BastaBugie n�392 del 11 marzo 2015

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1 OTTO MARZO, FESTA CONTRO LE DONNE
Giornali, televisioni e internet propagandano donne in tutte le salse: astronauti, chimici, cuochi, magistrati, atleti, insegnanti e via dicendo, ma neanche una in versione mamma
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
2 ECCO PERCHE' CROLLEREMO COME L'IMPERO ROMANO
Decadenza morale, persecuzione fiscale, statalismo, poche nascite, immigrazione selvaggia: un libro mette a nudo le inquietanti analogie tra l'Impero romano d'Occidente e la nostra civiltà al tramonto
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 L'ISIS DISTRUGGE ANTICHISSIMI REPERTI ASSIRI A MOSUL
L'islam, come ogni cultura totalitaria, ha bisogno di fare tabula rasa di tutte le civiltà anteriori o fuori di se stesso
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
4 SFUMATURE DI VERITA', FINALMENTE UN BEL FILM SU PIO XII
Il film si basa su testimonianze e documenti inediti che fanno luce sugli 800mila ebrei sopravvissuti all'Olocausto grazie al ''Pastor Angelicus'' (VIDEO: intervista alla regista)
Autore: Lupo Glori - Fonte: Corrispondenza Romana
5 IL RITORNO DELL'APOLOGETICA
E' necessario narrare la storia della Chiesa: storia di santi, di costruttori di ospedali, di missionari, di educatori, di martiri; storia di cultura, di università, di arte, di cattedrali, di scienza, di poesia; una storia che spesso neppure i cristiani conoscono...
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Il Timone
6 INTERVISTA AL VESCOVO DI SAN FRANCISCO, ''COLPEVOLE'' DI ESSERE CATTOLICO
E' stato duramente attaccato da associazioni lgbt, giornali e televisioni perché ha chiesto di insegnare la morale cattolica nelle scuole cattoliche
Autore: Benedetta Frigerio - Fonte: Tempi
7 A UN ANNO DALLA MORTE, RICORDIAMO MARIO PALMARO
L'eredità culturale che ci ha lasciato è quanto mai attuale: una fedeltà al Magistero che gli impediva di tacere davanti ai compromessi con il male (che molti cattolici fanno nella speranza di arginare il peggio)
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
8 SAN BRUNO, UN PROTAGONISTA DELLA RIFORMA DELLA CHIESA DELL'XI E DEL XII SECOLO
San Bruno di Segni spiega che il fondamento della Chiesa non è Pietro, ma la fede cristiana confessata da Pietro
Autore: Roberto De Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana
9 OMELIA IV DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO B (Gv 3,14-21)
Chi crede in Lui non è condannato
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - OTTO MARZO, FESTA CONTRO LE DONNE
Giornali, televisioni e internet propagandano donne in tutte le salse: astronauti, chimici, cuochi, magistrati, atleti, insegnanti e via dicendo, ma neanche una in versione mamma
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 12 marzo 2015

Avevo promesso a me stessa che mi sarei completamente disinteressata delle celebrazioni per l'otto marzo, perché secondo me, oggi, qui, in Occidente, per come sono concepite hanno la stessa pregnanza di una danza della pioggia in Irlanda. Sono vecchie, obsolete, ma soprattutto strabiche.
Avete visto la schermata di Google, verosimilmente il sito più cliccato al mondo, per il giorno x? Donne in tutte le salse - astronauti (ma che fantasia, guarda, non lo avrei mai detto), chimici, cuochi, magistrati, atleti, insegnanti e via dicendo, in quattordici versioni diverse - ma neanche una, dico, neanche una su quattordici in versione mamma. Ditemi voi se non c'è qualcosa di perverso, di intenzionale, di mirato.

LA DIFFERENZA PRINCIPALE
Lo stesso dicasi per tutte le celebrazioni analoghe in varie sedi istituzionali. Donne imprenditori, donne in politica, tutte a riempirsi la bocca di parole come diritti e differenza, ma qual è la differenza principale se non la maternità, la capacità di generare vita? Hanno presente, gli organizzatori di tutte le manifestazioni, che siamo il paese che fa meno figli al mondo? Perché continuano a parlare solo, e sottolineo solo, di tutto ciò che può allontanare le donne dalla maternità, esaltandolo come una conquista, e non parlano mai di quello che può incoraggiare le donne a buttarsi nell'avventura di fare figli, se possibile presto, se possibile non uno solo? Perché tra la donna soldato, quella astronauta, quella imprenditore, perché cavolo non è stata invitata una che fa molto la mamma? Ho un sacco di amiche mamme multiple molto più audaci e toste e coraggiose e apripista di quelle che ci propongono come modello. Invece il tasso di natalità tra le donne che in molte sedi – purtroppo anche in quelle dove non ti aspetteresti – ci vengono presentate come esemplari è da estinzione nel giro di qualche decennio.
Ora, non vorrei essere fraintesa. Non dico che non sia un bello che le donne abbiano la possibilità di fare tutte quelle belle cose, se veramente lo desiderano. Credo che tutte noi siamo molto grate alle donne che hanno combattuto per conquistarci la libertà di scegliere, perché la libertà è la condizione minima necessaria, è il presupposto di qualsiasi altro discorso sulla donna, e sull'uomo come anthropos in generale. Grazie. Però adesso basta.
Ho chiesto alle mie figlie "ma secondo voi una donna può fare tutto? L'astronauta? L'ingegnere?" mi hanno guardata con condiscendenza, forse con compassione pure. Direi come se avessi chiesto "ma secondo voi una mucca può fare il latte?" Io credo che per le future donne, e anche per le attuali giovani donne certi discorsi puzzino di muffa. Le conquiste sono incamerate, andiamo avanti.

AFFERMAZIONE FEMMINILE?
Ciò nondimeno, si continuano a fare quei discorsi spingendo sempre sull'acceleratore dell'affermazione femminile, come se questa passasse necessariamente per la negazione della maternità, e io sono certa che sia per un preciso disegno culturale: allontanare le donne dal ruolo materno e, nel caso abbiano figli (succede), invitarle a delegarne l'educazione ad agenzie esterne, non alla famiglia, che non è abbastanza controllabile. Quali lobby economiche, quali disegni politici ci siano è sinceramente un'analisi superiore alle mie forze, soprattutto alla fine di una giornata come questa, ma più che altro non mi interessa.
Mi sembra invece molto più interessante, in negativo, il fatto che le donne contemporanee siano parecchio inquiete e infelici, e non lo dice qualche Pontificio Consiglio, ma studi e ricerche laicissimi tipo l'American Economic Journal e molti altri citati per esempio da Danielle Crittenden, in Why Happiness Eludes Modern Woman. A me lo dice la semplice osservazione della realtà. Va bene, siamo libere di fare tutto, siamo anche bravissime a farlo. Possiamo avere una vita sessuale soddisfacente senza essere vittime di condanna sociale, e anche senza il rischio di avere bambini indesiderati, grazie alla rivoluzione sessuale e alla contraccezione. Se i bambini arrivano per sbaglio possiamo liberarcene, e anche se non ne siamo sicure, che un bambino sia arrivato, ma lo sospettiamo solamente, basta una bombetta di ormoni uno o cinque giorni dopo. Possiamo studiare e superare i maschi in tutti i campi. Ci hanno detto di realizzarci, e poi di pensare ai figli. Se non arrivano c'è sempre il piano B, la PMA, e pazienza se costa tantissimo e ha pochissime possibilità di riuscita, e gravi rischi per la salute a breve e a lungo termine.

PIÙ FELICI?
Ma questo ci ha rese più felici? Non mi sembra, anzi. Io sono circondata di donne sole e alquanto disperate. Donne che non riescono a tenere tutto insieme, e anche se hanno figli e lavori splendidi e gratificanti e ben pagati a un certo punto della loro vita cominciano a chiedersi se vale la pena di correre come matte, e lasciar morire le nonne da sole, o sbattersi come trottole nei tre mesi estivi mendicando ospitalità per i bambini, o ancora perdersi primi passi, prime parole, primi amori dei figli.
Ogni tanto leggo i giornali femminili (un po' noiosetti per me, tranne le pagine beauty, sono drogata di creme) e mi intenerisco a leggere le storie di donne che si raccontano balle per non ammettere che le loro vite sono terremotate, alluvionate, desertificate, perché non hanno investito abbastanza sulla famiglia, sui figli, e si raccontano che troveranno in se stesse e nel loro progetto – un negozio bio, una galleria di arte, una piccola attività di artigianato – la forza per andare avanti. Mi si stringe il cuore, perché io sono certa che solo aprirsi alla possibilità di dare la vita o di accoglierla in altri modi se non arriva, solo fare spazio veramente, lasciarsi mangiare da qualcun altro i sogni e i progetti, solo questo rende una donna veramente felice. Di certo non sono le quote rosa a riempire il cuore.

