BastaBugie n�114 del 13 novembre 2009
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L'ALTO DESTINO DI UNA TESTA DI LEGNO
Intervista al Cardinale Giacomo Biffi sul vero significato del capolavoro di Collodi
Autore: Sandro Magister - Fonte: L'Espresso
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L'AFFETTO DEI LETTORI DI BASTABUGIE: IL NOSTRO STIMOLO AD ANDARE AVANTI SENZA INCERTEZZE
Fonte: Redazione di BASTABUGIE
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MATRIMONI OMOSESSUALI: NEGLI STATI UNITI SU 31 REFERENDUM, RISULTATO CLAMOROSO, 31 A ZERO
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur
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CHIESA E STATO: DIVISIONE O ARMONIA DEI RUOLI E DELLE RESPONSABILITA'?
Autore: Roberto De Mattei - Fonte: Radici Cristiane
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PARIGI: GLI ISLAMICI PREPARANO L'INVASIONE DI ROMA
Fonte: Corrispondenza Romana
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AGORA: IL FILM TRUFFALDINO DEL 2009 CHE SCARICA SUI CRISTIANI LE COLPE DEGLI ERETICI
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Antidoti
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GLI ERRORI DELLA LEGGE BASAGLIA (CHE CHIUSE I MANICOMI): OGGI I MIGLIORI PSICHIATRI SONO CONSIDERATI QUELLI CHE NON RICOVERANO
Autore: Ugo Catola - Fonte: Toscana Medica
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IL MANDYLION DI EDESSA DEI PRIMI SECOLI: LA CONFERMA STORICA CHE LA SINDONE E' AUTENTICA
Autore: Ilaria Ramelli - Fonte: Avvenire
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OMELIA PER LA XXXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - B - (Mc 13,24-32)
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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L'ALTO DESTINO DI UNA TESTA DI LEGNO
Intervista al Cardinale Giacomo Biffi sul vero significato del capolavoro di Collodi
Autore: Sandro Magister - Fonte: L'Espresso
Pinocchio è stato il suo primo libro: «Me lo comprò mio padre alla fiera di sant'Ambrogio, a Milano, quando avevo 7 anni». E da allora non se n'è più distaccato. Perché oltre che arcivescovo di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi è anche studioso di prim'ordine del capolavoro di Carlo Collodi. Ne ha data una lettura teologica folgorante in "Contro Maestro Ciliegia", ristampato di recente (...) e tradotto anche in Germania. CARDINAL BIFFI, METTIAMO CHE (...) IL PROSSIMO FILM SU PINOCCHIO SIA SUO. COME LO LANCEREBBE IN LOCANDINA? «Ognuno fa il suo mestiere e quello di fare film non è certo il mio. Ma io lo lancerei così: "L'alto destino di una testa di legno"». ALTO DESTINO? IL LEGNO È LEGNO. «Questo lo dice Maestro Ciliegia, il maestro dell'antifede. Lui non vuole andare al di là di ciò che vede e tocca. La logica non gli manca, ma è la fantasia che gli fa difetto. Posto Dio, ci si deve aspettare di tutto. La storia vera del mondo è infinitamente più grande di quella a cui si fermano i materialisti di ieri e di oggi». CON MAESTRO CILIEGIA LEI HA UN CONTO APERTO. LO SI CAPISCE DAL TITOLO DEL SUO LIBRO. «Sì, l'ho proprio voluto così: "Contro Maestro Ciliegia". I titoli buonisti non mi piacciono. Anche i Padri della Chiesa amavano intitolare contro qualcuno o qualcosa. Mi viene in mente l'"Adversus haereses" di Ireneo. Contro le eresie». QUAL È DUNQUE L'ALTO DESTINO DELLA NOSTRA TESTA DI LEGNO? «Quella di Pinocchio è la sintesi dell'avventura umana. Comincia con un artigiano che costruisce un burattino di legno chiamandolo subito, sorprendentemente, figlio. E finisce con il burattino che figlio lo diventa per davvero. Tra i due estremi c'è la storia del libro. Che è identica, nella struttura, alla storia sacra: c'è una fuga dal padre, c'è un tormentato e accidentato ritorno al padre, c'è un destino ultimo che è partecipazione alla vita del padre. Il tutto grazie a una salvezza data per superare la distanza, incolmabile con le sole forze del burattino, tra il punto di partenza e l'arrivo. Pinocchio è una fiaba. Ma racconta la vera storia dell'uomo, che è la storia cristiana della salvezza». COME FA A ESSERNE COSÌ SICURO? SU PINOCCHIO LE HANNO DETTE TUTTE: RIBELLE, CONFORMISTA, BORGHESE, MORALISTA. HANNO SCOMODATO MARXISMO E PSICOANALISI. «La struttura oggettiva del racconto è sotto gli occhi di tutti ed è perfettamente conforme alla vicenda salvifica proposta dal cristianesimo. Giudicare di questa conformità spetta ai maestri di fede (ed è l'arte mia); certo non ai critici letterari, o agli storici sociali e politici, o agli storici delle idee». MA CARLO COLLODI, L'AUTORE, LA PENSAVA ANCHE LUI COSÌ? «Quando ho scritto il mio libro su Pinocchio, nel 1976, non me ne importava nulla di che cosa l'autore avesse in mente. Quello che mi aveva colpito era l'oggettiva concordanza di struttura tra la fiaba e l'ortodossia cattolica. Poi però m'è venuta voglia di capire chi era, Collodi. Aveva studiato in seminario a Colle di Val d'Elsa, poi dai padri scolopi. Visse sempre con la madre, religiosissima. Fu attratto dalle idee mazziniane, combatté nel 1848 come volontario a Curtatone e Montanara e poi nel 1859 con