BastaBugie n�110 del 23 ottobre 2009
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ORA DI RELIGIONE ISLAMICA A SCUOLA: E' UN ERRORE, PER DUE BUONI MOTIVI
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Libero
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FINISCONO IN CROCIERA CON 1.500 OMOSESSUALI: L'INCREDIBILE VICENDA DI UNA COPPIA DI SPOSI
Autore: Luca Liverani - Fonte: Avvenire
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REATO DI OMOFOBIA: CHI ALLA CAMERA HA VOTATO A FAVORE E CHI CONTRO E PERCHE'
Autore: Marco Invernizzi - Fonte:
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ABORTO IN ITALIA: BOOM FRA LE ADOLESCENTI (E ORA ARRIVA ANCHE LA RU486!)
Fonte: Corrispondenza Romana
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FATTA L’ITALIA, RACCONTIAMO LA VERA STORIA AGLI ITALIANI
Autore: Marco Invernizzi - Fonte: Tempi
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SONDAGGIO DOXA: IN ITALIA IL 63 X CENTO DEI CATTOLICI PRATICANTI ASSISTEREBBE REGOLARMENTE ALLA MESSA IN RITO ANTICO
Fonte: Paix Liturgique
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E' MORTA PAOLA, IN STATO VEGETATIVO COME ELUANA, MA I GENITORI L'HANNO ASSISTITA CON AMORE DAI 4 MESI FINO ALLA MORTE NATURALE A 37 ANNI!
Autore: Paolo Ferrario - Fonte: Avvenire
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IL PALLONE AVVELENTATO: QUINTA VITTIMA DEL DOPING NELLA FIORENTINA ANNI '70
Autore: Massimiliano Castellani - Fonte: Avvenire
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OMELIA PER LA XXX DOMENICA TEMPO ORDINARIO - B - (Mc 10,46-52)
Fonte: maranatha.it
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ORA DI RELIGIONE ISLAMICA A SCUOLA: E' UN ERRORE, PER DUE BUONI MOTIVI
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Libero, 20 ottobre 2009
La vogliono Fini, D’Alema e anche il cardinale Martino, che non è “il Vaticano” ma spesso una voce fuori del coro. Ma l’ora di religione islamica è un errore, per due buoni motivi. Anzitutto, perché l’ora di religione islamica non quella ortodossa o Testimone di Geova? E’ possibile che se parliamo di pratica religiosa regolare queste comunità siano più numerose degli islamici in Italia. I Testimoni di Geova in Italia sono 400.000 e gli ortodossi – in maggioranza immigrati – mezzo milione, mentre del milione e più d’immigrati di origine islamica è difficile dire quanti mantengano un contatto con la loro religione. Con la crescita della diversificazione religiosa tra un po’ non si potrebbe negare neppure l’ora di religione pentecostale (350.000 fedeli se si considerano gli immigrati), seguita da quella buddhista, sikh, induista e così via. A parte i problemi organizzativi, ne risulterebbe una Babele e un supermercato delle religioni. Con l’ora di religione il legislatore ha voluto riconoscere il ruolo della tradizione cattolica nella nostra storia e nel nostro ethos nazionale, non dare a tutti i ragazzi che vivono in Italia la possibilità di trovare a scuola la “loro” religione. L’insegnamento di religioni diverse dalla cattolica è del resto liberamente impartito fuori della scuola. Secondo: chi gestirebbe l’ora di religione islamica? Tutti i governi, di destra e di sinistra, in Italia ma anche in Francia, in Belgio e in Spagna hanno provato a trovare un interlocutore musulmano unico e rappresentativo. Nessuno ci è riuscito. In Francia è viva la discussione su come il Consiglio francese del culto musulmano (CFCM), costituito dall’allora Ministro dell’Interno Sarkozy per dare allo Stato un interlocutore islamico, nella sostanza non funzioni. Da una parte, per presentarsi come rappresentativo, ha dovuto includere le organizzazioni più fondamentaliste – che lentamente ne stanno prendendo il controllo, proprio quello che Sarkozy non voleva –, dall’altra le liti fra musulmani, e fra i governi che li finanziano (Algeria contro Marocco, Arabia Saudita contro Maghreb), ne paralizzano il funzionamento. Stabilita l’ora di religione islamica anche in Italia occorrerebbe trovare chi impartisca le lezioni. Se fosse l’organizzazione più grande, l’UCOII, l’Unione delle Comunità e Organizzazione Islamiche in Italia (che peraltro si è detta non interessata), avremmo la scuola di fondamentalismo islamico finanziata dallo Stato. Se non fosse l’UCOII questa – che, piaccia o no, controlla ancora la maggioranza delle moschee italiane (nonostante pregevoli sforzi per creare alternative) – avrebbe ragioni di dire che gli insegnanti non sono rappresentativi, sono “musulbuoni”, “sindacalisti gialli dell’islam” o “zii Sam”, come va già dicendo per qualunque iniziativa che non la ricomprenda. Ora di religione islamica a scuola? Per dirla con l’ispettore Clouseau nel film La pantera rosa “c’è una sola cosa che non va in questa idea: è stupida”.
