BastaBugie n�360 del 01 agosto 2014

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1 QUELLO CHE NON CI DICONO SULLA GUERRA DI GAZA
Perché a Gaza c'è la guerra? E i morti civili? Come mai le scuole dell'Onu sono usate dai musulmani come depositi di armi?
Fonte: Rights Reporter
2 L'ISLAM E' UNA TERRIBILE MINACCIA PER L'OCCIDENTE
Il martirio di tanti nostri fratelli in Iraq esige che si denunci con chiarezza l'ideologia religiosa che, come il nazismo, ha prodotto solo violenza nel corso dei secoli (VIDEO: l'appello del Papa)
Autore: Luigi Negri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 SONO MATURI I TEMPI PER IL QUINTO DOGMA SU MARIA?
Il titolo sarebbe ''corredentrice dell'umanità'' dopo i 4 proclamati: Madre di Dio (410), Verginità perpetua (553), Immacolata Concezione (1854), Assunzione in cielo in corpo e anima (1950)
Fonte: Il Timone
4 TRENT'ANNI FA MORIVA BERLINGUER: LE INQUIETANTI OMBRE DEL SEGRETARIO DEL PARTITO COMUNISTA
Amico di Stalin, ha servito a tempo pieno il partito che ha cercato di sovietizzazione il mondo e lo ha seminato di morti e di martiri
Fonte: Cultura & Identità
5 LA' DOVE LA FAMIGLIA FU ABOLITA
Chi pensa che senza famiglia la società sarebbe migliore, provi a guardare l'esempio storico in cui tutti i legami familiari furono aboliti e vietati: la Cambogia di Pol Pot
Autore: Anna Bono - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana
6 COGNOME MATERNO? E' GUERRA CONTRO LA FAMIGLIA
Cosa resta ai padri, già privati della patria potestà, se togli loro anche la possibilità di dare il cognome ai figli?
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Libertà e Persona
7 VOLTAIRE, ROUSSEAU E I MOSTRI
Che differenza tra i campioni del laicismo illuminista e la Chiesa!
Autore: Antonio Margheriti Mastino - Fonte: Il Timone
8 E' LECITO VOTARE UNA LEGGE CHE LIMITI I DANNI PROVOCATI DALLA SENTENZA CHE HA APERTO ALLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE ETEROLOGA? NO!
Sarebbe lecita solo una legge che introducesse divieti, non lo è mai una legge che per limitarne i danni accetti la fecondazione artificiale, anche se questo risparmiasse la vita a molti embrioni
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
9 OMELIA XVIII DOM. DEL TEMPO ORD. - ANNO A - (Mt 14,13-21)
Voi stessi date loro da mangiare
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - QUELLO CHE NON CI DICONO SULLA GUERRA DI GAZA
Perché a Gaza c'è la guerra? E i morti civili? Come mai le scuole dell'Onu sono usate dai musulmani come depositi di armi?
Fonte Rights Reporter, 27 luglio 2014

Una premessa: in questi giorni moltissimi filo-palestinesi ci hanno accusati di essere di parte. Hanno ragione. Rights Reporter sta sempre con la democrazia e contro il terrorismo, sta sempre con gli abusati e contro chi abusa dei civili, sta sempre con chi difende la propria popolazione e contro chi usa la propria popolazione per difendersi. Quindi si, siamo di parte, siamo con Israele e contro Hamas. Ma probabilmente essendo contro Hamas difendiamo molto più noi la popolazione palestinese di Gaza di quanto non facciano certi "attivisti" spinti solo da odio anti-israeliano piuttosto che dall'idea di difendere i civili palestinesi. Detto questo, vorremmo spiegare alcune cose ai lettori onde dipanare la cortina fumogena alzata da certi media e dai soliti "attivisti per la pace" che tanto attivi per la pace non lo sono ma che, anzi, fomentano odio senza alcuna vergogna e ritegno.

PERCHÉ C'È UNA GUERRA A GAZA
Quella in corso è la terza guerra tra Hamas e Israele da quando nel 2005 lo Stato Ebraico ha restituito la Striscia di Gaza ai palestinesi per la famosa formula "terra in cambio di pace". I media filo-palstinesi o quelli schierati a prescindere contro Israele vi dicono che la guerra è iniziata come rappresaglia israeliana per l'uccisione di tre ragazzi israeliani avvenuta per mano di Hamas. Non è vero. E' una vera e propria cortina fumogena per nascondere il vero motivo della guerra, cioè il continuo lancio di missili dalla Striscia di Gaza su Israele. Loro, i media filo-palestinesi, non ne hanno mai fatto menzione, ma negli ultimi mesi da Gaza sono stati sparati migliaia di missili su Israele, e questo prima che la guerra avesse inizio. Non solo, da diversi mesi l'intelligence israeliana ha lanciato un serio allarme per i tunnel che dalla Striscia di Gaza arrivano in Israele. Questi tunnel sono stati costruiti per portare attacchi contro la popolazione civile e per compiere rapimenti. I tunnel scoperti dopo l'inizio della guerra confermano che quell'allarme non solo era reale ma addirittura sottostimato. E chiaro che se i media hanno taciuto per mesi sul continuo lancio di missili da Gaza verso Israele oggi non possono attribuire a questo la causa della guerra, quindi ne devono trovare un'altra.

I MORTI CIVILI
Premesso che anche un solo morto innocente è una perdita intollerabile, vorremmo affrontare il discorso dei morti civili di cui ogni giorno i media ci rendono conto e ci aggiornano. Prima di tutto ricordiamo le linee guida imposte da Hamas ai giornalisti secondo le quali ci sono solo morti civili e innocenti. Detto questo, i media ci dicono che "secondo fonti Onu i morti civili sono…." e ne danno il numero che cresce ogni giorno. E' una mezza verità. E' vero che è l'Onu che fornisce quei dati ai giornalisti ma chi fornisce i dati all'Onu? Naturalmente è Hamas. Insomma, la fonte di dati sui morti civili è Hamas e non l'Onu che ne fa solo da portavoce. Hamas sostiene che l'80% dei morti sono civili, un dato smentito dai terroristi di Hamas catturati dall'esercito israeliano che invece sostengono l'esatto contrario, cioè che l'80% dei morti sono miliziani e non civili. E' chiaro che ogni terrorista può essere scambiato per civile dato che non indossa alcuna divisa proprio per confondersi con la popolazione (non è una violazione delle leggi di guerra questa?). E se notate le immagini che arrivano da Gaza (quelle vere, non quelle del conflitto siriano attribuite a Gaza) noterete come vi facciano vedere solo donne e bambini feriti come se ha Gaza ci fossero solo donne e bambini. E vogliamo parlare delle responsabilità? Israele lancia continui messaggi ai civili di abbandonare le zone che stanno per essere attaccate. Lo fa per evitare morti civili. Ci sono testimonianze che Hamas proibisce ai civili di lasciare quelle zone per usarli come scudi umani. Quindi, di chi è la colpa di quei morti innocenti? Ultima considerazione non marginale: Israele ha costruito un ospedale da campo al confine con Gaza per soccorrere i civili palestinesi. Ebbene, non solo Hamas proibisce ai civili di raggiungere qual campo ma nei giorni scorsi lo ha pure bombardato. Ha sparato contro la sua stessa gente che aveva osato disobbedire.

LE SCUOLE DELL'ONU USATE COME DEPOSITI DI ARMI
Le scuole dell'Onu sono usate da Hamas come depositi di armi. Per la prima volta (piuttosto ipocritamente) l'Onu ha ammesso di aver trovato dei missili all'interno di una sua scuola, ma è una cosa ricorrente. Hamas lo fa perché sa che le scuole dell'Onu sono un rifugio sicuro e fa in modo che i civili si concentrino proprio li per difendere le proprie armi. Naturalmente queste cose gli "inviati" si guardano bene dal dirvelo, come si guardano bene dal dirvi che secondo una indagine del IDF l'ordigno che qualche giorno fa ha colpito la scuola dell'Onu di Beit Hanoun provocando almeno 15 morti è stato probabilmente sparato da Hamas e non dall'esercito israeliano. Solo che fa molto più notizia (e scalpore) dire che è stato l'IDF a sparare. E' utile alla causa.

GAZA PRIGIONE A CIELO APERTO
Questo è un mantra molto ricorrente tra i sostenitori di Hamas. Si contesta il fatto che una zona controllata e amministrata da un gruppo riconosciuto universalmente come terrorista, venga sottoposta a un controllo delle merci in entrata. Non è un embargo come vogliono farvi credere, le merci normali entrano ed escono regolarmente da Gaza. Le uniche merci che non possono entrare a Gaza sono le armi o quegli elementi che possono costituire un vantaggio militare per Hamas. Un esempio lampante è il cemento armato. Ufficialmente dovrebbe servire per le costruzioni civili ma, come abbiamo visto, viene usato da Hamas per la costruzione di Km di tunnel. Con quello che ha speso Hamas per la costruzione di quei tunnel e con il cemento armato usato per costruirli si sarebbero potuti costruire almeno due ospedali, una decina di scuole, sistemare l'acquedotto, costruire centri commerciali e fabbriche. Ma come sempre il bene della popolazione per Hamas viene all'ultimo posto. Se quindi Gaza è una prigione a cielo aperto (e non lo è) la colpa e da dare solo ed esclusivamente ad Hamas e non a Israele. Uno degli motivi per cui Hamas ha scatenato questa guerra è proprio quello di togliere totalmente il blocco a Gaza. Dicono che è per il bene della popolazione ma, come abbiamo visto, ad Hamas della popolazione non importa nulla, è solo per potersi armare meglio.
Per ora ci fermiamo qui sperando di avervi dato un quadro realistico della situazione sul perché si sta combattendo l'ennesima guerra a Gaza e sul perché sia necessario eliminare per sempre la minaccia di Hamas, non solo per Israele ma anche e soprattutto per i palestinesi di Gaza.

