Volpi e dei suoi consiglieri, è un fossile che deve rimanere sempre uguale e che non dovrebbe scostarsi di un millimetro dalla sua originaria ispirazione. Per i Frati dell'Immacolata la S. Messa tridentina non è snaturamento, ma aggiornamento e sviluppo omogeneo di un carisma nato già sotto l'egida della più ricca tradizione francescana, fatta di preghiera intensa e di penitenza. Non è neppure allontanarsi dal mainstrem ecclesiale contemporaneo, visto che il Motu proprio di Papa Benedetto è una legge universale con un taglio teologico di fondo: unità di ciò che è nuovo con ciò che è antico, per trovare la Chiesa di sempre, oltre il tempo. Quello che stupisce è poi che Padre Volpi si paragoni al Papa e alla S. Sede, mettendo sempre avanti il delitto di lesa maestà: chi critica il suo operato, il suo modo di portare avanti il commissariamento, criticherebbe il Papa stesso! Sembra che Lui personifichi la Chiesa. Ciò che neanche il Papa ha l'ardire di fare, padre Volpi invece lo fa. Qualche esempio? Si legga la "risposta aperta" al laico terziario dell'Immacolata che ribatteva punto per punto le accuse del Commissario. Così dice Padre Volpi: «Pertanto, ciascuna Sua critica si estende alla Congregazione che mi ha nominato, e - al di là di essa - al Romano Pontefice». L'infallibilità di cui il Pontefice gode a determinate condizioni, Padre Volpi invece ce l'ha sempre. Anche quando decide di mentire sulla salute di padre Manelli, gettando discredito sulla sua figura. E guai a chi si permette di contrariarlo, di ribattere con argomenti e documenti. E conclude: «Non basta pregare per il Papa, bisogna prestargli obbedienza»; cioè, chi non presta obbedienza a Padre Volpi non presta obbedienza al Papa (per un po' di documentazione, si consulti www.libertaepersona.org). Ma il Papa tanto citato da Volpi invita sempre ad usare misericordia, ad uscire da se stessi, ad instaurare un dialogo costruttivo con l'altro. Anche quando l'altro ha una storia e una sensibilità diversa. Anche quando avesse torto. Il duo Volpi-Bruno no. E invece di valorizzare i "tanti e tanti laici" (lo scrive Padre Volpi, e se sono così tanti un motivo ci sarà) che si sono mobilitati a difesa dei Francescani dell'Immacolata, con un tono clericale che certo non si addice ai tempi, né, in generale, all'opera di un religioso, nella lettera dell'8 dicembre Padre Volpi demonizza le loro domande, la loro angoscia, il loro dolore, indicando costoro, semplicemente, non si sa perché, come nemici di Papa Francesco. Iscrivendoli quasi in un disegno preciso, consapevole, studiato, che esiste solo nella fantasia dell'accusatore. Si bolla così l' "avversario", quando non si hanno argomenti... Dei laici, del loro ruolo, si parla tanto, ma quando essi insorgono in massa, e con numerose lettere rispettose, ma chiare, inviate al sito (non tradizionalista) Libertà e persona, argomentano, chiedono, informano, allora si risponde loro usando una sgradevole ironia, con una superbia che lascia veramente basito l'osservatore. Ma non basta. Di cosa si lamenta padre Volpi, come di cosa "estremamente grave"? Che i soldi ormai stanno finendo e i Frati hanno trasferito i beni ai laici, senza che il Superiore Generale (cioè lui) possa disporne a suo piacimento. Padre Volpi calunnia Padre Manelli ed altri accusandoli di "passaggio dei beni mobili e immobili dell'Istituto a laici famigliari e figli spirituali di Padre Manelli...". In realtà i beni non sono mai appartenuti all'Istituto, ma ad associazioni non-profit che affiancano l'Istituto. Il dare più responsabilità ai laici nella gestione dei beni è sempre stato il pensiero del Padre fondatore, nell'intento di vivere la Regola francescana nel modo più pieno. E' la povertà che al Papa stesso sta tanto a cuore. Vissuta, non solo dichiarata da chi, mentre prendeva il posto di commissario, ricordava nel contempo ai commissariati che avrebbero dovuto pagargli lo stipendio! Anche la lettera che Padre Bruno, attuale Segretario Generale dell'Istituto, ha spedito a noi di BastaBugie in difesa di Padre Bruno, tentava, senza riuscirci, di scardinare le accuse argomentando a modo suo con evidenti lacune ciò che Luisella Scrosati aveva scritto nel merito della questione. Si può leggere la sua risposta qui: https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3046 Come semplice fedele, aspetto che qualcuno più in alto faccia verità. Le ragioni che finora sono emerse, per giustificare davanti a Dio, alla Chiesa, e ai fedeli tutti questo commissariamento, servono solo a sostenere tecnicamente una manovra repressiva: una rivincita di un gruppo minoritario su tutto l'Istituto. Una rivincita evidente nel fatto che tutti i ribelli occupano oggi posti di potere, mentre tutti i "manelliani" sono stati prontamente rimossi da ogni incarico. Se c'era da fare ordine, se c'erano cose da sistemare, e chi scrive non vuole né può escluderlo, il modo non è stato certo opportuno, né cristiano. Sarebbe bellissimo, questo è l'augurio mio e di molti laici vicini ai Francescani dell'Immacolata, se il Papa, che pure ha sicuramente mille impegni e mille problemi da affrontare, potesse ricevere anche alcuni dei frati puniti, e i laici della MIM e del Tofi.