Fonte: Libero, 20 ottobre 2009
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FINISCONO IN CROCIERA CON 1.500 OMOSESSUALI: L'INCREDIBILE VICENDA DI UNA COPPIA DI SPOSI
Autore: Luca Liverani - Fonte: Avvenire
Come volevasi dimostrare. Nel pieno delle polemiche sulla bocciatura del ddl Concia, la cosiddetta legge anti-omofobia, arriva la notizia della coppia della provincia di Perugia che ha scelto un viaggio in nave Civitavecchia-Barcellona, senza essere minimamente informata che si trattava della prima crociera per omosessuali organizzata in Italia, con feste e spettacoli tutti dedicate al mondo gay. I due coniugi, unica coppia eterosessuale tra 1.500 omosessuali, al ritorno ha chiesto alla compagnia Grimaldi un risarcimento di 3 mila euro. «Non è discriminazione – spiega il loro avvocato Antonio Francesconi – ma mancata soddisfazione per una vacanza rovinata. Uno spiacevole equivoco che però va risarcito». Ma l’aspetto paradossale della vicenda, che la dice lunga su cosa potrebbe accadere se venisse mai introdotta un’aggravante di omofobia, è che a chiedere un controrisarcimento è il presidente di Gay.it, Alessio De Giorgi, che parla di «caso di omofobia». «L’evento non era offensivo per nessuno e mai nulla di scandaloso è accaduto a bordo. La vicenda – tuona De Giorgi – mette in evidenza quanta omofobia ci sia in questa società». Avremo titoli tipo 'due omofobi vessano per tre giorni 1.500 gay'?
Fonte: Avvenire
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REATO DI OMOFOBIA: CHI ALLA CAMERA HA VOTATO A FAVORE E CHI CONTRO E PERCHE'
Autore: Marco Invernizzi - Fonte:
Care amiche, cari amici Come avrete saputo la Camera dei deputati ha affossato il 13 ottobre il progetto di legge sull’omofobia. Se fosse passato, come in quasi tutti i Paesi europei, avrebbe introdotto un’aggravante relativa all’orientamento sessuale per tutti i reati contro la persona, in pratica violando l’uguaglianza giuridica dei cittadini. Picchiare un omosessuale dichiarato, un gay, sarebbe stato sanzionabile in modo più grave che picchiare un eterosessuale. Si sarebbe poi potuto configurare l’ipotesi del reato di opinione per tutti coloro che avessero affermato l’esistenza di una identità sessuale e di un progetto divino in seguito a tale identità: in pratica, leggere in pubblico la Bibbia o il Catechismo della Chiesa Cattolica avrebbe potuto portare in galera. Potrà sembrare assurdo, ma in Svezia è già accaduto. Quanto avvenuto è una sconfitta per il processo di scristianizzazione dell’Italia. La legge proposta dall’on. Paola Concia, l’unica parlamentare dichiaratamente omosessuale, è stata dichiarata incostituzionale su proposta dell’Udc ed è stata votata dalla “maggioranza della maggioranza”, con la significativa eccezione di nove deputati “finiani” che hanno votato contro il Pdl e di altri della maggioranza, fra cui l’on. Bongiorno, che si sono astenuti. Ha votato con la maggioranza anche l’on Binetti, ed il fatto merita di essere sottolineato, anche perché il segretario del suo partito, Franceschini, ha detto che la sua permanenza nel Pd costituisce un problema. L’evento conferma che quando alcuni deputati si danno da fare per i principi non negoziabili (vedi l’appello contro l’approvazione della legge pubblicato dai giornali del giorno precedente la votazione, primo firmatario Mantovano) possono accadere ottimi risultati, anche oltre le aspettative. Non basta infatti la mobilitazione di movimenti e associazioni, soprattutto cattolici e soprattutto tramite internet, se qualche parlamentare non riesce poi a trasformarla in concretezza legislativa (in questo caso di affossamento di una proposta di legge). Tuttavia è stata vinta una battaglia, ma la guerra continua. E per raggiungere altri successi bisogna stare all’erta, essere pronti e preparati. In gioco non c’è la supremazia di un partito o di uno schieramento, ma l’identità di un popolo, la permanenza nelle sue radici. Stupisce, a questo proposito, la scarsa attenzione di parte del mondo cattolico, se si eccettuano le sue sentinelle, che si sono efficacemente mobilitate soprattutto su internet. Infatti il Magistero ha attirato l’attenzione sul tema, anche dopo la pubblicazione dell’importante documento della Congregazione per la dottrina della fede il 31 maggio 2004. Certamente il tema è delicato e apre o riapre antiche ferite, anche all’interno del corpo ecclesiale. Ma i problemi si affrontano e non si può sempre e soltanto rimandarli, pena incontrare poi problemi irrisolvibili. L’evento ha anche un significativo aspetto politico. I deputati “finiani” sono stati costretti dal voto pubblico a venire allo scoperto e a farsi contare: sono stati nove a votare a favore della legge Concia più altri che si sono astenuti. I loro nomi li potete trovare sui vari giornali che li hanno pubblicati, attraverso internet. Bisogna ricordarli, perché in questo caso non si è trattato di opinioni diverse sulla conduzione del Pdl, ma di un tema di principio, assolutamente non negoziabile. In pratica, la loro posizione diversa ha assunto un connotato ideologico preciso e questo va fatto notare. Così come va fatta notare positivamente la posizione dell’on. Binetti, che ha votato con la maggioranza: che si stia incamminando verso l’uscita dal Pd è possibile, forse anche probabile dopo le dichiarazioni del segretario on. Franceschini. Quest’ultimo è un caso: per uno che ama (ancora?) definirsi cattolico, appare stupefacente l’ardore con cui sposa sempre le posizioni più laiciste, sempre inconfondibilmente opposte alle indicazioni del Magistero. Quest’ultimo, per un cattolico adulto, probabilmente è ininfluente, ma il caso rimane singolare. C’è anche un caso giornalistico. Riguarda il quotidiano che preferisco e leggo sempre per primo, il Foglio. Mi chiedo: possibile che un direttore così sensibile sui temi della vita, capace di ingaggiare battaglie memorabili come quella su Eluana, non veda almeno la parentela nel caso dell’ideologia di genere? Un uomo come Giuliano Ferrara, così attento all’insegnamento della Chiesa e di Benedetto XVI in particolare, non si renda conto della posta in gioco e creda (come il sindaco di Roma) nella minaccia rappresentata da picchiatori di omosessuali che girano liberamente per le strade d’Italia a caccia di “sessualmente diversi”? E non si renda conto di come sia in gioco l’ultima differenza, quella sessuale, le cui conseguenze sociali si vogliono negare per mettere in discussione la complementarietà dei sessi, e dunque il significato del matrimonio? Non vorrei farla troppo difficile, ma Ferrara capirà perfettamente che siamo di fronte al delirio gnostico che afferma che Dio ha sbagliato a creare l’uomo maschio e femmina, e dunque bisogna correggerlo in corso d’opera. Da alcuni anni un gruppo di professionisti (www.obiettivo-chaire.it) accoglie a Milano persone che hanno problemi di identità sessuale, spesso un’omosessualità indesiderata frutto di una adolescenza trascorsa in una famiglia problematica. Questa esperienza lascia trasparire in modo evidente come esista una natura, un progetto divino originario su ogni persona, che a volte per diverse ragioni può incontrare difficoltà ad esplicitarsi. Il rimedio non sta mai nell’accusare l’Autore della natura o nell’assecondare qualunque “desiderio” del soggetto problematico, ma nell’accompagnare quest’ultimo verso il ritrovamento dell’equilibrio perduto. I movimenti gay disprezzano tutto questo accusando la “terapia riparativa”, ma la realtà, e le richieste di molti fra queste persone, affermano il contrario. Per approfondire si può leggere il Quaderno del Timone di Roberto Marchesini, L’identità di genere (info@iltimone.org; tel. 0269311174) con tutte le indicazioni dei testi del Magistero.
