BastaBugie n�344 del 11 aprile 2014

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1 IL BAMBINO SENZA PENE CHE FU CRESCIUTO COME UNA BAMBINA
La terrificante verità sul caso che screditò per sempre l'inventore della teoria del ''gender'' (VIDEO: Il ragazzo senza pene)
Autore: Emanuele Boffi - Fonte: Tempi
2 DITTATURA GAY: RIPARTE IN SENATO L'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE SCALFAROTTO SULL'OMOFOBIA
E intanto il cofondatore di Mozilla viene costretto a dimettersi da amministratore delegato perché contrario ai matrimoni gay
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 LE OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE
Istruire gli ignoranti, consigliare i dubbiosi, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Congresso Eucaristico di Siena
4 DIECI MOTIVI PER CUI AMO ESSERE UN MASCHIO
Come uomo troverò sempre qualcosa di bello e stupefacente in ogni donna che incontro e non entrerò mai in competizione con lei
Autore: don Fabio Bartoli - Fonte: Blog di Costanza Miriano
5 I PRINCIPI NON NEGOZIABILI NON SONO ''VALORI'' INDEFINITI, MA PRINCIPI FONDANTI IL BENE COMUNE
Sono ''non negoziabili'' perché legati alla natura umana: la Chiesa ne riconosce tre fondamentali (vita, famiglia, libertà di educazione)
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 CONSIGLI PER IL PELLEGRINAGGIO IN TERRASANTA
Qualunque idea vi siate fatti dei posti in cui visse Gesù, toglietevela dalla testa
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Il Timone
7 PADRE PIO E I FRANCESCANI DELL'IMMACOLATA
Storie analoghe di persecuzione ed obbedienza
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Libertà e Persona
8 LETTERE ALLA REDAZIONE: LE PURGHE DI PADRE LIVIO GETTANO UN'OMBRA OSCURA SU RADIO MARIA
I nostri lettori ci scrivono per dimostrare solidarietà a Palmaro, Gnocchi e De Mattei
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie
9 OMELIA DOMENICA DELLE PALME - ANNO A - (Mt 26,14-27,66)
Davvero costui era Figlio di Dio!
Fonte: Maranatha.it

1 - IL BAMBINO SENZA PENE CHE FU CRESCIUTO COME UNA BAMBINA
La terrificante verità sul caso che screditò per sempre l'inventore della teoria del ''gender'' (VIDEO: Il ragazzo senza pene)
Autore: Emanuele Boffi - Fonte: Tempi, 31/03/2014

San Paolo, a quattordici anni dalla sua uscita nel 2000, ha tradotto e pubblicato "As Nature Made Him. The Boy Who Was Raised as a Girl". Il titolo, in italiano, suona così: "Bruce, Brenda e David. Il ragazzo che fu cresciuto come una ragazza".
Nelle prime tre parole è raccolto il senso della vicenda: tre nomi, un'unica persona. L'autore è un giornalista americano, John Colapinto, che trasformò in libro una sua celebre inchiesta, apparsa per la prima volta nel dicembre 1997 su Rolling Stone. Il caso, che in America ebbe una notevole risonanza, è sostanzialmente sconosciuto in Italia, ma merita di essere ripercorso. Perché è all'origine della cosiddetta teoria del gender. Un'origine tragica.

1° PARTE: BRUCE
Il 22 agosto 1965 vennero alla luce all'ospedale St. Boniface a Winnipeg (Canada) due gemelli identici, Bruce e Brian Reimer. Entrambi avevano un problema di fimosi al pene, per la quale era necessaria una circoncisione. Operazione semplice e routinaria, alla quale i due genitori, Ron e Janet, acconsentirono senza problemi. Il 27 aprile 1966, il giorno dell'operazione, un'insolita bufera di neve si abbatté su Winnipeg. Presagio shakespeariano di quel che doveva accadere, fu il contorno atmosferico all'incidente che capitò al piccolo Bruce. Per un incredibile errore, il suo pene fu bruciato. «Si staccò a pezzetti» e «sparì completamente».
I genitori, disperati, dopo una serie di consulti medici, si affidarono a John Money, un medico che avevano sentito parlare alla tv dei miracoli della «riassegnazione sessuale» in corso al Johns Hopkins Hospital di Baltimora. Money era già allora uno dei ricercatori in sessuologia più rispettati al mondo. Eloquio brillante, intelligenza sofisticata, era l'ideatore della gender identity, basata sull'idea che l'identità di una persona non si fonda sui dati biologici della nascita, ma sugli influssi culturali e l'ambiente in cui cresce. Money, che guidava la pionieristica clinica per la chirurgia transessuale a Baltimora, fu ben felice di occuparsi del piccolo. Bruce era, infatti, la cavia che egli attendeva per dimostrare la bontà delle sue teorie. Un piccolo maschio senza pene, da trasformare in una bambina.
Il dottore, già allora, frequentava i salotti televisivi, portando argomenti a favore del «matrimonio aperto, del nudismo e di altre forme di cultura sessualmente disinibita». Definito dal New York Times un «agente provocatore della rivoluzione sessuale», si spese a favore del film porno "Gola profonda" e firmò editoriali sulla «nuova etica del sesso ludico». Spingeva i suoi pazienti a sperimentare ogni tipo di desiderio sessuale, ivi compresa la «pioggia dorata» (urinarsi addosso durante il rapporto), la coprofilia, le amputazioni, l'autostrangolamento. Per Money non erano perversioni, ma «parafilie». Nell'aprile del 1980 spiegò a Time che un'esperienza di pedofilia «non aveva necessariamente un influsso negativo sul bambino».
Quest'uomo, per tutto il corso della sua carriera, fu omaggiato e riverito, aggiudicandosi numerosi riconoscimenti e premi (oltre che corpose sovvenzioni). Fu lui l'ideatore della prima clinica per l'identità di genere, celebrata da tutte le maggiori e più importanti riviste americane e internazionali. I suoi studenti e protetti, racconta Colapinto, «hanno finito per occupare posizioni preminenti in alcune delle università, istituzioni di ricerca e riviste scientifiche più stimate negli Stati Uniti».
Fino all'incontro con Bruce, il campo d'azione di Money si era limitato agli ermafroditi. Il bambino rappresentava per lui un'occasione d'oro. Quando lo incontrarono, Ron e Janet – che all'epoca avevano solo 20 e 21 anni – ne rimasero affascinati. «Mi sembrava un dio», disse lei. Il medico spiegò loro che avrebbe potuto dare al bambino una vagina perfettamente funzionante, ma che necessitava della loro collaborazione affinché Bruce diventasse femmina. L'importante era che loro lo vestissero come una femminuccia, non gli tagliassero i capelli, lo facessero sentire una lei e non un lui. Così avrebbe avuto una vita felice.
Il 3 luglio 1967 Bruce fu castrato dal dottor Howard Jones, un collaboratore di Money che in seguito lo abbandonò per intraprendere una professione più remunerativa. Aprì in Virginia la prima clinica americana per la fecondazione in vitro. Fu così che Bruce diventò Brenda.

2° PARTE: BRENDA
Ron e Janet, almeno per i primi anni, si buttarono a capofitto nell'impresa. Ma qualcosa non funzionava. La piccola Brenda ignorava le bambole che le venivano regalate, adorava azzuffarsi coi suoi amichetti, costruiva fortini anziché pettinarsi davanti allo specchio. In bagno, faceva la pipì in piedi.
I primi anni di scuola peggiorarono notevolmente la situazione. Brenda iniziò a diventare particolarmente violenta e fu bocciata. Nel frattempo, nel 1972, Money pubblicò il libro "Man & Woman, Boy & Girl", in cui mise al corrente il mondo dello straordinario «caso dei due gemelli». Il volume descriveva l'esperimento come un «assoluto successo». Era la «prova conclusiva» che «non si nasce maschi e femmine, ma lo si diventa».
Il fatto ebbe una risonanza mondiale. Sposata dal movimento femminista, l'opera trovò il plauso sulle prime pagine di Time e del New York Times Book Review, conferendo al suo autore l'indiscussa celebrità di un guru. Le sue tesi, si scrisse allora, avrebbero avuto sulla storia umana un'influenza paragonabile alla «teoria dell'evoluzione di Darwin».
Solo uno sconosciuto ricercatore di nome Milton Diamond osò sollevare perplessità sul caso. Fu ignorato. Al contrario, «il caso dei gemelli di Money fu decisivo perché venisse universalmente accettata non solo la teoria secondo la quale gli esseri umani sono alla nascita psicosessualmente plastici, ma anche la chirurgia di riassegnazione sessuale come trattamento per bambini con genitali ambigui o danneggiati. La metodica, un tempo principalmente limitata al Johns Hopkins, si diffuse ben presto e oggi viene eseguita praticamente in tutti i principali paesi».
La realtà, però, andava in un'altra direzione. Brenda continuava a comportarsi «come un maschiaccio», difendeva il fratello nelle zuffe, soffriva a stare con le amichette. Periodicamente, i due fratelli facevano delle visite nella clinica di Money per snervanti test psicologici. Durante queste sedute, ai due gemellini di sei anni erano mostrate immagini di sesso esplicite «per rafforzare la loro identità/ruolo di genere». I due fratelli erano anche obbligati a simulare atti sessuali tra loro. In un'occasione, il dottor Money «scattò loro una Polaroid».
Per Brenda quelle sedute – cui doveva sottoporsi anche da sola – erano una tortura. Nei suoi sogni si immaginava ventenne «con i baffi», ma temeva di dirlo ai suoi genitori, essendo sicura che li avrebbe delusi. Ron e Janet, infatti, frustrati dal comportamento della bambina, cercavano in tutti i modi di applicare i consigli di Money. Giravano nudi per casa, frequentavano campi nudisti, facevano pressioni sulla piccola perché assumesse atteggiamenti femminili. Tutto ciò li portò all'esaurimento: Janet tentò il suicidio, Ron iniziò a bere. Money, intanto, pubblicò un nuovo libro di successo (Sexual Signatures) in cui tornò a parlare di Brenda, che «stava attraversando felicemente l'infanzia come una vera femmina».
Brenda, in realtà, già a undici anni cominciò a nutrire istinti suicidi. Gli assistenti sociali e i dottori del suo paese capirono che qualcosa non andava, ma troppo scintillante era la fama di Money per metterla in ombra. Brenda trascorse l'infanzia passando da uno psicologo all'altro. All'età di dodici anni cominciò la cura con gli estrogeni per fare crescere il seno e, nell'ultima visita che ebbe nello studio del dottor Money, trovò un transessuale che le magnificò i vantaggi dell'operazione chirurgica per cambiare sesso. Brenda fuggì e disse ai genitori che, se l'avessero fatta tornare, «si sarebbe suicidata».
Anche lontana dal dottore, Brenda continuò ad avere una vita difficile. A scuola la chiamavano «gorilla» e alcuni giornalisti avevano iniziato a interessarsi a lei. Nel 1977 una troupe della Bbc si recò a Winnipeg per parlare con i suoi medici. Tutti confermarono la medesima impressione: Brenda non era la «ragazza felice» celebrata nei best seller di Money. Lo stesso dottore, contattato dalla Bbc, rifiutò di incontrare i giornalisti, mettendoli alla porta. Il documentario, intitolato "The First Question", andato in onda il 19 marzo 1980, passò sotto silenzio.
Solo pochi giorni prima, il 14 marzo, Ron aveva rivelato alla figlia la sua storia. Come annota Colapinto, Brenda «si sentì sollevata» perché finalmente capì «di non essere pazza». La prima domanda che fece al padre fu: «Qual era il mio nome?».

