BastaBugie n�380 del 19 dicembre 2014

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1 FAMIGLIE DISTRUTTE: DOPO 16 ANNI TUTTI ASSOLTI PERCHE' NON ERANO NE' PEDOFILI NE' SATANISTI
Magistrati e assistenti sociali hanno ammazzato una comunità cattolica: famiglie distrutte e il sacerdote morto di crepacuore... e ora chi paga? (VIDEO: La vita in diretta intervista la madre)
Autore: Emanuele Boffi - Fonte: Tempi
2 FINALMENTE AL CINEMA L'ULTIMO EPISODIO DE LO HOBBIT: LA BATTAGLIA DELLE 5 ARMATE
Si chiude con il sesto film il ciclo cinematografico che ruota attorno al libro più venduto del Novecento: ''Il Signore degli Anelli'' del cattolico Tolkien
Autore: Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 TERZO FILM DI LILIANA CAVANI SU SAN FRANCESCO, TERZA PRESA IN GIRO DEGLI SPETTATORI
Il Poverello d'Assisi viene presentato secondo le solite regole del pensiero politicamente corretto del momento
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
4 LE MERAVIGLIE DELLA MEDAGLIA MIRACOLOSA
A Parigi si può visitare la cappella nella rue du Bac dove nel 1830 la Madonna apparve all'umile suora santa Caterina Labouré
Autore: Roberto De Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana
5 SONO CRESCIUTA CON DUE MAMME: PER FAVORE, NON APPROVATE IL MATRIMONIO GAY!
Conosco la violenza della comunità Lgbt, sono stata una loro vittima, ecco la mia storia
Autore: Benedetta Frigerio - Fonte: Tempi
6 SE LO STUPRATORE E' ISLAMICO, LA POLIZIA LASCIA FARE
In una città inglese 1400 minorenni sono state violentate da musulmani, ma nessuno ha fatto nulla
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 LA CORTE DEI CONTI CONTESTA L'8 PER MILLE ALLA CHIESA
Eppure è solo un piccolo, parziale risarcimento dello Stato alla Chiesa per l'ingiusta confisca dei beni subita nel Risorgimento (ecco perché non ha senso l'8 per mille alle altre religioni)
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: Corrispondenza Romana
8 TUTTI I POPOLI DEVONO RICONOSCERE LA SOVRANITA' DI GESU' CRISTO
La dottrina della regalità sociale di Cristo, fissata da Pio XI nel 1925, stabilisce che ogni società umana non raggiunge i propri fini naturali senza essere ordinata a Cristo Re
Autore: Stefano Fontana - Fonte: Il Timone
9 OMELIA IV DOMENICA DI AVVENTO - ANNO B - (Lc 1,26-38)
Ecco la serva del Signore
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
10 OMELIA DELLA MESSA DI NATALE DEL GIORNO
Venne ad abitare in mezzo a noi
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Un Natale vero?

1 - FAMIGLIE DISTRUTTE: DOPO 16 ANNI TUTTI ASSOLTI PERCHE' NON ERANO NE' PEDOFILI NE' SATANISTI
Magistrati e assistenti sociali hanno ammazzato una comunità cattolica: famiglie distrutte e il sacerdote morto di crepacuore... e ora chi paga? (VIDEO: La vita in diretta intervista la madre)
Autore: Emanuele Boffi - Fonte: Tempi, 05/12/2014

Non erano pedofili, non erano satanisti, non rapivano i bambini seviziandoli in orge truculente. Dopo sedici anni (sedici anni!) si conclude con un'assoluzione l'incredibile vicenda di un piccola comunità della Bassa Modenese, in cui sono state coinvolte (e distrutte) le vite di famiglie, minori, sacerdoti. Tutti assolti. Ma a che prezzo? Al tremendo prezzo di esistenze triturate in un caso giudiziario che Tempi seguì sin dal principio, mostrando come le inoppugnabili prove presentate dai magistrati non fossero poi così inoppugnabili e dove solo qualche politico coraggioso (il senatore Carlo Giovanardi su tutti) ebbe il coraggio di protestare.
È una vicenda lunga, complessa e strabiliante. Ieri Lorena Morselli e Delfino Covezzi sono stati riconosciuti innocenti dall'accusa rivolta loro più di tre lustri fa. La sentenza dice che non hanno commesso il fatto.

HORROR DI PROVINCIA
Tutto cominciò il 12 novembre 1998, alle cinque di mattina, quando le forze dell'ordine irruppero a Massa Finalese (Mo) in casa Covezzi portando via i quattro figli (la maggiore aveva solo 11 anni). L'accusa per Lorena e Delfino era infamante: pedofili satanisti. Tutto era partito dalle accuse rivolte loro da una piccola cugina di otto anni con disturbi mentali e da un altro bambino, entrambi in carico ai servizi sociali, che raccontarono di strani riti in cui era coinvolto il parroco don Giorgio Govoni. Racconti pazzeschi, in cui genitori complici del sacerdote mettevano a disposizione i corpi dei propri figli in cerimonie orgiastiche nei cimiteri in cui avvenivano persino delle decapitazioni. In un'escalation granguignolesca, i piccoli venivano prelevati a scuola da un bus parrocchiale e portati in luoghi oscuri, dove la setta dei genitori compiva i suoi più atroci delitti.
«Durante queste messe nel cimitero, i grandi ci hanno fatto lanciare in aria dei bambini che poi ricadevano per terra e forse morivano», raccontò la bimba cui psicologi e magistrati diedero retta. Tutto tornava nella sceneggiatura del film horror di provincia: coppie all'apparenza irreprensibili e cattolicissime (Lorenza era insegnante nell'asilo parrocchiale), in combutta col sacerdote, compivano riti malvagi su bambini offerti loro, dietro compenso, dalle famiglie indigenti della zona. Si parlò addirittura di un fotografo che filmava e fotografava le pratiche per poi rivendere il materiale e di una bambina seviziata alle 13 di pomeriggio in un bosco vicino alla scuola, con una frasca di quaranta centimetri, dal nonno e da due zii.

SUGGESTIONI
I servizi sociali dell'Ausl avevano condotto i colloqui con i minori da cui erano partite le denunce. Coordinati da Marcello Burgoni, un ex seminarista, i servizi sociali avevano deciso di dare credito alle fantasie di quei due bambini. Di quei colloqui, si è scoperto in questi anni, non sono mai stati conservati né appunti né registrazioni. Oggi su Avvenire, Lucia Bellaspiga, racconta che «psicologi e assistenti sociali interrogarono sempre più bambini con una tecnica americana oggi inconcepibile, allora ritenuta all'avanguardia: una suggestione progressiva del bimbo cui, a partire da sogni o da frammenti di colloqui, si suggerivano le risposte che da loro ci si aspettava. Oggi la Carta di Noto e il Protocollo di Venezia impediscono questo scempio e i periti vengono formati a raccogliere le testimonianze dei piccoli senza suggestionarli, filmando e registrando ogni colloquio. Nel caso della Bassa Modenese, invece, i video sono un'eccezione e dai pochi che restano si vede bene come si arrivò a don Giorgio Govoni: Piccolina, chi era quell'uomo? Un dottore? Risposta: sì. Ma poteva anche essere un sindaco? Sì. Anche un prete? Sì. Poteva chiamarsi Giorgio? Hai mai sentito questo nome? Ovvio che sì».
La comunità del paese era incredula. Possibile che tutto ciò sia avvenuto senza che nessuno si fosse mai accorto di nulla? Possibile che il medico della famiglia Covezzi non si fosse mai accorto della violenze sui bambini? Possibile che tutte le ricerche nel fiume – dove si diceva fossero stati gettati dal prete i corpi dei bambini – non avessero mai portato ad alcun ritrovamento? Intanto, però, le famiglie furono divise e tredici minori sottratti ai genitori della setta. Una congrega che secondo gli inquirenti coinvolgeva 17 persone e sette sacerdoti.

UN PROCESSO KAFKIANO
Qui inizia la storia di un processo che definire kafkiano è un eufemismo, con consulenti della procura che firmarono perizie in cui gli abusi erano solo presunti ma non verificati, periti di parte civile non ammessi. Intanto, però, il Tribunale dei minori continuò per mesi a firmare provvedimenti "provvisori", impedendo i ricorsi ai Covezzi. È la storia di un processo in cui gli appunti dei colloqui coi bambini andavano incredibilmente "perduti" e bambine che si presumeva essere state abusate «cento volte» e che risultavano, invece, essere vergini. Con gli anni, tutte le accuse sono cadute man mano: la piccola violentata nel bosco vicino alla scuola? Il bosco non esiste, la minore uscì regolarmente da scuola coi compagni. E il nonno e gli zii pedofili? Quel giorno non erano lì: abitano a 85 chilometri di distanza.

MORTI DI CREPACUORE
Pian piano (molto piano) la verità è venuta a galla. E così si è scoperto che l'inferno non era quello prospettato da giudici e assistenti sociali, ma quello vissuto dalle famiglie coinvolte nella vicenda. Una delle madri si è suicidata. Sette persone sono morte di crepacuore; tra queste anche don Govoni, cadendo nelle braccia del suo avvocato un giorno prima della sentenza. Lorena è fuggita in Francia, lasciando in Italia il marito Delfino che ha proseguito nella battaglia giudiziaria di cui, tragica sorte, non ha potuto vedere la conclusione perché è morto d'infarto prima dell'assoluzione. Parlando con Avvenire, Lorena ha raccontato tra le lacrime le sofferenze di questi anni in cui i suoi quattro figli, affidati ad altre famiglie, hanno sempre rifiutato di incontrarla. «Se io e Delfino non siamo impazziti è solo grazie alla fede e alla totale solidarietà del paese, che ha sempre sostenuto la nostra innocenza. Ora però vorrei tanto riuscire a farmi ascoltare dai miei figli, spiegare loro che li ho sempre cercati. Mi affido allo Spirito Santo, che mi aiuti».

