LE FEMEN PROFANANO A SENO NUDO NOTRE-DAME A PARIGI, MA IL GIUDICE LE ASSOLVE E CONDANNA I CUSTODI CHE LE HANNO ACCOMPAGNATE FUORI DALLA CATTEDRALE
Hanno danneggiato una campana antica, urlato slogan contro il Papa, offeso il cristianesimo (VIDEO: Femen a Notre-Dame)
Fonte: No Cristianofobia
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GRANDE ATTENZIONE ALL'ORSA DANIZA E AI SUOI CUCCIOLI, MENTRE CI SI DIMENTICA DEI CRISTIANI IN IRAQ
Aveva aggredito a Ferragosto un cercatore di funghi, ma la morte accidentale dell'orsa durante il tentativo di cattura ha scatenato reazioni sproporzionate sia nei media che tra i politici
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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IL BELLO DEL PARADISO? VEDERE DIO FACCIA A FACCIA
E' un dono della grazia, non una conquista della mente
Autore: Stefano Biavaschi - Fonte: Il Timone
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ARRIVARE A UNO STATO ISLAMICO AUTONOMO? NELLE FILIPPINE E' GIA' REALTA'
I musulmani sono il 10% della popolazione, ma fino a quando?
Fonte: No Cristianofobia
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IL COMUNE DI MILANO VIETA DI OPPORSI ALL'INGRESSO DEI CANI IN CHIESA
Come ai tempi della Rivoluzione Francese, il potere civile tenta di imporre le sue regole alla Chiesa
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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LIBERTA' RELIGIOSA E LIBERTA' DI COSCIENZA
Sembrano buoni principi, ma non lo sono
Autore: Christian De Benedetto - Fonte: Corrispondenza Romana
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LA NORMALE FEDELTA' AL QUOTIDIANO
In famiglia siamo come siamo, ma ci si vuol bene
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Tempi
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FERMIAMO L'ISLAM O I MUSULMANI CI SPAZZERANNO VIA
Gli ostaggi decapitati, i cristiani rifugiati in Kurdistan, l'islam che si diffondende nelle città europee... Una realtà che l'Occidente fa finta che non ci sia
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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OMELIA XXV DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO A - (Mt 20,1-16)
Tu sei invidioso perché io sono buono?
Fonte:
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LE FEMEN PROFANANO A SENO NUDO NOTRE-DAME A PARIGI, MA IL GIUDICE LE ASSOLVE E CONDANNA I CUSTODI CHE LE HANNO ACCOMPAGNATE FUORI DALLA CATTEDRALE
Hanno danneggiato una campana antica, urlato slogan contro il Papa, offeso il cristianesimo (VIDEO: Femen a Notre-Dame)
Fonte No Cristianofobia, 10/09/2014
È vero: sono state incredibilmente assolte! Le nove "Femen", che il 12 febbraio dell'anno scorso fecero irruzione a seno nudo nella Cattedrale di Notre-Dame, a Parigi, urlando di non voler più il Papa e prendendo a bastonate una campana ricoperta d'oro, sono state assolte. Inaudito. Ma buona parte della colpa è da attribuirsi alla pavidità dell'accusa, al fatto cioè che i rilievi mossi fossero tiepidi, flebili, quasi sommessi, all'incapacità - purtroppo alquanto diffusa in casa cattolica - di far la voce grossa e di chiamar le cose col loro nome. Lo ha confermato sul quotidiano Le Figaro Julie Graziani, portavoce dell'Unione per il bene comune, un'associazione di giovani laici cattolici. Per la quale l'ipotesi di reato è stata assolutamente mal formulata: non parlare di profanazione del luogo sacro e di vilipendio della religione, limitandosi a sollevare soltanto una questione di degrado dei beni materiali significa sbagliare totalmente il bersaglio e creare le premesse dell'assoluzione poi avutasi, distogliendo al contempo l'attenzione dalla gravità dell'accaduto.
INCITAMENTO ALL'ODIO RELIGIOSO Quali categorie giuridiche si sarebbero dovute invece attivare, per ottenere una condanna o quanto meno smascherare eventuali tentazioni cristianofobiche in aula? Innanzi tutto, l'incitamento all'odio religioso, che rappresenta una forma particolare di incitamento all'odio razziale, secondo quanto stabilito dalla legge del primo luglio 1972. Le Femen hanno dato il massimo risalto mediatico possibile al loro blitz, filmandolo, fotografandolo e diffondendolo su Internet: il reato ha assunto quindi anche l'aggravante della pubblica ingiuria. Che nessuno ha mai contestato. Viceversa la decisione assunta dal Tribunale penale di Parigi nella laica, anzi laicistica Francia non stupisce: è coerente con le premesse socio-culturali proprie di una società ultra secolarizzata e sostanzialmente rivelatasi in infinite occasioni anticristiana. Il giudice, di fronte alla debolissima linea seguita dal pubblico ministero, ha avuto ogni possibile buon gioco nel sostenere l'insostenibile, giungendo all'irrisione, ritenendo ad esempio da provare che i danni riportati dalla campana siano attribuibili ai violenti colpi inferti dalle scatenate donne, nonostante, prima del loro arrivo, il manufatto godesse di ottima salute.
SENTENZA INCREDIBILE Ma non solo [...] i sorveglianti della Cattedrale, che le accompagnarono ovviamente fuori dal luogo sacro a forza, sono stati condannati per violenze con sanzioni di 300, 500 e 1.000 euro. La loro "colpa" sarebbe quella di averle strattonate con una pressione ritenuta "eccessiva": unica "concessione" loro accordata è stata la sospensione della pena. Il significato mediatico di tutto questo, secondo Graziani, «è eloquente». E sostanzialmente inutile appare stupirsene. Meglio sarebbe ora battersi, perché finalmente anche in campo giuridico «anche i Cattolici venissero tutelati dalla legge nella libertà di culto e di coscienza contro gli estremismi carichi di odio», come quello compiuto dalle Femen a Notre-Dame. Ma, per riuscirvi, occorre dire pane al pane e vino al vino, non esercitarsi in acrobazie lessicologiche, che nulla c'entrano ed alla fine è più ciò che tacciono di ciò che affermano. La giacobina sentenza ovviamente ha scoraggiato le vittime di atti cristianofobici, sentitesi impotenti e col morale a terra. Ha stupito l'opinione pubblica ed al contempo ha ringalluzzito le responsabili della sacrilega ed oltraggiosa irruzione a compiere altre "prodezze" analoghe, stante l'immunità e l'impunibilità di cui evidentemente paiono godere nell'immaginario collettivo della Giustizia francese. Tanto da dirsi già minacciosamente pronte a fare il bis. Un ben triste epilogo. Che tuttavia poteva essere evitato o, quanto meno, arginato. Un'eventuale prossima volta (sperando e pregando che non vi sia) i Cattolici sapranno fare i Cattolici? Nota di BastaBugie: viene da pensare che se uno volesse rigare l'auto a un suo superiore, basterebbe gridare "Mai più Papa" e mostrare il seno per essere sicuri di farla franca davanti al giudice... Si può vedere il filmato con l'azione delle sex-tremiste a Notre Dame al termine di questa nota (nel seervizio si sostiene che le donne sono state "schiaffeggiate da cattolici arrabbiati", ma questo è totalmente falso e infatti niente di tutto questo si vede nel video), ma prima ecco l'inizio dell'interessante articolo di Nicoletta Tiliacos pubblicato su Il Foglio l'11 Settembre 2014 con la notizia dell'assoluzione delle Femen: Cronache di ordinaria cristianofobia. In Francia, le nove Femen che il 12 febbraio del 2013, per festeggiare la rinuncia di Benedetto XVI, avevano fatto irruzione a Notre Dame - come al solito a seno nudo, al grido ritmato di "mai più Papa!", si erano accanite a bastonate su un'antica campana coperta di lamina d'oro, esposta in occasione degli ottocentocinquant'anni della cattedrale - sono state assolte ieri dal Tribunale penale di Parigi. In compenso, i guardiani della cattedrale che avevano tentato di fermarle sono stati condannati a varie ammende, dai trecento ai mille euro, perché avrebbero usato modi troppo spicci. Comprensibile la soddisfazione delle Femen, la cui leader, Inna Shevchenko, ha cinguettato: "Cari cattolici, cara Notre Dame, caro Dio, Femen ha vinto il processo. Il tentativo di ottenere la protezione dello stato per la vostra falsa moralità è fallito".