Nota di BastaBugie: ecco il link a un altro interessante articolo
IL POPOLO PALESTINESE NON ESISTE! CI SONO SOLO GLI ARABI ISLAMICI CHE VOGLIONO DISTRUGGERE ISRAELE
I palestinesi non hanno nulla che li distingua dagli altri arabi; parlare di Palestina è un inganno per far credere necessaria una restituzione che altrimenti sarebbe difficilmente giustificabile
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3376

Fonte: Rights Reporter, 27 luglio 2014

2 - L'ISLAM E' UNA TERRIBILE MINACCIA PER L'OCCIDENTE
Il martirio di tanti nostri fratelli in Iraq esige che si denunci con chiarezza l'ideologia religiosa che, come il nazismo, ha prodotto solo violenza nel corso dei secoli (VIDEO: l'appello del Papa)
Autore: Luigi Negri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 22-07-2014

È un fatto enorme questo gigantesco esodo in massa di cristiani espulsi dai luoghi dove da millenni era radicata la presenza cristiana, esclusivamente perché cristiani. Quindi per quello che la tradizione cattolica chiama l'odio della fede. E questo deve essere detto esplicitamente: non sono soltanto buttati fuori dalle loro case, privati di tutti i loro beni, privati di tutti i loro diritti e quindi della possibilità di sussistenza; ma la ragione di tutto questo è la fede.
E questo i cristiani, la Chiesa, non possono non sentirlo come un evento terribile e insieme grandioso, perché è l'evento del martirio.

IL GRIDO DI PAPA FRANCESCO E DEL CARDINALE KURT KOCH
Ho ascoltato con molta gratitudine domenica l'intervento all'Angelus di papa Francesco, così forte, così appassionato e insieme così profondamente compreso di dolore, di compassione. Con non meno gratitudine ho letto la lunga intervista del cardinale Kurt Koch all'Osservatore Romano, che ha offerto un momento di dolorosa riflessione su questo evento. Non si capisce perché alcune cose vengano chiamate Shoah e per queste non venga usato lo stesso termine, che dice di una spaventosa e dissennata ideologica violenza contro l'altro semplicemente perché ha una posizione religiosa diversa dalla propria.
Ma il cardinale Koch ha insistito su un aspetto che non è sempre in primo piano negli interventi del mondo cattolico. Il problema è che c'è una grande difficoltà a una denuncia esplicita. I responsabili di questi spaventosi avvenimenti hanno nomi e cognomi espliciti, e non soltanto quelli degli ultimi, degli epigoni di questa vicenda di criminalità ideologica. Ma c'è una tradizione che risale lungo i secoli della presenza islamica nel Medio Oriente e in Europa.
Ora, il cardinale Koch dice che dovremmo essere più coraggiosi nella denuncia. Ecco, il coraggio è sempre un elemento fondamentale per una presenza cristiana, ma più che mai in un momento come questo. Il coraggio è un aspetto della testimonianza cristiana, è un aspetto fondamentale dell'impatto con la realtà del mondo e degli uomini che ci vivono. Queste responsabilità dunque devono essere dette e proclamate, altrimenti anche le denunce e la volontà di condividere la situazione tremenda di tanti nostri fratelli rischiano di essere parziali.

BENEDETTO XVI: IL DIALOGO È IN MISURA DELLA FORZA DELLA PROPRIA IDENTITÀ
Certamente noi occidentali, in particolare noi cristiani di questo Occidente che giustamente negli ultimi tempi è stato indicato come caratterizzato da una profonda stanchezza, rischiamo di non affrontare la realtà secondo tutti i suoi fattori. Soprattutto cerchiamo di nascondere o quantomeno di ridurre l'impatto con questo mondo islamico che, ci piaccia o no, ha la responsabilità storica di questi eventi oggi come lungo i secoli che hanno preceduto questo ultimo.
Forse c'è una prevalenza della volontà di dialogo a ogni costo che deprime la verità. E un dialogo senza la verità o che non parta dalla verità non è un dialogo: è un compromesso, è una connivenza, è un'ignavia.
Ricordo ancora gli interventi di papa Benedetto XVI nel corso dell'indimenticabile Sinodo sulla nuova evangelizzazione quando intervenne dicendo che «il dialogo è in misura della forza della propria identità»; e la forza della propria identità è la pienezza della coscienza critica della propria identità. Il dialogo è espressione di una cultura: il dialogo non produce cultura, la esprime. E la varietà di culture che si esprimono nella loro diversità è un apporto fondamentale a una convivenza pluralistica e democratica.

NON RIPETIAMO CON L'ISLAM LO STESSO ERRORE DI CHI NON SI OPPOSE A HITLER
Ci nascondiamo o rischiamo di nasconderci di fronte a questa terribile minaccia che incombe sull'Occidente, e non solo sull'Occidente, facendo un po' quello che hanno fatto le cosiddette democrazie liberali borghesi nei confronti della terribile vicenda hitleriana, nei tempi immediatamente precedenti la Seconda guerra mondiale. Si era tutti protesi a dialogare con Hitler, a concedere sul piano immediatamente politico la spartizione di alcuni territori sacrificando qualche volta diritti di popoli che sarebbe stato giusto potessero continuare a vivere la propria esperienza di popolo, di nazione e di stato. Fra tutte la cosa più tragicomica fu quella famosa conferenza di Monaco fatta nell'anno 1938 in cui si andò ancora una volta con il cappello in mano convincendosi che Hitler non era poi così tanto cattivo e che con lui ci potevano essere possibilità di intesa.
Sono così vecchio da aver visto alcuni fotogrammi dei ministri degli Esteri che tornavano nelle rispettive capitali europee lieti di avere segnato un colpo straordinario per l'avvenire pacifico dell'Europa e del mondo. Pochi mesi dopo Hitler rifiutò tutti gli accordi sottoscritti e in pochi altri mesi fece scoppiare quella guerra mondiale che ingoiò sui campi di battaglia o di sterminio 15 milioni di uomini.
La piaggeria, l'ignavia, la mancanza di coraggio non sono virtù, non sono mai virtù. Allora di fronte al sacrificio di centinaia, di migliaia di nostri fratelli uccisi o espulsi in odio alla fede abbiamo il dovere di una profonda solidarietà: nella preghiera e nella carità con loro certo, ma abbiamo non meno grave la responsabilità di dire che ci sono delle responsabilità storiche che fanno capo a certe formulazioni ideologico-religiose che rendono permanente il pericolo che i cristiani, e non solo loro, possano essere oggetto di violenze anche sul territorio nell'ambito dell'Europa o dell'intero mondo civile.
Non avere il coraggio di questa denuncia è esattamente nella misura della debolezza della fede.

Nota di BastaBugie: ecco il video con il discorso di Papa Francesco dopo l'angelus di domenica 20 luglio: "Ho appreso con preoccupazione le notizie che giungono dalle Comunità cristiane a Mossul (Iraq) e in altre parti del Medio Oriente, dove esse, sin dall'inizio del cristianesimo, hanno vissuto con i loro concittadini offrendo un significativo contributo al bene della società. Oggi sono perseguitati. I nostri fratelli sono perseguitati, sono cacciati via, devono lasciare le loro case senza avere la possibilità di portare niente! Assicuro a queste famiglie e a queste persone la mia vicinanza e la mia costante preghiera. Carissimi fratelli e sorelle tanto perseguitati, io so quanto soffrite, io so che siete spogliati di tutto. Sono con voi nella fede in Colui che ha vinto il male".


https://www.youtube.com/watch?v=jWlBYodTk-A

ARTICOLI GIA' PUBBLICATI:

IRAQ: COME I NAZISTI CON GLI EBREI, COSI' I MUSULMANI MARCHIANO LE CASE DEI CRISTIANI PER STERMINARLI
L'Occidente ignora il massacro, mentre i musulmani moderati non intervengono (motivo: nell'islam non esistono i moderati)
Autore: Luigi Santambrogio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3351

IRAQ: COSI' MUORE IL CRISTIANESIMO
Per la prima volta nella storia, a Mosul, seconda città dell'Iraq, non vi sono più cristiani perché quelli rimasti hanno dovuto scegliere se rinnegare la fede o morire. Poi hanno bruciato le loro chiese...
Autore: Valentina Colombo - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3350

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 22-07-2014

3 - SONO MATURI I TEMPI PER IL QUINTO DOGMA SU MARIA?
Il titolo sarebbe ''corredentrice dell'umanità'' dopo i 4 proclamati: Madre di Dio (410), Verginità perpetua (553), Immacolata Concezione (1854), Assunzione in cielo in corpo e anima (1950)
Fonte Il Timone, maggio 2014

Il vescovo di Haarlem-Amsterdam, monsignor Joseph Punt, nel maggio 2002, approva ufficialmente le apparizioni di Amsterdam. Nei messaggi affidati alla veggente Ida Peerdeman, la Madonna avrebbe chiesto in maniera esplicita un nuovo dogma, che dovrebbe attribuirle il titolo di Maria Corredentrice, Mediatrice e Avvocata. La "Signora di Tutti i Popoli", come si definisce, promette solennemente che «Ella salverà il mondo sotto questo titolo» (20 marzo 1953). Descrive inoltre cosa accadrà: «Quando il dogma, l'ultimo dogma della storia mariana, sarà proclamato, allora la Signora di Tutti i Popoli donerà la Pace, la vera Pace al mondo» (31 maggio 1954). In realtà questo eventuale quinto dogma, su cui si discute da molti anni, suscita le forti critiche di alcuni settori della Chiesa, i quali ritengono la parola "corredenzione" equivoca e poco adatta per descrivere in modo teologicamente corretto la posizione unica di Maria nel piano salvifico, preoccupati che l'incomparabile, unico ruolo di Gesù come divino Redentore possa esserne sminuito; gli stessi critici temono inoltre che possa compromettere il già difficile dialogo ecumenico con le altre denominazioni cristiane. C'è infine da sottolineare che difficilmente un dogma verrà mai proclamato a causa di una rivelazione privata.