CHI PAGA? E' GIUSTIZIA QUESTA?
Ieri in aula al Senato, Giovanardi ha pronunciato un breve discorso per ricordare questa tragica vicenda, di cui – a parte Avvenire e Tempi – nessuno conserva più memoria. «Mi domando e domando a voi – ha chiesto il senatore rivolgendosi ai colleghi – che sistema giudiziario è quello che distrugge una famiglia, porta via ai genitori i quattro figli minorenni e solo dopo 16 anni comunica loro quello che fin dall'inizio si capiva e cioè che erano totalmente innocenti rispetto agli addebiti infamanti loro rivolti. E malgrado il fatto che fossero già stati assolti in appello, la sentenza è stata impugnata in Cassazione. Sono stati di nuovo assolti in appello e nuovamente la sentenza è stata impugnata in Cassazione. Parliamo di prescrizione e di tempi della giustizia, ma forse dovremmo parlare anche di consapevolezza, di servizi sociali, di assistenti sociali irresponsabili e di magistrati che, comunque vada a finire un processo, hanno già massacrati gli imputati, colpevoli o innocenti che risultino essere alla fine del procedimento. Ebbene: chi paga? Chi risarcisce questa famiglia dal fatto di essere stata distrutta? E perché l'opinione pubblica non è stata coinvolta? Perché lei era una maestra d'asilo, fra le altre cose cattolica e che lavorava in parrocchia, o perché lui era un povero fuochista che lavorava nel settore della ceramica? (...) Sono voluto intervenire per abbracciare le vittime di questa vicenda, la mamma che è rimasta, il papà che è morto ed i figli che hanno subito questo massacro, sperando che nel Parlamento e nella magistratura (a proposito della quale parliamo di responsabilità civile) vi sia la consapevolezza che quando si tratta della vita delle persone la giustizia deve dare una risposta in tempi utili; la giustizia deve stabilire se una persona è colpevole o innocente, ma non può far stare un presunto colpevole tutta la vita sotto processo, perché quando alla fine la giustizia arriva, dopo 16 anni, purtroppo arriva fuori tempo massimo».

Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 13 minuti) Lorena Covezzi, la madre dei quattro figli, risponde alle domande di Cristina Parodi a La vita in diretta su Rai Uno.


https://www.youtube.com/watch?v=C7r2P5FL0yg

DOSSIER "SACERDOTI ALLA GOGNA"
Accusati ingiustamente, poi assolti

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Fonte: Tempi, 05/12/2014

2 - FINALMENTE AL CINEMA L'ULTIMO EPISODIO DE LO HOBBIT: LA BATTAGLIA DELLE 5 ARMATE
Si chiude con il sesto film il ciclo cinematografico che ruota attorno al libro più venduto del Novecento: ''Il Signore degli Anelli'' del cattolico Tolkien
Autore: Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 15/12/2014

L'episodio conclusivo della trilogia cinematografica de Lo Hobbit sta finalmente per giungere sugli schermi italiani, concludendo così il ciclo dedicato dal regista Peter Jackson al libro (troppo semplicisticamente definito il prequel del Signore degli Anelli) che rivelò lo straordinario talento narrativo di John Ronald Reuel Tolkien. Probabilmente non avremo più altri film ispirati al mondo fantastico dello scrittore inglese: ben difficilmente verranno concessi dalla famiglia Tolkien i diritti per la trasposizione filmica del Silmarillion, vista la delusione per il lavoro di Jackson espressa dal figlio dello scrittore Christopher, che in questi anni ha pubblicato una serie di testi inediti del padre, testi magari meno appetibili per il grande pubblico, ma di grande valore letterario, come accaduto recentemente con la versione del Beowulf, antico poema anglosassone, curata da J.R.R. Tolkien.

OLTRE UN DECENNIO CONDITO DA SEI FILM
Si chiude quindi con la conclusione dell'epica cinematografica un periodo durato dal 2001 ad oggi, che ha segnato la riscoperta di un grande scrittore, nonché di un vero e proprio maestro, in una società che di buoni maestri ne ha un disperato bisogno. Tolkien va ormai considerato non solo un autore di successo, ma come un autentico classico. Egli ha riproposto, in pieno ventesimo secolo, il genere letterario epico, ridando dignità letteraria all'antichissimo genere della narrativa dell'immaginario. Qualcosa di più, insomma, di una semplice fantasy. Non è un caso, infatti, che sia difficile, quasi impossibile, trovare dei suoi eredi. Non lo sono certo gli autori di genere che attualmente vanno per la maggiore, come George Martin o Joseph Abercrombie, con la loro narrativa cruda, cruenta, iperrealistica nelle descrizioni.
L'epica di Tolkien, come la grande epica classica, è caratterizzata dalla presenza del senso religioso. Con molta chiarezza. Altro che definirlo "il signore degli equivoci", o negare con ottusa ostilità la presenza della visione cristiana nella sua opera, esaltando magari una presunta "paganità" dell'opera. Il grande scrittore inglese era permeato di una profonda religiosità, attinta direttamente alla scuola del beato cardinale Newman. Se nel romanzo non esplicita mai il suo cattolicesimo, è perché – da cattolico inglese- inserito quindi in una tradizione tragica, fatta di secoli di persecuzione e clandestinità, sapeva che la Verità in un contesto ostile va annunciata in tutta la sua pienezza, ma con prudenza.
Anni fa, nel mio libro Tolkien il mito e la Grazia ebbi a definire lo scrittore di Oxford «l'Omero cristiano del '900». Questo a ragione del suo partire dal Mythos per arrivare al Logos: dalla ricerca della verità, dalla domanda, che è la dimensione dei miti, all'incontro con la risposta, che è il Logos, il Significato. Oggi lo accosterei per molti aspetti a Shakespeare. Il bardo di Stratford, che molti studi recenti hanno dimostrato esser stato quasi certamente un cattolico clandestino nella terrificante tempesta delle persecuzioni elisabettiane, seppe parlare al cuore degli uomini con il linguaggio della poesia, del teatro, della rappresentazione buffa o tragica della realtà, ricordando loro l'esistenza di cose belle e di un bene da perseguire.

QUANDO SI VOLTANO LE SPALLE ALLA FEDE DEI PADRI
Così fece tre secoli dopo Tolkien, che curiosamente veniva dalla stessa zona di Inghilterra di Shakespeare, quella delle Midlands. Così come l'Inghilterra rinascimentale, un tempo perla della cristianità, aveva abbandonato la fede per adorare gli idoli della ricchezza, del potere e dell'orgoglio, così Tolkien ci descrive in tutte le sue opere, dallo Hobbit al Signore degli Anelli, al Silmarillion, cosa accade quando si tradisce il proprio compito e mandato (Saruman), quando si voltano le spalle alla fede dei padri per volgersi al culto di Melkor. L'idolatria, cioè il voltare le spalle alla Verità, al Bene, a Dio, è per Tolkien l'origine stessa del male.
In una sua lettera Tolkien ci tenne a precisare cosa intendeva con il conflitto bene – male, fede – idolatria: «Ne Il Signore degli Anelli il conflitto fondamentale non riguarda la libertà, che tuttavia è compresa. Riguarda Dio, e il diritto che Lui solo ha di ricevere onori divini». La più bella eredità di Tolkien sta dunque nel ricordarci che il compito della vita – come lo realizzano Gandalf, gli Hobbit, Aragorn- è quello di sanare ciò che è malato, lasciando a chi verrà dopo di noi «terra buona e sana da coltivare». É quello di sanare se stessi, trasformandosi o, riconciliando la propria natura con quel dono proveniente dal divino definito "grazia".

Nota di BastaBugie: per ulteriori informazioni sugli hobbit e per vedere il trailer del film "Lo Hobbit 3: la battaglia delle cinque armate", clicca qui sotto
http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=34
Per sapere quali sono i migliori libri sugli hobbit e su Tolkien, clicca qui sotto
http://www.filmgarantiti.it/it/articoli.php?id=19
Test sul Signore degli Anelli
1) Qual è la creatura più antica?
2) Qual è la creatura più veloce?
3) Qual è la creatura più indifferente all'anello?
4) Qual è la creatura più bella che abbia mai calpestato l'erba della Terra di Mezzo?
Trovi le risposte al seguente link
http://www.filmgarantiti.it/it/articoli.php?id=18

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 15/12/2014

3 - TERZO FILM DI LILIANA CAVANI SU SAN FRANCESCO, TERZA PRESA IN GIRO DEGLI SPETTATORI
Il Poverello d'Assisi viene presentato secondo le solite regole del pensiero politicamente corretto del momento
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12/12/2014

Contare i film su san Francesco è ormai impossibile e, personalmente, non nascondo di averne le tasche piene. Non del santo, ci mancherebbe, ma del suo brand di «più amato dagli italiani» come la cucina scavolini. Non c'è epoca che non ne aggiorni la figura in base al pensiero politicamente corretto del momento. La Cavani, poi, dato il ritmo sempre più parossistico del cambiamento, ogni tot anni sente l'esigenza di rinverdirlo per renderlo "attuale". Ci aspettiamo dunque, visto l'andazzo corrente, un Francesco gay (in fondo, gli elementi biografici ci sarebbero: amicizia platonica con Chiara, compagnia di soli giovani maschi...).

FRANCESCO-SECONDO-ME
Per questo è con un certo fastidio - e anche per accontentare mia moglie - che ho guardato la seconda e ultima parte del nuovo Francesco cavaniano su RaiUno. Come volevasi dimostrare, non mi sono affatto pentito di non aver guardato la prima. Infatti, pur di mostrare un Francesco-secondo-me, la storia è stata fatta a coriandoli. Francesco pacifista che quasi si picchia coi crociati perché non vuole che vadano all'assalto, il colloquio col sultano diventato il contrario esatto di quel che fu, la solita solfa del Poverello ribelle contro l'istituzione-Chiesa, la menata della povertà assoluta e dell'ignoranza beata, Chiara che addirittura fa lo sciopero della fame perché non le vogliono far fare la povera come vuole lei... Basta, per pietà, lasciatelo in pace quel santo, non se ne può più.
Leggendo un paio di interviste della regista a Credere (7 dicembre) e A sua immagine (6 dicembre) si nota, tra le altre, questa perla "francescana": «un'idea di fratellanza diffusa, inedita per i suoi tempi e precorritrice di quello che sarà il secolo dei Lumi e la Rivoluzione francese». E ci mancava giusto il Francesco giacobino, alla collezione. Quanto fosse, poi, «inedita» l'idea lo potrebbero dire i valdesi, che giusto prima di Francesco la ebbero, e pure organizzata. La povertà? Appena morto il fondatore, il suo movimento si scisse e i Fraticelli pretesero di interpretarne il vero pensiero: povertà assoluta e totalizzante (infatti, si autodefinirono Spirituali). La Chiesa li scomunicò. Perché? Perché una cosa è fare il povero, come fece Francesco, altra è voler imporlo a tutti come la sola esatta interpretazione del Vangelo. L'ignoranza vista come virtuosa e beata? A Francesco interessava solo l'umiltà, tant'è che autorizzò sant'Antonio di Padova ad aprire una scuola per francescani: i laici potevano predicare solo se avevano studiato, altrimenti avrebbero propalato solo eresie e stravaganze. Infatti, i seguaci di Pietro Valdo pretendevano di predicare senza un previo esame da parte della Chiesa.