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ABORTO IN ITALIA: BOOM FRA LE ADOLESCENTI (E ORA ARRIVA ANCHE LA RU486!)
Fonte Corrispondenza Romana, 10/10/2009
Le minorenni che lo scorso anno si sono rivolte al giudice tutelare di Milano per ottenere il permesso di abortire sono state 186, una ogni due giorni. È quanto emerge dai dati forniti dal Tribunale di Milano riportati da un articolo de “Il Giornale” di venerdì 2 ottobre. Secondo i dati forniti dal Ministero di Grazia e Giustizia dieci anni fa richieste di questo tipo sono state quattro volte inferiori a quelle dello scorso anno. Gli adolescenti praticano il sesso sempre prima (anche a 13 anni) e ciò li espone alle malattie a trasmissione sessuale ed alle gravidanze indesiderate. Da notare è l’ulteriore dato secondo cui la quasi totalità delle richieste di aborto delle adolescenti ottengono il benestare dal giudice tutelare secondo una logica abortista e antivita che ha ormai largamente permeato l’intera società; d’altra parte, la legittimazione dell’aborto come diritto tutelato e garantito dalla legge non ammette motivazioni da addurre ma solo la volontà insindacabile dell’individuo. Questo è il quadro drammatico che esce fuori dalle statistiche ufficiali e che sconfessa i sostenitori (cattolici e non) della presunta bontà della legge 194 che avrebbe comportato la drastica riduzione degli aborti. Il richiamo alla integrale applicazione delle cosiddette “parti buone” della legge 194, tanto care ai “pro life” nostrani, non può e non potrà mai costituire un argine al dilagare della cultura di morte dominante. La libertà di scelta, seppur “consapevole”, non è in grado di trasformare il diritto all’aborto legale e gratuito in un delitto contro l’umanità che, in un Paese autenticamente civile, dovrebbe essere duramente perseguito. L’introduzione in Italia della pillola abortiva Ru486 (che moltiplicherà esponenzialmente i dati già sconvolgenti del ricorso all’aborto fra le adolescenti) rappresenta forse il definitivo compimento di un piano diabolico che ha avuto inizio più di trent’anni fa...
Fonte: Corrispondenza Romana, 10/10/2009
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FATTA L’ITALIA, RACCONTIAMO LA VERA STORIA AGLI ITALIANI
Autore: Marco Invernizzi - Fonte: Tempi, 2 settembre 2009
Bisogna farsene una ragione: celebrare il 150° anniversario dell’unità d’Italia nel 2011 sarà un problema, anzi lo è già adesso. E non tanto per i ritardi del governo nel preparare le celebrazioni, o per il fatto che il comitato di garanti risulta costituito in parte dal governo Prodi e in parte dal successivo guidato da Berlusconi, con le inevitabili divisioni. Il vero problema è che non esiste un’identità italiana condivisa, non soltanto nella classe politica come ha scritto Ernesto Galli della Loggia, ma nel paese, a cominciare dagli intellettuali. Preso atto della realtà, non si deve disfare l’Italia, anzi. Bisogna pazientemente ritornare indietro nel tempo, ricercare i motivi di questa mancanza, individuare e curare le ferite e le amnesie che hanno accompagnato la nostra storia nazionale unitaria. Cominciamo dalle amnesie. L’Italia non nasce nel 1861, proprio perché anche precedentemente non era soltanto un’«espressione geografica», ma un insieme di popoli diversi eppure uniti da una cultura condivisa. Non si possono dimenticare le radici che affondano nella civiltà romana e anche prima, l’esito culturale e civile della prima evangelizzazione cristiana che dà vita alla ricchezza dell’epoca medioevale, la straordinaria e complessa produzione artistica dei secoli dell’Umanesimo e del Barocco. Sarebbe riprodurre una frattura artificiale volere insistere su celebrazioni “rivoluzionarie”, che dimentichino la nostra storia precedente il 1861. Ma non si possono dimenticare neppure le insorgenze antinapoleoniche che hanno visto le popolazioni di ogni regione italiana opporsi con la forza all’imposizione di una cultura rivoluzionaria durante il dominio napoleonico, dall’invasione francese del 1794 alla sconfitta definitiva di Napoleone nel 1815. Così come non si deve dimenticare il 18 aprile 1948, quando l’Italia moderata e cattolica ha espresso a larga maggioranza la volontà di appartenere a una civiltà cristiana e occidentale: eppure, come ha scritto l’insospettabile Pietro Scoppola, questo evento, che segna la nascita dell’Italia moderna, non è mai stato celebrato dagli stessi vincitori. MA CI SONO ANCHE LE FERITE, NON DOBBIAMO DIMENTICARLO L’Italia diventa uno Stato unitario attraverso una violenza che colpisce la Chiesa cattolica. Quando un sacerdote, un padre di famiglia, un maestro o un professore che si ritengono cristiani raccontano la storia della loro nazione non possono nascondere questa ferita originaria. Una ferita che è stata sanata giuridicamente nel 1929 con il Concordato, che era già stata risolta politicamente nel 1913 con il Patto Gentiloni, quando i cattolici cominciarono a votare alle elezioni politiche dopo il non expedit, ma che rimane dal punto di vista culturale perché, come scriveva Augusto Del Noce, se un popolo non possiede una ricostruzione unitaria della propria storia non potrà essere veramente unito. E se questa ricostruzione