TRA I "SOSTENITORI", PADRE PIO E MADRE TERESA
Il termine "corredenzione" esprime la particolare cooperazione della Beata Vergine Maria all'opera di redenzione compiuta da Gesù Cristo. Non è una dottrina ancora compiutamente definita e accettata: è infatti oggetto di dibattito tra i teologi. Alla base della corredenzione di Maria ci sono i punti dottrinali seguenti: Maria, in quanto Madre di Cristo, è partecipe della Sua vita e delle Sue opere; nel disegno di Dio Padre, Maria è associata a Cristo per il trionfo sul peccato così come Eva fu associata ad Adamo nel peccato originale; Maria è stata associata alla Passione e morte di Gesù, partecipandovi con il suo dolore di madre.
Riguardo all'uso del termine "corredentrice" da parte del Magistero recente, gli oppositori alla definizione del nuovo dogma fanno notare che tale termine è sì presente in alcuni documenti pontifici, ma essi sono marginali e quindi privi di peso dottrinale. Nei documenti fondamentali di carattere mariano di qualche rilievo dottrinale, il termine "corredentrice" è assente. Nella lista dei sostenitori del dogma di Corredentrice, Mediatrice e Avvocata ci sono nomi importanti come Vincenzo Pallotti, Anna Caterina Emmerich, Leopoldo Mandic, Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Padre Pio e Madre Teresa. C'è chi fa notare che lo stesso san Giovanni Paolo Il ha usato più volte il titolo "corredentrice", ad esempio durante l'udienza generale dell'8 settembre 1982 («Maria, pur concepita e nata senza macchia di peccato, ha partecipato in maniera mirabile alle sofferenze del suo divin Figlio, per essere Corredentrice dell'umanità»). Ma è anche vero che l'allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Joseph Ratzinger, riferì al giornalista tedesco Peter Seewald, nel libro Dio e il mondo, che la collaborazione di Maria nel piano salvifico «viene meglio espressa tramite altri titoli, mentre la formula "Corredentrice" si allontana troppo dal linguaggio e dagli scritti dei Padri della Chiesa e per questo suscita dei fraintendimenti». Da notare infine che alcuni mariologi non hanno difficoltà a venerare la Madonna col titolo di "Corredentrice", ma non vedono la necessità che questa verità sia definita come dogma. Altri invece sono aperti al dogma, ma per l'immediato futuro lo ritengono inopportuno.
Insomma, la discussione teologica, contraddistinta dal massimo rispetto del Magistero autentico, rimane aperta. Se si spiega in maniera teologicamente corretta il termine di "Corredentrice", risulta chiaro che la Vergine non è equiparata a Gesù, come se Lei fosse Dio. Anzi, la parola "co-redentrice" significa che Maria, come Immacolata e nuova Eva, in unione perfetta con il suo Figlio divino, in piena dipendenza da Lui e vivendo totalmente di Lui, ha sofferto in modo unico per la nostra redenzione.
C'è chi ipotizza che il Santo Padre potrebbe chiedere a tutti i vescovi del mondo la loro opinione al riguardo, e poi decidere. Come fece Pio IX per il dogma dell'Immacolata Concezione.

Nota di BastaBugie: ecco il video del 1950 della proclamazione da parte di papa Pio XII del dogma dell'Assunta (assunzione al cielo in corpo e anima della Beata Vergine Maria)


https://www.youtube.com/watch?v=33NADLqHKkg

Fonte: Il Timone, maggio 2014

4 - TRENT'ANNI FA MORIVA BERLINGUER: LE INQUIETANTI OMBRE DEL SEGRETARIO DEL PARTITO COMUNISTA
Amico di Stalin, ha servito a tempo pieno il partito che ha cercato di sovietizzazione il mondo e lo ha seminato di morti e di martiri
Fonte Cultura & Identità, 22 giugno 2014

Trent'anni fa, il 7 giugno 1984, durante un comizio a Padova, Enrico Berlinguer, segretario generale del Partito Comunista Italiano, veniva colpito da emorragia cerebrale e, quattro giorni dopo, moriva.
Dopo una rapida carriera nei quadri del partito, era asceso alla segreteria generale nel 1972, in piena contestazione studentesca e agli albori del terrorismo: la lascerà, insieme alla vita, agli esordi di quel processo, in larga misura "pilotato", che avrebbe portato alla rimozione del Muro di Berlino e alla "'dismissione" dell'impero socialcomunista di matrice moscovita.

CHI È STATO BERLINGUER?
Un eroe popolare? Un grande politico? Un utopista? Un machiavellico comunista del tardo XX secolo?
Chi si richiama esplicitamente a lui, cioè il gruppo dirigente dell'attuale Partito Democratico, prodotto finale di una lunga serie di metamorfosi identitarie della sezione italiana dell'Internazionale Comunista, tende ad accreditarne una immagine oleografica, farne un personaggio di alta statura morale, l'interprete autentico e sagace delle esigenze del Paese, un politico appassionato e tenace, totalmente e fino all'ultimo dedito alla causa dei lavoratori e del progresso. E hanno voluto commemorare i trent'anni dalla sua scomparsa in vari modi. [...]
Che chi si sente a qualunque titolo attratto da Berlinguer voglia celebrarne la memoria non è fatto che desta obiezione, né emozione: ognuno "santifica" chi vuole: c'è chi beatificherebbe Robespierre, chi Almirante o chi vorrà, a suo tempo, un Pannella "santo subito".
Quello che stona, nella circostanza, sono due cose, che trasformo in due quesiti.
    
DAVVERO BERLINGUER È STATO UN PERSONAGGIO POSITIVO?
Davvero Berlinguer è stato un personaggio positivo, non solo per i comunisti, ma anche per l'intera nazione italiana? E poi: come mai ambienti politico-culturali che si dipingono lontani, "diversi", migliori, del vecchio partito togliattiano ritengono non solo d'indossare un personaggio come Berlinguer, ma anche di trasformarlo in una icona semi-religiosa?
Riguardo al primo quesito i dubbi sono davvero pochi. Chi celebra Berlinguer tende a sottolinearne in positivo gli elementi di discontinuità con il passato "bolscevico" del Partito Comunista Italiano, però dimentica in toto gli elementi - che non sono pochi, ne minori - di continuità con tale passato: su questi elementi vorrei soffermarmi brevemente.
Dal punto di vista storico gli anni della segreteria Berlinguer sono anni bui - forse quelli finora più bui - per il Paese. Anni di bombe e di terrorismo. Anni di grandi tensioni sociali e di radicali contrapposizioni ideologiche. Anni in cui gramscianamente "tutto è politico". Anni in cui il comunismo mondiale fa passi da gigante, arrivando a conquistare mezza Africa, a invadere l'Afghanistan e a porre la sua ipoteca sui movimenti antigovernativi latino-americani e, in Italia, a spingersi fino alle soglie dell'area del governo. Anni in cui l'impronta cristiana e naturale degli ordinamenti sociali del Paese viene profondamente erosa fino a scolorire.
Nel dodicennio della segreteria berlingueriana i cattolici - e i "laici" "di buona volontà" - sono sconfitti nel referendum abrogativo della legge divorzista del 1970, viene promulgata la legge che liberalizza e statalizza l'aborto volontario e si assiste a una nuova sconfitta dei cattolici e, in genere, dei pro-life nel successivo referendum antiabortista del 1981. In entrambe queste laceranti vicende i gruppi "progressisti" non sarebbero mai riusciti a prevalere senza l'ausilio della potente e capillare macchina organizzativa comunista, cui l'"oro di Mosca" consentiva al solo PCI - escludendo quindi i sindacati e le organizzazioni collaterali - di mantenere a libro-paga decine di migliaia di funzionari: più dei parroci e dei loro coadiutori!
Ovviamente, se l'Italia di quegli anni è preda dei proverbiali "sette demoni" rivoluzionari non è imputabile integralmente a Enrico Berlinguer: basterebbe solo accennare all'emergere dei radicali e al tradimento dei cattolici impegnati e degl'intellettuali. Ma l'ideologia da lui professata e l'organizzazione da lui diretta sono, se non lo starter, il vero motore che a pieni giri "produce" rivoluzione, sia in proprio, sia "per conto terzi", sostenendo nel contempo, e presto assorbendo, questa o quella "avanguardia".

