BastaBugie n�349 del 16 maggio 2014
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BEPPE GRILLO E IL RICORRENTE MITO DEL MOVIMENTO EGUALITARIO, DEMOCRATICO, LIBERO, SNELLO
Ogni tanto compare un profeta che raduna i paladini della verità e dell'onestà: una serie di déja vu storici (anche tra i cristiani)
Autore: Vittorio Messori - Fonte: Il Timone
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LA DONNA BARBUTA CHE CANTA? MEGLIO GENNY 'A CAROGNA... ALMENO E' UN UOMO VESTITO DA UOMO
Se non si fosse inventato la barba e ribattezzato Conchita nessuno l'avrebbe notato, invece ha vinto l'Eurovision Song Contest ed è diventato un caso politico
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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LO SGUARDO DELLA MAMMA
Due cose al mondo non ti abbandoneranno mai: l'occhio di Dio che sempre ti vede e il cuore della mamma che sempre ti segue (VIDEO: mamma tutto)
Autore: Luisella Saro - Fonte: Cultura Cattolica
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I POLITICI ABORTISTI POSSONO RICEVERE LA COMUNIONE?
Il Prefetto Emerito della Congregazione per il culto e i sacramenti consiglia di chiederlo ai bambini della prima comunione
Fonte: Corrispondenza Romana
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OBBEDIRE E' MEGLIO: IL MIO NUOVO LIBRO
In pochi giorni è diventato il libro più venduto su Amazon
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
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LIBRO PORNO-GAY NELLE SCUOLE, MA PER AVVENIRE NON E' OSCENO
Per rendersi conto, ecco un estratto del libro che, a un liceo di Roma, i professori hanno imposto agli studenti
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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L'IMPERO ROMANO CROLLO' PER L'IMMORALITA' DIFFUSA
La Provvidenza, che trae il bene dal male, si servì delle invasioni dei barbari per purificare una società corrotta e decadente quale quella romana: oggi la storia sta per ripetersi...
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radio Maria
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SINDACO DI ROMA: NIENTE PATROCINIO PER LA MARCIA PER LA VITA, MA IL GAY PRIDE AVRA' OGNI GENERE DI SOSTEGNO
Al contrario del predecessore, il cattolico adulto Ignazio Marino non si presenta alla marcia e non fornisce wc chimici e Protezione Civile, anzi la marcia ha dovuto anche pulire le strade
Fonte: No Cristianofobia
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OMELIA V DOMENICA DI PASQUA - ANNO A - (Gv 14,1-12)
Credete in me: io sono nel Padre e il Padre è in me
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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BEPPE GRILLO E IL RICORRENTE MITO DEL MOVIMENTO EGUALITARIO, DEMOCRATICO, LIBERO, SNELLO
Ogni tanto compare un profeta che raduna i paladini della verità e dell'onestà: una serie di déja vu storici (anche tra i cristiani)
Autore: Vittorio Messori - Fonte: Il Timone, settembre/ottobre 2013
Ditemi voi: come fa a non annoiarsi, magari a infastidirsi uno con la mia età (e che, dunque, ha visto troppe volte il continuo ripetersi delle utopie, delle illusioni, degli errori), uno con alle spalle, per giunta, anni universitari in cui ha cercato di apprendere le leggi della cosiddetta "scienza della politica"? Ma sì, malgrado tutto anche la politica può essere, oltre che un'arte, una "scienza", nel senso che è retta da alcune leggi costanti che si possono sfidare solo se si è pronti a sopportare i danni. Una delle chimere ricorrenti è quella del "movimento" - egualitario, democratico, libero, snello, economico - da contrapporre al "partito": gerarchico, burocratico, dogmatico, costoso. Un mito che ritorna sempre eguale, malgrado ogni esperienza: la quale mostra la verità di una di quelle leggi della politica che dicevo. E che, cioè, un "movimento" si dissolve sempre e presto, esauriti i primi entusiasmi (causati di solito da un fondatore carismatico) e se vuole durare e incidere sulla società si trasforma necessariamente, inevitabilmente, in una istituzione. E in particolare, per quanto riguarda la politica, in un partito con capi, sedi, tessere, disciplina interna e quant'altro. I fervori, gli entusiasmi, le libertà iniziali svaniscono presto e lasciano il posto alla burocrazia partitica, quali che siano le intenzioni di fondatori e militanti. È una constatazione elementare, per la quale, in verità, non occorre un politologo, bastando una persona di buon senso: Ed ecco invece che, alle ultime elezioni politiche, quasi un quarto degli elettori italiani dà fiducia a un urlatore che definiscono un comico (anche se a dire il vero mi pare abbia fatto ridere sempre poco) e che ripresenta come una realtà salvifica, come una novità dirompente destinata a salvare il Paese, proprio un "movimento" da contrapporre ai malefici "partiti" e a cui dà il nome di un albergo: "Cinque Stelle". Fin che si trattava di strillare volgarità e insulti a tutti e a tutto nei comizi piazziaioli, sembrava agli sprovveduti che il "movimentismo" alla Grillo potesse funzionare. Ma il demagogo è stato subito punito da un successo elettorale da lui imprevisto e a lui sgradito. In effetti, è agevole (e gratificante, a causa degli applausi), inveire contro le "caste" partitiche, annunciare apocalittici disastri, quando si è piccola minoranza, quando si dice no a tutto e si sta ai margini della politica; quando, non avendo responsabilità di governo, non si deve fare i conti con la realtà. E invece, allo sventurato Grillo proprio questo è capitato: avere una spiacevole, esagerata responsabilità che ha subito mostrato che il "movimento" non funziona, che non può funzionare e che di fronte a esso sta o il rapido squagliarsi di tutto o il trasformarsi nel solito partito. Com'è successo, per fare un solo esempio, al fascismo, nato come movimento ma, una volta raggiunto il potere, fattosi subito partito, per giunta unico e totalitario. Le ispirazioni anarcoidi degli inizi trasformate presto in regime oppressivo e onnipotente. Per stare più vicini nel tempo, anche quello di Berlusconi nacque come "movimento", rifiutando sin dal nome quello di un partito e assumendo il grido della folla negli stadi: «Forza Italia». Ottenuto il successo, si cominciò con gli eufemismi: «Un partito sarebbe necessario, lo faremo sì ma "leggero"». Ma è anche da simili ipocrisie, dal mancato riconoscimento di una necessità essenziale, che vengono i guai di quella precaria e artificiosa formazione politica. Comunque, causa di noia e di fastidio è sentire ribadire - nel fervore artificioso dei comizi - la pretesa di essere "movimentisti" e non "partitici" e nel vederla annunciata come una nuova strada, mentre è vecchia, stravecchia e finita sempre come constatiamo anche ora nell'ultimo caso, quello dell'esagitato e barbuto Grillo. Il quale, tra l'altro, annoia in generale per tutto il resto che si capisce del suo "messaggio" (le virgolette sono d'obbligo, per questo insieme di urla e di minacce scomposte). Qui pure, le solite dinamiche che monotonamente si ripetono sin dai tempi remoti: l'apocalittismo, la società che corre verso il baratro, il diavolo (di volta in volta identificato in un gruppo sociale: capitalisti, borghesi, ebrei, nel caso di Grillo i politici, "la casta"), il diavolo dunque che lavora per portare tutti alla perdizione; ma ecco l'apparizione provvidenziale di un profeta che raduna attorno a sé un gruppo di persone intrepide e consapevoli, di paladini della verità e dell'onestà, ecco la creazione di una comunità al di fuori della quale non c'è salvezza, ecco l'anatema per chi lascia l'arca di salvezza, e così via, in una serie di déja vu, di costanti sempre ripetute, sin dai tempi antichi. Dal tempo, diciamo, degli esseni, buon esempio di setta escatologica. Che sbadigli! Ma bisogna rassegnarsi, la noia è lo scotto inevitabile da pagare alla "età matura" (per usare il solito eufemismo che neghi il nome stesso della vecchiaia), l'età, comunque, in cui si constata rassegnati l'eterno ritorno delle stesse illusioni di colui che ci si ostina a chiamare homo sapiens. Perché parlare di questo proprio qui, in un giornale di apologetica cattolica? Ma perché la costante che esaminavamo non vale soltanto in politica ma, più in generale, nella società intera, compresa la dimensione religiosa. E compreso, dunque, il cristianesimo, il quale nacque - appunto - come un "movimento" di discepoli ferventi e coraggiosi, pronti a mettere in comune tutti i beni e disposti persino (come avvenne tanto spesso) ad affrontare la morte. Così successe per circa tre secoli, quando i cristiani furono una minoranza, concentrata nelle città, spesso perseguitata e, comunque, senza alcuna responsabilità ufficiale. Durò fino a Costantino e, soprattutto, fino a Teodosio, l'imperatore che vietò il culto degli dèi pagani, permettendo solo quello del Cristo. Si completò allora il passaggio, come sempre inevitabile, da movimento in istituzione: non un partito, qui, ma una Chiesa gerarchica, organizzata, con leggi interne ed esterne, proprietaria di beni. Com'era indispensabile e giusto: soltanto così era possibile affrontare la sfida del tempo e non solo sopravvivere ma influire in modo efficace sulla storia. Da qui il candore, pur spesso in buona fede, di quei cattolici che vagheggiano un ritorno alla comunità cristiana descritta dagli Atti degli Apostoli, quella che appare anche nelle lettere di Paolo. Candore, dico, perché non ci si rende conto che, se non si fosse trasformato in una solida istituzione - con un Capo supremo, con lo Stato Maggiore dei vescovi, con abbazie e parrocchie a presidiare il territorio - del "movimento cristiano" delle origini sarebbe rimasto solo un cenno nei libri di storia o, al massimo, un gruppo border line, una setta marginale, priva di serio influsso. La logica dell'Incarnazione va rispettata sino in fondo: volendo la sua Chiesa nel mondo, in attesa del ritorno, il Cristo non l'ha esentata dalle leggi che reggono le istituzioni umane. Anche se, a differenza di queste, l'istituzione cattolica non è che lo strumento, il "contenitore" per un Mistero che travalica la storia e sfocia nell'Eterno. La Chiesa è una realtà "ambigua" (nel senso etimologico): la conchiglia che tutti vedono e la Perla al suo interno che solo la fede scorge. Ma per conservare e annunciare quel tesoro, il contenitore esterno - umano e, dunque, spesso sgraziato - è necessario.
