BastaBugie n�398 del 22 aprile 2015
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SEI FATTI, UN'UNICA CONCLUSIONE
L'Islam è l'unica ''civiltà'' ad aver messo in serio pericolo, e per ben due volte, la sopravvivenza dell'Occidente
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
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WHATSAPP: COMODO, MA RISCHIOSO (SOPRATTUTTO PER GLI UNDER 16)
I presidi delle scuole medie e superiori di Parma e provincia affermano che limita le ore di sonno, riduce l'attenzione e la concentrazione, disturba lo studio, incide sulle relazioni sociali
Fonte: Blog di Costanza Miriano
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TECNOLOGIA E MISURE DI SICUREZZA NON CI SALVERANNO
Spari in tribunale e disastro aereo: prendiamone atto, questo non è un mondo perfetto (e non lo sarà mai)
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: Corrispondenza Romana
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IL PARLAMENTO DELL'UCRAINA RICONOSCE CHE COMUNISMO E NAZISMO PARI SONO
Anzi, dal punto di vista della pura contabilità, non ci sono dubbi: ne ha ammazzati di più il comunismo di Stalin e Mao Tse Tung con 100 milioni di vittime (contro ''appena'' 10 milioni fatta fuori dai nazisti)
Autore: Luigi Santambrogio - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana
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IO, CRESCIUTA CON UN PADRE TRANSESSUALE, VI CHIEDO DI NON APPROVARE LE NOZZE GAY
L'ho provato sulla mia pelle: un uomo, anche se si sente donna, non può fare da modello femminile a una bambina
Autore: Benedetta Frigerio - Fonte: Tempi
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QUANDO NEANCHE LA MADRE E' PIU' CERTA
Clamorosa sentenza di un tribunale italiano dimostra che il supremo interesse è quello dei gay, non quello dei bambini
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana
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LA TURCHIA PROTESTA CONTRO IL PAPA PER LE SUE FRASI SUGLI ARMENI... E ACCELERA SULL'ISLAMIZZAZIONE
Nel primo genocidio del XX secolo (1915-1924) persero la vita un milione e mezzo di cristiani: i Giovani Turchi massacrarono sacerdoti, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana
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ARMENIA, ECCO COME AVVENNE IL GENOCIDIO SCOMODO
Un secolo fa, il 24 aprile 1915, iniziava il massacro sistematico di un popolo cristiano che dava fastidio all'Impero ottomano
Autore: Vincenzo Sansonetti - Fonte: Il Timone
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OMELIA IV DOMENICA DI PASQUA - ANNO B (Gv 10,11-18)
Il buon pastore dà la propria vita per le pecore
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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SEI FATTI, UN'UNICA CONCLUSIONE
L'Islam è l'unica ''civiltà'' ad aver messo in serio pericolo, e per ben due volte, la sopravvivenza dell'Occidente
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 19/04/2015
Ecco alcune notizie degli ultimi giorni: 1) la strage di 147 studenti cristiani compiuta dagli islamisti all'Università di Garissa in Kenya; 2) le minacciose invettive del presidente islamico turco per l'evocazione da parte di papa Bergoglio del "genocidio" di un milione e mezzo di cristiani armeni, un secolo fa; 3) un ragazzo bruciato vivo in Pakistan perché cristiano; 4) i combattenti islamisti in Siria bombardano i quartieri cristiani di Aleppo facendo decine di morti; 5) secondo alcune notizie dalla Nigeria, le 200 studentesse cristiane rapite da Boko Aram sarebbero state uccise; 6) quindici migranti islamici fermati dalla polizia a Palermo per aver buttato in mare dodici migranti cristiani a causa della loro fede. E' un orrore che va avanti da tempo. Ricordo un numero della rivista di geopolitica "Limes" che già nel 2000 scriveva: "Il cristianesimo è la religione più perseguitata del mondo. Conta migliaia di vittime; i suoi fedeli subiscono torture e umiliazioni di ogni tipo. Ma l'opinione pubblica occidentale... non concede a questo dramma alcuna attenzione". Ha un bel chiedere - in questi giorni - Lucia Annunziata "dov'è la sinistra" davanti al massacro degli studenti cristiani in Kenya. La risposta è "non pervenuta".
VICINANZA ALL'ISLAM Del resto l'opinione pubblica che conta, quella sinistra liberal o ancora marxisteggiante che dilaga sui media e nelle istituzioni scolastiche, manifesta di frequente disprezzo verso quei principi e quella storia cristiana su cui sono fondati la nostra libertà e il nostro benessere. L'Europa tecnocratica poi sembra smaniosa di cancellare le tracce di tutto ciò che è cristiano (in Francia siamo al ridicolo: si epura perfino la toponomastica). Si progettano pure disegni di legge che potrebbero limitare proprio la libertà di espressione dei cristiani magari in nome delle nuove bandiere ideologiche della sinistra, come l'omofobia. Ma la stessa sinistra che qua è pronta a fare le barricate per i cosiddetti "diritti civili" appare muta di fronte - non dico ai cristiani perseguitati - ma all'umiliante condizione delle donne nei paesi islamici e al brutale trattamento lì riservato alle persone omosessuali. L'astioso pregiudizio contro il cristianesimo delle élite "progressiste" va di pari passo con il loro benevolo pregiudizio verso l'Islam. Del quale non si vogliono riconoscere nemmeno i massacri. D'altronde cosa fece la Sinistra marxista di un tempo con i crimini del comunismo? Negò quelle atrocità finché poté, poi pretese di ridurli a degenerazioni locali, scomunicando chi riteneva che invece il problema fosse lo stesso marxismo-leninismo. Oggi la Sinistra progressista vuol farci credere che il terrorismo non c'entra niente con l'Islam. E ignora le stragi (soprattutto di cristiani) che hanno costellato tutta la storia dell'Islam e della sua sanguinosa espansione. Si arriva al punto di capovolgere la storia e far passare i cristiani per aggressori evocando a rovescio le crociate (le quali tentarono semplicemente di limitare i danni dell'invasione islamica di terre cristiane). L'ignoranza storica si accompagna alla cecità ideologica, perché l'Islam più che una religione come il cristianesimo, è una teologia politica come il marxismo. Il laicissimo Bertrand Russel in un suo saggio sul bolscevismo scriveva che fra le religioni il bolscevismo doveva essere paragonato piuttosto all'Islam che al cristianesimo. Quest'ultimo infatti è una religione personale con una sua spiritualità, una mistica, una teologia. Invece "Islamismo e Bolscevismo sono religioni pratiche, sociali, non spirituali, impegnate a conquistare il dominio del mondo terreno. I loro fondatori non avrebbero resistito alla terza tentazione nel deserto di cui parla il Vangelo". L'Islam infatti comporta un'ideologia totalitaria simile al comunismo, ma anche al fascismo e al nazismo (Eric Voegelin ha ampiamente mostrato che sono diverse maschere riemergenti della gnosi). Come ha spiegato Samir Khalil Samir, "l'Islam nasce fin dall'inizio come progetto socio-politico e anche militare: ciò è evidente sia nel Corano sia nella sunna, nella tradizione che include la vita e i detti di Maometto. Per un musulmano religione e politica sono indissolubili".
