BastaBugie n�332 del 17 gennaio 2014
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LA CORRIDA: STUPENDA TRADIZIONE LEGATA ALLA PASQUA
In Spagna ognuna delle 400 Plaza de Tores ha una cappella dove il torero riceve la benedizione dal prete prima di entrare nell'arena
Fonte: Wikipedia
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SPENGI LA TV, LA FAMIGLIA RIPRENDERA' A VIVERE BENE
L'esperienza di una famiglia americana: ''Se togli la tv per un anno, poi non la accenderai mai più... ci sarà un motivo!''
Autore: Fabrizio Cannone - Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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IL COGNOME MATERNO AL FIGLIO? ECCO COMPLETATA LA DISTRUZIONE DELLA FAMIGLIA
Sarà difficile ricostruire la propria genealogia: così si tagliano le proprie radici e la confusione individualistica regnerà sovrana
Autore: Alfredo Mantovano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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IN ITALIA (PER ORA) E' VIETATO L'UTERO IN AFFITTO
Moglie e marito di Brescia condannati a cinque anni di reclusione: avevano finto che i due figli fossero loro
Autore: Viviana Daloiso - Fonte: Avvenire
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IL FUMO DI SATANA NELLA CHIESA
Lettera al direttore de La Nuova Bussola Quotidiana
Autore: Mario Palmaro - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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LA CHIESA E' TALE IN QUANTO UNITA INTORNO AL PAPA
Rispondo volentieri all'amico Mario Palmaro
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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IL NUOVO CODICE DEONTOLOGICO RENDE DIFFICOLTOSA L'OBIEZIONE DI COSCIENZA
Le rivoluzioni più pericolose sono quelle che avvengono in modo silenzioso, quasi impercettibile: ecco un esempio concreto
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: Radici Cristiane n.89 novembre 2013
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OMELIA II DOMENICA DEL TEMPO ORD. - ANNO A - (Gv 1,29-34)
Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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LA CORRIDA: STUPENDA TRADIZIONE LEGATA ALLA PASQUA
In Spagna ognuna delle 400 Plaza de Tores ha una cappella dove il torero riceve la benedizione dal prete prima di entrare nell'arena
Fonte Wikipedia
La corrida (in spagnolo corrida de toros, letteralmente corsa di tori) è un tipo di tauromachia di antica tradizione popolare, organizzata già dagli antichi Greci, Etruschi e Romani, (un tipo di corrida definito giostra dei tori era popolare, per esempio, nello Stato pontificio e si svolgeva anche nel celebre sferisterio di Macerata, senza dimenticare poi la Caccia ai Tori in Campo San Polo a Venezia) e attualmente ancora praticata in varie zone della Spagna e, in maniera spesso diversa, anche in Portogallo, nel sud della Francia e in alcuni Paesi dell'America latina come Messico, Perù, Venezuela, Ecuador, Colombia, Costa Rica, Panamá e Bolivia.
DESCRIZIONE Le regole sono più o meno definite anche se vi possono essere varie differenze da caso e caso. In genere in una corrida ci sono tre toreri e sei tori che si alternano. I tori utilizzati per una corrida provengono tutti da allevamenti specializzati (ganaderìas), la maggior parte dei quali si concentra nelle regioni dell'Andalusia e dell'Estremadura, le zone della Spagna a più forte tradizione taurina. All'inizio della corrida tutto l'insieme delle persone che verranno coinvolte escono nell'arena (paseíllo), sfilando in un corteo davanti al pubblico. Entrano per primi due alguaciles o alguacilillos, araldi a cavallo in costume del XVII secolo, che chiedono simbolicamente al presidente (unico giudice della corrida) le chiavi della porta da dove usciranno i tori. Poi i tre toreri seguiti dalle rispettive cuadrillas composte di due picadores a cavallo, tre banderilleros e gli incaricati di ritirare il corpo del toro dopo che questo sarà stato sacrificato. Ogni toreada è poi suddivisa in tre parti, i cosiddetti tercios.
1) IL TERCIO DE VARAS Nella prima parte (tercio de varas) il toro esce dalla porta del toril, recando sul dorso l'arpón de divisa, un nastro con i colori dell'allevamento, fissato a un arpioncino che gli è stato appena conficcato nel garrese. Solitamente, il toro compie un giro completo dell'arena dirigendosi alla sua destra, alla vana ricerca di una via d'uscita o per misurare lo spazio in cui ora si trova. Se il bovino appena uscito compie il giro verso sinistra, si dice che il toro ha salido contrario. Il torero ne studia le mosse, per determinarne le capacità fisiche, la rapidità dei riflessi, la direzione preferita nell'attacco e via dicendo. Per provocare le cariche del toro, egli utilizza il capote, un grande drappo di tela irrigidita e appesantita da bagni in gomma liquida. Tale drappo ha solitamente un colore rosa acceso sulla faccia esterna e giallo su quella interna. È il turno quindi dei picadores che a cavallo contengono l'assalto del toro con una lancia mentre l'animale tenta di rovesciare il pesante cavallo bardato (a volte riuscendoci). Il cavallo indossa il peto, o caparazón, una sorta di armatura trapuntata che protegge ventre e arti, e anche il picador indossa parastinchi e calzature pesantemente imbottite. Nel colpire il toro, il picador utilizza la vara de picar, una sorta di lancia costituita da un manico in legno lungo circa 180 cm e una punta in acciaio forgiata a piramide a tre lati, fornita alla base di un disco anch'esso metallico che ha la funzione di impedire la penetrazione del manico nelle carni dell'animale. La legge spagnola 4 aprile 1991 n. 10 o Ley Nacional Taurina, che regola le corride, prevede che il toro venga colpito con tale arma alla base del morrillo, cioè nel muscolo del collo, almeno due volte. Alcuni tori continuano tuttavia a caricare cavallo e cavaliere dopo aver ricevuto anche cinque o sei puyazos (cioè colpi di vara de picar); in questi casi, in genere il picador rovescia la vara e colpisce il toro con il manico di quest'ultima (regaton). A questo punto, i peones si occupano, con i capotes, di distrarre il bovino, consentendo l'uscita di scena a cavalli e cavalieri. Il tercio de varas ha un duplice obiettivo: valutare e valorizzare la reale bravura del toro, e ridurne la forza e l'ardore.
2) IL TERCIO DE BANDERILLAS A questo punto ha inizio la seconda fase, nella quale i tre banderilleros (o, in alcuni casi, il torero stesso) provocano, esclusivamente con i movimenti del proprio corpo, le cariche del toro, nel dorso del quale, in una zona situata un po' più indietro rispetto a quella colpita dai puyazos infilzano tre paia di banderillas. Le banderillas sono asticciole lignee lunghe 70 cm, coperte da nastri colorati di carta crespa e terminanti con un arpioncino in acciaio, lungo 6 cm e largo 4. Esse non penetrano in profondità nel muscolo del toro e, al contrario della vara de picar, producono ferite tutt'altro che gravi; al contrario, la loro funzione è quella di correggere eventuali difetti che il toro ha evidenziato o pure quella di rivitalizzare il toro dopo l'impegnativa prova alla picca. La Ley taurina prevede che al toro vengano conficcate nel dorso, a due a due, sei banderillas; tuttavia, se il bovino ha ricevuto molti colpi di vara, il presidente può decidere di limitarne il numero a quattro.