i Savoia. Ma ne uscì deluso. "In questo mondo tutto è bugia: dall'Ippogrifo a Mazzini", scrisse già nel 1860 sulla "Nazione". Non rinnegò le idee della gioventù. Ma non si vantò mai delle guerre fatte: cosa rara in un'Italia dove i reduci sono sempre molti di più dei combattenti». MA PINOCCHIO NON È STATO CONSIDERATO FINO A OGGI UNA BIBBIA MAZZINIANA? «Questo era quanto sosteneva Giovanni Spadolini. Quando il mio libro uscì in prima edizione, nel 1977, stampato dalla Jaca Book, il mondo laico lo ignorò. Perché avevo attentato al dogma che definiva atei i due classici per l'infanzia usciti dal Risorgimento: Pinocchio e "Cuore" di Edmondo De Amicis. "Cuore" è vero, è un libro irredimibile. Ma Pinocchio è tutto l'opposto. E gli studiosi sono oggi sempre più concordi nell'avvalorare la svolta nella vita di Collodi, la sua perdita di fiducia in Mazzini e nelle ideologie risorgimentali. Fu dopo questa crisi che egli si dedicò a scrivere per i ragazzi. E fu così che riscoprì l'anima profonda dell'Italia». ANIMA CATTOLICA? «Sì, perché i ragazzi del 1881, l'anno in cui Collodi scrive Pinocchio, non sono né sabaudi né repubblicani, né clericali né anticlericali. Sono i ragazzi del catechismo, delle prediche del parroco, delle preghiere delle mamme, dei dipinti delle chiese. Non conoscono le ideologie, conoscono la verità cattolica. Collodi vuole entrare in comunione di spirito con questi ragazzi». E CI RIESCE? «Altroché. Pinocchio è la verità cattolica che erompe travestita da fiaba. E così riesce a superare le censure della dittatura culturale dell'epoca». DAL RISORGIMENTO AI GIORNI NOSTRI. COS'È CAMBIATO? «In questo niente. La censura sulla cultura cattolica, iniziata con l'Illuminismo e la Rivoluzione francese, rimane. Meno vistosa, ma più sottile e radicale. Faccio un esempio. Se io dico: la pratica dei comandamenti di Dio è un mezzo sicurissimo, scientificamente provato, per non prendere l'Aids... Se io dico questo, apriti cielo! Eppure è vero, verissimo: se si praticasse la castità giovanile e la castità matrimoniale l'Aids non si prenderebbe. Ma non lo si può dire! E questa è censura ideologica. Quanto ci vorrebbe un Collodi anche oggi!». ECCOLO INFATTI CHE TORNA SUGLI SCHERMI. «E ne sono contento. Il successo di Pinocchio è un enigma straordinario. Nacque per caso, scritto di malavoglia per un giornale di bambini, a puntate irregolari e interrotto due volte, la prima con la convinzione di concluderlo per sempre. E invece è l'unico libro uscito in Italia dopo l'unità che abbia avuto un successo mondiale. La spiegazione è una sola. Contiene un messaggio eterno, che tocca le fibre del cuore di tutti gli uomini di ogni cultura». A PARTE PINOCCHIO, CHE COSA LE DICONO GLI ALTRI PERSONAGGI, AD ESEMPIO LA FATA TURCHINA? «È la salvezza donata dall'alto: e quindi Cristo, la Chiesa, la Madonna». E LUCIGNOLO? «È la perdizione. Il destino umano non è immancabilmente a lieto fine come nei film americani di una volta. È a doppio esito. L'inferno c'è, anche se oggi lo si predica poco». E IL DIAVOLO DOV'È? «Il Gatto e la Volpe fanno la loro parte. Ma più di tutti l'Omino. Mellifluo, burroso, insonne. Inventarlo così è stato un lampo di genio». INSOMMA, PINOCCHIO È UN MAGNIFICO CATECHISMO PER BAMBINI E PER ADULTI? «Ai bambini facciamo benissimo a darlo in mano. Ma a dire il vero, quando io lo lessi da piccolo per la prima volta, mi urtò. Non sopportavo il Grillo Parlante, i continui richiami al dovere, l'ironia». L'IRONIA? «Più che l'ironia o il sarcasmo, io amo l'umorismo vero, tipo quello di Alessandro Manzoni che sto rileggendo in questi giorni. L'umorismo non si fa travolgere dalla vicenda e nello stesso tempo vi partecipa. I due elementi legano difficilmente e per questo è una merce rara. Tant'è vero che riesce bene solo a Dio: il lontanissimo e insieme il presentissimo, come diceva sant'Agostino». MA ALLORA COME È ARRIVATO A SCOPRIRE IL SUO VERO PINOCCHIO? «Una prima illuminazione l'ebbi in terza liceo dalla lettura di un saggio di Piero Bargellini: Pinocchio ovvero la parabola del figliol prodigo. Poi vennero gli studi di teologia. La mia tesi di dottorato su "Colpa e libertà nella condizione umana" fu tutta debitrice al libro di Collodi. Solo che dovetti scriverla in linguaggio accademico, col risultato che fu apprezzata da tutti e letta da nessuno. Infine vennero i cupi anni Settanta». CHE COSA LE ISPIRARONO? «Quegli anni di violenza mi fecero riflettere sui fili invisibili che tengono l'uomo legato e manovrato, come nel teatrino di Mangiafoco. Le rivolte contro un dittatore aprono la strada a un altro. Se Pinocchio non resta prigioniero del teatrino è perché a differenza dei suoi fratelli di legno riconosce e proclama di avere un padre. È questo il segreto della vera libertà, che nessun tiranno può portar via». COLLODI PROMOSSO A PIENI VOTI IN TEOLOGIA? «Pinocchio certamente. Quanto al suo inventore, non mi passa neanche per la testa di incolonnarlo dietro i santi stendardi: stia dove desidera. Collodi aveva una sua fede, ma fosse stato ateo il gioco mi sarebbe piaciuto anche di più, perché sarebbe apparso più scintillante l'umorismo di Dio».