Fonte: Il Timone, settembre/ottobre 2013
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LA DONNA BARBUTA CHE CANTA? MEGLIO GENNY 'A CAROGNA... ALMENO E' UN UOMO VESTITO DA UOMO
Se non si fosse inventato la barba e ribattezzato Conchita nessuno l'avrebbe notato, invece ha vinto l'Eurovision Song Contest ed è diventato un caso politico
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13-05-2014
Un tempo le donne barbute le esibivano nei circhi ed erano considerate dei poveri scherzi di natura, da guardare con un certo ribrezzo e soprattutto da compiangere. Certo, potevano radersi, ma la povertà impediva loro di farlo, costringendole a mostrare a tutti, dietro compenso, la loro ipertricosi. Se fossero davvero povere donne o maschi travestiti per esigenze di spettacolo, però, forse non si saprà mai. In qualche vecchio numero del Guinness dei Primati magari se ne trova qualcuna di autentica. Mi par di ricordarne una che si era addirittura sposata e aveva avuto dei figli, in posa in un dagherrotipo insieme al marito (magari l'impresario, chissà). Ma foto del genere le mettevano in fila accanto a quelle dei gemelli siamesi e delle loro consorti e, pure qui, figli. Ora, come sappiamo, il Festival della Canzone Europea ha sdoganato completamente il settore, data la clamorosa (e pure annunciata!) vittoria dell'austriaco Tom Neuwirth, in arte Conchita Wurst, di professione cantante e, come si dice nell'ambiente, «drag queen». Ora, poiché in inglese «drag» è l'uncino, la traduzione letterale sarebbe «regina del rimorchio». Questa persona ha infatti rimorchiato l'intera Ue con la sua voce e, soprattutto, con il suo look eccentrico. Chi ha visto il film Farinelli sa che per secoli sono esistiti cantanti del genere, solo che allora li chiamavano «castrati» per il semplice fatto che una trucida operazione chirurgica li aveva resi eunuchi al solo scopo di farne delle eccezionalità canore. Infatti, cantavano da soprani ma con corde vocali maschili, cosa che li rendeva ricercatissimi per il melodramma e i cori di voci bianche. La Chiesa condannava questa pratica ma col solito successo che riporta la Chiesa in materia morale, tant'è che l'ultimo rappresentante di quell'antico «gender» morì nei primi decenni, addirittura, del secolo scorso. Ma chi ha vinto il Festival di Copenhagen non è affatto un castrato, perché non ha subito alcuna operazione. Gli ormoni ce li ha tutti, tant'è che porta la barba. È solo un travestito: si veste e si trucca da femmina fatale ma porta la barba. Il bello è che quando si presentava «da maschio» aveva il volto rasato e i capelli corti. Dunque, probabile che il tutto vada rubricato sotto la voce «cosa posso inventare perché mi si noti?». Infatti, ormai non è facilissimo, anche perché la fantasia umana ha i suoi limiti. Restiamo in attesa di vedere che cosa escogiterà il prossimo (o la prossima). Qui non si discute delle doti vocali di Conchita o della bellezza della canzone, perché, se davvero le une e l'altra erano così straordinarie, sarebbero state subissate di voti lo stesso. Il sospetto è che non sarebbero state subissate lo stesso. Da qui la necessità spasmodica di concentrare in qualche modo il riflettore in mezzo a decine di concorrenti. A conferma, basta scorrere le agenzie e gli articoli di giornale per rendersi conto che gli elogi e le critiche (elogi di, pensate, ministri austriaci, critiche di, pensate, ministri russi) non parlano affatto di canzoni e voci, bensì di «tolleranza», «libertà di espressione», «diritti Lgbt» o, per converso, sarcasmi a tema. Come volevasi dimostrare, se Tom Neuwirth non si fosse inventato i lamé e la barba nessuno se lo sarebbe filato e al massimo avrebbe guadagnato un onesto posto in classifica. La dimostrazione l'abbiamo, al solito, nel web, vero luogo di libertà d'espressione. Vi fioccano le foto della Sirenetta, di Sissi, di Lady D, tutte con la barba. I buontemponi ci hanno messo pure una tipica pralina austriaca di quelle con la faccia di Mozart e addirittura un pupazzetto Playmobil con le fattezze di Conchita. E c'è anche un Sacro Cuore di Gesù, perché davvero Conchita, con quei capelli lunghi divisi nel mezzo e la barba, sembra un Cristo. Ha vinto il gender, dunque, non la canzone né la voce, ed è inutile far finta che non sia così. Tant'è che allo stesso vincitore-vincitrice, al momento della premiazione, è scappato un grido dal sen fuggito: «We are unstoppable!», «Siamo inarrestabili!». E indovinate a chi si riferiva. Infatti, l'urlo è subito diventato uno slogan su Twitter (o hashtag «di tendenza», come si usa dire). Prepariamoci, perciò, a ospitate televisive di Tom/Conchita, per chi –come chi scrive- se lo/la fosse perso/a in eurovisione. Tranquilli, c'è sempre il telecomando. Almeno, finché non ce lo sequestreranno per legge quando l'ideologia gender e unstoppable diventerà obbligatoria. Per quanto mi riguarda, preferisco Genny a' Carogna.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13-05-2014
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LO SGUARDO DELLA MAMMA
Due cose al mondo non ti abbandoneranno mai: l'occhio di Dio che sempre ti vede e il cuore della mamma che sempre ti segue (VIDEO: mamma tutto)
Autore: Luisella Saro - Fonte: Cultura Cattolica, 11 maggio 2014
Oggi racconterò di una figlia che non c'è più e di una mamma che c'è ancora. E di legami che, accada quel che accada, non si spezzano mai. Non è naturale, non dovrebbe esserlo, che una madre sopravviva ai figli: il ciclo della vita vorrebbe che prima se ne andassero i più vecchi. Eppure dentro le nostre famiglie è accaduto, accade. Anche tra i nostri amici, i conoscenti. Non credo ci sia dolore più grande. Oggi che si festeggia la mamma, è di queste due donne che voglio parlare. Una storia che nessun giornale ha raccontato perché non fa notizia e non fa rumore se non nel cuore di chi l'ha vissuta o l'ha sentita raccontare. Una storia come tante. A novembre se n'è andata una mia amica carissima. Una leucemia diagnosticata all'inizio dell'anno, visite, terapie, e cinque mesi di ospedale in quei reparti in cui dalle camere non si esce e le visite sono centellinate nel numero e nei minuti. Incontri filtrati da mascherine, camici, cuffie, calzascarpe. E' così debole l'organismo, sono così basse le difese immunitarie che ogni contatto con l'esterno può nascondere insidie e rivelarsi fatale. Non era sposata, la mia amica. Stessa classe alle medie e al biennio del classico, poi lei ha cambiato strada, ma non ci siamo perse mai. Viveva con la madre – il padre è morto qualche anno fa – e quando è stato necessario il ricovero a Udine, in ematologia, la mamma ha preso una camera in un albergo vicino all'ospedale e due volte al giorno, sempre un po' prima dell'orario di visita, a piedi si recava al nosocomio, saliva al quinto piano e aspettava davanti alla porta a vetri. Sperava la facessero entrare un po' prima dell'orario, chiedeva che la lasciassero rimanere un po' dopo che il tempo per stare insieme era finito e per tutti tornava la divisione tra il mondo dentro e il mondo fuori. Anziana e con un grave problema ad un occhio, le teneva compagnia quando mangiava se mangiava, e le raccontava di sé e portava le notizie di fuori e di casa. O stava in silenzio se lei aveva sonno, se aveva male, se la nausea le toglieva la voglia di tutto. Stava lì. Il mercoledì, se non avevo impegni scolastici pomeridiani, approfittando del mio giorno libero andavo a Udine per stare accanto a sua madre (come sono lunghe le giornate quando sei fuori casa, quando sei sola, quando hai quel dolore nel cuore...) e per fare compagnia a lei, perché vedesse volti diversi da quelli dei medici e degli infermieri. Perché, attraverso me, sentisse aria di casa, di amici, di normalità. Ho cercato più volte di dirle al telefono che sarei andata al posto di sua mamma, che sarebbe stato bene far riposare un po' quella povera donna. E confesso che mi sembrava egoismo, il suo, quando insisteva perché oltre a me, che pur vedeva volentieri, ci fosse sempre anche sua madre. E se si ammala chi ti segue, le dicevo. Niente. La mamma è andata da lei, puntuale, due volte al giorno tutti i giorni per tutti i mesi di degenza. E con lei è andata a tutte le visite, a tutti gli esami. L'avrei voluta sostituire non solo per sollevarla un po' dalla fatica, ma anche per risparmiarle la pena delle chemio, delle complicazioni, di quei capelli che cadevano a ciocche. Non c'è stato verso. Né con l'una, né con l'altra. Eppure ci conoscevamo da una vita, siamo state in classe insieme, mi ha confidato tutti i suoi segreti, mi chiamava sorellina... Non era nemmeno pudore. L'ospedale ti mette a nudo: ti spoglia del lavoro che fai, degli hobby che hai, del look che ti sei scelta. E così la malattia, quella malattia. In quei giorni l'ho imboccata anch'io, l'ho accompagnata in bagno anch'io, l'ho lavata anch'io. Ho raccolto il suo pianto, il suo dolore, le sue paure anch'io. Poi l'ho capito che i suoi non erano capricci. So che la mamma è vecchia, fatica a camminare e vede poco, mi ha detto. Lo so che quel che fa lei puoi farlo anche tu, può farlo chiunque e forse lo fa meglio di lei. Lo so che non è lei che può farmi guarire. Ma a me basta che la mamma mi guardi. Oggi che è la festa della mamma, mi tornano in mente quei mesi e queste parole. In quella fedeltà silenziosa all'orario di visita e alla carne della sua carne fino all'ultimo giorno, all'ultimo respiro, ho visto l'amore di tutte le madri. Incondizionato, gratuito. Segno dell'Amore da cui veniamo e verso cui tutti tendiamo, che è amore per sempre. In lei, la mia amica, ho visto e vedo me e tutti i figli del mondo. Bisognosi, ultimamente, solo di quello sguardo. Perché vivere ha senso, e gioire, e faticare, e sopportare il dolore, se ci sentiamo guardati da qualcuno che ci ama... così. Se no, non vale la pena.