3) LA SUERTE SUPREMA Quando il toro ha sul dorso le banderillas e comincia a dare segni di cedimento (i bovini, a differenza dei cavalli, hanno uno scatto fulmineo ma una resistenza molto limitata, e accumulano acido lattico con molta facilità), ha inizio la fase saliente e più famosa della lidia. Il torero depone l'ampio e pesante capote e lo sostituisce con la muleta, un drappo più piccolo di flanella scarlatta, avvolto intorno a una gruccia lignea che lo mantiene disteso, in modo da poterlo impugnare con una sola mano. Nell'altra, nascosta dietro la schiena, impugna già la spada di cui si servirà per il colpo mortale. Le cariche del toro, sempre più stanco, si fanno sempre più brevi e meno decise; egli tiene la testa abbassata, perché i puyazos gli hanno danneggiato i muscoli del collo. Questo il torero lo sa bene, e sa anche che non avrebbe speranze contro un toro in grado di muovere la testa correttamente. Il compito del picador è infatti proprio questo: mettere il toro in condizioni di inferiorità, costringendolo a tenere la testa abbassata perché il torero possa conficcargli la spada tra le scapole, raggiungendone il cuore. La Ley taurina prevede che il torero uccida il toro entro il decimo minuto del tercio de muleta: se così non avviene, ovvero se il torero ha vibrato il colpo a vuoto, o raggiungendo il toro in un punto non vitale, dall'alto degli spalti viene suonato uno squillo di tromba per avvertire l'uomo che deve affrettarsi. Se entro il tredicesimo minuto il toro è ancora vivo, viene suonato un secondo avviso: il torero, a questo punto, usa di solito un estoque de descabellar, una spada più piccola con una sbarretta trasversale in prossimità della punta, per dare al toro, spesso già ferito a morte, il colpo di grazia. Ovviamente un'uccisione di questo tipo è molto meno "gradita" agli spettatori, di quando non accada quando il torero stende lo sfortunato quadrupede al primo colpo. Se il torero non dovesse ucciderlo nemmeno questa volta, allo scadere del quindicesimo minuto suona il terzo avviso: il torero ha fallito e il toro, moribondo ma vivo, verrà finito con un pugnale da uno dei peones. Il matador verrà fischiato.
LE RICOMPENSE A seconda del comportamento del torero e della qualità del toro il presidente su richiesta del pubblico può offrire al torero una, due orecchie o come massimo onore la coda, che vengono tagliate una volta che l'animale è stato ucciso. Infine il toro viene trascinato fuori dall'arena per essere macellato. Anche per il toro sono previsti dei "premi": se esso ha lottato con onore, il suo corpo sarà trascinato fuori dall'arena molto lentamente, tra gli applausi della folla. Se il toro ha combattuto in maniera esemplare, il presidente può accordare che il suo corpo venga trascinato in un giro di trionfo tutt'intorno all'arena (vuelta al ruedo), prima di essere portato in macelleria. Se il comportamento del toro in combattimento è giudicato eccezionale, può succedere (un tempo era rarissimo, oggi avviene con sempre maggiore frequenza) che si decida di salvargli la vita per farne un riproduttore, cosicché tramandi le sue caratteristiche alle generazioni successive. Tale premio è definito indulto (grazia) e costituisce il massimo premio per il toro. [...]
IL LINGUAGGIO DEI FAZZOLETTI Il presidente espone sul palco presidencial fazzoletti di diverso colore per decidere quale premio spetti al torero: un orecchio, due orecchie, orecchie e coda. Allo stesso modo, un fazzoletto azzurro accorda al toro ormai morto la vuelta al ruedo, mentre un fazzoletto arancione, esposto ovviamente prima che il torero vibri il colpo con la spada, decreta che l'animale è meritevole dell'indulto. Quest'ultimo è spesso richiesto prima dal pubblico, che manifesta la sua volontà agitando fazzoletti bianchi.
CURIOSITÀ Quasi tutti i toreros sono trafitti dalle corna almeno una volta all'anno. Belmonte (Uno dei toreri più famosi degli anni 20) fu trafitto più di 50 volte. Dei circa 125 toreri principali (dal 1700), 42 sono morti in arena, questo non include i toreri novelli, "banderilleros" e "picadores" morti. Nelle "plazas de toros" in Spagna dozzine di toreri rischiano la loro vita più volte a settimana.
Nota di BastaBugie: per leggere la storia appassionante di una ragazza italiana che amava la corrida al punto di scappare di casa a 17 anni, clicca sul link qui sotto UNA DECINA D'ANNI FA LA PRIMA TORERA ITALIANA Eva Florencia ha affermato: ''Il torero ama il suo toro'' https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3120
Fonte: Wikipedia
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SPENGI LA TV, LA FAMIGLIA RIPRENDERA' A VIVERE BENE
L'esperienza di una famiglia americana: ''Se togli la tv per un anno, poi non la accenderai mai più... ci sarà un motivo!''
Autore: Fabrizio Cannone - Fonte: Il settimanale di Padre Pio, 15/12/2013
"Alcuni mesi fa," racconta Le Figaro del 28 Febbraio, "una coppia di genitori americani si è lanciata in un'avventura incredibile: hanno deciso di svuotare la casa di tutti gli schermi in essa presenti: televisori, computer, videogiochi, iPod, smartphone, ecc. al fine di viaggiare coi loro figli nella vita reale. Gli inizi sono stati estremamente difficili per Anni, 18 anni, Bill 15 e Sussy, 14. Il trauma degli adolescenti è stato comparabile alla cura di disintossicazione seguita dai tossicodipendenti, talmente i legami di dipendenza con i vari oggetti cult erano tenaci." "Tre mesi dopo, quali erano però i risultati? I professori hanno notato comunemente un netto miglioramento dei risultati scolastici dei tre studenti, spiegabile per 3 ragioni: anzitutto, la capacità di attenzione dei ragazzi si era sviluppata in modo spettacolare. In seguito, la scomparsa dei vari schermi ha ridotto drasticamente le quotidiane perdite di tempo, dando loro più libertà per lo studio e il vero riposo. Infine, i 3 studenti erano meno affaticati durante le lezioni a scuola. Infatti gli studi scientifici hanno dimostrato perchè l'abuso di Tv disturba il sonno e genera una cronica fatica. La madre dei 3 è stata assai contenta di questa esperienza." Non avendo più computer in casa, ha annotato con la biro su un diario le conseguenze dell'esperimento: "I ragazzi sono diventati capaci di leggere per delle ore e non solo per alcuni minuti; ed anche di avere delle conversazioni più lunghe con gli adulti e di programmare la loro giornata al di là del momento presente. Uno di loro ha ripreso con passione lo studio dello strumento musicale, un altro che lasciava la stanza peggio di un porcile ora ha ritrovato il senso dell'ordine, e la terza si è messa a cucire e a scrivere un romanzo". La vita di famiglia è stata radicalmente cambiata dall'esperimento. "Siamo adesso più vicini gli uni agli altri" afferma il maggiore dei figlioli. Per esempio ora nessuno fugge da tavola per non perdersi la trasmissione del cuore, ma ci si attarda a cena per parlare e discutere. Inoltre i giovani hanno ricominciato a frequentare i loro amici, incontrandoli realmente: alcuni studi dimostrano che i neuroni dedicati ai rapporti umani degli individui che sono cresciuti con le nuove tecnologie sono spesso sottosviluppati, così che si registrano delle carenze in certi attitudini sociali come l'ascolto attento e comprensivo del prossimo. Aggiungiamo un ultimo beneficio a questa esperienza originale e non-conformista. Se vogliamo dedicarci ad una attività intellettuale profonda, e più ancora se vogliamo elevare la nostra anima verso Dio nella preghiera e nella meditazione, è certamente indispensabile collocarsi nella vera vita, cioè spegnere i vari schermi della casa, radio e telefonini. Questa è la condizione necessaria per ogni vita interiore degna di questo nome. Le nuove tecnologie hanno creato una umanità spiritualmente impoverita poiché l'uomo non riesce più ad esserne il padrone. E vivendo alla superficie dell'anima, sempre a caccia di segnali sul cellulare e sul web, l'uomo è diventato incapace di concentrarsi e di raccogliersi per alcuni minuti. Così l'essere umano ignora il senso profondo di parole e concetti come meditazione e contemplazione. Solo il cristiano autentico che riesce ogni giorno a separarsi da questi apparecchi per elevare il suo sguardo al cielo, nel silenzio interiore, è capace di condurre una vita veramente umana. Essendo dominatore delle macchine, la sua anima è libera. E con la grazia di Cristo potrà perfino divenire un santo. Ed allora spiegherà agli altri che si deve qualificare come barbaro e decadente quel popolo che è incapace di dominare la tecnologia senza esserne dominato. Non diciamo d'altra parte che questi apparecchi siano intrinsecamente perversi. Ricordiamo soltanto che la relazione che unisce l'uomo alla macchina è paragonabile a quella che unisce il padrone al proprio animale domestico. Come qualificare l'uomo che è diventato schiavo del proprio cagnolino? Questa situazione ridicola e drammatica si ritrova spesso tra i giovani, anche senza che se ne rendano conto. Se il domatore del circo è dominato dalla