Fonte: L'Espresso
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L'AFFETTO DEI LETTORI DI BASTABUGIE: IL NOSTRO STIMOLO AD ANDARE AVANTI SENZA INCERTEZZE
Fonte Redazione di BASTABUGIE
Come sapete, in occasione del 2° anniversario di fondazione, abbiamo lanciato una sottoscrizione per raccogliere i fondi necessari a migliorare tecnicamente il servizio. Ovviamente BASTABUGIE rimane comunque gratuito e quindi si continuerà a ricevere indipendentemente dall'aver fatto o no una donazione. La risposta dei nostri affettuosi lettori (ormai duemila...) ci ha comunque commosso. La redazione è stata sommersa da messaggi di incoraggiamento (oltre alle donazioni) tra i quali ne abbiamo pubblicato qualcuno la settimana scorsa. Ecco altri messaggi dei lettori:
Grazie per le notizie che puntualmente mi mandate. Siete Forti !!!!!! Sergio BASTABUGIE è un servizio degno di essere elogiato e pubblicizzato. Vi appoggio con tutto me stesso. Forza fratelli! Ivano Non potevo non far parte del Gruppo! E' un vero piacere! Cristiana Buongiorno. Sono una vostra fedele lettrice, mi sono iscritta per ricevere ogni settimana la vostra raccolta di articoli. Grazie per quello che fate e soprattutto grazie di esistere. Che Dio Vi benedica! Andreina Siete grandi e veritieri. Grazie, grazie ancora, per l'informazione vera. Lucia Lottate sempre per la verità e la giustizia, guidati dall'Amore!!! Solo questi renderanno liberi l'uomo!!! Gabriele Grazie a Dio che ci siete!!! Giovanna Mi raccomando, dite sempre la verita' !!!!!!!!!! Marcella
Ancora una volta vi ringrazio per l'opera meritoria di informazione che fate. Cari saluti. Sergio La segnalazione dei vostri articoli mi è pervenuta da una mia amica e collega, che mi girava gli articoli e mi sono appassionata nel leggerli, in particolare traggo forza dagli gli articoli che parlano della dignità e della sacralità della vita! Cordiali saluti. Elisabetta
Fonte: Redazione di BASTABUGIE
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MATRIMONI OMOSESSUALI: NEGLI STATI UNITI SU 31 REFERENDUM, RISULTATO CLAMOROSO, 31 A ZERO
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur, 4 novembre 2009
Le vittorie repubblicane nelle elezioni per la carica di governatore in Virginia e New Jersey – un chiaro segnale che gli americani sono già stufi di Obama – rischiano di far passare in secondo piano un altro risultato molto atteso. Nel Maine, uno degli Stati americani più progressisti, gli elettori hanno cancellato con un referendum la legge che avrebbe permesso agli omosessuali dello Stato di sposarsi tra loro. Si tratta di una grande delusione per gli attivisti del matrimonio gay e di una vittoria della Chiesa Cattolica e delle altre organizzazioni religiose che sono scese apertamente in campo in questo referendum. Con il Maine, gli Stati USA che hanno sottoposto a referendum il matrimonio tra omosessuali sono trentuno. Il risultato di questi referendum è clamoroso: trentuno a zero per gli oppositori delle nozze gay. Eppure negli Stati Uniti si continuano a celebrare matrimoni tra omosessuali. Solo in due piccoli Stati – il Vermont, dove i gay si sposano dal 1° settembre 2009, e il New Hampshire, dove cominceranno a farlo dal 1° gennaio 2010 – i matrimoni sono stati introdotti da leggi dei Parlamenti statali, peraltro a rischio referendum. Nel Vermont – con una rara procedura – la legge è entrata in vigore nonostante il governatore, repubblicano, si sia rifiutato di firmarla. Altrove – nel Massachusetts, che ha aperto la strada nel 2003, nel Connecticut (dal 2008) e nell’Iowa (dal 2009) – sono state decisioni dei giudici a introdurre il matrimonio omosessuale. E in California c’è stato un braccio di ferro fra i magistrati della Corte Suprema dello Stato, che volevano a tutti i costi il matrimonio gay, e gli elettori che in quella che pure è la capitale mondiale del movimento per i diritti degli omosessuali, hanno finalmente cambiato la Costituzione dello Stato con un referendum – votato nel giorno stesso dell’elezione di Obama alla presidenza – che definisce il matrimonio come l’unione fra due persone di sesso diverso, così almeno per il momento fermando i giudici. Siamo di fronte a un grande problema di democrazia. Da una parte i cittadini americani – tutte le volte che sono chiamati a votare nei referendum, senza eccezioni – si pronunciano contro il matrimonio omosessuale. Dall’altra i giudici ignorano la volontà degli elettori e pensano sia loro dovere “educarli”, a costo di non rispettare un voto popolare chiaramente espresso. Nell’enciclica Caritas in veritate Benedetto XVI ha indicato nella tecnocrazia la maggiore minaccia per la libertà dopo la fine delle ideologie. A molti la parola tecnocrazia fa venire in mente solo gli