unitaria non veniva tentata durante l’epoca delle ideologie (se non attraverso una ricostruzione di impronta marxista o azionista) appunto a causa delle divisioni che avrebbe prodotto, oggi non viene affrontata perché quasi nessuno se ne preoccupa veramente. Con qualche eccezione. La prima eccezione viene dal mondo della Lega. Esso rappresenta (con toni e modalità non sempre adeguati e comprensibili) coloro che furono sconfitti nel processo risorgimentale perché proponevano una soluzione federalista dell’unificazione italiana. Ossia non volevano uno Stato centralista, sul modello francese, che invece venne scelto e imposto con la violenza dai vincitori. Questa è l’altra grande ferita dopo la “questione cattolica” che pesa sulla storia italiana: la “questione federalista”. Grandi cattolici come il beato Antonio Rosmini l’avevano proposta, ma anche intellettuali “laici” come Carlo Cattaneo; non vennero ascoltati e così il rifiuto di una soluzione federalista, che avrebbe rispettato le peculiarità delle diverse popolazioni italiane, comportò fra l’altro quella guerra civile nel Sud d’Italia che costò 10 mila morti nel decennio 1860-1870 e segnò l’inizio della “questione meridionale”. SCORCIATOIE IDEOLOGICHE L’altra importante eccezione riguarda il movimento cattolico italiano. Seppure con diverse sfumature e proposte, esso continua ad avere a cuore l’italianità e a coltivarne le radici. Anzitutto ricordando “tutta” la storia della nazione, comprese le insorgenze e il 18 aprile 1948 che tutti (anche i cattolici quando sono stati al governo, purtroppo) hanno volutamente dimenticato o vituperato. Il mondo cattolico non ha coltivato “sogni” antiunitari neppure nei tempi dell’intransigente «opposizione cattolica», come la definiva Giovanni Spadolini riferendosi al periodo dell’Opera dei Congressi (1874-1904), ma non può smettere di raccontare la verità storica. Quando tace, quando smette di dire la verità, perde la propria identità e diventa insipido. Le ferite ci sono e non si possono nascondere. Bisogna affrontarle e cercare di medicarle, usando i toni adatti a un progetto di riconciliazione fra tutti i vinti e vincitori della lunga storia italiana. Ma un progetto che non sacrifichi nessun aspetto della verità storica e non cerchi di cavarsela attraverso la proposizione di scorciatoie ideologiche che non convincono più nessuno, si chiamino pure Risorgimento, Resistenza o unità antifascista.
Fonte: Tempi, 2 settembre 2009
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SONDAGGIO DOXA: IN ITALIA IL 63 X CENTO DEI CATTOLICI PRATICANTI ASSISTEREBBE REGOLARMENTE ALLA MESSA IN RITO ANTICO
Fonte Paix Liturgique, 17 Ottobre 2009
In Italia il 63% dei cattolici praticanti assisterebbe regolarmente (almeno una volta al mese) alla forma straordinaria della messa se ne avesse la possibilità materiale. Ecco il risultato entusiasmante del sondaggio effettuato dall’istituto Doxa per l’Associazione Paix Liturgique e il sito internet "Messa in latino". Questa inchiesta sulla recezione del Motu Proprio Summorum Pontificum nella penisola è stata realizzata il mese scorso su un campione di 1001 persone di più di 15 anni (campione standard per un sondaggio rappresentativo a livello nazionale). Ricordiamo che la Doxa è uno dei più importanti istituti di sondaggio del paese, riconosciuto per il rigore scientifico del suo lavoro. In esclusiva, pubblichiamo oggi i principali risultati di questo sondaggio e i nostri commenti. I - I RISULTATI Alla domanda: “Nel luglio 2007 Papa Benedetto XVI ha ribadito che la messa può essere celebrata sia nella forma moderna detta "ordinaria" o "di Paolo VI" - cioè in italiano, il sacerdote è rivolto ai fedeli e la comunione si riceve in piedi - sia sotto la sua forma tradizionale detta "straordinaria" o "di Giovanni XXIII" - cioè in latino e gregoriano, con il sacerdote rivolto all'altare. Lei personalmente ne ha sentito parlare?", il 64% dei praticanti - cattolici che dichiaravano di andare almeno una volta al mese alla messa - rispondeva “Si”, contro un 36% che non ne sapeva nulla. Se si considera invece l’insieme dei cattolici, praticanti e non, solo il 58% ne era a conoscenza. In Francia, secondo il sondaggio effettuato dall’istituto CSA il 24 e il 25 settembre 2008 su richiesta di Paix Liturgique (sondaggio CSA 08 01 153 B) l’82% dei cattolici praticanti ne era a conoscenza contro il 58% dell’insieme dei cattolici. Nota bene: nel paese del Papa solo il 64% dei cattolici praticanti conosce le disposizioni del Motu Proprio Summorum Pontificum promulgato due anni fa sull’uso della forma straordinaria del rito romano. Questa cifra è la triste conseguenza del silenzio che alcuni vescovi e membri del clero oppongono alla politica di riconciliazione in seno alla Chiesa portata avanti dal Santo Padre. Questo risultato sottolinea inoltre la legittimità e la necessità di un lavoro d’informazione svolto dai laici per promuovere l’opera del Sovrano Pontefice. Così in Francia, dove comunque l’episcopato non è meglio disposto che in Italia verso la forma straordinaria del rito romano, l’82% dei praticanti regolari (sondaggio CSA citato precedentemente) è al corrente del Motu Proprio grazie alle iniziative di