Fonte: Blog di Costanza Miriano, 12 marzo 2015

2 - ECCO PERCHE' CROLLEREMO COME L'IMPERO ROMANO
Decadenza morale, persecuzione fiscale, statalismo, poche nascite, immigrazione selvaggia: un libro mette a nudo le inquietanti analogie tra l'Impero romano d'Occidente e la nostra civiltà al tramonto
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23/02/2015

Si può parlare male della Francia finché si vuole, ma bisogna riconoscere ai francesi la capacità di promuovere dibattiti culturali che vanno al di là delle banalità quotidiane. Ne è un buon esempio la vasta discussione che continua sul libro dello storico e giornalista Michel De Jaeghere «Gli ultimi giorni. La fine dell'Impero romano d'Occidente» (Les Belles Lettres, Parigi 2014). Nel febbraio 2015 il mensile cattolico «La Nef» ha dedicato a questo tomo di oltre seicento pagine un numero speciale con diversi articoli pertinenti, ma del libro si continua a parlare negli ambienti più diversi, talora con toni molto accesi.
Perché appassionarsi nel 2015 alla caduta dell'Impero romano? Si tratta certo di uno degli eventi più importanti della storia universale. Ma in realtà il dibattito francese è divenuto rapidamente politico, perché le vicende finali dell'Impero romano ricordano da vicino - lo aveva del resto già notato Benedetto XVI - quelle di un'altra civiltà che sta morendo, la nostra.

L'IMPERO ROMANO NON CADDE PER COLPA DEL CRISTIANESIMO
De Jaeghere ripete anzitutto quello che è ovvio per gli storici accademici, anche se talora è negato da propagandisti dell'ateismo e nostalgici del paganesimo - forse più presenti e molesti in Francia che altrove -: l'Impero romano non cadde per colpa del cristianesimo. La tesi secondo cui i cristiani, con il loro messaggio di amore e di pace, avrebbero reso l'Impero imbelle di fronte ai barbari - per non risalire a polemisti pagani dei primi secoli come Celso - è stata diffusa dall'Illuminismo, con Voltaire e con lo storico inglese Edward Gibbon. Ma, come ricorda De Jaeghere, è totalmente falsa. Agli inizi del quinto secolo i cristiani nell'Impero romano d'Occidente sono solo il dieci per cento. Sono maggioranza nell'Impero d'Oriente, ma questo resisterà alle invasioni e sopravvivrà per mille anni. Ed è il dieci per cento cristiano che cerca di mantenere in vita Roma e la sua cultura, con vescovi e intellettuali come Ambrogio e Agostino ma anche con generali che si battono fino allo spasimo per difendere l'Impero, come Stilicone ed Ezio, e con tanti soldati cristiani protagonisti di fatti d'arme eroici.
Accantonate le sciocchezze sul cristianesimo, resta la domanda su come l'immenso Impero romano sia potuto cadere. Oggi gli storici sono molto cauti nell'usare la parola «decadenza». È vero che, nell'attuale Italia, negli ultimi secoli dell'Impero duecentomila capifamiglia avevano diritto a somministrazioni gratuite di cibo, che lavorassero o meno, e che i cittadini romani che lavoravano, militari esclusi, avevano centottanta giorni di vacanza all'anno, allietati da spettacoli spesso di dubbio gusto o crudeli. Ma di questa decadenza gli scrittori e i filosofi avevano cominciato a lamentarsi all'epoca di Gesù Cristo, quattrocento anni prima che l'Impero cadesse, in un'epoca in cui Roma le sue battaglie le vinceva ancora.
Alla categoria di «decadenza», suggerisce De Jaeghere, non si può rinunciare a cuor leggero. Ed è giusta l'osservazione di molti storici secondo cui le spiegazioni che attribuiscono la caduta dell'Impero a un'unica causa sono ideologiche. Ma questo non significa che ci si debba arrendere e dichiarare l'evento inspiegabile. Al contrario, De Jaeghere parla di un «processo», che lega le diverse spiegazioni proposte tra loro.

IL CONTROLLO DELLE NASCITE
Ancora come Benedetto XVI - senza citarlo - lo storico francese identifica come causa principale che sta all'origine del processo la denatalità. Il controllo delle nascite presso i romani non ha i mezzi tecnici di oggi, ma dilagano l'aborto e l'infanticidio, e aumenta il numero di maschi adulti che dichiarano di volere avere esclusivamente relazioni omosessuali. Il risultato è demograficamente disastroso: Roma passa dal milione di abitanti dei secoli d'oro dell'Impero ai ventimila della fine del quinto secolo, con una caduta del 98%. Le statistiche sulle campagne sono meno sicure, ma dal trenta al cinquanta per cento degli insediamenti agricoli sono abbandonati negli ultimi due secoli dell'Impero, non perché non siano più redditizi ma perché non c'è più nessuno per coltivare la terra.
Quali sono le conseguenze della denatalità? Sono molte, e tutte negative. Dal punto di vista economico, meno popolazione significa meno produttori e meno soggetti che pagano le tasse. L'Impero romano cede alla tentazione di tanti Stati che si sono trovati in condizioni simili. Aumenta le tasse, fino ad ammazzare l'economia: e anche fino a incassare meno tasse, anche se non ci sono economisti per spiegare in termini matematici la curva per cui, se le imposte aumentano troppo, lo Stato finisce per incassare di meno, perché molti vanno in rovina e non pagano più nulla. La caduta dell'Impero è annunciata nel suo ultimo secolo da una rovinosa caduta del novanta per cento degli introiti fiscali. Nelle campagne molti piccoli proprietari che non possono più pagare le tasse vanno a ingrossare le fila, fiorenti, della criminalità e del banditismo.
Roma è alla testa di un sistema che prevede la schiavitù, e la soluzione alla denatalità dei liberi è cercata anzitutto nell'accrescere la natalità degli schiavi, cui è fatto divieto di praticare l'aborto e che sono incitati con le buone e con le cattive a fare più figli. Nell'ultimo secolo dell'Impero nell'attuale Italia il 35% della popolazione è costituito da schiavi. Gli schiavi, però, non pagano tasse, lavorano in modo poco zelante e non hanno alcun interesse a difendere in armi i loro padroni attaccati. L'economia schiavista degli ultimi secoli dell'Impero diventa anche statalista. Sempre di più è lo Stato a gestire grande imprese agricole dove lavorano esclusivamente schiavi.
Sia pure con caratteristiche diverse, il loro contributo scarsamente entusiasta all'economia ricorda quello dei lavoratori e dei contadini sovietici.

LA MASSICCIA IMMIGRAZIONE
Se scarseggiano i cittadini a causa della denatalità, e gli schiavi non risolvono i problemi, l'altra misura cui gli Stati e gli imperi ricorrono di solito per ripopolare i loro territori è la massiccia immigrazione. Si parla molto delle invasioni barbariche. Ma si dimentica, suggerisce De Jaeghere, che la più grande invasione non è avvenuta per conquista ma per immigrazione. L'invasione di Alarico, per esempio, porta all'interno dell'Impero ventimila visigoti. Ma le misure prese per invitare popolazioni germaniche a immigrare, non solo legalmente ma con facilitazioni, per fare fronte al problema della denatalità, portano nel territorio imperiale in trentacinque anni, dal 376 al 411, un milione di immigrati. Certamente i «barbari» emigrano nell'Impero, o lo invadono, perché a casa loro non si sta bene a causa della pressione degli Unni venuti dall'Asia Centrale, una delle cause della caduta di Roma che non possono essere imputate alle classi dirigenti romane. Ma il non governo dell'immigrazione è colpa loro.
Così come la decisione fatale di reclutare gli immigrati per l'esercito - se qualcuno protesta perché non sono cittadini romani, si concede loro rapidamente la cittadinanza - che snatura le legioni. All'inizio del quinto secolo l'esercito romano non è piccolo. È grande più del doppio rispetto ai tempi di Augusto: da 240.000 uomini si è passati a oltre mezzo milione. Il problema è che più della metà sono immigrati di origine germanica: e dichiararli frettolosamente cittadini romani non cambia la loro condizione. È vero, sono «barbari» in maggioranza i legionari, ma sono romani i comandanti e romani gli imperatori da cui prendono ordini. Senonché a un certo punto i «barbari» si rendono conto appunto di essere la maggioranza dei soldati, la maggioranza di coloro che faticano e muoiono. Perché dovrebbero farsi comandare dai romani? Così, alla fine, uccidono i generali romani e li sostituiscono con uomini loro, si uniscono agli invasori etnicamente affini anziché respingerli e, nell'atto conclusivo, marciano su Roma e pongono fine all'Impero.
Del resto, secondo De Jaeghere, da secoli Roma verso le popolazioni germaniche aveva rinunciato ad avere una «politica estera» che non fosse l'invito all'immigrazione. Le foreste del Nord sembravano ai romani un mondo caotico, dove bande e capi diversi e imprevedibili si uccidevano tra loro, e un mondo con poche ricchezze da portare a Roma. Di qui la decisione - gravemente sbagliata - di disinteressarsi di una vasta area nord-europea, lasciando che lì si formassero lentamente le forze che avrebbero aggredito e distrutto l'Impero, anche perché la globalizzazione dei commerci - pur senza televisione e senza Internet - informava questi «barbari» delle favolose ricchezze di Roma, e scatenava i loro appetiti.
Si comprende come questa sequenza che vede le cause della caduta di Roma in un processo che va dalla denatalità alla persecuzione fiscale dei cittadini, allo statalismo dell'economia e all'immigrazione non governata non piaccia a qualcuno. A De Jaeghere è stato opposto che l'immigrazione è una risorsa, che gli imperatori avrebbero dovuto valorizzare, e che il vero problema fu la loro incapacità di pensare l'Impero in termini nuovi e multiculturali, non l'aumento degli immigrati. È evidente che queste obiezioni «politicamente corrette» nascono dal timore del paragone con l'Europa di oggi, paragone cui lo stesso De Jaeghere non si sottrae, pur invitando alla cautela.
Nello stesso tempo, il suo libro offre una risposta alle obiezioni che allarga il quadro. A Roma venne meno un tasso di natalità capace di sostenere un Impero, con conseguenze a cascata sull'economia e la difesa. Ma perché questo avvenne? Perché a un certo punto i romani scelsero la strada di quello che, con riferimento all'Europa dei giorni nostri, San Giovanni Paolo II avrebbe chiamato «suicidio demografico»? Il libro sostiene che vennero lentamente meno i due pilastri della cultura romana, la «pietas» e la «fides», la lealtà alle tradizioni morali e religiose trasmesse dai padri e la fedeltà alla parola data e agli impegni assunti come cittadino romano nei confronti della patria.