https://www.youtube.com/watch?v=Mh2HD8wZmZk
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Fonte: No Cristianofobia, 10/09/2014
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GRANDE ATTENZIONE ALL'ORSA DANIZA E AI SUOI CUCCIOLI, MENTRE CI SI DIMENTICA DEI CRISTIANI IN IRAQ
Aveva aggredito a Ferragosto un cercatore di funghi, ma la morte accidentale dell'orsa durante il tentativo di cattura ha scatenato reazioni sproporzionate sia nei media che tra i politici
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13/09/2014
Il ministro dell'Ambiente promette un'inchiesta, il Corpo forestale dello Stato l'ha già avviata ipotizzando i reati di maltrattamento degli animali e uccisione dell'animale senza motivi reali. E ancora: associazioni ambientaliste sul piede di guerra, interrogazioni parlamentari, deputati sull'orlo di una crisi di nervi, richieste di dimissioni per ministro dell'Ambiente e per il presidente della provincia di Trento; e poi, ovviamente, la mobilitazione della Rete, che trasuda indignazione: dopo l'hashtag iostoconDaniza ecco il seguito giustiziaperdaniza. Insomma la morte dell'orsa Daniza sulle montagne del Trentino è diventata uno psicodramma nazionale: per molte ore è stata la prima notizia dei quotidiani online, ha guadagnato i titoli di testa dei tg serali e ieri era sulle prime pagine di tutti i giornali.
RICORDIAMO I FATTI A Ferragosto nei boschi intorno Pinzolo, un cercatore di funghi, Daniele Maturi, si imbatte nell'orsa e i suoi due cuccioli. L'orsa, forse per proteggere i cuccioli da una presunta minaccia aggredisce e ferisce l'uomo. Da lì l'ordinanza della Provincia per catturare l'orsa e portarla in una riserva, per evitare altri contatti pericolosi con il genere umano. La caccia dura quasi un mese finché tre giorni fa l'orsa viene avvistata e, secondo la prassi, scatta la cattura sparando un narcotico. Ma l'animale, per motivi non appurati, non sopravvive all'anestesia. Un incidente, nessuno voleva uccidere l'orsa, ma la sua pericolosità era oggettiva. Le guardie hanno ritrovato le sue tracce perché negli ultimi giorni aveva attaccato e sbranato diverse pecore e si è sfiorato un altro dramma quando un boscaiolo di Borzago si è trovato a tu per tu con l'orso che usciva da un ovile dove aveva appena fatto fuori otto pecore. Fortunatamente l'uomo in questo caso è riuscito a scappare in tempo.
ANIMALISMO SELETTIVO Ma tutto questo non conta per gli animalisti, la colpa è degli uomini che stanno dove non dovrebbero stare - come ha scritto in uno sconcertante editoriale su Avvenire Ferdinando Camon -, anche se sono le città e i paesi dove vivono da generazioni. Ma siccome nelle montagne bisogna far tornare orsi, lupi e quant'altro è l'uomo che deve sloggiare, perché evidentemente è ospite indesiderato del Creato. Il problema posto dal ripopolamento di orsi e lupi, e l'ideologia di cui è figlio lo abbiamo già affrontato nelle settimane scorse, ed è anche doveroso notare che questo animalismo è anche selettivo: pecore, capre e asini (altre grandi vittime dei plantigradi che scorrazzano per il Trentino) pur essendo animali evidentemente non valgono quanto gli orsi, forse perché sono il mezzo di sostentamento dei pastori e dei montanari.
LA VIOLENZA DEGLI ANIMALISTI Ma oltre a questo, ciò che nell'occasione dovrebbe scandalizzare è la reazione sproporzionata a quello che è un incidente. Ripetiamo: non c'era la volontà di uccidere l'orsa, ma le autorità locali - giustamente - insieme all'orsa e ai suoi due cuccioli volevano salvare anche gli abitanti della zona (se non altro perché alle prossime elezioni sono loro a votare e non gli orsi). Da notare peraltro che in quei boschi ci vanno anche le famigliole a fare passeggiate, cosa direbbe Camon se un orso aggredisse un bambino? Ma passi per gli animalisti, la cui violenza è ben nota e anche questa volta non si sono smentiti: Maturi, il cercatore di funghi, ha detto di non voler più parlare della vicenda perché sta ricevendo da settimane insulti e minacce di morte, e questo ancor prima che l'orsa morisse, solo perché l'essere stato vittima dell'aggressione avrebbe condannato l'orsa a vivere in un'area più lontana dai centri abitati. Una follia, ma agli animalisti ci siamo abituati.
CI STIAMO DISTRUGGENDO DA SOLI Incredibile è invece il rilievo dato dai giornali e dai politici alla notizia della morte, degno dello scoppio di una guerra mondiale. Una sproporzione ancora più evidente se facciamo un paragone, tanto per fare un esempio di questi tempi, con lo spazio e il rilievo dato alle decine di migliaia di cristiani perseguitati in Iraq, alle centinaia di donne rapite per farle schiave sessuali dei fondamentalisti islamici, e così via. O anche ai 190mila morti della guerra in Siria. I vescovi cattolici iracheni continuano a lanciare appelli per cercare di tenere viva l'attenzione sul dramma dei cristiani che si vuol fare finta di non vedere. In Parlamento non c'è stata alcuna agitazione né richiesta di dimissioni dei ministri competenti, come invece accaduto per l'orsa. Manca solo qualche prete o vescovo che organizzi una preghiera di riparazione per la morte dell'orsa, ma – visto l'editoriale di Avvenire - temiamo che dovremo vedere anche questo, insieme alle spille con la foto dell'orsa e la scritta "Siamo tutti Daniza". È anche da questi segnali che appare chiaro che non abbiamo bisogno di alcun nemico esterno per far scomparire la nostra civiltà. Stiamo già facendo benissimo tutto da soli.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13/09/2014
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IL BELLO DEL PARADISO? VEDERE DIO FACCIA A FACCIA
E' un dono della grazia, non una conquista della mente
Autore: Stefano Biavaschi - Fonte: Il Timone, Luglio-Agosto 2014
In che cosa consiste la visione beatifica? Nella condizione di beatitudine promessa dal Vangelo in che misura potremo contemplare Dio? Nella Prima Lettera ai Corinzi San Paolo scrive che, una volta redenti ed entrati nella gloria di Dio, potremo contemplarlo «faccia a faccia» (1Cor 13,12). Dinanzi a questa fortissima affermazione, nei secoli si sono sviluppate due correnti: i Padri delle Chiese orientali tendevano a negare la possibilità che si potesse vedere Dio in modo perfetto, in quanto la perfezione è solo di Dio, e solo le Persone divine, nella loro infinitudine, potevano conoscersi totalmente. In particolare, Crisostomo affermava che neppure gli spiriti celesti più alti, ossia neppure i Cherubini e i Serafini, possono vedere Dio così com'è, e Dionigi l'Areopagita nel suo De Divinis Nominibus sosteneva che Dio non è oggetto di conoscenza, in quanto superava ogni conoscenza, e in altri scritti parlava perfino di «tenebre che coprono Dio», da lui denominate «sovrabbondanza di luce», che «oscurano ogni lume e si nascondono a ogni conoscenza»: perciò, secondo lui nessun intelletto creato potrà vedere Dio nella sua essenza, perché «Dio rimane invisibile per l'eccesso del suo splendore». Questa posizione era in linea con la spiritualità bizantina, che ha sempre sottolineato l'aspetto dell'assoluta trascendenza di Dio rispetto all'uomo.