tigre, allora è in pericolo di morte. Se l'essere intelligente di natura razionale è dominato in qualche modo dalla macchina, al punto da non riuscire a privarsene né per un giorno, né a volte per un'ora, allora è spiritualmente in pericolo di morte. E' urgente in tal caso prendere misure drastiche e radicali. Che san Giuseppe ce ne dia la forza!" Sin qui l'ottimo articolo di don Lacoste [Abbè Bernard de Lacoste pubblicato sul bollettino "Lettre aux amis et bienfaiteurs de l'ecole st. Bernard de courbevoie" (avril 2013, pp.1-2)]. Che aggiungere da parte nostra? [...] Ribadiamo un concetto: esistono ottimi film, non c'è nulla di male nel vedere una partita di calcio o di tennis e certi documentari storici e geografici sono davvero magnifici. Ma non sta in queste trasmissioni il problema. Il problema è nella Tv come essa è e come funziona: sempre a portata di mano (grazie al telecomando), sempre in funzione giorno e notte, stracolma di pubblicità e di tentazioni di ogni genere, quasi sempre dominata da laicisti puri e duri che allontanano da Dio e dalla fede. Ma se la Tv avesse solo canali come Tele Pace? Rispondo: Anzitutto non è assolutamente così quindi il ragionamento è puramente astratto. Se esistono buoni canali, essi sono circa l'1% dei canali esistenti. Bisogna poi dire che lo strumento televisivo anche se non avesse contro-indicazioni morali, sarebbe pericoloso. Il pericolo è quello di dividere la famiglia: 4 individui chiusi in 4 camere, ognun per sè. Oppure, silenzio a tavola, perché parla la Tv! Quanti bambini sono stati traviati da un Tg: lo dice la Tv quindi deve essere vero!!! Assioma: tanta Tv, poca preghiera; media Tv media preghiera; nulla Tv, molta preghiera, letture, formazione intellettuale e morale, dialogo in famiglia, passeggiate e attività fisica. 3 consigli. Ai coraggiosi dico: fate l'esperienza della famiglia americana e poi, magari dopo un anno, fate un rendiconto, alla luce della fede e della ragione. Non ve ne pentirete! Ai meno coraggiosi, che si credono o molto forti (per non cadere in tentazione a causa della Tv) o troppo deboli per credere di riuscire a non vederla per una settimana: iniziate riducendo drasticamente i tempi televisivi. Ottimo sarebbe darsi un tempo col cronometro: per un mese, solo 2 ore e neppure un minuto di più. Poi una sola ora. Poi... Ai sacerdoti e ai religiosi: è troppo grande il rischio collegato al telecomando in mano che fareste bene a prendere il televisore e gettarlo, oggi stesso, nel cassone di zona. Dio vede tutto e tutto premia. Il grande don Divo Barsotti ha fatto scrivere nelle costituzioni della sua Opera che nelle loro case non entri la Tv. Seguiamo i santi.
Nota di BastaBugie: sullo stesso argomento si può leggere l'articolo che abbiamo pubblicato la settimana scorsa I DANNI DELLA TV La Tv esige un solo atto di coraggio: quello di spegnerla! https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3101
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, 15/12/2013
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IL COGNOME MATERNO AL FIGLIO? ECCO COMPLETATA LA DISTRUZIONE DELLA FAMIGLIA
Sarà difficile ricostruire la propria genealogia: così si tagliano le proprie radici e la confusione individualistica regnerà sovrana
Autore: Alfredo Mantovano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 09/01/2014
C'è una bella dose di ideologia a fondamento della sentenza con la quale il 7 gennaio la Cedu – la Corte europea dei diritti dell'uomo – ha dato torto all'Italia nella controversia sul cognome dei figli avviata dai coniugi Cusan e Fazzo. E, come sempre accade quando l'ideologia prevale sul diritto, chi ne fa le spese è la coerenza; la coerenza quanto al merito del provvedimento, alle conseguenze sull'ordinamento, ai commenti formulati. Non va trascurato, in premessa, che l'ordinamento italiano permette, quando sono noti e certi entrambi i genitori, di attribuire al figlio il cognome di entrambi. In applicazione di tale disciplina, come è ricordato al § 22 della stessa sentenza Cedu del 7 gennaio, il prefetto di Milano, competente per territorio, nel dicembre 2012 aveva autorizzato i ricorrenti ad adoperare per i loro figli il doppio cognome. Tutto risolto, quindi? Neanche per sogno: l'oggetto del contendere è stata la volontà del padre e della madre di attribuire ai loro figli non il cognome di entrambi, bensì esclusivamente quello della madre. Se il problema fosse stato – come da echi mediatici – garantire la parità tra i coniugi, la Corte avrebbe potuto auspicare una procedura più snella, senza necessità di un provvedimento del prefetto. Ma evidentemente non era così. La Cedu ha richiamato due norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo a sostegno della propria decisione: l'articolo 14, che vieta le discriminazioni – in tal caso fondate sul sesso –, e l'articolo 8, che vieta l'ingerenza dell'autorità pubblica nelle decisioni che appartengono alla sfera privata della famiglia. Nel caso concreto, la discriminazione è consistita, secondo la Corte, nell'essersi lo Stato italiano intromesso nella scelta del cognome dei figli, che appartiene alla libertà dei coniugi. La Corte ha conferito quindi una prospettiva privatistica a quel dato individuante e nominalmente unificante una famiglia e chi ne fa parte, rappresentato dal cognome: e ha negato a esso qualsiasi pur tenue rilievo pubblicistico. Peccato che un simile orientamento non valga sempre: non si ha notizia di un intervento della Corte di fronte all'ingerenza di alcuni Tribunali italiani e di taluni Tribunali per i minorenni – una ingerenza effettiva, concreta, materiale – in tema di idoneità all'adozione, o di riconosciuta inadeguatezza a svolgere il ruolo di genitori. Si provi a leggere le motivazioni di certi provvedimenti con i quali i figli vengono sottratti a chi li ha generati, o non sono dati a chi li ha chiesti in adozione, e a cogliere i parametri di riferimento di tali decisioni, che troppo spesso corrispondono alle opinioni di chi le prepara – gli assistenti sociali – o di chi le assume – i giudici minorili –, piuttosto che a norme oggettive: qui vi è o non vi è ingerenza nelle scelte familiari, provocata da pregiudizi di ordine in senso lato culturale? Qui la dimensione privatizzante cede il passo a un pesante condizionamento pubblico. Proprio perché in mezzo vi è l'ideologia, il richiamo privatistico appare più propriamente individualistico e, volendo adoperare i termini corretti, veterofemminista: il figlio – come l'utero del post 68 – è mio e lo gestisco io, fin dall'attribuzione del cognome. L'uomo è qualcosa di così secondario da non poter lasciare traccia, mentre la nominale unità familiare è un orpello della tradizione, in quanto tale da cancellare. La carica simbolica della sentenza del 7 gennaio è esattamente questa. Vi è pure un profilo pratico. Nel lungo iter giudiziario che li ha portati fino alla Cedu, i coniugi Cusan e Fazzo hanno agito di comune accordo. Il principio affermato dalla sentenza non presuppone però sempre e comunque unità di vedute fra padre e madre. Ergo, la sentenza ha introdotto una nuova occasione di contenzioso che non semplificherà i rapporti all'interno delle famiglie; è vero che la serenità o la crisi in una famiglia dipende da questioni più importanti ma, avendo qualche anno fa assistito personalmente alla separazione di una coppia di amici per un litigio sul nome da dare al loro figlio, mi domando se sia il caso di aggiungere qualche pretesto in più. E comunque quando sorge disaccordo sul cognome e si ricorre al giudice, non si giunge a un risultato opposto a quello affermato dalla Corte? Il giudice, decidendo quale dovrà essere il cognome, eserciterà una ingerenza nella vita familiare! Senza dire che, raggiunta la maggiore età, lo stesso figlio potrà a sua volta scegliere per sé il cognome che più gli aggrada, modificando la decisione dei genitori: perché negarglielo? Se fra i criteri ispiratori della Corte vi è la non discriminazione, vogliamo introdurre una discriminazione per età proprio nei confronti del titolare del cognome? Un'ultima considerazione, sempre all'insegna della coerenza. Nel giudizio davanti alla Cedu, lo Stato italiano si è costituito e ha difeso il nostro ordinamento, opponendosi alle richieste dei ricorrenti; lo ha fatto su precisa indicazione del governo, all'inizio del 2013, con una articolata esposizione delle ragioni contrarie al ricorso presentato. La posizione del governo italiano in questa controversia è stata peraltro condivisa dal giudice della Corte Dragoljub Popovic, che ha votato contro la sentenza e ha redatto una dissenting opinion. Peccato che il Presidente del Consiglio abbia commentato la sentenza col seguente tweet: "La corte di Strasburgo ha ragione. Adeguare in Italia le norme sul cognome dei nuovi nati è un obbligo". Scusi Presidente Letta, ma se questo è il suo pensiero, perché il governo da lei guidato, e anche il precedente, hanno così motivatamente – e, a mio avviso, giustamente – resistito al ricorso Cusan-Fazzo?