Nota di BastaBugie: la canzone "Mamma tutto" cantata da Iva Zanicchi, riassume bene il grazie che ogni figlio deve a sua madre (e smaschera la violenza di chi vorrebbe togliere per legge il diritto di ogni bambino di avere un papà e... una mamma)
https://www.youtube.com/watch?v=KbWCQboRd4o
Fonte: Cultura Cattolica, 11 maggio 2014
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I POLITICI ABORTISTI POSSONO RICEVERE LA COMUNIONE?
Il Prefetto Emerito della Congregazione per il culto e i sacramenti consiglia di chiederlo ai bambini della prima comunione
Fonte Corrispondenza Romana, 8 maggio 2014
Possono i politici che promuovono o appoggiano politiche abortiste ricevere la Santa Comunione? La questione, che ha generato un ampio e acceso dibattito coinvolgendo cardinali e teologi, secondo il cardinale nigeriano Francis Arinze è elementare, la domanda è talmente semplice che perfino i bambini ne conoscono la risposta. In un'intervista esclusiva, rilasciata questa settimana a "LifeSiteNews.com", il cardinale Arinze ha osservato come egli venga spesso interrogato riguardo il proprio parere a proposito dei politici cattolici favorevoli all'aborto e il loro rapporto con la Santa Comunione. La sua riposta è sempre netta e fulminante: «Veramente avete bisogno di un cardinale dal Vaticano per rispondere a ciò? È una domanda cosi difficile?». Arinze ha suggerito, quindi, a coloro che hanno le idee confuse sul tema di andare a porre il quesito ad un classe di bambini in preparazione della loro Prima Comunione. A tale proposito, ha precisato: «I bambini vi chiederanno ,"che cosa è un aborto?" Non usate eufemismi. Dite loro che cosa è realmente. È uccidere un bambino non ancora nato nel grembo della madre. Dopodiché, chiedete loro, se una persona è favorevole a ciò, e afferma che continuerà a supportare l'uccisione di questi bambini, può tale persona ricevere la Santa Comunione?» L'esperimento funziona ed è inequivocabile. Il cardinale ha, infatti, dichiarato che un parroco gli ha raccontato di aver fatto questo test alla sua classe della Prima Comunione sentendosi rispondere in coro: "No, non può!!". «Questi bambini non hanno studiato teologia dogmatica all'Università Cattolica d'America o Università Gregoriana a Roma» – eppure sottolinea Arizne – «capiscono immediatamente e istintivamente che uccidere un bambino non nato è sbagliato!» Arinze, che oggi è Prefetto Emerito della "Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti", di cui è stato alla guida dal 2000 al 2008, ha fatto, inoltre, notare come il canone 915 del Codice di Diritto Canonico parli molto chiaro in materia: "coloro che ostinatamente perseverano nel manifestare peccati gravi non sono ammessi alla Santa Comunione". Il cardinale nigeriano ha infine espresso il suo forte disappunto verso quei politici che si giustificano affermando di essere "personalmente" contro l'aborto dicendosi però contrari ad imporre le loro soggettive visioni agli altri. Una logica ambigua e del tutto discutibile che il cardinale smonta con un efficace paradosso: «Cari membri del Congresso e del Parlamento, io non ho nulla, personalmente, contro di voi, non vi voglio fucilare a tutti, ma qualcuno lo vuole. Io non posso imporgli la mia visione. È una questione di scelta!». Quindi Arinze ha concluso l'intervista ricordando come il "non uccidere" è una legge naturale sulla quale non è possibile fare alcun compromesso: «Non è la mia visione, non è la mia legge. È la legge di Dio. Tu non uccidere. Al di là di tutto, le persone che difendono tali argomenti, se fossero state uccise nel grembo materno, non starebbero qui a discutere. La questione mi sembra semplice e chiara». Le lucide e ragionevoli osservazioni del cardinale Arinze costituiscono un monito importante, da tenere bene a mente, per tutti quei politici, "cattolici adulti", che pretendono di adattare le leggi morali ai propri errati comportamenti. Anche i bambini lo sanno bene che con la morale non si gioca.
Fonte: Corrispondenza Romana, 8 maggio 2014
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OBBEDIRE E' MEGLIO: IL MIO NUOVO LIBRO
In pochi giorni è diventato il libro più venduto su Amazon
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 13 maggio 2014
Ore 19 e 02. Calcolando che la strada è rallentata dai lavori, basta uno in doppia fila che faccia scendere la nonna finta invalida e posso contare ancora in un'ora e diciotto minuti prima che gli ospiti arrivino. Devo solo: preparare la cena, tutta tranne la carne – quella l'ho già bruciata (ho dovuto mettere la muta alla Barbie surfista nel momento decisivo, e secondo me lei era un po' ingrassata) – apparecchiare (ho solo sei forchette uguali, ma pare che la tavola spaiata faccia molto degagee), correggere due dettati e riascoltare storia, fornire a quattro figli quattro travestimenti da ragazzi a modo, possibilmente della taglia giusta o con una ragionevole approssimazione, più alcune rapide formalità tipo demolire il fortino costruito sul divano con le insegne delle femmine ("io mi lamento per principio" e "vietato ai maschi"), nascondere con poche abili mosse orsi dentro a ripostigli e furetti sotto i letti. Poi dovrei anche truccarmi e cambiarmi, metterò la vestaglietta nera effetto snellente, si sa che tutti i "ma come cucini bene" del mondo non varranno mai un "ti trovo dimagrita". Intanto la crisi isterica di un figlio per il compito in classe di domani è in pieno svolgimento, quindi anche lì siamo avanti col ruolino di marcia, non ci dovrebbe volere ancora molto. Le due femmine discutono se sia la signora Nesbitt a dover preparare il tè o no. Non so chi sia la signora Nesbitt, ma fino a che la rissa non sfocia nel sangue la cosa non mi riguarda (e anche in quel caso mi riguarda solo se è molto, il sangue). Un altro figlio è a tennis, ma può tornare da solo, se chiudiamo un occhio sul fatto che diluvia, e che la Madre Diligente che incarna i miei sensi di colpa mi sta intimando di andarlo a prendere in macchina, o almeno con un ombrello. Do un pugno alla Madre Diligente, indosso il mio pratico sandalo da pioggia (sostengo da sempre che se piove o nevica è meglio essere più nudi possibile, la pelle umana si asciuga prima della lana) e vado a messa, ché stamattina l'ho persa. Raggiungo la chiesa in trentacinque secondi netti, e scopro che oggi c'è il sacerdote coreano, quello a cui hanno asportato il sistema nervoso. Potrebbe volerci più del previsto e in più non capirò una parola. Prego Nostra Signora dell'Accelerazione. Per la prima volta nella giornata Pollyanna, il mio alter ego, incaricata di trovare un lato positivo in tutto quello che succede al mondo, vacilla. Sembra anche lei dubitare che io possa farcela stavolta, ma le do una gomitata, e le indico il nostro Principale, quello che sta lì sulla croce. Anche per lui a un certo punto sembrava che le cose avessero preso una brutta piega, ma meglio di così, poi, non sarebbe potuta finire. Quindi le ricordo una delle regole base della vita: quando tutto si sta complicando, quando sei in ritardo clamoroso o in difficoltà anche molto seria, e non sai da che parte cominciare, lascia stare tutto e vai alla messa.