3° PARTE: DAVID
Brenda decise di tornare al suo sesso biologico. Scelse di chiamarsi David perché questo è il nome «del re uccisore di giganti della Bibbia», il bambino che combatte e sconfigge il poderoso Golia. Iniziò a fare iniezioni di testosterone, gli crebbero i primi peli sulle guance, a sedici anni si sottopose al primo intervento per la creazione del pene. Attendendo la maggiore età, visse nascosto per due anni nella cantina di casa. A diciotto anni entrò in possesso del denaro assegnatogli come risarcimento dal St. Boniface Hospital, acquistò un furgone equipaggiato coi migliori comfort, che fu battezzato secondo lo scopo che avrebbe dovuto avere: «Il carretto da scopata».
Non andò così. David non aveva capacità di erezione e la cosa circolò fra gli amici. Tentò di nuovo il suicidio, per due volte. A ventidue anni si sottopose a una nuova falloplastica e, due anni dopo, ebbe il suo primo rapporto sessuale. Ma era ancora profondamente infelice.
Colapinto racconta che nell'estate 1988 David fece «qualcosa che non avevo mai fatto prima. Finii per pregare. Dissi: "Tu sai che ho avuto una vita terribile. Non ho intenzione di lamentarmi con Te, perché tu devi avere una qualche idea del perché mi stai facendo passare tutte queste cose. Ma potrei essere un bravo marito, se me ne fosse data la possibilità"».
Due mesi dopo conobbe Jane, una ragazza madre che aveva avuto tre figli da tre uomini diversi. Si innamorarono. David vendette l'inutilizzato carretto da scopata e comprò un anello di diamanti. Il 22 settembre 1990 si sposarono.

IL PLURIPREMIATO "LUMINARE DELLA TEORIA DI GENERE": IL DOTTOR MONEY
Milton Diamond, il ricercatore che per primo aveva contestato Money, inferse un duro colpo alla sua credibilità. Quest'ultimo, sebbene non parlasse più del caso dei due gemelli, perseguiva nel sostenere le tesi sul gender che continuarono a valergli cospicui finanziamenti, anche pubblici. Ma nel 1994, Diamond, dopo aver incontrato David, scrisse un articolo per svelare come fosse andato a finire il "caso dei due gemelli". La tesi del testo era che, sebbene l'educazione abbia un ruolo importante nel contribuire a plasmare l'identità, essa è frutto del dato biologico assegnato dalla natura. Diamond impiegò due anni per trovare una rivista che accettasse il testo. Quando apparve, fu una bomba. David concesse alcune interviste in tv con il viso oscurato. Poi accettò la richiesta di incontrare Colapinto per la semplice ragione che lavorava per "Rolling Stone" e a David piaceva il rock' n' roll.
Per Money – «Hot Love Doctor», come lo chiamavano i giornali – iniziò il declino. Al Johns Hopkins fu nominato direttore di psichiatria Paul McHugh, un fiero cattolico che fece condurre un'indagine su cinquanta transessuali curati alla clinica per l'identità sessuale della Johns Hopkins a partire dalla sua fondazione nel 1966. Nessuno di loro ne aveva tratto giovamento. La clinica fu chiusa, la comunità transgender protestò inutilmente. Ancora nel 1997 Money ottenne un riconoscimento come «uno dei più grandi ricercatori del secolo in campo sessuale». Si spense il 7 luglio 2006 a Towson.

UNA FAMIGLIA DISTRUTTA DALL'ESPERIMENTO CHE VOLEVA CAMBIARE LA NATURA UMANA
I demoni non smisero di perseguitare la famiglia Reimer. Solo Ron, dopo un periodo di difficoltà legato all'alcol, riuscì a riprendere in mano le redini della sua vita. Janet continuò a soffrire di profonde crisi depressive. Brian passò attraverso fallimenti matrimoniali, droghe, alcol. Si suicidò nel 2002. David, dopo la morte del fratello, non fu più lo stesso. L'azienda dove lavorava chiuse, bisticciò con la moglie. Il 4 maggio 2004 guidò fino a un parcheggio desolato e puntò il fucile alla testa. Aveva 38 anni.

Nota di BastaBugie: il film-documentario "Il ragazzo senza pene" è andato in onda sulla BBC. Andando al sottostante link si può vedere il drammatico e imperdibile video di 50 minuti con interviste al protagonista, i suoi genitori e il fratello
http://www.filmgarantiti.it/it/articoli.php?id=189

DOSSIER "CAMBIO DI SESSO"
I danni irreversibili della transizione

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Fonte: Tempi, 31/03/2014

2 - DITTATURA GAY: RIPARTE IN SENATO L'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE SCALFAROTTO SULL'OMOFOBIA
E intanto il cofondatore di Mozilla viene costretto a dimettersi da amministratore delegato perché contrario ai matrimoni gay
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 07/04/2014

Ci risiamo. Mercoledì riparte in Senato l'esame del disegno di legge Scalfarotto sull'omofobia. I nostri lettori sanno a memoria di che si tratta, ma magari qualcuno condividerà questo articolo con amici meno informati. Ecco dunque un riassunto. Capita che persone omosessuali - come tante altre persone - siano picchiate, minacciate o insultate. È giusto punire i responsabili. Sono già puniti dalle leggi in vigore. Si dice che è necessaria un'aggravante, per scoraggiare i teppisti che vanno in cerca di omosessuali cui «dare una lezione». Non si sa quanti siano questi teppisti, ma quello che si sa con certezza è che l'aggravante c'è già. Se una persona omosessuale è picchiata in un ristorante non perché non ha pagato il conto ma in odio alla sua condizione di omosessuale i nostri tribunali applicano l'aggravante dei «motivi abietti». Non è un'aggravante riferita specificamente agli omosessuali. Colpisce chi picchia un cattolico non perché non gli ha saldato un debito ma perché è cattolico, o un nigeriano non perché gli ha dato uno spintone ma in quanto nigeriano, conformemente alle convenzioni internazionali sui cosiddetti «crimini di odio» che anche l'Italia ha sottoscritto.
Dovrebbe essere, dunque, tutto chiaro. Picchiare, insultare, minacciare una persona omosessuale - come chiunque altro - è un crimine che va punito. Ma è già punito, e anche l'aggravante c'è già. Perché, allora, si chiede una legge contro l'omofobia? Che cosa prevede che nelle leggi attuali non ci sia già? Introduce un delitto di opinione: chiunque manifesta idee che «istigano alla discriminazione» nei confronti di omosessuali e transessuali è punito con la reclusione fino a un anno e mezzo. Se partecipa ad associazioni che promuovono queste idee, la pena sale fino a quattro anni, mentre chi addirittura fondasse o dirigesse tali associazioni rischia di rimanere in prigione sei anni. È vero che all'ultimo momento è stato introdotto un emendamento che dovrebbe proteggere chi esprime queste idee all'interno di chiese e sedi associative - non fuori -, ma l'eccezione è così vaga che l'interpretazione è lasciata al buon cuore dei giudici, e comunque in Senato già si propone di cancellarla.
Manifestare idee che «istigano alla discriminazione» è un tipico reato di opinione, una museruola messa alla libertà di espressione. Per esempio, sostenere che il «matrimonio» fra persone dello stesso sesso non va riconosciuto, o che i bambini non vanno consegnati per l'adozione a coppie omosessuali, è certamente una «discriminazione» nel senso letterale del termine, e di fatto è stata considerata tale dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Ecco dunque spiegato a che cosa serve la legge Scalfarotto: a imbavagliare, con lo spauracchio di severissime pene detentive, chi osasse opporsi al «matrimonio» o alle adozioni omosessuali, o peggio continuare a sostenere che il comportamento omosessuale, come insegna il «Catechismo della Chiesa Cattolica» è «intrinsecamente disordinato» e «in nessun caso può essere approvato».
Timori eccessivi del nostro giornale, dei comitati "Sì alla famiglia" o delle Sentinelle in piedi che - incuranti delle provocazioni e degli insulti - continuano a manifestare in tutta Italia? Ma no, che le cose stiano così non lo dice «La Nuova Bussola Quotidiana» ma lo stesso Scalfarotto, il quale giorni fa lo ha ripetuto nel programma televisivo «Le invasioni barbariche». Dove ha spiegato come la legge sull'omofobia sia la prima tappa in un itinerario che porterà al «matrimonio» omosessuale - che all'inizio si chiamerà «unione civile» per lucrare l'appoggio di qualche cattolico e magari anche di qualche sacerdote - e poi, ma solo poi, alle adozioni dei bambini da parte delle coppie dello stesso sesso.
I rischi, però, sono ancora peggiori. Un modello sociologico - di cui confesso di essere all'origine, e che oggi è citato anche in documenti di organizzazioni internazionali - prevede che le minoranze sgradite a certi «poteri forti» siano vittima di una «spirale dell'intolleranza» che prevede tre tappe. La prima è appunto l'intolleranza, che è un fatto culturale: chi sostiene certe posizioni è offeso e messo in ridicolo dai media, e presentato come un ostacolo da rimuovere alla pubblica felicità. Segue la discriminazione, che è un fatto giuridico: contro chi osa affermare certe idee scattano le leggi e la prigione. Il terzo stadio è la cultura dell'odio, che va anche oltre le leggi. Senza bisogno di attendere i giudici - qualche volta, anzi, violando la legge - i privati si fanno «giustizia» da soli, escludendo dai posti di lavoro e qualche volta malmenando i sostenitori di idee considerate «tossiche» e pericolose.
In Italia, almeno per questa settimana, siamo ancora nella prima fase, l'intolleranza. Chi si oppone al «matrimonio» e alle adozioni omosessuali, o sostiene che gli atti omosessuali sono «intrinsecamente disordinati», è offeso e ridicolizzato sui media, escluso dai dibattiti televisivi, minacciato dagli opuscoli dell'UNAR, l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali. Ma, per ora, non va in prigione.
Con l'approvazione della legge Scalfarotto passeremo anche noi alla seconda fase, la discriminazione. Chi manifesta idee contrarie all'ideologia di genere finirà in prigione. Gli esempi dei Paesi dove le leggi sull'omofobia ci sono già ci mostrano che basta molto poco. In Francia qualcuno è stato arrestato solo perché indossava una maglietta della Manif pour Tous, la manifestazione contro il «matrimonio» omosessuale. In Spagna il cardinale Sebastián è stato iscritto nel registro degli indagati per avere affermato che l'omosessualità è una forma «deficiente» - nel senso, e lo ha spiegato, che le «manca» (in latino «deficit») qualcosa - di esprimere la propria sessualità.
Le leggi creano clima e costume. Datele qualche mese, e la legge sull'omofobia genererà inesorabilmente la terza fase, quella della cultura dell'odio. All'estero è andata così. Perché in Italia dovrebbe essere diverso? Gli esempi arrivano al ritmo di uno al giorno. Eccone due, dell'ultima settimana.
Esempio numero uno: Stati Uniti. Brendan Eich è considerato uno dei migliori e più geniali manager del mondo di Internet. Grazie a lui il browser Mozilla ha sfidato con successo il colosso Internet Explorer. La sua azienda lo nomina amministratore delegato. Ma ha fatto i conti senza la cultura dell'odio creata dalle leggi sull'omofobia. Un sito di attivisti gay scova il nome del manager tra decine di migliaia di americani che hanno sostenuto con una donazione la campagna per il referendum che, in California, ha introdotto nella Costituzione dello Stato la nozione che il matrimonio è solo tra un uomo e una donna. La vittoria degli elettori californiani nelle urne è stata poi cancellata dai giudici della Corte Suprema. Ma non è questo che interessa ai gay. Per avere donato mille dollari ai promotori del referendum, Eich è stato attaccato come omofobo impenitente. Non gli è bastato dichiararsi contrario alla discriminazione degli omosessuali. Si voleva che chiedesse scusa e inneggiasse al «matrimonio» fra persone dello stesso sesso. Dimostrando che Mozilla non fa sempre rima con Barilla, ha tenuto la schiena dritta e non si è piegato. È stato buttato fuori, costretto a dimettersi in quarantotto ore. L'azienda ha emesso un comunicato da cui emerge che chi è contrario al «matrimonio» omosessuale in futuro non sarà più assunto non solo come dirigente, ma neppure come addetto alle pulizie dei gabinetti. Gli altri giganti della Silicon Valley - Google, Microsoft, Apple - hanno fatto sapere che loro queste politiche le applicano già.
Chi fa parte di una minoranza discriminata: il manager geniale che si ritrova senza lavoro o gli attivisti gay che lo hanno - come ha scritto un quotidiano americano - «scotennato»? Anzi, la domanda è mal posta. Quel referendum era stato votato dalla maggioranza dei californiani, referendum analoghi in altri Stati dalla maggioranza degli americani. Ormai non si discriminano neanche più le minoranze. Si discriminano le maggioranze, in nome della superiorità morale di minoranze dichiarate «illuminate» da una piccola élite di padroni del vapore.
Esempio numero due: Germania. Una regione, il Baden-Württemberg, introduce nelle scuole corsi obbligatori di educazione sessuale che esaltano l'omosessualità. Molti genitori cristiani non ci stanno e scendono in piazza. Del tutto pacificamente, talora anzi silenziosamente come le Sentinelle in piedi. Attivisti LGBT li aggrediscono, sputano loro addosso, li accecano con gli spray al pepe e, se tutto questo non basta a fermare le dimostrazioni, li picchiano fino a mandarli in ospedale. La reazione della polizia è piuttosto blanda, gli arresti e le condanne dei violenti praticamente inesistenti. Tutto documentato, anche con video, dall'autorevole Osservatorio dell'Intolleranza contro i Cristiani di Vienna (sito Internet: www.intoleranceagainstchristians.eu).
Sono i frutti inevitabili delle leggi sull'omofobia. Se chi si oppone al «matrimonio» omosessuale è un criminale che deve andare in prigione, come può un'azienda dargli lavoro? E come si può tollerare che dei criminali commettano il loro delitto - «istigare alla discriminazione», come dice la legge Scalfarotto - addirittura in piazza? Come stupirsi se «buoni» cittadini li riempiono di sputi e di botte, e la polizia e i giudici guardano dall'altra parte? Dopo tutto, se la mafia manifestasse in piazza a favore del racket e i cittadini picchiassero i mafiosi, la polizia da che parte starebbe? Con la legge Scalfarotto, la pena per chi promuove e dirige associazioni che «istigano alla discriminazione» - fino a sei anni di galera - è più alta di quella concretamente inflitta a molti mafiosi. Se la legge sarà approvata, sarà un messaggio chiaro per tutti - media, giudici, poliziotti - su quanto pericolosi lo Stato ritenga questi criminali che osano opporsi al «matrimonio» e alle adozioni omosessuali, o considerano l'omosessualità non una festa o qualcosa da promuovere ma un disordine e un disagio.
Qualche giorno fa l'Arcivescovo di Torino ha pubblicato una nota sulla «dittatura del 'genere'» che si sta instaurando anche in Italia. Repubblica ha trovato, senza troppe difficoltà, due preti - uno, per la verità, ex prete - cui far dire in un'intervista che sono esagerate le preoccupazioni dell'Arcivescovo. Esagerate? Lo chiedano a Mister Eich o ai genitori del Baden-Württemberg. Forse è l'ultima settimana utile. Se non vogliamo perdere il lavoro, farci coprire di sputi e picchiare in piazza - come alternativa a finire «semplicemente» in prigione per qualche anno - fermiamo la legge Scalfarotto, e fermiamola adesso.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 07/04/2014