LE CAUSE SONO MOLTEPLICI
Le cause di questa «decadenza» - in questo senso la parola non va abbandonata - sono molteplici. Intorno all'epoca di Gesù Cristo l'aristocrazia romana si trasforma da élite guerriera e militare a élite terriera e latifondista, che riceve a Roma i proventi di possedimenti che spesso non ha neppure mai visitato. Questa nuova élite è più interessata ai piaceri che alla difesa dell'Impero, che considera comunque eterno e invincibile. E comincia a non fare figli: tutte le famiglie tradizionalmente aristocratiche dell'epoca di Gesù Cristo si estinguono prima del 300 d.C. tranne una, la gens Acilia, che si converte al cristianesimo. L'esempio delle classi dirigenti, come sempre accade, fa proseliti. La moda del figlio unico, o di nessun figlio, arriva fino alla plebe.
L'obiezione degli storici, soprattutto inglesi e americani, che negano la tesi della decadenza, è che tutto questo riguarda soprattutto Roma o comunque le grandi città, mentre ancora nell'ultimo secolo dell'Impero l'85% della sua popolazione vive nelle campagne. Ma anche qui, nota De Jaeghere, vengono meno la «pietas» e la «fides». Perché l'Impero, troppo multiculturalista e cosmopolita e non troppo poco, è percepito come una lontana burocrazia che prende decisioni incomprensibili e si fa viva soprattutto per aumentare le tasse. Il piccolo proprietario di campagna nel migliore dei casi è disposto a battersi per difendere il suo villaggio, non i remoti confini di un Impero che percepisce come lontano e verso il quale non sente più nessun «patriottismo», nel peggiore accoglie i «barbari» come liberatori dal fisco romano che lo sta mandando in rovina.
Certamente De Jaeghere potrebbe dedicare più attenzione alle ragioni strettamente religiose del declino, studiate in chiave sociologica da Rodney Stark. Il declino della religione pagana, non più persuasiva per nessuno, è alle origini del declino della «pietas». Avrebbe potuto sostituirla il cristianesimo - di fatto lo farà, ma più tardi - che, come dimostra anche solo una rapida lettura di Sant'Agostino, sapeva trovare in sé le ragioni per difendere l'Impero e la cosa pubblica, di cui non si disinteressava affatto. Ma nell'Impero Romano d'Occidente, anche quando lo professavano gli imperatori, il cristianesimo era minoritario.

CONCLUSIONI PER L'OGGI
Le lezioni per il nostro mondo sono ovvie. Con tutte le cautele che richiede ogni paragone fra epoche diversissime, la caduta di Roma mostra come grandi civiltà possano finire, e che il modo della loro fine normalmente è demografico. Gli imperi cadono quando non fanno più figli, e la denatalità innesca una spirale diabolica di tasse insostenibili, statalismo dell'economia, immigrazione non governata ed eserciti imbelli. Per capire la pertinenza della parabola romana rispetto ai giorni nostri non servono troppi libri, basta aprire le finestre e guardarsi intorno.
Su un punto, peraltro, i critici di De Jaeghere hanno qualche ragione. Gli immigrati e gli invasori di Roma avevano un vantaggio rispetto a immigrati e «invasori» di oggi. In gran parte germanici, non erano portatori di una cultura forte. Riconoscevano la superiorità della cultura romana: cercarono di appropriarsene e finirono anche per convertirsi al cristianesimo. Attraverso secoli di sangue, sudore e fatica la caduta dell'Impero romano d'Occidente prepara così la cristianità del Medioevo.
Oggi gli immigrati e gli «invasori» - invasori tramite l'economia, o aspiranti invasori in armi come il Califfo - sono portatori di un pensiero fortissimo, sia quello islamico o quello cinese: non pensano di dovere assimilare la nostra cultura ma vogliono convincerci della superiorità della loro. La crisi che potrebbe seguirne potrebbe essere ancora più letale di quanto fu per l'Europa la caduta di Roma. Per questo, discutere sulle ragioni della caduta dell'Impero romano d'Occidente non è un puro esercizio intellettuale.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23/02/2015

3 - L'ISIS DISTRUGGE ANTICHISSIMI REPERTI ASSIRI A MOSUL
L'islam, come ogni cultura totalitaria, ha bisogno di fare tabula rasa di tutte le civiltà anteriori o fuori di se stesso
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 01/03/2015

Le distruzioni di antichi reperti assiri da parte dell'Isis al museo di Mosul vengono dopo la distruzione da parte dei talebani dei grandi Buddha di Bamiyan e dopo analoghe devastazioni ai danni delle civiltà egizia, induista, ebraica e cristiana-bizantina.
Come si vede l'odio alla civiltà occidentale va di pari passo con l'odio per tutte le civiltà anteriori all'Islam o fuori dall'Islam (perfino per culture musulmane non ritenute ortodosse).
E' questo – come ha constatato il leader egiziano al-Sisi nel suo storico discorso – che ha portato la comunità islamica "a inimicarsi il mondo intero".
Si è chiesto: "È mai possibile che un miliardo e 600 milioni di persone possano mai pensare di riuscire a vivere solo se eliminano il resto dei 7 miliardi di abitanti del mondo? No, è impossibile!".
La critica di al-Sisi mostra che è un vicolo cieco quello a cui conduce l'ideologia islamista secondo la quale prima, dopo o fuori dal Corano non deve esistere nulla.

L'ISLAM HA DISTRUTTO OGNI CULTURA
Non tutto l'Islam e non sempre ha pensato così totalitariamente. Ma (a parte alcune eccezioni medievali, sconfitte e rimosse) l'Islam in genere ha rifiutato ogni dialogo e confronto culturale e ha fatto il deserto.
Come dice il premio Nobel per la letteratura Naipaul la conversione all'Islam significa l'arabizzazione, implica che il convertito abbandoni totalmente il proprio passato e la propria cultura.
All'opposto c'è il cristianesimo, che – per definizione – è "cattolico" cioè universale, ed è stato capace di abbracciare e integrare ogni civiltà.
Come ha scritto Remi Brague il cristianesimo è nato fin dall'inizio in dialogo con l'ebraismo (sul cui tronco è germinato), con la cultura greca e con quella romana che ha letteralmente traghettato oltre la fine dell'impero romano.
La civiltà europea, forgiata dal cristianesimo, è così diventata capace di incontrare e abbracciare tutte le nuove civiltà che ha scoperto dopo. Infatti il cristianesimo si è inculturato dovunque e ha letteralmente spazzato via il principio razziale o nazionalistico.
Lo ha dimostrato un autore non cattolico come Léon Poliakov, storico ebreo dell'antisemitismo e della shoah.
Nel suo volume "Il mito ariano" scrive: "La tradizione giudaico-cristiana era 'antirazzista' e antinazionalista e senza dubbio le stratificazioni, le barriere sociali del Medio Evo […] favorivano l'azione esercitata dalla Chiesa nel senso del suo ideale: tutti gli uomini erano uguali davanti a Dio".
Tuttavia la stessa Europa da tre secoli a questa parte ha rifiutato questa sua identità cattolica (cioè universale) e, dichiarando guerra alla Chiesa, ha partorito il razzismo (sedicente) scientifico, l'antisemitismo e lo schiavismo. Con i mostri totalitari che hanno preteso di azzerare la storia.
Ieri sulla "Repubblica", parlando delle distruzioni di Mosul, Michele Serra giustamente osservava: "è la storia umana tutta intera che questi bruti obbrobriosi vorrebbero uccidere riducendo in cocci, in pochi minuti, ciò che i millenni ci hanno consegnato intatto".