LA VISIONE PERFETTA Nelle Chiese occidentali, invece, e in particolare nella Chiesa di Roma, prevalse la tesi secondo la quale all'uomo, tramite la grazia santificante, viene concessa la possibilità di una visione perfetta una volta raggiunta la condizione di beatitudine, così come uno specchio è in grado di riflettere per intero la luce del sole pur non identificandosi con esso. Nel Medio Evo, grazie anche al contributo di teologi mistici, prevalse questa seconda posizione, tanto che già nel 1241 e nel 1244 la Chiesa sconfessò la tesi della "visione imperfetta". Questo provocò un lungo dibattito che si concluse con la presa di posizione ufficiale e definitiva di Benedetto XII, che pose fine alla controversia sulla visione beatifica, promulgando il 29 gennaio 1336 la costituzione Benedictus Deus, nella quale sancisce, sotto forma di articolo di fede, che i giusti che salgono al Cielo contemplano l'Essenza divina con una visione intuitiva e diretta, in una beatitudine che continua nell'eternità. Del resto, già l'apostolo Giovanni nella sua Prima Lettera, aveva scritto: «Saremo simili a Lui, poiché lo vedremo come egli è» (3,2-3), confermando quel «vedremo faccia a faccia» con cui San Paolo introduceva il suo «conoscerò perfettamente» (1 Cor 13,12).
IL DUALISMO ARTIFICIOSO MENTE/CUORE A quel punto si aprì perfino la strada a quanti sostenevano la possibilità di accesso alla visione beatifica già ai santi sulla terra. Ma il dibattito teologico su questo punto si era già confrontato e ne erano nate posizioni divergenti: gli agostiniani, per esempio, sostenevano la possibilità della contemplazione beatifica perfetta solo "in patria" e non "in via", cioè solo con l'ingresso dell'anima nel Paradiso, e pertanto successivamente alla morte. Anche San Bernardo di Chiaravalle riteneva fosse impossibile la "visio facialis" di san Paolo durante la vita, e sosteneva che questa fosse possibile nella condizione ultraterrena solo grazie all'amore perfetto che fondeva creatura e Creatore pur nella loro distinzione. Questo stesso amore, secondo la spiritualità francescana (San Bonaventura, Duns Scoto...) rendeva possibile sulla terra questa anticipazione della "visio beatifica", mentre per i domenicani (San Alberto Magno, San Tommaso d'Aquino...) era l'intelletto, e non il cuore, lo strumento per accedere alla contemplazione di Dio. In realtà si trattava di un dualismo artificioso, perché il dualismo mente/cuore si risolve appunto nello stato di grazia che apporta una condizione unificante delle varie capacità umane.
UN DONO DELLA GRAZIA, NON UNA CONQUISTA DELLA MENTE A tal proposito San Tommaso aveva introdotto il concetto di "lumen gloriae", una condizione speciale della grazia santificante che permetteva a Dio di ampliare all'infinito la capacità conoscitiva degli esseri umani così come degli angeli. Nonostante questa centralità conferita alla grazia, la tentazione di considerare possibile l'accesso alle conoscenze più alte tramite un itinerario filosofico dell'intelletto riaffiorò nel corso dei secoli, ma la posizione dell'ortodossia cattolica fu sempre quella di ritenere la "visio beatifica" un dono della grazia, e non una conquista della mente, sebbene quest'ultima dovesse ovviamente essere ben predisposta ed allineata con il cuore. Evitato il pericolo dello gnosticismo (possibilità di raggiungere la conoscenza divina con le proprie forze), la teologia evitò anche quello del panteismo, che sotto l'influsso pressante delle religioni dell'Oriente pretendeva di far coincidere la visione beatifica con l'assoluta identificazione tra Dio e creatura. La dottrina del "lumen gloriae", del resto, aveva spiegato chiaramente che la fusione non portava all'identificazione, ma che, nello stato di gloria, Dio vede se stesso nell'Anima che lo rispecchia, riempiendo con la sua presenza il vuoto che l'anima ha fatto in sé.
Fonte: Il Timone, Luglio-Agosto 2014
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ARRIVARE A UNO STATO ISLAMICO AUTONOMO? NELLE FILIPPINE E' GIA' REALTA'
I musulmani sono il 10% della popolazione, ma fino a quando?
Fonte No Cristianofobia, 10/09/2014
Vi sono diversi modi, per giungere ad imporre l'islam nel mondo. V'è il percorso "soft", diplomatico, quello a lungo termine, attuato ad esempio in Europa, frutto di tanta diplomazia e di una buona dose di pazienza, estendendo lentamente, ma incessantemente il proprio ambito d'influenza economica, politica e culturale in casa d'altri, facendola sempre più da padroni. V'è poi il percorso più drastico, quello a breve termine, che lascia la parola alle armi, come in Iraq, Siria e Nigeria. V'è anche il percorso più subdolo, quello a medio termine, affidato alla guerriglia dei terroristi, degli attentatori e dei kamikaze. Ma v'è anche un quarto percorso, quello della politica internazionale: lo si sta sperimentando nelle Filippine. Cosa vi accade?
LA RICETTA PER ARRIVARE A UNO STATO ISLAMICO AUTONOMO La ricetta è semplice: si inizia col provocare scontri, meglio se sanguinari. Si procede così per oltre quarant'anni, lasciando sul terreno migliaia di vittime: nel caso in esame, almeno 120 mila. Si fanno fallire i diversi tentativi di negoziato col governo, sino a condurre all'esasperazione i vertici dello Stato. E qui si gioca il jolly.Che, nello specifico, porta il nome del Presidente in carica, Benigno Aquino III, talmente provato dai disordini da chiedere che, per legge, si riconosca ai musulmani, che han messo a ferro e fuoco la regione meridionale del Paese, una sorta di autogoverno, ritenuto l'unica arma per por fine all'ecatombe in corso. Senza tener conto del rischio implicito nel regalare, in pratica, questi territori alla sharia, abbandonandoli ad essa, senza speranza di ripensamento... Le prime crepe nella tenuta morale delle istituzioni si registrarono già lo scorso 27 marzo, quando venne siglato un accordo di pace con i rappresentanti del sedicente Milf-Fronte islamico di Liberazione Moro. Tale accordo prevedeva la costituzione di un'entità politica denominata Bangsamoro nella regione autonoma sull'isola di Mindanao, ove già risiede la maggior parte dei 10 milioni di musulmani filippini, chiamati moros dagli Spagnoli nel XVI secolo. Tale decisione avrebbe dovuto essere ratificata l'anno prossimo da un apposito referendum. Ma ora questo nuovo balzo in avanti rischia di affrettare i tempi e di far precipitare le cose.
IPOCRISIA E IMPOTENZA Cosa accadrebbe, se dovesse passare la proposta? Innanzi tutto, si creerebbe una pericolosa enclave musulmana, retta dalla sharia: sulla carta dovrebbe essere adottata soltanto nel codice civile, ma anche chi fosse digiuno in materia sa ormai che la legge islamica non è a compartimenti stagni e che, quando la si prende, la si prende tutta intera. Tale distinzione giuridica tra civile e penale appare quindi ridicola, da intendersi in senso puramente formale, per tener buone le coscienze, ma senza concrete possibilità di successo. Non solo: Bangsamoro avrebbe un proprio bilancio. Avrebbe proprie forze di polizia, ovviamente e rigorosamente islamiche. Avrebbe anche una propria amministrazione, benché provvisoria: dovrebbe, dicasi dovrebbe restare in carica fino al 2016, quando sono previste le prime elezioni del nuovo Stato nello Stato. Tutto questo, chiedendo in cambio solo che i ribelli smettano di fare i ribelli e consegnino le loro armi: già questo evidenzia una sostanziale sconfitta, una inappellabile resa delle forze politiche e militari del Paese. Ma chiamarli "ribelli" è già alquanto riduttivo e rappresenta una forte concessione: stiamo parlando di oltre 10 mila combattenti ovvero del più grande gruppo armato dell'Asia sudorientale. Un po' troppo per pensare ad un manipolo spontaneo di teste calde, ci si trova di fronte in realtà ad un vero e proprio esercito irregolare.