GRAZIE ALLE VOSTRE LEGGI DEMOCRATICHE VI INVADEREMO; GRAZIE ALLE NOSTRE LEGGI RELIGIOSE VI DOMINEREMO Maometto è stato un formidabile condottiero e ha fondato una teologia politica universalista funzionale alla conquista dell'Arabia e poi al dominio del mondo. A chi crede che oggi il problema sia rappresentato solo da pochi fondamentalisti violenti e non dall'Islam in sé, risponde Samuel Huntington: "Millequattrocento anni di storia dimostrano il contrario. L'Islam è l'unica civiltà ad aver messo in serio pericolo, e per ben due volte, la sopravvivenza dell'Occidente". "Per quasi mille anni" aggiunge Bernard Lewis "dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco di Vienna, l'Europa è stata sotto la costante minaccia dell'Islam". Credere che siano cose del passato o limitate - oggi - ad Al Qaeda e all'Isis è da illusi (del resto chi ha inventato e sostiene l'Isis?). L'Islam per sua natura punta al mondo intero. Monsignor Bernardini, arcivescovo di Smirne, al Sinodo dei vescovi del 1999 riferì: "Durante un incontro ufficiale sul dialogo islamo-cristiano, un autorevole personaggio musulmano, rivolgendosi ai partecipanti cristiani, disse a un certo punto con calma e sicurezza: 'Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo' ". Hanno già cominciato con l'enorme pressione dei grandi capitali petroliferi, da una parte, e con l'immigrazione incontrollata dall'altra. Una tenaglia che già si stringe sull'Inghilterra, come pure sulla Francia (vedi il romanzo "Sottomissione" di Houellebecq https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3630). Quanto all'Italia il pensiero dominante ha emarginato una voce profetica come quella di Oriana Fallaci. Chissà come avrebbe tuonato - lei che era stata partigiana - sapendo della controversia sul 25 aprile di quest'anno fra la presenza delle insegne della "Brigata ebraica" (che partecipò alla liberazione dell'Italia) e la bandiera palestinese che "non ha nulla a che vedere con le truppe Alleate e in quel momento storico" ha ricordato Pacifici "era dalla parte dell'occupante".
IL METODO BIFFI Oltre alla Fallaci è rimasta inascoltata la voce del cardinale Biffi. Ecco le sue parole del 2000: "Oggi è in atto una delle più gravi e ampie aggressioni al cristianesimo (e quindi alla realtà di Cristo) che la storia ricordi. Tutta l'eredità del Vangelo viene progressivamente ripudiata dalle legislazioni, irrisa dai 'signori dell'opinione', scalzata dalle coscienze specialmente giovanili. Di tale ostilità, a volte violenta a volte subdola, non abbiamo ragione di stupirci", perché era stato profetizzato nel Vangelo, "ci si può meravigliare invece degli uomini di Chiesa che non sanno o non vogliono prenderne atto". Poi Biffi ricordò una sua intervista di alcuni anni prima, dove gli fu chiesto: "Ritiene anche lei che l'Europa sarà cristiana o non sarà?". Rispose: "Io penso che l'Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la 'cultura del niente', della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa 'cultura del niente' (sorretta dall'edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all'assalto ideologico dell'islam che non mancherà: solo la riscoperta dell'avvenimento cristiano come unica salvezza per l'uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell'antica anima dell'Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto". Biffi concluse che "i 'laici', osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l'ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi".
Nota di BastaBugie: per leggere il discorso integrale del Cardinal Biffi, vai al link sottostante L'EUROPA O RIDIVENTERA' CRISTIANA O DIVENTERA' MUSULMANA https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1980
Fonte: Libero, 19/04/2015
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WHATSAPP: COMODO, MA RISCHIOSO (SOPRATTUTTO PER GLI UNDER 16)
I presidi delle scuole medie e superiori di Parma e provincia affermano che limita le ore di sonno, riduce l'attenzione e la concentrazione, disturba lo studio, incide sulle relazioni sociali
Fonte Blog di Costanza Miriano, 21/04/2015
WhatsApp è una applicazione per smartphone molto versatile e di grande utilità: basta una connessione internet per scambiare gratuitamente messaggi (testuali e vocali), foto, video, posizione geografica e fra poco anche vere e proprie telefonate. La usano centinaia di milioni di utenti, tra questi anche la maggior parte dei nostri alunni: in classe durante le lezioni, a casa mentre fanno i compiti, di notte invece di dormire, e poi mentre camminano per la strada, parlano con il nonno o tra di loro, mentre mangiano il gelato, sull'autobus, al bar, mentre guardano la tv.
I GRUPPI WHATSAPP Il massimo dell'esperienza WhatsApp sono però i gruppi: se non fate parte del gruppo «2D», di quello «Pierino è un cretino» o di quello «Contro il prof di matematica», non potete dire di conoscere davvero WhatsApp. Solo qui provate l'ebbrezza di ricevere 50 messaggi in un'ora annunciati da suonerie o vibrazioni che rompono il silenzio ogni secondo. Solo nei gruppi potete ricevere il disegno del tempio greco, la traduzione di latino, la soluzione del problema di mate, insieme con l'ultima serie di insulti al compagno «sfigato» (grasso, che non merita di vivere, che si veste alla Caritas, che è omosessuale, ecc.), alla compagna antipatica, presuntuosa, facile, che le piace Tizio, che è stata con Caio. Oppure, ancora, contro il preside, la prof di lettere, il bidello. Se siete fortunati poi, venite inondati di video di quella che bacia quello, di quell'altra che posta le foto della prima volta, di foto orrende di lei diffuse da lui dopo che è stato lasciato, eccetera, a piacere (stiamo parlando di 12enni). Per non farsi mancare nulla, negli ultimi tempi infine girano trionfanti anche foto e video macabri dell'Isis, che non hanno bisogno di essere descritti.