LE CULTURE TOTALITARIE HANNO BISOGNO DI FARE TABULA RASA
Verissimo. Ma Serra ricorderà che proprio la nostra generazione ha già visto orrori del genere dove non ci si contentò di distruggere le antiche vestigia delle civiltà precedenti, ma si pensò di sterminare perfino coloro che sapevano leggere e scrivere.
Mi riferisco alla Cambogia dei Khmer rossi e alla Rivoluzione culturale cinese, eventi che fecero ciascuno due milioni di morti e che vennero osannati in Occidente dai rivoluzionari e "pensatori" nostrani.
In Cina ci si scatenò perfino contro i pianoforti e i violini (Beethoven e Mozart furono giudicati nemici del popolo).
Fu dispotismo asiatico? No. Quello che tentavano di costruire era l'utopia comunista. Anche in Cambogia.
Non a caso Saloth Sar, ovvero Pol Pot, si era formato alla Sorbona. E anche gli altri leader dei Khmer rossi erano un frutto della cultura marxista europea: Khieu Samphan e Hou Youn conseguirono perfino il dottorato di ricerca in economia a Parigi. Avevano studiato a Parigi pure Ieng Sary, Ieng Thirith, Khieu Ponnary, Ok Sakun, Son Sen e Suong Sikoeun.
Studiavano Rousseau, Robespierre e soprattutto Marx, ascoltarono e assorbirono le pagine e i discorsi della sinistra intellettuale e politica francese, ammaliata dall'Urss di Stalin. Poi tornarono in Cambogia e fecero come Mao con la rivoluzione culturale: tabula rasa. Considerarono i loro popoli dei fogli bianchi su cui scrivere la loro nuova storia.
Ma, ripeto, Mao e Pol Pot non inventarono nulla di nuovo, né in materia di massacri, né riguardo la distruzione, per motivi ideologici, dei monumenti antichi e delle opere d'arte.

LA RIVOLUZIONE FRANCESE
Già la rivoluzione francese, accanto alle sue stragi sanguinarie, aveva perpetrato quella che forse è la più colossale distruzione di opere d'arte della storia. In nome del "progresso" e dei Lumi, che volevano azzerare il passato.
Basti citare le abbazie di Cluny e Citeaux – il grembo della civiltà europea – letteralmente rase al suolo come pure altre chiese millenarie: quella di Saint-Denis (con la tomba del santo), la certosa di Champmol, la cappella sepolcrale dei duchi di Borgogna (per citare solo gli esempi maggiori).
Dal novembre 1793 si attua un piano sistematico di distruzione delle statue delle cattedrali francesi con le devastazioni, a Parigi, di Notre Dame e Sain-Germain-des-Près (poi trasformata in arsenale e semidistrutta), fino a Sémur-en-Auxerrois, Sens e Vézelay e le più importanti chiese romaniche e gotiche.
Nel novembre 1793 vengono distrutti 434 dipinti nel deposito del Museo Centrale e nell'aprile '94 il Comitato di Salute Pubblica ne fa bruciare molti altri (ovviamente candelabri, ostensori e reliquiari furono portati alla Zecca per essere fusi).
A loro volta le armate napoleoniche – come ha documentato Paul Wescher in "I furti d'arte. Napoleone e la nascita del Louvre" (Einaudi) – non solo perpetrarono un ladrocinio che produsse "il più grande spostamento di opere d'arte della storia", ma molto altro devastarono: "è difficile stabilire con esattezza quante opere d'arte di valore unico andarono distrutte o disperse in quei giorni", scrive Wescher, descrivendo nei particolari "il sistematico saccheggio di Roma", oltre a quello di Torino, Napoli e Firenze (grandi chiese italiane furono trasformate in stalle o caserme dalle truppe napoleoniche che danneggiarono capolavori come gli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo).
Nel Novecento il colpo di grazia a quel cristianesimo che aveva riempito di bellezza l'Europa, lo dette l'avvento del comunismo.
A Mosca fu demolita la Cattedrale del Redentore e centinaia di altre chiese furono saccheggiate e poi trasformate in stalle o musei dell'ateismo (dopo aver bruciato o rubato antiche icone e arredi sacri).
Anche negli altri paesi dell'Est si fece lo stesso. Per esempio fu fatto saltare in aria lo Schloss di Berlino, il castello reale che era "il più insigne monumento del Barocco nell'Europa Centrale" e addirittura negli anni Settanta, a Lipsia, nella Ddr, fu distrutta la Chiesa dei Paolini.
Federico Zeri denunciò questo "accanirsi per ragioni rozzamente ideologiche" e il nostro Occidente che mantenne sempre un "rigoroso silenzio, grazie al conformismo di sinistra".
Zeri puntò il dito sull'Armata Rossa anche per il rogo che divampò nei musei di Berlino e che distrusse 417 opere, fra cui 158 capolavori italiani (compresi tre Caravaggio e cinque Paolo Veronese).
Anche durante la guerra civile spagnola i rivoluzionari si produssero in analoghe devastazioni. Basti per tutti l'incendio della cattedrale romanica di Lerida distrutta con tutti i suoi immensi tesori d'arte (ovviamente non fu da meno il nazismo con i suoi orrendi roghi di libri e di sinagoghe).
Tutte le culture totalitarie sono segnate dalla gnosi e hanno bisogno di fare tabula rasa delle altre civiltà pretendendo di azzerare la storia. Incapaci di abbracciare cattolicamente tutto l'umano, la sua espressività e le sue civiltà.

Nota di BastaBugie: consigliamo la lettura del libro di Antonio Socci "I nuovi perseguitati" da cui in questo articolo sono citati alcuni brani. Per leggere l'intervista ad Antonio Socci sui motivi che l'hanno spinto a scrivere questo libro vai al seguente link
http://www.amicideltimone-staggia.it/it/articoli.php?id=26

Fonte: Libero, 01/03/2015

4 - SFUMATURE DI VERITA', FINALMENTE UN BEL FILM SU PIO XII
Il film si basa su testimonianze e documenti inediti che fanno luce sugli 800mila ebrei sopravvissuti all'Olocausto grazie al ''Pastor Angelicus'' (VIDEO: intervista alla regista)
Autore: Lupo Glori - Fonte: Corrispondenza Romana, 04/03/2015

Il 2 marzo in Vaticano, presso l'Istituto di Santa Maria Bambina, è stato presentato in anteprima mondiale Shades of truth – Sfumature di verità, l'atteso film-inchiesta su Pio XII, scritto e diretto da Liana Marabini. Il film basato su testimonianze e centinaia di migliaia di documenti inediti di ebrei sopravvissuti all'Olocausto, grazie all'intervento di Papa Pacelli, fa luce sul reale operato del "pastor angelicus" durante i drammatici anni del nazismo.

UN FILM DI 90 MINUTI
Liana Marabini, intervistata dall'AGI, ha sottolineato l'enorme sforzo documentarista, nonché economico, svolto al servizio della verità storica sulla controversa e dibattuta figura di Pio XII: «Il lavoro è stato notevole. Per più di cinque anni ho studiato tutto quello che era possibile sull'argomento. La ricerca e' stata enorme. E' stata grande la difficoltà di far stare in un film di 90 minuti il contenuto di quasi centomila pagine di lettura e raccontare tutto in modo semplice ed accessibile. Ma ne valeva la pena. E' un film indipendente, finanziato interamente da me e ne sono felice. Pio XII e' una delle figure più incomprese del XX secolo. Questo film e' da parte mia un atto di devozione verso un grande pontefice e un sacerdote che ammiro e che e' un grande esempio morale per me».
La chiave narrativa utilizzata dalla regista è volutamente semplice ma efficace, in quanto, adottando un format televisivo ben collaudato, aiuta lo spettatore a entrare nella vicenda e a comprendere la complessa leggenda nera costruita negli anni attorno alla figura di Papa Pacelli. Protagonista del film è il giornalista italo-americano, di origine ebraica, David Milano, che, dopo un'accesa discussione con la sua futura moglie attorno alla figura di Pio XII, da lui considerato il "Papa di Hitler", decide di intraprendere una seria ed approfondita inchiesta su Papa Pacelli, viaggiando tra Roma, Gerusalemme, Berlino e Lisbona.
Una lunga e sorprendente indagine che alla fine lo porterà a ricredersi, scoprendo che in realtà la preziosa e delicata attività diplomatica di Pio XII permise di salvare la vita a 800.000 ebrei, facendo di Papa Pacelli lo "Schindler del Vaticano". Notevole il cast del film con la presenza di Christopher Lambert, Gedeon Burkhard, David Wall, Marie-Christine Barrault, Roberto Zibetti, Giancarlo Giannini e Remo Girone, oltre ad un cameo del vaticanista Andrea Tornielli (impersonato da un attore) che, pur senza avere visto il film, all'indomani delle critiche suscitate dalla sua anteprima, vista la malaparata, pare, secondo indiscrezioni, aver fatto un poco onorevole passo indietro, chiedendo il taglio della scena che lo vede protagonista.