Fonte: Redazione di BastaBugie, 17/12/2013
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CON L'EURO SI E' CONSUMATO UN VERO COLPO DI STATO
La soluzione? Abbandonare l'Euro (cosa possibile ed anzi auspicabile: ecco come e perché)
Autore: Federico Catani - Fonte: Corrispondenza Romana, 20/11/2013
Ordinario di diritto pubblico alla Sapienza di Roma, ministro delle Finanze (1987) e dell'Industria (1992-'93) in quota Dc, il prof. Giuseppe Guarino, classe 1922, non è certo un populista euroscettico. Per questo il suo saggio critico verso l'euro, uscito in tre puntate sul "Foglio" (13-14-15 novembre 2013), merita un'attenta lettura. Secondo Guarino, il 1° gennaio 1999 si è consumato un vero colpo di stato, perché nei mercati è stato immesso un euro diverso da quello previsto dal Trattato dell'Unione europea (Tue). Il motivo? Un regolamento adottato in violazione alle norme stabilite. Secondo il Tue, infatti, l'introduzione della moneta unica avrebbe garantito la sovranità degli Stati, chiamati a concorrere, autonomamente e in base alle proprie specificità, alla crescita dell'Unione. Liberi o meno di aderire all'euro, i Paesi membri avrebbero avuto la possibilità di abbandonarlo «specie ove la domanda sia motivata con la profonda insoddisfazione per il modo in cui l'Unione è stata gestita e per i danni che ne sono derivati». Tuttavia, col regolamento 1466/97 si è modificata la disciplina del Trattato. Tale regolamento – causa prima e unica, secondo Guarino, della depressione che oggi coinvolge l'intera eurozona ‒ è stato adottato seguendo il procedimento previsto dal Tue. Peccato però che questo procedimento «non conferiva alcuna autorità a modificare il Trattato e aveva un oggetto del tutto diverso». La nuova disciplina ha quindi violato il Tue e, come afferma Guarino, gli atti che ne derivano sono inesistenti e nulli. Il regolamento ha abrogato il diritto-potere degli Stati di concorrere alla crescita con la propria politica economica e l'ha sostituito con l'obbligo assoluto di raggiungere il pareggio di bilancio a medio termine, costi quel che costi. Il tutto per assicurare la stabilità, sul cui altare vanno sacrificati gli interessi nazionali. In tal modo si è soppresso «l'unico spazio di attività politica soggetto all'influenza dei cittadini dei singoli stati membri, lo spazio delle politiche economiche». Gli Stati hanno così perso sempre più sovranità e ora i governi devono limitarsi a "fare i compiti" ad essi assegnati. Guarino arriva pertanto alla conclusione che «il reg. 1466/97, nell'intero ambito della politica economica e della gestione della moneta, ha soppresso il regime democratico», e ciò è avvenuto nonostante la democrazia sia il principio fondante dell'Ue. Di fatto è stato instaurato un nuovo regime, così come avvenne in Francia nel 1789 e in Russia nel 1917. I responsabili di questo golpe sono tutti coloro che hanno concorso alla formazione del regolamento (membri della Commissione, titolari degli organi dell'Unione e dei governi dei Paesi membri). Ma chi pagherà per questa decisione scellerata? Si continuerà a idolatrare ancora le «magnifiche sorti e progressive» dell'Ue? La soluzione proposta dallo studioso, opinabile, ma preziosa perché in contrasto con l'euro-conformismo dominante, consiste nell'uscita degli Stati più colpiti dall'attuale sistema (come l'Italia) dall'area dell'euro. Infatti, poiché l'ammissione alla moneta unica è basata su una decisione volontaria, si può abbandonare l'euro in ogni momento. Per evitare pressioni esterne, secondo Guarino, ci vorrebbe l'unione di alcuni Paesi, che «potrebbero decidere di mettere in comune la loro sovranità creando una nuova entità politica, cui affidare la gestione di una moneta comune a sua volta di nuova creazione». Nulla lo vieta. La nuova moneta circolerebbe all'interno dell'Ue così come oggi circola la sterlina e la determinazione del nuovo valore di cambio permetterebbe anche di risarcire i danni provocati ai vari Paesi dall'imposizione illegale «di una disciplina dell'euro diversa da quella pattuita all'atto della stipulazione del Trattato Ue». Un modo per non farsi stritolare dalla dittatura finanziaria di Bruxelles.
Fonte: Corrispondenza Romana, 20/11/2013
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L'ASCESA MONDIALE DEL PARTITO DEI PEDOFILI
Clamorosa sentenza della Cassazione che vuole le attenuanti per i rapporti sessuali tra un 60enne ed una bimba di 11 anni: le motivazioni? Lei lo ''amava''!
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 16/12/2013
E' ormai considerato un punto di arrivo ineludibile. Dopo lo sdoganamento culturale, politico e giuridico dell'omosessualità, ora tocca alla pedofilia. Diversi sono, purtroppo, i segnali che da tempo fanno apparire sempre più verosimile questo scenario agghiacciante. Certo non aiuta la notizia della recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, di cui parliamo a parte riportando anche la sentenza: con essa è stata sollecitata l'applicazione dell'attenuante del «caso di minore gravità» di cui all'art. 609-quater, quinto comma, del Codice Penale, per un'ipotesi di plurimi rapporti sessuali completi tra un sessantenne ed una bimba di undici anni, sulla considerazione che tra autore del reato e vittima vi era un "rapporto amoroso", e che la vittima era innamorata dell'adulto. Il punto è che tale pronuncia, inaccettabile sotto il profilo giuridico, ammettendo la possibilità di una relazione amorosa tra un uomo di sessant'anni ed una undicenne, rischia di offrire il destro a quella preoccupante deriva ideologica che tende a fare riconoscere la pedofilia non quale grave e depravata patologia, ma come semplice orientamento sessuale. L'esperienza insegna che i provvedimenti giudiziari in questa delicata materia rischiano di destabilizzare l'opinione pubblica se non sono adeguatamente soppesati e valutati, come è accaduto lo scorso 2 aprile 2013 con la sentenza della Corte d'Appello olandese di Arnhem-Leeuwarden, la quale, in riforma della decisione di primo grado, ha stabilito di non doversi disporre lo scioglimento del gruppo di ispirazione pedofila Stitching Martijn, che propone la liberalizzazione dei contatti sessuali tra adulti e minori. Tra l'altro, contro quella discussa sentenza fu lanciata l'iniziativa di una petizione popolare alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Non sono incoraggianti i segnali che giungono da alcuni Paesi europei ove è in atto un dibattito sull'abbassamento dell'età minima per il consenso sessuale, come dimostra, ad esempio, il caso discusso nel Regno Unito a seguito della proposta avanzata da Barbara Hewson, avvocato inglese nota per le sue battaglie per i diritti civili, di portare il limite di tale consenso a 13 anni. Non appaiono neppure incoraggianti i segnali che giungono da Oltreoceano. Anzi, possiamo definire inquietante, ad esempio, il fatto che l'American Psychiatric Association (APA) lo scorso 30 novembre 2013 abbia dovuto rettificare ufficialmente quanto scritto nell'ultima versione del Dsm-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) pubblicata quest'anno, in cui la pedofilia era stata declassata da "disordine" ad «orientamento sessuale» (dieci anni fa nel Dsm-4 era già stata derubricata da «malattia» a «disordine»). L'Apa, comunque, distingue tra pedofilia e atto pedofilo, nel senso che considera il desiderio sessuale nei confronti dei minori un orientamento come gli altri, mentre ritiene l'atto sessuale "disordinato" solo per gli eventuali effetti negativi che può determinare nei confronti degli stessi minori. E' una distinzione assai pericolosa che ricorda da vicino il ragionamento surrettizio che ha portato allo sdoganamento dell'omosessualità. Né si può dimenticare il controverso studio intitolato, A Meta-Analytic Examination of Assumed Properties of Child Sexual Abuse Using College Samples pubblicato nel luglio del 1998 sul prestigioso Psyichological Bulletin della stessa APA, e