Comincia così il mio "Obbedire è meglio, Le regole della Compagnia dell'agnello". La giornalista di Grazia che mi ha intervistata mi ha detto che sembra la versione cattolica di "Ma come fa a far tutto", il libro da cui hanno tratto il film con Sarah Jessica Parker, in cui la supermanager mamma alle due di notte prende a martellate i dolcetti comprati per la festa scolastica dei figli, per farli sembrare fatti in casa. "Tu – mi ha fatto notare la collega – in una analoga situazione di panico che ti metti a fare? Vai alla messa?" Non so se volesse essere un complimento, ma io l'ho preso così. Il mio obiettivo era scrivere una specie di diario che raccontasse l'epica dell'ordinario, l'eroismo di entrare nel vagone della metro stracolmo, di continuare a sorridere alla collega logorroica, la grandezza di correggere i compiti con la testa che ciondola dal sonno e la forza di stare – questo è il verbo chiave, stare, consistere – al proprio posto di combattimento, senza cedere di un centimetro (a dire la verità io a volte cedo rovinosamente, e di qualche metro, ma l'importante poi è rimettersi in piedi). Obbedire è meglio del sacrificio, dice il libro di Samuele (grazie a Roberto Dal Bosco che me lo ha suggerito, il titolo). Noi a volte cerchiamo grandi cose, grandi imprese da compiere, e magari ci piacerebbe essere capaci di offrire grandi sacrifici, ma tutto quello che ci viene chiesto, invece, è stare al nostro posto, sfuggire alla tentazione, che è quella principale per l'uomo contemporaneo, di immaginare sempre un'altra vita altrove, un'altra vita in cui abbiamo un'altra moglie (o marito), un altro lavoro, altro tutto. A volte è un eroismo piccolo e semplice, questa fedeltà alla nostra chiamata. A volte è un eroismo vero e proprio, ed è quello che mi hanno insegnato i tanti amici che io considero la mia Compagnia dell'agnello, che esistono davvero, e sono amici nella comunione dei santi, amici che avevo da prima e altri che mi ha regalato questa avventura dello scrivere. C'è quella con il figlio malato, c'è quella col marito depresso, chi ha problemi economici, chi è malato, chi è solo e continua lo stesso a tirare fuori qualcosa di buono da dare a tutti. Sono amici che incontro ogni volta che posso o che riesco a volte a vedere poco, pochissimo, amici con cui ci si incrocia in stazioni e aeroporti, oppure con cui si sta al telefono nel cuore della notte, perché avere qualcuno che ti faccia compagnia è fondamentale per resistere, non per niente Gesù ha fondato la Chiesa. L'obiettivo è essere agnelli, cioè assomigliare all'Agnello, anche perché, parliamoci chiaro, se non ci fosse Lui, l'Agnello, che ci ama pazzamente, obbedire non avrebbe nessun senso. Noi non siamo masochisti, ma obbediamo perché ci fidiamo di qualcuno più che di noi stessi. A differenza dell'uomo contemporaneo, che si sente totalmente autodeterminable, e che quindi ritiene parole come obbedienza e sottomissione turpiloquio, il cristiano sa che da solo non è capace di far nulla, e che non fidarsi di sé è qualcosa che salva, che ti fa essere più felice, che alla fine è quella l'unica cosa che ci interessa. Non fidarsi di sé significa che a volte è necessario chiudere le proprie emozioni in cantina, o meglio, in acquario ben sigillato, col silicone, e andare avanti, con un fedele ostinato lavoro minuto per minuto. Non fidarsi di sé significa ascoltare un'altra voce che non sia la nostra. Certo, questa voce va scelta bene. E se uno deve scegliere, è bene puntare alto, no?
Fonte: Blog di Costanza Miriano, 13 maggio 2014
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LIBRO PORNO-GAY NELLE SCUOLE, MA PER AVVENIRE NON E' OSCENO
Per rendersi conto, ecco un estratto del libro che, a un liceo di Roma, i professori hanno imposto agli studenti
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13-05-2014
L'indiscussa stima per la storia personale e professionale di Francesco D'Agostino rende ancora più difficile da comprendere la sua posizione critica, pubblicata da Avvenire il 9 maggio, nei confronti dell'iniziativa legale intrapresa dai Giuristi per la Vita e da Pro Vita Onlus circa i noti fatti accaduti al liceo classico Giulio Cesare. Colpisce, in particolare, il suo convincimento che «non è possibile qualificare rozzamente il libro della Mazzucco come "osceno"». Ora, perché quel testo debba considerarsi osceno e non adatto ad una scuola lo hanno perfettamente spiegato, lo scorso 30 aprile, Marcello Veneziani con il suo ineccepibile articolo "Che libertà è leggere in classe un libro porno?" pubblicato sul "Giornale"; Nicoletta Tiliacos con il suo ottimo pezzo "Demo Fellatio" apparso nella prima pagina del "Foglio"; e Mario Giordano dalle colonne di "Libero", con il suo efficace intervento intitolato "Macchè anti-gay: a scuola un libro porno". Il prof. D'Agostino ha certamente gusti raffinati, per cui proviamo a far giudicare dal lettore di media intelligenza e media cultura, secondo il comune senso dell'osceno, alcuni dei brani contestati: «(…) un pomeriggio, quando dopo la partita indugiò nello spogliatoio e si ritrovò solo con lui, Giose decise di agire – indifferente alle conseguenze. Si inginocchiò, fingendo di cercare l'accappatoio nel borsone, e poi, con un guizzo fulmineo, con una disinvoltura di cui non si immaginava capace, ficcò la testa fra le gambe di Mariani e si infilò l'uccello in bocca. Aveva un odore penetrante di urina, e un sapore dolce. Invece di dargli un pugno in testa, Mariani lasciò fare. Giose lo inghiottì fino all'ultima goccia e sentì il suo sapore in gola per giorni. Il fatto si ripeté altre due volte, innalzandolo a livelli di beatitudine inaudita». Merita anche quest'altro pezzo di alta letteratura: «La cabina era poco più grande di un ascensore, ma provvista di riviste pornografiche per stimolare l'erezione. Donne e uomini nudi, organi genitali squadernati in primissimo piano, adatti a ogni tendenza sessuale. Giose apprezzò la sensibilità dei dottori. Ma lo disgustò l'idea di concepire suo figlio masturbandosi sulla fotografia di uno stallone professionista. Chiuse gli occhi, pensò a Christian, e attivò la mano. Eiaculò in quattro minuti, e per la fretta maldestramente metà lo schizzò fuori. Gocce di liquido cremoso e opalescente colavano sul bordo del contenitore. Dovette pulirlo col kleenex. Il dottore incamerò il suo sperma e lo spedì in laboratorio senza commenti». Io, per D'Agostino, sarò pure un bacchettone vittoriano, però, a questo punto, faccio qualche fatica ad immaginare cosa possa considerare davvero osceno il Presidente dei Giuristi Cattolici Italiani. [...] Nel frattempo, però, spiace non si sia colto il punto cruciale della questione, ovvero il «diritto di priorità che i genitori hanno nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli», sancito dall'art. 26, terzo comma, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, sottoscritta nel 1948. D'Agostino sa benissimo che quel principio è stato espressamente proclamato perché, dopo la seconda guerra mondiale, l'esperienza ha dimostrato quanto fosse stato devastante, distruttivo ed esiziale il Volksaufklärung, ovvero il sistema d'istruzione statale del Terzo Reich. Si è capito come l'istruzione pubblica in mano al potere è capace di diventare un'arma letale. Non era un caso, infatti, che le due competenze dell'istruzione pubblica e della propaganda fossero in capo ad un unico ministero, il Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda. E non è un caso che dal 13 marzo 1933 il ministro tedesco dell'Istruzione Pubblica fosse un tale di nome Joseph Goebbels. Il rischio di un indottrinamento è oggi ancora drammaticamente attuale. Papa Francesco ne ha recentemente parlato, quando, lo scorso 11 aprile, ha denunciato le forme di «sperimentazione educativa con i bambini», ridotti a «cavie da laboratorio», e ha ricordato che «gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti». Quelle manipolazioni, ha ribadito il Santo Padre «conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del "pensiero unico"», attraverso «progetti di educazione che trasformano la scuola in un campo di rieducazione». Oggi noi Giuristi per la Vita riceviamo decine di segnalazioni da parte di genitori che richiedono un intervento legale perché nelle scuole materne ed elementari frequentate dai propri figli, ad esempio, si applicano gli Standard per un educazione sessuale in Europa, quel documento dell'OMS (Organizzazione Mondiale della sanità) che prevede, nella fascia da 4 a 6 anni, l'«introduzione alla masturbazione infantile precoce», la «capacità di identificare i genitali nei dettagli» e «l'identità di genere», o perché nelle stesse scuole i bimbi sono indotti a praticare il cosiddetto «gioco del dottore», i maschietti si fanno vestire da femminucce, si fanno giocare con le bambole, e si truccano con il rossetto, grazie anche all'ausilio degli "educatori" esterni dell'associazione "Scosse". Come facciamo a rispondere a questi genitori indignati che ci chiedono di intervenire legalmente contro simili aberranti sperimentazioni educative, con il titolo dell'editoriale di D'Agostino: «Dibattito aperto e plurale, non denunce»? Io comprendo e rispetto la diversa sensibilità del prof. D'Agostino. Probabilmente se suo figlio tornasse da scuola vestito da bambina e truccato, lui intavolerebbe con le maestre un pacato dibattito culturale. Se questo capitasse, invece, a mio figlio, io mi precipiterei a scuola con i carabinieri. Questione di sensibilità diverse, appunto. Sabato il Santo Padre nel discorso tenuto in Piazza San Pietro al mondo della scuola ha coraggiosamente proferito queste parole: «L'educazione non può essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla». Per questo i Giuristi per la Vita continueranno a combattere in difesa del diritto dei genitori e degli studenti alla libertà di educazione, con tutti gli strumenti consentiti dall'ordinamento giuridico, indipendentemente dall'esito delle singole azioni, perché come ha ricordato ancora ieri il Pontefice, in questa particolare battaglia contro l'indottrinamento scolastico «è sempre più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca!». Sante parole sulle quali dovremmo tutti riflettere. Compreso D'Agostino. Grazie Santità per la chiarezza ed il coraggio.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13-05-2014
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L'IMPERO ROMANO CROLLO' PER L'IMMORALITA' DIFFUSA
La Provvidenza, che trae il bene dal male, si servì delle invasioni dei barbari per purificare una società corrotta e decadente quale quella romana: oggi la storia sta per ripetersi...