scienziati pazzi di qualche film. Ma per il Papa è tecnocrazia quella di qualunque potere che pensa d’imporre le sue scelte alla maggioranza non in nome del bene comune, e neppure di un mandato elettorale, ma perché pensa di saperne di più rispetto a un popolo bue che per definizione è arretrato – e condizionato da pregiudizi religiosi facilmente liquidati come “fondamentalismo” –, e va dunque educato anche contro la sua volontà. Oggi la più pericolosa tecnocrazia è quella di certi giudici. In America, queste toghe pensano – e lo dicono apertamente – che, se la maggioranza non vuole il matrimonio gay, semplicemente, la maggioranza sbaglia e spetta ai giudici come detentori di un sapere superiore, più avanzato e progressista, rieducarla. Come sappiamo, la rieducazione dell’elettore che sbaglia da parte dei giudici è l’orizzonte tecnocratico di una certa magistratura anche in Italia. Gli elettori del Maine hanno ora dato ai giudici tecnocrati un sonoro schiaffone. Ma la battaglia continua.
Fonte: Cesnur, 4 novembre 2009
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CHIESA E STATO: DIVISIONE O ARMONIA DEI RUOLI E DELLE RESPONSABILITA'?
Autore: Roberto De Mattei - Fonte: Radici Cristiane, Novembre 2009
Negli ultimi tempi, sia in Europa che negli Stati Uniti, si è accesa una viva e talvolta aspra discussione sui rapporti tra la sfera politica e quella religiosa e morale, soprattutto per quanto riguarda il problema della vita umana, dal momento del concepimento fino alla morte naturale. In Italia, negli ultimi mesi, il dibattito si è concentrato sulla pillola abortiva RU486 e sul cosiddetto testamento biologico, rivelando profonde spaccature all’interno di un mondo politico che, al di fuori dei temi etici, appare sempre più appiattito e omologato. Al centro delle polemiche sono spesso i vescovi, i quali quando intervengono su temi politici che abbiano una dimensione etica, vengono accusati di indebita ingerenza nelle cose dello Stato. Gli stessi critici dell’interferenza ecclesiastica chiedono poi ai partiti politici di non prendere posizione sui temi divisivi di natura etica, lasciando ai propri rappresentanti in Parlamento piena libertà di coscienza. Nell’uno come nell’altro caso – si sente ripetere – i problemi morali non vanno proiettati nel dibattito politico ma lasciati al foro della coscienza individuale. Per impostare giustamente il problema bisogna ricordare un principio di fondo, che sta alla base della nostra tradizione culturale: la distinzione tra la sfera religiosa e quella politica, derivante dalla massima evangelica di «dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mt., 22, 15-22). Questa sentenza distingue due autorità supreme nel proprio ordine, senza tuttavia separarle o metterle in contrasto. La Civiltà cristiana del Medioevo ha conosciuto momenti di conflitto ma anche di profonda armonia e collaborazione tra questi due poteri. Il mondo moderno ha conosciuto invece un processo di emancipazione della politica dalla morale, che inizia con Machiavelli e prosegue con le grandi Rivoluzioni del XVIII secolo e del XX secolo. L’esito ultimo di questo processo di secolarizzazione della società è stato, nel Novecento, l’assorbimento della sfera religiosa in quella politica, da parte dei sistemi totalitari nazismo e comunismo, eredi della Rivoluzione francese. L’Islam, apparso alla ribalta del XXI secolo, nega a sua volta la distinzione tra religione e politica, assorbendo la sfera politica in quella religiosa. Lo slogan dei Fratelli Musulmani, “Il Corano è la nostra Costituzione”, esprime efficacemente l’intima unione tra le due sfere. Se il comunismo è stato definito l’Islam del XX secolo, per il suo totalitarismo secolarista, l’Islam può essere definito a sua volta il comunismo del XXI secolo per il suo totalitarismo religioso, che unisce Chiesa e Stato, fede e politica. Il principio della distinzione tra politica da una parte e religione e morale dall’altra, è dunque irrinunciabile. Quali sono le sue conseguenze? La prima è che la Chiesa ha il diritto e il dovere di esprimersi su tutti i temi religiosi e morali che concernono l’uomo, nella sua vita privata, come in quella pubblica. Parlare di quelli che Benedetto XVI ha definito i “valori non negoziabili” – vita, famiglia, educazione – fa parte della missione stessa della Chiesa. L’appello va rivolto a tutti, compresi e in primis, gli uomini politici. I vescovi infatti sono pastori di tutte le anime, comprese quelle degli uomini politici, e devono ricordare loro il dovere di promulgare leggi conformi ai principi dell’ordine naturale e cristiano. Dal punto di vista di quest’ordine supremo, non vi è differenza fra gli individui e la comunità sociale e civile, poiché gli