SAN FRANCESCO INVIA IL COLTO SANT'ANTONIO
Francesco sapeva bene che contro i ferratissimi catari ci voleva una solida base dottrinale, perciò contro di loro mandò il suo uomo migliore, Antonio. Già, perché i catari avevano invaso le regioni più ricche e colte d'Europa, il Norditalia e la Provenza, terra della sua adorata mammà (in omaggio alla quale suo padre lo aveva chiamato, appunto, Francesco). Fu contro la dottrina catara antimaterialista che Francesco intonò il celebre Cantico delle creature (che però non elenca alcun animale). Per fronteggiare l'altro grave pericolo che la cristianità correva, l'islam, inviò in Africa cinque missionari. Che però tornarono stecchiti come protomartiri, perché con la semplicità "francescana" si poteva solo finire ammazzati. E allora Francesco decise di provvedere personalmente. Non era affatto uno sconosciuto tra i crociati (come nel film della Cavani viene mostrato), al contrario era già famoso e venerato. Il sultano sapeva bene che quello era un po' il cappellano dei combattenti cristiani, e che questi sarebbero diventati delle belve se gli avesse torto un capello. Solo per questo Francesco fu trattato con riguardo, ma il suo fu un sonoro flop. Invece, secondo il Cavani-pensiero, nel film «c'è il Francesco antesignano del dialogo tra religioni». Chi, lui? Francesco reclamò l'ordalia per dimostrare la superiorità di Cristo, una medievalissima prova del fuoco che il sultano si guardò bene dall'accettare.

ALTRO CHE DIALOGO INTERRELIGIOSO
Fu proprio un francescano, il beato Raimondo Lullo, a rendersi conto che bisognava cambiare metodo: a crociate finite (e fallite), creò una scuola in cui i francescani imparavano l'arabo e studiavano il Corano, proprio per cercare un "dialogo" coi musulmani. Ma fu un fallimento anche questo, e lo stesso Lullo finì lapidato in Africa. É vero, una fiction non è un documentario e la Cavani o chi per lei ha il diritto di narrare fantastorie fin che vuole. Ma è anche vero che, così, il contribuente è costretto a sorbirsi fantastorie che non formano ma deformano. Quando ero piccolo io -tanto, tanto tempo fa in una galassia lontana lontana- le suore portavano le scolaresche a vedere Marcellino pane e vino. Oggi le porteranno a vedere l'ennesimo film su Francesco, senza avvertire che già il titolo è sbagliato: dovrebbe chiamarsi Cosa Liliana Cavani pensa, oggi, di san Francesco d'Assisi. Il bello è, tra l'altro, che la regista non ha mai cambiato idea su Francesco, fin dal primo dei suoi tre film, quello del 1966. Anzi, non ha mai cambiato idea su niente, basta pensare al suo Galileo. Infatti, ecco un altro brano di intervista su Francesco: «É il cambiamento: la rivoluzione, l'evoluzione spirituale e privata di ognuno di noi. É il rifiuto dell'omologazione, della dittatura». Ma sì, speriamo che prima o poi un regista lo faccia davvero un Francesco che rifiuta l'omologazione e la dittatura. Quelle del politicamente corretto. Mel Gibson, dove sei?

DOSSIER "SAN FRANCESCO"
Quello vero!

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12/12/2014

4 - LE MERAVIGLIE DELLA MEDAGLIA MIRACOLOSA
A Parigi si può visitare la cappella nella rue du Bac dove nel 1830 la Madonna apparve all'umile suora santa Caterina Labouré
Autore: Roberto De Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana, 26/11/2014

Chiunque si rechi a Parigi ha la possibilità di visitare la cappella della Medaglia miracolosa, al numero 140 rue du Bac, dove nel 1830 la Beata Vergine Maria apparve più volte ad una umile suora, poi elevata agli altari, Caterina Labouré.
Da queste apparizioni ha origine la Medaglia miracolosa, così detta non solo per la sua origine celeste, ma per i suoi straordinari effetti sulle anime e sulla società. Caterina era una giovane novizia di ventiquattro anni, di umili natali, che aveva coronato da pochi mesi il suo ardente desiderio di entrare nelle Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli.

LE APPARIZIONI
La prima apparizione della Madonna avvenne il 18 luglio 1830, quando ella fu invitata da un angelo a seguirla nella cappella e vide la Santissima Vergine sedersi sui gradini dell'altare, dal lato del Vangelo, in una seggiola, che ancor oggi è esposta alla venerazione dei fedeli. La giovane si gettò ai piedi della Madonna, poggiando le mani sulle sue ginocchia. «Quello - ricorda la santa - fu il momento più dolce della mia vita. Mi è impossibile esprimere tutto ciò che provai». «Figlia mia - le disse la Madonna - il buon Dio vuole affidarti una missione. I tempi sono molto tristi, sciagure stanno per colpire la Francia; il trono sarà rovesciato, il mondo intero sarà sconvolto da disgrazie di ogni specie... La S. Vergine aveva l'aria molto afflitta dicendo questo, ma (continuò): Venite ai piedi di quest'altare; qui le grazie saranno sparse su tutte le persone che le domanderanno con fiducia e fervore, saranno sparse sui grandi e sui piccoli».
La grande missione fu rivelata a Caterina nella seconda apparizione, il 27 novembre 1830. La giovane vide formarsi attorno alla Santa Vergine «un quadro un poco ovale in cui stavano in alto queste parole: O Maria concepita senza peccato pregate per noi che ricorriamo a voi, scritte in lettere d'oro. Allora si fece sentire una voce che mi disse: "Fate, fate coniare una medaglia secondo questo modello. Tutte le persone che la useranno riceveranno grandi grazie, portandola al collo. Le grazie saranno abbondanti per le persone che la porteranno con fiducia". Immediatamente il quadro mi è sembrato voltarsi e ho veduto il rovescio della medaglia».
Sul retro del quadro la suora scorse «il monogramma della Santa Vergine, composto dalla lettera M sormontata da una croce, con una sbarra alla sua base, e, al di sotto della suddetta lettera M, i due cuori di Gesù e di Maria, che distinse perché uno era circondato da una corona di spine, e l'altro era trafitto da una spada».
Nei mesi e negli anni seguenti le sciagure previste dalla Madonna cominciarono a realizzarsi con la caduta della monarchia di Carlo X, sostituita da quella "liberale" di Luigi Filippo. I primi esemplari della medaglia furono coniati e diffusi con l'approvazione dell'arcivescovo di Parigi. Le grazie e i miracoli moltiplicarono le richieste e la parrocchia di Notre-Dame des Victoires, divenne un centro di straordinaria propagazione della devozione.
Il mondo e le stesse consorelle di Rue du Bac ignoravano però il nome della suora che aveva ricevuto le apparizioni: 46 anni di silenzio, di nascondimento, di preghiera attendevano Caterina, che morì a Parigi il 31 dicembre 1876. Lei che aveva visto almeno sei volte la Vergine, che aveva assistito alla prodigiosa diffusione della Medaglia in tutto il mondo, ed ai miracoli di cui era stata strumento; lei che tante volte aveva sentito parlare dagli altri delle rivelazioni della Madonna a una sconosciuta novizia, restò sempre impassibile e mai tradì il suo segreto, né con le compagne, né con le superiore, né con la sua famiglia.

I FRUTTI DELLA NUOVA DEVOZIONE
Il frutto più strepitoso della nuova devozione fu la conversione dell'ebreo Alfonso Ratisbonne, a cui la Madonna della Medaglia miracolosa apparve il 20 gennaio 1842, nella chiesa di Sant'Andrea delle Fratte a Roma. Una lapide posta in uno dei pilastri della cappella dell'apparizione, dove ancora oggi si venera la «Madonna del Miracolo», così ricorda l'avvenimento: «Il 20 gennaio 1842, Alfonso Ratisbonne venne qui ebreo indurito. La Vergine gli apparve come tu la vedi. Cadde ebreo si rialzò cristiano. Straniero: porta con te questo prezioso ricordo della misericordia di Dio e del potere della SS. Vergine».
La notizia dello straordinario miracolo infiammò la devozione popolare verso la Medaglia miracolosa e contribuì ad affrettare la proclamazione del dogma dell'Immacolata da parte di Pio IX, l'8 dicembre 1854. Leone XIII, fatta esaminare ogni circostanza sui fatti di rue du Bac, nel 1880, in occasione del cinquantenario delle apparizioni, dichiarò autentica la miracolosa conversione del Ratisbonne e concesse la festa della Medaglia, al 27 novembre di ogni anno, con rito di seconda classe.
Caterina Labouré fu beatificata da Pio XI il 28 maggio 1933 e canonizzata da Pio XII il 27 luglio 1947; le sue reliquie riposano nella cappella in cui ebbe le apparizioni. Pio XI, il 19 luglio 1931, in occasione del processo di beatificazione di Caterina Labouré, accennando ai mali che affliggevano la Chiesa, disse: «In questi giorni risplende la Medaglia miracolosa, come per richiamarci in modo visibile e tangibile che alla preghiera tutto è permesso, anche i miracoli, e soprattutto i miracoli. In ciò sta la specialità magnifica della Medaglia miracolosa, e noi abbiamo bisogno di miracoli. è già un gran miracolo che i ciechi vedano... ma vi è un altro miracolo che dobbiamo domandare a Maria Regina della Medaglia, ed è che vedano quelli che non vogliono vedere...».
Tra i tanti santi devoti della Medaglia miracolosa, fu il giovane Massimiliano Kolbe, che il 20 gennaio 1917, settantacinquesimo anniversario dell'apparizione, nell'ascoltare la rievocazione della conversione del Ratisbonne, nella Chiesa di sant'Andrea delle Fratte, concepì l'istituzione della sua Milizia dell'Immacolata, col fine di «cercare la conversione dei peccatori, eretici, scismatici, giudei ecc., e specialmente dei massoni; e la santificazione di tutti sotto il patrocinio e mediante la B.V.M. Immacolata».

UNA RICCA SIMBOLOGIA
La Medaglia miracolosa ci propone una ricca simbologia. Da una parte è raffigurata la Vergine Maria, dalle cui mani piovono raggi sul mondo, ricordandoci il ruolo che Ella ha di Mediatrice di tutte le grazie; sul retro c'è il monogramma mariano, intrecciato con una Croce e circondato da 12 stelle. La Croce che sovrasta la M di Maria ricorda la Croce che nel labaro di Costantino era sostenuta dai vessilli delle legioni romane e, come in quel caso, è simbolo di battaglia e di vittoria. Davanti al nome di Maria, come di fronte a quello di Gesù, piegano le ginocchia i cieli, la terra e gli abissi.
I due Cuori di Gesù e di Maria alla base della lettera M ricordano a sua volta l'indissolubile legame che lega i due Cuori, che ne formano uno solo, al quale è legata la salvezza e la rigenerazione del mondo. Le 12 stelle sono quello che circondano la fronte della donna dell'Apocalisse, figura della Chiesa, ma anche figura di Maria, che della Chiesa è Madre e Regina. La Medaglia miracolosa, portata con fiducia da tanti cattolici in tutto il mondo, continua ancora oggi la sua silenziosa ma portentosa missione.
Essa va disseminata ovunque, nei fondamenti delle case, sulle vette dei monti, nelle profondità dei mari e soprattutto va portata al collo, affinché tutto e tutti siano sotto la protezione continua e infallibile di Maria Santissima. L'ultimo grande miracolo che i fedeli le chiedono insistentemente è la dissipazione degli errori e delle tenebre morali in cui è immerso il mondo moderno. La potenza e la misericordia della Madonna non ha limiti, come ci dimostra la miracolosa conversione di Alfonso Ratisbonne, che ai suoi piedi «cadde ebreo e si rialzò cristiano».