LA SCALATA AI VERTICI DEL PARTITO
Oltre a ciò, la dirigenza comunista - e Berlinguer entra a far parte dei vertici del partito assai giovane -, al di là di manifestazioni più o meno epidermiche di dissenso dalla casa-madre - rilevabili non certo nel tragico 1956, al tempo della rivolta nazionale di Budapest, ma di certo dal 1968, dalla pallida "primavera di Praga" -, è allora parte integrante dell'élite internazionale, coordinata da Mosca, dedita a promuovere e a organizzare la rivoluzione marxista in tutti Paesi del mondo. Forse, quando assume la segreteria, nessuno più ricorda la sua evocazione di santa Maria Goretti, la martire della verginità canonizzata da Pio XII. Forse il partito, logorato dal benessere e dal consumismo, è un po' imborghesito. Forse la nomenklatura italiana, e ancor più marcatamente il clan dei comunisti romani, è anche somaticamente diversa dal prototipo del bolscevico: se si confronta la fotografia di un Breznev con quella di un Gerardo Chiaromonte o di un Lucio Magri il contrasto appare più stridente che mai! Eppure si tratta sempre di dirigenti dello stesso partito di Ceaucescu, di Honecker, di Husak, di Gomulka, tutti membri di una setta che professa la medesima ideologia, ha lo stesso programma di azione: possono variare i metodi e i tempi, ma la sostanza e la meta rimangono le stesse.
La carriera di Berlinguer è tutta scandita da cooptazioni vieppiù significative: già nel 1946, da segretario del Fronte della Gioventù (sottinteso: "comunista"'), incontra Stalin a Mosca; tre anni dopo è segretario della FGCI, la Federazione Giovanile Comunista Italiana, ergo di diritto membro della Direzione del partito; nel 1957 - particolare non secondario - è nominato direttore della scuola di partito, l'Istituto di Studi Comunisti, delle Frattocehie, nei pressi di Roma - che chiuderà i battenti solo nel 1993! -, dove s'insegna la sovversione scientifica dei sistemi democratici; nel 1957 è vicesegretario del PCI sardo e poi. nel 1966. responsabile politico per il Lazio; fra il 1966 e il 1968 il PCI lo invia in Vietnam, in Cina, in Corea del Nord e di nuovo a Mosca.
Nel 1968 è eletto deputato e nel 1972 segretario generale, succedendo allo "spagnolo" - uno degli ultimi esponenti del comunismo "di guerra" degli anni 1930-1940 - Luigi Longo.

COMUNISTA NON PENTITO
Ora, un personaggio simile, la cui attività "professionale" è servire a tempo pieno in una organizzazione che persegue il disegno di sovietizzazione del mondo e la cui vita s'intreccia con quella di autentici professionisti della Rivoluzione internazionale, da Togliatti a Pajetta, da Ingrao a Cossutta e Longo, non può non essere considerato pienamente partecipe e, anzi, magna pars di quel medesimo disegno.
Un disegno - o forse un tragico sogno - miseramente e misteriosamente crollato nel 1989-1991 dopo aver seminato il mondo di morti e di martiri; dopo avere attizzato guerre in ogni continente; devastato, dissolto o asservito le comunità religiose di tanti Paesi; eliminato interi ceti sociali, imprigionata e dissolta ogni dissidenza; ridotti alla fame popoli antichi e liberi.
Come è possibile che uno per quasi quarant'anni giri ovunque nel mondo del "socialismo reale" senza accorgersi di che cosa questo volesse dire per i disgraziati popoli che dovevano subirlo? Certo, difficilmente il giovane ex aristocratico sardo avrà avuto modo di mischiarsi al popolo più povero ed emarginato; di sicuro i suoi soggiorni e i suoi interlocutori saranno stati all'interno dei circuiti privilegiati riservati all'élite comunista autoctona e agli ospiti di prestigio. Probabilmente non avrà mai visto una famiglia polacca condividere in otto persone un bilocale in un kombinat fatiscente e senza riscaldamento oppure avrà visitato una fabbrica in Romania.
E' difficile che un personaggio sia dipinto come di alta statura morale e intensa sensibilità e poi sia riuscito a "vivere senza menzogna" - come auspicava Solzenycin - in un universo come quello comunista dove la menzogna ad extra e ad intra era la regola funesta...
Ma uno che ha diretto la scuola di partito e si fregia dei galloni di erede di Togliatti non si cura di questi aspetti: guarda solo alla realtà come si deduce dalle categorie del marxismo e fa quanto richiesto dalla tattica leninista; deve preoccuparsi di trovare e di dettare la linea politica giusta di fronte al maturare, sempre mutevole, della "contraddizione" dialettica, cioè d'inventare nuove formule politiche. E di questo si rivelerà del tutto capace, anche se con relativamente poco costrutto.

IL DOPOGUERRA E IL COMPROMESSO STORICO
Dopo la batosta del 18 aprile 1948 e la nascita dei blocchi, quando scoppia la guerra "fredda", il percorso del partito è tutto in salita: però già nel 1960. sbandierando un inesistente "pericolo fascista" e usando la violenza, saprà reimporsi. Il centrosinistra sposterà l'asse politico del Paese e gli creerà spazio politico; il Sessantotto sarà occasione, abilmente sfruttata, per rilanciare l'ideologia marxista e per spostare ancor più a sinistra il Paese. Il PCI si presenterà ancora come partito ideologico ma, attraverso il mito della i Resistenza come "secondo Risorgimento", stempererà il suo carattere di classe in quello di forza nazionale, co-fondatrice della Repubblica. Il "caso Moro" lo accrediterà nel 1978 come la vera architrave della Repubblica e, dopo l'uccisione, nel 1979, del sindacalista comunista Guido Rossa da parte delle Brigate Rosse, come unica forza in grado di sorreggere le istituzioni repubblicane di fronte al terrorismo.
Ma anche questa riconquistata centralità politica non è ancora il potere. Berlinguer capisce che senza i cattolici il percorso del PCI può finire come nel Cile di Allende e perciò lancia nel 1973 la parola d'ordine del "grande compromesso storico" fra partito comunista e mondo cattolico — si badi bene: non fra partito e Democrazia Cristiana, cosa ormai acquisita, almeno dalla segreteria Moro. Il crescente ruolo "istituzionale" del PCI culmina nel 1977-1979 con i governi "rossi" Andreotti-Berlinguer, dove il partito, pur esterno al governo, diviene il vero asse della bilancia della politica italiana e l'autentico governo-ombra del Paese. Nel 1979, però, con l'ascesa al soglio di Giovanni Paolo II e l'irrigidimento dei rapporti fra i blocchi, la marcia del PCI verso il governo si arresta.

IL PARTITO DEGLI ONESTI PER DEFINIZIONE
E si apre così per il PCI la fase dell' "austerità", forse quella cui più è rimasta legata la memoria di Berlinguer. Probabilmente per colpire principalmente l'astro nascente Craxi, l'unico leader che abbia tentato di mettere in discussione l'egemonia comunista nel mondo repubblicano, inizia allora nel PCI la denuncia della corruzione, del malcostume, delle mafie, del sistema tangentizio che affligge la politica italiana. Una denuncia ovviamente indirizzata solo contro gli avversar! e i comprimari politici, cercando per diametrum di accreditarsi come partito "diverso", onesto, spassionatamente dedito al progresso civile del Paese. Il che farà dimenticare le innumerevoli valigie diplomatiche con l' "oro di Mosca" ritirate presso l'ambasciata sovietica, le centinaia di tangenti affluite al partito attraverso le cooperative "rosse", le intermediazioni con i Paesi dell'Est e con Cuba, nonché i generosi contributi dei vari "miliardari rossi" del nostro Paese.
L'austerità — con il relativo blocco dell'esportazione dei capitali e l'abbuiamento precoce delle città — sarà l'ultima carta che Berlinguer cercherà di giocare per uscire dall'impasse di un partito che, nonostante l'avanzata in termini di suffragi del 1976, non riesce a sfondare sul piano politico. Dopo la "marcia dei Quarantamila" della Fiat, nell'autunno del 1980, il PCI vede altresì declinare la sua presa sul movimento operaio stesso.
Tuttavia, se il percorso verso il cambiamento politico sarà impervio e, alla fine, sterile, il cambiamento che imporrà al Paese, l'eversione delle strutture profonde della società italiana, il mutamento del "senso comune", daranno frutti di gran lunga più "lusinghieri". Divorzio, aborto, nuovo diritto di famiglia, libertà di droga, livellamento dei sessi, sovietizzazione delle istituzioni formative pubbliche, consolidamento dell'egemonia comunista sul mondo della cultura e sulla magistratura: tutti mutamenti allora ancora alcuni allo stato embrionale ma destinati a scatenare conseguenze devastanti negli anni a venire.
In conclusione, non si può non vedere in Berlinguer la quintessenza e il protagonista di un passaggio del Paese verso esiti socialisti - in senso ampio - "più avanzati". Né si può esimersi da chiamarlo in corrèo, da individuarne responsabilità decisive, in quanto "gestore" di un'autentica centrale di disarticolazione e dissoluzione di quanto di positivo esisteva del retaggio di un'Italia già duramente provata dalla Rivoluzione risorgimentale e fiaccata dalle numerose, inutili e sempre più atroci guerre cui l'élite dirigente postunitaria e fascista l'aveva chiamata.

NON POTEVA NON SAPERE
Quanto al secondo quesito, posto quanto detto, pare davvero contraddittorio che chi apparentemente vuole prendere le distanze dal vecchio dogmatismo rivoluzionario comunista oggi senta il bisogno di prestare omaggio a un soggetto che di quel vecchio dogmatismo è stato interprete, forse meno pedissequo, ma di certo pienamente coerente. Nell'ideario dei "democratici", postcomunisti e postdemocristiani, quale spazio può avere l'onesto e mesto, ma a pieno diritto tra gli ultimi "dinosauri" del comunismo, Enrico Berlinguer?
Non è mia intenzione lanciare accuse indiscriminate e scomposte. Il problema non è tanto Berlinguer come persona, cui non si può imputare direttamente alcunché d'illegale o di disonorevole: il problema è nella forza, politica e non solo politica, di cui è stato la guida assoluta per lunghi anni, così come del rapporto ira tale forza e il bene comune del Paese.
Beatificare Berlinguer significa beatificare il comunismo italiano e internazionale degli anni 1970 di cui egli è figura di spicco e alto dirigente ovunque apprezzato. Significa erigere a modello una delle peggiori stagioni della storia della nostra nazione, una pagina dolorosa e una fase maligna di una patologia antica, della quale non solo il Paese non è riuscito a liberarsi allora - e forse nemmeno oggi -, ma che negli anni berlingueriani ha conosciuto le sue crisi morbili peggiori e più devastanti.
Anche se personalmente "pulito", egli ha guidato senza tentennamenti una "gioiosa macchina da guerra " la cui azione, al di là delle apparenze umanitarie, ha in modo decisivo contribuito a de-moralizzare la nazione, spesso con prese di posizione proditorie in politica internazionale e sfiorando la contiguità con la sfera dell'illecito. Non si può dire di Berlinguer che "non sapeva": nella sua posizione nazionale e internazionale per lui vale, in forma assolutamente appropriata, il "teorema", tante volte applicato e abusivamente dalla Procura di Milano, del "non poteva non sapere" e quindi per lui si configura una oggettiva corresponsabilità in sedere - perché tale è stata la costruzione della peggior tirannia che il mondo abbia conosciuto - tutt'altro che esigua.