redatto dal Dr. Bruce Rind del Dipartimento di Psicologia della Temple University, dal Dr. Philip Tromovich della Graduate School of Education presso la University of Pennsylvania, e dal Dr. Robert Bauserman del Dipartimento di Psicologia della University of Michigan. In quello studio si è ridefinito il concetto di «abuso sessuale sui minori», partendo dalla considerazione che «le classificazioni scientifiche dei comportamenti sessuali devono prescindere da criteri di ordine legale e morale», e definendo come «alquanto modeste» le conseguenze derivanti dagli abusi sessuali subiti da minori di ambo i sessi, ritenute comunque «non produttive di conseguenze negative di lunga durata». Secondo i tre accademici, infine, «Il sesso consensuale tra bambini e adulti, e tra adolescenti e bambini, dovrebbe venire descritto in termini più positivi, come "sesso adulto-minore" (adult-minor sex)». Il fatto è che in tema di pedofilia l'APA tende a spostare l'asticella rossa sempre più in là, come dimostra l'ultima omerica gaffe sul Dsm-5. Ancora più inquietante è il dibattito che si è svolto lo scorso 14 febbraio presso la Queen's University tra il Dr. Vernon Quinsey, professore emerito di psicologia della medesima università e il Dr. Hubert Van Gijseghem, ex professore di psicologia presso l'Università di Montreal, in cui si è "scientificamente" sostenuto di come la pedofilia debba essere considerata un orientamento sessuale paragonabile all'eterosessualità e all'omosessualità. Roberto Marchesini nel suo ottimo articolo Pedofilia "variante naturale della sessualità umana"?, pubblicato su Libertà e Persona, dà un esauriente resoconto dell'audizione dei due cattedratici. Secondo Marchesini lo scenario appare segnato: «L'OMS finirà per dichiarare che la pedofilia è una "variante naturale della sessualità umana"», e il «Ministero per le pari opportunità farà delle campagne per combattere la "pedofobia", mentre nei corsi di educazione sessuale si insegneranno le tecniche con le quali i bambini possono soddisfare sessualmente degli adulti». Poiché non intendono assistere passivamente a questo epilogo da incubo, i Giuristi per la Vita hanno lanciato un appello «a tutte le competenti Istituzioni Pubbliche affinché non vengano introdotte nell'ordinamento giuridico disposizioni normative tali da attenuare la gravità sociale dell'odioso fenomeno della pedofilia, né vengano adottati provvedimenti giurisdizionali che possano apparire non rigorosamente severi nei confronti del predetto fenomeno». E si sono dichiarati disposti ad «opporsi in ogni sede e con ogni mezzo, a qualunque tentativo di legittimare, per via legislativa o giudiziaria, ogni forma o espressione riconducibile l'abominevole fenomeno della pedofilia».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 16/12/2013
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GLI ADULTI HANNO PAURA DI EDUCARE
Intervista a Costanza Miriano: viviamo in una società pansessualista dove i genitori si preoccupano solamente di evitare gravidanze indesiderate o malattie
Autore: Pietro Vernizzi - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 20/11/2013
"All'origine della proposta inglese di abbassare ai 15 anni l'age of consent, cioè l'età a partire dalla quale un adolescente è considerato pienamente consenziente nei confronti di qualsiasi attività sessuale, c'è la volontà di sgravare i genitori dal problema dell'educazione". Lo afferma Costanza Miriano, giornalista e autrice dei libri "Sposati e sii sottomessa" e "Sposala e muori per lei". L'obiettivo della proposta inglese è ridurre dai 16 ai 15 anni l'età a partire dalla quale un teenager può ricevere informazioni sulla contraccezione e sull'aborto. Di fatto però il limite dei 16 anni finora, almeno sul piano teorico, aveva scoraggiato il coinvolgimento sessuale dei minorenni al di sotto di questa età. L'idea è partita da un'intervista del professor John Ashton, preside della facoltà di Salute Pubblica, e per ora il premier David Cameron si è detto contrario. La proposta di abbassare l'età al di sotto della quale gli atti sessuali sono ritenuti normali, parte da un cambiamento già in atto nella società o mira a provocarlo? Il cambiamento in atto già esiste, in quanto viviamo in una società pansessualista dove i ragazzi sono iper-stimolati anche a età molto precoci. Ad allarmarmi è però soprattutto l'assenza degli adulti. Questi ultimi anziché indirizzare, incanalare, educare e mostrare la possibilità di una bellezza più grande, si preoccupano solamente di evitare conseguenze negative che nella loro mente egoista sono gravidanze indesiderate o malattie. E' molto più facile illustrare le tecniche di contraccezione e di aborto, piuttosto che educare al vero significato. La proposta del professor Ashton è quindi un modo per disimpegnarsi e autogiustificare le proprie condotte sbagliate. All'origine c'è un'assenza di senso che questi adulti vivono in prima persona. In che termini parla di un'assenza di senso? Per molte persone la sessualità, essendo ormai slegata dal concepimento e dal rapporto con la vita, non ha più alcun senso. Questi adulti non riescono a insegnare un senso che loro per primi non hanno scoperto. Insomma il vero problema non sono gli adolescenti ma i loro genitori? Sì, tanto è vero che il fine ultimo di questa proposta è sgravare gli adulti dal problema dell'educazione. Non c'è nessun amore nei confronti di questi 15enni, si vuole soltanto offrire loro delle tecniche. A mancare ancora una volta è l'autorevolezza e la credibilità degli adulti. Anche in Italia si sono avuti diversi campanelli d'allarme come il fenomeno delle "baby-squillo" e delle "ragazze-doccia". Lei che cosa ne pensa? Anche in questo caso il problema prima ancora che i ragazzi sono i loro genitori. Nella classe di mio figlio, che ha 13 anni, si è tenuta una lezione sull'utilizzo dei preservativi. Ho sollecitato l'intervento degli altri genitori, ma nessuno ha trovato nulla da ridire anzi erano ben contenti di demandare alla scuola il compito educativo. Per quale motivo si sono tenute queste lezioni? La cornice normativa che le ha permesse sono le linee guida del ministero per la diffusione della teoria del genere, le quali si basano appunto su una teoria illustrata come se fosse una scienza. Non sono però state sottoposte a nessun tipo di voto e si sta pensando di impugnarle. Così come è indispensabile rispettare i non credenti che non desiderano che i loro figli partecipino alle lezioni di religione, così anche i genitori credenti hanno ugualmente dei diritti. Il problema non riguarda quindi solo l'Inghilterra? Assolutamente no. E non è giusto che i genitori siano "espropriati" del compito educativo senza neanche chiedere loro un consenso. Che idea si è fatta invece delle polemiche che hanno accompagnato la pubblicazione del libro "Sposati e sii sottomessa" in lingua spagnola? Al fondo c'è il fatto che nessuno di quanti hanno protestato, per sua stessa ammissione, aveva letto il libro. A turbare molto è stata la parola "sottomessa". Di sicuro c'è una forte resistenza culturale a tutto ciò che va contro l'autodeterminazione e la libertà senza vincoli. Comprendo la reazione di chi non ha il nostro retaggio culturale, meno gli insulti e l'aggressività. Si è trattato solo di un malinteso o di una differenza culturale di fondo? Il punto centrale del mio libro è che la dolcezza e la mitezza possono aiutare le coppie a uscire dalla logica del dominio, che sembra vincente nelle relazioni. Occorre uscire da una logica di potere, o nel migliore dei casi di contrattazione tra due poteri che si scontrano. Uscire da questa logica ed entrare in quella dell'accoglienza, dolcezza e mitezza può favorire un progresso che non è un ritorno al passato, ma una maturazione e un passo in avanti per le coppie e per le persone. Ritengo quindi che non si sia trattato soltanto di un malinteso sulla parola, ma di un modo completamente diverso di concepire i rapporti.