3 - LE OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE
Istruire gli ignoranti, consigliare i dubbiosi, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Congresso Eucaristico di Siena, 3 giugno 1994

Vorrei confidare qualche mio sparso pensiero sull'elenco delle così dette "opere di misericordia spirituale", che mi pare oggi il più sbiadito nella coscienza comune. Come giacciono nei vecchi catechismi, scritti quando ancora si chiamavano ingenuamente le cose con il loro nome, ci appaiono un po' ruvide e spigolose. Forse perché la nostra anima, per così dire, si è fatta più delicata e irritabile.
Rileggiamole (ci permettiamo di invertire l'ordine tradizionale delle prime due opere, sulla scorta del Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2447, per facilitare la logica del discorso):
1. Istruire gli ignoranti
2. Consigliare i dubbiosi
3. Ammonire i peccatori
4. Consolare gli afflitti
5. Perdonare le offese
6. Sopportare pazientemente le persone moleste
7. Pregare Dio per i vivi e per i morti

TUTTI DESTINATARI
A differenza delle opere di misericordia corporale, dove (di solito, se non sempre) chi dà da mangiare non è affamato e chi patisce la fame non è in condizioni di dar da mangiare, qui il benefattore e il beneficiario non sono adeguatamente distinti. Anzi è buona regola non distinguerli affatto: di queste "opere" siamo tutti destinatari. E' bene quindi che ciascuno di noi si consideri al tempo stesso "istruttore" e "ignorante", saggio consigliere e dubbioso, paladino della giustizia e peccatore, capace di consolare e desideroso di consolazione, chiamato a perdonare le offese e offensore, deciso ad aver pazienza e sempre sul punto di farla perdere agli altri, intercessore a favore di tutti presso Dio e bisognoso della preghiera fraterna di tutti. Solo mantenendoci in quest'ottica possiamo sperare di intraprendere un esame fruttuoso delle "opere" che ci vengono raccomandate.

I NOSTRI COMPITI PROPRI
Il discorso sulle "opere di misericordia spirituale" assume poi una rilevanza e un'attualità eccezionale, se è volto a chiarire quale sia l'indole propria della solidarietà che la Chiesa come tale deve esercitare nei confronti dell'umanità. Nessun dubbio che l'amore cristiano, suscitato e sorretto dall'Eucaristia, debba esprimersi anche nell'offrire ai più sfortunati, per quel che è possibile, un apporto valido perché risolvano positivamente i loro problemi esistenziali primari e possono godere di uno stato conforme alla loro dignità di persone. Guai se la Chiesa lo dimenticasse. Ma guai se riducesse a questo la sua azione nel mondo. Guai a noi se a poco a poco finissimo col pensare alla Sposa di Cristo come a una sorta di ente assistenziale o come a un surrogato e a un coadiuvante della Croce Rossa Internazionale. Il pericolo di questo inconscio travisamento non è oggi irreale, favorito com'è dagli interessi delle potenze mondane e anche dalla nostra preoccupazione di essere un poco accettati dalla cultura dominante. Certamente la comunità cristiana va continuamente spronata alla generosità anche in questi settori: è la parola stessa di Gesù ad ammonirci in tal senso (cfr. Mt 25,31-46). Ma di fronte alla sempre soverchiante miseria umana, non deve nutrire complessi di colpa non pertinenti. Va detto con molta chiarezza che direttamente e per sé non tocca a noi risolvere alla radice i problemi sociali: sarebbe integralismo pensarlo, sarebbe addirittura il tentativo illegittimo di affiancarsi alla società civile, pretendendone gli stessi compiti statutari e le stesse responsabilità. Alla comunità cristiana tocca - ed è dovere amplissimo ed esigentissimo - l'impegno di tradurre ogni giorno la sua fede, secondo quanto in concreto le è dato, in un'azione di carità che raggiunge i fratelli in ogni loro situazione e in ogni loro effettiva necessità. Sotto questo profilo, l'indugiare un poco sulle così dette "opere di misericordia spirituale" sarà forse di qualche utilità a mantenere nel giusto equilibrio la nostra visione della presenza operativa dei cristiani e anzi ricordare ciò che è in maniera più immediata, inerente alla missione della Chiesa nel mondo.

1) ISTRUIRE GLI IGNORANTI
Ignorante non vuol dire senza cultura e senza erudizione. Ignorante è chi non conosce proprio le cose che più dovrebbe conoscere, e può essere anche un professore universitario o un famoso scrittore. Si evoca qui la strana condizione dell'uomo, e specialmente dell'uomo di oggi, che sa tutto tranne le cose che contano, che conduce a termine le indagini più complicate ed è muto davanti alle domande fondamentali e più semplici, che è in grado di andare a raccogliere i sassi della luna e non può dirsi che cosa è venuto a fare sulla terra. Ignorare quale sia il significato del nostro stesso vivere; ignorare quale sia il destino che alla fine ci aspetta; ignorare se la nostra venuta all'esistenza abbia come premessa e come ragione un disegno d'amore oppure una casualità cieca: questa è la notte assurda che implora oggettivamente di essere rischiarata. Il primo e più grande atto di carità che possa essere compiuto verso l'uomo è quello di dirgli le cose come stanno. Che vuol dire anche svelargli la sua autentica identità. Questa è la prima misericordia che la Chiesa esercita - deve esercitare - nei confronti della famiglia umana: l'annuncio instancabile della verità. La salvezza dei nostri fratelli direttamente e per sè non sarà tanto il frutto della nostra affabile capacità di ascolto e di dialogo (cosa importante però e da non trascurare), ma della verità divina proclamata senza scolorimenti e senza mutilazioni. Gesù ha connesso il dono della sua carne e del suo sangue con l'accoglienza della sua parola, anche di quella più difficile da accettare. Il discorso eucaristico di Cafarnao provoca, più di ogni altro nel Vangelo, il rifiuto di molti: "Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?" (Gv 6,60). Ma il Signore non ritiene che in questo campo si possano dare sconti agevolanti: "Forse anche voi volete andarvene? Gli rispose Simon Pietro: Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (Gv 6, 67-69).

2) CONSIGLIARE I DUBBIOSI
Le esitazioni, le perplessità, le titubanze sono dell'uomo normale; il quale, quanto più è perspicace nelle valutazioni e nell'analisi, tanto più si sperimenta insicuro nelle decisioni. Gli irriflessivi e gli ottusi invece sanno di solito subito che cosa fare. D'altra parte vivere significa agire, e agire significa superare le incertezze. Sicché talvolta un parere sensato dato a un amico, che lo aiuti a risolversi per il meglio, rappresenta spesso un regalo davvero prezioso. I pareri però è meglio darli quando vengono richiesti, se no, servono solo a guastare delle amicizie. E anche quando si è interpellati, è opportuno (se lo si può fare senza andare contro coscienza) offrire i consigli che il richiedente si aspetta di ricevere, diversamente egli si convincerà di non essere stato capito o avrà qualche dubbio sulla saggezza del consigliere. Ma quando si tratta delle questioni fondamentali dell'esistenza, il superamento del dubbio è un'esigenza intrinseca alla funzione salvifica della verità. E' grande carità ricordare questo principio alla cultura contemporanea. Noi viviamo in una società che sembra privilegiare il dubbio: secondo qualcuno esso sarebbe il segno di una mente libera e aperta a tutti i valori, mentre le certezze (e in particolare le certezze di fede) esprimerebbero angustia, dogmatismo, intolleranza, chiusura al dialogo. Se però si fa un po' di attenzione, non è difficile rendersi conto che quanti colpevolizzano l'indubitabilità dei credenti, hanno sempre essi stessi delle convinzioni che ritengono indiscutibili. Sicché ci si avvede che non si tratta tanto di critica ragionata delle certezze come tali, quanto di insofferenza verso le certezze altrui. Le certezze cristiane poi hanno migliori probabilità di essere dei valori oggettivi e non delle pure ostinazioni, se chi le ospita nel suo animo le percepisce e si sforza di possederle non tanto come idee sue proprie, ma come piena e personale comunione con la luce indefettibile che alla Chiesa è stata donata dallo Spirito di verità e resta patrimonio inalienabile della Sposa di Cristo lungo tutti i secoli della sua storia. Abbiamo una sola vita da vivere: è indispensabile, per non rischiare di sciuparla, rinvenire dei punti fermi in mezzo alla varietà e alla volubilità delle opinioni. Abbiamo una sola vita da vivere: non possiamo aggrapparla a dei punti interrogativi. Il saper offrire all'uomo disorientato la base di certezze indubitabili è la seconda misericordia della Chiesa.