POLITICA FALLIMENTARE Già l'accordo di pace dello scorso marzo non venne firmato da due gruppi definiti "minori", il Fronte nazionale di Liberazione Moro ed i Combattenti per la libertà islamica di Bangsamoro, che han proseguito coi propri attacchi, mostrando così la fragilità e la debolezza di concessioni disattese prima ancora di entrare in vigore. Concessioni, ritenute potenzialmente incostituzionali ed ampiamente criticate per questo stesso motivo dai media filippini come il Manila Standard ed il Philippine Star, i cui lettori han risposto ad un sondaggio di non ritenere che l'intesa possa por fine alle violenze a Mindanao. Ora l'ipotesi di regolar tutto per legge complica ancor di più le cose. Il Presidente Aquino ha fretta: vuole che la convenzione entri in vigore prima della fine del suo mandato, che scadrà nel giugno 2016. Ma la stampa ritiene che, dietro queste mosse, vi siano forti pressioni dagli Stati Uniti, convinti di poter trovare nel Bangsamoro musulmano un alleato più disponibile di Manila: se ciò fosse vero, si tratterebbe dell'ennesima, vana illusione, destinata a scontrarsi con la realtà dei fatti, come la fallimentare politica estera seguita negli ultimi anni dalla Casa Bianca ha ampiamente dimostrato, specie relativamente alla geopolitica islamica. Di certo v'è che, ad oggi, nelle Filippine il 10% della popolazione è musulmano ed il 90% cristiano. Ma, se fosse davvero formalizzata questa prima enclave musulmana, sarebbe legittimo chiedersi: fino a quando?
Fonte: No Cristianofobia, 10/09/2014
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IL COMUNE DI MILANO VIETA DI OPPORSI ALL'INGRESSO DEI CANI IN CHIESA
Come ai tempi della Rivoluzione Francese, il potere civile tenta di imporre le sue regole alla Chiesa
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14/09/2014
Morire per Daniza? Non proprio, ma sull’onda dell’emozione per l’orsa trentina uccisa con una dose eccessiva di narcotico, i comuni stanno approvando regolamenti che ci faranno fare una vita da cani. Milano, come sempre, anticipa i tempi e impone di far entrare gli amici a quattro zampe in chiesa.
MILANO FA DA APRIPISTA Mentre a Trento un centinaio di animalisti protestava in piazza chiedendo le dimissioni del presidente, del vicepresidente e dell’assessore all’Ambiente della Provincia Autonoma, a Roma gli attivisti bloccavano un’arteria stradale, pronti a bissare l’esperienza di lunedì e a Milano il Comune (di sinistra) anticipava i tempi rendendo nota la bozza del nuovo regolamento per la tutela degli animali. Contiene misure draconiane per dare più di spazio agli animali, togliendolo agli uomini. Se gli attivisti verdi ritengono che i boschi siano terre da orsi e lupi e l’uomo non ci debba entrare (questo era il leit motiv dominante delle proteste contro la cattura di Daniza) in città, invece, gli stessi attivisti vorrebbero far entrare gli animali dappertutto, anche nelle chiese, appunto, indipendentemente dal parere del parroco. Perché nel regolamento leggiamo proprio che i gestori di “luoghi di pubblico accesso”, d’ora in avanti, non potranno respingere il miglior amico dell’uomo all’ingresso. E fra questi luoghi di pubblico accesso figurano anche i “luoghi di culto”.
LA REAZIONE DELLA CURIA La reazione della Curia milanese è stata molto blanda. Infatti, di fronte a un provvedimento senza precedenti come questo, si limita a dichiarare: «Abbiamo fiducia nel buon senso e nell’educazione di chi entra in parrocchia». In pratica, si spera che siano i fedeli a non far entrare cani che abbaiano o fanno i loro bisogni durante una funzione religiosa. La bozza di regolamento specifica che in Chiesa possono entrare solo i cani di piccola taglia e “non aggressivi”. Ma ci sarebbe molto da discutere sul fatto che i cani di piccola taglia, come chihuahua e yorkshire, siano più disciplinati e meno rumorosi delle razze più grandi. Finora, tra l’altro, il divieto o il permesso di portare animali da compagnia in chiesa era affidato al buon senso dei parroci. Alcune chiese milanesi, come San Simpliciano o San Lorenzo, sono caratterizzate da una maggiore tolleranza e i fedeli portano già i loro amici pelosi con sé. In altre chiese, per altro molto importanti, come Sant’Ambrogio e San Babila, i cani non sono i benvenuti. Di fatto, la materia è già regolata dal buon senso di parroci e fedeli. Ciò che fa la differenza, in questo caso, sarà l’esistenza di un regolamento comunale che impone, non solo suggerisce, la non-discriminazione dei cani in luoghi di culto, che sono extraterritoriali e non appartengono né al comune, né allo Stato. Questa bozza di regolamento sarà sottoposta al voto in Consiglio comunale in ottobre e per la Messa di Natale del prossimo 25 dicembre, potremmo già assistere a una funzione per umani e non.
UN CONFINE IMPORTANTE Senza voler ricorrere al ragionamento del piano inclinato, possiamo dire che il Comune, con questa proposta, ha già sfondato un confine importante. Di fatto, come ai tempi della Rivoluzione Francese, un funzionario municipale, protetto dalla forza pubblica, può forzare l’ingresso di un luogo di culto e imporre una sua regola. Oggi pochi notano questa intrusione, perché la regola in questione riguarda i cani, che tanti amano anche più degli esseri umani. Ma in base allo stesso principio, a questo punto, il comune potrebbe benissimo imporre alle chiese di cambiare liturgia? Di ammettere alla comunione i divorziati risposati, sempre in base al principio di non-esclusione? Può imporre al prete di sposare due omosessuali, nel nome della non-discriminazione? Forse in Curia non se ne sono accorti, ma in questo modo hanno fatto entrare la forza pubblica dalla porta principale delle chiese e difficilmente riusciranno a farla uscire di nuovo. E stiamo parlando della Chiesa cattolica, dove le regole sono decisamente più tolleranti rispetto ad altre religioni. Cosa succederebbe se il Comune imponesse di non escludere i cani da una moschea, dal momento che i musulmani li considerano animali impuri? D’altra parte questa è proprio la stessa giunta del sindaco Pisapia che ha promesso di costruire la grande moschea, in occasione dell’Expo 2015. Anche quella è un luogo di culto, avrà il coraggio di trattare tutti i siti religiosi allo stesso modo?