associazioni come Paix Liturgique o Motu Proprio France (Da marzo 2009 un volantino che presenta e spiega le disposizioni pontificali viene distribuito all'entrata della messa nelle parrocchie in Francia. Più di 110.000 ne sono stati già diffusi). Alla seconda domanda: "Le sembra normale o anormale che entrambe le forme liturgiche (ossia quella moderna detta "ordinaria", in italiano, e quella tradizionale detta "straordinaria", in latino e gregoriano) possano venire celebrate nella sua parrocchia?”, il 71% dei praticanti e, ugualmente, dell’insieme dei cattolici è favorevole alla coesistenza delle due forme liturgiche nella propria chiesa. In Francia, sempre secondo il sondaggio CSA effettuato nel 2008, il 61% dei cattolici praticanti e il 62% dell’insieme dei cattolici si dichiara favorevole a questa situazione di mutuo riconoscimento. Nota bene: come accade in Francia, la coabitazione pacifica delle due forme del rito romano nelle parrocchie sembrerebbe perfettamente naturale ai cattolici italiani. Potremmo addirittura aggiungere che una cifra già piuttosto positiva (71%) potrebbe anche crescere se i fedeli venissero maggiormente informati dal clero. In effetti, se un terzo dei fedeli italiani ignora il contenuto del Motu Proprio gli è difficile sapere che la coesistenza delle due forme del rito è legittima. L’argomento della divisione interna nelle parrocchie invocato da certi vescovi per rifiutare un'onesta applicazione del Motu Proprio è qui dunque chiaramente smentito dai fedeli stessi. Alla domanda: "Se la messa detta "straordinaria", in latino e gregoriano, venisse celebrata nella sua parrocchia, lei ci andrebbe? Se sì, con quale frequenza?", il 63% dei praticanti italiani dichiara che lo farebbe almeno una volta al mese (il 33% per l'insieme dei cattolici). Una cifra che si suddivide così: Il 40% ci andrebbe tutte le settimane e il 23% almeno una volta al mese. In sé il numero dei cattolici italiani legati alla forma straordinaria del rito romano – e ciò, nonostante la sua quasi assenza, in pratica, nelle parrocchie – è già una piacevole sorpresa: un terzo. Ma se si considerano i praticanti, questo risultato è semplicemente eccezionale: il 63%. Circa il doppio che in Francia! In Italia, dove è ancora quasi imprescindibile il sentimento di appartenenza alla parrocchia, e dove le cerimonie religiose sono sempre molto frequentate, si potrebbe pensare che i cattolici siano pienamente soddisfatti della messa di Paolo VI, e nonostante ciò questo risultato indica che la messa di papa Giovanni sarebbe apprezzata in una proporzione addirittura insospettabile. Questa risposta rivela infatti il disagio nel quale si trova una maggioranza di fedeli riguardo i cambiamenti postconciliari. Abituati a seguire con fiducia i loro pastori, gli italiani hanno vissuto docilmente l'evoluzione della Chiesa, che, è opportuno ricordare, si è manifestata qui in modo meno violento che in diversi altri paesi europei. E tuttavia oggi gli italiani sono incontestabilmente desiderosi di usufruire delle possibilità offerte dalla riforma iniziata da Benedetto XVI. Infine, considerando che l'attaccamento alla liturgia antica è spesso giudicato come una semplice reazione agli abusi degli scorsi decenni, il fatto che più di due praticanti italiani su tre considerano la forma straordinaria come assolutamente “normale” dimostra che una celebrazione “degna” della forma ordinaria, come peraltro avviene in prevalenza in Italia, non rende affatto obsoleta la domanda della forma straordinaria, ma, al contrario, la consolida. II - COMMENTI DI PAIX LITURGIQUE 1 - Il sondaggio svolto dalla Doxa per Paix Liturgique e messainlatino.it è il primo studio scientifico condotto su questa materia in Italia. Costituisce una prova supplementare del fatto che la questione della liturgia tradizionale non è un problema circoscritto a questo o a quel paese. L'indagine ricorda ugualmente con forza che i fedeli legati alla forma straordinaria del rito romano sono estremamente numerosi e non possono essere semplicisticamente ridotti a quelli facenti capo alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, tra l'altro assai poco radicata in Italia dove non conta più di tre priorati. Questa precisazione è importante perché alcuni vescovi tentano costantemente di ridurre il dibattito liturgico alla FSSPX che, in realtà, non raggruppa che una minoranza – seppure visibile e dinamica – di tutti i fedeli rimasti legati alla forma straordinaria del rito. Ecco dunque un'ulteriore dimostrazione della correttezza della veduta del Santo Padre che ha compreso che moltissimi dei fedeli di base, rimasti nelle loro parrocchie per ragioni diverse o che hanno fatto la scelta di non essere più praticanti, sono rimasti legati all'espressione della fede dei loro genitori e non domandano altro che di poterla manifestare di nuovo. Questa realtà, messa in luce dai sondaggi così in Francia come in Italia, resta tuttavia volutamente ignorata dai troppo numerosi vescovi che continuano a bloccare la diffusione della forma straordinaria del rito romano. 