3) AMMONIRE I PECCATORI
Il peccato agli occhi della fede, è la peggior disgrazia che possa capitarci. Dare una mano al fratello perché se ne liberi, significa volergli bene davvero. "Chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore - scrive l'apostolo Giacomo - salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati" (Gc 5,20). E la Lettera ai Galati: "Quando uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso per non cadere anche tu in tentazione" (Gal 6,1). La correzione fraterna è però iniziativa delicata e non priva di rischi. Non bisogna mai perdere di vista la pungente parola del Signore: "Come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave?" (Mt 7,4). Così pregava a questo proposito sant'Ambrogio: "Ogni volta che si tratta del peccato di uno che è caduto, concedimi di provarne compassione e di non rimproverarlo altezzosamente, ma di gemere e piangere, così che mentre piango su un altro, io pianga su me stesso". E sarà bene in ogni caso restar persuasi che "la miglior correzione fraterna è l'esempio di una condotta irreprensibile". Nella valenza più universale e  più sostanziosa, questa terza proposta di bene ci insegna che appartiene alla missione propria della Chiesa adoperarsi perché non si perda nella coscienza comune il senso di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. Secondo la suggestiva pagina che apre la sacra Scrittura, l'azione creatrice di Dio comincia con una distinzione tra la luce e le tenebre (cfr. Gen  1,4), così come l'inizio della catastrofe dell'uomo è dato dal miraggio di diventare come Dio padroni del bene e del male (cfr. Gen 3,5). Perché tutto non ricada nel caos primitivo e perché il suggerimento satanico non prosegua il suo avvelenamento dei cuori, bisogna senza scoraggiarsi chiarire agli uomini che solo la legge di Dio è la misura della moralità dei nostri atti e che distinguere il bene dal male è la premessa indispensabile per una vita che sia davvero umana. E questa è la terza misericordia della Chiesa.

4) CONSOLARE GLI AFFLITTI
Chi si propone di consolare gli afflitti non resterà mai disoccupato in questo mondo. "La malinconia ha rovinato molti, da essa non si ricava nulla di buono" (Sir 30,23), ci dice il Libro di Dio. E tuttavia non abbiamo troppe ragioni di stare allegri, o almeno non abbiamo ragioni che non siano presto travolte dalle vicissitudini dell'esistenza. Già Omero diceva che l'uomo è il più infelice degli esseri che respirano sulla terra; ed è un'amarezza che percorre tutta la letteratura del paganesimo, contrariamente a quanto talvolta si cerca di far credere. La questione della gioia è una questione seria. E si pone in questi termini: noi siamo fatti per la felicità, e tuttavia essa ci appare troppo spesso una condizione inarrivabile. Il modo moderno di vivere - pieno di agi e insaziabile nell'escogitare forme inedite di gratificazione e di piacere - sembra addirittura aver accresciuto, contro ogni intenzione, i motivi di tristezza e di desolazione. I dati in espansione dei suicidi ne sono una prova evidente: "La tristezza del mondo produce la morte" (2 Cor 7,10), osservava già san Paolo. Al modello sociale che oggi si afferma noi non rimproveriamo affatto di mirare a raggiungere il godimento e il benessere: rimproveriamo piuttosto di non riuscirci. Perché se non si gode con significato e con serena speranza, non si gode affatto. Il cristianesimo è realista: sa che l'uomo è collocato in una valle di lacrime, e che, lasciato alle sole sue forze, non è in grado di evaderne se non negli spazi più angusti dei divertimenti effimeri e delle illusioni. Ma il cristianesimo non può e non deve dimenticare di essere essenzialmente un "evangelo", cioè un annuncio di gioia. E' la gioia di una salvezza avverata, già in atto, che aspetta soltanto che l'uomo le si apra. E' una salvezza già adesso alla nostra portata: l'Eucaristia è qui a dirci che l'evento salvifico e la persona del Salvatore sono qui e oggi tra noi. Ed è la quarta misericordia, preannunciata da Gesù la sera prima di essere crocifisso: "La vostra afflizione si cambierà in gioia" (Gv 16,20).

5) PERDONARE LE OFFESE
Tra le inaudite indicazioni evangeliche questa è forse la più sorprendente "Se tuo fratello pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte al giorno ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai" (Lc 17,4). E' già un'impresa difficile; ma almeno qui si tratta di un offensore che si scusa. In realtà, l'insegnamento complessivo di Cristo è più ampio e incondizionato: "Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati" (Mc 11,25). A questa scuola gli apostoli insegnano: "Non rendete a nessuno male per male (Rm 12,17); anzi, "benedite coloro che vi perseguitano" (Rm 12,14). E' un linguaggio che abbiamo in orecchio e non ci impressiona più. Ma la sua attuazione pratica è lontanissima dalle consuetudini umane, nelle quali dominano i risentimenti e i rancori coltivati. Una delle cause più forti del malessere sociale è data proprio dall'imperversare dell'odio e delle vendette, che innescano una catena interminabile di rappresaglie e quindi di sofferenze. Di qui l'importanza della quinta misericordia che la Chiesa reca al mondo: l'incitamento a far prevalere in tutti la "cultura del perdono". Ogni volta che viene celebrata l'Eucaristia si immette nella nostra storia di uomini un'energia di bene atta a fronteggiare nei cuori gli assalti sempre ricorrenti dello spirito di animosità e di rivalsa, perché ogni volta si riattualizza nel mistero il trionfo della redenzione e della clemenza divina sulla ripullulante malvagità umana.

6) SOPPORTARE PAZIENTEMENTE LE PERSONE MOLESTE
Ci dobbiamo mettere tutti nel numero delle "persone moleste", chi più chi meno naturalmente. Il suggerimento va dunque a vantaggio di tutti. E tutti dobbiamo imparare la virtù della sopportazione. Solo un'ingenuità illuministica - destinata ben presto alla delusione - potrebbe farci pensare che gli uomini siano nativamente simpatici e che su questo principio possa fondarsi e reggersi la nostra filantropia. Come al solito, il cristianesimo è più attento alla verità delle cose. Non perché siamo buoni e amabili, dobbiamo voler bene agli altri, ma perché è buono Dio che per amore ci ha creati tutti, noi e loro. Sarebbe interessante, anche se un po' rischioso, fare un elenco almeno per categoria delle "persone moleste". Diciamo solo che vi si ritrova spesso anche la gente più stimabile e meglio intenzionata. Per esempio, coloro che hanno uno zelo eccessivo e non si rendono conto che se il male non va fatto mai, il bene non va fatto sempre tutto e da tutti. Per esempio, gli amici giornalisti che devono pur guadagnarsi il pane, ma qualche volta se lo guadagnano cercando di farti dire non ciò che a te preme di dire, bensì ciò che a loro pare più adatto a costituire una notizia interessante. Per esempio, i cardinali che, magari credendo di far bene, tengono discorsi troppo lunghi e noiosi. Ciò che importa di più è che ci convinciamo di essere tutti, per il verso o per l'altro fastidiosi e irritanti per il nostro prossimo. D'altronde, finché non entreremo nel Regno dei cieli nessuno di noi è dispensato dalla necessità di aver pazienza. E appunto l'abitudine alla pazienza è la sesta misericordia che la comunità cristiana può offrire ad un'umanità che si fa ogni giorno più intollerante e più esosa. Secondo una celebre definizione di Newman, il gentiluomo è colui che non dà mai pena agli altri. E' un ideale perfettamente evangelico che dobbiamo proporre a tutti e prima ancora dobbiamo tentare di avverare nelle nostre parole e nei nostri comportamenti.

7) PREGARE DIO PER I VIVI E PER I MORTI
Dare agli altri il soccorso della nostra preghiera è un significativo atto di amore, e ci aiuta a oltrepassare quell'egoismo spirituale che, anche nel rapporto religioso, ci impedisce di evadere dalle angustie dei nostri personali interessi. Ciascuno di noi deve temere di stare solo al cospetto di Dio: sentirsi avvalorati dalla voce implorante per noi dei nostri fratelli ci rincuora. Così come la nostra orazione è impreziosita se si fa davvero "cattolica", consapevole che i figli di Dio sono una sola famiglia affettuosamente compaginata; una famiglia che nemmeno la morte riesce veramente a dividere. La forma più alta di questa preghiera universale è la celebrazione eucaristica, perché il sacrificio della messa - ci ricorda l'insegnamento sempre attuale del Concilio di Trento - "viene offerto non solo per i peccati, le pene, le soddisfazioni e le altre necessità dei fedeli viventi, ma anche per coloro che sono morti in Cristo e non sono ancora pienamente purificati". L'intercessione per tutta l'umanità è l'ultima misericordia che, secondo questo elenco, la Chiesa fa piovere su tutte le genti. E anzi qui sta, propriamente parlando, la funzione del sacerdozio battesimale: il popolo di Dio radunato da ogni regione, da ogni stirpe, da ogni cultura, eleva unitamente a Cristo suo capo e suo principio di vita una supplica ininterrotta, e offre la Vittima unica e pienamente efficace, resa presente sull'altare, a favore dell'intera creazione, implorando così su tutti gli uomini la grazia salvifica del padre di tutti.

CONCLUSIONE
Mi rimane da esprimere ancora un pensiero, che valga come conclusione di quanto si è detto. Colui che è il vero e perenne protagonista delle opere di misericordia è il Signore Gesù. Egli si fa presente nelle nostre chiese sotto i segni eucaristici per dirci che: non c'è atto veramente cristiano ed ecclesiale di attenzione agli altri che non tragga da lui il suo slancio, la sua potenza, la sua giustificazione; per dirci che non possiamo mai separare neppure mentalmente le nostre iniziative di solidarietà da quell'innamoramento personale di lui, che tutte le ispira e le qualifica; per dirci che il grande pericolo del cristianesimo dei nostri giorni è quello di venire a poco a poco ridotto, magari per la generosa preoccupazione di accordarsi con tutti, a un insieme di impegni umanitari e all'esaltazione di valori che siano "smerciabili" anche sui mercati mondani. Egli resta veramente, realmente, corporalmente in mezzo a noi e ci aspetta, come il grande e vero dispensatore di ogni misericordia; la misericordia della verità contro le insidie delle ideologie bugiarde; la misericordia della certezza contro la cultura del dubbio; la misericordia di indicarci dove stia il bene e dove stia il male contro le molte confusioni in cui siamo immersi; la misericordia della gioia che vince ogni tristezza; la misericordia del perdono per tutti i nostri sbagli piccoli o grandi; la misericordia di aver pazienza con noi, nonostante le nostre piccinerie e le nostre inconcludenze; la sua misericordia di pontefice fedele (cfr. Eb 2,12) che intercede per tutti. All'altare e nel tabernacolo "non abbiamo un sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati nel momento opportuno" (Eb 4,15-16). Così sia in tutta la nostra vita.