DOSSIER "IL COGNOME DEL PADRE" Solido fondamento della famiglia Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 09/01/2014
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IN ITALIA (PER ORA) E' VIETATO L'UTERO IN AFFITTO
Moglie e marito di Brescia condannati a cinque anni di reclusione: avevano finto che i due figli fossero loro
Autore: Viviana Daloiso - Fonte: Avvenire, 27/11/2013
Condannati. Per una pratica che la legge italiana vieta, categoricamente, e che loro erano andati a fare all'estero, pensando di poter aggirare l'ostacolo. Niente di clamoroso, se si fosse trattato di una vicenda fiscale o finanziaria. Ma la pratica in questione è quella dell'utero in affitto, ed ecco allora che giornali, trasmissioni televisive e persino qualche associazione urlano allo scandalo, chiamando «vittime» i colpevoli e giustificando come il più naturale dei gesti quello di far partorire un bambino a un'altra donna per poi chiamarlo figlio, registrandolo come tale una volta arrivati in Italia. In ogni caso, se ce ne fosse stato bisogno – ma evidentemente ce n'era – ieri il tribunale di Brescia ha riportato la questione alla realtà. I giudici hanno condannato a cinque anni e un mese, per alterazione dello stato civile, una coppia di Iseo (Brescia) che ha fatto nascere in Ucraina due gemelli con fecondazione eterologa (attraverso l'impianto del seme dell'uomo nell'ovulo di una donna ucraina) e con il suo utero in affitto. L'esame del Dna, almeno, ha stabilito che i due bambini sono effettivamente figli dell'uomo, un cinquantenne bresciano. Che padre, dunque, è diventato davvero. Ma non della moglie, anche lei bresciana. Peccato che nel corso del processo la coppia abbia sempre negato la tesi della Procura di Brescia, con la donna che ripetutamente ha dichiarato di aver partorito lei i due bambini, nati in Ucraina nel maggio del 2011. La madre dei due gemelli, tra l'altro, è stata anche sottoposta a una perizia medico legale per la presenza di un taglio addominale che per la donna sarebbe il segno del parto cesareo. I medici non sono stati in grado di stabilirne l'effettiva natura e il Tribunale ha trasmesso gli atti del processo alla Procura per capire se un medico possa aver favorito la coppia nel compiere il reato, simulando addirittura un finto parto. Ora la palla passa al tribunale di Cremona, dove sul banco degli imputati è finita un'altra coppia (stavolta di Crema) cui è già stato tolto un bambino di un anno e mezzo partorito con la stessa tecnica, sempre in Ucraina, ma probabilmente anche con un seme diverso da quello del padre. Un figlio comprato, insomma, in nome di un diritto che in Italia – per fortuna – non esiste.
Fonte: Avvenire, 27/11/2013
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IL FUMO DI SATANA NELLA CHIESA
Lettera al direttore de La Nuova Bussola Quotidiana
Autore: Mario Palmaro - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08/01/2014
Caro direttore, ho letto il tuo editoriale del 3 gennaio - "Renzi, se questo è il nuovo che avanza" - e non posso che condividere la tua analisi sulla figura del nuovo segretario del Pd, sulla sua furbizia disinvolta, sul suo trasformismo, sulle contraddizioni inevitabili tra il suo dirsi cattolico e il promuovere cose che contrastano non solo con il catechismo ma con la legge naturale. Aggiungo i miei complimenti per quello che fai da tempo con la Bussola su questa frontiera dell'offensiva omosessualista e non voglio rimproverarti nulla. Però avverto la necessità di scrivere a te e ai lettori ciò che penso. In tutta sincerità: ma il nostro problema è davvero Matteo Renzi? Cioè: noi davvero potevamo aspettarci che uno diventa segretario del Partito democratico, e poi si mette a difendere la famiglia naturale, la vita nascente, a combattere la fecondazione artificiale e l'aborto, a contrastare l'eutanasia? Ma, scusate lo avete presente l'elettorato del Pd, cattolici da consiglio pastorale, suore e parroci compresi? Secondo voi, quell'elettorato che cosa vuole da Renzi? Ma è ovvio: i matrimoni gay e le adozioni lesbicamente democratiche. Ma, scusate, avete mai ascoltato in pausa pranzo l'impiegato medio che vota a sinistra? Secondo voi, vuole la difesa del matrimonio naturale o vuole le case popolari per i nostri fratelli omosessuali, così orribilmente discriminati? Smettiamola di credere che il problema siano Niki Vendola o i comunisti estremisti brutti e cattivi, e che l'importante è essere moderati: qui i punti di riferimento dell'uomo medio sono Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, le coop e Gino Strada, Enzo Bianchi ed Eugenio Scalfari. Renzi mette dentro nel suo frullatore questi ingredienti essenziali del suo elettorato, miscelandoli con dosi omeopatiche di don Ciotti e don Gallo, e il risultato è il beverone perfetto che tiene insieme la parrocchietta democratica e l'Arcigay. Aspettarsi qualche cosa di diverso da lui sarebbe stupido. Lo scandalo, scusate, è un altro. Di fronte a Renzi che fa il Segretario del Pd e strizza l'occhio ai gay, lo scandalo è ascoltare gli esponenti del Nuovo Centro Destra che dicono: "Le unioni civili non sono delle priorità del governo". Capite bene? Non è che l'NCD salta come una molla e intima: noi queste unioni non le voteremo mai. No: dice che non sono una priorità. Uno incontra Hitler che dice: voglio costruire le camere a gas, e che cosa gli risponde: "Adolf, ma questa non è una priorità". Facciamole, facciamole pure, ma con calma. Ho visto al Tg1 il cattolico ministro Lupi che spiegava la faccenda. Volto imbarazzatissimo, l'occhio terrorizzato di uno che pensa (ma posso sbagliarmi): mannaggia, mi tocca parlare di principi non negoziabili e di gay, adesso mi faranno fare la stessa fine di Pietro Barilla, mi toccherà lasciare il mio ministero così strategico e così importante, con il quale posso fare tanto bene al mio Paese. E al mio movimento. Ed eccolo rifugiarsi, Lupi come tutti gli altri cuor di leone del partito di Angiolino e della Roccella, nella famosa faccenda delle priorità: no, le unioni civili non sono una priorità. Palla in calcio d'angolo, poi dopo vediamo. Ovviamente poi c'è il peggio: allo stesso Tg1 c'era Scelta Civica che intimava: dobbiamo difendere i diritti delle persone omosessuali. Scelta civica… credo si tratti di quello stesso partito che fu costruito a furor di Todi 1 e Todi 2, e che i vescovi italiani avevano eretto a nuovo baluardo dei valori non negoziabili dietro la cattolicissima leadership di Mario Monti. Poi c'è il peggio del peggio, e nello stesso Tg c'era una tizia di Forza Italia che trionfante annunciava che loro avrebbero miscelarlo le loro proposte sui diritti dei gay con quelle di Renzi. Ho udito qualche rudimentale rullo di tamburo contro le unioni civili dalle parti della Lega di Salvini, flebilmente da Fratelli d'Italia. Punto. No, caro direttore, il mio problema non è Matteo Renzi. Il mio problema è la Chiesa cattolica. Il problema è che in questa vicenda, in questo scatenamento planetario della lobby gay, la Chiesa tace. Tace dal Papa fino all'ultimo cappellano di periferia. E se parla, il giorno dopo Padre Lombardi deve rettificare, precisare, chiarire, distinguere. Prego astenersi dal rispolverare lettere e dichiarazioni fatte dal Cardinale Mario Jorge Bergoglio dieci anni fa: se io oggi scopro mio figlio che si droga, cosa gli dico: "vai a rileggerti la dichiarazione congiunta fatta da me e da tua madre sei anni fa in cui ti dicevamo di non drogarti"? O lo prendo di petto e cerco di scuoterlo, qui e ora, meglio che posso? Caro direttore, in questa battaglia, dov'è la conferenza episcopale, dove son i vescovi? Silenzio assordante. Anzi, no: monsignor Domenico Mogavero - niente meno che canonista, vescovo di Mazara del Vallo ed ex sottosegretario della Cei - ha parlato, eccome se