uomini, uniti in società, sono altrettanto sottomessi all’autorità della legge naturale di quanto lo siano gli uomini singoli. Lo Stato ha come proprio fine di procurare il bene temporale e, nella sua sfera, è sovrano. Ma la Chiesa ha il diritto di veder rispettata la legge naturale di cui è custode e su cui la società umana si fonda. I politici, da parte loro, hanno il diritto e il dovere di operare in conformità ai propri principi religiosi e morali. Non è ammessa in loro una scissione tra politica e morale. Non è ammesso cioè che siano onesti, veraci e leali nella loro vita personale e disonesti e menzogneri in quella pubblica. Allo stesso modo non è ammesso che essi seguano in privato la legge naturale o quella del Vangelo e contraddicano questa stessa legge nella loro azione pubblica. La politica è certamente “l’arte del possibile”. Ciò significa che non sempre si può realizzare il proprio ideale politico e sociale. L’importante per un politico è fare di tutto per introdurre leggi buone, o migliorare le esistenti, e non assumersi mai la responsabilità di favorire o firmare le leggi cattive. Non si chiede ai politici di fare i vescovi, cioè di predicare la legge divina e naturale: essi devono realizzarla nei fatti, nei limiti delle loro possibilità. Allo stesso modo, i vescovi non devono fare i politici, rinunciando a ogni scaltrezza. In particolare essi non devono cimentarsi nell’opera di compromesso e di mediazione tipica del mondo politico, suggerendo leggi meno buone per evitare le pessime. I Pastori hanno il dovere di richiamare sempre il gregge all’ottimo. Il punto di fondo, insomma, è quella che un tempo veniva definita la distinzione tra la tesi e l’ipotesi. L’ipotesi concreta può essere quella di un compromesso che si è costretti ad accettare. Ma la prima condizione perché ciò avvenga, è che sia sempre richiamata la tesi, cioè la posizione ideale a cui tendere con tutte le proprie forze. Ieri l’ipotesi poteva essere quella della necessità di un Nuovo Concordato tra la Santa Sede e lo Stato italiano. Ma lo si volle stipulare senza richiamare la tesi “ottima” dello Stato cattolico. Fu anzi detto ai cattolici che uno Stato “neutrale” in materia religiosa era meglio di uno Stato o di una società ufficialmente cattolica. Oggi l’ipotesi può essere quella dell’impossibilità (tutta da verificare) di modificare nel momento presente la legge 194 che legalizza l’aborto. La tesi però che non si deve mai cessare di richiamare è che questa legge è profondamente iniqua e va abolita nel suo principio di fondo. I cattolici devono desiderare una società in cui l’aborto non sia permesso per nessun motivo e nessuna circostanza. Tacere questa tesi significa introdurre nella mentalità dei cattolici l’idea che una società che rispetti integralmente la legge naturale sia storicamente irrealizzabile. Il che è falso e offensivo nei confronti dei comandamenti divini. Parlare con chiarezza è missione innanzitutto dell’autorità religiosa, ma anche degli amministratori della vita pubblica, perché ciò che è in gioco sono i principi di legge naturale e divina, da cui dipende, oltre che alla salvezza eterna, il bene temporale della società.
Fonte: Radici Cristiane, Novembre 2009
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PARIGI: GLI ISLAMICI PREPARANO L'INVASIONE DI ROMA
Fonte Corrispondenza Romana, 7 Novembre 2009
Gli imam si preparano a conquistare Roma. L’avvertimento arriva da Parigi, dove si prepara l’invasione islamica dell’Italia e del Vaticano (“Libero”, 17 ottobre 2009). Tra gli autori dell’appello si segnalano i migliori studiosi francofoni di arabistica e di storia del mondo musulmano, tra cui Joachim Véliocas, fondatore dell’Osservatorio dell’islamizzazione Sami A. Aldeeb Abu-Shalieh, René Marchand, Louis Cahgnon, storico e Johan Bourlard. I fautori dell’appello, dopo essersi rivolti con una lettera aperta all’ambasciatore italiano a Parigi, Giovanni Caracciolo di Vietri, il 19 ottobre hanno scritto anche al ministro dell’Interno, Roberto Maroni, per comunicargli che l’Italia è «oggetto di minacce specifiche da parte di un’istituzione musulmana francese, l’Unione delle Organizzazioni islamiche di Francia (UOIF)», membro del Consiglio Francese del Culto Musulmano (CFCM). Dall’11 al 13 aprile scorso, a Bourget, vicino Parigi, si è svolto il 26° incontro dei musulmani in Francia. Tarek Swaidan, predicatore televisivo kuwaitiano, ha parlato di Maometto come modello per l’umanità e della necessità di uccidere gli infedeli per emularlo. Ha molto insistito sulla profezia della conquista di Roma, così come era avvenuto nel 1453 per Costantinopoli e come riportato nell’Hadîth, parte costitutiva della cosiddetta Sunna, la seconda fonte della Legge islamica (sharia) dopo il Corano. Intervistato recentemente su tale questione, in un libro pubblicato dalla casa editrice Albin Michel, l’imam di Bordeaux, Tareq Oubrou, responsabile dell’UOIF, presente a Bourget al fianco di Suwaidan, per cercare di tranquillizzare l’opinione pubblica ha parlato di un episodio pacifico, di una «testimonianza», ma non ha negato la validità della profezia maomettana. Gli autori dell’appello si rivolgono all’Italia innanzi tutto perché a loro avviso le autorità francesi sembrano non prestare attenzione a questo avvertimento e in secondo luogo per una questione di identità, poiché Roma «è una delle origini delle nostre radici, oltre a dare riparo al Vaticano, chiaramente preso di mira dai fondamentalisti islamici». Ancora più inquietante è il fatto che la maggioranza presidenziale attuale, tramite alcuni municipi gestiti dai suoi membri, ha facilitato l’acquisto di terreni per la costruzione di grandi moschee a Bordeaux, Mulhouse, Woippy e altre città. La preoccupazione è alimentata anche dalle dichiarazioni di “pacifica” guerra santa dello sceicco Youssef al Qaradawi e dal discorso pronunciato l’11 aprile 2008 dal predicatore dei terroristi di Hamas, Yunis Al-Astal, che si rivolgeva ai fedeli con queste parole: «Allah vi ha scelti per Sé e per la Sua religione, perché serviate come motore per condurre questa Nazione alla fase della successione, della sicurezza e del consolidamento del potere e anche alle conquiste attraverso la da’wa e alle conquiste militari delle capitali del mondo intero. Molto presto, ad Allah piacendo, Roma sarà conquistata, così come fu conquistata Costantinopoli, come fu predetto dal nostro Profeta Maometto. Oggi Roma è la capitale dei cattolici, o la capitale dei crociati, che ha dichiarato la propria ostilità verso l’Islam e ha insediato i fratelli delle scimmie e dei maiali in Palestina per prevenire il risveglio dell’Islam – questa loro capitale sarà un avamposto per le conquiste islamiche, che si diffonderà attraverso l’Europa nella sua interezza e poi si rivolgerà alle due Americhe e anche all’Europa dell’Est».
Fonte: Corrispondenza Romana, 7 Novembre 2009
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AGORA: IL FILM TRUFFALDINO DEL 2009 CHE SCARICA SUI CRISTIANI LE COLPE DEGLI ERETICI
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Antidoti, ottobre 2009
Agora è un film spagnolo del 2009 diretto da Alejandro Amenábar, intepretato da Rachel Weisz. Il film, in lingua inglese, è uscito il 9 Ottobre in Spagna. È stato presentato al Festival di Cannes 2009 come film fuori concorso. LA TRAMA Il film narra della vita e della morte della filosofa Alessandrina Ipazia (Rachel Weisz) e del suo assassinio per mano della folla Cristiana nel Marzo del 415. Mentre le rivolte e gli attacchi da parte dei gruppi religiosi imperversano ad Alessandria d'Egitto, Ipazia tenta di difendere il mondo antico, rappresentato dal sapere della famosa Biblioteca di Alessandria. I Cristiani, in rapida ascesa e guidati dal fanatico vescovo Cirillo di Alessandria, la cui ambizione è la distruzione delle altre religioni presenti ad Alessandria, minacciano la coesistenza pacifica promossa dal prefetto Oreste. Allo stesso tempo, lo schiavo Davo (Max Minghella) è diviso tra l'infatuazione per la filosofa e la speranza nella libertà che il movimento Cristiano sembra offrire. IL COMMENTO DI CAMMILLERI Poiché non pochi lettori mi avvisano dell’appello in circolazione circa un film su Ipazia, l’intellettuale pagana trucidata da un gruppo di cristiani verso il 415, ecco come andò la cosa (mi sono consultato, per vostra sicurezza, con Vittorio Messori). Ipazia non fu uccisa per ordine di s. Cirillo di Alessandria né per motivi religiosi bensì politici. I linciatori erano alcuni eretici «parabolani», cristiani fanatici che avevano mutuato il nome dai gladiatori che affrontavano i leoni (prima che Teodosio abolisse tali spettacoli nel circo). Disprezzavano la vita e, volendo morire al più presto per Cristo (secondo loro), si consacravano con giuramento ad assistere gli appestati e i malati di malattie infettive. Cirillo cercava di tenerli a bada ma a un certo punto scoppiò un dissidio politico tra lui e il prefetto di Alessandria, Oreste. Costui era sospettato di paganesimo e così i parabolani (cui si aggiunse qualche monaco fuori controllo) se la presero con Ipazia, che di Oreste era la favorita. Si aggiunga l’astio tutto egiziano per Bisanzio, di cui Oreste era rappresentante. Un astio che giocò il suo ruolo quando arrivarono gli arabi, i quali furono accolti in Egitto praticamente con gaudio per odio antibizantino (Costantinopoli aveva la mano pesante soprattutto con le tasse). Cirillo seppe del linciaggio a cose fatte.