CARD. GIACOMO BIFFI
La fede che diventa cultura

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Fonte: Congresso Eucaristico di Siena, 3 giugno 1994

4 - DIECI MOTIVI PER CUI AMO ESSERE UN MASCHIO
Come uomo troverò sempre qualcosa di bello e stupefacente in ogni donna che incontro e non entrerò mai in competizione con lei
Autore: don Fabio Bartoli - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 19/02/2014

"Tu non mi capisci!" Di solito nelle liti di coppia questo è il rimprovero finale, quello che pone termine ad ogni discussione. Normalmente è la donna a dirlo all'uomo. Ed è giusto, perché l'uomo ha il compito istituzionale, assegnatogli dalla natura, di capirla.
La donna accoglie senza capire, lei non ne ha bisogno, intuisce.
L'uomo invece deve capire, perché deve servire. E per servire, diversamente che per accogliere, è necessario interpretare i gusti e i desideri dell'altro, prevenirli se possibile. Posso accoglierti in silenzio, ma non potrò mai servirti in silenzio. A volte parlerò con le mani anziché con la lingua, ma sempre dovrò "fare" qualcosa.
Accogliere è un essere, servire è un fare, e non si può fare senza capire, pena fare male, servire male.
Naturalmente il rimprovero è vero, molto spesso gli uomini non capiscono, nonostante si impegnino.
Il mondo è così, siamo esseri imperfetti, fatevene una ragione. Non saremo mai all'altezza dei vostri bisogni e delle vostre aspettative, non sapremo mai servirvi così bene da soddisfare ogni vostro desiderio.
Questo solo Dio può farlo.
Però in realtà oggi voglio parlare di altro.
Mi sarà lecito dire una volta, anche una volta sola e sia pure per celia, che anche le donne non capiscono gli uomini? E la cosa è assai più complicata dal fatto che invece spesso son convinte di capirli.
Ci sono così le donne che hanno in testa l'idea che l'uomo sia un eterno bambino e lo trattano come si tratta un ragazzino (dimenticando che il modo migliore di indispettire un ragazzino è di trattarlo come tale, il bimbo vuole semmai essere trattato da adulto).
Ci sono anche quelle che hanno in testa lo schema semplificato on-off, come se l'uomo si concentrasse tutto in un unico interruttore (sì, quello lì, quello del desiderio) e che una volta acceso il problema è risolto.
Ci sono poi quelle che hanno paura degli uomini e che pensano che l'uomo sia sempre sotto sotto un bruto e quindi bisogna stare attenti a tenergli la briglia corta per impedirgli di scatenarsi perché sennò chissà che potrebbe fare...
Credetemi, forse è vero che non siamo complicati come le donne, ma non siamo nemmeno così semplici.
Non nego che ci siano i mammoni e i bruti o quelli che mettono tutta la loro maschilità nell'interruttore, ma la categoria maschile è per fortuna ben più variegata di così.
Permettetemi dunque di offrirvi care amiche un brevissimo decalogo dei dieci motivi per cui amo essere maschio e mi piacerebbe che i lettori maschi del blog lo continuassero, perché non pretende affatto di essere un elenco esaustivo.
Poiché credo moltissimo nella complementarietà, ça va sans dir che non c'è alcun intento di contrapposizione in questo catalogo, quindi nessuno si senta offeso vi prego, prendetelo come un contributo semiserio ad uso delle mie amiche per provare a vedere negli uomini anche qualcos'altro.

AMO ESSERE MASCHIO PERCHÉ:
1) Perché amo finire un lavoro e dopo averlo finito fermarmi a guardarlo e compiacermi di ciò che ho fatto (Le donne che conosco di solito non sono capaci di finire il lavoro, prima di finirlo stanno già pensando a quello che faranno dopo. In questo Dio è decisamente maschio, perché il Sabato si ferma a guardare la Creazione).
2) Perché mi piace stare fermo come uno scoglio su cui si infrangono tutte le tempeste emotive (questa devo spiegarla?).
3) Perché mi piace osservare (I maschi osservano molto, una cosa alla volta, ma osservano).
4) Perché mi piace che i miei figli rischino l'osso del collo pur di affermare se stessi. Perché adoro condividere le loro vittorie (il fatto che io non abbia figli nella carne non cambia niente, ci sono molte forme di paternità).
5) Perché mi piace ridere forte e prendere le ondate di petto, in tutti i sensi (se vuoi conoscere una persona guarda come si comporta al mare).
6) Perché ho sempre desiderato essere un eroe (ci sono anche eroine naturalmente, ma l'eroismo femminile è molto diverso da quello maschile. Troppo lungo e serio da spiegarlo in questa sede però).
7) Perché amo troppo le parole per non sostenerle e rivestirle di gesti (il maschio, lo sanno tutti, realizza se stesso molto più nel fare che nel dire)
8) Perché mi piace fare il capro espiatorio (sì, non inorridite, mi piace pagare, faticare e soffrire al posto degli altri e ci sarà un motivo se non si è mai sentito parlare di una capra espiatoria).
9) Perché non mi fiderei di nessun altro per salvare il mondo (non è che le donne non salvino il mondo, è che i maschi non si fidano del fatto che lo facciano).
10) Perché come maschio troverò sempre qualcosa di bello e stupefacente in ogni donna che incontro e non entrerò mai in competizione con lei.

Fonte: Blog di Costanza Miriano, 19/02/2014

5 - I PRINCIPI NON NEGOZIABILI NON SONO ''VALORI'' INDEFINITI, MA PRINCIPI FONDANTI IL BENE COMUNE
Sono ''non negoziabili'' perché legati alla natura umana: la Chiesa ne riconosce tre fondamentali (vita, famiglia, libertà di educazione)
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 20/03/2014

Spesso si parla di "valori" non negoziabili anziché di "principi" non negoziabili, ma si tratta di un errore di impostazione.
Principio vuol dire fondamento e criterio. Il principio è l'elemento che regge e illumina un certo ambito, tiene insieme le cose e le indirizza al loro fine. Cos'è, invece, un valore? Una cosa ha valore quando è apprezzabile. La vita è apprezzabile, ma anche l'aria pulita o la buona cucina. Essere un valore non vuol dire anche essere un principio. Ciò non toglie che un valore possa essere anche un principio. La vita umana, per esempio, è un valore ma è anche un principio, in quanto è in grado di illuminare con la sua luce l'intera vita sociale e politica. Se si offusca il rispetto della vita non si offusca solo un valore, ma anche altri valori ed altri aspetti della vita che quel principio illumina.
Il bene comune non è un insieme di valori aventi tutti lo stesso peso, ma è un insieme ordinato. Ciò vuol dire che qualche valore ha una funzione arichitettonica, ossia indica i fondamenti del bene comune e, così facendo, illumina di senso anche tutti gli altri. Senza un criterio non c'è bene comune ma somma di beni particolari e questo criterio ci proviene dai principi non negoziabili.
Vediamo ora cosa significa "non negoziabile". Se si tratta di principi, ossia se sono qualcosa che viene prima e che fonda, essi non dipendono da quanto viene dopo ed hanno valore di assolutezza, non sono disponibili. Non sono negoziabili perché assoluti e sono assoluti perché sono dei principi. Si torna così a vedere l'importanza della distinzione tra principi e valori.
I principi non negoziabili, quindi, sono tali in quanto precedono la società. E da dove derivano? Essi sono non negoziabili perché radicati nella natura umana. Proprio perché fanno tutt'uno con la natura umana, non possono essere presi a certe dosi, un po' sì e un po' no: o si prendono o si lasciano. Questa è vita umana o non lo è. Questa è famiglia o non lo è. I principi non negoziabili demarcano l'umano dal non umano e quindi sono il criterio per una convivenza umana.
Da un altro punto di vista, però, essi non sono propriamente dei principi primi, perché non sono capaci di fondarsi da soli. Come abbiamo visto, essi si basano sulla natura umana, ma la natura umana su cosa si fonda? I principi non negoziabili esprimono un ordine che rimanda al Creatore.
Se non esistono principi non negoziabili la ragione non trova un ordine che rinvia al Creatore. Essa non incontra più la fede e la fede non incontra più la ragione. Ciò significa l'espulsione della religione dall'ambito pubblico. La vita sociale e politica sarebbe solo il regno del relativo. Cosa ci starebbe a fare la fede in un simile contesto? Dio si sarebbe scomodato a parlarci per aggiungere la sua opinione alle nostre?

QUALI SONO
Precisare quali sono i principi non negoziabili è di fondamentale importanza. I testi fondamentali del magistero sono tre.
Al paragrafo 4 della Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica Congregazione per la Dottrina della Fede (24 novembre 2002) sono indicati i seguenti principi non negoziabili: vita, famiglia, libertà di educazione, tutela sociale dei minori, libertà religiosa, economia a servizio della persona, pace.
Nell'Esortazione apostolica post sinodale Sacramentum caritatis sull'Eucaristia del 22 febbraio 2007 (par. 83), Benedetto XVI cita vita, famiglia e libertà di educazione a cui aggiunge il bene comune.
Nel Discorso ai Partecipanti al Convegno del Partito Popolare Europeo del 30 marzo 2006, Benedetto XVI elenca vita, famiglia e libertà di educazione.
Tre principi sono sempre presenti e sempre collocati all'inizio di ogni elenco, in posizione quindi eminente; vita, famiglia e libertà di educazione. Hanno quindi un carattere fondativo: nessun altro dei principi successivi può essere né adeguatamente compreso né efficacemente perseguito senza di essi, mentre non accade il contrario. E' possibile, per esempio, garantire la tutela sociale dei minori se ai minori si impedisce di nascere? Inoltre che quei tre principi ci pongono davanti a degli assoluti morali, ossia ad azioni che non si devono mai fare in nessuna circostanza. Per gli altri principi elencati nella Nota del 2002 non è così. Per esempio, essa annoverava tra i principi non negoziabili anche una "economia a servizio della persona". Tuttavia, per perseguire la piena occupazione le strade possono essere diverse. Nel caso, invece, dei tre principi di cui ci stiamo occupando, non ci sono strade diverse.
C'è solo un altro principio tra quelli elencati nella Nota del 2002 che potrebbe contendere il "primato" a questi tre: il principio della libertà di religione. Però il diritto alla libertà religiosa non è assoluto, in quanto vale solo dentro il rispetto della legge di natura, il cui rispetto è fondamentale per il bene comune. Professare e praticare una religione che contenga elementi contrari alla legge naturale non può essere un diritto né avrebbe titolo morale per un riconoscimento pubblico.
Da questa considerazione deriva che se mancano i primi tre principi, tutto l'elenco viene meno, mentre se ci fossero solo i primi tre, ci sarebbe già il nucleo portante di tutto il discorso.