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radio Maria, trascrizione della trasmissione del 19 gennaio 2011
La data ufficiale della caduta dell'Impero romano di Occidente è il 476 dopo Cristo. In quell'anno, infatti, il barbaro Odoacre, dopo avere ucciso il suo rivale Oreste, depose l'ultimo imperatore, il giovane Romolo Augustolo, e rimandò a Bisanzio le insegne imperiali, accontentandosi per sé del titolo di re. L'Imperatore di Oriente rivendicò da quel momento l'eredità di Roma, almeno fino all'anno 800 dopo Cristo, quando Carlo Magno fu incoronato Imperatore e l'antico Impero romano risorse in Occidente come Sacro Romano Impero. Ma la crisi istituzionale dell'Impero romano, che precipita nel 476 con la scomparsa visibile dell'Impero, è di molto precedente, risale ad almeno un secolo prima. Se volessimo indicare una data dovremmo scegliere l'anno 378, quando le legioni di Roma vengono disfatte dai visigoti nella piana di Adrianopoli e lo stesso Valente II, l'Imperatore di Oriente, cade sul campo di battaglia. Fu, per l'esercito romano, la più grave disfatta dopo la battaglia di Canne. Quest'evento, la battaglia di Adrianopoli del 378, segna la prima grande vittoria militare dei barbari su Roma e apre la strada alle grandi invasioni che caratterizzarono il V secolo, il secolo del definitivo tramonto dell'Impero romano. Causa esterna del tramonto e poi del crollo dell'Impero romano sono le invasioni barbariche. Ma le cause vere e più profonde della decadenza e della fine dell'Impero di Roma sono interne, di carattere culturale e morale. Mentre i popoli barbari premevano ai confini di un immenso Impero che dall'Oceano Atlantico e dal Mare del Nord arrivava all'Africa Settentrionale, al mar Caspio, alle frontiere con i Persiani e con gli Arabi, la società romana era immersa nel relativismo intellettuale e nell'edonismo pratico. Perciò Benedetto XVI, in relazione all'Impero romano, ha affermato che il "disfacimento degli ordinamenti portanti del diritto e degli atteggiamenti morali di fondo che ad essi davano forza, causavano la rottura degli argini che fino a quel momento avevano protetto la convivenza pacifica tra gli uomini. Un mondo stava tramontando". Fu la corruzione morale a spalancare le porte ai Vandali, che nel 406 attraversarono il Reno ghiacciato, irrompendo nella Gallia, e ai Visigoti invasero Roma. Oggi, piuttosto che di invasioni, si preferisce parlare di migrazioni per sottolineare il fatto che quelli che fecero irruzione nell'Impero romano erano popoli interi, provenienti dalle regioni più settentrionali d'Europa e dalle steppe dell'Asia. Quel che è vero è che nella storia delle invasioni barbariche possiamo distinguere fasi diverse. Una prima fase di infiltrazione pacifica e graduale, alla spicciolata, nei territori dell'Impero, tra il II e il III secolo, di uomini e gruppi attratti dall'alto tenore di vita di Roma e dalla sua cultura; una seconda fase, anch'essa pacifica, di stanziamento di interi gruppi barbarici, cioè di immigrazione e di stabile insediamento entro il limes romano, non di individui o gruppi frammentati, ma di popoli interi, destinati a divenire uno Stato nello Stato; una terza fase di grandi migrazioni di popoli all'interno dell'Impero, in forma sia pacifica che guerresca; infine, a partire dal V secolo, l'ultima fase, quella della violenta irruzione di popolazioni del tutto ostili, dai Vandali agli Unni, fino ai Longobardi nel VI secolo. Le migrazioni divennero prima invasioni, poi occupazioni e conquista dell'Impero romano che, sotto gli urti dei barbari, si sgretolò e scomparve. Tutto iniziò, si può dire, in una notte di inverno dell'anno 406. Il 31 dicembre di quell'anno, le scarse guarnigioni romane di stanza sul Reno, nei pressi di Magonza, avvistarono una massa brulicante di barbari, che si perdeva a vista d'occhio al di là del fiume. Il Reno era una spessa lastra di ghiaccio che permise a quella massa di attraversarlo, irrompendo all'interno dei confini dell'Impero. I pochi che tentarono di opporsi furono massacrati. Erano Vandali, Alani, Svevi, tribù intere, con donne e bambini, carri, bestie e greggi, quelli che travolsero ogni resistenza e dilagarono in Gallia. Nulla poté più fermarli. I due popoli barbarici più temibili erano i Vandali e i Goti: questi ultimi divisi a loro volta in due gruppi: gli Ostrogoti e i Visigoti. Altri popoli, tra cui i terribili Unni, premevano alle loro spalle. Quando i Visigoti invasero l'Italia, sant'Agostino, scrivendo nel 408 dall'Africa ad una delle sue amiche italiane, le scrisse: "La vostra ultima lettera non mi informa di nulla di quanto avviene a Roma. Vorrei tuttavia sapere bene quanto c'è di vero di una voce vaga arrivata fin qui, quella di una minaccia sulla città. Non vorrei prestarvi fede". Il timore del santo vescovo di Ippona diverrà due anni dopo realtà. Nell'agosto del 410 i Visigoti guidati dal loro capo Alarico si presentano alle porte di Roma, la assediano e durante un terribile temporale entrano per la porta Salaria che fu aperta loro dal di dentro. La città più celebre del mondo che da ottocento anni non era stata invasa dal nemico fu esposta senza misericordia alla furia dei barbari che accesero i loro fuochi sulle pendici del Campidoglio. Alarico diede ordine di rispettare le Basiliche degli Apostoli ma diede, per il resto, licenza di saccheggio. Fu, per quattro giorni, un susseguirsi di rapine, incendi, stragi, in un'atmosfera di terrore. [...] Queste parole ci fanno riflettere su quanto sia precario ed effimero ogni potere, ogni ricchezza, ogni onore umano. Fu proprio meditando sul sacco di Roma del 410 che S. Agostino compose la sua celebre Città di Dio, una delle più grandi filosofie cristiane della storia dell'umanità, concepita come la storia della lotta tra due amori: l'amore di sé fino all'odio e all'indifferenza per Dio e l'amore di Dio fino all'odio e all'indifferenza per sé. Questa visione della storia non ha perso la sua attualità. L'Impero romano crollò perché in esso la legge morale e divina era trasgredita. Questo è ciò che ci attesta la storia e che, attraverso la storia, giunge a noi come un monito. Anche oggi popoli stranieri invadono l'Occidente. Si tratta di una migrazione pacifica e silenziosa che potrebbe trasformarsi però in un'invasione cruenta. I barbari erano estranei alla civiltà romana ma ne assimilarono la cultura e le tradizioni. I nuovi barbari proclamano di non volersi integrare nella nostra civiltà, di cui assimilano solo gli elementi di decadenza, rifiutandone cultura e tradizioni. Anche oggi il cuore dell'uomo e, di conseguenza, la vita della società, oscilla tra due opposti richiami: l'amore di Dio, che si esprime nel rispetto dell'ordine che egli ha voluto dare all'universo, fino al punto di rinunziare a ogni nostro istinto e desiderio, pur di rispettare quest'ordine. Oppure l'amore di noi stessi, il libero gioco lasciato alle nostre passioni e alla nostra volontà di potenza, fino al punto di trasgredire, nella nostra vita e nella società intera, la legge di Dio. Questa la drammatica alternativa che sempre si pone nella storia e di fronte a cui non solo i singoli uomini, ma le civiltà, sono chiamate a una scelta. Nelle tenebre del V secolo, brillarono solo le luci dei santi. Furono essi a comprendere che cosa accadeva e a infondere fiducia soprannaturale, quando tutto sembrava perduto. "Cristo ti parla, ascolta! – esclamava Sant'Agostino –. Egli ti dice: perché temi? Non ti avevo forse predetto tutto ciò? Te l'avevo predetto perché la tua speranza si volgesse, una volta sopraggiunta la sentenza, verso il vero bene, invece di oscurarsi nel mondo". Tutto ciò che accadde nella storia, come nella vita di ognuno di noi, ha un senso e un significato, conosciuto solo da Dio. [...] È nelle virtù cristiane che ancora oggi occorre attingere la forza al male fisico che ci minaccia dall'esterno e a quello morale che ci colpisce dall'interno. Colpisce il fatto che oggi le accuse alla nostra classe politica per il clima di Basso Impero e di decadenza morale in cui vive, siano fatte proprio da chi ha