Fonte: Antidoti, ottobre 2009
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GLI ERRORI DELLA LEGGE BASAGLIA (CHE CHIUSE I MANICOMI): OGGI I MIGLIORI PSICHIATRI SONO CONSIDERATI QUELLI CHE NON RICOVERANO
Autore: Ugo Catola - Fonte: Toscana Medica, settembre 2009
Ancora due casi sulle pagine dei giornali, con relative vittime, totalmente innocenti: l'omicidio del meccanico schiacciato da uno psicotico schizofrenico alla guida di un autobus rubato in un deposito a Livorno e il triplice omicidio d'uno psicotico depresso a Reggio Emilia. Da questi, e da molti altri casi, che continuano a riempire la cronaca criminale delle nostre contrade, sorge sempre la stessa domanda: dov'è e come funziona la psichiatria pubblica, quella pagata con i soldi del contribuente, i così detti "servizi psichiatrici"? Non finirò mai di ribadire che il vero punto debole della legge Basaglia (...) è nella deresponsabilizzazione della psichiatria pubblica, nella sua abdicazione ad agenzia di controllo sociale. L'abrogazione degli articoli del codice penale, omessa denuncia di malati di mente pericolosi, omessa custodia di malati di mente, contenuta nella legge Basaglia, quasi passata inosservata, parla chiaro. Adesso la responsabilità dello psichiatra è quasi scomparsa. Tutto dipende dalla sua onestà intellettuale e al suo arbitrio, dal suo sentire e dal suo desiderio d'intervenire nei casi più scabrosi senza paura e senza falsi pietismi, quando è necessaria una terapia, spesso non accettata dal paziente, o un ricovero. Però anche chi volesse farlo deve soggiacere alla volontà del sindaco, unica autorità politico-amministrativa (e non medica) in grado di discernere e decidere, essendo venuta meno la procedura d'urgenza, dove il medico poteva autonomamente decidere secondo scienza e coscienza, prevista nella precedente normativa. E poi la legge prevede un ricovero massimo di sette giorni e non più di 15 posti letto nei reparti, pardon, servizi psichiatrici ospedalieri, come se il legislatore potesse forgiare a suo piacimento la durata della malattia e delle cure. E che dire delle menti ancora intossicate dall'ideologia basagliana, che nega la vera natura delle malattie mentali e la pericolosità dei pazienti, attribuendo il tutto all'indimostrato assioma: la società li ha fatti ammalare, ricacciamoli a forza nella società! Se succede qualcosa è un prezzo che dobbiamo pagare. Purtroppo a pagare non sono mai gli psichiatri o gli amministratori, ma i vicini (familiari e non) e gli stessi pazienti, ai quali si spalancano le porte del cimitero e della galera.
Fonte: Toscana Medica, settembre 2009
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IL MANDYLION DI EDESSA DEI PRIMI SECOLI: LA CONFERMA STORICA CHE LA SINDONE E' AUTENTICA
Autore: Ilaria Ramelli - Fonte: Avvenire
Ho già ricordato che diverse testimonianze attestano come il Mandylion di Edessa fosse, in realtà, un lungo telo piegato in due quattro volte, in modo da mostrare solo il volto. Di qui la leggenda del ritratto di Cristo commissionato da Abgar, o, secondo la versione che si affermò, dell’impressione del volto di Cristo su stoffa (l’Achiropita non dipinta da mani umane). Anche Smera di Costantinopoli nell’VIII secolo afferma che l’immagine ricevuta da Abgar era, non del solo volto, ma dell’intero corpo di Gesù: «[Non tantum] faciei figuram sed totius corporis figuram cernere poteris». Ai suoi giorni quindi il Mandylion di Edessa era stato dispiegato, in modo da far apparire, sotto il volto, tutto il resto del corpo. Questa deduzione è confermata da un sermone del 769 di papa Stefano III, il quale menziona l’immagine gloriosa «del volto e di tutto l’intero corpo» di Gesù su un telo. Ancora nell’VIII secolo, Giovanni Damasceno attesta che a Edessa continuava ad essere conservata l’immagine sul telo (rhakos) su cui Gesù «aveva impresso la propria figura», e Gregorio II nello stesso secolo citava questa immagine fatta 'senza mano umana' (akheiroteuktos). Leone Anagnoste, quando da Costantinopoli andò a Edessa, vi vide «l’immagine sacra non fatta da mani umane [ akheiropoieton, da cui 'achiropita']». Nel 944, da Edessa, governata dai musulmani, l’Achiropita fu traslata a Costantinopoli. Lo spostamento fu diretto da Gregorio il Referendario, che in un’omelia del 944 affermò che il Mandylion edesseno era in realtà un lenzuolo funebre. Questo fatto, di cui si mostra al corrente anche Germano di Costantinopoli, poteva essere appurato soltanto una volta dispiegato il Mandylion in tutta la sua lunghezza. Fintanto che, invece, nei primi secoli della sua permanenza a Edessa il telo era stato conservato ripiegato in modo da mostrare solo il viso, si era creduto che fosse, non il lenzuolo sepolcrale di Gesù, ma il suo ritratto (un dipinto o un’achiropita). La presentazione del Mandylion di Edessa da parte di Gregorio il Referendario a Costantino Porfirogenito a Costantinopoli, dopo la traslazione, è raffigurata in una miniatura della Biblioteca Nazionale di Madrid: il Mandylion vi appare come un lungo telo. Come attesta la Diegesis o narrazione sul Mandylion di Edessa attribuita al Porfirogenito, dopo la traslazione esso fu disteso in tutta la lunghezza sul trono imperiale a Costantinopoli. La Diegesis insiste che l’immagine non è un dipinto, ma deriva dall’impressione di fluidi, e ne attesta il legame con la Passione: è l’impronta di sudore e sangue di Gesù, portata a Edessa da Taddeo. La natura sepolcrale del Mandylion divenne nota dopo il suo dispiegamento. A Costantinopoli ne avveniva l’ostensione ogni venerdì nella chiesa di Santa Maria Blachernissa, e quivi il Mandylion rimase fino al saccheggio della città nel 1204, quando fu recata in Occidente. Si può ormai seguirne storicamente l’itinerario attraverso Atene, Besançon, Ginevra, nei luoghi dei Templari, che veneravano il Sacro Volto, fino al suo arrivo a Torino, il che suggerisce l’identificazione del Mandylion con la Sindone. Questa ipotesi è rafforzata dalla presenza, riscontrata dal palinologo Max Frei, di pollini tipici dell’area di Edessa sulla Sindone. Questo indizio, insieme ai dati storici cui ho accennato e che ho studiato in un articolo su Ilu del 1999, nella recensione a Illert nella Review of Biblical Literature 2009, e successivamente in Possible Historical Traces in the Doctrina Addai? (Piscataway 2009), istituisce un forte nesso tra il Mandylion e la Sindone. Questa è oggi distesa, mentre a Edessa rimase a lungo «piegata in due quattro volte», cosicché era visibile solo il volto. Ma probabilmente si tratta sempre della stessa immagine di Cristo, impressa sul suo lenzuolo funebre, che da Gerusalemme arrivò a Edessa, dove restò per secoli, inizialmente ripiegata, per poi passare a Costantinopoli e infine, con vari spostamenti, in Europa, dove oggi appartiene alla Chiesa ed è conservata a Torino.