Fonte: Blog di Costanza Miriano, 20/11/2013
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QUELLO CHE TELEVISIONI E GIORNALI NON DICONO
Tutti a incensare Mandela... ma nessuno si ricorda dei vescovi cattolici fra lager, prigioni e lavori forzati in Cina oppure di Asia Bibi condannata a morte in Pakistan perché cristiana...
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 15/12/2013
Non dico che l'apparato mediatico mondiale sia un congegno di sistematica disinformazione. Non voglio dirlo. Però sono insopportabili la sua ipocrisia e il suo doppiopesismo. Per le notizie che tace, ma anche per quelle che dà con enfasi e per le mitologie che crea. E' la società dello spettacolo "politically correct" di cui Hollywood è il tempio. MANDELA E LE RISATE DI OBAMA L'ultimo mito che ha costruito e celebrato è quello di Nelson Mandela. Il quale ha indubbi meriti politici, ma lui per primo avrebbe rifiutato di paragonarsi a Gesù Cristo, accostamento che invece è stato fatto da qualcuno della Bbc. L'establishment occidentale prima ha sostenuto il regime razzista dell'Apartheid. Quando poi non era più digeribile e si rischiava di tenere fuori dal mercato globale le immense ricchezze minerarie del Sudafrica (anzitutto l'oro) si è trovato un leader della lotta alla segregazione, Mandela appunto (in precedenza ritenuto un mezzo terrorista), che ha avuto la saggezza politica di accettare e guidare – nel nome della riconciliazione – un'uscita pacifica da quel regime, senza bagni di sangue, rese dei conti o processi. Cosicché la maggioranza nera ha ottenuto il potere politico, mentre la minoranza bianca si è tenuta il potere economico. Mandela non è stato un santo, ma si è dimostrato un vero leader e uno statista. Come tutti i politici ha avuto le sue ombre e ha fatto i suoi errori, però ha sopportato anni di carcere e gli va riconosciuta una gran dignità. Lascia a desiderare invece quella dell'Occidente "politically correct" considerando le foto che hanno immortalato Obama (pure con Cameron), allo stadio di Johannesburg, durante la commemorazione del leader sudafricano: ha sghignazzato continuamente facendo il cascamorto con la bionda premier danese, tanto da suscitare l'irritazione della moglie Michelle. E' così che l'Occidente liberal "piange" la scomparsa di Mandela? Del resto che i media abbiano costruito, sui suoi 27 anni di carcere, un martirologio ipocrita lo dimostra il fatto che poi, gli stessi media, sono stati e restano indifferenti a detenzioni più lunghe e orribili di quella di Mandela. Drammi tuttora in corso. DA 50 ANNI IN CARCERE Faccio qualche esempio. Monsignor Giacomo Su Zhimin, vescovo cattolico di Baoding (Hebei), ha trascorso 41 anni in lager e prigioni varie, "senza alcuna accusa e senza alcun processo" (come scrive l'agenzia dei missionari del Pime, Asianews). Egli rappresenta quell'inerme popolo cristiano che, sotto il comunismo, subisce più dell'apartheid: ottantenne, ha passato metà della sua vita in prigione ed è tuttora incatenato, ma non si sa dove e il regime si rifiuta di dare qualsiasi informazione, anche alla famiglia. Tanto il mondo se ne infischia. Infatti da noi nessuno ne ha mai sentito parlare. C'è qualche giornale che ne abbia raccontato la storia? C'è un solo statista – magari di quelli, anche italici, che sono pappa e ciccia col regime cinese – che ne ha chiesto la liberazione, o almeno qualche notizia? C'è una mobilitazione internazionale per lui? Le cosiddette organizzazioni umanitarie hanno fatto iniziative sul suo caso? Qualcuno lo ha mai candidato al Nobel? Hanno promosso per lui concerti di solidarietà o iniziative come il "Mandela day"? Gli hanno intitolato palazzetti dello sport come il "Mandela Forum" di Firenze? Star della musica, del cinema e della politica sono andati a incontrarlo? Si sono fatti film su di lui o almeno reportage televisivi? Nulla di nulla. Nessuno da noi conosce neppure la sua faccia e il suo nome. Totalmente ignorato. Eppure quest'uomo buono e grande, abbandonato da quei media che poi beatificano Mandela, non ha mai fatto politica, ma ha solo chiesto diritti umani e libertà religiosa. E non ha predicato odio e violenza, ma solo l'amore di Cristo. Non cerca e non vuole alcun potere. Sa che non lo aspetta né la libertà, né il Nobel, né una poltrona da Capo di Stato, né gli applausi di Hollywood e gli onori del mondo. Ma solo la morte in qualche lurida e fredda prigione, nell'indifferenza generale. Eppure non rinnega la sua fedeltà a Cristo e al suo popolo. Lui sì che è un santo e un martire. Ma nessuno in Occidente si sogna, per lui, di andare a disturbare i crudeli despoti cinesi da cui, anzi, tutti gli statisti e gli gnomi del potere economico si recano per baciare la pantofola. Un caso analogo è quello di monsignor Cosma Shi Enxiang, vescovo cattolico di Yixian. A 90 anni di età ne ha passati 52 fra lager, prigioni e lavori forzati. La sua via crucis cominciò nel 1957. L'ultima volta è stato arrestato il 13 aprile del 2001 e da allora non se ne sa più nulla. Si potrebbe continuare con altre vittime. Ma non c'è solo la Cina di fronte alla quale l'Occidente è pavido e servile come davanti al nuovo padrone del mondo. ALTRI APARTHEID DIMENTICATI Ricordo il caso di Asia Bibi, la donna cattolica pakistana, poverissima, madre di quattro figli, che da quattro anni e mezzo è detenuta in condizioni subumane ed è stata condannata a morte solo per essersi dichiarata cristiana e aver rifiutato la conversione all'Islam. I cristiani del Pakistan vivono in condizioni peggiori dei neri del Sudafrica durante l'apartheid. Ma per loro e per Asia Bibi nessuno si batte e i media se ne infischiano. Le situazioni di apartheid in cui vivono i cristiani o altri gruppi umani non fanno notizia e non suscitano scandalo. Lo ha dimostrato anche un caso di questi giorni. E' accaduto che in India – per iniziativa di un leader nazionalista indù – un tribunale ha reintrodotto la norma che punisce col carcere la pratica omosessuale. Chi ha difeso gli omosessuali? La Chiesa cattolica. Il cardinale Gracias, arcivescovo di Mumbai, ha attaccato questa sentenza opponendosi a chi criminalizza i gay. In Occidente la decisione del tribunale ha fatto clamore, ma è passata quasi inosservata l'opposizione della Chiesa e anzi qualcuno ha messo (arbitrariamente) indù, cristiani e musulmani nello stesso fronte, d'accordo col tribunale. Non è così. Del resto la (giusta) sensibilità dei media occidentali in difesa dei gay indiani purtroppo non si nota in difesa dei dalit, i "senza casta", i "paria" (che significa "oppressi"), quelli che nell'antica religione indù erano considerati meno degli animali. Infatti nessuno scandalo internazionale è scoppiato per la manifestazione, tenutasi mercoledì a New Delhi, per i diritti dei dalit cristiani e musulmani, durante la quale la polizia ha picchiato vescovi, sacerdoti e religiosi e ha addirittura arrestato l'arcivescovo monsignor Anil JT Couto. I dalit cristiani sono anch'essi in condizioni uguali o peggiori dei neri sudafricani sotto l'apartheid. Ma nessuno grida allo scandalo. Eppure la Costituzione indiana sulla carta avrebbe abolito le caste. Ma i dalit, circa 200 milioni, sono rimasti in condizioni miserrime e vittime di tanti abusi. Per questo molti di loro si sono convertiti al cristianesimo e all'Islam, per avere dignità umana e liberarsi dall'orribile teologia induista delle caste. Queste conversioni hanno scatenato le violente reazioni degli indù. Inoltre il Parlamento indiano ha riconosciuto diritti solo ai dalit che restavano nell'induismo. Niente ai dalit cristiani e musulmani. "Una discriminazione che viola la Costituzione", ha dichiarato il presidente della Conferenza episcopale indiana. Ma per questo regime di apartheid tuttora praticato dalla democrazia più grande del mondo, nessuno si scandalizza. Nessuno propone sanzioni. Intanto i vescovi cattolici vengono arrestati per la loro lotta in difesa dei dalit proprio negli stessi giorni in cui il mondo, i potenti della terra e i media esaltano Mandela e la sua lotta all'apartheid sudafricano. La Chiesa disprezzata e bistrattata dall'Occidente laico e dai suoi media, continua – oggi, come ieri e come sempre – a difendere tutti gli oppressi da ogni apartheid. E lo fa pagandone le conseguenze, cioè persecuzioni, sofferenze e tanti martiri. C'è qualcuno, nei media, che se ne accorgerà?
Fonte: Libero, 15/12/2013
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IL SECONDO FILM DE LO HOBBIT, LA DESOLAZIONE DI SMAUG, COGLIE PERFETTAMENTE L'ANIMO DI TOLKIEN
Il tema costante è la tentazione a cui nessuno, seppur diversamente, sfugge
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13/12/2013
Si chiama hýbris, e nella tragedia greca, dalla Poetica di Aristotele in poi, traduce l'eccesso per superbia e l'orgoglio che prevarica, conducendo inevitabilmente alla rovina. La desolazione di Smaug, il secondo capitolo della trilogia cinematografica che il regista neozelandese Peter Jackson sta traendo da Lo Hobbit − il quinto lungometraggio, contando i tre de Il Signore degli Anelli, ispirato alle opere narrative più famose di J.R.R. Tolkien −, ne è colmo. Lo scrittore inglese era un aedo dell'introspezione dei cuori che abitano la commedia umana degli errori e il dramma storico del confronto con il destino, uno scaldo nell'affrescare la danza macabra delle vanità e del duetto epico tra l'eroico che si fa quotidiano e il quotidiano che si fa eroico. Solo le letture pusillanimi e superficialmente manichee possono dunque ridurre la sua narrativa (che è la traslitterazione del senso ultimativo del mito sul piano letterario) a un allegoria fantasy dello scontro tra il Bene e il Male, giacché non di questo egli tratta. Tutta la sua produzione letteraria e mitopoietica (perché Tolkien si cimentò a lungo e sapientemente anche con la riscrittura di miti e di saghe) è infatti un continuo interrogarsi sulla morte e sull'immortalità, e i suoi personaggi si muovono costantemente fra caduta e speranza, offrendo una galleria interminabile (nelle sue mille varianti quante sono le sfumature della libertà umana) di possibilità e di misure, di iati e di distanze, di abissi e di corrispondenze fra sé e la realtà più grande; quella che circonda tutti come in un abbraccio, che tutti contiene senza determinare alcuno e che in verità costituisce la vocazione di tutti, la quale – come sempre – può essere assunta e assecondata o rifiutata e sfuggita, oppure persino odiata e combattuta. La desolazione di Smaug coglie ancora una volta perfettamente l'animo di Tolkien, trasformandosi in un grande quadro narrativo in cui il tema costante è la tentazione a cui nessuno, seppur diversamente, sfugge. La tentazione di rinunciare o di strafare, la tentazione di andarsene o di esagerare, la tentazione di cedere o di redimersi da sé. Il tema è ancora quello del potere, buono o cattivo; anzi, buono e cattivo assieme. Il sapore è quello israelitico, biblico, in cui la regalità è un'arma a doppio taglio, come la spada, che consacra o uccide; un confine che è assieme ponte e barriera; una benedizione e al contempo una sciagura. Ci sono l'esodo e il cammino del ritorno, la patria agognata ma ancora negata, l'orrore e la generosità, i piccoli che diventano grandi e certi grandi che sono meschini, il tutto in un continuo rimescolamento di fronti che dipinge con realismo l'umana vicenda cui nessuno può sottrarsi. Mai titolo è stato più azzeccato. Questo secondo capitolo cinematografico tratto da Lo Hobbit è infatti il momento della desolazione, quello che la vita spirituale conosce bene e sa non essere un giudizio definitivo di disperazione ma la via stretta senza la quale poi non si spalancherebbe la porta larga delle consolazioni. Ché le consolazioni, come nella vita