2 - Non ci facciamo comunque illusioni e sappiamo che questo sondaggio italiano, nonostante sia stato realizzato da un istituto professionale e riconosciuto, lascerà impassibili coloro che si oppongono al Papa e alla sua politica di pacificazione e di unità. I sondaggi realizzati in Francia a partire dal 2001 non sono stati oggetto, in quel paese, di alcun commento da parte dei vescovi o di un solo trafiletto sulla stampa religiosa. Lo sappiamo bene, per tutti i nemici della riconciliazione nella Chiesa “i fedeli legati alla liturgia tradizionale non esistono” e “non c'è alcun problema liturgico”. Tuttavia i risultati di questo sondaggio (in Italia come in Francia) corrispondono perfettamente alla tendenza rivelata da uno degli indicatori più sensibili e più importanti per la vita e per la sopravvivenza stessa della Chiesa: l'interesse vivo per la forma straordinaria del rito romano presso i giovani chiamati alla vocazione sacerdotale. Così in Francia, come riportato dall'edizione francese della nostra lettera, un quarto delle nuove vocazioni sacerdotali del 2009 è orientato alla forma straordinaria (Lettre PL 199, 12 ottobre 2009). 3 - I risultati di questo sondaggio, così vicini a quelli del sondaggio francese (sondaggio CSA, Lettre PL 145) e allo studio realizzato negli Stati Uniti (studio CARA per l'Università di Georgetown, Lettre PL 196), riaffermano che l'interesse per la forma straordinaria non è una questione marginale per i cattolici, e neanche una questione “nazionale” o “politica”, ma, al contrario, una domanda universale. I teologi contemporanei che danno molta importanza al senso della fede dei laici, dovrebbero riflettere approfonditamente su questo. 4 - Far realizzare un sondaggio ha un costo, e noi ringraziamo coloro, i lettori di "Messa in latino" e gli amici di Paix Liturgique, che ci hanno aiutato a coprire le spese che, per la precisione, sono ammontate a 5.700 €. Grazie all'aiuto dei nostri sostenitori intendiamo proseguire questa inchiesta in altri paesi europei e anche prevederla nei casi di diocesi particolarmente significative.
Fonte: Paix Liturgique, 17 Ottobre 2009
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E' MORTA PAOLA, IN STATO VEGETATIVO COME ELUANA, MA I GENITORI L'HANNO ASSISTITA CON AMORE DAI 4 MESI FINO ALLA MORTE NATURALE A 37 ANNI!
Autore: Paolo Ferrario - Fonte: Avvenire
Se esistessero una bilancia per pesare il valore di una vita, un cronometro per decidere fino a quando valga la pena viverla e un metro per misurarne la dignità, certo non basterebbero per contenere la grandezza dei 37 anni che Paola Gorla ha trascorso su questa terra. Fino a domenica notte, quando una polmonite virale se l’è portata via per sempre. «Paola è morta fisicamente ma il dono della sua presenza resterà con noi», dice mamma Anita che con papà Giorgio e il fratello maggiore Alessandro, oggi 39enne, saluterà la figlia, per l’ultima volta, questa mattina nella chiesa parrocchiale di Fino Mornasco (Como) dove la famiglia Gorla risiede. Avevamo incrociato la storia di Paola una calda mattina d’estate di un anno fa. Erano i giorni del “caso-Eluana” e anche Paola, con i suoi genitori, aveva voluto partecipare a una delle tante iniziative contrarie alla sentenza di morte a carico della sfortunata lecchese. Paola non vedeva, non parlava, non sentiva e non poteva camminare né stare seduta. Fulminata a quattro mesi dal vaccino antipertosse trivalente, giaceva in stato vegetativo dal 1972. Encefalopatia da antigene pertossico, era stata la terribile diagnosi emessa dagli specialisti dell’ospedale di Merate (Lecco) ai quali i genitori si erano rivolti per capire che cosa avesse quella figlia che, tutto a un tratto, aveva smesso di mangiare e di comportarsi come gli altri neonati. Mamma Anita e papà Giorgio si sono dimostrati più forti del dolore, enorme, che li aveva investiti. Si sono rimboccati le maniche e hanno letteralmente costruito una casa su misura per Paola. Siccome la ragazza non stava bene nell’appartamentino al terzo piano dove abitavano, con i risparmi di una vita di lavoro ne hanno realizzata una nuova, con l’ascensore e la piscina riscaldata per la fisioterapia. Per 37 anni, la vita dei Gorla è stata scandita dai tempi di Paola: la nutrizione tramite Peg, di cui papà Giorgio era ormai diventato espertissimo, il catetere tre volte al giorno per liberare la vescica e l’aspiratore per tenere liberi e puliti naso e bocca. Tutto questo per 13.505 giorni. Tutto inutile? Non ditelo a mamma Anita. «Paola – racconta con un filo di voce – ci ha reso la vita più gioiosa e felice. Tutti i giorni ci dava un nuovo obiettivo, ci raccontava un nuovo capitolo di una storia che noi avremmo tanto voluto continuare a scrivere ancora per molto. Mi manca tantissimo anche se ho la certezza che, adesso, dopo 37 anni, può fare finalmente ciò che le sarebbe tanto piaciuto: correre, giocare e ammirare tutti i doni che Dio ci ha fatto. Ora può farlo e questo, potrà apparire paradossale, ci rende gioiosi e riempie almeno un po’ il grande vuoto che ha lasciato nella nostra casa e nelle nostre vite. Questo pensiero ci dà forza e ci sostiene nella prova. L’amore per Paola non è stato vano; lei è stata il nostro ossigeno e la nostra ragione di vita e vogliamo ringraziare il Signore per ogni singolo giorno che ci ha concesso di trascorrerle accanto».