UNA CHIAVE DI LETTURA DIVERSA
In un intervista, apparsa su "Il Sole 24 ore", la Marabini chiarisce come l'intenzione principale del film sia quella di fornire una chiave di lettura diversa dalla ideologica vulgata dominante: "Con il mio film, spero di fare cambiare idea a chi pensa male di questo grande Pontefice. Certo, un film ha una durata di soli 90 minuti, nei quali e' difficile spiegare un vita vissuta in un contesto tanto drammatico, ma spero di esserci riuscita. Sono molto soddisfatta del risultato. (…) Sono convinta che sia sufficiente avere la pazienza e l'onestà intellettuale di leggere quanto già esiste per far cambiare idea ai detrattori più incalliti. Il film non ha la pretesa di fare scoop, ma di offrire una chiave di lettura, di aprire finestre su un mondo che era quello di Pacelli, di rendere accessibile, a grandi linee, l'ammirevole azione di questo grande Pontefice.".
Sfumature di verità sarà presto distribuito e proiettato in tutto il mondo. Dopo l'anteprima del 2 marzo, data scelta non a caso, in quanto anniversario della nascita di Eugenio Pacelli (1876) e della sua elezione al soglio pontificio (1939), il film uscirà a maggio in 335 sale italiane e in 280 francesi, oltre che in Belgio, Germania, Usa, Argentina, Brasile, Australia, Spagna e Portogallo. A maggio sarà anche presentato fuori concorso a Cannes e a settembre negli Stati Uniti durante l'Incontro mondiale delle famiglie.
Il coraggioso lavoro di Liana Marabini, che già nel titolo chiarisce di non pretendere di raccontare, in soli 90 minuti cinematografici, tutta la complessa verità attorno a Pio XII, è stato oggetto di inaspettate e ingenerose critiche. Senza dubbio va riconosciuto al film l'indiscutibile merito di aver riacceso, in maniera seria ed onesta, il dibattito sul pontificato di Papa Pacelli. Per questo tutti coloro che hanno a cuore l'operato e la figura del "Pastor angelicus" dovrebbero essere grati alla regista Marabini per il suo prezioso contributo al servizio della verità.

Nota di BastaBugie: per approfondire la figura del venerabile Pio XII, si può leggere l'articolo seguente
PIO XII: IL PAPA AMICO DEGLI EBREI CHE SI OPPOSE AD HITLER
Il suo motto fu: ''Opus iustitiae pax'' (la pace è l'opera della giustizia)
di Giano Colli
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1065
Per vedere un servizio con intervista alla regista del film su Pio XII "Sfumature di verità", clicca qui sotto


https://www.youtube.com/watch?v=Fn9SA_eUNjE

Fonte: Corrispondenza Romana, 04/03/2015

5 - IL RITORNO DELL'APOLOGETICA
E' necessario narrare la storia della Chiesa: storia di santi, di costruttori di ospedali, di missionari, di educatori, di martiri; storia di cultura, di università, di arte, di cattedrali, di scienza, di poesia; una storia che spesso neppure i cristiani conoscono...
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Il Timone, febbraio 2015 (n.140)

Quando la Chiesa precipitò nello scisma protestante, non pochi ecclesiastici si resero conto che bisognava cambiare. Che troppe cose non andavano bene. Che troppi sacerdoti, vescovi, cardinali e forse papi, davano scandalo con il loro comportamento libertino, incoerente, peccaminoso... Talora con la loro ignoranza e la loro arroganza. Alcuni ecclesiastici parlarono apertamente, consapevoli che la Chiesa è fatta di uomini, che devono sempre riformarsi, richiamarsi ed essere richiamati.
Eppure nessuno di loro disse che, sì, Lutero aveva ragione. No, Lutero utilizzava delle buone ragioni, come pretesti, non per riformare ma per rivoluzionare e distruggere. Come hanno sempre fatto nei secoli eretici e settari. Anche san Francesco d'Assisi, ancora nel Medioevo, vide la sua Chiesa in grave crisi. E capì che coloro che la avversavano, ad esempio i catari, nemici della vita e della famiglia, potevano fare leva, ancora una volta, sulle colpe di molti credenti. Si rimboccò le maniche, e costruì l'ordine francescano. Senza ribellioni alla Chiesa, senza negare che essa fosse la sposa, per quanto velata, di Cristo.

CHIEDERE SCUSA, DUNQUE, È IMPORTANTE
Lo ha fatto Benedetto XVI, riguardo ai sacerdoti pedofili. Anche se questo può aver dato la stura a molti per suonare la gran cassa; per procedere in un'opera di strumentalizzazione volta a denigrare la Chiesa in quanto tale; per ampliare enormemente le colpe di ecclesiastici, nascondendo nello stesso tempo le ragioni più profonde di una perversione dilagante in vari settori della nostra società.
Bene fanno i cristiani a chiedere scusa. Non tanto a parole, però; non tanto in modo retorico, ufficiale, un po' farisaico; non tanto per le colpe vere o presunte di altri, in passato; quanto nel loro cuore, perché capaci di riconoscersi sempre indegni del divino Maestro. Essere in colpa, come cristiani, è facile, tanto sono alte, difficili, per quanto splendide, le beatitudini evangeliche. Siamo veri e, nello stesso tempo, caritatevoli? Miti, umili e nello stesso tempo forti, coraggiosi?
Dovremmo chiedercelo sempre, non come un esercizio formale; neppure per compiacere al mondo, come fanno tanti che guardano alla storia passata della Chiesa e degli altri cristiani con un certo senso di disprezzo e di superiorità. In certe richieste di scuse c'è forse più superbia che umiltà, più superficiale sicumera e ignoranza, che cultura. Più voglia di compiacere, che di capire.

LA STORIA DELLA CHIESA HA DUEMILA ANNI
Più di qualsiasi altra istituzione terrena. Ed è storia di santi, di costruttori di ospedali, di missionari, di educatori, di martiri... è storia di cultura, di università, di arte, di cattedrali, di scienza, di poesia... Una storia che spesso non ci viene raccontata; che neppure i cristiani conoscono, e che anzi, con colpevole superficialità, buttano a mare in troppe occasioni. Una storia anche calunniata, dal tempo in cui Cristo fu presentato come un impostore, e i suoi discepoli come falsari, imbroglioni, incestuosi, adoratori di un asino, colpevoli persino degli incendi o dei terremoti...
Nell'antica Roma, come nel Novecento sotto nazismo e comunismo, ed oggi in India, in Africa, in Asia...i cristiani vengono accusati delle peggiori cose, falsamente. Di blasfemia, come Asia Bibi, di infanticidio, di tramare contro lo Stato...E vengono uccisi. L'apologetica nacque per questo. Per spiegare ai pagani disposti ad ascoltare la verità su Cristo e sui fatti della Chiesa.
Cristo stesso, in verità, avrebbe potuto fare una apologia di se stesso, davanti a Pilato, ma preferì tacere e farsi condannare. Sì anche i cristiani, chiamati personalmente in causa, hanno spesso preferito tacere, di fronte alle accuse; hanno preferito, come molti martiri, "vincere soccombendo"; vincere sopportando in silenzio il peso delle calunnie e degli sputi, come Cristo.
Ma altri cristiani hanno preso sempre, in ogni tempo, la penna, per difendere non se stessi, ma le loro comunità, e soprattutto la bellezza del Vangelo. Per difendere dalla calunnie che allontanano tanti ingenui o semplici dalla Chiesa.

APOLOGETICA CRISTIANA
Oggi di una apologetica cristiana c'è estremo bisogno. Questo giornale [il Timone, N.d.BB] è nato per questo. Non per dire che i cristiani sono tutti bravi; non per lodarsi. No, solo per ricordare a molti, affinché non cadano in inganno, che la storia della Chiesa cui appartengono non è l'insieme di nequizie inenarrabili che alcuni raccontano, ma una storia, per quanto nei limiti di ciò che è anche umano, grandiosa e bella.
Perché la Chiesa è una istituzione divina, a cui Dio ha dato i mezzi, l'assistenza dello Spirito Santo e i Sacramenti, per santificare la vita di innumerevoli persone. La Chiesa ha diffuso nel mondo idee totalmente nuove: la vera dignità dell'uomo, in quanto figlio di Dio; la vera libertà, nella verità; il rispetto per i bambini e la vita, la santità della famiglia, l'amore per i poveri e i derelitti...
Da duemila anni questa Istituzione, unica tra tutte, sopravvive, nonostante ci siano in essa persone che ne fanno parte solo nominalmente; persone che, come Giuda tradiscono e danno scandalo. Anche questa è vera apologetica: ammettere senza paura che la miseria umana alberga ovunque, anche in tanti cattolici laici o ecclesiastici. Quanti sono i santi che sono stati perseguitati da uomini di Chiesa? Che sono stati magari sospesi dall'ordine che avevano fondato, da qualche papa, per ignoranza o per cattiveria?
Proprio quei santi ci dicono la santità della Chiesa: non solo la loro santità precedente alle ingiustizie, ma anche la loro umiltà, il loro piegare la testa sopportando ingiuste accuse e punizioni, per amore e nel sacrificio, sono frutti della Chiesa. Cristo infatti ci chiede la Fede, tra le altre cose, proprio nella Sua Chiesa. Quando era nell'orto degli Ulivi, o sulla Croce, certo qualche apostolo avrà dubitato: dove è, o Cristo, la tua divinità? Quando la barca era scossa dalla tempesta: dove è, o Cristo, la tua onnipotenza?
Quando figli della Chiesa vedono lo scandalo, il tradimento, la malizia di altri credenti, di uomini del clero, non solo devono ricordarsi di guardare anche alla propria miseria, ma devono anche ricordare che lo stesso Pietro, scelto da Cristo come fondamento della sua Chiesa, lo ha tradito tre volte. Devono ricordare che Tommaso non credette, prima di aver visto e che Giuda disperò. Anche alle origini la Chiesa fu scossa, al suo interno, dallo scandalo, dal tradimento, dalla paura.