fatto del relativismo morale il suo programma. In Italia e in Europa esiste una questione morale, ma chi ha titolo a intervenire nel merito è solo chi si richiama a valori morali perenni e non negoziabili. Come può chi nega di principio questi valori, rimproverare gli altri se li trasgrediscono? Sono queste le contraddizioni dell'epoca attuale, ma la contraddizione è la nota distintiva del relativismo. [...] Abbiamo parlato dei barbari che invadono i territori dell'Impero, ne conquistano e devastano le città, raggiungono da Nord e da Oriente i suoi estremi confini: l'Atlantico e il Mediterraneo, saccheggiano Roma, caput mundi, la città sacra e inviolata che aveva dettato le leggi a tutto il mondo civile. Ma questo nemico che Roma deve affrontare e da cui Roma sarà travolta è un nemico esterno. La causa più profonda del crollo dell'Impero romano non è in realtà di carattere esterno, ma interno. Non è di carattere politico e militare, ma di natura, culturale e morale. l'Impero romano crolla perché l'edificio è ormai tarlato e la sua forza non è più che apparenza. Cerchiamo di sviluppare anche questo punto, perché il Papa Benedetto XVI ha paragonato il tramonto dell'Impero romano a quello della civiltà occidentale contemporanea e questo paragone può aiutarci a meglio comprendere la crisi del nostro tempo. Il tramonto dell'Impero romano, considerato sotto l'aspetto delle cause esterne – le invasioni barbariche – si situa tra due date: il 378, quando i barbari travolgono le legioni romane ad Adrianopoli è il 476, l'anno della scomparsa ufficiale dell'Impero. La crisi culturale e morale però non risale al V né al IV secolo: è precedente e risale all'atteggiamento di incomprensione e contrasto che l'Impero di Roma ebbe nei confronti del Cristianesimo. Nei secoli che seguirono alla nascita di Cristo, l'Impero romano professava una religiosità ecumenica che fondeva il politeismo greco-romano con un sincretismo di origine orientale. Il luogo per eccellenza di questo culto era il Pantheon, che accoglieva tutte le forme del paganesimo, antico e nuovo, con l'unica esclusione del Cristianesimo. Nell'Impero si professava una religione civile, senza dogmi e senza morale, alla quale lo Stato imponeva una adesione puramente esteriore. I cristiani, che praticavano una religione innanzitutto interiore, del cuore e della coscienza, ma sottomessa ad una verità oggettiva, rifiutarono l'adesione formale, espressa dall'incenso bruciato in omaggio agli idoli. La testimonianza dei cristiani venne considerata una forma di pericolosa intransigenza e di fanatismo da parte di quelle autorità che pure professavano l'equiparazione sincretistica delle religioni. La sentenza che condannava i cristiani aveva di mira non specifici addebiti, ma il nomen ipsum, la semplice proclamazione del Cristianesimo. Le persecuzioni raggiunsero il loro culmine con l'Imperatore Diocleziano, che regnò fino all'anno 305. Fu uno dei momenti più bui nella storia della Chiesa. Eppure, pochi anni dopo, un nuovo Imperatore, Costantino, concedeva piena libertà ai cristiani che potevano finalmente professare la loro fede pubblicamente e infondere il loro spirito nelle leggi promulgate in quegli anni. Fu la grande svolta costantiniana di cui celebreremo tra poco i 700 anni. L'ascesa del Cristianesimo, da Costantino a Teodosio fu irresistibile. Ma il paganesimo non si arrese e nel IV secolo sferrò una battaglia mortale contro il nome cristiano. Il breve regno dell'Imperatore Giuliano l'Apostata, tra il 361 e il 363, fu l'espressione più acuta dell'odio pagano contro i cristiani, ai quali furono interdetti le magistrature e l'insegnamento, e fu proibito che essi fossero insigniti di onori o dignità. Dopo la morte di Giuliano, il centro dell'anticristianesimo fu il Senato di Roma, quel Senato che nel 37, pochi anni dopo la morte di Gesù Cristo, aveva espresso, con un "senato consulto", il proprio veto al Cristianesimo. Il paganesimo nella seconda metà del IV secolo non era più una religione, ma una filosofia relativista che poneva tutti i culti religiosi sullo stesso piano, contro il Cristianesimo che affermava l'unicità di Cristo, unica via, verità e vita. La politica antipagana dell'Imperatore Teodosio, alla fine del IV secolo, non riuscì ad estirpare questa mentalità relativista, che si faceva scudo, contro il Cristianesimo, del Pantheon romano. Lo scontro tra paganesimo e Cristianesimo ebbe un momento decisivo nella battaglia che si svolse, nel settembre del 394, presso il fiume Frigido (oggi Vipacco), un affluente dell'Isonzo, dove si scontrarono le truppe dell'Imperatore Cristiano Teodosio e quelle del suo rivale Flavio Eugenio. Vinsero i cristiani, ma al sorgere del V secolo, il 400, la mentalità pagana, edonista e relativista come quella odierna, era ancora diffusa nell'Impero romano e ne minava dall'interno le fondamenta morali. Il paganesimo rappresentò per i cristiani del IV secolo un nemico peggiore dei barbari, perché era un nemico interno che impediva all'Impero di Roma di accogliere interamente il Cristianesimo. Il Vangelo non riuscì ad arrestare la disgregazione morale, dalle classi alte, che vivevano nel lusso e nell'ozio, fino al popolino, che si inebriava nei giochi sanguinosi del circo. Divorzio, prostituzione maschile e femminile, omosessualità, denatalità erano diffusi ovunque. La società di quest'epoca era una società decadente e corrotta che sant'Eucherio, vescovo di Lione, definisce "un mondo dai capelli bianchi". Abbiamo ricordato la meditazione sulla caduta di Roma di sant'Agostino che il vescovo di Ippona iniziò a comporre nel 410 dopo il sacco dei Visigoti e finì proprio quando i Vandali, oltrepassata Gibilterra, si apprestavano a conquistare l'Africa romana. Meno conosciuta, ma altrettanto suggestiva e profonda è la meditazione di un altro autore cristiano del V secolo, Salviano di Marsiglia, nel De Gubernatione Dei, (tradotto in italiano come Il governo di Dio, Città nuova, Roma 1994). [...] Salviano, dopo aver raccontato che i membri del Senato di Treviri, in Germania, nel momento in cui i barbari penetravano nella città erano intenti a banchettare, e non seppero decidersi ad interrompere il festino, ricorda che "mentre le armi dei barbari sferragliavano attorno alle mura di Cirta e di Cartagine, la comunità cristiana di Cartagine si dava alla pazza gioia nei circhi e si smidollava nei teatri! Fuori delle mura c'era chi veniva sgozzato, all'interno chi fornicava. All'esterno una parte della popolazione era prigioniera dei nemici mentre dall'altra parte, all'interno, era prigioniera dei vizi. E' difficile dire di chi fosse la sorte peggiore: i primi subivano una cattività puramente esteriore, corporea; questi altri erano schiavi interiormente. Tra queste due disgrazie mortali penso che la più leggera, per un cristiano, sia di subire la schiavitù del corpo piuttosto che quella dell'anima; e la conferma ci viene da quanto afferma lo stesso Salvatore nel Vangelo: è molto più grave la morte dell'anima di quella del corpo. (…). Sia all'esterno che all'interno delle mura si udiva un fragore di battaglie e di divertimenti: le urla di chi stava morendo si confondevano col baccano di chi si dava alle orge, e a malapena si potevano distinguere i lamenti della gente che moriva in battaglia a causa del frastuono prodotto nel circo dal popolo. Di fronte a fatti del genere, che altro faceva una gentaglia come quella se non reclamare la propria rovina mentre Dio, probabilmente, non intendeva ancora mandarli in malora?". Cartagine, la capitale dell'Africa romana, contendeva ad Alessandria e ad Antiochia il primato della dissolutezza e godeva della reputazione di essere il "paradiso" degli omosessuali. Salviano interpreta l'invasione dei barbari come un castigo per questa trasgressione morale. "Si poteva dare, vi chiedo, un vizio più innaturale di quello che ora vi dico, lì a Cartagine? (…) a Cartagine quel vizio non era poca cosa, ma una peste, anche se i travestiti non erano effettivamente moltissimi; succedeva però che l'effeminatezza di alcuni pochi contagiava la maggioranza. Si