LA BOZZA DEL NUOVO REGOLAMENTO La regola dei cani in chiesa, rischia di passare in secondo piano e sotto tono a causa degli altri divieti previsti nella bozza del nuovo regolamento. Perché, fra i luoghi pubblici, sarà vietato escludere i cani, non solo dai centri sportivi, ma neppure, all’interno di essi, dal bordo delle piscine. Noi umani siamo obbligati a farci la doccia e a indossare una cuffia pulita per l’occasione, ma un cane può passeggiare a bordo piscina e nessuno può garantire che non sia sporco o non abbia le pulci. I circhi con animali saranno banditi, con buona pace per chi ci lavora da una vita. I petardi e i fuochi d’artifici saranno vietati per non dar fastidio alle sensibili orecchie di cani e gatti: il capodanno tradizionali lo si dovrà festeggiare ben lontano dai concittadini pelosi, fuori città. I ristoratori non potranno legare le chele delle aragoste e non le potranno tenere in ghiacciaia. I loro clienti, in compenso, potranno essere beccati dalle stesse aragoste, con le chele non legate. I pesci sono considerati “animali sociali” (esiste una “società” dei pesci?) e devono essere tenuti almeno in coppia negli acquari regolamentari. Queste sono solo alcune delle misure che i milanesi si stanno auto-imponendo, tramite una giunta ecologista liberamente votata. Una giunta che intende costituire, entro il 2015, anche un cimitero apposito per animali. La filosofia che è alla base del tutto si legge in capo alla bozza del regolamento comunale. È interessante leggerla con attenzione: «anche gli animali non umani, in quanto esseri senzienti, coscienti e sensibili, hanno uguali diritti alla vita, alla libertà, al rispetto, al benessere, ed alla non discriminazione nell'ambito della specie». In pratica, riconoscendo loro una “coscienza”, si pongono sullo stesso piano degli “animali umani”.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14/09/2014
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LIBERTA' RELIGIOSA E LIBERTA' DI COSCIENZA
Sembrano buoni principi, ma non lo sono
Autore: Christian De Benedetto - Fonte: Corrispondenza Romana, 10/09/2014
Negli ambienti cattolici, a cominciare, è triste a dirlo, dalle stesse gerarchie ecclesiastiche, regna una grande incapacità di cogliere il duplice attacco in corso contro l'Occidente, fatto oggetto di mire di conquista da parte dell'Islam e roso interiormente dal cancro relativista. Anche in questi giorni di tremende persecuzioni a danno dei cristiani ad opera del neo-costituito Califfato siro-irakeno, i Pastori della Chiesa, salvo rare eccezioni, si sono purtroppo segnalati per debolezza, inadeguatezza, timidezza. E quando hanno parlato, non hanno saputo uscire da un equivoco concetto di libertà, intesa secondo la dottrina liberale.
LA LIBERTÀ RELIGIOSA PERMETTE L'ISLAMIZZAZIONE DELL'EUROPA Hanno invocato il diritto alla libertà religiosa, lo stesso che consente ai musulmani di impiantare moschee in tutta Europa e di procedere indisturbati alla islamizzazione delle antiche nazioni cristiane. Si è completamente perso il riferimento ad un orizzonte oggettivo di valori, per il quale si possa affermare una sola religione come vera e i diritti dei cristiani e della Chiesa si debbano fondare su questa verità e non sull'istanza relativista e soggettivista dell'ideologia liberale. Se neppure i Pastori rivendicano più la verità esclusiva della religione cattolica e la libertas Ecclesiae quale diritto divino denunciando la violenza islamica come espressione di una falsa religione, si deve amaramente constatare il trionfo dell'ideologia relativista sin dentro i Sacri Palazzi. Si deve cioè riconoscere che la stessa Chiesa cattolica, nel suo aspetto umano e contingente, è attrice e vittima al medesimo tempo di quel circolo vizioso di cui sopra. E qui si aprirebbe il campo vastissimo di studi sul Concilio Vaticano II, la sua ricezione, la sua ermeneutica. È il tema della libertà religiosa del decreto Dignitatis humanae, se sia la liberale libertà di religione accolta nelle legislazioni occidentali contemporanee ed elevata a diritto umano dalle Carte internazionali, oppure la razionale e cattolica libertà della religione. Si dovrebbe poi precisare cosa si intenda per religione, se una soggettiva credenza oppure la virtù omonima. Se l'esercizio della religione sia un diritto in virtù della libertà liberale dell'autodeterminazione soggettiva, oppure perché prima di tutto dovere di giustizia verso Dio. Quasi sempre l'impressione che si ricava dalle dichiarazioni dei Pastori è la loro adesione al paradigma liberale e tutto ciò non fa che imprigionare ancor più la Chiesa e, con essa, quella che fu la Cristianità, nel mortifero circolo vizioso tra totalitarismo islamico e relativismo liberale.
L'OBIEZIONE DI COSCIENZA NON OSTACOLA LE LEGISLAZIONI ABORTISTE, EUTANASICHE, OMOSESSUALISTE Analoga è la risposta cattolica alla dissoluzione interna dell'Occidente visibile nell'imporsi dell'ideologia gender, nella teorizzazione del transumano, nelle legislazioni abortiste, eutanasiche, omosessualiste. Si invoca il «diritto all'obiezione di coscienza» ovvero si fonda la propria risposta, la propria opposizione sul principio liberale di «libertà di coscienza». Così la risposta del mondo cattolico alla dissoluzione è essa stessa interna alla ideologia della dissoluzione: ci si oppone all'esito radicale (coerente) dell'ideologia liberale in nome di quei principi liberali (es. libertà di coscienza, libertà di religione, etc.) che sono alla radice della dissoluzione stessa. Il concetto di «libertà di coscienza», da cui deriva quello di «obiezione di coscienza», appare strutturale tanto nel linguaggio dei Pastori quanto nella così detta cultura cattolica. Potremmo anche dire che è principio cardine! Ciò ai più, cattolici compresi, apparirà a-problematico, anzi scontato.
IL "DOGMA" DELLA LIBERTÀ DI COSCIENZA Tuttavia ci permettiamo, con il massimo rispetto per le nobili intenzioni di tutti, di dubitare, di vagliare criticamente ciò che sembra, ormai, indubitabile e incontestabile: il dogma della libertà di coscienza! È ben vero che la coscienza nel caso concreto è per l'agente morale norma ultima benché non suprema, e che è doveroso seguire la propria coscienza anche quando invincibilmente erronea (e solo quando lo è invincibilmente), ma tutto ciò è ben lontano dal fondare il moderno principio della libertà di coscienza. Ciò per almeno tre ragioni che oppongono per contraddizione la verità classico-cristiana all'idea moderna in tema di coscienza: 1) La coscienza come giudizio della ragione pratica sulla bontà o colpevolezza di un'azione, giudizio come applicazione della legge morale al caso concreto, e non come facoltà o autocoscienza; 2) La funzione conoscitivo-applicativa e non creativa della coscienza; 3) La coscienza come norma prossima della moralità personale e non come norma oggettiva e universale della moralità che deve, invece, informare di sé l'ordinamento giuridico.
INDEBITO PASSAGGIO DAL PIANO SOGGETTIVO A QUELLO OGGETTIVO Quando si invoca «il diritto alla libertà di coscienza» si compie un indebito passaggio dal piano soggettivo a quello oggettivo, dal foro interno al foro esterno o pubblico. La coscienza ha la capacità di errare contrapponendosi oggettivamente alla giustizia, ma non ne ha il diritto, tutt'al più, se invincibilmente erronea, l'agente morale non sarà moralmente imputabile (lo sarà però eventualmente giuridicamente) per il male scelto. Ancor meno il giudizio di coscienza può pretendere di porsi come norma superiore, in sede di foro pubblico, alla norma giuridica. E vero, piuttosto, il contrario: è la coscienza a dover giudicare conformemente alla norma giuridica la quale deve essere, per essere veramente norma giuridica, conforme alla norma universale e oggettiva della moralità data dalla legge divina, naturale e positiva. È la legge positiva, ogni singola legge positiva, a dover essere conforme alla legge divina, al diritto naturale e quando ciò non è, il cittadino non è tenuto all'obbedienza per il semplice fatto che quel testo normativo non è né può essere legge ed è propriamente un comando illegittimo e tirannico. Qui non si tratta di obiezione di coscienza ma, piuttosto, obiezione della coscienza ad un comando ingiusto. Non sarà invocato il «diritto all'obiezione di coscienza» fondato sulla «libertà di coscienza», piuttosto sarà denunciata l'ingiustizia della norma e il suo non essere legge, ne sarà pretesa la cancellazione e si riconoscerà come doverosa la resistenza (anche occulta) ad essa. Se la modernità suggerisce un diritto del singolo a non applicare una norma positiva quando giudicata soggettivamente in contrasto con i convincimenti personali in nome della «libertà di coscienza», il pensiero classico-cristiano insegna la necessaria conformità del diritto positivo al diritto naturale, il dovere per il singolo di conformarsi alla legge e il non essere legge di quegli ordini emanati dall'autorità politica in contrasto col diritto naturale.