PRINCIPI NON NEGOZIABILI ED OBIEZIONE DI COSCIENZA
Poiché la politica assume sempre di più l'arroganza di contrastare i principi non negoziabili l'obiezione di coscienza oggi è sempre di più un problema politico e non solo morale.
Fanno obiezione di coscienza i farmacisti, che non vogliono vendere la pillola del giorno dopo in quanto ha effetti abortivi, le ostetriche e i medici che non vogliono collaborare nel praticare aborti, anche se la legge lo permette, gli impiegati comunali, che non vogliono registrare le coppie omosessuali negli appositi registri pubblici o che non vogliono celebrare pubblicamente matrimoni che tali non sono, molti insegnanti che non vogliono piegarsi all'ideologia del gender, i genitori, quando decidono di non far partecipare i propri figli a distruttivi corsi scolastici di educazione sessuale, i lavoratori che non rinunciano al loro diritto di esibire un segno religioso quando sono in servizio, mentre l'amministrazione da cui dipendono lo vieta, le infermiere, quando reagiscono al divieto dell'amministrazione sanitaria di confortare religiosamente i morenti, invitano all'obiezione di coscienza in Vescovi americani contro la riforma sanitaria di Obama, fanno obiezione di coscienza gli operatori del consultori della Toscana dove adesso dovranno anche somministrare la pillola abortiva. Ci sono persone che perdono il posto di lavoro per la fedeltà ai principi non negoziabili.
Ora, mi chiedo, perché questo non dovrebbe valere in politica? Perché in politica si dovrebbe comunque arrivare ad un compromesso? E per questo compromesso in politica si dovrebbe anche dimostrare rispetto e deferenza, lodando la persona che è scesa a mediazione come un esempio di saggezza, prudenza e perfino coraggio?
La cosa è ancora più evidente se la si esamina dal punto di vista della testimonianza. Quante volte si dice che il cattolico è in politica per dare una testimonianza. Però, se non esiste la possibilità del sacrificio, se non c'è mai nessun "no" da dire a costo di perdere qualcosa, la testimonianza come si misura? Il vero uomo politico è colui che sa anche rinunciare alla politica. Si è uomini prima e dopo la politica. E' questo che dà senso alla politica stessa. Se tengo aperto il campo della mia umanità tramite una fedeltà alla retta coscienza che giudica la stessa politica, faccio respirare anche la politica. Molti dicono: non si deve abbandonare il campo (per esempio con le dimissioni) perché in questo modo lo si lascia agli altri e si recede dalla doverosa lotta politica. Ma la politica la si può fare in tanti modi e in tanti luoghi. Senza contare che, anche un eventuale atto di dimissioni per motivi di coscienza sarebbe già un atto politico, denso di possibili conseguenze politiche imprevedibili in quel momento.
E' evidente che l'obiezione di coscienza in politica è possibile se in politica si danno principi non negoziabili. L'esistenza dei principi non negoziabili rende libere la nostra coscienza e la politica. Ecco perché oggi c'è la necessità di insistere sui principi non negoziabili in ordine alla obiezione di coscienza in campo politico. Da essa dipende il collegamento della politica con il prima che la precede e la fonda.
In questo modo la politica è costretta a fare i conti con la modernità. Questa, infatti, ha annullato il "prima" e ha preteso di cominciare da zero, nella forma del contratto sociale. Però della modernità fa parte anche Tommaso Moro, che nel 2000 Giovanni Paolo II ha proclamato Protettore dei governanti e dei politici cattolici.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 20/03/2014

6 - CONSIGLI PER IL PELLEGRINAGGIO IN TERRASANTA
Qualunque idea vi siate fatti dei posti in cui visse Gesù, toglietevela dalla testa
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Il Timone, marzo 2014

Se avete intenzione di andare pellegrini in Terrasanta, accettate un consiglio: scegliete un periodo lontano dalle feste comandate e possibilmente denso di attentati.
Vi spiego perché. Sono stato in Israele una prima volta, diversi anni fa, da solo, invitato dall'Istituto Italiano di Cultura di Haifa per una conferenza. Proprio in quei giorni, erano esplosi un paio di ristoranti e bar affollati di cristiani e turisti. Tutto ciò contribuì, grazie alle immagini trasmesse dai tg, a impaurire visitatori e pellegrini, con gran danno per il turismo israeliano (forse proprio quel che il terrorismo intendeva ottenere). Tutti quelli che sapevano dove dovevo andare facevano la faccia terrorizzata e mi sconsigliavano. Io, che ormai avevo preso un impegno di lavoro, feci qualche telefonata ad Haifa e ne fui rassicurato: le bombe erano passate, il territorio era in sicurezza, potevo stare tranquillo. Comunque, il clima in Italia era tale che sull'aereo ero quasi solo. Meglio. L'unica noia, per me, furono i controlli severissimi all'aeroporto di Tel Aviv (mi fecero togliere anche le scarpe e la cintura dei pantaloni). Rimasi in Israele un'intera settimana. E potei visitare in tutta serenità i Luoghi Santi. Per esempio, nella Basilica dell'Annunciazione di Nazareth, completamente deserta, il frate francescano mi accompagnò cortesemente fino al punto esatto in cui la Vergine colloquiò con l'Angelo e si compì l'Incarnazione del Verbo. Potei comodamente inginocchiarmi, baciare la pietra indicatami, soffermarmi quanto volli a riflettere e meditare sull'Evento. Stesso copione nel tour attorno al lago di Tiberiade, dove ci sono Cafarnao e la casa di Pietro, Cana, il luogo dell'apparizione del Risorto, i monti delle Beatitudini e della Trasfigurazione eccetera. Le uniche tracce di un Paese reduce da un attacco terroristico erano i vari check-point (che superai senza alcun problema), gli echi lontani delle cannonate sulle alture del Golan, qualche jet con la stella di David solcante i cieli, le gite scolastiche primaverili scortate da giovani soldati armati fino ai denti. Alcuni di loro, va detto, erano avvenenti ragazze infagottate nelle mimetiche. In Israele infatti, vige la leva obbligatoria per ambo i sessi: tre anni per i maschi e uno e mezzo per le femmine.
Bisogna avere un pò di pazienza sui prezzi: oggi, 2.50 euro per un espresso all'italiana e 5 per un bicchiere di vino. La moneta è lo shekel (cioè il siclo ebraico), ma sono benvenuti euro e dollari. Meglio mangiare all'araba e bere succo di melograno spremuto all'istante, costa meno e non è affatto male. Anche la paccottiglia turistica è cara. In compenso, puoi risparmiare tempo perché vendono tutti le stesse cose: rosari in legno d'ulivo, Menorah (i candelabri a sette braccia), Mani di Allah, corni Shofar (d'ariete: suonandoli, il rabbino annuncia la prima stella del sabato), Sali del Mar Morto, costosissimi modellini dell'Arca dell'Alleanza, boccette d'acqua del Giordano, icone cristiane e via elencando. Meglio essere ferrati in inglese, perché anche le insegne sono in ebraico e dovrete farvi capire da tassisti palestinesi che l'inglese lo masticano peggio di voi. Usate le mappe: se chiedete di essere condotti, che so, alla Casa di Caifa, magari scoprite che quello non sa nemmeno di cosa stiate parlando. Negli alberghi, attenzione al sabato ("shabbat"): gli ascensori si fermano a ogni piano e le macchinette del caffè sono spente. Anche i frigoriferi hanno la "funzione sabba": un timer impedisce che, se li aprite di sabato, si accenda la luce (approntare "fuochi " è vietato di sabato perché considerato "lavoro" e il riposo deve essere assoluto). Certo non tutti, lì, sono ferventi religiosi; anzi, pare che alla maggioranza (come da noi) non gliene importi più di tanto. Comunque, i negozi sono chiusi e negli alberghi l'attività è ridotta.
Per chi in Terrasanta non fosse mai stato e, da buon cristiano, abbia letto il Vangelo o ascoltato a messa i passi delle Scritture e si fosse fatto una sua idea dei luoghi di Gesù e degli Apostoli, ebbene, sappia che non vedrà praticamente nulla di tutto questo. Gerusalemme fu distrutta dai Romani col suo Tempio nel 70 d.C. Sulle sue rovine l'imperatore Adriano edificò Aelia Capitolina, ripopolandola e disseminandola di templi pagani. Agli ebrei era vietato tornarci, pena la morte. Tre secoli dopo, sant'Elena, madre di Costantino riportò faticosamente alla luce tutto, dal Sepolcro al Cenacolo al Calvario del Getsemani. Ritrovò pure la Vera Croce, che riconobbe tra altre perché, si dice, vi fece distendere uno appena morto e costui risuscitò. Su ognuno di questi posti sacri Costantino fece erigere chiese e basiliche. Altri tre secoli e nel 613 provvidero i Persiani a raderle al suolo, portandosi via anche la Vera Croce. Risparmiarono solo la basilica dell'Annunciazione perché, nei fregi, videro figure vestite come loro, i Magi. Fu l'imperatore bizantino Eraclio, con una grandiosa spedizione, a riconquistare la Croce e i Luoghi Santi, ricostruendone le chiese. Il giorno in cui la Vera Croce fu riportata a Gerusalemme era un 14 settembre e la festa è rimasta come Esaltazione della Croce. Ma pochi decenni dopo arrivarono gli Arabi maomettani, e le moschee sostituirono le chiese per i seguenti quattro secoli. La prima crociata riprese Gerusalemme e tolse la mezzaluna dalle moschee (che non distrusse) mettendoci la croce. Nel secolo seguente, con Saladino, i Luoghi Santi cambiarono ancora una volta padrone (Saladino trascinò la Vera Croce, capovolta, per le strade di Damasco), per rimanere in mani islamiche, dopo alterne vicende storiche che non è questa la sede per elencare, praticamente fino al 1967, anno in cui Gerusalemme fu proclamata (unilateralmente) capitale di Israele.
Insomma, qualunque idea vi siate fatti dei posti in cui visse e operò Gesù, toglietevela dalla testa. Vedrete una chiesa di epoca relativamente recente e la guida vi dirà che sorge sul probabile luogo in cui Pietro rinnegò Cristo e il gallo cantò (c.d. Sanctus Petrus in Gallicantu). Ne vedrete un'altra in grigio cemento anni Sessanta e saprete che là c'era la casa di Maria. Vedrete un modesto rettangolo recintato con qualche ulivo dentro. Due o tre alberi, grossi e contorti, pare abbiano giusto duemila anni. E questo è l'Orto degli Ulivi. La Via Dolorosa? Un budello pavimentato che da secoli è un bazar mediorientale, con una serie infinita di negozietti uno attaccato all'altro e che vendono tutti le stesse cose, mentre i venditori, il cui occhio è addestrato, vi chiamano: "Italiano, italiano!". Insomma, è tutto così, rarissime le pietre d'epoca e pure queste, per giunta, probabili, anche perché l'archeologia sacra è scienza recente e deve operare in siti sottoposti a un'infinità di divieti incrociati.
Se invece avete scelto un pellegrinaggio organizzato, magari per Natale, allora le cose si complicano. Nell'appena trascorsa festività, in Terrasanta, solo gli italiani erano (eravamo) 75mila. Ma i cristiani sono cattolici, protestanti, ortodossi, siriani, greci, melkiti, malabaresi, armeni, abissini, copti, bizantini e via distinguendo. Tutta questa massa biblica di gente vuole visitare gli stessi edifici quasi nello stesso momento. Possiamo limitarci a descrivere quel che accade al Santo Sepolcro. La basilica in cui esso è contenuto è d'epoca bizantina con miriadi di rifacimenti successivi. Il "Santo Sepolcro" sarebbe una specie di buco sotto a un altare che sta dentro un'angusta edicola: per venerarlo, bisogna mettersi carponi e passare uno alla volta. Il che significa, nella migliore delle ipotesi, code senza fine e attesa media di due-tre ore. Ben pigiati davanti e dietro. A meno che non vi piazziate lì alle 4 del mattino e, dopo avere atteso che le varie confessioni abbiano espletato i rispettivi riti (quelli ortodossi sono piuttosto lunghi), nel buio delle lampade e candele (niente luce elettrica), se siete fortunati ci mettete solo un'ora. La basilica avrebbe due porte, ma una è murata dai tempi del Saladino. Già: le diverse confessioni che si dividono l'edificio praticamente non permettono alcun intervento per timore di perdere mezzo metro delle rispettive giurisdizioni. Per questo, fin dall'epoca dei sultani ottomani, la chiave dell'unica porta è in custodia di un musulmano. Il clero delle varie confessioni è infatti più volte venuto addirittura alle mani per via del difficile condominio. Né la fraternità cristiana va meglio tra i pellegrini (come diceva Gustave Thibon, è quasi impossibile attuare il comandamento dell'amor del prossimo su un autobus nell'ora di punta). Io stesso, nella strettissima scala che porta al punto del Calvario (medesima basilica), ho dovuto spintonare rudemente un russo che cercava di bloccarmi per far passare i suoi amici. Ah, se il Luogo che state visitando è in mani ortodosse, la vostra attesa sarà senza fine, perché i pellegrini di fede ortodossa hanno diritto di precedervi anche se venuti dopo. Certo, viene un pò di tristezza al pensiero che si è lì per devozione e invece ci si ritrova ad arrabbiarsi o a litigare col furbo che salta la fila. Mentre tu, magari anziano, sono ore che stai in piedi sbatacchiato dalla calca. Ma la gazzarra la sopportava lo stesso Gesù, quando le folle si calpestavano l'un l'altro per poterlo toccare (Lc 12,1) e Lo pressavano da ogni parte. Dunque, andiamoci, in Terrasanta. Almeno una volta nella vita.