DICIAMOCI ALLORA ALMENO 4 COSE 1. Pochi lo sanno, ma tutti i nostri alunni del primo ciclo usano WhatsApp illegittimamente. Dicono infatti – molto chiaramente – i Termini di servizio che devi «avere almeno 16 anni perché il servizio WhatsApp non è pensato per minori di 16 anni. Se hai meno di 16 anni non hai il permesso di utilizzare il servizio WhatsApp». 2. L'uso continuo, distorto e indiscriminato di WhatsApp (come degli altri social) – comprensibile per chi ha appena scoperto il suo fascino – limita le ore di sonno, riduce la capacità di attenzione e di lavoro, impedisce di studiare e di concentrarsi, oltre a incidere negativamente sulle relazioni sociali. 3. Con un cattivo uso di WhatsApp (ci) si può far molto male: basta scorrere le notizie della cronaca per scoprire i danni che gli insulti, i video e le foto a cui abbiamo accennato sopra possono fare a dei ragazzi che sparano migliaia di colpi al secondo su e contro chiunque, senza rendersi conto del peso che i loro messaggi hanno quando vengono moltiplicati all'interno dei gruppi. E dire che i Termini di servizio sono molto chiari al riguardo: chi usa Whatsapp si impegna infatti a «non pubblicare materiale che è contro la legge, osceno, diffamatorio, intimidatorio, assillante, offensivo da un punto di vista etnico o razziale, o che incoraggia comportamenti considerati reati, che danno luogo a responsabilità civile, che violano qualunque tipo di legge, o che sono in qualunque modo inopportuni», oltre che «a non assumere l'identità di altri». 4. La diffusione di immagini senza autorizzazione dell'interessato è un reato che docenti e dirigenti hanno l'obbligo di denunciare alle autorità, del quale i genitori dell'alunno minorenne possono essere chiamati a rispondere civilmente. Questo vale ovviamente per tutti i reati commessi usando Whatsapp e o altri social, non solo quelli relativi alla privacy.
TRE OBIEZIONI Proviamo a prevenire alcune obiezioni, prima di fare qualche proposta. La prima è da digital native: perché prendersela con un'App specifica? Se non è WhatsApp sarà Instagram, Telegram oppure Wechat o Viber o altre ancora. Ne cancelli una, ma ce ne sono altre 10: ciò non toglie tuttavia che noi dobbiamo rinunciare a costruire insieme delle regole. La seconda è un classico per tutti i tempi: il problema non è lo strumento ma l'educazione al suo uso, quindi è la scuola che... sono gli insegnanti che... i programmi che... Ci siamo abituati: quando non si sa dove andare a parare, si dice che ci deve pensare la scuola (le istituzioni pubbliche come discariche della globalizzazione, dice Bauman). Ovviamente siamo d'accordo: la scuola ci deve pensare, perché il nostro è il luogo della conoscenza, della sperimentazione e della critica. Ma non basta scaricarci addosso il problema, dobbiamo occuparcene tutti. La terza è che si tratti di critica moralista, bacchettona, proibizionista: un modo semplicistico di liberarsi della questione chiudendo gli occhi, in attesa della prossima vittima e della prossima disperata richiesta di aiuto (al preside, all'insegnante, alla psicologa della scuola).
TRE SOLUZIONI CORAGGIOSE Apriamo allora il dibattito pubblico proponendo tre soluzioni coraggiose: 1. Cancelliamo Whatsapp dal telefono dei nostri figli se non hanno compiuto 16 anni. 2. Se ci sembra troppo, cancelliamo almeno l'iscrizione ai gruppi: questo non impedirà ai nostri figli di comunicare con gli altri, ma ci guadagneranno in sonno, attenzione, vita reale e benessere. 3. In ogni caso, parliamo con i nostri figli e scriviamo insieme a loro le regole per disciplinare le attività in rete, in modo da limitare i danni di cui abbiamo parlato. Lo stiamo facendo nelle nostre scuole con progetti, incontri e attività laboratoriali: facciamolo anche a casa, ma soprattutto facciamolo insieme, scuole e famiglie.
SENZA REGOLE? Non possiamo accettare a cuor leggero un accesso libero e senza controllo a internet (cioè senza regole o presenza adulta) sia per i contenuti a cui i nostri figli hanno accesso (violenza, pornografia, notizie e video macabri), sia per il momento di sviluppo in cui si trovano, ovvero una fase in cui occorre formare competenze relazionali-sociali che solo nel contatto reale con gli altri possono crescere. Possiamo anche buttare il cuore oltre l'ostacolo e risolvere il problema alla radice, comprando cellulari da poche decine di euro, che non hanno accesso a internet. Telefonate e messaggi sono più che sufficienti fino alla terza media. Fareste guidare un autobus al posto della bicicletta a vostro figlio dodicenne?
DOSSIER "CELLULARE? NO, GRAZIE!" L'illusione di essere connessi Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: Blog di Costanza Miriano, 21/04/2015
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TECNOLOGIA E MISURE DI SICUREZZA NON CI SALVERANNO
Spari in tribunale e disastro aereo: prendiamone atto, questo non è un mondo perfetto (e non lo sarà mai)
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: Corrispondenza Romana, 15/04/2015
Claudio Giardiello è entrato nel Palazzo di giustizia di Milano, ha fatto fuoco ed ha ucciso tre persone e ferite altre. I commenti dei media, dei politici, dei magistrati e dell'uomo della strada fanno pensare che la colpa di quanto sia avvenuto debba ricadere quasi quasi più sulle falle del sistema di sicurezza del tribunale che sull'omicida stesso. Identico ritornello lo abbiamo sentito molto di recente nel caso del disastro aereo della Germanwings. Certo, il copilota Andreas Lubitz era depresso alla pazzia, ma – così si sente ripetere – se chi di dovere avesse vigilato con attenzione, avesse verificato lo stato mentale del pilota, avesse sezionato con perizia la sua psiche, tutto questo non sarebbe accaduto. Stessa musica quando si verifica un disastro naturale: lo smottamento, il terremoto, la slavina, il tornado «potevano essere evitati» dice sempre qualcuno, perché a madre natura ogni tanto potranno saltare i nervi, ma l'uomo ha il dovere e il potere di imbrigliare tali accessi.