IL DIRITTO NATURALE, QUESTO SCONOSCIUTO La cultura cattolica odierna opta decisamente per la suggestione moderna tanto che è sempre più raro un riferimento al diritto naturale, così come è assente il tema dei criteri di legittimità delle leggi positive. Il richiamo ai "diritti umani" e alla "norma internazionale" non ovvia alla mancanza, anzi conferma l'opzione, visto che i diritti umani sanciti dalle Dichiarazioni e Convenzioni internazionali poco o nulla hanno a che fare con i diritti naturali dell'uomo e sono piuttosto espressione coerente (nell'errore) del razionalismo giuridico. Ciò significa accettare acriticamente il giuspositivismo dominante e il relativo indifferentismo etico finendo per sostenere proprio ciò che rende possibile quanto si dice di voler combattere. Non è, infatti, senza gravi conseguenze una simile opzione, aggravata dalla rivendicata «libertà di coscienza» che "bilancia" l'assoluta arbitrarietà etica del diritto con una altrettanto arbitraria volontà soggettiva dei singoli. Oggi, in campo cattolico, si discute del diritto all'obiezione di coscienza di fronte ad insegnamenti ideologici impartiti a scuola e si fa così della libertà di coscienza il principio su cui fondare la lotta contro l'indottrinamento LGBT. Si invoca, ad es., il diritto dei genitori ad educare secondo le proprie convinzioni magari, facendo obiezione di coscienza quando queste non siano rispecchiate nell'insegnamento scolastico. Facciamo ora un esempio: ipotizziamo una scuola dove l'insegnamento sia conforme al buon senso e alla retta ragione, dove la morale sia insegnata avendo la legge naturale per bussola e una coppia di genitori seguaci dell'ideologia gender.
IL DIRITTO ALL'AUTODETERMINAZIONE PORTA AL DISASTRO Coerentemente i sostenitori della libertà di coscienza dovrebbero riconoscere ai genitori il diritto di fare obiezione di coscienza contro la verità e il complementare diritto di indottrinare il figlio secondo l'ideologia LGBT. Il problema, come si vede, è la conformità a verità e bene della legge come dell'insegnamento, non la libertà di coscienza! Porre a cardine il principio della libertà di coscienza porta, ad esempio, a legittimare quel preteso «diritto all'autodeterminazione» che regge tutto il processo di dissoluzione. Come infatti giustificare un ordinamento che proibisca il suicidio o l'eutanasia volontaria quando si deve rispettare e promuovere, per principio, la libertà di agire secondo la propria coscienza? Quando un cittadino riterrà in coscienza di non voler più vivere rivendicherà tale diritto in nome della libertà di coscienza. E coerentemente non glielo si potrà negare! La libertà di coscienza, rispetto alle credenze più varie e soggettive, si dà quale libertà di religione, con tutto ciò che ne consegue in termini di dissoluzione della civiltà cristiana e di "disarmo" intellettuale di fronte alla pretesa egemonica dell'islam.
LAICITÀ E DEMOCRAZIA C'è poi la questione della laicità della democrazia, anch'essa traduzione dell'assioma liberale, e l'ambigua contrapposizione tra laicità e laicismo, l'una benedetta, l'altro negativamente giudicato. Il tema, in verità, non è così facilmente e schematicamente liquidabile; cosa sia sana laicità e cosa laicismo è non facile da dirsi. Che poi quella che viene chiamata sana laicità sia veramente cosa sana è tutto da dimostrare. Ascoltando autorevoli Pastori e la generale convinzione in campo cattolico, sembrerebbe essere il modello liberale di laicità debole-inclusiva sul modello statunitense ciò che è chiamato laicità mentre il laicismo sarebbe la laicità forte alla francese. Ebbene, siamo proprio sicuri che il modello di laicità e libertà religiosa proprio del liberalismo anglosassone sia cosa sana? Ricordiamo che tale modello si caratterizza per l'indifferentismo dello Stato e il più spinto relativismo, dove tutto e il contrario di tutto è posto su uno stesso piano di diritto, la verità e l'errore, il bene e il male.
IL MONUMENTO A SATANA Veramente il male in senso forte è posto sullo stesso piano di diritto del bene se è notizia di questi mesi che è stata autorizzata, in nome della libertà religiosa, l'edificazione di un monumento a Satana da erigere nella piazza principale di Oklahoma City. Il Satanic Temple, setta satanica riconosciuta e tutelata dal diritto USA, lo ha chiesto in nome della libertà religiosa! Non si dimentichi poi che negli USA, faro e modello di sana laicità e libertà religiosa, «i veri adoratori del Diavolo, coloro che venerano la figura biblica, immagine metafisica del male, sono presenti (…) dove varie chiese sataniche hanno un riconoscimento ufficiale ed hanno i loro cappellani militari all'interno dell'esercito americano» (C. Gatto Trocchi, Occultismo, esoterismo, magia, satanismo. Analisi antropologica, p. 5) e tutto ciò in nome della libertà religiosa. E sempre la sana laicità anglosassone è quella che più facilmente offre all'islam di mettere radici, costituire comunità autoreferenziali, dare vita a vere e proprie istituzioni islamiche (rette dalla sharia) in terra d'Occidente. La confusione sotto il cielo d'Occidente è grande, i nemici temibili, i fronti aperti più d'uno, il gregge disorientato e disperso, i Pastori quasi tutti «all'osteria a discutere di pastorizia» (card. Giacomo Biffi) mentre i lupi circondano l'ovile e sbranano gli agnelli.
Fonte: Corrispondenza Romana, 10/09/2014
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LA NORMALE FEDELTA' AL QUOTIDIANO
In famiglia siamo come siamo, ma ci si vuol bene
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Tempi, 15/09/2014
«Mamma, il pericolo è il tuo mestiere. «Oddio, non direi. Anche se alla fine lo scivolone kamikaze in piscina l'ho fatto». «No, dicevo che è la mamma il mestiere più pericoloso. Fai un figlio, e non sai quello che ti capita. Poi te lo devi tenere tutta la vita. Con me ti è andata bene». Non l'avevo mai pensata così, in effetti, e a vederla da questa angolatura fa un po' paura, più del kamikaze (l'addetto alla piscina mi ha assicurato che non era mai morto nessuno lanciandosi dal tubo giallo, comunque, e non ha fatto nessuna osservazione spiritosa sul fatto che sembravo seduta su un bidet quando sono scesa). Essere una famiglia significa consegnarsi per sempre a delle persone a cui sarai legato per tutta la vita (e con un figlio non sai mai chi ti metti in casa, come diceva Achille Campanile). La cosa può dare una certa vertigine. Per sempre, soprattutto in quest'epoca dello spontaneismo in cui viviamo, è un bel po' di tempo.