IL FATTO È CHE LE SUE VIE NON SONO LE NOSTRE VIE
L'Onnipotenza ha scelto la debolezza; la Divinità ha scelto di abitare un corpo carnale, sofferente, mortale; Cristo ha voluto che la santità della sua Chiesa stesse insieme alla miseria, talora immensa, incomprensibile, paradossale, dei sui discepoli: "Santa e composta di peccatori" (Benedetto XVI). Spesso ci facciamo una domanda: dove è la mia fede, ora che soffro?
Questa domanda vale anche per la Chiesa: "Dove è la tua fede nella Chiesa, ora che il tuo parroco ti si svela per ciò che è, un povero uomo e non un santo? Dove è la tua fede quando si viene a sapere che un vescovo è pedofilo? Dove è la tua fede quando ti raccontano che nel passato abbiamo avuto anche papi con le amanti, i figli e quant'altro?
Una mistica francese del Novecento, Madelaine Delbrel, ha scritto: "Poiché sognavamo un Cristo - Chiesa trionfante agli occhi degli uomini, non sappiamo sempre ricordarci che il mistero di Cristo è il mistero della Chiesa, che sino alla fine dei tempi egli sarà il Salvatore umiliato, camuffato sotto uomini limitati e peccatori, e che dovremo riconoscerlo in essi".
L'uomo di fede vede anche dove non si vede, spera anche quando sembra che sperare sia impossibile; aspetta, attende con paziente fiducia, perché sa che il timone della storia, e ancora più, se possibile, quello della Chiesa, è nelle sue mani. Anche se ciò non toglie nulla al fatto che il peccato e lo scandalo dato dai pastori, sia, sempre, grave di fronte a Dio e agli uomini.

Fonte: Il Timone, febbraio 2015 (n.140)

6 - INTERVISTA AL VESCOVO DI SAN FRANCISCO, ''COLPEVOLE'' DI ESSERE CATTOLICO
E' stato duramente attaccato da associazioni lgbt, giornali e televisioni perché ha chiesto di insegnare la morale cattolica nelle scuole cattoliche
Autore: Benedetta Frigerio - Fonte: Tempi, 06/03/2015

«C'è una grande confusione e una rinuncia a usare la ragione e a conoscere i fatti. Dicono che sono irremovibile, ma io non posso venire meno al mio compito di vescovo e pastore che deve difendere i più deboli dalla menzogna. Ho sempre ascoltato tutti. Ho spiegato di essere disposto ad aggiungere al regolamento altri punti della dottrina e ho sottolineato la differenza fra pubblico e privato, fra peccato e peccatore». Il "regolamento" di cui parla l'arcivescovo di San Francisco Salvatore Joseph Cordileone con tempi.it è quel documento che lo ha fatto finire in queste settimane sui maggiori giornali statunitensi. Persino il New York Times ne ha parlato e non certo per mettere in buona luce l'alto prelato che porta nel suo cognome chiare origini italiane. Nominato il 27 luglio del 2012 da papa Benedetto XVI a capo di una delle diocesi più liberal d'America, Cordileone non ha mai nascosto le sue idee e non è la prima volta che si trova a difendere pubblicamente la morale cristiana. Questa, volta, però, il caso è del tutto particolare, anche perché ad attaccarlo non ci sono solo i media progressisti o gli attivisti delle associazioni gay, ma gli stessi cattolici.

LE PROTESTE: SI DIMETTA
Tutto è cominciato il 3 febbraio scorso, quando Cordileone ha dovuto mettere mano al rinnovo dei contratti degli insegnanti delle scuole superiori cattoliche della diocesi. «Il contratto – spiega – deve essere revisionato ogni quattro anni e io ho deciso di inserire diversi punti dottrinali su cui oggi si fa molta confusione, chiedendo che i docenti non li contraddicessero in aula e nella loro vita pubblica». Niente di strano. «Ho semplicemente ribadito che occorre seguire il magistero cattolico». L'arcivescovo ha, infatti, ricordato quale sia la posizione della Chiesa e del catechismo in merito alla morale sessuale, la contraccezione, l'uso delle cellule staminali. È scoppiato un putiferio. Un gruppo di docenti, genitori e alunni ha accusato Cordileone di tradire il Vangelo e di alimentare la discriminazione e la paura. Il Mercoledì delle ceneri è stata organizzata una fiaccolata di protesta davanti alla cattedrale di St. Mary in cui è stata data voce a uno studente omosessuale che ha detto: «Siamo qui a pregare che il cuore del vescovo si converta». Il giorno prima, un gruppo di legislatori democratici gli ha inviato una lettera chiedendogli di dimettersi. Diverse associazioni Lgbt lo hanno attaccato e nella campagna mediatica si è persino fatto avanti Sam Singer, uno dei più maggiori strateghi della comunicazione statunitense: «Stiamo tutti pregando perché papa Francesco rimuova l'arcivescovo di San Francisco».

PROPONGO LA SANTITA'
«Dicono che fomento l'odio – spiega Cordileone a tempi.it -, ma non capiscono che la condanna dell'errore non coincide con quella della persona. Anzi, come ho ribadito, si condanna il peccato per amore della nostra fragile umanità». Un'umanità sempre più soggetta «alle continue sollecitazioni della mentalità che spinge verso condotte contrarie alla dignità dell'essere umano: mi sono mosso solo per amore verso i nostri ragazzi perché possano vivere da santi».
C'è un antefatto poco conosciuto, ma che spiega quali siano le intenzioni pastorali dell'arcivescovo nei confronti degli studenti e dei docenti delle scuole cattoliche. All'inizio dell'anno accademico, Cordileone parlando ai professori spiegò che i giovani che ogni giorno si incontrano in aula non sono una generazione perduta, come spesso si è portati a credere, ma che anche loro possono raggiungere grandi mete, se solo qualcuno è disposto a indicare loro una via. «Dobbiamo aiutare i ragazzi a diventare santi. Siamo qui per questo. E come si comincia? Bisogna partire dalle virtù eroiche dei servi di Dio che sono l'umiltà e la castità, non come rinunce ma come frutto dello sguardo sul nostro prossimo, creatura di Dio e, dunque, non manipolabile ma degno di rispetto». Dopo quel discorso, ricorda l'arcivescovo, molti professori «chiesero di parlarmi. Incontrai tanta gente di buona volontà che voleva capire come presentare a tutti queste virtù con decisione e carità». Oggi, però, dove sono? «Non mi stupisco che abbiano paura a mostrarsi pubblicamente. In queste quattro settimane sono stato attaccato da tutti i maggiori media, si è creato un clima da caccia alle streghe che penso abbia intimidito la maggioranza».

IL SOSTEGNO
Lui, da par suo, non indietreggia di un millimetro. «Quei politici che mi hanno accusato di voler controllare la condotta privata degli insegnanti, mentono. A loro ho risposto così: "Assumeresti come leader della tua causa qualcuno che parli e agisca pubblicamente contro il partito democratico? Assumeresti un repubblicano che insegni e agisca pubblicamente contro il tuo proposito? Se la risposta alla prima domanda è 'sì' e alla seconda è 'no', siamo d'accordo". Io rispetto il tuo diritto ad assumere chi vuoi per portare avanti la tua missione. Semplicemente chiedo lo stesso rispetto».
Oggi l'arcivescovo ammette di sentirsi «spesso solo», anche se sente il sostegno di tanti che gli scrivono. «Ricevo lettere di fedeli da tutti gli Stati Uniti, incontro molti parrocchiani che pregano per me e anche altri preti e vescovi. A non farmi indietreggiare sono la loro vicinanza e le loro preghiere».

Fonte: Tempi, 06/03/2015

7 - A UN ANNO DALLA MORTE, RICORDIAMO MARIO PALMARO
L'eredità culturale che ci ha lasciato è quanto mai attuale: una fedeltà al Magistero che gli impediva di tacere davanti ai compromessi con il male (che molti cattolici fanno nella speranza di arginare il peggio)
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 09/03/2015

Il 9 marzo di un anno fa si spegneva Mario Palmaro, bioeticista, docente universitario, giornalista (anche per questa testata), conferenziere, ma soprattutto marito e padre di quattro bambini. Si spense a 45 anni attorniato da parenti e da molti amici che con le loro preghiere bussavano alle porte del cielo, quel cielo che con speranza cristiana ci auguriamo che Mario si sia meritato qui in terra.
Quale eredità culturale ha lasciato Mario? Il suo lavoro di intellettuale si è rivolto per la gran parte ad intra del mondo cattolico. Comprese che se una squadra di calcio pervicacemente considera giusto far goal nella propria porta e non in quella degli avversari, qualcosa non va. E' bene allora tornare il prima possibile negli spogliatoi e chiarire le regole di base del calcio. Perché fa più danni un calciatore della propria squadra che, seppur animato da buona fede, tenta l'autogol ad ogni giocata, che undici giocatori della squadra avversaria i quali, come è normale che sia, fanno di tutto per gonfiare la tua di rete.