GLI APPARATI TECNOLOGICI CI SALVERANNO? In breve pare che i controlli e gli apparati tecnologici di sicurezza possano sventare ogni crimine, contrastare sul nascere ogni gesto di follia, impedire ogni azione malvagia e dominare le forze della natura a bacchetta. È il solito mito illuminista del potere positivista della tecnologia e quindi della divinizzazione dell'uomo. Quel «sarete come dei» del serpente rivolto ad Adamo ed Eva risuona ancora ai nostri giorni. Al pari di Giardiello e Lubitz, è folle anche colui il quale crede che tutto possa essere previsto e tutto possa essere dominato, regolato, temperato. I casi del tribunale di Milano e dell'aereo della Lufthansa precipitato ci fanno capire invece che l'onnipotenza dell'uomo non esiste. Che è utopico pensare ad un mondo perfetto, senza il male, cioè senza omicidi, furti, gesti insani, malattie e sciagure naturali. È il razionalismo dei lumi che non è mai morto e che si ribella al fatto che questa aiuola chiamata mondo è e rimarrà fino alla fine del tempi una valle di lacrime. Il razionalismo utopico diviene irrazionale perchè tenta di fare guerra al reale, il quale porta in dote l'imprevisto, il casuale, l'imponderabile, l'irrefrenabile. Ma quando l'eccezione tragica sfonda la porta del nostro quotidiano il Grande Fratello della politica, che tutto vede e tutto vuole soggiogare, cerca subito il colpevole, il nemico della tecnocrazia da sbattere in carcere, quel ribelle che è sfuggito al controllo del dio Stato. Perché il mito della sicurezza assoluta esige una società impeccabile, senza sbavatura alcuna. Ovvio che, anche nel caso della strage al Palazzo di giustizia e del disastro aereo sulle alpi francesi, se ci sono responsabilità qualcuno dovrà pagare e se ragionevolmente si può far qualcosa perché certi fatti accadano sempre più raramente deve essere fatto.
GIUSTIZIA PERFETTA SULLA TERRA? Ma tutto questo nella consapevolezza che chi governa deve tendere nel suo operato non a realizzare sulla terra la giustizia perfetta – perché questa si compirà solo dopo la parusia di Nostro Signore – ma come diceva Tommaso D'Aquino ad una "aliquam iustitiam", cioè ad una certa giustizia, ad una giustizia che realisticamente sarà in ogni caso imperfetta. Ciò nasce dalla consapevolezza che lo stesso uomo è imperfetto e quindi tutto ciò che porta con sé tale grado di imperfezione. Un folle che uccide a ripetizione e 150 passeggeri che in un colpo solo muoiono di schianto ci ricordano allora la nostra inguaribile precarietà, ci rammentano che davvero «si sta come d'autunno sugli alberi le foglie». La nostra certezza non deve riporsi prima di tutto nelle capacità dell'uomo, bensì in Dio che governa il mondo e che, Unico, può trarre il bene dal male. Più che la sicurezza, che mai è stata una virtù, il cristiano deve vivere la fiducia, cioè la fede, e la speranza, le quali mai deludono e mai falliscono perché riposano su cose certe, trovano il loro fondamento in Dio. Unica nostra sicurezza.
Fonte: Corrispondenza Romana, 15/04/2015
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IL PARLAMENTO DELL'UCRAINA RICONOSCE CHE COMUNISMO E NAZISMO PARI SONO
Anzi, dal punto di vista della pura contabilità, non ci sono dubbi: ne ha ammazzati di più il comunismo di Stalin e Mao Tse Tung con 100 milioni di vittime (contro ''appena'' 10 milioni fatta fuori dai nazisti)
Autore: Luigi Santambrogio - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 11/04/2015
Dal punto di vista della pura contabilità, non ci sono dubbi: ne ha ammazzati di più il comunismo di Stalin e Mao Tse Tung: 100 milioni di vittime, secondo Stephane Courtois, autore del celebre Libro nero del comunismo. Contro "appena" una decina di milioni fatti fuori dai nazisti: sei milioni solo gli ebrei ammazzati nei lager di sterminio. I regimi comunisti, poi, non sono finiti con il crollo del Muro di Berlino e il disgregamento dell'Urss: continuano in diverse parti del mondo (Cina, Vietnam, Corea del Nord, Laos e Cuba) in un inarrestabile work in progress di morti e oppressione. Come si vede, se il giudizio della storia è ancora parziale e attende che si chiudano ancora gli ultimi conti sugli epigoni del Novecento, quello della cronaca (nera) è già chiaro.