Fonte: Il Timone, marzo 2014

7 - PADRE PIO E I FRANCESCANI DELL'IMMACOLATA
Storie analoghe di persecuzione ed obbedienza
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Libertà e Persona, 04/02/2014

Istituire un parallelo tra padre Pio e padre Stefano Manelli, fondatore dei Francescani dell'Immacolata (F.I.), oggi nell'occhio del ciclone, è quasi inevitabile. Anzitutto per la storia di padre Manelli, che di padre Pio è stato figlio spirituale, e che a padre Pio ha sempre indirizzato il suo sguardo e quello dei suoi figli. In secondo luogo, appunto, per la persecuzione, patita e vissuta, da entrambi, in modo analogo.
Ma andiamo con ordine. Padre Pio, ricordava padre Dario Composta, su Nova et Vetera, nel 2000, è stato un eroe dell'obbedienza. Di essa diceva: "L'obbedienza è la virtù che ti santifica; è grande cosa l'obbedienza". Oggi, persino nel mondo religioso, il concetto è un po' vago e spesso incompreso, ma l'obbedienza è stata la roccia su cui si è mantenuta per duemila anni l'unità della Chiesa, tra tempeste e diluvi. Obbedire a Dio tramite i superiori, si diceva un tempo; obbedire a ciò che Dio ci chiede, nella storia: è poi il senso del Fiat voluntas tua del Padre Nostro. Anche uno sposo o una sposa, non solo i religiosi, fa voto di obbedienza: perché la fedeltà agli sposi è proprio, in molti momenti della vita matrimoniale, un obbedienza ad un compito, ad un ruolo, a Dio e ad una specifica persona.
Padre Pio, si diceva, parlava spesso dell'obbedienza, ed ebbe modo di viverla e praticarla sino in fondo, sino al martirio. Infatti il suo calvario, su cui fu portato dai confratelli, dagli uomini di quella Chiesa che lui amava con intensità totale, inizia già nel 1919, quando si apprende che a Roma si è deciso il suo trasferimento.
A san Giovanni Rotondo, ricorda Rino Cammilleri nel suo Vita di padre Pio, scoppia una vera e propria sommossa: "Blocchi stradali, vedette, folle che chiedevano, tumultuando intorno al convento di padre Pio". Come accadrà in futuro: saranno quasi sempre i laici a difendere il santo sacerdote; penitenti, semplici fedeli, spesso giornalisti che porteranno avanti campagne di stampa denunciando i soprusi e le malefatte dei commissari, dei visitatori, del sant'Ufficio... Sant'Ufficio che comincia a colpire il frate già nel 1922, costringendolo a dire messa all'alba, a cessare di scrivere e rispondere alle lettere... Il Segretario della Congregazione del Sant'Uffizio è, in quest'epoca, l'ottimo e non certo sciocco cardinale Merry del Val, già segretario di Stato di san Pio X.
L'anno dopo, nel 1923, un' inchiesta vaticana porta ad ulteriori accuse. Il papa dell'epoca è Pio XI, un buon papa, certamente. E le accuse a padre Pio? Sono varie, di varia provenienza, gravissime e meno gravi, difficili da valutare, contrastate da innumerevoli testimonianze di ben altro tenore. Un po' come oggi, contro padre Stefano. Un mare di accuse e di contro-testimonianze, in cui può essere difficile, senza una analisi accurata e precisa, comprendere. Quel che è certo è che, allora, padre Pio non viene compreso, ma condannato. E lui obbedisce, senza fiatare, mentre su La Stampa e su Il Resto del Carlino escono difese appassionate, un po' come il lungo e coraggioso articolo di Antonio Socci, comparso su Libero alcuni giorni orsono, in difesa di padre Manelli e dei F.I..
Per lunghi anni padre Pio subisce accuse che cambiano: lo si accusa di essere un falsario, di atteggiarsi a santone, di essere donnaiolo, isterico, di aver commesso disonestà economiche. Chi abbia letto le lettere di padre Fidenzio Volpi, attuale commissario dei F.I., troverà qualcosa di analogo: accuse che cambiano, che vanno dalla vaghissima imputazione di non "sentire cum ecclesia", alle generica condanna sulla gestione dei beni della Congregazione.
Attorno a padre Pio viene fatto il deserto: oggi tutti i frati più vicini a padre Manelli sono stati spediti, in pochi giorni, da una parte all'altra del mondo; allora sette frati devoti del Padre vengono trasferiti, in due anni, per essere sostituiti con i suoi detrattori.
Intanto laici e qualche religioso si muovono, il papa Pio XI finalmente comprende che le cose non sono come gli sono state raccontate, e cerca di riparare. Ma i tempi sono lunghi. Padre Pio può tornare a confessare solo il 16 luglio 1933: il Sant'Ufficio si rimangia così, in silenzio, i suoi decreti punitivi. Sotto Pio XII padre Pio godrà di maggior libertà e della grande stima del pontefice. Non di tanti cardinali, vescovi, curiali... Secondo il Composta ed altri la decisione di "liberare" P. Pio è determinata dalla polemica opera di un grande difensore laico del padre, Emanuele Brunatto, autore di un libro stampato a Parigi e intitolato "Gli anticristi nella Chiesa di Cristo".
L'anno dopo la morte di Pio XII, si apre un vuoto di potere: come sempre in questi casi c'è qualcuno che torna all'attacco, per regolare i conti lasciati in sospeso. I momenti di passaggio sono sempre propizi. Anche qui le somiglianze con le vicende attuali non sono causali. Così la persecuzione ricomincia, ad opera del vescovo di Padova, il cappuccino Bortignon: a finire sotto l'incudine due sacerdoti, don Nello Castello e don Negrisolo, entrambi estimatori di padre Pio, come lo saranno, poi, di Padre Manelli. Subiranno anche loro, a lungo, torti ed ingiustizie, senza mai perdere la fede. Ma combattendo per la verità, inviando a Roma suppliche, memoriali, e chiedendo "di essere giudicati con procedure regolari".
Al sant'Ufficio vi è il cardinal Ottaviani, uno dei leader dei conservatori; il nuovo papa è ora Giovanni XXIII, il papa del concilio. Intanto scoppia il caso dei microfoni, fatti piazzare nel confessionale di padre Pio: a svelarlo un giornale laico, l'Europeo (così può accadere che un servizio alla Chiesa derivi da chi magari ne è lontano). Il 15 giugno 1960 il sant'Ufficio invia a san Giovanni Rotondo il visitatore apostolico, mons Carlo Maccari: padre Pio lo accoglie con umiltà, ma, ricorda don Composta, respinge le accuse "con vivacità". Figlio obbediente della Chiesa; uomo di fede che comprende bene l'umanità e la divinità dell'istituzione, padre Pio dice le sue ragioni...e lascia, di solito, che altri le sostengano... poi, alla fine, ubbidisce ed offre tutto per il bene della Chiesa e del mondo.
Maccari intanto segue la sua pista: è convinto della colpevolezza e cerca le testimonianze opportune a dimostrarla. I nemici di padre Pio sono furbi e organizzati; non so se vi sia tra loro qualche giornalista, che ama definirsi "esperto in comunicazione", come accade oggi con uno dei figli di padre Stefano, tra i suoi principali accusatori, ma può ben darsi. Sappiamo che padre Pio prega di poter morire. La croce è assai pesante. Come quella di un marito o una moglie che, perseguitato dal coniuge, o costretto ad assisterlo nella lunga malattia, continua imperterrito nella sua fedeltà, promessa un giorno davanti a Dio. Con un amore soprannaturale di cui solo la fede è capace. Sembra che Maccari sia convinto della veridicità di accuse infamanti, gestite del resto, come si diceva, con satanica furbizia.
Accuse, ricorda il Composta, di mala amministrazione, "con sospetti sull'onestà dei laici fiduciari"; accuse di lussuria e di "poca docilità nell'accogliere il Visitatore apostolico". Basti leggere le lettere di padre Volpi, commissario odierno dei F.I., per trovare le stesse litanie. Un film che si ripete anche per altri dettagli: "Tutte queste accuse sarebbero dovute restare segrete; ma la stampa ghiottamente riuscì ad impossessarsene e per mesi ogni giorno in tutto il mondo si irrideva alle "ruberie" dei Cappuccini, alla "vita allegra" di P. Pio, all'"ipocrisia" dei frati, alla "connivenza" di molti prelati. Gli stessi difensori di P. Pio per un certo tempo non trovarono ospitalità nei giornali più diffusi in Italia, come attesta Giuseppe Pagnossin (Summarium pp. 998, segg.)".
Giovanni XXIII? Cammilleri riassume così: "alcuni sono convinti che ad avercela con padre Pio fosse proprio Giovanni XXIII. Altri sostengono che il papa nulla sapesse... Lo sapeva? Non lo sapeva? Non lo sappiamo". Documenti più recenti invece sembrano dimostrare che il papa credesse nella colpevolezza: ha ascoltato basito le denunce di Pietro Parente, assessore del Sant'Uffizio, mentre i baci alle stigmate del padre, registrati dai microfoni posti nel confessionale, gli sono stati presentati come baci amorosi. Vi sono anche oggi, con i F.I., accuse che, assai ben costruite, hanno la loro parvenza di credibilità.
Intanto i cappuccini, sono "in pugno di una minoranza", contraria al futuro santo: schierati su posizioni diverse molti terziari e molti laici (i frati devoti al Padre sono stati allontanati). Un po', ancora una volta, quanto accade oggi con i F.I.: una minoranza di frati ribelli, che si presenta e si vende come maggioranza, intimidendo i contrari e gli incerti, e facendo valere su di loro l'accusa: "se non state con noi, siete contro il papa". E che cerca di mettere a tacere i laici terziari o promette denunce ai giornalisti che raccontano quello che hanno visto...
Nel 1961 il sant'Ufficio ufficializza i provvedimenti iniqui contro padre Pio presi dal visitatore: il documento è approvato dal papa e sottoscritto, "a malincuore", da Ottaviani. Che da allora si rifiuta di prenderne altri, lasciando il ruolo di persecutore, consapevole o meno, al cardinal Parente (grande esponente della famosa Scuola Romana, non certo progressista).
Il 30 luglio 1964, il nuovo Papa Paolo VI comunica ufficialmente tramite il cardinale Ottaviani che a Padre Pio da Pietrelcina viene restituita ogni libertà nel suo ministero. Gli viene anche concesso, l'anno dopo, di continuare a celebrare con il messale di san Pio V, in quel vetus ordo, come si dice oggi, liberalizzato da Benedetto XVI nel 2007, e riproposto da padre Manelli, non obbligatoriamente, come un tesoro ai suoi frati.
Il 12 settembre 1968, anno della sua morte, il frate che diverrà santo scrive una lettera a Paolo VI, complimentandosi con lui per l'enciclica che gli ha procurato infiniti fastidi fuori e dentro la Chiesa: l'Humanae vitae.
Così si legge, tra l'altro, nella lettera: "So che il Vostro cuore soffre molto in questi giorni per le sorti della Chiesa, per la pace del mondo, per le tante necessità dei popoli, ma soprattutto per la mancanza di obbedienza di alcuni, perfino cattolici, all'alto insegnamento che Voi assistito dallo Spirito Santo e nel nome di Dio ci date. Vi offro la mia preghiera e sofferenza quotidiana, quale piccolo ma sincero pensiero dell'ultimo dei Vostri figli, affinché il Signore Vi conforti con la sua grazia per continuare il diritto e faticoso cammino, nella difesa dell'eterna verità, che mai si cambia col mutar dei tempi. Anche a nome dei miei figli spirituali e dei "Gruppi di preghiera" vi ringrazio per la parola chiara e decisa che avete detto, specie nell'ultima Enciclica Humanae vitae, e riaffermo la mia fede, la mia incondizionata obbedienza alle vostre illuminate direttive. Voglia il Signore concedere il trionfo alla verità, la pace alla sua Chiesa, la tranquillità ai popoli della terra, salute e prosperità alla Santità Vostra, affinché dissipate queste nubi passeggere, il regno di Dio trionfi in tutti i cuori, mercé la vostra opera apostolica di supremo Pastore di tutta la cristianità...".