Fonte: Avvenire
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IL PALLONE AVVELENTATO: QUINTA VITTIMA DEL DOPING NELLA FIORENTINA ANNI '70
Autore: Massimiliano Castellani - Fonte: Avvenire
«I sospetti su quella Fiorentina degli anni ’70 in cui ho giocato (dal 1973 al ’77 n.d.r.), li comunicai in forma epistolare al giudice Raffaele Guariniello che mi convocò alla Procura di Torino. Gli confermai che mi sembrava strano ci fossero state tutte quelle morti e quei malati in una sola squadra...». Questa è stata l’ultima pubblica accusa di Massimo Mattolini - ad Avvenire - che a 56 anni l’altra notte se ne è andato per sempre. Il portiere viola non aveva mai nascosto di aver paura per via di quei farmaci assunti «inconsapevolmente» in carriera e che potrebbero avergli provocato le insufficienze renali che nel 2000 lo costrinsero a sottoporsi al trapianto. «In quegli anni prendevamo farmaci da tutte le parti. Quando a primavera avevo un calo atletico, era normale che mi facessero iniezioni di Cortex (corteccia surrenale) per 7-10 giorni. Ora, che tutto questo mi abbia fatto perdere la funzionalità dei reni non posso dirlo con certezza, ma sarei contento se qualcuno lo facesse. Ciò che posso dire è che l’Epo a me lo davano quando ero in dialisi, e mi sembra grave, come è stato dimostrato, che lo somministrassero a calciatori sani...». Un’amara considerazione quella di Mattolini, la stessa che da oltre vent’anni ogni giorno è costretta a fare Gabriella Bernardini, la vedova di Bruno Beatrice morto nel 1987, a 39 anni, stroncato da una leucemia linfoblastica acuta, causata da un incauto ciclo di raggi Roentgen, per guarire da una pubalgia. Gabriella è rimasta l’ultima “pasionaria” di una battaglia per la verità, intorno al mistero di questa Fiorentina. Con i figli Alessandro e Claudia hanno fondato l’Associazione vittime del doping, ma anche nel giorno della morte di Mattolini si rende conto che il suo grido d’allarme è sempre più isolato. «Nessuno in questi anni ha avuto il coraggio di denunciare insieme a noi per tutte quelle pratiche mediche assurde che sono state fatte a quei ragazzi - dice la vedova di Beatrice - . La moglie di un altro calciatore e vittima di quella Fiorentina, si era quasi convinta a seguirci, ci aveva chiesto quanto le sarebbero costate le spese legali, ma poi preferì non andare avanti con la causa...». Il processo Beatrice, al pm Luigi Bocciolini non è stato possibile aprirlo in sede penale, ma sta per partire quello civile in cui, tra gli altri responsabili, è citato per omicidio preterintenzionale, anche l’ex allenatore di quella Fiorentina Carlo Mazzone. «Io ho la certezza che mio marito - prosegue Gabriella Beatrice - è stato ucciso dalla Roentgen-terapia e nessuno mi toglie dalla testa il dubbio che tutti quei farmaci che hanno preso alla Fiorentina hanno potuto causare la morte e la malattia degli altri giocatori». Ma non è tutto: «Non posso sopportare che personaggi autorevoli come il ct Marcello Lippi si permettano di escludere a priori qualsiasi tipo di connessione, arrivando alla conclusione che il calcio non c’entra niente con le morti e le malattie come la Sla. E trovo offensivo e mi fa rabbia che un Fabio Cannavaro, capitano della Nazionale, dopo essersi fatto riprendere dalle telecamere anni fa mentre faceva una flebo di Neoton, adesso dica “sono una persona seria” per difendersi dall’ultima accusa di doping, subito archiviata dalla Procura. Ma perché, forse Beatrice e gli altri, anche se avessero assunto quelle sostanze indotti dalla società non erano persone serie?». Era una persona serissima il bomber viola Nello Saltutti. Il suo cuore indebolito dalle dosi massicce di farmaci che gli davano, ha ceduto alla stessa età di Mattolini, a 56 anni: «Ci riempivano di Micoren, un farmaco che tanto bene non faceva visto che nel 1985 l’hanno tolto dal commercio -ricordava Saltutti-. Prima della partita, c’era sempre un “caffè speciale” che non si sapeva di cosa fosse fatto, ma in campo ci faceva andare il doppio degli altri. Sul tavolino fuori dello spogliatoio trovavamo sempre i flaconi delle pillole, le boccette con le gocce, flebo modello damigiane e punture a volontà...». I Nas di Firenze che partendo dal “caso Beatrice” hanno indagato su tutti i componenti di quella Fiorentina degli anni ’70, al termine dell’inchiesta hanno riscontrato l’«abuso di farmaci». Nel “giallo viola” c’è spazio poi anche per il mistero delle cartelle cliniche scomparse. Scandagliando gli oltre cento scatoloni dell’archivio della Fiorentina - la società fallita di Cecchi Gori - quelle dei viola degli anni ’70 non si sono mai trovate, mentre la documentazione riparte dalle cartelle cliniche dei tesserati dall’80 in poi. Qualcuno molto potente, si dice forse in orbita massonica, avrebbe interesse a che non si arrivasse mai alla verità. Una verità scomoda, quella dello spogliatoio di una squadra di calcio che ha lo stesso odore di una corsia d’ospedale. Mattolini, già nel 2004, ci disse: «Io chiedo alla giustizia che faccia giustizia... Se davvero qualcuno ci ha dato delle sostanze sapendo che avrebbero nuociuto alla nostra salute è giusto che paghi. Così come non devono farla franca quelli che oggi praticano il doping sulla pelle dei giovani». GLI ALTRI: LE MORTI “BIANCHE” DI UGO FERRANTE E GIUSEPPE LONGONI Il mistero del “giallo viola” si infittisce perché con Massimo Mattolini le vittime di quella Fiorentina degli anni ’70 salgono a cinque. Non aveva giocato nella stessa formazione di Mattolini, Ugo Ferrante viola dal ’63 al ’72, morto a 59 anni per un calcinoma spinocellulare. Testimone di nozze di Ferrante fu il compagno di squadra Giancarlo De Sisti detto “Picchio” che nell’84 quando era allenatore della Fiorentina rischiò di morire per un ascesso frontale al cervello. De Sisti non vuole più sentire associare il suo nome a quello delle altre vittime viola e malati come Mimmo Caso che ha vinto la sua sfida al tumore al fegato e Giancarlo Antognoni che qualche anno fa durante una partita tra vecchie glorie fu colpito da infarto. «Certo che mi sia accaduto mentre giocavo a calcio un po’ mi fa pensare...», ha detto Antognoni. E qualche pensiero è venuto anche alla signora Grazia, vedova di Giuseppe Longoni - alla Fiorentina dal ’69 al ’73 - morto a 63 anni per una vasculopatia. «Non accuso nessuno - dice la vedova Longoni - ma a me sembrano coincidenze piuttosto strane tutte queste morti dei compagni del mio Giuseppe».