LA NORMALE FEDELTÀ AL QUOTIDIANO È un bel po' di tempo, e a volte può essere anche un bel po' di fatica. Non parlo tanto delle emergenze, dei momenti di difficoltà particolare, un problema economico, una crisi di coppia (articolo diffusissimo sul mercato, al momento), una malattia, quanto dell'ordinaria amministrazione – per quanto "ordinaria" a casa mia sia spesso una parola azzardata: oggi pomeriggio mi sono ritrovata a un certo punto che facevo panini al prosciutto per undici ragazzini, spuntavano da sotto i divani come i calzini, i ciuffi di polvere e le carte di caramelle (la flora dei miei sottodivani fornisce un habitat favorevole alla proliferazione di forme di vita non ancora studiate dalla scienza, che si nutrono di panini: figli, nipoti, figli dei vicini, amichetti di passati cicli scolastici che sanno di poter sempre contare su di noi). È un bel po' di fatica anche la normale fedeltà al quotidiano, quel consistere, semplicemente, quello stare al proprio posto in trincea, giorno dopo giorno dopo mese dopo anno, cercando di fare bene il proprio mestiere di moglie o marito e di padre o madre, per quanto, diciamo la verità, su questo il mio obiettivo si è piuttosto ridotto negli anni, da quando sono uscita la prima volta dalla sala parto, col manuale tipo "cresco il mio bambino" tutto sottolineato e il fermo proposito di non contaminare la bocca del pargolo con qualcosa che fosse men che biodinamic-natural-artigianal-biologico, per poi passare repentinamente dalla zucchina immacolata a un'alimentazione a base di grassi saturi e coloranti: insomma sono passata dal target mamma perfetta alla speranza di essere almeno decente, dal tentativo di non sbagliare niente, al desiderio di averne azzeccata almeno una tra tanti errori, così, giusto per il calcolo delle probabilità, per la legge dei grandi numeri (a forza di fare, qualcosa di buono lo avrò prodotto, no?).
NE VALE LA PENA Eppure, anche questa fatica di essere decenti, vale la pena, eccome, vale veramente la pena. E non parlo di valori, parola che, almeno in me, ingenera attacchi di sbadigliarella, il desiderio di andare di là a versarmi un Cuba libre (purtroppo però non posso, sono astemia) o il progetto di scappare in Papuasia Nuova Guinea con un passante. Se rimaniamo al nostro posto non è certo per i valori. Se rimaniamo è perché abbiamo capito che la famiglia è l'unica cosa che veramente funziona, è quello per cui siamo fatti, è quel posto in cui il gioco non prevede che io vinca solo se tu perdi, ma al contrario è dove si vince solo tutti insieme, e nessuno perde. La famiglia è quel posto in cui si può dare il peggio e sempre essere accolti, e anche se è bene che non diventi un'abitudine, si sa che a casa si può essere ogni tanto anche un molto scorbutici avendo pure torto, o ballare I will survive in mutande, o cucinare per la quinta volta della settimana pasta in bianco, e rimanere "la mamma dei miei sogni". La famiglia è quel posto per cui vale la pena risparmiare, perché si sa che ogni piccolo sacrificio fatto farà stare bene qualcuno che amiamo. La famiglia è quel posto in cui non serve neanche tanto enunciare princìpi, soprattutto con i figli, perché loro ascoltano con gli occhi, e imparano solo quello che vedono vivere. La famiglia è una specie di rifugio antiatomico, a volte, che può anche essere esposto, fuori, alle peggiori radiazioni nocive, senza paura, anche eventualmente con allegra incoscienza, perché contiene in sé tutti gli anticorpi. È anche quel posto dove tornare dopo che si sono fatte le peggiori stupidaggini, perché i figli attraverseranno la loro Babilonia, inevitabilmente, prima di approdare alla Terra Promessa. L'importante è che qualcuno sia rimasto a casa, a garantire il ritorno.
MIO MARITO E LE BIBITE PER I FIGLI «La Canada dry perché piace a Livia e Bernardo, la Pepsi twist a Lavinia, un Chinotto per Tommaso...». Guardo ammirata mio marito che prima della grigliata in giardino tira fuori dalla busta della spesa le bibite per i nostri figli, dei quali probabilmente non saprebbe elencare esattamente i nomi delle scuole né le classi frequentate; di sicuro non ricorda mezza malattia infettiva che hanno avuto, né le saprebbe attribuire al figlio abbinato, ignora l'ubicazione dell'ambulatorio della pediatra, ricorda appena, vagamente che abbiamo un mobiletto dei medicinali ma solo perché c'è anche l'Aulin per il suo mal di testa, confonde i compagni di classe dei quattro e va al saggio di danza con le notizie del calciomercato nell'auricolare (la mia amica Paola sostiene che un padre che non si scoccia al saggio è al limite del transgender). Eppure sa quale figlio ama la coca alla ciliegia, fatto che per me ha del prodigioso. Io in compenso non sono addetta alla spesa, e mi confondo nomi di bibite, caramelle, schifezze a elevato contenuto di grassi; non so giocare bene come lui, non sono una fonte affidabile di informazioni su un'enorme parte dello scibile umano – e guarda caso quella che interessa di più alla nostra prole: storia, politica, musica, cinema... So che ognuno di noi due ama come può, meglio che può, dando quello che può. E so che sarà abbastanza, perché è tutto l'amore che abbiamo in corpo. Questo amore limitato, squinternato e ferito – anche i genitori si portano dietro le loro storie – comunque dirà loro una sola cosa. Che vale la pena vivere. Che la vita è una cosa grandiosa, bella, bella, bellissima. Questo vogliono sapere da noi i figli, e vogliono guardarci, noi due, e vedere che quell'amore da cui sono nati c'è ancora. Per loro è una garanzia, è il permesso di esistere, il permesso di essere anche brutti, sporchi e cattivi, perché contenuti da un abbraccio più grande di loro, più di qualsiasi ombra possa mai oscurarli, un abbraccio che li trascende, e che non aspetta niente da loro in cambio.
IL MODO MIGLIORE PER AMARE I FIGLI Per questo, il modo migliore per amare i nostri figli è amare il loro padre, la loro madre. Mettere il lavoro della famiglia al primo posto, e non lasciare che finisca all'ultimo, che allo sposo, alla sposa, rimangano le briciole delle energie, della creatività. È quella che io chiamo la mia "crociata contro le mutande ascellari", che serve a ricordare alle donne che non è necessario, dopo qualche anno di matrimonio, mettere pigiamoni respingenti felpati o mutande comode. Non è obbligatorio smettere di sorridere. Non è prescritto dalla legge mettersi i vestiti da casa quando si rientra, tenere la famosa maglietta bucata per quando ci vede l'unico che avrebbe diritto ad avere il meglio di noi. È invece altamente consigliato ricordare alcuni semplici dati essenziali. Per esempio che l'esemplare dell'altro sesso di cui ci siamo dotati in modo permanente pensando che fosse la nostra anima gemella è in realtà una strana creatura proveniente da un altro pianeta, e dotato di alcuni meccanismi base di funzionamento del tutto diversi dai nostri: si sa che i maschi procedono con un pensiero tubolare, e pensano e fanno una cosa alla volta (non fate mai a un uomo la cattiveria di chiedergli un'opinione sul vostro taglio di capelli mentre sta smanettando al Blackberry. Non si è minimamente accorto che siete state dal parrucchiere, e se si sforza troppo finirà per cestinare la mail che aspettava con ansia). Si sa anche che gli uomini dicono esattamente quello che intendono dire – parlano una strana lingua in cui le parole significano solo quello che significano – e non sanno che per noi femmine ogni parola è portatrice di un fitto groviglio di rimandi occulti, fatto che li porta a cadere incautamente su alcune scivolose conversazioni (per una donna dire "non importa, ce la faccio da sola" di solito significa "se non mi aiuti allora dillo che non mi vuoi bene"; e per lei chiedere "come sto con questi pantaloni?" non significa attendere un parere sincero ma esigere un complimento anche piuttosto esagerato, per non parlar della domanda delle domande – "mi trovi ingrassata?" – che è una falsa domanda, visto che prevede solo la risposta standard "macertochenomiacaraseimoltotonica", l'unica ammessa). Imparare a tradursi a vicenda è un lavoraccio, ma significa percorrere una parte di quella distanza misteriosa nella quale è nascosto il segreto di Dio, che ci ha creati maschio e femmina, a sua immagine (per quanto nella Genesi non sia assolutamente specificato a chi spetti lo scettro del telecomando, ci tengo a precisarlo).