DOSSIER "PADRE PIO"
Il primo sacerdote stigmatizzato

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Fonte: Libertà e Persona, 04/02/2014

8 - LETTERE ALLA REDAZIONE: LE PURGHE DI PADRE LIVIO GETTANO UN'OMBRA OSCURA SU RADIO MARIA
I nostri lettori ci scrivono per dimostrare solidarietà a Palmaro, Gnocchi e De Mattei
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie, 05/04/2014

Gentile redazione di BastaBugie,
vi inoltro, per opportuna conoscenza, la lettera che ho inviato oggi a Padre Livio, direttore di Radio Maria.
Caro Padre Livio,
é la seconda volta che Le scrivo, pur sapendo che non troverà il tempo di rispondermi con tutte le sue attività spasmodiche.
Sono un convinto sostenitore di Radio Maria, beninteso nel limite delle mie modeste possibilità, sia con offerte saltuarie, sia tramite RID trimestrali, sia mediante l'indicazione del 5 per mille in sede di dichiarazione UNICO.
Da quando, ormai una ventina d'anni fa, ho incontrato Radio Maria non ne posso fare a meno nei miei giornalieri percorsi in automobile per raggiungere la sede di lavoro. Riconosco di avere beneficiato di tante opportunità conoscitive in materia di fede, grazie ai suoi collaboratori che intrattengono gli ascoltatori sui diversi argomenti rilevanti.
E vengo alla motivazione della presente lettera. Così come qualche mese fa non ho apprezzato il Suo licenziamento in tronco di Gnocchi e Palmaro, altrettanto oggi non posso condividere la Sua decisione di estromettere il prof. de Mattei dalla rubrica mensile di Radio Maria.
E questo, non tanto perché le argomentazioni del Professore non sono state da Lei condivise ma, soprattutto, perché il contenuto delle osservazioni del Nostro erano esposte non in trasmissioni diramate da Radio Maria ma su altri organi d'informazione, così come le osservazioni di Gnocchi e Palmaro erano state diffuse da Il Foglio e non da Radio Maria. In questo modo Ella ha dimostrato - me lo lasci dire senza peli sulla lingua - una grettezza ed uno spirito fanatico degni di un trinariciuto di guareschiana memoria, altro che misericordia cristiana di cui, spesso, il nostro Papa fa sfoggio verbale!
Le argomentazioni di Gnocchi e Palmaro ieri, e quelle di de Mattei oggi, non erano campate in aria, bensì condivisibili, almeno per me, ma in ogni caso credo che il cattolico abbia tutto il diritto ad esprimere pubblicamente perplessità su certi comportamenti, beninteso con la dovuta reverenza dovuta al Pontefice. Semmai, si possono discutere, ma non impietosamente cancellare!
Insomma, caro Padre Livio, non ci siamo proprio!
La prego di trovare il tempo di rispondere a questa mia, diversamente mi sentirei moralmente disobbligato a sostenere questa iniziativa, pur apprezzandone la elevata motivazione.
Un saluto cordiale
Angelo

Cara redazione,
sono un professore e vorrei esprimere tutta la mia solidarietà, ammirazione e ringraziamento per il prof. De Mattei ingiustamente allontanato da Radio Maria per aver detto la verità senza paura, con l'onesta e il coraggio di un cuore puro e illuminato dalla fede. Grazie.
Carlo

Gentile redazione di BastaBugie,
ho letto che Padre Livio, a proposito delle epurazione di Mario Palmaro, Alessandro Gnocchi e Roberto De Mattei avrebbe detto: "In questi ultimi tempi ho dovuto fare un bel 'repulisti' fra i conduttori di Radio Maria... A qualcuno ho dovuto farlo scendere dalla cattedra e metterlo su un semplice seggiolino... Perché deve essere ben chiaro: o si mangia questa minestra o si salta dalla finestra...".
Mi pare un modo di parlare un po' arrogante e non coerente con la misericordia cristiana. Inoltre io ero particolarmente interessata ai programmi di tutti e tre e li ascoltavo sempre.
Ho deciso quindi di interrompere il pagamento automatico di una quota mensile che da circa un anno avevo attivato nella mia banca in favore di Radio Maria.
BastaBugie invece trova il mio pieno appoggio, per cui dirotterò su di voi le mie offerte. Grazie per il lavoro di informazione che fate. Continuate così.
Grazia

Cari lettori,
onestamente anche a noi pare che le scelte di Padre Livio siano non solo sbagliate nella modalità, ma anche e soprattutto nel merito.
Per ogni approfondimento su questa triste vicenda rimando ai seguenti articoli già pubblicati:
IL PAPA CHE PIACE ALLA GENTE CHE PIACE
Intervista a Gnocchi e Palmaro dopo l'espulsione da Radio Maria
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2993
BILANCIO A UN ANNO DALLA RINUNCIA DI BENEDETTO XVI
A causa di questo articolo anche il direttore di Radici Cristiane e Corrispondenza Romana è stato purgato da Radio Maria
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3148
ECCO LA LETTERA DI PADRE LIVIO PER RIMUOVERE DE MATTEI DA RADIO MARIA
Dopo Gnocchi, Palmaro e De Mattei, farà fuori Antonio Socci?
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3155

DOSSIER "LETTERE ALLA REDAZIONE"
Le risposte del direttore ai lettori

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Fonte: Redazione di BastaBugie, 05/04/2014

9 - OMELIA DOMENICA DELLE PALME - ANNO A - (Mt 26,14-27,66)
Davvero costui era Figlio di Dio!
Fonte Maranatha.it, (omelia per il 13/04/2014)

Tutto l'impegno quaresimale di penitenza e di conversione in questa domenica viene focalizzato attorno al momento cruciale del mistero di Cristo e della vita cristiana: la croce come obbedienza al Padre e solidarietà con gli uomini, la sofferenza del Servo del Signore (cf prima lettura) inseparabilmente congiunta alla gloria (seconda lettura). La strada che Gesù intraprende per salvare (= per regnare) si pone in contrasto con ogni più ragionevole attesa perché egli sceglie non la forza e la ricchezza, ma la debolezza e la povertà. Il compendio della celebrazione odierna è offerto già nella monizione che introduce la processione delle Palme: «Questa assemblea liturgica è preludio alla Pasqua del Signore... Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione... Chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce per essere partecipi della sua risurrezione».

IL MISTERO DELLA CROCE
Vertice della liturgia della Parola è la lettura della Passione: è a questo centro che occorre volgere l'attenzione, più che alla processione delle palme. I ramoscelli d'olivo non sono un talismano contro possibili disgrazie; al contrario, sono il segno di un popolo che acclama al suo Re e lo riconosce come Signore che salva e che libera. Ma la sua regalità si manifesterà in modo sconcertante sulla croce. Proprio in questo misterioso scandalo di umiliazione, di sofferenza, di abbandono totale si compie il disegno salvifico di Dio. Nell'impatto con la croce la fede vacilla: il peso di una forca schiaccia il Giusto per eccellenza e sembra dar ragione alla potenza dell'ingiustizia, della violenza e della malvagità. Sale inquietante la domanda del «perché» di questo cumulo insopportabile di sofferenza e di dolore che investe Gesù, il Crocifisso, e con lui tutti i crocifissi della storia. Sulla croce muoiono tutte le false immagini di Dio che la mente umana ha partorito e che noi, forse, continuiamo inconsciamente ad alimentare. Dov'è l'onnipotenza di Dio, la sua perfezione, la sua giustizia? Perché Dio non interviene in certe situazioni intollerabili?

« PORTÒ IL PESO DEI NOSTRI PECCATI »
Solo la fede è capace di leggere l'onnipotenza di Dio nell'impotenza di una croce. E' l'impotenza dell'Amore. Gesù ha talmente amato il Padre («obbediente fino alla morte e alla morte di croce»: seconda lettura) da accogliere liberamente il suo progetto «per noi uomini e per la nostra salvezza». Gesù non muore perché lo uccidono, ma perché egli stesso «si consegna» (cf Gal 2,20) con libertà sovrana, per amore. Questo amore supremo che egli dona perdendo se stesso e diventando solidale con tutte le umiliazioni, i dolori, i rifiuti patiti dall'uomo, dà la misura dell'annientamento (cf seconda lettura) di Gesù e manifesta il rovesciamento delle situazioni umane: la vera grandezza dell'uomo non sta nel potere, nella ricchezza, nella considerazione sociale, ma nell'amore che condivide, che è solidale, che è vicino ai fratelli, che si fa servizio. Dio vince il dolore e la morte non togliendoli dal cammino dell'uomo, ma assumendoli in sé. Il Dio giusto si sottrae ai nostri schemi di giustizia, che reclamerebbero la vendetta immediata sui cattivi e sugli accusatori dell'Innocente: la sua giustizia si rivela perdonando e togliendo all'omicida anche il peso del proprio peccato. Il vinto che perdona il vincitore lo libera dalla sua aggressività mortale mostrandogli come l'amore vinca l'odio.

DIO REGNA DAL LEGNO
Nel legno della croce le prime generazioni cristiane hanno saputo scorgere il segno della regalità di Cristo.
Gli evangelisti non hanno bisogno di attendere la risurrezione di Gesù per proclamare l'inizio del mondo nuovo. Già la croce è carica di novità, è l'inizio di un nuovo ordine di cose. Anche se tutto è apparentemente finito e le forze del male sembrano avere prevalso su Gesù, i segni che ne accompagnano la morte (cf Mc 15,37-39; Mt 27,51) lasciano filtrare la novità: il velo del tempio si squarcia indicando che l'antico tempio con i suoi ordinamenti e le sue attese è finito. Il Tempio nuovo è il corpo di Cristo che Dio ricostruirà con la risurrezione; e il primo ad entrare in questo Tempio sarà un pagano, il centurione, per la sua professione di fede (Mc 15,38; Mt 27,54). Nell'annientamento del Figlio di Dio nasce una nuova umanità. Il mistero della morte diventa mistero di vita e di trionfo.
In questa domenica di Passione, la Croce è al centro della contemplazione della comunità cristiana che in essa legge il progetto misterioso di Dio e adora la regalità di Cristo. Una regalità che rinuncia a schemi di potenza umana, che indica per quali strade umanamente illogiche passi la «gloria», che diventa misura di confronto e di verifica net servizio dei fratelli.

Fonte: Maranatha.it, (omelia per il 13/04/2014)

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