Fonte: Avvenire
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OMELIA PER LA XXXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - B - (Mc 13,24-32)
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 15 novembre 2009)
L'Anno liturgico volge ormai al termine e le letture della Messa ci portano a riflettere sulle ultime realtà della vita, su quello che ci aspetta al termine della nostra esistenza e alla fine dei tempi. Il brano del Vangelo, innanzitutto, ci vuole far comprendere una cosa di fondamentale importanza: questo mondo finirà, e le realtà terrene, che oggi sono per molti l’unica cosa che conta, sono destinate a perire. Il denaro, il potere, il possesso dei vari beni non possono garantire alcuna stabilità e, comunque, li dobbiamo lasciare al termine della nostra vita. Questa convinzione si deve radicare in noi e deve sottrarci al fascino dei beni terreni. Inoltre, il pensiero che un giorno saremo giudicati deve spronarci a usare saggiamente dei beni di questo mondo per fare il bene e non per alimentare il nostro egoismo. Il Vangelo afferma: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria» (Mc 13,26). Il Figlio dell’uomo è Lui, è Gesù, che per nostro amore ha voluto assumere la nostra natura umana. Sarà Lui il nostro Giudice, a cui il Padre ha affidato il compito di decidere la nostra sorte finale. Le uniche due cose sicure della nostra vita sono la morte e il Giudizio, tutto il resto è incerto. Un giorno moriremo e saremo subito giudicati da Gesù Cristo. Molto probabilmente, queste sono le cose a cui meno si pensa. Chi è saggio vi pensa spesso e cerca ogni giorno di prepararsi nel modo migliore a quel momento che sarà decisivo per la nostra eternità. Il modo migliore per prepararsi al Giudizio è quello di amare con tutto il cuore Colui che un giorno sarà nostro Giudice. Se vivremo nell’amicizia con Lui, se riceveremo frequentemente i sacramenti della Confessione e della Comunione, se allontaneremo il peccato dalla nostra vita, se ameremo Dio e il prossimo, non avremo nulla da temere da quel giudizio che sarà un giudizio di misericordia per tutti quelli che avranno usato misericordia. Il segreto per assicurarci un giudizio favorevole è appunto questo. Il Vangelo di oggi, inoltre, ci insegna a non dare retta alle previsioni allarmistiche di tutti quelli che ritengono imminente la fine del mondo. Questa fine può avvenire tra un giorno come tra milioni di anni, a noi non spetta saperlo. Gesù lo dice chiaramente: «Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre» (Mc 13,32). Quello che sappiamo con certezza è che un giorno moriremo, e quella sarà la nostra fine. Gesù vuole ammonirci perché quello che conta di più non è il giorno e l’ora, ma il modo con cui giungeremo all’incontro con Dio. L’uomo equilibrato e sereno sa che la sua vita deve finire, e sa anche che essa è destinata a una eternità più o meno beata a seconda del suo comportamento. Vi sono due Giudizi: il Giudizio particolare, al quale saremo sottoposti subito dopo la nostra morte, e il Giudizio universale che vi sarà alla fine dei tempi. Dopo il Giudizio particolare, l’anima riceverà subito la giusta retribuzione: o il Paradiso, molto spesso preceduto dalle sofferenze purificatrici del Purgatorio; oppure l’inferno, se al momento della morte l’anima si trova in peccato mortale. Alla fine dei tempi ci sarà il Giudizio universale. Con questo Giudizio avremo la definitiva vittoria del bene sul male. Il male non potrà mai avere il definitivo sopravvento sul bene e solo Dio avrà il suo pieno trionfo. In ogni epoca sono sorti errori di ogni genere, eppure anche i più potenti nemici di Dio sono tramontati. Nulla rimane in eterno su questa terra e tutti dovranno rendere conto a Dio. Come hanno fatto tutti i buoni cristiani, pensiamo anche noi a quelle due uniche cose certe della nostra vita: la morte e il Giudizio: da questa riflessione nascerà un miglioramento di tutta la nostra vita.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 15 novembre 2009)
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