ha parlato: "La legge non può ignorare centinaia di migliaia di conviventi: senza creare omologazioni tra coppie di fatto e famiglie, è giusto che anche in Italia vengano riconosciute le unioni di fatto". Per Mogavero, "lo Stato può e deve tutelare il patto che due conviventi hanno stretto fra loro. Contrasta con la misericordia cristiana e con i diritti universali - osserva - il fatto che i conviventi per la legge non esistano. Oggi, se uno dei due viene ricoverato in ospedale, all'altro viene negato persino di prestare assistenza o di ricevere informazioni mediche, come se si trattasse di una persona estranea". Conclude il vescovo: "Mi pare legittimo riconoscere diritti come la reversibilità della pensione o il subentro nell'affitto, in virtù della centralità della persona. E' insostenibile - sottolinea Mogavero - che per la legge il convivente sia un signor Nessuno". E per la Chiesa, sul cui tema è stata già invitata a riflettere da papa Francesco, in vista del Sinodo straordinario sulla famiglia, "senza equipararle alle coppie sposate, non ci sono ostacoli alle unioni civili". Amen. Capisci, caro direttore? Fra poco prenderanno mio figlio di sette anni e a scuola lo metteranno a giocare con i preservativi e i suoi genitali, e la Chiesa di che cosa mi parla? Dei barconi che affondano a Lampedusa, di Gesù che era un profugo, di un oscuro gesuita del '600 appena beatificato. No, il mio problema non è Matteo Renzi. Caro direttore, dov'è in questa battaglia l'arcivescovo di Milano Angelo Scola? Fra poco ci impediranno di dire e di scrivere che l'omosessualità è contro natura, e Scola mi parla del meticciato e della necessità di comprendere e valorizzare la cultura Rom. E' sempre l'arcivescovo di Milano che qualche settimana fa ha invitato nel nostro duomo l'arcivescovo di Vienna Schoenborn: siccome in Austria la Chiesa sta scomparendo, gli hanno chiesto di venire a spiegare ai preti della nostra diocesi come si ottiene tale risultato, qual è il segreto. Del tipo: questo allenatore ha portato la sua squadra alla retrocessione, noi lo mettiamo in cattedra a Coverciano. E guarda la coincidenza, fra le altre cose: Schoenborn - che veste il saio che fu di San Domenco e di Tommaso d'Aquino - è venuto a spiegare ai preti ambrosiani che lui è personalmente intervenuto per proteggere la nomina in un consiglio parrocchiale di due conviventi omosessuali. Li ha incontrati e, dice Shoenborn, "ho visto due giovani puri, anche se la loro convivenza non è ciò che l'ordine della creazione ha previsto". Ecco, caro direttore, questa è la purezza secondo un principe della Chiesa all'alba del 2014. E il mio problema dovrebbe essere Matteo Renzi e il Pd? Prenderanno mio figlio di sette anni e gli faranno il lavaggio del cervello per fargli intendere che l'omosessualità è normale, e intanto il mio arcivescovo invita in duomo un vescovo che mi insegna che due gay conviventi sono esempi di purezza? E vado a finire. Matteo Renzi che promuove le unioni civili è il prodotto fisiologico di un Papa che mentre viaggia in aereo si fa intervistare dai giornalisti e dichiara: "Chi sono io per giudicare" eccetera eccetera. Ovviamente, lo so anche io che non c'è perfetta identità fra le due questioni, che il Papa é contrario a queste cose e che certamente ne soffre, e che è animato da buone intenzioni. Però i fatti sono fatti. A fronte di quella frasetta epocale in bocca a un papa -- "chi sono per giudicare" - ovviamente si possono scrivere vagonate di articoli correttivi e riparatori, cosa che le truppe infaticabili di normalisti hanno fatto e stanno facendo da mesi per spiegare che va tutto ben madama la marchesa. Ma tu ed io sappiamo bene, e lo sa chiunque conosca i meccanismi della comunicazione, che quel "chi sono io per giudicare" è una pietra tombale su qualunque combattimento politico e giuridico nel campo del riconoscimento dei diritti degli omosessuali. Se fossimo nel rugby, ti direi che ha guadagnato in pochi secondi più metri a favore della lobby gay quella frasetta di Papa Francesco, che in decenni di lavoro tutto il movimento omosessualista mondiale. Ti dico anche che vescovi come Mogavero, all'ombra di quella frasetta sul "chi sono io per giudicare" possono costruire impunemente castelli di dissoluzione, e a noi tocca solo tacere. Intendiamoci: sarebbe da stolti imputare al Papa o alla Chiesa la colpa che gli stati di tutto il mondo stiano normalizzando l'omosessualità: questa marea montante è inarrestabile, non si può fermarla. La ragione è semplice: Londra e Parigi, New York e Roma, Bruxelles e Berlino sono diventate una gigantesca Sodoma e Gomorra. Il punto però è se questo noi lo vogliamo dire e lo vogliamo contrastare e lo vogliamo denunciare, oppure se vogliamo fare i furbi e nasconderci dietro il "chi sono io per giudicare". Il punto è se anche Sodoma e Gomorra planetari debbano essere trattati con il linguaggio della misericordia e della comprensione. Ma allora, mi chiedo, perché non riservare la stessa misericordia anche ai trafficanti di armi chimiche, agli schiavisti, agli speculatori finanziari? Sono poveri peccatori anche loro? O no? O devo chiedere a Schoenborn di incontrarli a pranzo e di valutare la loro purezza? Caro direttore, la situazione ormai è chiarissima: qualsiasi politico cattolico o intellettuale o giornalista che anche volesse combattere sulla frontiera omosessualista, si troverà infilzato nella schiena dalla mistica della misericordia e del perdono. Siamo tutti totalmente delegittimati, e qualsiasi vescovo, prete, teologo, direttore di settimanale diocesano, politico cattolico-democratico può chiuderci la bocca con quel "chi sono io per giudicare". Verrebbe impallinato da un Mogavero qualsiasi come un fagiano da allevamento in una battuta di caccia. Caro direttore, il nostro problema non è Matteo Renzi. Il nostro, il mio problema è che l'altro giorno il Santo Padre ha detto che il Vangelo "non si annuncia a colpi di bastonate dottrinali, ma con dolcezza." Anche qui, prego astenersi normalisti e perditempo: lo so anche io che effettivamente il Vangelo si annuncia così - a parte il fatto che Giovanni il Battista aveva metodi suoi piuttosto bruschi, e nostro Signore lo definisce "il più grande fra i nati di donna" – ma tu sai benissimo che con quella frasetta siamo, tu ed io, tutti infilzati come baccalà. Tu ed io che ci siamo battuti e ci battiamo contro l'aborto legale, contro il divorzio, contro la fivet, contro l'eutanasia, contro le unioni gay, e contro i politici furbi come Matteo Renzi che quella roba la promuovono e la diffondono. Ecco, tu ed io siamo, irrimediabilmente, dei randellatori di dottrina, della gente senza carità, degli eticisti, degli "iteologi" dice qualche giornalista di cielle. E fenomeni come La Bussola e come Il Timone sono esemplari anacronistici di questa mancanza di carità, di questo rigore morale impresentabile. E non basteranno gli sforzi quotidiani e titanici dei normalisti per sottrarre queste testate alla delegittimazione da parte del cattolicesimo ufficiale, perché tutti gli esercizi di equilibrismo e di tenuta dei piedi in due staffe si concludono sempre, prima o poi, con un tragico volo nel vuoto. Penso anche che il problema – scusa il fatto personale - non siano Gnocchi e Palmaro, brutti sporchi e cattivi, che sul Foglio hanno scritto quello che hanno scritto: io lo riscriverei una, dieci, cento mille volte, perché purtroppo tutto si sta compiendo nel modo peggiore, molto peggiore di quanto noi stessi potessimo prefigurare. Ecco, caro direttore, perché il mio problema, e il problema tuo, dei cattolici e della gente semplice, non è Matteo Renzi. Il problema è nostra Madre la Chiesa, che ha deciso di mollarci nella giungla del Vietnam: gli elicotteri sono ripartiti e noi siamo rimasti giù, a farci infilzare