Nota di BastaBugie: nella seconda apparizione santa Caterina ricevette dalla Vergine la missione di far coniare la celebre Medaglia che sarà poi definita "miracolosa". La Madonna stessa le indicò il modello facendoglielo vedere. Leggiamo il racconto di santa Caterina:
Il 27 novembre 1830, che capitava il sabato antecedente alla prima domenica di Avvento, alle cinque e trenta di sera, facendo la meditazione in profondo silenzio, mi parve di sentire dal lato destro della cappella un rumore come il fruscio di una veste di seta. Avendo volto lo sguardo a quel lato, vidi la Santissima Vergine all'altezza del quadro di San Giuseppe. La sua statura era media, e la sua bellezza tale che mi è impossibile descriverla. Stava in piedi, la sua veste era di seta e di color bianco-aurora, fatta, come si si dice 'alla vergine', cioè accollata e con maniche lisce. Dal capo le scendeva un velo bianco sino ai piedi. Aveva i capelli spartiti e una specie di cuffia con un merletto di circa tre centimetri di larghezza, leggermente appoggiato ai capelli. Il viso era abbastanza scoperto; i piedi poggiavano sopra un globo; o meglio, sopra un mezzo globo, o almeno io non ne vidi che una metà (più tardi la Santa confesserà di aver visto sotto i piedi della Vergine anche un serpente color verdastro chiazzato di giallo). Le sue mani, elevate all'altezza della cintura, mantenevano in modo naturale un altro globo più piccolo che rappresentava l'universo. Ella aveva gli occhi rivolti al cielo, e il suo volto diventò risplendente, mentre presentava il globo a Nostro Signore. Tutto ad un tratto le sue dita si ricoprirono di anelli, ornati di pietre preziose, le une più belle delle altre, le une più grosse e le altre più piccole, le quali gettavano dei raggi gli uni più belli degli altri: questi raggi partivano dalle pietre preziose; le più grosse gettavano raggi più grandi, e le più piccole raggi meno grandi, sicché tutta se ne riempiva la parte inferiore, e io non vedevo più i suoi piedi...Mentre io ero intenta a contemplarla, la Santissima Vergine abbassò gli occhi verso di me e intesi una voce che mi disse queste parole: 'Questo globo che vedete rappresenta tutto il mondo, in particolare la Francia ed ogni singola persona...'. E la Vergine Santissima aggiunse: 'Sono il simbolo delle grazie che io spargo sulle persone che me lo domandano', facendomi comprendere quanto è dolce pregare la Santissima Vergine e quanto Ella è generosa con le persone che La pregano; quante grazie Ella accorda alle persone che gliele cercano e quale gioia Ella prova nel concederle. In quel momento, io ero e non ero...Non so...io godevo. Ed ecco formarsi intorno alla SS.Vergine un quadro alquanto ovale, sul quale in alto, a modo di semicerchio dalla mano destra alla sinistra di Maria si leggevano queste parole scritte a lettere d'oro: 'O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi'. Allora si fece sentire una voce che mi disse: 'Fate, fate coniare una medaglia su questo modello; tutte le persone che la porteranno, riceveranno grandi grazie specialmente portandola al collo; le grazie saranno abbondanti per le persone che la porteranno con fiducia...'. All'istante mi parve che il quadro si voltasse e io vidi il rovescio della Medaglia. Vi era la lettera M (iniziale del nome Maria) sormontata da una croce senza crocifisso che aveva come base la lettera I (iniziale del nome Iesus, Gesù). Più sotto poi vi erano due cuori, uno circondato di spine (quello di Gesù), l'altro trapassato da una spada (quello di Maria). Dodici stelle infine circondavano il tutto. Poi tutto disparve, come qualcosa che si spegne, ed io sono rimasta ripiena non so di che, di buoni sentimenti, di gioia, di consolazione.

Fonte: Corrispondenza Romana, 26/11/2014

5 - SONO CRESCIUTA CON DUE MAMME: PER FAVORE, NON APPROVATE IL MATRIMONIO GAY!
Conosco la violenza della comunità Lgbt, sono stata una loro vittima, ecco la mia storia
Autore: Benedetta Frigerio - Fonte: Tempi, 22/11/2014

«Conosco la loro violenza. Sono stata una loro vittima. Non sono loro le vittime. Per favore, usate buon senso e mantenete in Texas la definizione di matrimonio tra uomo e donna». Nell'aula del quinto circuito della Corte d'appello dello Stato del Texas la signora B.N. Klein, 54 anni, è stata chiamata a testimoniare riguardo alla sua vita come figlia di una coppia di lesbiche e attiviste Lgbt. La legge texana definisce il matrimonio come unione tra uomo e donna ma a febbraio, dopo il ricorso di una coppia, un giudice federale ha dichiarato incostituzionale il divieto di celebrare nozze gay. Lo Stato del Texas ha fatto ricorso e la signora Klein ha reso la sua testimonianza in aula il 15 settembre nell'ambito del processo di appello.

TRATTATI COME ARREDI
Ho visto – ha esordito Klein – che i bambini nelle famiglie gay sono spesso trattati come arredi da mostrare pubblicamente per provare che le famiglie gay sono esattamente come quelle eterosessuali. Mio fratello più piccolo è stato usato per questo scopo». Anche a Klein è stato assegnato un ruolo da piccola: «Mi chiedevano di difendere mia madre e la sua compagna anche quando non venivano criticate. Dovevo alzarmi e dire cose di questo tipo: "Non puoi permetterti di parlare così ai miei genitori!"».

EDUCAZIONE
Nella comunità gay, continua, ai bambini «insegnavano che quasi tutti gli ebrei (come me) e la maggioranza dei cristiani sono stupidi, che odiano i gay e sono violenti. Mi hanno insegnato che i gay erano più creativi e artistici perché non erano sessualmente repressi e che erano naturalmente più sensibili. Inutile dire che non era la mia esperienza». A 11 anni Klein scoprì «che la comunità gay aveva anche un'ossessiva ed invasiva preoccupazione per la sessualità dei loro figli. Incoraggiavano l'attività sessuale perché erano "aperti di mente". Mia madre mi disse che essere vergine era da stupidi». Questo «dimostra che [gli attivisti Lgbt] guardano i figli come una mera estensione di sé e non come esseri umani separati da loro». Influenzata dal clima, durante l'adolescenza «non ho mai avuto un fidanzato né interesse per gli uomini. (…) Non mi era neppure permesso di esprimere la mia femminilità nel modo di vestire».

LA CASA
Dopo il divorzio dei genitori, la madre si è portata dietro Klein nella casa della compagna, dove ha vissuto «fino alla morte». La nuova casa «era sempre in pessimo stato», anche se «né mia madre né la sua partner lavoravano». Però le due donne erano «molto attive nella causa della "liberazione gay"», motivo per cui «i pasti erano infrequenti» e «quando venivano preparati erano o bruciati o crudi. Pesavo 36 chili a 16 anni». La sera, mentre la compagna beveva, la madre si drogava. La maggioranza delle comunità gay frequentate dalla madre di Klein «si fondavano su sesso e odio», la droga «era abbondante» e «assunta apertamente».

OMOSESSUALITÀ OSTENTATA
L'aspetto più difficile della vita di Klein era rappresentato dal «dover rendere continuamente omaggio alla loro omosessualità». In generale, «la loro omosessualità condizionava qualsiasi cosa: le loro amicizie, quello che leggevano, le vacanze che facevano». Come gli altri membri della comunità Lgbt conosciuti da Klein, «odiavano tutte le persone religiose (…) e ogni persona che non era omosessuale, perché essendo gay si percepivano come dotati di intelligenza e gusti superiori. (…) Era un'ossessione condivisa da molti dei loro amici e conoscenti». È per questo che «ad ogni cameriera veniva chiesto di "portare un po' d'acqua per la mia amata". Ad ogni commesso [dicevano] "noi stiamo insieme"».

ARROGANZA E DISPREZZO
Ogni persona che incrociavano «doveva essere informata della loro omosessualità». Spesso le due donne rimproveravano la gente usando qualche pretesto, «a volte magari si trattava della madre o del fratello di qualche mio compagno di classe. E questo rendeva la mia vita ancor più difficile». Per loro «non contava la storia di una persona», i «suoi successi» o «fallimenti», perché «l'unica cosa che importava era cosa pensasse dei gay. Questo mi trasmise una certa arroganza e una visione a senso unico che nessun bambino così piccolo dovrebbe sviluppare», perché «non gli permette di vedere le persone nel loro complesso» né «di trovare un posto nel mondo quando gli si insegna a vivere nel disprezzo».

LA ROTTURA DELLA TIBIA
Quando le due donne capirono che Klein non approvava il loro modo di vivere «fui condannata a una vita di dura ostilità da parte di mia madre e della sua compagna. Portata avanti con il sostegno di tutti i loro amici gay». Fra gli episodi più eclatanti, Klein racconta di quando si ruppe una tibia e rimase alcune settimane in ospedale praticamente senza ricevere visite, perché la madre «non amava le occhiate dell'infermiera». Uscita dall'ospedale, la tibia fece infezione e Klein iniziò a provare dolori fortissimi per cui «non potevo smettere di piangere». Ma solo dopo tre mesi la madre la portò dal medico perché secondo la compagna stava «cercando di attirare l'attenzione». Il medico constatò che l'osso non si era riposizionato correttamente, perciò «fui sottoposta a diverse operazioni chirurgiche, da sola». La madre e la compagna «portavano il gatto dal veterinario più di quanto io vedessi il medico». Ora «tutti direbbero che sono state irresponsabili, ma ogni adulto che passava allora in casa era d'accordo con loro: fingevo il dolore per attirare l'attenzione».