IL PARLAMENTO DELL'UCRAINA A pareggiare i bilanci, ci ha pensato il Parlamento dell'Ucraina che ha varato a larga maggioranza (254 parlamentari della Rada sui 307 presenti) una legge che equipara i crimini dei due totalitarismi, mettendo la memoria di ambedue fuorilegge. La normativa vieta i simboli della croce uncinata e della falce e martello, come anche la negazione del loro carattere "criminale". Per chi infrange tali norme la pena prevista arriva fino a 5 anni di carcere. La cosa ha provocato una reazione sdegnata del Centro Wiesenthal di Gerusalemme e del suo direttore Efraim Zuroff. Una decisione "oltraggiosa...una grande bugia che trasforma i carnefici in vittime". Zuroff dice che "la decisione del Parlamento cerca di deviare l'attenzione dei crimini dell'Ucraina durante la Shoah ed equipara falsamente nazismo e comunismo" dimenticando che l'Urss diede un grande contributo alla sconfitta del nazionalsocialismo. Beh, il presidente ha certamente ragione quando ricorda la "cattiva" coscienza di Kiev, come scrive anche Fiamma Nirenstein sul Giornale: "gli ucraini furono volenterosi carnefici di Hitler pur soffrendone l'invasione, a BabiYar, una delle più spaventose stragi naziste, la polizia ausiliaria ucraina fece la sua parte. Gli ebrei uccisi in Ucraina sfiorano il milione". Ma l'indignazione ebraica processa le intenzione ed è ingiusta soprattutto con la storia. Che l'Ucraina abbia patito le atrocità della dominazione sovietica (dal 1917 al 1991) non può esserle certo addebitato come colpa e neppure il fatto che abbia voluto vendicare in parte la strage comunista negli Anni '30 di contadini: in 5 milioni vennero massacrati dai sovietici, con donne e bambini lasciati morire di fame, una delle più spietate stragi di innocenti. Probabile anche che l'attuale guerra con Mosca abbia accelerato l'approvazione della legge sulla parità di nazismo e comunismo. Ma le radici eugenetiche, il dominio razziale e i miti ariani del nazismo non possono certo essere invocati, come fa invece il Centro Wiesenthal, per catalizzare tutto l'orrore che invece il comunismo non meriterebbe per le sue origini utopiche ed egualitarie. Ma questa è appunto la sua diabolica forza: non solo sistema di potere ma anche cultura. Capace di affascinare anche coloro che ne conoscevano le brutalità. Un potere di seduzione che il nazismo non ha mai avuto.
COMUNISMO: PENSIERO TOTALITARIO ORIGINARIO Il comunismo è il pensiero totalitario originario: la sua idea base è quello di risolvere il singolo nella collettività: si è realizzato storicamente stabilendo il dominio intellettuale sociale economico e politico del potere del partito e dello Stato sulla persona. E' stato il più grande tentativo di distruggere il cristianesimo (oggi lo contende all'islam radicale). Il nazismo, si è rivolto contro gli ebrei, il comunismo ha dominato molti popoli. Il nazismo è la metafisica della volontà di potenza, il comunismo è la falsificazione della verità salvifica per realizzare la totale socializzazione dell'umanità. Il nazismo viene dopo il comunismo, è la risposta della Germania di Hitler alla Russia di Stalin, come ha scritto lo storico Ernst Nolte. Per questo appaiono incomprensibili le proteste del centro ebraico di Gerusalemme. Non è un caso se a Roma, alla vigilia della Festa della Liberazione dal nazifascismo, la brigate degli ebrei che partecipò alla resistenza gli ex deportati abbiano annunciato di voler disertare le cerimonie dato che al corteo ci saranno anche gruppi pro Palestina e filo Hamas: "I palestinesi che chiedono di essere al corteo, durante la guerra erano alleati dei nazisti". Gli ebrei italiani, quindi, non disdegnerebbero una legge come quella ucraina. Infatti, che hanno a che fare con la lotta alla dittatura quelli che vent'anni dopo il tonfo delle barriere architettoniche del socialismo reale, continuano a definirsi comunisti? Si può partecipare al gran ballo dell'antifascismo e poi continuare a vezzeggiare i rais viventi della stessa famiglia, anche se portano insegne di diverso colore?
IL PCI EBBE ALMENO IL PUDORE DI CAMBIARE NOME Ma come fanno quelli del Manifesto a definirsi quotidiano comunista? O di Rifondazione che ancora oggi non provano vergogna ad esibire ancora falci e martello, le stelle e bandiere rosse. Che c'entrano loro? Sarebbe come se a festeggiare la caduta del nazismo ci fossero i nazionalsocialisti riformati o il Movimento dei giovani hitleriani rifondati. Ed è davvero curioso che in Europa la svastica e i fasci siano banditi (giustamente), mentre la falce e il martello incrociati possano sventolare senza disagio. Saranno gli stessi che, c'è da scommettere, tra qualche anno pretenderanno un posto in prima fila alla cerimonia d'addio del castrismo o del comunismo cinese. Ci siamo abituati: 'sti fanatici del comunismo da fiction sono perennemente in ritardo sulla realtà. Il loro 25 aprile sarà quello del 2289 quando anche l'ultimo mattone della Muraglia cinese sarà stato venduto all'asta su ebay.
Nota di BastaBugie: mai ci stancheremo di invitare alla visione del film-documentario sulle origini e caratteristiche comuni di nazismo e comunismo "The Soviet story" http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=39
Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 11/04/2015
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IO, CRESCIUTA CON UN PADRE TRANSESSUALE, VI CHIEDO DI NON APPROVARE LE NOZZE GAY
L'ho provato sulla mia pelle: un uomo, anche se si sente donna, non può fare da modello femminile a una bambina
Autore: Benedetta Frigerio - Fonte: Tempi, 11/04/2015
Denise Shick è cresciuta negli Stati Uniti con un padre "transgender" e il 24 marzo ha raccontato alla Corte Suprema americana «l'ossessione di mio padre transessuale» e la «sua infelicità anche quando ha ottenuto ciò che pensava di desiderare». Shick è stata chiamata a raccontare la sua storia ai giudici federali e si è opposta alla legalizzazione dei matrimoni tra persone omosessuali.
MIO PADRE NON ERA FELICE Shick ha ricordato quando all'età di 9 anni si sentì dire da suo padre che voleva diventare una donna e di quanto «i desideri sessuali di mio padre e i suoi comportamenti fossero più che disorientanti». L'uomo, che cominciò a vestirsi e comportarsi da femmina, sua figlia lo ricorda come «un miserabile che voleva che tutti intorno a lui condividessero la sua miseria. Non ricordo un giorno in cui mi sembrò felice o che sorridesse. Risa e gioia semplicemente non facevano parte della sua vita». Come tante persone transessuali, suo padre aveva molti problemi, tra cui l'alcolismo, per cui quando era ubriaco «veniva con la sua cintura nera e spessa» e «dopo le frustrate non sapevo bene che cosa mi facesse più male, se i lividi sulla mia schiena o vederlo e sentire le sue risate maniacali dopo che aveva picchiato i suoi figli». Fu solo più tardi che «gli abusi diventarono psicologici», quando «mio padre mi disse che voleva diventare una donna». Ai giudici Shick ha ricordato la sensazione «di rigetto e di abbandono» e il desiderio «naturale» di un padre e di «un rapporto tra un vero padre e una vera madre». Ma lui sembrava non comprendere questi desideri. Ma ci fu anche un'altra cosa «che mi confuse ancora di più». Il padre le disse che ogni volta che lo avesse visto con le gambe accavallate, «saprai che in quel momento mi sto sentendo una donna». Pensiero che riaffiorava alla mente di Shick tutte le volte che vedeva un uomo in quella posizione, perché «parole come quelle non abbandonano la memoria di un bambino e hanno un impatto sulla sua vita».