CHI CHIEDERA' SCUSA PER I DISASTRI DI BERLINGUER?
I nostalgici di Berlinguer - comunisti, ex comunisti, post-comunisti, "diversamente comunisti", para-comunisti, "dem" - farebbero bene, magari proprio in coincidenza con questo anniversario, a fare invece finalmente un mea culpa e a domandare perdono delle colpe storiche del comunismo, di aver desiderato d'imporre un sistema politico e sociale contro natura a un mondo che di comunismo non voleva e non vuole sapere. [...]

Nota di BastaBugie: consigliamo ancora una volta la visione del film-documentario sulle origini e caratteristiche comuni di nazismo e comunismo "The Soviet story"
http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=39

Fonte: Cultura & Identità, 22 giugno 2014

5 - LA' DOVE LA FAMIGLIA FU ABOLITA
Chi pensa che senza famiglia la società sarebbe migliore, provi a guardare l'esempio storico in cui tutti i legami familiari furono aboliti e vietati: la Cambogia di Pol Pot
Autore: Anna Bono - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 07-07-2014

La famiglia è sotto attacco. Ogni giorno si ha notizia di nuove iniziative volte a indebolirla, a screditare e intralciare chi la difende. Quando il 1° luglio il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato una mozione a sostegno della famiglia, in cui tra l'altro si impegna la giunta regionale a individuare una data per la celebrazione della Festa della Famiglia Naturale, fondata sull'unione di un uomo e di una donna, l'Arcigay ha definito la mozione "intrisa di odio" e quella per la famiglia una "festa abominevole", un "atto barbaro".

VARI MODI PER DISTRUGGERE LA FAMIGLIA
Ci sono molti modi di attaccare la famiglia: sottrarle funzioni affidandole ad altre istituzioni, dissolverla, pretendendo che tutte le forme di convivenza e unione siano "famiglia", svincolare la procreazione dal rapporto tra un uomo e una donna, renderle la vita difficile omettendo di sostenerla e imponendole degli oneri, diffamarla presentandola come un luogo di oppressione, discriminazioni e violenze, in cui si violano le libertà della persona. In questo momento nel mondo occidentale questi modi si stanno usando tutti.   

LA FAMIGLIA ABOLITA PER LEGGE
Chi è ostile alla famiglia è convinto che senza questa istituzione la vita umana, la società sarebbero migliori. In effetti non ha modo di saperlo, almeno non ricorrendo a esempi di società prive di famiglia: a differenza di altre istituzioni, create man mano che le società diventavano più complesse, la famiglia infatti nasce con l'uomo, è sempre esistita. Ma in realtà un esempio storico c'è stato che deve far riflettere, soprattutto chi vede nella famiglia un ostacolo alla piena realizzazione della persona umana e dei valori di libertà e giustizia. È successo una volta che un piccolo popolo, neanche sei milioni di anime, si sia ritrovato dalla sera alla mattina, letteralmente nell'arco di poche ore, privato della famiglia: mariti e mogli, fratelli, genitori e figli separati, costretti a vivere in insediamenti abitativi diversi, spesso distanti tra loro, con la proibizione di comunicare in qualsiasi modo e severissime punizioni alla minima trasgressione.  

FORMARE L'UOMO NUOVO (SENZA FAMIGLIA)
Si poteva essere condannati a morte per aver raggiunto un famigliare di nascosto, di notte, sfuggendo al controllo, per stare con lui qualche minuto, portargli del cibo che sempre scarseggiava. L'unica eccezione era per i bambini molto piccoli, se non erano ancora svezzati, e quando risultava conveniente per qualche motivo che fossero le loro madri ad accudirli, ad esempio se si ammalavano. La condizione però era che le mansioni necessarie non diventassero occasione di emozioni, di manifestazioni d'affetto e tenerezze. Durante le riunioni – una sorta di gruppi di autocoscienza – organizzate per accelerare la formazione dell'uomo nuovo che si voleva far nascere in sostituzione di quello contaminato da valori sbagliati, una madre colpevole di aver trasgredito, se scoperta e denunciata, doveva allora ammettere il proprio errore ("è vero, ho abbracciato per un momento la mia bambina che piangeva, l'ho cullata, l'ho baciata, le ho cantato una ninna nanna..."), dichiararsi pentita e promettere di non sbagliare più.

LA SOCIETÀ SENZA FAMIGLIA
In quella società senza famiglia, tutto si fece per annichilire le coscienze, ridurre gli uomini in uno stato di inerzia intellettuale e morale, cancellare sentimenti ed emozioni – amore, compassione, gioia, speranza, fiducia – reprimere ogni espressione di individualità. Fu persino proibito l'uso del pronome personale "io": vietato dire "io voglio", "io vado", "io penso"… in altre parole, concepirsi appunto individualmente. Il pronome possessivo "mio" non ci fu bisogno di proibirlo: nessuno possedeva più niente. In meno di cinque anni, da un quarto a oltre un terzo degli abitanti di quel paese senza famiglia morirono: di stenti, di fatica, di fame, di malattie, di torture e sevizie, spesso inflitte dai bambini e dagli adolescenti trasformati in aguzzini spietati. Molti furono giustiziati. Molti morirono di crepacuore e di disperazione.
Il bilancio dei morti oscilla tra 1,7 e 2,5 milioni, forse di più ancora: un genocidio. Il rifiuto della famiglia e, non a caso, della proprietà privata, in nome di un uomo libero, di una società giusta ed egualitaria, si era tradotto in un immenso, spaventoso attacco all'individualità, alla persona, alla vita. Il paese senza più famiglia - è superfluo dirlo - è la Cambogia dei khmer rossi, di Pol Pot, che governarono tra il 1975 e il 1979 imponendo un regime comunista totalitario, la Repubblica democratica di Kampuchea.

Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 07-07-2014

6 - COGNOME MATERNO? E' GUERRA CONTRO LA FAMIGLIA
Cosa resta ai padri, già privati della patria potestà, se togli loro anche la possibilità di dare il cognome ai figli?
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Libertà e Persona, 24 luglio 2014

«Il diavolo è nei dettagli», recita un antico adagio attribuito allo storico dell'arte tedesco Aby Warburg (1866-1929), che pare amasse ripeterlo. Il disegno di legge sulla fine all'inevitabilità del cognome del padre e sulla conseguente facoltà di scelta dei genitori circa il cognome da attribuire al figlio, che il Parlamento italiano sta affrontando non senza divisioni, apparentemente è pura quisquilia, questione di dettagli. Non solo: chi la sostiene non esita, mosso da evidente entusiasmo, a definirla emblema di progresso, doveroso passo in avanti che l'Italia, per rimediare ad un non meglio precisato ritardo culturale, deve decidersi a compiere. Parrebbe dunque assurdo anche solo pensare di opporsi ad una simile proposta.

LA LUCENTE PATINA DEI DIRITTI
Ad un esame meno superficiale e libero dalla lucente patina dei diritti, che oggi rende automaticamente inattaccabile tutto ciò che avvolge, le cose si rivelano però non solo critiche, ma addirittura inscritte in quella esiziale de-strutturazione dell'istituto familiare che il Legislatore, orientato da un clima culturale favorevole, persegue ormai con sconcertante ed implacabile ostinazione. Del resto è stato apertamente riconosciuto come la proposta depositata in Parlamento - che ne riprende altre, prima fra tutte quella francese, sbocco della «liberazione femminista e liberale» -, se approvata, avrà sicuro impatto «nell'evoluzione di una visione nuova e diversa della famiglia».
Ora, l'assunzione del cognome paterno, pur prevista dall'articolo 262 del Codice civile, non è già più prescrizione inderogabile alla luce della dichiarata non autorizzazione alla stessa in caso di pregiudizio per il minore (si pensi al caso della cattiva reputazione del padre) o allorquando «il minore» avesse già «maturato una precisa, infungibile identità individuale e sociale per il fatto di essere riconosciuto col cognome della madre nella cerchia sociale in seno alla quale è vissuto». Ma la proposta di legge delle depositata in Parlamento a firma della filosofa Michela Marzano mira ad andare oltre e non solo prevede espressamente l'accostamento del cognome materno a quello paterno, ma introduce ab origine – questo è il punto – la possibile estromissione del cognome paterno.