sa che per quanto pochi siano ad assumere atteggiamenti svergognati, sono molti a contagiarsi con le oscenità di quella minoranza. Un'unica prostituta, ad esempio, fa fornicare molti uomini; e lo stesso succede con l'abominevole presenza di pochi invertiti: infettano un bel po' di gente. E non saprei dire chi sia più colpevole davanti a Dio, dal momento che sia gli invertiti che le loro vittime sono condannati, secondo la sacra Scrittura, alla medesima punizione: «Gli uomini effeminati e gli omosessuali non avranno parte al regno di Dio». Ora, ciò che suscita più pena e costernazione è che un crimine come quello veniva visto all'estero come proprio di tutta la romanità, e che tutto il prestigio del nome di Roma era ridotto a cenere grazie alla macchia infamante di quella mostruosità contro natura. E la ragione è questa: quando i maschi si vestivano da donna e camminavano ondeggiando peggio delle donne, quando si legavano addosso certi pendenti raffiguranti mostruose oscenità e si coprivano la testa con veli e fermagli femminili; quando tutto ciò avveniva pubblicamente in una città romana, la più grande e famosa di quella provincia, ebbene non era forse una vergogna per tutto l'Impero romano il fatto che nel seno stesso dello Stato si permettesse apertamente uno scandalo così esecrando? In realtà, un'autorità grande e potente che ha il potere di impedire un grosso delitto, se ne è a conoscenza e permette che venga perpetrato è come se ne approvasse l'attuazione. Rinnovo la domanda, spinto dal dolore, a coloro che se la prendono con me: fra quali popoli barbari si sono mai verificati questi fatti? Dove mai si è permesso che si compissero impunemente alla luce del sole?". Salviano vuole dimostrare che il giudizio di Dio non si esercita solo alla fine del mondo, ma in ogni momento storico, e i barbari che hanno invaso l'Occidente sono uno strumento del giudizio di Dio. La Provvidenza, che trae il bene dal male, si serve di essi per purificare una società corrotta e decadente quale quella romana. Le parole di Salviano meritano di essere meditate. Noi oggi viviamo un'epoca in cui i peggiori vizi vengono alimentati dai mass-media e addirittura iscritti nelle leggi come diritti umani. Dio però non si disinteressa di quanto accade nella storia. Egli trae il bene da ogni male, ma ogni male deve avere il suo castigo, nel tempo o nell'eternità, così come nel tempo o nell'eternità ogni bene deve avere la sua remunerazione. L'edonismo pagano fu una delle principali cause del crollo dell'Impero romano, ma non fu il peggior nemico che il Cristianesimo dovette affrontare. I barbari erano un nemico esterno all'Impero, il paganesimo edonista era un nemico interno all'Impero, ma esterno al Cristianesimo. Ma vi era un nemico ancora più insidioso, interno al Cristianesimo stesso, e questo era un nemico peggiore dei barbari e del paganesimo: si trattava dello spirito di divisione e di ribellione, degli scismi e delle eresie che iniziarono a incrinare la compattezza dei cristiani. Il 313 era stato l'anno dell'Editto di Milano con cui Costantino aveva concesso piena libertà ai cristiani. La Chiesa esultava. Pochi anni dopo, nel 325, l'Imperatore Costantino aveva convocato a Nicea, il primo concilio ecumenico della Chiesa, in cui era stato proclamato il credo cattolico contro gli ariani, detto simbolo atanasiano dal nome di sant'Atanasio, vescovo di Alessandria, il più puro campione della fede ortodossa. Ma l'arianesimo penetrò tra gli stessi vescovi e non erano trascorsi dieci anni da Nicea che due sinodi, a Cesarea e a Tiro, condannarono sant'Atanasio per il suo fanatismo in materia ecclesiastica. Atanasio fu deposto dalla sua cattedra e fu esiliato. Da allora la sua vita riassunse per così dire le sorti della fede cattolica. Cinque volte egli fu mandato in esilio, cinque volte ritornò per riaffermare la verità della fede. Si arrivò al punto che un Papa, Liberio, nel 357, ruppe la comunione con sant'Atanasio, dichiarandolo separato dalla Chiesa romana. I concili di Rimini e di Seleucia, nel 359, proposero un'equivoca "via media" tra gli ariani e sant'Atanasio. Fu allora che san Girolamo coniò l'espressione secondo cui "il mondo gemette e si accorse con stupore di essere diventato ariano". La metà del IV secolo fu una delle epoche più confuse della storia, in cui secondo il cardinale Newman, oggi beato, il dogma della divinità di Gesù Cristo fu preservato più dal popolo fedele al suo battesimo che all'Ecclesia docens. Quando l'arianesimo finalmente fu debellato sorsero, alla fine del IV secolo, nuove devastanti eresie, come il donatismo e il pelagianesimo. I cattolici ancora una volta si divisero e sant'Agostino fu, all'inizio del V secolo, ciò che Atanasio era stato nel secolo precedente: un campione della fede ortodossa. La Babele regnava tra i cristiani che non rappresentavano un corpo coeso davanti al duplice nemico che avevano di fronte: il paganesimo all'interno dell'Impero e i barbari al suo esterno. Questa situazione di confusione e disorientamento generale costituì la ragione più profonda del tramonto dell'Impero romano, tramonto spirituale e morale, prima che declino politico, economico e sociale. Per i Barbari non fu difficile prevalere e il V secolo fu una delle ore più buie nella storia dell'Occidente. Eppure in questa oscurità un astro brillò: mentre l'Impero di Roma si disfaceva, a Roma nasceva un nuovo Impero, non politico, ma spirituale, che abbracciava le anime nel mondo intero, che sfidava i secoli, che ancora oggi è in piedi, nell'ora di questo nuovo tramonto, che non è più il tramonto dell'Impero romano, ma è il tramonto dell'Occidente, mentre nuovi barbari premono alle porte e nuovi pagani perseguitano i cristiani all'interno. "L'Impero – scrive Dom Guéranger – crollerà pezzo a pezzo sotto i colpi dei barbari; ma prima di infliggergli l'umiliazione e il castigo, conseguenza dei suoi crimini secolari, la giustizia divina attenderà che il Cristianesimo, vittorioso sulle persecuzioni, abbia esteso abbastanza in alto e abbastanza lontano i suoi rami per dominare ovunque i flutti di questo nuovo diluvio; lo si vedrà poi coltivare di nuovo e con pieno successo la terra rinnovata e rinvigorita da queste acque purificanti benché devastatrici". Dopo il tramonto dell'Impero romano calò la notte sull'Occidente, ma nelle tenebre brillò una luce che annunciò un nuovo giorno della storia. Gli autori del V secolo intravedono questa luce nel Papato, la prima grande istituzione europea che sorge tra le rovine della Romanità. Prospero di Aquitania, discepolo di sant'Agostino e autore di un'opera dedicata a La vocazione dei popoli (Città Nuova, Roma 1998), vede nel Papa Leone I, l'uomo che riuscì a salvare Roma dall'invasione di Attila, il protagonista di questa rinascita. Era il mese di agosto del 452 quando una delegazione romana, guidata da Papa Leone, affronta sul fiume Mincio, Attila il capo degli Unni. Non conosciamo le parole che gli rivolse, ma Attila, il flagello di Dio, tornò indietro, abbandonò l'Italia e san Leone Magno, salvò Roma, smentendo trionfalmente le critiche dei pagani che attribuivano ai cristiani la perdita dell'Impero. Nel V secolo nessun personaggio, come Leone, ebbe maggiore consapevolezza del tramonto dell'Impero romano, ma anche dell'ascesa di una nuova Roma il cui Impero sarebbe stato molto più vasto e glorioso di quello antico. La Roma cristiana, fondata dagli apostoli Pietro e Paolo, prendeva ormai il posto dell'antica Roma pagana fondata da Romolo e Remo. I secoli bui passarono e l'Impero romano, dopo il tramonto, rinacque cristiano, inaugurando la splendida stagione del Medioevo. Tutto ciò ci insegna che non esistono tramonti irreversibili nella storia e che la Provvidenza tutto può quando agli uomini tutto sembra perduto. Questa fiducia soprannaturale ci anima e ci spinge a guardare con speranza al trionfo della Chiesa, questo sì irreversibile, dopo l'epoca di tramonto che oggi attraversiamo. È una promessa che va di pari passo con quella di Fatima e che ci deve fare dire: infine la Santa Chiesa romana trionferà.