LA PERICOLOSITA' DELL'AUTOGOL
Insomma è assai più letale un cattolico adulto, piccolo piccolo nella sua insipienza culturale, che cento Pannella. Perché il primo, a motivo del suo mimetismo, si fa passare come cattolico, ma non lo è, ed invece il secondo è ben individuabile nella sua uniforme di nemico. Il primo lo accogliamo a braccia aperte, perché lo consideriamo amico, il secondo gli puntiamo il fucile contro (forse). Il primo è quindi nella posizione di propalare gli errori dottrinali negli ambienti cattolici come se fossero verità rivelate, di inoculare il virus dell'eterodossia sui giornali cattolici, nelle università di ispirazione religiosa, nei seminari, etc. Ma poi, come spesso Mario non mancava di sottolineare, il pensiero del primo alla fine non può che collimare alla perfezione con quello del secondo.
Palmaro esprimeva questo concetto con la seguente adamantina argomentazione. Se tu difendi la legge 194 e l'aborto chirurgico perché hai paura delle pillole abortive, la legge 40 e la fecondazione omologa perché non vuoi quella eterologa, le Dichiarazioni anticipate di trattamento perché desideri evitare l'eutanasia, la legge sull'omofobia per dribblare il "matrimonio" omo, dopo poco tempo ti entreranno in casa proprio tutte quelle sciagure che avrai tentato di scacciare, per un semplice motivo. Perché avrai abbracciato il male che è alla radice di tutte queste pratiche.
Mario usava l'espressione "peccato originale". Accettato il peccato originale dell'aborto insito nella 194, cioè l'idea soggiacente a questa legge che la madre può uccidere il figlio, disperarsi poi per arginare il male ponendogli dei paletti normativi non servirà a nulla. Ingoiato il rospo della Fivet omologa e cioè della possibilità di cosificare il figlio, che poi venga introdotta l'eterologa o l'utero in affitto, nulla o quasi cambia, perché saranno semplicemente delle variazioni su un tema che anche tu cattolico avrai contribuito a comporre e a cantare. Fatto proprio il principio che l'omosessualità è un bene giuridico da tutelare, come potrai arrestare il treno espresso delle "nozze" gay?

IL PROBLEMA
Mario lo ripeteva spesso. Il problema in casa cattolica non verteva, e non verte, su questioni sì di un certo rilievo teologico o etico, ma alla fin fine non fondamentali. Il problema sta nell'ABC della dottrina cattolica su fede e morale. Le sbavature dei cattolici non riguardano la dormizione della Santa Vergine – l'esempio è suo - ma l'appoggio a leggi mortifere come quelle su aborto, fecondazione artificiale ed eutanasia.
A questo problema poi se ne aggiungeva un altro. Il sedicente cattolico pensa che tutte queste battaglie sono state perse per sempre e che quindi è bene scendere a patti con il nemico perché se non cedi, perdi. Ed invece Mario continuava ad insistere che cedere anche di un micron sulla vita nascente o morente è già non una sconfitta, ma la sconfitta. Che accettare il male minore è come accettare di aprire una piccola falla nello scafo della nave della Chiesa, illudendosi che quella falla non comprometterà la stabilità dell'imbarcazione e il suo galleggiamento. Che non esiste uno iato tra dottrina – pratica buona per i cattolici bambini – e prassi, vita reale – gioco adatto solo ai cattolici adulti – ma che se pensi male non potrai che agire male. Gli diedero per questo dell'intransigente, del pazzo, dell'integralista, dell'amante dei panorami dell'Aventino, del miope, del deficiente di senso pratico e del tradizionalista orbo di prudente realismo.
Ma Mario non barattò mai la fedeltà al Magistero con la fedeltà al compromesso - coniuge che di suo è portato sempre al tradimento - consapevole che l'amore ai principi non negoziabili è amore delle persone in carne ed ossa, un amore che a vista umana a volte può essere perdente - Cristo in croce ne è un esempio - ma agli occhi di Dio è sempre una vittoria.

Nota di BastaBugie: Mario Palmaro è stato un grande amico di BastaBugie. Alcune volte ci ha scritto per elogiare qualche nostra scelta editoriale e per incoraggiarci nel servizio alla verità. Di lui abbiamo pubblicato oltre cento articoli. Clicca qui sotto per vedere l'elenco
https://www.bastabugie.it/it/ricerca.php?autore_ricerca=Mario%20Palmaro

Consigliamo inoltre l'acquisto del nuovissimo libro "MARIO PALMARO. IL BUON SEME FIORIRÀ" di Alessandro Gnocchi - Fede & Cultura - pp. 160 - € 16.00.
In questo libro, Alessandro Gnocchi ha raccolto il ricordo di un gruppo di amici per ricordare la sua vita pubblica e privata. Si può ordinare scrivendo a ordini@fedecultura.com

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 09/03/2015

8 - SAN BRUNO, UN PROTAGONISTA DELLA RIFORMA DELLA CHIESA DELL'XI E DEL XII SECOLO
San Bruno di Segni spiega che il fondamento della Chiesa non è Pietro, ma la fede cristiana confessata da Pietro
Autore: Roberto De Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana, 04/03/2015

Tra i più illustri protagonisti della riforma della Chiesa dell'XI e del XII secolo, spicca la figura di san Bruno, vescovo di Segni e abate di Montecassino. Bruno nacque attorno al 1045 a Solero, presso Asti, in Piemonte. Dopo aver studiato a Bologna, fu ordinato prete nel clero romano e aderì entusiasticamente alla riforma gregoriana. Papa Gregorio VII (1073-1085) lo nominò vescovo di Segni e lo ebbe tra i suoi più fedeli collaboratori. Anche i suoi successori, Vittore III (1086-1087) e Urbano II (1088-1089), si valsero dell'aiuto del vescovo di Segni, che univa l'opera di studioso ad un intrepido apostolato in difesa del Primato romano.
Bruno partecipò ai concili di Piacenza e di Clermont, nei quali Urbano II bandì la prima crociata e negli anni successivi fu legato della Santa Sede in Francia e in Sicilia. Nel 1107, sotto il nuovo Pontefice Pasquale II (1099-1118), divenne abate di Montecassino, una carica che lo rendeva una delle personalità ecclesiastiche più autorevoli del suo tempo. Grande teologo, ed esegeta, risplendente per dottrina, come scrive nei suoi Annali il card. Baronio (tomo XI, anno 1079), è considerato come uno dei migliori commentatori della Sacra Scrittura del Medioevo (Réginald Grégoire, Bruno de Segni, exégète médiéval et théologien monastique, Centro italiano di Studi sull'Alto Medioevo, Spoleto 1965).

SCONTRI POLITICI, CRISI SPIRITUALE E MORALE
Siamo in un'epoca di scontri politici e di profonda crisi spirituale e morale. Nella sua opera De Simoniacis, Bruno ci offre un'immagine drammatica della Chiesa deturpata del suo tempo. Già dall'epoca di Papa san Leone IX (1049-1054) «Mundus totus in maligno positus erat: non v'era più santità; la giustizia era venuta meno e la verità sepolta. Regnava l'iniquità, dominava l'avarizia; Simon Mago possedeva la Chiesa, i Vescovi e i sacerdoti erano dediti alla voluttà e alla fornicazione. I sacerdoti non si vergognavano di prender moglie, di celebrare apertamente le nozze e di contrarre matrimoni nefandi. (…) Tale era la Chiesa, tali erano i vescovi e i sacerdoti, tali furono alcuni tra i Romani Pontefici» (S. Leonis papae Vita in Patrologia Latina (= PL), vol. 165, col. 110).
Al centro della crisi, oltre al problema della simonia e del concubinato dei preti, c'era la questione delle investiture dei vescovi. Il Dictatus Papae con cui, nel 1075, san Gregorio VII aveva riaffermato i diritti della Chiesa contro le pretese imperiali, costituì la magna charta a cui si richiamarono Vittore III e Urbano II, ma Pasquale II abbandonò la posizione intransigente dei suoi predecessori e cercò in tutti i modi un accordo con il futuro imperatore Enrico V. Agli inizi di febbraio del 1111, a Sutri, chiese al sovrano tedesco di rinunciare al diritto all'investitura, offrendogli in cambio la rinuncia della Chiesa ad ogni diritto e bene temporale.
Le trattative andarono in fumo e, cedendo alle intimidazioni del re, Pasquale II accettò un umiliante compromesso, firmato a Ponte Mammolo il 12 aprile del 1111. Il Papa concedeva ad Enrico V il privilegio dell'investitura dei vescovi, prima della consacrazione pontificia, con l'anello e con il pastorale che simboleggiavano sia il potere sia temporale che spirituale, promettendo al sovrano di non scomunicarlo mai. Pasquale incoronò quindi Enrico V imperatore in San Pietro.