spirituale, verranno, l'anno prossimo, a Erebor, con il capitolo finale di questa seconda trilogia tolkieniana di Jackson. Ma c'è un ma. Ed è il rischio, serissimo, che lo spettatore perda clamorosamente l'occasione di questa magnifica meditazione, distratto dal film stesso. Una definizione de La desolazione di Smaug? Troppo. Troppo lungo questo secondo lungometraggio e troppo lunga l'intera operazione (bastavano certamente due film); troppo inutilmente lunghe certe sequenze e troppo, troppo corte altre, fin quasi alla banalizzazione (Beorn); troppi combattimenti − e troppo lunghi − e troppi elfi, così come troppo Radagast e un re Thranduil troppo esagerato; e soprattutto troppe libertà, al limite della caduta di tono (l'idillio tra il bel nano Kili e la selvaggia elfo femmina Tauriel, o certi dialoghi sgangherati tra il governatore di Pontelagolungo e il suo lacchè, per tacere di una battuta da caserma più contraria a Tolkien che alla decenza). Il regista Jackson ci ha abituati ad abbondanti interpretazioni e inserti che fino a oggi una loro logica l'hanno avuta; anche il suo Lo Hobbit letto dopo Il Signore degli Anelli, e quindi più "gotico" e dark, in fondo non tradisce lo spirito tolkieniano. Ma ne La desolazione di Smaug la cosa ottiene solo una narrazione distantissima dal testo de Lo Hobbit. Intendiamoci, Jackson eccelle ancora una volta nel dare forma alla Terra di Mezzo: le panoramiche e le ambientazioni sono straordinarie; il regno degli elfi silvani e il regno nanesco sotto la Montagna lasciano a bocca aperta; la fortezza diroccata di Dol Guldur e Pontelagolungo descrivono magnificamente il senso della decadenza che le pervade; e il suo drago Smaug è davvero magnifico. La recitazione di Richard Armitage (Thorin Scudodiquercia) è intensissima, Ian McKellen (Gandalf) sempre impeccabile, Martin Freeman un ottimo Bilbo Baggins e Ken Stott un Balin perfetto. Ma l'ordito del film è un videogame, e quel che ne soffre è la trama narrativa, debole, la più fragile di tutte le prove tolkieniane di Jackson (e la sontuosa colonna sonora cui ci ha abituati il compositore Howard Shore qui è praticamente inesistente). Verrebbe del resto da domandarsi sul serio cosa resti dell'uomo dietro la macchina da presa nel cinema odierno dove tutto è ormai tecnicamente possibile, e dove però tutto abbiamo già visto, il discrimine tra un prodotto e l'altro essendo solo la tecnologia che il budget può permettersi. Hýbris si diceva. Stavolta Jackson ha esagerato, seducendo lo spettatore solo per abbandonarlo. Un poco più di umiltà e qualche colpo ben assestato di forbice nel lavoro di postproduzione che sta ora ultimando per il capitolo finale dell'impresa farebbero un gran bene, regalandoci l'anno venturo la consolazione dopo la desolazione. Cioè il vero Tolkien.
Nota di BastaBugie: per maggiori informazioni e per vedere il trailer del film "Lo Hobbit 2: la desolazione di Smaug" clicca qui sotto
http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=34
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13/12/2013
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OLTRE 1000 ''SENTINELLE IN PIEDI'' IN PIAZZA PER LA LIBERTA' D'ESPRESSIONE
Vegliamo in silenzio oggi per essere liberi di esprimerci domani
Fonte Sentinelle in Piedi, 15 dicembre 2013
Continua ad allargarsi la rete delle Sentinelle in Piedi che dalla scorsa estate, veglia dopo veglia, ha portato nelle piazze italiane oltre 2000 persone. Nello scorso week end oltre mille persone sono scese in piazza per dire no ad una legge dalla portata liberticida, il ddl Scalfarotto sull'omofobia, già approvato dalla Camera e ora al vaglio del Senato. Ieri in una piazza San Fedele blindatissima dalla polizia 500 Sentinelle milanesi hanno vegliato per un'ora in silenzio sul modello dei Veilleurs debout, il movimento nato in Francia in opposizione alla legge Taubira tra persone dello stesso sesso. Stessi numeri a Genova, dove sabato per la prima veglia ligure sono state 500 le persone mobilitate nella centralissima piazza De Ferrari, mentre in contemporanea a Trieste 150 Sentinelle in piedi hanno vegliato in piazza Unità d'Italia. Un risultato sorprendente che si aggiunge ai numeri di una rete che negli ultimi mesi ha portato nelle città italiane, in particolare del nord, migliaia di persone. Le Sentinelle in Piedi sono una rete apartitica e aconfessionale formata da liberi cittadini che si oppongono fermamente alla violenza verso chiunque ma con la stessa fermezza dicono no ad una legge ideologica, fondata su un'emergenza presunta. Il ddl Scalfarotto viene presentato come necessario per fermare atti di violenza nei confronti di persone omosessuali, ma il nostro ordinamento giuridico punisce già qualunque atto di aggressione e la Costituzione tutela già tutte le persone in quanto tali. Le Sentinelle in Piedi sottolineano che questo testo ha una portata liberticida in quanto non specifica che cosa si intende per reato d'omofobia e dunque potrebbe essere denunciato: - Chiunque affermi pubblicamente che la famiglia naturale è fondata sull'unione tra uomo e donna; - Chiunque si esprima pubblicamente come contrario al matrimonio tra persone dello stesso sesso; - Chiunque affermi pubblicamente che un bambino per crescere ha bisogno di un papà e di una mamma e dunque sia contrario alle adozioni da parte di coppie omosessuali; Che domani, quando ci sarà la legge, sarà difficile esprimere liberamente la propria opinione lo dice il fatto che oggi si viene contestati pur rimanendo in silenzio. Infatti ieri a Milano un gruppo di ragazzi ha disturbato il silenzio dell'iniziativa con slogan e provocazioni, mentre contestazioni decisamente più accese e problematiche si sono registrate a Bergamo due settimane fa dove, di fronte al lancio di fumogeni verso le Sentinelle, è dovuta intervenire la polizia. Vegliamo in silenzio oggi per essere liberi di esprimerci domani.