ABUSI E VIOLENZE Quando Shick divenne adolescente il padre, invidioso del suo corpo, cominciò a palpeggiarla e più il tempo passava «più l'ossessione di mio padre nel comprare vestiti femminili cresceva» e «lentamente cominciai a capire che stava distruggendo il mio desiderio di essere una donna». Il desiderio «ossessivo compulsivo» lo portò a rubarle i vestiti, dopo aver speso tutti i risparmi di famiglia in trucchi e abiti. Così, «nonostante la mia volontà iniziale di spezzare il ciclo di abusi, la depravazione ebbe i suoi effetti. Da adolescente cominciai a bere» e «scoprendo un profondo desiderio di amore maschile e di attenzioni che non avevo ricevuto da mio padre, cominciai a flirtare con quelli da cui volevo attenzioni e alla fine delle scuole medie avevo 13 fidanzatini». Alla fine, fra alcol e uomini, «raggiunsi un punto in cui contemplai il suicidio». A salvare la ragazza fu la frequentazione della casa di un amico, che poi diventerà suo marito e da cui imparò cosa fosse una famiglia e chi fosse un padre.
NON VOGLIO DUE MAMME Il peggio sembrava superato, eppure, persino il giorno delle nozze, mentre Shick stava per raggiungere l'altare, «mio padre mi disse che voleva essere al mio posto (...), per sopravvivere feci finta di non sentire (...). Mi rubò il mio "giorno speciale" accentrando tutto su di lui e sul suo desiderio egoista». Eppure, dopo tutta questa vicenda, Shick è stata spesso «accusata di essere insensibile e irrispettosa dei desideri di mio padre», perché «non volevo due mamme. Ho sempre voluto una mamma e un papà. Un papà che mi insegnasse a ballare. Un papà che mi spiegasse che cosa cercare nel mio futuro marito». Ma «la mia brama per un padre non era egoista, era semplicemente il bisogno di ogni bambino». Quando la donna ebbe figli decise quindi di allontanarsi dal padre per la loro sicurezza, mentre lui «lasciò mia madre per soddisfare pienamente il "suo sogno di vita" come donna e avere relazioni con altri uomini», finché «trent'anni più tardi mia madre mi disse che mio padre stava morendo». Shick ha quindi spiegato ai giudici che per i sei mesi successivi, prima del decesso, «ebbi modo di parlare con lui e come adulta di provare a comprendere la sua pena attraverso gli occhi della compassione e dell'amore», perché «nonostante tutto restava mio padre» e «io lo amo». Ma «l'ironia è che alla fine, quando ebbe ciò che pensava di aver sempre desiderato, non raggiunse comunque la felicità e la soddisfazione. Rimase triste fino all'ultimo momento della sua vita. Lo dico con le parole di mio padre: "Ho cambiato la mia casa molte volte, cambiamenti, cambiamenti, cambiamenti, cambiamenti. Eppure, mi manca qualcosa, quel qualcosa è la completezza"»
NON SI PUÒ FARE L'IMPOSSIBILE In questi mesi altri adulti cresciuti con coppie dello stesso sesso o genitori con uno stile di vita omosessuale hanno testimoniato di fronte alla Corte Suprema. «Noi non pretendiamo di dire che tutti i genitori omosessuali o i genitori transessuali agiranno in modo abusivo», conclude Shick. Però, anche se le coppie «dello stesso sesso hanno intenzioni buone e buoni curriculum, non sono in grado di fare l'impossibile: come può un uomo fare da modello femminile a una bambina?». Infatti, per quanto Denise amasse suo padre, «il suo tentativo di entrare in una "Identità femminile" fantastica è stato disastroso e incredibilmente distruttivo». Perché «un uomo non è un donna, anche se pensa di esserlo. E se questa Corte cercherà di cancellare il sesso, questo progetto inutile nel lungo periodo non avrà migliori risultati di quelli che ha qualsiasi tentativo di far finta che la natura non esista. La realtà ha dei limiti che la fantasia e l'irresponsabilità semplicemente non possono superare. Pertanto i cittadini di ogni Stato hanno il diritto, e anche una responsabilità, di proteggere la salute pubblica, il benessere generale e il bene dei bambini non estendendo il matrimonio al di là della sua definizione tradizionale, naturale e sana».
Fonte: Tempi, 11/04/2015
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QUANDO NEANCHE LA MADRE E' PIU' CERTA
Clamorosa sentenza di un tribunale italiano dimostra che il supremo interesse è quello dei gay, non quello dei bambini
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 19/04/2015
Maria e Laura vanno a convivere nel 2006. L'anno seguente Maria con la fecondazione artificiale eterologa ha una coppia di gemelli. Poi le due donne lesbiche si lasciano nel 2014 e i gemelli ovviamente per legge vengono affidati a Maria, unico genitore esistente sia per la legge che per il buon senso. Laura però vuole vederli e ricorre a un giudice palermitano che lunedì scorso, per la prima volta in Italia, le dà ragione, in nome «del superiore interesse dei minori». E così potrà stare con loro due week-end al mese e un giorno alla settimana. Si legge nel decreto: «Si tratta di garantire una tutela giuridica ad uno stato di fatto già esistente da anni, nel superiore interesse dei bambini, i quali hanno trascorso i primi anni della loro vita all'interno di un contesto familiare che vedeva insieme la madre biologica con la compagna, figura che essi percepiscono come riferimento affettivo primario al punto tale da rivolgersi a lei con il termine "mamma"». Aggiunge Arianna Ferrito, avvocatessa di Laura, che in merito ai bambini «sono state entrambe a volerli e la madre biologica è stata appoggiata sia psicologicamente sia economicamente dalla mia assistita, che anche i figli chiamano mamma. Un neuropsichiatra infantile e una psicologa», continua la Ferrito, «hanno stabilito nella consulenza d'ufficio che tra di loro c'è un rapporto affettivo di natura "familiare", che la mia assistita rivestiva "il ruolo di seconda madre" e che quindi dividerla dai bambini avrebbe pregiudicato il loro sviluppo. Il pm ha fatto propria la richiesta nell'interesse dei minori e i giudici l'hanno accolta garantendo il diritto di visita».