COSA RESTA AI PADRI?
«Cosa resta ai padri, già privati della patria potestà, se togli loro anche la possibilità di dare il cognome ai figli? Perché un uomo dovrebbe ancora contribuire alla riproduzione? Per la gioia di versare assegni di mantenimento?», ha osservato lo scrittore Camillo Langone, riflettendo sulle conseguenze di questa possibile modifica legislativa e mettendo efficacemente in luce l'effetto per nulla paritario bensì apertamente discriminatorio – ai danni del padre – che verrebbe a concretizzarsi ponendo fine all'inevitabilità dell'assegnazione cognome paterno. «La legge sul doppio cognome è una legge di civiltà ed è anche una legge banale, se posso dirlo, perché riprende leggi che ci sono in Francia, appunto, in Spagna, in Germania, in Inghilterra», ha sottolineato la sua già citata proponente.
Tuttavia il suo argomentare, pur scorrevole, risulta palesemente debole, quando non del tutto fallace. Anzitutto perché laddove vige l'osannato regime del doppio cognome esso – anche se l'on. Marzano non lo spiega – risulta spesso basato su una tradizione radicata e del tutto assente nel nostro Paese, in secondo luogo perché il disegno di legge di cui si sta trattando, lasciando massima discrezionalità alla coppia in fatto di attribuzione del cognome, non esclude la possibilità – a dir poco gravissima – che nel medesimo nucleo familiare figli degli stessi genitori possano ritrovarsi con cognomi differenti, scenario che sarebbe profondamente lesivo dell'interesse del minore, che a detta di autorevoli commentatori addirittura sarebbe da considerarsi quale «unico criterio di riferimento».
Senza dimenticare che appare retorico e approssimativo un argomentare che rimandi agli ordinamenti esteri lasciando intendere come le scelte di questi siano, ove simili, certamente buone. E se fosse la scelta del doppio cognome ad avere risvolti critici? Perché trascurare in toto l'ipotesi? E ancora: se davvero s'intende prodigarsi contro le discriminazioni ai danni delle donne italiane, non vi sarebbero altri e più urgenti fronti da considerare, primo fra tutti quello della maternità, che da un lato diviene sovente occasione d'incompatibilità col posto di lavoro e, dall'altro, la stessa legge – rendendo gratuito l'aborto senza però mettere a disposizione aiuti concreti alle donne che non vogliono abortire – sembra avversare? Con queste priorità, ben prima di qualsivoglia discettazione sull'attribuzione del cognome, sarebbe opportuno confrontarsi.

DOSSIER "IL COGNOME DEL PADRE"
Solido fondamento della famiglia

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Fonte: Libertà e Persona, 24 luglio 2014

7 - VOLTAIRE, ROUSSEAU E I MOSTRI
Che differenza tra i campioni del laicismo illuminista e la Chiesa!
Autore: Antonio Margheriti Mastino - Fonte: Il Timone, maggio 2014

La Chiesa e i "mostri": i malati teratologici. Ossia gli afflitti da gravi deformità e anomalie fisiche congenite o acquisite. Coloro che per eccellenza facevano spavento. Pure questi si è cercato di usare contro la storia della Chiesa matrigna e per magnificare invece la "società laica", pietosissima. Vediamo come stanno davvero le cose.

VOLTAIRE E L'ODIO PER GLI EBREI CHE ISPIRO' HITLER
Partiamo dal padre spirituale di laicisti e illuministi: Voltaire. Nel suo arcinoto e in realtà poco letto Dictionaire Philosophique, il gran burlone fin troppo preso sul serio si interroga su quando la medicina possa definire "mostro" un essere umano nato con delle anomalie. «Se a un uomo ben fatto mancano quattro dita dei piedi, lo chiameremo un mostro?», e generosamente ammette che la mancanza di certi organi, così come l'eccesso di dita, di altri organi o ghiandole, di per sé non costituisce "prova di mostruosità".
Poi, con fare distratto, come suo costume, getta una pietra contro la Chiesa (ne è ossessionato) e nasconde la mano. Tirando in ballo anche Locke, si domanda quale sia il "limite", nell'ottica della scienza che studia le anomalie nello sviluppo animale, la teratologia, oltre il quale più che parlare di "mostri" (ed ecco l'esca avvelenata) si possa "negare il battesimo a un neonato e respingerlo nell'animalità".
Voltaire, anche a nome di Locke, non solo non risponde alla domanda, ma rifiuta di "fissare un limite". Prendendo due piccioni con una fava: fa passare il messaggio subliminale che invece la Chiesa, crudele, quel limite lo fissa; al contempo, che egli, Voltaire, e Locke, "aprioristicamente accettano di considerare come appartenenti alla razza umana" i malformati, i focomelici, gli altri casi "mostruosi". Già! La Chiesa magari - lo leggi tra le righe volterriane - no.
In realtà, Voltaire non trova un "limite" al battesimo, e astutamente gira intorno all'ostacolo, mentendo senza mentire, perché quel "limite" non era mai esistito, non per la Chiesa almeno, che considera vita umana e anima divina qualsiasi creatura si nasconda dietro i veli amniotici del grembo materno, prima ancora di vederne il volto; anche se poi dovesse risultare mostruoso quel volto, anche se non dovesse averne alcuno.
È lo stesso Voltaire che poche pagine più in là, stavolta senza limiti, come "mostri" immondi qualificherà nell'ordine: negri, ebrei e in parte le donne. Sui neri: prima, s'intrattiene sinistramente sul loro aspetto "disumano", poi passa a sostenerne la minorità, quindi deduce debbano considerarsi bestie, e in quanto tali naturaliter schiavi; infine, va oltre e afferma che forse i negri hanno avuto origine da "abominevoli incroci" tra donne e scimmie. E tutto questo per il loro aspetto: mostruoso. Curioso che negli stessi anni in cui Voltaire scriveva queste cose, la Chiesa per mano di Benedetto XIV beatificava (e pochi anni dopo canonizzava) un frate del '500, e per giunta lo dichiarava compatrono di Palermo e patrono delle comunità negre dell'America Latina: san Benedetto il Moro. Discendente di schiavi africani, negro egli stesso.
Se per Voltaire il negro nascerebbe da abominevoli incroci tra donna e gorilla, e se dalla scimmia ha ereditato la mostruosità, l'imbecillità, invece, l'ha ereditata dalla donna, che reputa completamente incapace di intendere e volere. È lo stesso che dipinge gli ebrei come esseri immondi: si veda il suo Dictionaire, dove per decine di volte cita gli ebrei per brutalizzarli con epiteti crudeli.
Ebbene sì: il razzismo biologico fu riscoperto dagli illuministi. E Voltaire ne fu il dottore. Lui il padre dell'antisemitismo, del razzismo, il teorico della misoginia e dello schiavismo. Non meraviglia che sia anche il patriarca dei propagandisti anticattolici. Voltaire! A proposito del quale leggiamo queste affermazioni di Messori: «Chiariamo subito che l'antisemitismo biologico e razziale non ha nulla a che fare con la tradizione cristiana. Ci sono state dispute teologiche e religiose attorno alla figura dell'ebreo Gesù, sul suo essere o no il Messia, da cui è nato l'antigiudaismo. Ma le origini dell'antisemitismo violento, sfociato nelle persecuzioni di Hitler, vanno ricercate nel pensiero illuminista e darwiniano. Consideriamo la virulenza antiebraica di Voltaire: non è un caso se nelle scuole della Francia di Vichy veniva imposta la lettura di un libretto in cui erano state raccolte tutte le citazioni antisemite del filosofo dei lumi».
«Per cui non vi sono più né Ebrei né Gentili, né Greci né Romani, né padroni né schiavi, non più discriminazioni fra uomini e donne, né potenti né oppressi; tutti gli uomini sono fratelli in quanto figli di Dio» e perché «tutti siete un solo uomo in Gesù Cristo». È san Paolo. Allora all'interno della comunità cristiana, al contrario di quella greca e romana, non hanno più importanza le peculiari differenze etniche (giudeo o greco), sociali (liberi o schiavi), sessuali (uomo o donna): tutti ormai hanno lo stesso valore, identica dignità, medesima uguaglianza, quella che deriva loro dal costituire in Cristo e per Cristo il "popolo" della nuova alleanza, "erede" delle promesse fatte ad Abramo.
Possiamo ben dire che è il cristianesimo a istituire l'uguaglianza. Non il "Padre dei diritti umani", quel Voltaire che addirittura perora un ritorno all'antico, aristocratico razzismo del giudaismo e del paganesimo.