uno dopo l'altro dai vietcong relativisti. Per me, non mi lamento, per le ragioni che sai. E poi perché preferisco mille volte essere rimasto qui, ad aspettare i vietcong, piuttosto che salire su quegli elicotteri. Magari con la promessa in contropartita di uno strapuntino in qualche consulta clericale tipo Scienza e Vita, o con l'illusione di tessere la tela dentro nel palazzo del potere ufficiale insieme a tutti gli altri movimenti ecclesiali. O con la pazza idea – scritta nero su bianco - che, sì, Gnocchi e Palmaro magari c'hanno ragione ma non dovevano dirlo, perché certe verità non vanno dette, anzi vanno addirittura negate pubblicamente per confondere il nemico. No, io non mi lamento per me. Mi rimane però il problema di quel mio figlio di sette anni e di altri tre già più grandi, ai quali io non voglio e non posso dare come risposta i barconi che affondano a Lampedusa, i gay esempio di purezza del cardinale Shoenborn, il meticciato e l'elogio della cultura rom del cardinale Scola, il disprezzo per le randellate dottrinali secondo Papa Francesco, Mogavero che fa l'elogio delle unioni civili. A questi figli non posso contare la favola che il problema si chiama Matteo Renzi. Che per lui, fra l'altro, bastano dieci minuti ben fatti di Crozza. Caro direttore, caro Riccardo, perché mai ti scrivo tutte queste cose? Perché questa notte non ci ho dormito. E perché io voglio capire – e lo chiedo ai lettori della Bussola - che cosa deve ancora accadere in questa Chiesa perché i cattolici si alzino, una buona volta, in piedi. Si alzino in piedi e si mettano a gridare dai tetti tutta la loro indignazione. Attenzione: io mi rivolgo ai singoli cattolici. Non alle associazioni, alle conventicole, ai movimenti, alle sette che da anni stanno cercando di amministrare conto terzi i cervelli dei fedeli, dettando la linea agli adepti. Che mi sembrano messi tutti sotto tutela come dei minus habens, eterodiretti da figure più o meno carismatiche e più o meno affidabili. No, no: qui io faccio appello alle coscienze dei singoli, al loro cuore, alla loro fede, alla loro virilità. Prima che sia troppo tardi. Questo ti dovevo, carissimo Riccardo. Questo dovevo a tutti quelli che mi conoscono e hanno ancora un po' di stima per me e per quello che ho rappresentato, chiedendoti scusa per aver abusato della pazienza tua e dei lettori.
Nota di BastaBugie: per leggere la risposta di Riccardo Cascioli, direttore de La nuova Bussola Quotidiana, clicca qui sotto LA CHIESA E’ TALE IN QUANTO UNITA INTORNO AL PAPA
Rispondo volentieri all’amico Mario Palmaro https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3109
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08/01/2014
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LA CHIESA E' TALE IN QUANTO UNITA INTORNO AL PAPA
Rispondo volentieri all'amico Mario Palmaro
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08/01/2014
Caro Mario, ti ringrazio di questa lettera, che pubblico volentieri malgrado tu avessi qualche dubbio, anzitutto perché sei un amico che stimo e, secondo, perché mi permette di fare chiarezza sulle questioni di fondo che poni e che sono centrali anche per la missione de La Nuova BQ. Preciso subito due aspetti per me secondari, per poi passare al nodo della questione. Primo: non ho mai detto che noi abbiamo un problema Renzi, al massimo Renzi sarà un problema per chi lo vota. Se ho scritto di Renzi è per due motivi: siamo un quotidiano e seguiamo le notizie giorno per giorno, non c'è dubbio che in questi giorni le proposte politiche del leader Pd siano la principale notizia politica; inoltre molti cattolici sono affascinati da questa figura emergente, ed era bene puntualizzare che per quello che ci sta a cuore non c'è proprio nulla di nuovo nel suo programma, rispetto ai classici temi della sinistra. E, come già detto chiaramente, i princìpi non negoziabili sono parte del Magistero della Chiesa e non sono soggetti a mode pastorali. Seconda questione: non credo sia corretto fare di ogni erba un fascio per quel che riguarda sia i politici sia i vescovi. Se la legge sull'omofobia è stata frenata è anche perché alcuni deputati e senatori del centro-destra si sono spesi senza riserve. Questo mi sembra giusto riconoscerlo, così come si nota che tanti politici che ci tengono a definirsi cattolici lavorano per il "nemico". Inoltre sulle proposte di Renzi c'è anche chi dal Nuovo Centro Destra ha detto parole chiare. Poi vedremo a conti fatti a cosa sarà stata data la priorità. Anche il panorama dei vescovi non è tutto uguale: senza fare nomi, sappiamo che alcuni vescovi italiani in questi giorni hanno detto parole chiare su unioni civili e unioni tra persone dello stesso sesso, anche se la stragrande maggioranza di loro ignora la questione e diversi altri esprimono posizioni in aperto contrasto col Magistero, come del resto ieri non abbiamo mancato di rilevare. Parlando di vescovi, entriamo però subito nella vera questione che la tua lettera pone, ovvero la Chiesa. Una Chiesa ormai in ritirata davanti all'ideologia mondana, di cui questa ondata omosessualista è l'aspetto oggi più eclatante e invasivo; una Chiesa che parla di altro mentre si sta distruggendo l'uomo nella sua essenza, l'essere fatto a immagine e somiglianza di Dio. Il vero nemico è dentro, tu dici, la Chiesa trema alle fondamenta; e tale pensiero diventa insopportabile pensando al futuro dei tuoi figli. Ci sono molte cose vere in ciò che dici, caro Mario, e sai che anche La Bussola non è tenera con certi personaggi e certe idee. Ma credo anche che alla tua descrizione manchi una parte, quella più importante. Ovvero la certezza che a guidare la Chiesa è Cristo, che la Chiesa non è opera di uomini anche se l'opera degli uomini è indispensabile. Solo questa certezza ci rende liberi e lieti pur davanti ai problemi enormi che ci sovrastano, solo questa convinzione vissuta ci dà la forza di sostenere una battaglia impari dove il fuoco amico è diventato più pericoloso di quello nemico. Del resto che nella Chiesa le cose vadano a rovescio non lo scopriamo certo noi. Ad affermarlo con molta chiarezza fu Paolo VI in quella famosa omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo del 1972: «Da qualche fessura il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio… Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio». E qualche anno dopo - settembre 1977, pochi mesi prima di morire – al suo amico Jean Guitton aggiungeva: «Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico». Ma Paolo VI non finisce qui, in questa descrizione scoraggiante. Nel prevedere che questo «pensiero non cattolico» nella Chiesa diventi maggioritario, aggiunge però: «Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia». Il pensiero della Chiesa è quello del Magistero, è quello del Catechismo, non importa quanti continueranno a seguirlo. A noi è chiesto soltanto questo. Non importa se gli elicotteri sono partiti e ci hanno lasciati lì in balia dei vietcong, per stare alla tua metafora, noi sappiamo solo che dobbiamo fare bene il lavoro a cui siamo stati chiamati perché è a Lui che alla fine – prima o dopo – dovremo rendere conto. Come diceva Benedetto XVI nell'enciclica Spe Salvi il pensiero del Giudizio Finale dovrebbe sempre accompagnarci, non per metterci paura ma per sostenerci e consolarci. Non esiste un popolo cattolico chiamato a ribellarsi contro i suoi governanti indegni – e dopo la ribellione cosa si fa? –, esiste una sola Chiesa fatta di peccatori e traditori ma resa santa dalla guida di Cristo, e dove tutti - dal Papa all'ultimo dei battezzati - sono chiamati alla conversione. E la Chiesa è tale in quanto unita intorno al Papa. Certo, si può anche sentire di non avere quella sintonia con il Pontefice che sarebbe auspicabile; certo, le scelte pastorali