QUALE È LA MORALE (LAICA) DI QUESTA VICENDA? In primo luogo i giudici ormai vedono le leggi non come strumenti bensì come ostacoli da superare. E dunque si inventano soluzioni in tutto e per tutto illegali per risolvere vertenze secondo lo spirito dei tempi. Le persone colte direbbero che la funzione nomofilattica riceve continuamente un vulnus dalla giurisprudenza. Perché la decisione dei giudici fa acqua da tutte le parti? Semplicemente perché la signora Laura non è genitore dei gemelli. Non li ha partoriti né li ha adottati. Nel caso di separazione di conviventi, dove uno è un uomo e l'altra una donna e in cui ci sono dei figli, in genere la coppia presenta un ricorso congiunto per regolare l'affido. Entrambi hanno il diritto di stare con i figli perché entrambi, seppur non sposati, sono genitori. Ma nel caso di Maria & Laura quest'ultima per la legge non è nessuno, non ricopre alcun ruolo giuridicamente significativo. E non deve ricoprirlo. Su questa linea si era mossa una recente pronuncia del Tribunale dei Minori di Milano il quale aveva respinto la richiesta di affidamento congiunto da parte di una ex compagna lesbica, seppur anche in quel caso i periti avevano individuato nelle coppia «uno schema tipicamente familiare». I giudici palermitani hanno applicato invece il Codice di diritto gender dove la famiglia non è quella giuridica ex art 29 della Costituzione formata da un uomo e una donna, ma quella di fatto, inesistente nelle leggi ma assai presente nelle menti votate alle dottrine gaie. Una "famiglia" dove "affetti", pannolini cambiati e medicine date ai pupi fa "famiglia": che le tate licenziate da casa chiedano anche loro l'affido dei pargoli. Dove esiste la madre biologica e quella "sociale" (sic), la prima mamma in comando e la seconda di riserva. Dove se un bambino chiama "mamma" chi non è sua mamma, tanto basta per considerarla genitore a tutti gli effetti: tremino i genitori se il loro piccolo un dì chiamerà "mamma" la baby sitter. E dato che i bambini credono ai personaggi di fantasia, il prossimo affido potrebbe riguardare le fate.
IL SUPREMO INTERESSE È QUELLO DEI GAY, NON CERTO QUELLO DEI BAMBINI Mater semper certa est recitava un brocardo latino. Mica vero. Ora per avere qualche certezza bisogna chiedere a psichiatri e giudici, prestigiatori che tirano fuori dal cilindro nuove famiglie e nuovi tipi di genitori. Nessun stupore poi che gli psichiatri qualifichino la convivenza omosessuale come "famiglia": il dato non è scientifico ma comunque assodato nella sua ideologia. L'affido lesbo è comunque un altro tassello che va a comporre – contra legem – l'immagine della "famiglia" omosessuale di fatto che prelude al "matrimonio" omosessuale disciplinato dalla legge. La solita strategia: prima riconosciamo singoli diritti alle persone omosessuali e poi li mettiamo insieme sotto l'etichetta "matrimonio" tra persone dello stesso sesso. Quello che però stupisce ancora di tutta questa operazione sta nel fatto che l'affido è stato deciso "per il supremo interesse dei figli", nonostante montagne di studi attestino in modo inoppugnabile che il bambino per crescere sano deve avere un padre e una madre e che le convivenze omosessuali per i pargoli sono come veleno dato insieme al latte nel biberon. Qui il supremo interesse cercato dai giudici è quello dei gay, non certo quello dei bambini.
Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 19/04/2015
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LA TURCHIA PROTESTA CONTRO IL PAPA PER LE SUE FRASI SUGLI ARMENI... E ACCELERA SULL'ISLAMIZZAZIONE
Nel primo genocidio del XX secolo (1915-1924) persero la vita un milione e mezzo di cristiani: i Giovani Turchi massacrarono sacerdoti, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana, 15/04/2015
Hanno colto nel segno le parole pronunciate domenica 12 aprile da papa Francesco nel saluto rivolto prima della S. Messa in S.Pietro ad un gruppo di fedeli di rito armeno. E la stizzita reazione della Turchia lo ha dimostrato. A mons. Antonio Lucibello, Nunzio della Santa Sede ad Ankara, il Ministero degli Esteri ha espresso il proprio «disappunto» e lo ha informato in merito alla protesta del governo: le parole udite sono state definite «un insulto» al popolo turco. Non solo: l'amministrazione Erdogan ha immediatamente fatto rientrare il proprio ambasciatore in Vaticano, accusando il Pontefice di aver fatto affermazioni «basate sul pregiudizio» e tali da «distorcere la Storia», nonché «in contrasto col messaggio di pace e convivenza», cui si erano abituati nella "Chiesa della misericordia".
IL GENOCIDIO CHE NON SI PUÒ NOMINARE È bastato che il Sommo Pontefice, proclamando dottore della Chiesa l'armeno San Gregorio di Narek, ricordasse il «grande male» (Metz Yeghérn) di fronte al Presidente dell'Armenia, Serž Sargsyan, al Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni, Karekin II, al Catholicos della Grande Casa di Cilicia, Aram I, ed al Patriarca di Cilicia degli armeni cattolici, Nerses Bedros XIX, per mandare su tutte le furie l'intelligencija turca. Eppure, in quel «genocidio», come lo ha definito il Santo Padre, persero la vita tra 1.400.000 e 2 milioni di cristiani armeni, massacrati dai Giovani Turchi tra il 1915 ed il 1924 assieme a siri cattolici e ortodossi, assiri, caldei e greci antiocheni: Vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi persero la vita nell'«indifferenza generale e collettiva», nel «silenzio complice di Caino», come ha detto il Papa. Durante le deportazioni forzate furono costretti a lunghe marce e lasciati privi di qualsiasi mezzo di sussistenza. Fu, insomma, «un immane e folle sterminio». Fu, quello, anzi il «primo genocidio del XX secolo», come ha ribadito il Pontefice, richiamando le parole utilizzate nella Dichiarazione comune, firmata nella Cattedrale di Etchmiadzin da Giovanni Paolo II e dal Patriarca Karekin II il 27 settembre del 2001, 1700 anni dopo la proclamazione del Cristianesimo quale religione dell'Armenia.