UNA MOLTITUDINE DI PROTESTE
Questa concessione suscitò una moltitudine di proteste nella cristianità perché ribaltava la posizione di Gregorio VII. L'abate di Montecassino, secondo il Chronicon Cassinense (PL, vol. 173, col. 868 C-D), protestò con forza contro quello che definì non un privilegium, ma un pravilegium, e promosse un movimento di resistenza al cedimento papale. In una lettera indirizzata a Pietro, vescovo di Porto, definisce il trattato di Ponte Mammolo un' «eresia», richiamando le determinazioni di molti concili: «Chi difende l'eresia ‒ scrive ‒ è eretico. Nessuno può dire che questa non sia un'eresia» (Lettera Audivimus quod , in PL, vol. 165, col.1139 B).
Rivolgendosi poi direttamente al Papa, Bruno afferma: «I miei nemici ti dicono che io non ti amo e che sparlo di te, ma mentono. Io infatti ti amo, come devo amare un Padre e un signore. Te vivente, non voglio avere altro pontefice, come assieme a molti altri ti ho promesso. Ascolto però il Salvatore nostro che mi dice: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me". "(…) Devo dunque amare te, ma più ancora devo amare Colui che ha fatto te e me» (Mt. 10-37). Con lo stesso tono di filiale franchezza, Bruno invitava il Papa a condannare l'eresia, perché «chiunque difende l'eresia è eretico» (Lettera Inimici mei, in PL, vol. 163, col. 463 A-D).
Pasquale II non tollerò questa voce di dissenso e lo destituì da abate di Montecassino. L'esempio di san Bruno spinse però molti altri prelati a chiedere con insistenza al Papa di revocare il pravilegium. Qualche anno dopo, in un Concilio che si riunì in Laterano nel marzo del 1116, Pasquale II ritrattò l'accordo di Ponte Mammolo. Lo stesso Sinodo lateranense condannò la concezione pauperistica della Chiesa dell'accordo di Sutri. Il concordato di Worms del 1122, stipulato tra Enrico V e papa Callisto II (1119-1124), concluse – almeno momentaneamente – la lotta per le investiture. Bruno morì il 18 luglio 1123. Il suo corpo fu sepolto nella cattedrale di Segni e, per sua intercessione, si ebbero subito molti miracoli. Nel 1181, o, più probabilmente, nel 1183, papa Lucio III lo accolse fra i santi.

IL FONDAMENTO DELLA CHIESA
Qualcuno obietterà che Pasquale II (come più tardi, Giovanni XXII sul tema della visione beatifica) non cadde mai in eresia formale. Non è questo però il cuore del problema. Nel Medioevo il termine eresia era usato in senso ampio, mentre soprattutto dopo il Concilio di Trento, il linguaggio teologico si è affinato, e si sono introdotte precise distinzioni teologiche tra proposizioni eretiche, prossime all'eresia, erronee, scandalose, etc. Non ci interessa definire la natura delle censure teologiche da applicare agli errori di Pasquale II e Giovanni XXII, ma di stabilire se a questi errori fosse lecito resistere.
Tali errori certamente non furono pronunciati ex cathedra, ma la teologia e la storia ci insegnano che se una dichiarazione del Sommo Pontefice contiene elementi censurabili sul piano dottrinale, è lecito e può essere doveroso criticarla, anche se non si tratta di un'eresia formale, solennemente espressa. È quanto fecero san Bruno di Segni contro Pasquale II e i domenicani del XIV secolo contro Giovanni XXII. Non furono essi a sbagliare, ma i Papi di quel tempo, che infatti ritrattarono le loro posizioni prima di morire.
Va inoltre sottolineato il fatto che coloro che con più fermezza resistettero al Papa che deviava dalla fede furono proprio i più ardenti difensori della supremazia del Papato. I prelati opportunisti e servili dell'epoca, si adeguarono al fluttuare degli uomini e degli eventi, anteponendo la persona del Papa al Magistero della Chiesa. Bruno di Segni, invece, come altri campioni dell'ortodossia cattolica, antepose la fede di Pietro alla persona di Pietro e redarguì Pasquale II con la stessa rispettosa fermezza con cui Paolo si era rivolto a Pietro (Galati 2, 11-14). Nel suo commento esegetico a Matteo 16, 18, Bruno spiega che il fondamento della Chiesa non è Pietro, ma la fede cristiana confessata da Pietro.
Cristo infatti afferma che edificherà la sua Chiesa non sulla persona di Pietro, ma sulla fede che Pietro ha manifestato dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». A questa professione di fede Gesù risponde: «è sopra questa pietra e sopra questa fede che edificherò la mia Chiesa» (Comment. in Matth., Pars III, cap. XVI, in PL, vol. 165, col. 213). La Chiesa elevando Bruno di Segni agli onori degli altari suggellò la sua dottrina e il suo comportamento.

Fonte: Corrispondenza Romana, 04/03/2015

9 - OMELIA IV DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO B (Gv 3,14-21)
Chi crede in Lui non è condannato
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 15 marzo 2015)

Le letture di questa quarta domenica di Quaresima ci fanno riflettere sull'infinito amore di Dio per l'uomo. Una volta, la beata Giuliana da Norwich chiese al Signore una grazia particolare: quella di comprendere tutta la grandezza dell'amore di Dio per l'umanità. Fu accontentata, ma la Beata dovette subito interrompere quella contemplazione perché si avvide che stava letteralmente per impazzire alla vista dell'infinito amore di Dio.
Il Vangelo di oggi dice che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Il Padre ha tanto amato l'umanità da mandare il Figlio suo su questa terra. Egli, il Figlio unigenito, si è fatto uomo, ha condiviso la nostra condizione in tutto fuorché nel peccato. Già questo ci deve far comprendere la grandezza del suo amore. Ma, non contento di questo, il Padre ha voluto che il Figlio morisse per noi sul legno della croce, per la nostra salvezza. Gesù ha fatto sua questa Volontà del Padre e ha dato la sua vita per noi con infinito amore. E, non pago di tanto amore, Egli ha voluto rimanere con noi tutti i giorni della nostra vita, sino alla fine del mondo, nel sacramento dell'Eucaristia, per essere il nostro sostegno e il nostro nutrimento.
L'amore si misura con il dolore. Quanto più si ama, tanto più si è disposti a soffrire per la persona amata. Il dolore diventa come la prova inconfutabile del vero amore. Diversamente ci si illude di amare, ma, in realtà, si cerca solo il nostro tornaconto.
Nel Vangelo di oggi si parla della Croce. Non poteva mancare questo riferimento proprio ora che siamo nel cuore della Quaresima e ci prepariamo a celebrare la Passione e la Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. Nicodemo, dottore della legge mosaica, si reca di notte da Gesù per ascoltare il suo insegnamento. Gesù porta il discorso sul tema centrale: il mistero della Croce. Per far questo, Gesù prende spunto da un episodio dell'Antico Testamento. Egli dice: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,15).
Durante l'esodo attraverso il deserto, gli Ebrei si resero infedeli a Dio, e allora essi furono puniti con l'invasione di serpenti velenosi i quali penetrarono nell'accampamento e un gran numero di israeliti morì. Il popolo supplicò Mosè di intercedere. Allora, Mosè innalzò un serpente di bronzo su di un palo e tutti quelli che venivano morsi dai serpenti, se guardavano al serpente di bronzo, avevano salva la vita.
Questo episodio nasconde un significato molto profondo. Il serpente, che con il suo morso uccide il corpo, simboleggia il peccato che dà morte all'anima. E il serpente di bronzo innalzato sull'asta, in modo misterioso, simboleggia Gesù, il quale per nostro amore si è addossato tutti i nostri peccati ed è stato appeso al legno della croce, fino a versare tutto il suo Sangue per la nostra salvezza. Chiunque guarda a Gesù, ovvero chi crede in Lui, sarà salvato e avrà la Vita eterna.
Il Vangelo di oggi ci parla inoltre del Giudizio. Verremo giudicati e il nostro Giudice sarà Gesù stesso. Il testo dice: «Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio» (Gv 3,18). Non si tratta certamente di una fede astratta e sterile, ma di una piena adesione a quanto Dio ci ha rivelato. Dunque, per conseguire la salvezza, noi dobbiamo mettere in pratica quanto abbiamo conosciuto per mezzo della fede.
Concretamente, dobbiamo rinnegare le opere delle tenebre, ovvero il peccato, e operare secondo quanto Gesù ci ha insegnato nel suo Vangelo. Egli dice: «Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque fa il male odia la luce» (Gv 3,20).
Se opereremo sempre il bene, non avremo nulla da temere nel giorno del nostro Giudizio. Abbiamo inoltre a nostra disposizione il sacramento della Confessione: per suo mezzo renderemo luminose le nostre anime, allontanando le tenebre del peccato.
All'insegnamento del Vangelo fa eco la seconda lettura di oggi. San Paolo, scrivendo agli Efesini, così esclama: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo nelle colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati» (Ef 2,4-5).
E sarà proprio per mezzo del sacramento della Confessione che noi sperimenteremo tutta la ricchezza della Misericordia divina, e l'anima, umile e pentita, ritroverà la luce della vita.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 15 marzo 2015)

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