«TROPPO STUPIDA PER L'UNIVERSITÀ»
A causa della noncuranza circa il suo stato di salute, la ragazza non riuscì a terminare le scuole superiori e «non fui mai incoraggiata né aiutata a recuperare quanto perso. Allo stesso modo mia madre e la sua compagna non mi insegnarono a guidare». Dopo molte peripezie, Klein riuscì a rimediare ai buchi nella sua educazione e a iscriversi all'università. Pensando di riguadagnarsi la stima delle due donne, Klein ne informò la madre solo per sentirsi dire che «ero troppo stupida e ignorante e che l'università aveva fatto un errore e che tutti i suoi amici e chiunque mi conosceva erano d'accordo sul fatto che fossi uno "zero"».

IL LUTTO
La madre cercò perfino di farla espellere dalla State University di New York ma un professore, capendo la situazione, riuscì a proteggerla: «Mi disse anche di stare lontana da mia madre e dalla sua compagna. Mi spiegò che erano malsane e offensive. Questi erano termini che non avevo mai sentito e che allora non capii». Solo più avanti la ragazza si rese conto pienamente dei danni psicologici subiti, quando si ritrovò a provare «una completa liberazione» in seguito alla morte della compagna e della madre, nonostante «il dispiacere». Capì poi di non essere la sola: «Poco tempo fa ho parlato con un uomo cresciuto [nella comunità Lgbt], sapendo che sua madre era morta gli ho scritto un biglietto per digli che mi dispiaceva: "Era una donna gradevole". Mi ha risposto dicendo: "Gradevole non è ciò che era, ma ormai è acqua passata". Sapevo cosa intendeva».

MASCHILISMO LGBT
Klein non pensa che «tutti i gay siano de facto cattivi genitori» ma «so che la comunità gay non ha mai messo i figli al primo posto, se non come un pezzo di proprietà, un errore del passato o uno strumento politico». Racconta di un uomo ricco, amico della madre, «che cercò di abusare di mio fratello» e condanna la comunità Lgbt in quanto «maschilista» perché le donne vengono usate dagli attivisti uomini come strumenti per ottenere figli. Ecco perché ritiene che il matrimonio gay sia «un cavallo di Troia che non farebbe che danneggiare le donne e i bambini». Come lei stessa è stata danneggiata: «Ho speso la maggior parte della mia vita nella paura. Sapendo che potevo essere calunniata o molestata su internet o altrove (…) e che due o più attivisti avrebbero potuto provare a farmi perdere il lavoro» o «toccare la mia famiglia. Ho ancora paura. Conosco la loro violenza. Sono stata una loro vittima. Non sono loro le vittime».

ABUSI
Klein oggi ha una famiglia sua e se ha deciso di testimoniare è per i bambini: «So dalla mia esperienza e da quella di altre persone cresciute in famiglie Lgbt che» crescere in una famiglia del genere «danneggia i bambini». Oggi «l'unica immagine che vedete delle famiglie gay è manipolata e controllata» ma esistono molti casi di abusi. Come quello eclatante di Mark Newton e Peter Truong, i due papà gay condannati «per gli abusi sessuali sul figlio». Se questo caso è stato riportato è «solo perché l'abuso è così palese che non è possibile nasconderlo», ma so di «molti uomini, esposti e attivi nella comunità gay, che avevano rapporti sessuali con i figli dei loro amici».
« Conclude Klein: «Può funzionare [una simile famiglia]? A volte sì, certo. Tutto può funzionare qualche volta. Ma questo non significa che vada nell'interesse primario dei bambini». Per questo «chiedo alla Corte di usare buon senso e di essere prudente. (…) Per favore, mantenete in Texas la definizione di matrimonio tra uomo e donna».

Fonte: Tempi, 22/11/2014

6 - SE LO STUPRATORE E' ISLAMICO, LA POLIZIA LASCIA FARE
In una città inglese 1400 minorenni sono state violentate da musulmani, ma nessuno ha fatto nulla
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 28/08/2014

Bande organizzate di bruti hanno rapito, violentato e talvolta anche rivenduto 1400 minorenni. Succede a Rotherham, nell'Inghilterra settentrionale. Un rapporto pubblicato ieri, a firma della professoressa Alexis Jay, a conclusione di un'indagine indipendente commissionata dal comune, parla chiaro e non cela i dettagli. Descrive storie di minorenni, soprattutto ragazzine fra gli 11 e i 16 anni di età, cosparse di benzina e minacciate di essere date alle fiamme, minacciate con pistole e fatte assistere a stupri brutali, minacciate di essere le prossime se ne avessero parlato con qualcuno. Bambini venduti in altre città e usati come oggetti sessuali. Altre ragazzine violentate in modo seriale, tanto da dichiarare, una volta fuori dall'incubo, che ormai "lo stupro di gruppo era diventato un modo di vivere". Tutto questo è avvenuto per 16 anni, dal 1997 al 2014, senza che nessuno intervenisse. Eppure le autorità inglesi locali ne erano perfettamente al corrente. Prima dell'attuale rapporto Jay, erano stati redatti altri tre rapporti. Tutti cestinati. Nel primo caso, le autorità non avevano creduto ai dati. Gli altri due rapporti erano stati semplicemente accantonati. A loro avviso i dati erano "esagerati". In effetti, 1400 vittime minorenni di abusi in una cittadina con nemmeno 120mila abitanti è una cifra immensa, assurda nella sua sproporzione. E, fra l'altro, si tratta ancora di una stima conservativa, perché in questi 16 anni le vittime potrebbero risultare molte di più.

LA CAPPA DI TERRORE CHE INDUCE A STARE ZITTI
Eppure c'è un'altra causa del silenzio che sta emergendo con clamore. I bruti in questione, infatti, non sono i padri delle vittime, non si parla di stupratori inglesi, ma sono: membri di gang di pachistani, alle quali si sono aggiunti anche iracheni e qualche kosovaro. Immigrati che la stampa britannica definisce genericamente "asiatici". O non li definisce affatto. Nelle prime ventiquattro ore di notizie, infatti, la Bbc ha completamente cancellato l'origine dei membri della gang degli orrori. Quando entra in ballo la comunità musulmana, una cappa di terrore induce tutti, dalla polizia alla stampa, passando per gli assistenti sociali, a stare zitti. La polizia non si è mossa, o lo ha fatto in modo controproducente. In almeno due casi, i padri di ragazzine stuprate hanno cercato di salvare le loro figlie dai carnefici, ma sono stati arrestati a loro volta: i carnefici si son fatti passare per vittime e la loro origine, evidentemente, li ha resi più credibili agli occhi degli agenti. Ci sono casi di intimidazione palese: ragazzini che non hanno denunciato i loro violentatori, perché questi minacciavano rappresaglie sui loro fratellini o sorelline minori. E ci sono tante denunce di professori e membri del personale scolastico degli istituti locali che sono state bellamente ignorate. Fuori dalle scuole, le vittime venivano prelevate con le buone o con le cattive, e la polizia stava a guardare.
Nel 2010 cinque pachistani erano finiti dietro le sbarre, per violenze seriali contro ragazze e ragazzine locali. Ma l'indagine non era andata oltre, benché il quotidiano The Times, nel 2012, fosse giunto alla conclusione che il giro delle violenze e dei violentatori era molto più ampio e noto alla polizia da almeno un decennio. Il caso che aveva fatto puntare i riflettori su Rotherham riguardava una ragazza di 17 anni, Laura Wilson: venne assassinata per aver "offeso" le famiglie di due pachistani che abusavano di lei. Lei era vittima di abusi fin dall'età di 11 anni e gli assistenti sociali ne erano al corrente. Nell'agosto del 2013, quattro donne avevano avviato un'azione legale contro il consiglio di Rotherham per i suoi "sistematici fallimenti" nel proteggerle dagli abusi sessuali di un gruppo di uomini, subiti fin da quando erano bambine. Una ragazza, conosciuta come "Jessica", ha dichiarato di essere stata quotidianamente violentata, quando aveva 14 anni, da un ragazzo di dieci anni più grande di lei e i servizi sociali non hanno voluto classificarla come vittima di abusi. I documenti rivelano che in almeno un caso la polizia l'abbia trovata in "atteggiamenti intimi" con il suo persecutore e abbia arrestato lei (già affidata ai servizi sociali) lasciando andare lui.

AUTOCENSURA DETTATA DALL'ANTIRAZZISMO
L'autocensura dettata dall'antirazzismo è stata, questa volta, direttamente complice dei criminali. Infatti, nel rapporto di Alexis Jay emerge chiaramente: le autorità locali avevano paura di essere accusate di "razzismo". «Sembra che alcuni (funzionari ndr) pensassero che si trattasse di casi eccezionali, che secondo loro non si sarebbero ripetuti. Altri erano preoccupati di riferire le origini etniche dei responsabili per paura di essere considerati razzisti; altri ancora ricordano invece di aver ricevuto chiare istruzioni di non farlo da parte dei propri dirigenti». Quindi le autorità non si sono mosse. Eppure il fenomeno era chiaro già il decennio scorso. Nel rapporto del 2003, la dottoressa Angie Heal, la relatrice di allora, aveva scritto: «A Rotherham, la comunità asiatica locale, raramente denuncia (i colpevoli, ndr)». Secondo la professoressa Jay, già nel rapporto Heal si descriveva come stessero aumentando gli incentivi per chi partecipava al traffico dei minorenni. «In passato lo facevano solo per gratificazione personale, ora agli immigrati asiatici che vengono coinvolti vengono offerte anche opportunità economiche e di carriera». Già nel rapporto del 2006, si arrivava alla conclusione: «Un certo numero di funzionari pensano che una delle maggiori difficoltà a prevenire efficacemente questo crimine sia dovuta all'origine etnica dei suoi perpetratori». La Bbc, una volta svegliatasi dal coma etnico e ammessa l'origine dei criminali, ha anche approfondito il tema, con diligenza. Svelando come questo tabù antirazzista abbia impedito di identificare le vittime, oltre che i carnefici. Quelle 1400 vittime, infatti, non sarebbero tutte: la maggioranza sono inglesi non musulmane. Ma ci sono tanti altri bambini e bambine musulmani immigrati che tuttora non hanno ottenuto giustizia. Zlakha Ahmed, leader dell'organizzazione Apna Haq, per la difesa dei diritti delle donne e dei bambini di origine "asiatica", ritiene che: «il rapporto non mi ha sorpreso affatto, per quanto conosciamo questo problema da un certo numero di anni». Lei stessa avrebbe redatto, con la sua organizzazione, numerosi studi analoghi «con l'unica differenza che le vittime sono giovani donne musulmane asiatiche e i carnefici sono uomini pachistani musulmani». [...]
Sempre in Inghilterra, è recentissimo lo scandalo delle scuole islamizzate a Birmingham. Anche in quel caso le autorità locali erano al corrente dell'esistenza di un piano di progressiva occupazione e islamizzazione di scuole pubbliche, ma la paura di essere accusati di razzismo e islamofobia ha impedito loro di intervenire in tempo. Non è l'islam che deve meravigliare, ma l'incredibile cecità auto-indotta delle autorità.