Fonte: Tempi, 15/09/2014
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FERMIAMO L'ISLAM O I MUSULMANI CI SPAZZERANNO VIA
Gli ostaggi decapitati, i cristiani rifugiati in Kurdistan, l'islam che si diffondende nelle città europee... Una realtà che l'Occidente fa finta che non ci sia
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 15/09/2014
«Aiutateci, la nostra unica speranza è che qualcuno ci salvi da una morte certa». Questo grido che arriva dai cristiani iracheni costretti a rifugiarsi in Kurdistan, e raccontato da chi si è recato a visitarli, non può non scuotere le nostre coscienze. È un grido reso ancora più drammatico dal fatto che è stato raccolto un mese fa (ma il reportage è stato distribuito ieri) e da allora per i cristiani iracheni profughi nulla è cambiato, anzi è peggiorato, perché il mondo, anche quando è preoccupato delle gesta dello Stato Islamico, non pare affatto interessato alla sorte dei cristiani.
UN INTERVENTO MILITARE PER SALVARE I CRISTIANI Al contrario, malgrado i vescovi cattolici iracheni e i Patriarchi cristiani abbiano insistentemente invocato un intervento militare per salvare i cristiani – e non solo – permettendo loro di tornare nelle proprie città e villaggi, nulla sembra muoversi in questo senso. E anche nel mondo cattolico si sprecano gli interventi pacifisti che escludono qualsiasi ricorso alle armi e anzi invocano una sorta di disarmo unilaterale. Ne è un esempio l'articolo del solito Enzo Bianchi che su Repubblica di ieri prendeva spunto dal forte discorso di papa Francesco a Redipuglia contro la guerra per delegittimare anche la possibilità di difendersi. E per dare tutta la responsabilità delle guerre attuali a produttori e commercianti di armi. È vero che quella di frenare il flusso di fondi e di armi verso le milizie sunnite è una delle misure necessarie per combattere lo Stato Islamico, ma pensare che basti questo per fermare una guerra è ingenuo. La lezione del Ruanda e Burundi, dove vent'anni fa furono massacrate in poche settimane un milione di persone quasi esclusivamente a colpi di machete, dovrebbe avere insegnato che è l'odio la vera arma che distrugge, e si possono commettere genocidi anche senza artiglieria. E ce lo stanno ricordando i video delle decapitazioni degli ostaggi occidentali – ieri è arrivata la terza, quella del cittadino inglese David Haines -, per le quali non sono necessarie armi sofisticate.
LA TERZA GUERRA MONDIALE A PEZZI Ed è anche vero che il perdono è la strada per costruire la pace, ma ciò non ci esime dal rispondere alla domanda: cosa fare per salvare quei 120mila fratelli rifugiati in Kurdistan? Possiamo metterci a posto la coscienza con i sermoncini spirituali, ma solo perché ad aver abbandonato in tutta fretta case e averi non siamo noi né sono i nostri familiari quelli massacrati e non sono le nostre figlie quelle ragazze rapite e fatte schiave sessuali. La preghiera è sicuramente la prima forma di aiuto che possiamo dare, ma la preghiera non è astrazione dalla realtà, è invece una comprensione più vera della realtà. Ci fa sentire ancora più bruciante la necessità di fare tutto il possibile per aiutare – anche materialmente – le persone per cui preghiamo. Altrimenti è replicare in altro modo quel "A me che importa?" di Caino che nel discorso di Redipuglia papa Francesco ha posto all'origine della guerra. E infatti è così che è cresciuto l'Isis, ma non solo. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, la "Terza guerra mondiale a pezzi", di cui ha parlato il Papa è in gran parte provocata dal fondamentalismo islamico che avanza grazie al nostro non voler vedere, non voler riconoscere ciò che sta accadendo davanti ai nostri occhi. L'Isis è cresciuto a colpi di "Sosteniamo la primavera araba cntro i vecchi dittatori", "Non è una guerra di religione", "Non si parli di scontro di civiltà", "L'islam non c'entra".
ANCHE VOI SIETE A RISCHIO Non possiamo dimenticare le parole del vescovo di Mosul che un mese fa ci avvertiva: «Per favore, cercate di capirci. I vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla. Occorre che ripensiate alla nostra realtà in Medio Oriente perché state accogliendo nei vostri Paesi un numero sempre crescente di musulmani. Anche voi siete a rischio. Dovete prendere decisioni forti e coraggiose, a costo di contraddire i vostri princìpi. Voi pensate che gli uomini siano tutti uguali. Ma non è vero. L'islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra».
COLPIRE CON DECISIONE LE CENTRALI DELL'ODIO L'articolo di Stefano Magni che pubblichiamo in Primo piano dimostra quanto queste parole siano vere e già terribilmente attuali. In diversi paesi europei già sta crescendo pericolosamente uno stato nello stato e i nostri governi sembrano già non in grado di difendere la sicurezza dei propri cittadini, anzitutto per debolezza culturale. Non vogliamo sostenere che tutti i musulmani debbano essere trattati da nemici ma proprio per evitare questa deriva è necessario: colpire con decisione le centrali dell'odio che sono ben diffuse anche in Europa e in Italia; evitare di scegliere come interlocutori personaggi e associazioni che giustificano violenze e guerre sante; impedire che si creino zone extraterritoriali dove impera la legge coranica. E non aver paura di correre in soccorso di quanti vengono schiacciati e perseguitati dai fondamentalisti islamici. Non dobbiamo muoverci per conquistare paesi e territori, ma per difendere la dignità di ogni uomo e la possibilità che una civiltà – sviluppatasi grazie al Cristianesimo - non venga spazzata via dalla barbarie.
Nota di BastaBugie: un film che tutti dovrebbero vedere (e far vedere!) MAI SENZA MIA FIGLIA, LA STORIA VERA DI UNA CRISTIANA CHE HA SPOSATO UN MUSULMANO Per l'islam la moglie è proprietà del marito e i figli devono seguire la religione del padre http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=46
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 15/09/2014
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OMELIA XXV DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO A - (Mt 20,1-16)
Tu sei invidioso perché io sono buono?
articolo non firmato
La parabola riportata nel Vangelo di oggi non è di facile comprensione e urta contro il nostro modo di pensare e di giudicare. Davvero, come dice la prima lettura di oggi, «i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie [...] quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (Is 55,8-9). La parabola di oggi, prima di tutto, ci insegna che Dio chiama tutti a lavorare alla sua vigna che è la Chiesa. Ognuno di noi, secondo le proprie capacità e doni ricevuti, è tenuto a collaborare per la diffusione del Regno dei cieli. Questo vale per i sacerdoti, per i religiosi, e anche per i laici. Ciascuno deve vivere secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri (cf 1 Pt 4,10). Servire il Signore qui in terra significherà regnare con Lui in Cielo. Dio non ha bisogno di noi; ma, per un mistero della sua Misericordia, Egli si vuole servire delle creature per compiere le sue meraviglie. Dobbiamo ringraziare Dio per questo suo dono, ritenendoci sempre dei servi inutili, per nulla indispensabili. Se riusciamo a fare del bene, pensiamo che Dio poteva servirsi di mille persone diverse per compiere la stessa cosa; anzi, poteva fare benissimo da solo. La parabola del Vangelo presenta però delle difficoltà. Apparentemente, sembra che il padrone della vigna abbia fatto un'ingiustizia retribuendo allo stesso modo gli operai dell'ultima ora e quelli che invece avevano affrontato il peso di tutta la giornata. Non è un'ingiustizia. Tale parabola ci insegna che davanti a Dio nessuno può pretendere dei diritti. La ricompensa di Dio è un dono, non un diritto. La parola "grazia" indica proprio il dono gratuito di Dio. Per comprendere il modo di agire di Dio bisogna comprendere la logica dell'amore e non quella della nostra pretesa giustizia. Al termine della parabola, a chi mormorava contro di lui, il padrone della vigna di
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