ROUSSEAU E L'ILLUSORIO MITO DEL BUON SELVAGGIO
Ma ci sarebbe anche l'altro oracolo dei laicisti, rivale di Voltaire: Rousseau, quello che sosteneva la bontà dell'uomo nato libero, selvatico, allo stato naturale, ossia la negazione più perfetta della macchia antica, il peccato originale. Ebbene, pure costui si intrattiene con gran scialo di buoni sentimenti sui "mostri", gli infelici fisicamente. Nel suo Emile ou de l'education scrive che «un padre non deve avere preferenze nella famiglia che Dio gli ha dato: tutti i suoi figli sono per lui eguali, a tutti deve la stessa tenerezza, siano essi storpi o sani, deboli robusti. Ciascuno di essi è un deposito di cui deve rendere conto alla Mano che glielo ha affidato».
Belle parole, non v'è dubbio. Ma è fumo negli occhi. Tra le righe, Rousseau lascia intendere che egli è contrario alla soppressione di bambini nati deformi, come era successo per i famigerati infanticidi di Liegi, dove si fece strage di infanti nati focomelici ossia senza gambe e braccia. Tutto questo per quanto riguarda il "padre di famiglia", perché per se stesso il buon Rousseau usa altri parametri.
Infatti, in quelle stesse pagine del trattato di pedagogia, poco dopo Rousseau consiglia ai pedagoghi di fare come lui e «rifiutare per allievo un fanciullo malaticcio e cachettico. lo, ad esempio, non vorrei interessarmi a un allievo che si preoccupa unicamente della propria conservazione fisica e di cui il corpo nuoce all'educazione dell'anima».
Ecco la differenza tra buonismo e bontà, tra teoria e pratica, tra la imperturbabile etica cattolica e le labili etiche civili: un Rousseau, padre nobile del laicismo, risolve il problema degli alunni malformati, malaticci allontanandoli dal suo domicilio, reputandoli incapaci di imparare qualcosa; un san Filippo Smaldone, pochi decenni dopo la morte di Rousseau, apre una scuola per bambini sordomuti e per giunta poveri, ritenendo pure questi capaci di imparare qualcosa.
Poco prima della nascita di Rousseau, i santi Vincenzo de' Paoli e Luisa di Marillac riempivano tutta la Francia di questi illuministi allergici alle donne, ai negri e ai bambini malaticci, di "Figlie della Carità", vale a dire di scuole, ospedali, orfanotrofi per loro, i malaticci, i deformi, i piccoli ritardati, e tutti, va da sé, poveri; ai quali anche a domicilio donavano la loro assistenza attraverso consorelle laiche addestrate alla fede cattolica, alla pietà cristiana e alla scienza infermieristica.
Come non bastasse, appena chiusi gli occhi Rousseau, li aprì san Giuseppe Benedetto Cottolengo, uno dei tanti preti destinati a patire pene inenarrabili sotto le dominazioni francesi scatenate da quella Rivoluzione Francese che a Rousseau e Voltaire s'ispirava, tanto da dover studiare in clandestinità. Fonderà quella Piccola Casa della Divina Provvidenza, destinata proprio a raccogliere i "rifiuti umani" della società e persino dei sanatori, gli inguardabili e gli inguaribili, gli errori e orrori della natura, gli scherzi e scarabocchi di Dio, per usare il quantomeno colorato (e cinico) vocabolario laico: i "mostri". I grandi deformi, gli afflitti dalle malattie più repellenti, rare e dai risvolti osceni, difficilmente tollerabili dai nostri sensi. Ai quali la pietà cattolica offrì assistenza, e riparo invalicabile dallo sguardo offensivo del mondo "civile". E illuminista.

Fonte: Il Timone, maggio 2014

8 - E' LECITO VOTARE UNA LEGGE CHE LIMITI I DANNI PROVOCATI DALLA SENTENZA CHE HA APERTO ALLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE ETEROLOGA? NO!
Sarebbe lecita solo una legge che introducesse divieti, non lo è mai una legge che per limitarne i danni accetti la fecondazione artificiale, anche se questo risparmiasse la vita a molti embrioni
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 241-07-2014

È lecito dal punto di vista morale proporre e votare una legge che limiti i danni provocati dalla sentenza della Consulta che ha aperto all'eterologa? Semplificando, a tale quesito si possono dare due possibili risposte. Da una parte abbiamo coloro che considerano lecito votare una legge che smorzi gli effetti negativi della pronuncia dei giudici asserendo che tra una situazione di maggior danno prospettata dalla Corte ed una di minor danno realizzata attraverso l'intervento del Parlamento non si può che, in stato di necessità, essere costretti ad optare per la soluzione meno lesiva. Su altro fronte vi sono invece coloro i quali negano questa possibilità asserendo che mai si può votare una legge intrinsecamente malvagia (futura legge sull'eterologa) perché il voto a questa legge è essa stessa azione malvagia e mai si può compiere il male anche volendo perseguire un fine buono come quello di limitare i danni. Bene contenere gli effetti negativi della sentenza, ma il mezzo per farlo deve essere lecito. Lo scrivente appoggia quest'ultima tesi e tenteremo per sommi capi di fondare tale scelta.

LA FECONDAZIONE ARTIFICIALE È IN OGNI CASO INTRINSECAMENTE MALVAGIA
La fecondazione artificiale, che sia omologa o eterologa, è pratica intrinsecamente malvagia. Una legge che disciplinasse questa condotta sarebbe essa stessa malvagia, anche se extrema ratio per arginare il male. C'è chi obietta argomentando così: il "votare" è azione di per sé buona o tuttalpiù neutra sotto il profilo etico. Il mio voto sarà buono o cattivo a seconda del fine preposto (finis operantis, cioè fine fissato dal soggetto): se voto la legge sull'eterologa con l'intenzione di volere questa pratica, la mia azione sarà malvagia; se invece voto questa legge con il fine di limitare i danni provocati dalla sentenza della Consulta il mio voto sarà eticamente accettabile. Non tutte le leggi sull'eterologa sono dunque malvagie, dipende dal fine per cui si vota tale legge.
Ma le cose non stanno così. Come è noto e come spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica (1750) le fonti della moralità sono l'oggetto dell'azione (alcuni autori parlano di "identità dell'azione") – cioè il "che cosa" scelgo di compiere - il fine e le circostanze. Se un'azione ha un oggetto intrinsecamente malvagio, il fine soggettivo e le circostanze in cui si svolge l'azione non ne possono cambiare la natura: rimarrà sempre un'azione malvagia. Ora il voto su una legge riceve coloritura morale dal contenuto della legge stessa, il voto diventa così dal punto di vista morale finis operis.

ESEMPI PER CAPIRE
Se ciò che disciplina la legge è conforme alla dignità dell'uomo la legge sarà buona e così anche il mio voto (a patto che anche il fine e le circostanze lo siano); se la legge per sua natura è contraria al bene dell'uomo il mio voto configurerà un'azione malvagia, seppur prestato al fine di limitare i danni.
Facciamo un esempio. "Sperimentare" è un'azione né buona né cattiva, come il "votare": è un atto materiale, un'azione neutra perché naturalisticamente intesa. Per sapere se è buona o malvagia occorre capire, tra le altre circostanze, su cosa si sperimenta. Se sperimento sugli embrioni provocandone la morte, l'azione di sperimentazione è malvagia; se sperimento sugli animali provocandone la morte l'azione sarà buona (tralasciamo in merito a quest'ultimo caso altri criteri perché l'azione possa essere considerata lecita). È il termine verso cui verte la sperimentazione – embrione o animale - che colora questo atto in senso positivo o negativo. È il termine verso cui verte il voto – legge buona o malvagia - che colora il voto delle tinte della liceità morale o della sua illiceità, perché faccio mio – seppur a malincuore in caso di leggi inique – il contenuto della legge stessa che ha già una sua valenza morale, un suo intrinseco orientamento etico.
E in merito al fine buono di contenere i danni, usiamo sempre l'esempio della sperimentazione. Un'epidemia sta mietendo milioni di morti. Posso sperimentare su una manciata di embrioni per limitare i danni e debellare così l'epidemia? No, perché non posso mai compiere un'azione di per sé malvagia anche per un fine ottimo come quello di salvare il genere umano dall'estinzione, fosse anche l'unica soluzione percorribile.

LIMITARE I DANNI? E' CONTROPRODUCENTE
C'è chi obietta: ma io non voglio far mio il contenuto malvagio della legge che non approvo - non voglio l'eterologa - bensì solo limitare i danni – voglio meno eterologa (cosiddetta azione volontaria mista). L'oggetto dell'azione scelto da me è la limitazione del danno e sopporto gli effetti negativi di questa mia scelta cioè il votare articoli malvagi. Risposta. In realtà nella dinamica dell'azione io per prima cosa ordino la mia volontà a votare una legge iniqua (oggetto dell'azione) con il fine di limitare i danni. Se davvero non volessi sposare il contenuto della legge iniqua dovrei votare contro la legge o astenermi. Facciamo un esempio. Un pazzo mi dice che ucciderà tre persone se io a mia volta non uccido una persona innocente. Non regge il seguente ragionamento: l'oggetto della mia scelta è salvare le tre persone e sopporto come effetto non voluto la morte da me provocata di una sola persona innocente. Più semplicemente invece io avrò compiuto un omicidio, atto malvagio, per un fine buono, cioè quello di limitare i danni salvando le altre tre persone. Se davvero non volessi uccidere l'innocente, dovrei astenermi dall'ucciderlo.
Altra obiezione: con la nuova legge io non provoco nessun nuovo danno, non produco un male morale, bensì lo limito solo. È un po' come se ci fosse un incendio (la sentenza della Consulta) ed io mi limito solo a contenerlo. Non ho io appiccato l'incendio, bensì la Consulta. Risposta. Vero che c'è già il danno ma con il voto alla legge sull'eterologa si configura un'azione positiva di conferma al male morale, seppur limitandone gli effetti negativi (anzi è come se buttassi benzina sul fuoco dato che gli effetti negativi giurisprudenziali riceveranno addirittura la veste formale della legge, che è ben più importante di una sentenza di un giudice).