Fonte: Avvenire
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OMELIA PER LA XXX DOMENICA TEMPO ORDINARIO - B - (Mc 10,46-52)
Fonte maranatha.it, (omelia per il 25 ottobre 2009)
IL CAMMINO DELLA FEDE La descrizione profetica del ritorno gioioso degli esuli in patria (1a lettura) è letta dalla liturgia in chiave evangelica. È Gesù Cristo che chiama tutti, anche i deboli, gli zoppi, i ciechi al grande ritorno e li colma di consolazione e di gioia. Tra le righe della 1a lettura diventa, così, facile leggere, come in filigrana, i tratti della conversione alla quale siamo noi pure chiamati continuamente. Essa è un ritorno: si tratta di fare a ritroso il cammino percorso nell’allontanarci da Dio. È la liberazione da una schiavitù umiliante, la riscoperta di una gioia, prima dimenticata: quella di sentirci circondati dalle braccia amorose del Padre che ci accoglie di nuovo nel suo amore. Se la 1a lettura mette in evidenza un aspetto dell'itinerario della conversione, quello della gratuita e preveniente iniziativa di Dio, il vangelo sottolinea la partecipazione e la risposta attiva dell'uomo, proponendo la guarigione del cieco nel quadro di un rituale catecumenale, del quale descrive le tappe successive. L'INIZIAZIONE ALLA FEDE Questa incomincia con una manifestazione di Gesù nella vita dell'uomo: è necessario che Cristo passi di là (cf Mt 20,30). Ma questa manifestazione è misteriosa: il cieco che rappresenta l'uomo sulla via della fede, non vede Gesù; intuisce soltanto la presenza del Signore negli avvenimenti (v. 47a), ma esprime già la sua fede rimettendosi alla iniziativa salvifica di Dio (v. 47b). Questa apertura a Dio è subito contestata dal mondo che lo circonda (v. 48a) ed è necessario tutto il coraggio per mantenere il proposito di apertura all'uomo-Dio (v. 48b). Il candidato alla fede si sente così oggetto della attenzione di alcuni che gli rivelano la chiamata di Dio, lo incoraggiano e lo invitano a convertirsi («alzarsi» o risuscitare, e «gettare via il mantello» o spogliarsi del vecchio uomo: vv. 49 e 50). Allora si intreccia il dialogo finale: «Che vuoi?...» (v. 51). Si tratta dell'impegno definitivo, presentato sotto forma di domanda e di risposta, per mettere bene in risalto la libertà totale delle due parti che contraggono l'alleanza. Infine, la vista è restituita al cieco come una visione della fede (vv. 51-52) che lo impegna immediatamente a «seguire» Cristo «per la strada». IL CAMMINO DELLA FEDE NON È MAI FACILE Seguire la chiamata di Dio ha sempre voluto dire lasciare qualcosa dietro di sé, andare verso l'ignoto (Abramo), rinnegare la logica della carne e delle sicurezze umane per affidarsi totalmente al Dio delle promesse. Questo diventa più difficile oggi. Se nel passato la fede poteva costituire una spiegazione o una interpretazione dell'universo, un luogo di sicurezza di fronte alle assurdità della storia e al mistero del mondo, oggi non è più così. «I movimenti di idee, il progresso tecnologico, la espansione dei consumi, la mobilità migratoria e turistica, l'urbanizzazione crescente e caotica con le conseguenti enormi difficoltà di integrazione comunitaria, l'aggressione della pubblicità, l'instabilità politica, economica e sociale, con tutti i problemi connessi, concorrono ad acuire la lacerazione interiore, ancor più sensibile negli uomini di cultura. In questo quadro la carenza di una fede cosciente e robusta, favorisce il dissolversi della religiosità, sino ad una rottura totale con la pratica religiosa» (Documento dell'Episcopato Italiano, La fede oggi, 1971). NON C'È PIÙ POSTO PER UNA FEDE ANONIMA In un mondo come il nostro non c'è più posto per una fede anonima, formalistica, ereditaria. È necessaria una fede fondata sull' approfondimento della parola di Dio, sulla scelta e sulle convinzioni personali. Una fede consapevolmente abbracciata e non passivamente ricevuta in eredità. Tutto questo comporta un nuovo modo di affrontare il problema della iniziazione cristiana, un nuovo modo di considerare l'evangelizzazione e la sacramentalizzazione. Un immenso campo di azione si apre alla pastorale in genere e a quella, catechistica in particolare. Il cristiano dovrà percorrere (o ripercorrere, se si tratta di un adulto) non tanto un cammino fatto di tappe e di gesti sacramentali, quanto piuttosto un itinerario di fede, un catecumenato restaurato, senza del quale non hanno senso né efficacia i gesti sacramentali donati a scadenze fisse.
Fonte: maranatha.it, (omelia per il 25 ottobre 2009)
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