Nota di BastaBugie: per visitare il sito delle "Sentinelle in piedi" clicca qui sotto www.sentinelleinpiedi.it La pagina facebook delle sentinelle in piedi è https://www.facebook.com/pages/Sentinelle-In-Piedi/418142194971275
Qui sotto il video con le immagini della veglia delle Sentinelle in piedi di Verona
http://www.youtube.com/watch?v=psKTLf3ZNTs
Fonte: Sentinelle in Piedi, 15 dicembre 2013
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OMELIA IV DOMENICA DI AVVENTO - ANNO A - (Mt 1,18-24)
Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 22 dicembre 2013)
Nell'ultima Domenica di Avvento la Chiesa ci invita a riflettere sugli avvenimenti che precedono il Natale del Signore. La scelta del brano evangelico cade perciò sulla pagina nella quale san Giuseppe è tormentato da un dubbio, un dubbio che non riguardava certamente l'onestà e l'innocenza di Maria, ma ciò che Dio domandava a lui personalmente. Per comprendere questo dubbio bisogna capire bene come avveniva il matrimonio presso gli ebrei. Esso si svolgeva in due fasi distanziate un anno l'una dall'altra. La prima fase era il fidanzamento che, di fatto, riservava definitivamente la giovane al suo futuro marito. In un certo senso, si può dire che essi erano già marito e moglie ma non abitavano ancora insieme: dovevano aspettare ancora un anno. Durante quell'anno fervevano i preparativi per la cerimonia solenne che culminava con la riunione degli sposi nella loro nuova casa. Il brano del Vangelo di oggi si colloca proprio durante quest'anno di preparativi. Giuseppe e Maria erano già promessi l'uno all'altra, e si stava preparando la solenne cerimonia nuziale. A questo punto avvenne qualcosa di imprevisto per l'ignaro Giuseppe: in Maria si vedevano sempre più evidenti i segni della maternità. Egli ancora non sapeva dell'Annuncio angelico avuto da Maria sua sposa e, quindi, non sapeva che Ella era stata prescelta da Dio per diventare la Madre del Messia. Egli, pertanto, si trovava in un dubbio molto grande: "Cosa vuole il Signore da me?". Si è tanto scritto su questo episodio evangelico e tante sono state le risposte date dai vari studiosi della Sacra Scrittura. Ritengo che la risposta più bella sia quella data da san Bernardo il quale, commentando questa pagina evangelica, insegnò che san Giuseppe, illuminato da Dio, comprese che Maria, sua sposa, era quella vergine di cui parlava il profeta Isaia: «La Vergine concepirà e partorirà un figlio» (Is 7,14). Egli conosceva bene la Sacra Scrittura e sapeva che il Messia sarebbe nato da una vergine, e in quel momento comprese che la vergine prescelta per questa altissima missione era proprio Maria, la sua sposa. Sappiamo dal Vangelo che Maria e Giuseppe volevano mantenere la loro verginità. Questo lo deduciamo dalle parole che Maria disse all'Angelo allorquando egli le disse: «Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù» (Lc 1,31). A quelle parole, Maria rispose: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34). È chiaro che queste parole hanno senso solo se si ammette che i due santi Sposi avevano molto fermo il proposito di mantenere integra la loro verginità; o, per meglio dire, che avevano fatto un vero e proprio voto di verginità. La prima domanda che sorge spontanea è la seguente: per quale motivo Maria non disse nulla a san Giuseppe riguardo il mistero che stava avvenendo in Lei? La riposta è semplice: il mistero che si stava compiendo in Lei era talmente grande che non si sentiva in grado di esprimerlo. Dio certamente avrebbe provveduto ad avvisare il suo sposo Giuseppe. San Giuseppe, come dicevo prima, comprese che Maria stava diventando la Madre verginale del Messia e fu colto da un profondo senso di umiltà. Insegnava san Bernardo che per tal motivo egli si voleva ritirare nell'ombra, ritenendosi indegno di vivere accanto al Messia e alla Madre sua. Se avesse ritenuto Maria colpevole di qualche cosa, l'avrebbe accusata pubblicamente. Considerandola invece innocente, volle mandarla via in segreto, allontanandosi così da un Mistero che considerava troppo grande per lui. In questo modo, san Giuseppe avrebbe fatto ricadere tutte le colpe su di lui. Ecco allora che intervenne l'Angelo a rassicurare il giusto Giuseppe e a dirgli: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20). Uno dei vari messaggi di questo brano evangelico penso possa essere questo: come san Giuseppe, anche noi non dobbiamo temere di prendere Maria nella nostra vita. Prendere Maria nella nostra vita significa consacrarci interamente a Lei, affidandole la nostra vita, mettendoci sotto la sua materna protezione e pregandola con fervore. San Giuseppe deve diventare per noi il modello supremo della devozione mariana. Prendendo Maria nella nostra vita, andremo molto avanti e molto in alto.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 22 dicembre 2013)
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OMELIA DI NATALE - MESSA DEL GIORNO - ANNO A (Gv 1,1-18)
Troverete un bambino
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Un Natale vero?, settembre 2006 (ed. Studio Dominicano)
Una luce improvvisa dall'alto ha lacerato l'oscurità della campagna palestinese, una voce inattesa - la voce di un angelo - ha rotto il silenzio opaco che avvolgeva ogni cosa e propiziava il sonno di poveri pastori affaticati. Una luce dal cielo e una voce sovrumana: questo è ciò che di insolito si è manifestato a Betlemme due millenni fa, e ha cambiato la storia del mondo. L'abbiamo rievocato nei riti della scorsa notte; ed è qualcosa che non vogliamo più dimenticare. Il significato più semplice e il guadagno più prezioso del giorno di Natale è appunto quello di farci recuperare la memoria. La festa odierna ci ridona, con il garbo e il fascino dei messaggi poetici, la memoria pungente e viva di un evento che nella vicenda umana è centrale: il solo evento che è davvero inedito, davvero rivoluzionario, davvero redentivo per l'uomo. Noi cristiani - noi che celebriamo il Natale - siamo essenzialmente un "popolo che ricorda"; un popolo che però vive in mezzo a un'umanità smemorata. E' smemorata perché è tutta presa e quasi ossessionata dalla preponderanza di ciò che è attuale; attuale, quindi effimero e senza un consistente futuro. Proprio per questo, noi che celebriamo il Natale riceviamo contestualmente l'impegnativa missione di salvare i nostri contemporanei - con la nostra testimonianza, col nostro annuncio, con la nostra gioia - dalla sventura della dimenticanza. La dimenticanza della propria origine e del proprio destino è alla radice di ogni insensatezza e di ogni sottile alienazione umana. Che in sostanza è "dimenticanza di Cristo", se è vero (come è vero) che tutti dall'inizio siamo stati in lui pensati e voluti dal Dio creatore; se è vero (come è vero) che l'intera nostra esistenza, giorno dopo giorno, è un procedere fatale incontro a lui, incontro al Signore della storia, incontro all'ispiratore, al vindice e al premio di ogni giustizia. Questa sia allora la grazia che oggi tutti dobbiamo implorare dal Padre: che riaccenda in noi la "memoria di Cristo"; la memoria di colui che "era in principio presso Dio, e tutto è stato fatto per mezzo di lui" (cfr. Gv 1,2-3); di colui che è "la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (cfr. Gv 1,9); di colui che è il Verbo eterno che per noi "si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (cfr Gv 1,14). Come abbiamo ascoltato dalla splendente pagina iniziale del vangelo di Giovanni.