Fonte: Radio Maria, trascrizione della trasmissione del 19 gennaio 2011
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SINDACO DI ROMA: NIENTE PATROCINIO PER LA MARCIA PER LA VITA, MA IL GAY PRIDE AVRA' OGNI GENERE DI SOSTEGNO
Al contrario del predecessore, il cattolico adulto Ignazio Marino non si presenta alla marcia e non fornisce wc chimici e Protezione Civile, anzi la marcia ha dovuto anche pulire le strade
Fonte No Cristianofobia, 4 maggio 2014
Ormai siamo abituati, ma non smetteremo mai di sottolinearlo. In Italia esistono due pesi e due misure: da un lato vengono squalificate le manifestazioni a favore della vita, dall'altro viene dato pieno appoggio alle iniziative a favore degli omosessuali. La giunta Marino ha respinto in questi giorni la richiesta di patrocinio per la "Marcia per la Vita". La giustificazione è: mancanza di fondi. Nessun sostegno per chi difende il diritto dell'innocente, nemmeno da parte di un sindaco che si definisce cattolico. Non solo non è stato fornito nessun ausilio come wc chimici, volontari della Protezione Civile e distribuzione di bottigliette d'acqua, ma i partecipanti alla Marcia hanno dovuto anche pulire le strade. Dopo aver negato ogni sostegno, il "cattolico adulto" Ignazio Marino ha anche dichiarato che non si sarebbe presentato alla Marcia. E così è stato. Nonostante l'ostruzionismo, la "Marcia per la Vita" 2014 è stata comunque un successo, di molto superiore a quella dell'anno scorso. Trattamento analogo anche per il Gay Pride del 7 giugno? Nemmeno un po'. Il Sindaco ha dato piena disponibilità sia con il patrocinio, sia con la sua presenza alla manifestazione. Per non correre il rischio di essere frainteso e di far pensare che non sia gay-friendly, dal 12 al 18 maggio saranno appese in Campidoglio le bandiere rainbow, simbolo dell'orgoglio omosessuale. L'iniziativa sarà estesa in tutte le sedi municipali come "risposta all'omofobia e all'ignoranza".
Nota di BastaBugie: per leggere gli articoli sulla Marcia per la Vita 2014, si può andare al link seguente https://www.bastabugie.it/it/edizioni.php?id=348 Inoltre vi invitiamo a guardare il nostro video sulla marcia per la vita; include il saluto di Papa Francesco ai partecipanti alla marcia; si vede bene lo striscione di BastaBugie anche dall'appartamento papale
https://www.youtube.com/watch?v=PS-upYmCkuA
Fonte: No Cristianofobia, 4 maggio 2014
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OMELIA V DOMENICA DI PASQUA - ANNO A - (Gv 14,1-12)
Credete in me: io sono nel Padre e il Padre è in me
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia il 18 maggio 2014)
San Francesco, quando era alla ricerca della via da percorrere, quando voleva sapere cosa Dio voleva da lui, entrò nella chiesetta di San Damiano e pregò intensamente davanti ad un Crocifisso. Con tutto il suo cuore voleva sapere quella che era la volontà di Dio su di lui e, miracolosamente, Gesù parlò e disse: «Francesco, va', ripara la mia Casa, che, come vedi, va tutta in rovina» (FF 1334). San Francesco pensò che si trattasse della rovina materiale delle mura di quella chiesetta e, con tanta buona volontà, si mise a restaurarle. Poi si mise a restaurare altre due chiese, quella della Porziuncola e quella di San Pietro, nei pressi di Assisi. In seguito, san Francesco comprese che la missione a lui affidata da Dio era diversa, più profonda: era quella di restaurare la Chiesa di cui i cristiani sono le pietre vive. Allora egli non andò più in cerca di pietre materiali, ma si mise a predicare per città e villaggi, alternando periodi di ritiro negli eremi a periodi di intensa attività apostolica. In questo modo, san Francesco ricondusse molti a Cristo, risvegliando in altri il fervore che si era ormai spento. In poche parole, egli ridiede un volto cristiano a una società che si era allontanata dalla retta via. Questo tema è messo in luce dalla seconda lettura di oggi. San Pietro lo afferma chiaramente: «Quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale» (1Pt 2,5). Gesù è la «pietra d'angolo» (1Pt 2,7), ovvero la pietra fondamentale per dare stabilità all'intera costruzione. Questa pietra era stata scartata dai costruttori ed ora è divenuta «sasso d'inciampo, pietra di scandalo» (1Pt 2,8) per tutti quelli che rifiutano il Vangelo. Per essere utilizzati nella costruzione di questo edificio, le pietre devono essere lavorate e ben squadrate. Questo lavoro è iniziato con il Battesimo, per mezzo di esso siamo divenuti pietre vive, e deve continuare durante tutta la nostra vita. Ogni giorno dobbiamo uniformarci a Gesù Cristo, dobbiamo assomigliargli sempre di più. Ogni pietra che non risponde a questi requisiti viene scartata: abbiamo tempo fino al termine della nostra vita. Accogliendo la Parola di Dio e mettendola in pratica, noi siamo sempre più perfezionati e resi idonei ad essere utilizzati in questa costruzione. È necessaria la predicazione; per questo motivo, nella Chiesa primitiva, furono istituiti di Diaconi, i quali si impegnavano nel servizio della carità, dando così la possibilità agli Apostoli di dedicarsi interamente al servizio della Parola, ovvero alla predicazione, e alla preghiera. Furono scelti sette Diaconi. Gli Apostoli, vista la gran mole di lavoro che gravava sulle loro sole spalle, così dissero alla Comunità: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (At 6,1-7). Non è giusto che nella Chiesa vengano sacrificati gli aspetti della preghiera e della predicazione, che sono i più importanti, per una attività che rischia di diventare un "vuoto attivismo". Le parole che abbiamo ascoltate sono particolarmente valide ai nostri giorni, nei quali il valore della vita interiore non è molto compreso e, molto spesso, si apprezza solo l'attività sociale. Senza la preghiera, l'attività caritativa si trasforma in una promozione umana. Nella Chiesa, la predicazione deve avere un obiettivo principale: quello di indicare al mondo Cristo che è l'unica via che conduce al Padre, è l'unica verità a cui aderire, ed è l'unica vita delle anime nostre. Gesù lo afferma chiaramente, dicendo ai suoi Apostoli: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). Seguendo i suoi esempi non possiamo sbagliare strada, giungeremo al posto che Egli, il nostro Salvatore, è andato a prepararci, secondo quanto ci dice nel Vangelo: «Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (Gv 14,3). La morale cristiana consiste nel seguire le orme di Gesù, nell'imitarlo, nel comportarci come Lui si è comportato. Osservando la morale cristiana, insegnata infallibilmente dalla Chiesa, noi siamo certi di arrivare alla Vita eterna. Il Signore verrà a prenderci, secondo la sua promessa, e ci condurrà dove è la nostra dimora eterna. Gesù, inoltre, è l'unica verità a cui credere. Non ci sono diverse verità, come se ciò fosse solo una cosa soggettiva. Gesù dice a ciascuno di noi e a tutti gli uomini del mondo: «credete in me: io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,11). Per essere cristiani non basta comportarsi bene, bisogna pure credere a tutto quello che la Chiesa ci insegna nel suo Magistero. In questo modo, osservando la morale evangelica e credendo ai dogmi di fede, noi realizzeremo le parole che Gesù disse agli Apostoli: «chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre» (Gv 14,12). Sembra incredibile, ma Gesù dice chiaramente che faremo opere più grandi di quelle da Lui compiute su questa terra. Ciò si spiega per il fatto che Gesù è andato al Padre, ovvero è stato glorificato, e agisce per mezzo dei cristiani con la potenza della sua divinità. Questo significa che, con l'Ascensione al cielo, Gesù non ha diminuito il potere di operare su questa terra, ma lo ha di molto aumentato. Prima dell'Ascensione, quando era su questa terra, la sua azione era circoscritta ad un solo popolo, quello Ebraico; ora, per mezzo della Chiesa, Gesù raggiunge e abbraccia il mondo intero. Egli rende partecipe la Chiesa di quelli che sono i suoi poteri, continua ad operare miracoli e, soprattutto, continua a convertire i cuori, servendosi del servizio dei suoi ministri. Quanto più saremo simili a Gesù, tanto più si realizzeranno le parole che abbiamo udito nel Vangelo: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Gesù è una sola cosa con il Padre, in quanto è il Figlio, della stessa sostanza del Padre, la seconda Persona della Santissima Trinità. Noi, creati ad immagine e somiglianza di Dio, rifletteremo la sua luce nella misura della nostra bontà. Un pellegrino che si era recato ad Ars per conoscere il parroco di quel paese che era san Giovanni Maria Vianney, dopo averlo incontrato, così esclamò: «Ho visto Dio in un uomo». Il Signore vuole che questo si possa dire anche di noi. Se saremo buoni di cuore, non mediocri ma santi cristiani, compiremo l'opera più bella ed importante: mostreremo Dio al mondo.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia il 18 maggio 2014)
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