possono anche essere discusse, e si può mostrare perplessità davanti a indirizzi e nomine. Ma sempre avendo ben presente che il Papa non è il presidente della Repubblica, rappresenta Cristo ed è per questo che lo seguiamo. L'unità della Chiesa è il bene supremo, e l'unità si fa intorno al Papa, che è infallibile nel definire la verità rivelata: «Il Papa non può errare nell'insegnarci le verità rivelate da Dio», diceva il Catechismo di San Pio X, e questo è anzitutto quello che conta. La storia della Chiesa ci insegna che nei secoli sono stati in tanti ad avere ragione contro la mondanità di vescovi e papi (certi atteggiamenti non sono nati oggi), ma chi ha privilegiato le proprie ragioni rispetto all'unità ha solo provocato disastri, si è perso e ha fatto perdere molti altri. Chi invece si è sacrificato per l'unità della Chiesa, ha trovato poi valorizzate anche le sue ragioni. Nelle prossime settimane avremo modo di tornare su alcuni aspetti dell'attuale pontificato, però è anzitutto importante evitare di giudicarlo dagli articoli di Repubblica, Corriere, Avvenire e così via. Lo so anch'io che quello che passa nell'opinione pubblica sono i titoli dei giornali mentre i discorsi, le omelie, i documenti non li legge nessuno (o quasi), però credo che il nostro sforzo sia anzitutto quello di presentare con chiarezza i contenuti veri dei suoi interventi. E' quello che La Nuova BQ cerca di fare sistematicamente. Poi si potrà discutere di un passaggio o di una affermazione, si potrà anche esprimere perplessità su certi contenuti, ma almeno che sia su ciò che il Papa ha veramente detto e non su quello che altri decidono di fargli dire. Caro Mario, possiamo ben convenire sul fatto che la situazione della Chiesa è drammatica e le cose volgono al peggio, ma la certezza di cui sopra fa sì che l'arma principale per "reagire" non sia quella della pubblica indignazione, quanto quella della preghiera e della penitenza. Come disse Benedetto XVI nel famoso discorso al mondo della cultura francese nel 2008, parlando dell'esperienza del monachesimo benedettino, «nella confusione dei tempi» l'unico obiettivo deve essere «quaerere Deum, cercare Dio». Tutto il resto ci verrà dato di conseguenza.
Nota di BastaBugie: per leggere la lettera che Mario Palmaro ha scritto a Riccardo Cascioli, clicca qui sotto IL FUMO DI SATANA NELLA CHIESA Lettera al direttore de La Nuova Bussola Quotidiana https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3108
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08/01/2014
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IL NUOVO CODICE DEONTOLOGICO RENDE DIFFICOLTOSA L'OBIEZIONE DI COSCIENZA
Le rivoluzioni più pericolose sono quelle che avvengono in modo silenzioso, quasi impercettibile: ecco un esempio concreto
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: Radici Cristiane n.89 novembre 2013
La Commissione deontologica della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) da quasi un anno sta lavorando alla revisione del Codice deontologico del 2006. La bozza è al vaglio degli Ordini provinciali, i quali hanno la possibilità di apportare modifiche e correzioni. Il testo licenziato dalla FNOMCeO presenta però molte criticità. I media si sono soffermati su un aspetto in particolare, a prima vista di importanza secondaria ed invece, ad un esame più attento, cifra caratteristica del testo: l'espressione «persona assistita» sostituirà il termine «paziente». Uno scarto linguistico, che manda in soffitta il concetto di sofferenza - il paziente è colui che patisce - per far posto ad un'espressione più burocratica, più legale, come ha voluto precisare Amedeo Bianco, Presidente della Federazione degli Ordini dei Medici. Questa peculiarità permea poi tutto il testo del nuovo codice, che appare affetto da una spersonalizzazione della relazione medico-paziente, la quale si trasforma in un rapporto contrattuale tra un utente e un soggetto prestante la sua opera professionale. Non più tanto un'alleanza terapeutica, quindi, bensì quasi una subordinazione del medico nei confronti del paziente, medico che diventa erogatore di servizi dietro richiesta della «persona assistita». In tal senso il codice deontologico sembra quasi perdere la sua natura di corpus che raccoglie principi etici, cui si deve attenere il medico, per diventare una sorta di manuale operativo del professionista in camice bianco, attento a soddisfare le esigenze della "clientela".
COME SNATURARE UN DIRITTO Questo aspetto di "contrattualizzazione" del rapporto medico-paziente ha ricadute non secondarie in merito all'istituto dell'obiezione di coscienza, che nel nuovo testo è sicuramente l'ambito in cui sono intervenute le modificazioni più salienti. Sono tre i cambiamenti che, se passeranno, metteranno a rischio l'operato dei medici obiettori e la loro autonomia professionale. Nel vecchio codice il medico poteva rifiutare la propria opera, quando questa fosse in contrasto con la propria coscienza o con i propri convincimenti clinici. Ora la particella disgiuntiva "o" è stata sostituita con la particella congiuntiva "e". Ciò significa che il medico, per poter sollevare obiezione di coscienza, dovrà non solo affermare che una tale pratica clinica confligga con i propri valori etici o religiosi, ma anche provare che scientificamente questa pratica non sia efficace. Dunque il medico, che non fornisse prova di aver la letteratura medica dalla sua parte dovrebbe obbedire alla richiesta del paziente altrimenti rischierebbe un processo penale. Oltre a ciò, il medico che producesse anche documentazione scientifica appropriata pei legittimare la sua astensione, non sarebbe esente da possibili guai giudiziarii in sede processuale infatti, per provare la colpevole astensione del professionista in camice bianco, potrebbe in ipotesi bastare anche un solo articolo scientifico contrario a quelli indicati dal medico obiettore, per farlo passare subite dalla parte del torto. Insomma, agganciare un diritto riconosciuto per legge, l'obiezione di coscienza, anche alla infondatezza scientifica di alcune pratiche e non solo ai propri convincimenti morali significa snaturare lo stesso istituto dell'obiezione di coscienza. Seconda modifica che mette alle strette l'obiezione. Nel precedente codice il medico obiettore era comunque obbligato ad intervenire, nel caso in cui la sua astensione potesse essere «di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita». Nel nuovo codice basta che sia di nocumento per la salute del paziente. Dato che l'OMS ha definito la salute come perfetto stato di benessere psico-fisico, tutte le omissioni che fossero in grado di intaccare anche solo lievemente tale perfetto stato di benessere psico-fisico d'ora in poi potrebbero essere non più permesse. Ad esempio, il mero turbamento di una donna, vistasi rifiutare la pillola del giorno dopo dal medico, potrebbe in ipotesi essere giusto motivo per impedire a questi di avvalersi dell'obiezione di coscienza. Veniamo alla terza modifica. Nel vecchio codice si leggeva che il medico «deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento». Ora si legge: «II medico deve comunque fornire ogni utile informazione e chiarimento per consentire la fruizione dei servizi esigibili». Facciamo il caso di una donna, che si recasse dal proprio medico di famiglia, obiettore di coscienza, per chiedere informazioni sulle pratiche abortive. Con il precedente codice il medico poteva informarla sulle alternative all'aborto e tacere in merito alle informazioni, che avrebbero potuto indirizzarla ad abortire. Ora invece il medico deve dare solo quelle informazioni pertinenti ai desiderata dei pazienti e quindi dovrebbe indicare ad esempio le strutture dove recarsi per abortire, le pratiche da sbrigare, i tempi di attesa, eccetera.