LE PREFERENZE DEL CREATORE Ciò che è avvenuto nella notte di Betlemme - ed è un altro dono del Natale - ci svela quanto siano inaspettati e originali i disegni divini, ci notifica le preferenze del Creatore e ci fa intravedere lo stile imprevedibile del suo agire. Che cosa dice l'angelo ai pastori attoniti e stupefatti: "Troverete un bambino" (Lc 2,12). E' tutta qui la grande notizia, che con tanta solennità il cielo ha comunicato alla terra? E' tutto qui l'intervento risolutivo dei nostri guai, al quale gli ebrei da secoli sospiravano? E' questo dunque il "Messia"? "Troverete un bambino". Negli antichi testi profetici lo si paragonava a un leone: il "leone della tribù di Giuda" (cfr. Ap 5,5), e invece quel piccolo essere che vagisce da una mangiatoia sembra piuttosto un agnellino sperduto; si parlava di lui come di un eroe che avrebbe schiacciato sotto il torchio i suoi nemici (cfr. Is 63,1-6), ed ecco è il più indifeso e insidiato delle creature; lo si preannunciava ammantato del fasto magnifico della regalità (Sal 2,6; 110,1-3), e i pastori lo vedono rivestito soltanto di povere fasce (cfr. Lc 2,7.12). Perché questo è da notare: l'unico agio e l'unico onore a cui egli non ha voluto rinunciare è il segno disadorno ma affettuoso di una premura materna. Come si vede, il Signore fa il suo ingresso nel mondo, non d'altro avvalorato che della naturale attrattiva dell'innocenza e della tenerezza dei bimbi. E' veramente sconcertante questa "umiltà divina", nella quale però palpita il più grande mistero d'amore: un'ondata d'amore che investe l'umanità, detergendola dalle sue insipienze e dai suoi egoismi, e dischiudendola all'attesa certa del Regno di Dio.
TROVERETE UN BAMBINO "Troverete", dice anche a noi l'angelo del Natale. Voi che anelate a qualcosa che dia ragione e senso all'enigma dell'esistenza; voi che in fondo al cuore - nonostante le debolezze e le trasgressioni - aspirate a una vita redenta, perdonata, resa più degna; voi che, almeno per un istinto confuso, siete in attesa di Qualcuno che sul serio vi salvi, abbiate fiducia: troverete! Un'immensa carica di coraggio il Natale infonde in quanti almeno un poco cedono alla sua antica seduzione e alla sua gioia. Nessuno di noi quindi si perda d'animo: troveremo. Purché non ci aspettiamo che siano la potenza, la ricchezza, il sapere mondano a dare alla nostra ricerca appassionata e incerta la luce, la liberazione dal male, la speranza. Non sono queste le strade sulle quali arriva il Signore a salvarci: "Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia" (Lc 2,12). Questa è la strada di Dio.
LA FORTUNA DI ESSERE CRISTIANI L'appuntamento natalizio, così caro a tutti e suggestivo, ci porta un terzo regalo. Ed è quello di risvegliare in noi una consapevolezza più acuta, più aperta, più ardimentosa della nostra identità di discepoli del Signore Gesù. E' un invito che specialmente di questi tempi nessuno può disattendere. Il papa san Leone Magno - che insegnava negli stessi anni difficili e tormentati del nostro san Petronio (difficili e tormentati per l'irruzione di gente straniera e prepotente nelle nostre terre e per l'imperversare delle eresie) - così faceva riflettere su questo tema i fedeli di Roma: "La festa di oggi - egli diceva - rinnova per noi i sacri inizi di Gesù che nasce dalla Vergine Maria. Ma, adorando la nascita del nostro Salvatore, ci ritroviamo a celebrare la nostra stessa nascita. L'origine di Cristo è insieme l'origine del popolo cristiano, il natale del Capo è anche il natale di tutto il Corpo" (Discorso VI per il Natale). L'esultanza, che in questi giorni fiorisce nei nostri cuori, è anche la felicità di essere stati conquistati dalla verità del Vangelo, l'unica verità irrefragabile ed eterna; è anche l'incanto di sapersi assimilati al Figlio di Dio fatto uomo e inseriti vitalmente in lui mediante il battesimo; è anche la lieta fierezza di appartenere alla santa Chiesa Cattolica, cioè al "popolo che Dio si è acquistato, perché proclami le opere meravigliose di lui che ci ha chiamato dalle tenebre alla sua mirabile luce" (cfr. 1 Pt 2,9), come si esprime entusiasticamente l'apostolo Pietro. Nessun doveroso rispetto alle credenze altrui, nessun volonteroso impegno di dialogo interreligioso, può velare ai nostri occhi e censurare sulle nostre labbra la nostra impareggiabile fortuna: la fortuna di essere cristiani; vale a dire: di "aver ottenuto misericordia" (cfr. 1 Pt 2,10) e di essere stati raggiunti, trasformati, radunati in una realtà nuova e imperitura da quel Bambino che oggi contempliamo nato a Betlemme. "Se qualcuno è in Cristo - ci informa sinteticamente san Paolo - è una creazione nuova" (2 Cor 5,17).
Fonte: Un Natale vero?, settembre 2006 (ed. Studio Dominicano)
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