PROBLEMA BRITANNICO
Non si tratta solo di un problema britannico, ma riguarda tutta l'Europa. Il nord Europa in particolare. In Svezia e in Norvegia sono aumentati esponenzialmente gli stupri ai danni delle ragazze locali e le statistiche della polizia non indicano più l'origine etnica degli aggressori. Eppure i due paesi, in cui la violenza sessuale era a livelli minimi fino a due decenni fa, ora sono in cima alle classifiche europee sugli stupri, guarda caso solo da quando è iniziata la grande ondata migratoria dai paesi musulmani. Le ultime statistiche parlavano di una stragrande maggioranza di casi in cui l'aggressore era di origine "non occidentale", un modo politicamente corretto per indicare l'immigrato islamico. In Germania, lo scorso aprile, l'omicida afgano della sua ex fidanzata (accusata di non voler abortire) ha goduto di attenuanti culturali. Non è il primo caso e non sarà l'ultimo. Quella delle attenuanti culturali sta diventando una vera abitudine della magistratura tedesca. Ce ne siamo accorti anche noi quando, nel 2007, un sardo, nella Bassa Sassonia, godette dello stesso privilegio dopo aver violentato la sua ex fidanzata. L'allora sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, parlò esplicitamente di "esempio di razzismo contemporaneo". E in effetti il multiculturalismo (di cui Manconi, in altre occasioni, si è fatto portavoce), cosa è se non razzismo contemporaneo? La sua prima regola è che non vi sono "nostre" regole applicabili alle "loro" comunità. Si creano isole di anarchia in cui la sharia viene imposta dai leader religiosi locali. In Inghilterra questo processo inizia ad essere addirittura formalizzato, con l'introduzione di corti islamiche e l'applicazione della legge coranica nei tribunali.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 28/08/2014

7 - LA CORTE DEI CONTI CONTESTA L'8 PER MILLE ALLA CHIESA
Eppure è solo un piccolo, parziale risarcimento dello Stato alla Chiesa per l'ingiusta confisca dei beni subita nel Risorgimento (ecco perché non ha senso l'8 per mille alle altre religioni)
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: Corrispondenza Romana, 10/12/2014

La Corte dei Conti fa i conti in tasca alla Chiesa Cattolica. La materia del contendere è la gestione dell'8 per mille. In una delibera del 23 ottobre, ma resa nota solo pochi giorni fa, la Corte dei Conti - forse andando un poco al di là delle sue competenze - mette in luce alcune criticità del sistema dell'8 per mille.
Commentiamone qualcuna, citando alcuni passaggi di un comunicato stampa della Corte stessa. «I beneficiari ricevono più dalla quota non espressa che da quella optata. Su ciò non vi è un'adeguata informazione, benché coloro che non scelgono siano la maggioranza e si possa ragionevolmente essere indotti a ritenere che solo con un'opzione esplicita i fondi vengano assegnati», scrivono i giudici all'inizio del documento.

L'8 PER MILLE
Come è noto l'8 per mille è una quota di imposta sui redditi soggetti IRPEF che lo Stato italiano distribuisce, a seconda delle scelte indicate nella dichiarazione dei redditi, a se stesso, alla Chiesa Cattolica e a circa una decina di confessioni religiose che hanno stipulato con lo Stato un'intesa.
La quota dell'8 per mille di quei cittadini che decidono di non effettuare nessuna opzione viene ripartita ai soggetti beneficiari in base alla proporzione delle scelte effettuate. La Chiesa Cattolica è da sempre stata il soggetto più scelto dai contribuenti - negli ultimi anni siamo intorno all'82% delle preferenze - e di conserva riceve la quota maggiore di 8 per mille anche da parte di coloro i quali non hanno effettuato nessuna opzione.
Ora la Corte dei Conti critica il fatto che la maggior parte dei finanziamenti arrivano da chi si è astenuto da alcuna scelta e quindi implicitamente critica che così tanti soldi vadano alla Chiesa, grazie anche a quei cittadini che magari non avevano proprio intenzione di darle uno spiccio. La critica va girata proprio a questi contribuenti distratti o pigri. Sta a loro - e non certo alla Chiesa - essere più accorti e meno passivi nella scelta della destinazione della loro quota contributiva. [...]
Proseguiamo nella lettura del comunicato stampa: «la possibilità di accesso all'8 per mille per molte confessioni è oggi esclusa per l'assenza di intese, essendosi affermato un pluralismo confessionale imperfetto». Tutte le confessioni religiose possono stipulare intese con lo Stato e beneficiare dunque dell'8 per mille. Chiaro è che per essere considerati "confessioni religiose" e per poter stipulare un'intesa con lo Stato italiano i soggetti che vogliono accedere a questi fondi devono soddisfare alcuni criteri di carattere giuridico ben disciplinati dalla legge e validi per tutti. In parole povere: un'associazione animista non potrebbe avere le carte in regola per stipulare un'intesa con lo Stato.

MANCA TRASPARENZA?
Torniamo ancora al comunicato: «Manca trasparenza sulle erogazioni: sul sito web della Presidenza del Consiglio dei Ministri, infatti, non vengono riportate le attribuzioni alle confessioni, né la destinazione che queste danno alle somme ricevute».
Le orecchie bisogna tirarle al Governo non certo alla Chiesa italiana la quale, ad esempio, nel 2013 ha elencato in modo dettagliato in 11 voci la destinazione delle somme ricevute. Tale ripartizione dei fondi è facilmente consultabile da tutti perché è reperibile on line. Poi i Magistrati chiamano sul banco degli imputati proprio la Cei: «Non ci sono verifiche sull'utilizzo dei fondi erogati - nonostante i dubbi sollevati dalla Parte governativa della Commissione paritetica Italia - Cei su alcune poste e sulla ancora non soddisfacente quantità di risorse destinate agli interventi caritativi -, né controlli sulla correttezza delle imputazioni degli optanti, né un monitoraggio sull'agire degli intermediari».
In buona sostanza la Corte dei Conti ci sta dicendo che questi soldi non si sa bene che fine hanno fatto. Tu Cei puoi anche scrivere nero su bianco che hai destinato tot per scopi caritativi ma io Stato come faccio a sapere se ciò è vero? La critica può avere benissimo un suo fondamento: trasparenza e chiarezza di gestione di soldi pubblici - perché tali sono - non dovrebbero mai mancare nemmeno in seno alla Conferenza episcopale. L'obiezione seppur legittima della Corte appare però strumentale ad attaccare la Chiesa nel suo complesso.

PERCHÉ ESISTE L'8 PER MILLE?
A questo proposito è bene ricordare perché esiste l'8 per mille. Le sue radici affondano nei Patti Lateranensi del 1929 i quali, tra le altre cose, prevedevano che lo Stato italiano pagasse al clero lo stipendio, meccanismo chiamato Congrua, come una sorta di risarcimento danni allo Stato Pontificio per la confisca da esso subito dei suoi beni ecclesiastici. Risarcimento che naturalmente riguarda solo la Chiesa Cattolica. Un secondo motivo dell'esistenza dell'8 per mille sta nel fatto che la Chiesa italiana da una parte svolge un'infinità di servizi pubblici – scuole, ospedali, servizi sociali, interventi caritativi, etc. – che ricadrebbero sulle spalle e sulle casse dello Stato se non ci fosse la Chiesa a farlo. Dall'altra svolge quelle attività di culto che buona parte dei cittadini italiani richiede.
In merito infine al fatto che l'Italia sia affetta da "pluralismo confessionale imperfetto" occorre ricordare solo qualche semplice fatto. L'Italia da duemila anni è culla del cristianesimo ed ospita la sede di Pietro. Tutta la sua cultura affonda le radici nel cattolicesimo. Ovvio che la maggior parte dei cittadini si senta legata alla Chiesa cattolica ed è altrettanto ovvio che lo Stato italiano nel passato abbia stretto peculiari vincoli di carattere giuridico solo con la Santa Sede.
Le altre confessioni religiose non potendo vantare un simile peso nella società italiana non possono pretendere uguale trattamento. L'"imperfezione pluralistica confessionale" riflette perciò la realtà dei fatti: la maggior parte degli italiani si sente cristiana. L'egualitarismo confessionale sarebbe dunque un'offesa al popolo italico.
E quindi domandiamoci: forse che per la materia religiosa non deve valere il principio democratico? Forse che non vogliamo rispettare la volontà di quell'82% di cittadini che hanno voluto destinare il proprio contributo alla Chiesa cattolica?

Fonte: Corrispondenza Romana, 10/12/2014

8 - TUTTI I POPOLI DEVONO RICONOSCERE LA SOVRANITA' DI GESU' CRISTO
La dottrina della regalità sociale di Cristo, fissata da Pio XI nel 1925, stabilisce che ogni società umana non raggiunge i propri fini naturali senza essere ordinata a Cristo Re
Autore: Stefano Fontana - Fonte: Il Timone, n.137 Novembre 2014

Il principio dottrinale della "regalità sociale di Cristo" significa che la costruzione della società umana non riesce a raggiungere gli stessi propri fini naturali senza essere ordinata a Gesù Cristo, Creatore e Salvatore. Egli, in quanto Creatore, ha costituito la società umana fondandola sul matrimonio e la famiglia, sull'amore reciproco e sull'autorità. Sempre come Creatore, il Signore ha dato alla società le regole della convivenza, fissando ad ogni cosa i suoi limiti.
Come Redentore, il Signore Gesù ha ricreato una seconda volta il mondo dopo il peccato e alla fine ricapitolerà in Sé tutte le cose, sia quelle del cielo che quelle della terra. Gesù Cristo ha una signoria assoluta sulla storia e sul mondo, perché è l'Alfa e l'Omega. Del resto, come scrisse Joseph Ratzinger «Un Dio che non ha potere è una contraddizione in termini». In Memoria e Identità, Giovanni Paolo II ha scritto che Cristo ha una missione: «regale. A Lui sono sottomesse tutte le cose, in attesa che egli sottometta al Padre se stesso e tutte le creature, affinché Dio sia tutto in tutti».