TROPPI LIMITI ALL'OBIEZIONE Qualcuno per tranquillizzare gli obiettori potrebbe ricordare che il codice deontologico è una fonte normativa subordinata alle leggi e dello Stato, che tutelano l'obiezione di coscienza, essendo solo un corpus regolamentare stilato tra privati. Però le riserve in merito a a questa argomentazione sono più di una. In primo luogo la giurisprudenza, cioè le sentenze dei giudici, tendono a considerare sempre più i codici deontologici professionali come vere e proprie fonti normative di carattere giuridico e quindi vincolanti per gli aderenti agli albi professionali. In secondo luogo non tutte le pratiche mediche sono protette dall'obiezione di coscienza, istituto che vale solo per quegli ambiti espressamente previsti dal legislatore: ad esempio per le pratiche abortive, la fecondazione artificiale e la sperimentazione su animali. E dunque nel caso in cui il sig. Alessandro si recasse dal medico per diventare Alessandra, il medico non potrebbe appellarsi all'obiezione di coscienza, perché in questo caso la materia "rettificazione del sesso" non è coperta dalla clausola di coscienza. In terzo luogo, anche nel caso di pratiche cliniche cui si possa obiettare perché previsto dalla legge, nulla vieta di pensare che il vento possa cambiare. Detto in altri termini, vero è che ad esempio il ginecologo oggi si può rifiutare di praticare aborti, perché l'articolo 9 della 194 glielo permette, ma se questo articolo 9 incominciasse ad essere considerato da qualcuno - giudice, politico o avvocato ideologizzato - in contraddizione con il codice deontologico, probabilmente inizierebbero a levarsi voci da parte del fronte pro-choice, al fine di mettere mano alla parte della 194 che tutela l'obiezione di coscienza, affinchè questa legge possa armonizzarsi con le regole di comportamento della classe medica.
Fonte: Radici Cristiane n.89 novembre 2013
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OMELIA II DOMENICA DEL TEMPO ORD. - ANNO A - (Gv 1,29-34)
Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 19/01/2014)
È ormai terminato il Tempo del Natale e, con questa domenica, siamo entrati nel Tempo Ordinario. Il brano del Vangelo di oggi ci presenta Giovanni il Battista che sta predicando. Anche se l'Evangelista non lo dice espressamente, molto probabilmente l'episodio si riferisce a quando Gesù si sottopose al battesimo di Giovanni. Questo si può intuire dal fatto che il Battista vide «Gesù venire verso di lui» (Gv 1,29). L'evangelista Giovanni, che non descrive la scena del Battesimo, riporta però un particolare molto importante che, in poche parole, descrive quella che è la missione di Gesù, il motivo per cui è nato nel tempo ed è venuto fino a noi. Il Battista, infatti, a quanti lo seguono entusiasti, dice indicando Gesù: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). Nell'uso biblico, l'agnello è simbolo di innocenza e di sacrificio. Nell'Antico Testamento si parla infatti dell'agnello immolato due volte al giorno nel tempio e dell'agnello pasquale il cui sangue salvò i primogeniti degli ebrei (cf Es 12,3-28). Il Battista indica chiaramente in questo modo che Gesù, nel quale non vi è peccato, è venuto a togliere i peccati. La prima lettura di oggi, inoltre, parla del "Servo di Dio" che il profeta Isaia descrive come una pecora condotta al macello e nel quale Dio fa pesare l'iniquità di tutti noi. Inoltre, il profeta Isaia scrive che Egli è venuto nel mondo per essere luce e salvezza del popolo di Dio. Gesù, dunque, è venuto per redimerci dal peccato. Ai giorni d'oggi molti sono quelli che parlano di Gesù. Si parla del suo amore per i poveri, lo si vede quasi come un rivoluzionario e tutti, in qualche modo, verrebbero "dargli la loro tessera". Pochi sono però quelli che comprendono Gesù per quello che è in realtà, per essere l'Agnello di Dio, ovvero Colui che ci ha salvati dal peccato e dalla morte eterna. Dire che Gesù è l'Agnello di Dio significa affermare due cose: che noi siamo peccatori bisognosi di salvezza, e che Gesù è il Redentore, vittima per la nostra salvezza. In poche parole, significa dire che siamo stati noi a metterlo in croce. È proprio su questi due punti che dobbiamo soffermare la nostra riflessione. Prima di tutto bisogna riconoscere i nostri peccati; subito dopo bisogna invocare la Misericordia di Gesù. Al giorno d'oggi, purtroppo, si è perso il senso del peccato: si calpestano i Comandamenti di Dio e non si sentono più i rimorsi di coscienza. Penso che questa sia la più grande disgrazia che ci possa capitare. Se abbiamo perso questa sensibilità, supplichiamo il Signore che voglia creare in noi un cuore nuovo, che tolga da noi il cuore di pietra e ci doni un cuore sensibile ai suoi richiami d'amore e ai rimorsi di coscienza. Il libro dell'Imitazione di Cristo insegna che Dio parla al nostro cuore in due modi: o incoraggiandoci per il bene che stiamo compiendo, oppure attraverso i rimorsi di coscienza. Se non riusciamo ad avvertire questa voce, o se la percepiamo molto debolmente, intensifichiamo le nostre suppliche: quanto più ci avvicineremo alla luce di Dio, tanto più ci accorgeremo della deformità dei nostri peccati e la voce della coscienza si farà sentire sempre più forte. Gesù, l'Agnello di Dio, è venuto per togliere i peccati del mondo e continua a toglierli nel sacramento della Confessione. Accostiamoci a questo Sacramento con cuore contrito, accusando sinceramente i nostri peccati. La Chiesa fa obbligo ad ogni cristiano di confessarsi perlomeno una volta all'anno. Si capisce però che quanto più ci confesseremo tanto più la nostra anima sarà splendente di grazia. Pertanto, il consiglio, anzi, la calda raccomandazione è quella di confessare i nostri peccati ogni mese, meglio ancora ogni settimana. Ogni giorno pecchiamo e abbiamo un bisogno continuo del perdono di Gesù. San Pio da Pietrelcina esigeva dai suoi figli spirituali proprio la Confessione settimanale o, perlomeno, ogni dieci giorni. Personalmente egli si confessava anche ogni giorno. Questo poteva apparire come eccessivo a qualcuno. Ma il Santo, che tanto era vicino a Dio e viveva nella sua luce, vedeva anche la più piccola mancanza e la vedeva in tutta la sua deformità. Chiediamo a Dio questa sensibilità di coscienza e confessiamoci spesso: quando un peccatore si accusa, Dio lo scusa.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 19/01/2014)
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