IL N. 73 DELL'EVANGELIUM VITAE DI GIOVANNI PAOLO II
Qui occorre stare attenti al concetto di "danno" e quello di "male morale", due concetti distinti. Il danno ormai c'è già, ma se io voto la legge sull'eterologa aggiungo all'atto moralmente illecito della Consulta anche un altro atto illecito: ad una sentenza intrinsecamente malvagia sommo una legge intrinsecamente malvagia. In altri termini i giudici hanno compiuto un male morale ed io lo rinnovo, seppur limitando la portata dei danni. Un male di minor entità negli effetti, ma sempre di un atto malvagio si tratta, nuovo e distinto da quello compiuto dalla Corte Costituzionale.
Sul caso si cita spesso il n. 73 dell'Evangelium vitae di Giovanni Paolo II. Questo numero non è il lasciapassare ad un'azione iniqua se persegue il fine buono di contenere gli effetti perniciosi di una legge o sentenza già varata o inevitabile. Bensì dice che in questi frangenti dove non è possibile ottenere il risultato ottimo (abrogazione della legge malvagia, annullamento di una sentenza iniqua), l'unica azione buona possibile è solo quella volta alla limitazione del danno, ma a patto ovviamente che l'azione di limitazione sia buona.
Torniamo all'esempio di prima: se per impedire la morte di milioni di persone dovessi sacrificare la vita di un innocente, l'azione che provoca la morte dell'innocente è un'azione sì che – sul piano degli effetti - limita i danni ma è anche – sul piano morale - un'azione intrinsecamente malvagia. E l'uomo deve guardare prima al bene che all'utile. Quindi l'EV direbbe sì ad esempio ad una legge sull'eterologa, per ipotesi proposta da parlamentari cattolici, che contenga norme volte solamente alla limitazione del danno come ad esempio: "Si fa divieto di scelta del donatore, di compravendita di gameti, di doppia eterologa, etc."; non a norme del seguente tenore: "È permessa l'eterologa semplice con donatore scelto a random, tramite donazione di gameti etc".
Il risultato sul piano degli effetti sarebbe il medesimo (divieto di scelta del donatore, di compravendita di gameti, di doppia eterologa), ma non sul piano etico. Nel primo caso infatti questi effetti sarebbero ottenuti tramite un'azione lecita – legge che solamente limita i danni: oggetto dell'azione unicamente buono – nel secondo caso tramite un'azione illecita – legge che permette l'eterologa seppur con vincoli: oggetto malvagio.
Un nota bene. La rimanente parte di azioni non vietate che sopravviverebbero ai divieti posti dal legislatore cattolico – l'esistenza di un donatore per l'eterologa semplice e la donazione di gameti – non sarebbe scelta positivamente dal legislatore cattolico che ha posto solo divieti, bensì solo tollerata da costui perché impossibilitato dalla Consulta ad ottenere effetti ancor migliori. Sarebbe la Consulta ad averli voluti, non il legislatore cattolico.

NON COLLABORARE CON IL MALE
Quest'ultima considerazione ci traghetta ad un'ultima possibile obiezione: astenendoci dal votare una legge che limitasse i danni è come collaborare con la Consulta a mantenere una situazione di forte iniquità dove molto se non tutto è permesso. Risposta che parte ancora dall'esempio di prima. Il pazzo che tiene in ostaggio le tre persone e promette di ucciderle se io non avrò compiuto a mia volta l'omicidio di una persona innocente costruisce lui una condizione di iniquità che non posso far altro che non accettare e rifiutare in radice. La prima modalità di non collaborare al progetto del pazzo è quello di astenermi da qualsiasi azione malvagia. Sarà la Consulta il soggetto responsabile della situazione che si andrà a creare di maggior danno, non chi è stato costretto dagli eventi all'inattività, pena di compiere un'azione malvagia. L'uomo è chiamato sempre a fare il bene morale, non sempre a lucrare l'utile. E se in certi frangenti l'unico maggior bene possibile è quello dell'astensione da atti malvagi io non potrò che optare per questa scelta omissiva. Anche se questa mia scelta provocherà più danni, ma non imputabili a me dato che sarò stato costretto all'omissione dalle scelte inique altrui.

GIOVANNI PAOLO II E I CONSULTORI CATTOLICI TEDESCHI
Ricordiamo quale fu la posizione che tenne alla fine degli anni '90 proprio Giovanni Paolo II nella famigerata questione sui consultori cattolici tedeschi in tema di aborto. Molti di questi articolavano il seguente ragionamento: se non entriamo nella lista ufficiale dei consultori che possono accostare le donne che vogliono abortire al fine di persuaderle a tenere il bambino, lasciamo il campo ai soli consultori abortisti. Perseguendo lo scopo di limitare il danno ci iscriviamo in queste liste. Il problema stava nel fatto che se il colloquio dissuasivo non aveva avuto successo, per legge questi consultori cattolici erano obbligati come tutti a rilasciare il certificato abortivo. Il Papa chiarì che mai si può collaborare al male anche con l'intenzione di limitarne la portata malvagia. L'unica strada - dopo alcune soluzioni (fallimentari) proposte tra cui dichiarare che il certificato non aveva valore legale – era quella di non essere iscritti in quelle liste.

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 241-07-2014

9 - OMELIA XVIII DOM. DEL TEMPO ORD. - ANNO A - (Mt 14,13-21)
Voi stessi date loro da mangiare
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 3 agosto 2014)

Le folle seguirono Gesù, ed Egli sentì compassione e per loro compì uno dei suoi più strepitosi miracoli, quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci. C'è un particolare molto importante nel racconto di questa pagina del Vangelo: Gesù, per operare questo miracolo, si servì del piccolo contributo di cinque pani e due pesci. Questo è il modo di agire di Dio. Egli potrebbe far da solo, certamente; ma, nella sua bontà, Egli si vuole servire della collaborazione delle sue creature. Per sfamare le folle, Gesù disse ai discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mt 14,16). Così, con questo piccolo contributo, Egli sfamò cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
Se tutti gli uomini sapessero mettere a disposizione di Dio quello che possono dare, il mondo andrebbe certamente meglio. Non possiamo dire: è poco quello che posso offrire. Se noi daremo il poco che abbiamo, il Signore metterà il resto. In un certo senso, possiamo dire che Dio condiziona l'elargizione delle sue grazie al nostro umile e modesto contributo. Prima di tutto, Egli condiziona le grazie alla nostra preghiera, per cui, se preghiamo otterremo i favori divini; in secondo luogo, Egli vuole pure la nostra fattiva collaborazione. Pensiamo all'esempio luminoso di Madre Teresa di Calcutta: ella seppe mettere nelle mani di Dio tutto quella che era, e il Signore, servendosi di lei, compì delle meraviglie a favore di tanti poveri sventurati. Il Signore non vuole agire senza di noi. Per cui, se il mondo va male, incolpiamo noi stessi. Egli, l'Onnipotente, moltiplicherà i nostri poveri mezzi per realizzare delle grandi opere.
Dio ama servirsi di piccoli contributi, per far risaltare ancora di più la sua onnipotenza. Diversi anni fa, un giovane fece questa domanda ad un sacerdote: «Perché Dio non fa niente, quando molti muoiono di fame?». Il sacerdote, dopo aver brevemente riflettuto, diede questa bella risposta: «Il Signore ha fatto qualcosa, ha fatto te!». Questa risposta fu come un fulmine che rischiarò le tenebre della coscienza di quel giovane, il quale, da quel giorno, comprese che Dio agisce nel nostro sforzo. Di fronte a tante persone che muoiono di fame, Dio dice a ciascuno di noi: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mt 14,16). Non lasciamo mancare il nostro contributo, e Dio non lascerà mancare il suo aiuto onnipotente. Sant'Ignazio di Loyola insegnava che dobbiamo agire come se tutto dipendesse da noi, ma dobbiamo attendere il buon esito dei nostri sforzi unicamente da Dio. Comunemente si dice: "Aiutati, che il Ciel t'aiuta"; ma, se manca il nostro sforzo, non possiamo pretendere l'aiuto di Dio.
Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci ci mostra la sollecitudine di Gesù per tutti i nostri bisogni, anche quelli materiali, e la compassione del suo Cuore divino. Egli ha compassione anche di noi e ci sostiene. Confidiamo sempre nella Provvidenza, pensando che in Cielo c'è Qualcuno che si prende cura di noi. Quanto più grande sarà la nostra confidenza in Dio, tanto più sperimenteremo il suo aiuto.
Tuttavia, il miracolo del Vangelo di oggi, prima di tutto, voleva preannunciare il Mistero dell'Eucaristia. Per sfamare le anime, Gesù dice ai sacerdoti: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mt 14,16). Ripetendo il gesto dell'Ultima Cena, i sacerdoti consacrano il pane e il vino che diventano il Corpo e il Sangue di Gesù. L'Eucaristia è il Pane disceso dal Cielo, con il quale Redentore stesso è il cibo dell'anima fedele.
Nella prima lettura, per bocca del profeta Isaia, il Signore dice a ciascuno di noi: «O voi tutti assetati, venite all'acqua» (Is 55,1). Egli ci invita ad andare a Lui che è la Sorgente infinita dell'amore. Questa fonte sempre viva è Gesù nel Santissimo Sacramento dell'altare, è l'Eucaristia. Attingiamo avidamente a questa fonte e non rimaniamo mai privi di un dono così grande. L'Eucaristia è tutto l'amore di Cristo; con l'Eucaristia, Gesù ci dona tutto il suo cuore, e nulla potrà mai separarci da questo immenso amore del nostro Redentore.
San Paolo, nella seconda lettura, con parole vibranti di commozione, afferma con forza che niente potrà separarci dall'amore di Cristo (cf Rm 8,38-39). Purtroppo, tante volte siamo noi ad allontanarci ogni volta che, all'amore di Dio, preferiamo il peccato. Così facendo, con la nostra libera volontà, ci allontaniamo dalla Sorgente della vita e ci ribelliamo al nostro Creatore. Questa è la più grande disgrazia che possa capitarci. San Paolo diceva che né la tribolazione, né l'angoscia, il pericolo e la spada ci potranno separare dall'amore di Dio. In tutte queste difficoltà, noi siamo più che vincitori; solo il peccato ci distacca dal Signore e ci allontana dall'Eucaristia. Per questo motivo, i Santi lottarono energicamente contro il male, per vivere sempre uniti a Dio e per cercare unicamente la sua gloria.
Proponiamoci anche noi di accostarci spesso all'Eucaristia, di accostarci in grazia di Dio; e, se siamo consapevoli di aver peccato gravemente, confessiamoci prima di accostarci alla Comunione. In questo modo, non saremo mai separati dall'amore di Gesù.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 3 agosto 2014)

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