DALLA QUAS PRIMAS ALLA EVANGELII GAUDIUM
La dottrina della regalità sociale di Cristo è stata fissata e insegnata da Pio XI nell'enciclica "Quas Primas" del 1925, ma già i precedenti Pontefici ne avevano espresso il contenuto, come per esempio Leone XIII nell'enciclica "Immortale Dei". Essa però appartiene alla tradizione della Chiesa e, come tale, è valida anche oggi e lo sarà sempre.
Purtroppo, viene spesso eretto un muro tra la Dottrina sociale della Chiesa preconciliare e quella postconciliare. Sicché si potrebbe pensare che questa dottrina, espressa in quel periodo, oggi non sia più valida. Ma così non è. La costituzione "Gaudium et spes" del Concilio Vaticano II afferma che «senza il Creatore la creatura viene meno» (n. 36). La costituzione "Lumen Gentium" dice che i laici devono «ordinare secondo Dio le cose temporali». Il decreto "Apostolicam actuositatem" insegna che spetta ai laici «informare di spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della comunità» (n. 13).
Si tratta di riferimenti indubitabili alla regalità di Cristo. Il Catechismo della Chiesa cattolica dedica al tema soprattutto il paragrafo 2105, ove si ribadisce «la regalità di Cristo su tutta la creazione e in particolare sulle società umane». Giovanni Paolo II enunciò questa dottrina fin da subito, nell'omelia della sua prima Messa da Pontefice: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa "cosa è dentro l'uomo". Solo lui lo sa!».
Si noti che qui il santo Papa non ha invitato ad aprire a Cristo solo i cuori, ma anche i sistemi economici e politici, la cui costruzione non è indifferente al Signore. Benedetto XVI ha più volte ribadito il concetto della regalità di Cristo: «Con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l'umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi si manifestano sempre di più» (10 marzo 2009). Lo ha fatto anche il 19 gennaio 2012 con una frase lapidaria: «Non esiste un regno di questioni terrene che possa essere sottratto al Creatore e al suo dominio».
Papa Francesco ha scritto nella "Evangelii gaudium": «Non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola, non è la stessa cosa poterlo contemplare, adorare, riposare in Lui, o non poterlo fare. Non è la stessa cosa cercare di costruire il mondo con il suo Vangelo piuttosto che farlo unicamente con la propria ragione» (n. 266).

IL FONDAMENTO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
Non va dimenticato che sul principio della regalità di Cristo si fonda la Dottrina sociale della Chiesa. Perché, infatti, è nata la Dottrina sociale della Chiesa nella forma moderna? Benedetto XVI disse che l'esigenza della nuova evangelizzazione va fatta risalire all'Ottocento, quando gli Stati volevano eliminare Dio dalla pubblica piazza. Ebbene, la Dottrina sociale della Chiesa inizia allora, soprattutto con Leone XIII, per rimettere Dio al centro anche della costruzione della società e della politica. Infatti Leone XIII, nella "Rerum novarum", scrisse che la questione sociale è «una questione di cui non è possibile trovare una risoluzione che valga senza ricorrere alla religione e alla Chiesa» (n. 18).
Questa convinzione non è superata, ma è valida anche oggi, tanto è vero che cento anni dopo, nella "Centesimus annus", Giovanni Paolo II riprese e confermò questo insegnamento: «Come allora, bisogna ripetere che non c'è vera soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo» (n. 5). Solo il riferimento a Cristo salva la società e permette di individuare e di perseguire veramente il bene comune. Il che altro non è che la dottrina della regalità sociale di Cristo. Ciò è talmente importante per la Dottrina sociale della Chiesa che, se eliminassimo la dottrina della regalità sociale di Cristo, essa si trasformerebbe in un'etica sociale, in una raccolta di buone intenzioni, in un vademecum delle buone pratiche.
Ma i Sommi Pontefici non hanno mai inteso in questo modo la Dottrina sociale della Chiesa. Giovanni Paolo II disse che «la dottrina sociale della Chiesa ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione; in quanto tale annuncia Dio e il mistero di salvezza in Cristo a ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso. In questa luce, e solo in questa luce, si occupa del resto» (Centesimus annus, n. 55).
La regalità sociale di Cristo è espressione della pretesa cristiana di annunciare la salvezza in Cristo. Cristo non è solo utile, sicché la Dottrina sociale della Chiesa sia un dolcificante per i mali della società o un lubrificante per le incrostazioni delle ingiustizie, Egli è indispensabile. Lo dice la "Caritas in veritate" di Benedetto XVI: «L'adesione ai valori del cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di uno sviluppo umano integrale» (n. 4).
Come potrebbe Dio essere solo utile e non indispensabile? E come potrebbe essere indispensabile senza esprimere una regalità sulle cose temporali? Ecco perché la dichiarazione "Dignitatis humanae" del Vaticano II afferma che «esiste un dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo» (n. 1).

L'EQUIVOCO DELLA CANONIZZAZIONE DELLA DEMOCRAZIA
Ma come si concilia il principio della regalità sociale di Cristo con le moderne democrazie del pluralismo e della libertà di opinione, nelle quali tutte le visioni della vita e tutte le religioni sono ugualmente ammesse? La regalità sociale di Cristo non si accompagna con un sistema di Stato confessionale nel quale la vera religione è protetta mentre le altre sono solo tollerate? Ormai la Chiesa non ha forse accettato la moderna democrazia e, così facendo, non ha definitivamente abbandonato tutto questo?
Innanzitutto va precisato che la Chiesa non ha mai canonizzato la democrazia e tantomeno la democrazia moderna. Giovanni Paolo II nel suo libro Memoria e identità ha scritto che «l'etica sociale cattolica appoggia, in linea di principio, la soluzione democratica, perché più rispondente alla natura razionale e sociale dell'uomo. Si è tuttavia lontani – è bene precisarlo – dal canonizzare questo sistema».
L'enciclica "Centesimus annus" pone alla democrazia condizioni tali da mostrare le grandi carenze delle sue forme moderne. Il Magistero respinge soprattutto il collegamento tra democrazia e relativismo, anzi collega la democrazia con l'esigenza della verità sicché i sistemi democratici non annullano, semmai rendono ancor più evidente il «dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo».
Per molto tempo questo dovere si era espresso positivamente nella forma dello «Stato confessionale», ma anche nella presente fase storica in cui lo Stato confessionale non è più considerato valido non viene meno il principio della regalità di Cristo sulle realtà temporali. Si può dire che esiste un principio valido sempre e che permane: la regalità di Cristo. Ci sono poi formulazioni storiche che possono anche mutare, come per esempio quella dello Stato confessionale come lo abbiamo finora conosciuto. Cosa ci riserva il futuro dipende dalla Provvidenza di Dio e dall'impegno dei credenti.

II VERO BENE COMUNE È L'ORDINE VOLUTO DAL CREATORE
II principio della regalità sociale di Cristo è di fondamentale importanza per chiarire il fine della Dottrina sociale della Chiesa e dell'impegno cristiano nel mondo: il bene comune. Questa è oggi una espressione che viene intesa in vario modo, spesso equivoco. Spesso la si intende solo come il benessere materiale oppure come il buon funzionamento delle istituzioni a vantaggio di tutti secondo giustizia.
Altre volte lo si intende come l'interesse collettivo: quando tutti stessero bene, avessero un lavoro, l'automobile, la sanità garantita e così via ci sarebbe allora il bene comune. Spesso accade che anche i fedeli cattolici appiattiscano il concetto di bene comune ad un livello solo orizzontale. Il bene comune, invece, è sì un principio per l'ordinamento materiale della società, ma ancor di più per il suo ordinamento morale e religioso. Il bene comune ci sta senz'altro davanti, come un fine da raggiungere e non come qualcosa da inventare, ma ci sta anche dietro, come un ordine ricevuto in eredità e da rispettare, come l'ordine voluto da Dio.
Non ci può essere bene comune senza rispetto dell'ordine naturale del creato e non ci può essere bene comune senza considerare che l'uomo è fatto per Dio. Giovanni XXIII nella "Pacem in terris" diceva che «II bene comune va attuato in modo non solo da non porre ostacoli, ma da servire altresì al raggiungimento del loro [degli uomini] fine ultraterreno ed eterno» (n. 35). Del bene comune fanno quindi parte sia l'ordine ricevuto da Dio creatore sia il fine ultraterreno dell'uomo e la salvezza delle anime. Quello di bene comune è allora un concetto morale e religioso. Dio è il principale bene comune e conoscere il Vangelo è il primo dei diritti umani.
Quando, per esempio, si sente dire che il riconoscimento delle unioni tra persone omosessuali può contribuire al bene comune in quanto si valorizza una presa in cura reciproca e una relazione affettiva non si tiene conto dell'aspetto morale e religioso del bene comune. Non può essere che una legge contraria alla legge morale naturale voluta da Dio creatore contribuisca al bene comune. Ecco quindi che la regalità di Cristo è parte integrante del concetto cattolico di bene comune.

LA NEUTRALITÀ IMPOSSIBILE
Non c'è neutralità rispetto a Dio. Il credente sa, per ragione e per fede, che l'umanità con le sole sue forze non riesce a costruire la città dell'uomo. La secolarizzazione che esclude Dio dalla pubblica piazza produce malessere. Diceva Benedetto XVI ad Aparecida nel 2007: «Dove Dio è assente – Dio dal volto umano di Gesù Cristo – questi valori non si mostrano con tutta la loro forza, né si produce un consenso su di essi. Non voglio dire che i non credenti non possano vivere una moralità elevata ed esemplare; dico solamente che una società nella quale Dio è assente non trova il consenso necessario sui valori morali e la forza per vivere secondo il modello di questi valori, anche contro i propri interessi».
La regalità di Cristo salva il mondo da se stesso e, così facendo, lo realizza.

Nota di BastaBugie: per approfondire si può leggere il libro del 2013 a cura di Stefano Fontana "Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Il posto di Dio nel mondo. Potere, politica, legge" delle edizioni Cantagalli.

Fonte: Il Timone, n.137 Novembre 2014

9 - OMELIA IV DOMENICA DI AVVENTO - ANNO B - (Lc 1,26-38)
Ecco la serva del Signore
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 21/12/2014)

La quarta domenica d'Avvento la possiamo definire come la "Domenica di Maria", in quanto il brano del Vangelo ci fa riflettere sul compito importantissimo svolto dalla Madonna nel mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio. Quest'anno ci viene presentato il brano dell'evangelista Luca riguardante l'Annunciazione, allorquando l'Angelo Gabriele portò il grande annuncio a Maria, rivelandole il progetto di Dio su di Lei.
San Bernardo, in una sua celebre opera, descrive molto bene questa scena, dicendo che tutto il creato pendeva dalla bocca di questa umile fanciulla: dal suo "sì" dipendevano le sorti di questo mondo, dipendeva la salvezza dell'umanità. Il Signore ha voluto legare il suo progetto d'amore al "sì" di una ragazza, facendoci comprendere che Egli ama servirsi della libera collaborazione delle sue creature. Dunque, il nostro grazie, oltre che a Dio, deve essere rivolto anche a Lei, all'umile Ancella del Signore, la quale, con la sua umiltà e docilità, contribuì alla nostra salvezza.
Il brano evangelico di oggi è molto ricco di spunti per la nostra riflessione. Prima di tutto, colpisce il saluto dell'Angelo: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). San Gabriele indica il nome proprio di Maria: Ella è la "Piena di Grazia", fin dal suo primo istante. Ella è l'Immacolata. Era già "Piena di Grazia", ma, con la discesa dello Spirito Santo e con il dono della Maternità divina Ella ricevette una pienezza ancora più grande.
L'angelo Gabriele disse a Maria: «Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù» (Lc 1,31). La Madonna credette alle parole dell'Angelo, ma, umilmente, domandò il modo in cui ciò si poteva realizzare: «Come avverrà questo, perché non conosco uomo?» (Lc 1,34). Da queste parole comprendiamo che la Madonna aveva il fermo proposito di rimanere vergine, e così pure san Giuseppe. Sarebbe stata infatti assurda questa risposta, se Maria e Giuseppe non avessero avuto l'intenzione di vivere verginalmente il loro matrimonio. Quando l'angelo Gabriele portò l'annuncio, Maria era già «promessa sposa» (Lc 1,27). Diversi Padri della Chiesa hanno visto, in questa risposta di Maria all'Angelo, il segno che Lei aveva fatto, fin dalla sua fanciullezza, un vero e proprio voto di verginità.
A questa domanda della Vergine Maria, l'Angelo risponde: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra» (Lc 1,35). Queste parole ci fanno comprendere che Gesù è stato concepito per opera dello Spirito Santo nel grembo di Maria. Si tratta quindi di un concepimento miracoloso e verginale, al quale è seguito un parto anch'esso verginale, secondo la celebre profezia di Isaia: «La vergine concepirà e partorirà un figlio» (Is 7,14). La Verginità di Maria, prima, durante e dopo il parto, è il segno luminoso – come si esprimono diversi Padri della Chiesa – della divinità di Gesù. Era necessario che il Dio fatto uomo nascesse in questo modo prodigioso.
Il dialogo tra Maria e l'arcangelo Gabriele si conclude con delle stupende parole uscite dalla bocca e soprattutto dal cuore di quella umile fanciulla: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). A queste parole la salvezza entrò nel mondo. L'obbedienza di Maria alle parole dell'Angelo sciolse il nodo provocato dalla disobbedienza di Eva, la quale diede ascolto all'angelo delle tenebre. Maria riscattò Eva e il Redentore del mondo salvò l'umanità peccatrice. Da una donna, Eva, venne la rovina; da un'altra donna, Maria, venne la salvezza. La prima fu ingannata dal serpente tentatore, disobbedì e fu causa della rovina; la seconda ascoltò le parole dell'Angelo buono, obbedì a Dio, e diede al mondo il Salvatore.
Con il "sì" della Vergine Maria ebbero compimento le profezie dell'Antico Testamento, in modo particolare, oltre a quella accennata prima, anche quella riportata nella prima lettura di oggi, ove il profeta Natan disse al re Davide che sarebbe sorto un suo discendente il cui regno durerà per sempre. Questo discendente di Davide, secondo la carne, è proprio Gesù, il Figlio di Dio e Figlio di Maria.
Con il "sì" della Vergine risuonò nel mondo il lieto annuncio della salvezza, e il Vangelo, «avvolto nel silenzio per secoli eterni – come afferma san Paolo nella seconda lettura – fu annunciato a tutte le genti» (Rm 16,25-26).
Sull'esempio della Vergine Maria, anche noi dobbiamo dire il nostro "sì" a Dio, dobbiamo dirlo con gioia e con perseveranza, ogni giorno della nostra vita. La Madonna aderì alla Volontà di Dio in ogni momento, anche sul Golgota, quando vide il suo Figlio morire per noi. Anche noi dobbiamo ripetere il nostro "sì", anche quando ciò comporta sacrificio. Così il Signore, per mezzo della nostra umile collaborazione, realizzerà delle meraviglie, a beneficio di tutta la Chiesa e del mondo intero.

Nota di BastaBugie: consigliamo ai parroci il foglietto per la Messa ad uso dei fedeli per seguire le letture "Il Giorno del Signore". Oltre alle letture, ci sono solo commenti dei Padri della Chiesa. Non contiene altre informazioni che possono distrarre dalla celebrazione. Inoltre le letture sono sempre integrali (anche per la Veglia Pasquale!). Il colore adeguato al tempo liturgico e le preghiere dei fedeli ben fatte rendono questo essenziale foglietto veramente il migliore. Per ulteriori informazioni e per riceverlo in parrocchia, visitare il sito
www.ilgiornodelsignore.it

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 21/12/2014)

10 - OMELIA DELLA MESSA DI NATALE DEL GIORNO
Venne ad abitare in mezzo a noi
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Un Natale vero?

"Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14).
"Venne ad abitare in mezzo a noi". Non è, credo, possibile - per descrivere un evento inaudito ed esporre un concetto sovrastante ogni umana comprensione e ogni attesa - trovare una frase più semplice e feriale di questa: è il linguaggio dei nostri traslochi e dei nostri trasferimenti.
Già nella sua forma espressiva evoca l'indole propria della realtà centrale del cosmo e della storia; cioè, la verità dell'Incarnazione. "Il Verbo si fece carne", ci ha detto l'evangelista: vale a dire, è la divina ricchezza che, per così dire, si immiserisce; è l'infinità che assume l'esiguità di un neonato; è l'onnipotenza che accetta di farsi bisognosa di tutto come la più piccola della creature. "Umiliò (quasi 'annientò') se stesso", ha detto sinteticamente san Paolo (cfr. Fil 2,8).
E' la realtà - sublime e dimessa al tempo stesso - dell'Unigenito del Padre che diventa uno di noi. E' il prodigio grandioso e povero del Natale, che una volta ancora quest'anno ritorna, sempre eloquente e sempre efficace, e con dolcezza si impone all'attenzione anche dei più superficiali e dei distratti.

DIO SI È FATTO NOSTRO PROSSIMO
Dio - che è il "lontanissimo" e il "diversissimo" da noi - si è fatto nostro "prossimo", nostro vicino di casa, nostro compagno di viaggio: un evento, questo, che l'uomo, con tutto il suo egocentrismo e la sua autoesaltazione, non poteva arrivare neppure a immaginare.
E' vero che gli uomini - nei momenti in cui si sentono oppressi dalla crudeltà delle circostanze, dalla tirannìa impietosa dei prepotenti, dalle molteplici forme del male - invocano come d'istinto la presenza risolutiva di colui che è il Creatore di ogni essere e il Giudice di ogni comportamento. "Oh, se tu squarciassi i cieli e scendessi!" (cfr. Is 63,19), leggiamo nelle profezie di Isaia. Ma era come il sospiro di un auspicio irreale e senza speranza.
Invece, ciò che sembrava un desiderio folle è stato questa notte esaudito. A Betlemme i cieli si sono sul serio "squarciati" e il "Figlio unigenito che è nel seno del Padre" (cfr. Gv 1,18) è davvero disceso.
E tutto è cambiato per la sventurata stirpe di Adamo: la nostra miseria più sostanziale è finita, perché "dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto, e grazia su grazia" (cfr. Gv 1,16), come abbiamo ascoltato.
Perciò le genti cristiane non si stancano mai di celebrare con entusiasmo il Natale, moltiplicando anche nelle case e nelle strade le manifestazioni di festa e di splendore (pur se poi in molti sembrano colpiti da una curiosa amnesia e non ricordano più la causa e la ragione di tanto tripudio)

VENNE FRA LA SUA GENTE, MA I SUOI NON L'HANNO ACCOLTO
C'è però qualcosa che è ancora più strano e inspiegabile, cui allude discretamente anche il prologo del quarto vangelo con le parole: "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto" (Gv 1,11).
Dio si è fatto "nostro prossimo", ma poi càpita che a noi non piace troppo essere "prossimi" a lui. E' un "vicino di casa" che sembra infastidire. Si direbbe che alla sua compagnìa si preferisca essere soli e desolati lungo il cammino della vita.
Vedete, non sono molti a negare esplicitamente Dio perché, se è difficile dimostrarne l'esistenza, è ancora più difficile ipotizzare ragionevolmente che non ci sia nessuno all'origine delle cose. Ma sono molti che sembrano preferire la sua latitanza. Un Dio remoto, che non interferisca nei nostri affari, ci disturba meno: forse si pensa che così noi possiamo essere più autonomi, più "adulti", più padroni di noi stessi e del nostro destino.
Perfino i credenti talvolta sono un po' contagiati da questa mentalità, e magari tentano di giustificarla chiamandola "sana laicità"; ed è invece soltanto incomprensione della bellezza e della verità del Natale.
"Il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe" (Gv 1,16), ci ha detto malinconicamente l'evangelista.

DIO NON È UN INTRUSO
Sarà bene che ci convinciamo che Dio non è un intruso nella creazione che è originata da lui. A estrometterlo si rischia di estromettere con lui il significato stesso del nostro esistere.
In questo concreto ordine di cose che di fatto è stato realizzato, l'Emmanuele, il "Dio con noi", l'Unigenito del Padre nato a Betlemme secondo la natura umana, è il necessario fondamento di tutto: "in lui sono state create tutte le cose" - ci dice san Paolo - "e tutte sussistono in lui" (cfr. Col 1,16.17). Se lo si rimuove, si pongono le premesse perché tutto il nostro edificio rovini.
Non a caso il profeta nella prima lettura ci ha parlato delle "rovine di Gerusalemme", come figura dello sfacelo dell'umanità intera.
L'immagine di una costruzione rovinata dall'estromissione di Dio e del suo Cristo si affaccia alla mente di chi contempla con occhi disincantati la società in cui viviamo: una società che non insegna più a distinguere adeguatamente il bene dal male e perciò non riesce più a educare i suoi figli, che esalta più la "notizia" della "verità", che è comprensiva con i prepotenti ed è impietosa con chi non sa gridare e difendersi. E l'elenco delle "macerie" della città terrena potrebbe ancora allungarsi.
Ma il profeta ha parlato di "rovine" non per avvilirci e deprimerci, ma per risuscitare la nostra fiducia nell'amore sapiente di Dio, che è più potente dei nostri egoismi e delle nostre stoltezze ed è capace di risanare e ricostruire: "Prorompete in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme" (Is 52, 9).
Il Natale è appunto la festa della speranza cristiana, che non è il fatuo ottimismo di chi non si rende conto del malessere e dei guai che affliggono il nostro tempo, ma è la certezza che a Betlemme è nato - e, dopo la sua crocifissione e la sua gloria, continua a essere il Signore della storia - colui che ci ha detto: "Avrete tribolazione, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo!" (cfr. Gv 16,32).

Fonte: Un Natale vero?

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