GENOCIDIO DEGLI ARMENI COME NAZIONALSOCIALISMO E STALINISMO Genocidio equiparato dal Pontefice a nazionalsocialismo e stalinismo. Secondo il governo di Ankara, invece, effettivamente durante le deportazioni sarebbero morti migliaia di armeni (già ridimensionando drasticamente così le cifre reali, ben più imponenti), ma nega che si sia trattato di «uno sterminio organizzato» e soprattutto sostiene che «nell'Impero anche altre comunità religiose abbiano sofferto il conflitto, compresi i musulmani». Incredibile, come se si trattasse di fenomeni quantitativamente e qualitativamente comparabili...! Secondo l'opposizione turca, le parole di papa Francesco avrebbero il potere di incrementare «provocazioni distruttive». Dimenticando come, di distruttivo, la cronaca registri ben altri gesti, recentemente compiuti ad Ankara e dintorni. Lo scorso 16 marzo il Presidente Erdogan, durante la cerimonia per la consegna delle medaglie d'onore ai veterani dell'esercito ed alle famiglie dei soldati caduti in battaglia, abbia fatto, lui sì, affermazioni esplosive, definite dal giornale di sinistra di Istanbul, il "BirGun", un chiaro «appello alla jihad». Secondo il leader turco, «la lotta, iniziata 1.400 anni fa tra la verità», ovvero l'islam, e «l'errore», ovvero le altre confessioni, non sarebbe «ancora terminata», anzi sarebbe «tuttora in corso» e destinata a proseguire, creando «martiri» nel senso islamico del termine oppure «ghazi», titolo onorifico proprio dei veterani sopravvissuti alla guerra sferrata in nome di Allah. Non solo: per la prima volta dopo 85 anni, Ali Tel, imam della moschea di Ahmet Hamdi Akseki di Ankara, ha recitato un passo del Corano nella Basilica di Santa Sofia, ad Istanbul, prima chiesa, poi moschea, ora museo. L'episodio è avvenuto dinanzi ad alti funzionari turchi – tra cui il Presidente di Diyanet, Presidenza degli Affari Religiosi del Paese, Mehmet Gormez – durante una cerimonia in occasione dell'apertura di una mostra dal titolo L'amore del profeta, aperta fino all'8 maggio, con un'esposizione di opere calligrafiche in onore di Maometto.
LE AMBIGUITÀ DI EUROPA E OBAMA In un clima così non convincono le ultime mosse, cui si è assistito sullo scacchiere internazionale: ad esempio, l'1,9 miliardi di euro concessi dall'Unione Europea alla Turchia, Turchia che, dal canto suo, ha appena stretto ben otto accordi economici e commerciali con l'Iran, sdoganato dall'amministrazione Obama e cui Putin con un decreto ha promesso di vendere missili anti-aerei S-300, anche prima della revoca definitiva delle sanzioni. Tanto attivismo su fronti così delicati è quanto meno sospetto tenendo conto delle bellicose dichiarazioni pubbliche rese da Erdogan. Ovviamente favorevole alle parole del Papa è invece il Presidente dell'Armenia Sargsyan, che ha dichiarato: «Il Santo Padre ha lanciato un vigoroso messaggio alla comunità internazionale, i genocidi non condannati rappresentano un pericolo per l'intera umanità». Specie per il timore che possano preludere a nuove tragedie...
Nota di BastaBugie: Leone Grotti su Tempi del 13 aprile 2015 ha scritto un interessante articolo dal titolo "Perché la Turchia non vuole riconoscere il genocidio armeno". Ankara richiamò nel 2012 il suo ambasciatore dalla Francia, poi lo rimandò indietro 16 giorni dopo. Anche le sfuriate contro la Svizzera non hanno danneggiato i rapporti tra i due paesi. Ecco l'interessante articolo completo:
«Dopo che ci saremo consultati, renderemo pubbliche le nostre misure contro il Vaticano». Così ha dichiarato stamattina il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu, dopo che ieri il presidente Recep Tayyip Erdogan ha richiamato l'ambasciatore turco presso la Santa Sede a causa delle parole di papa Francesco, che ha ricordato il genocidio degli armeni, di cui il 24 aprile ricorre il centenario.
PERCHÉ LA TURCHIA SI ARRABBIA Nonostante sotto l'Impero ottomano in disfacimento siano stati sterminati un milione e mezzo di armeni nel 1915, la Turchia ancora si rifiuta di riconoscere il genocidio degli armeni e si infuria ogni volta che qualcuno afferma questa verità storica, della quale esistono migliaia di documenti e testimonianze. Ci sono diversi motivi per cui Ankara non vuole ammettere il crimine commesso e perseguita in patria chi osa farlo pubblicamente. Da un punto di vista identitario, riconoscere il genocidio significherebbe accettare che i padri fondatori della Turchia siano degli assassini, e della peggior specie. Da un punto di vista più materiale, il termine genocidio, neologismo inventato dal giurista Raphael Lemkin per descrivere quanto avvenuto agli armeni, ha una valenza giuridica: non cade mai in prescrizione, neanche dopo 100 anni, e dà il diritto alle vittime di chiedere un risarcimento per quanto perduto e anche per tutto ciò che è stato espropriato loro.
LA LEGGE FRANCESE È per questo che la Turchia dà in escandescenze ogni volta che qualche governo o capo di Stato pronuncia il termine "genocidio". Anche il ritiro dell'ambasciatore è una misura già presa dalla Turchia in passato ma che non ha mai portato a conseguenze reali. Quando la Francia, alla fine del 2011, annunciò l'approvazione di una legge che punisse come crimine la negazione del genocidio armeno, il governo turco richiamò con grande clamore il suo ambasciatore, Tahsin Burcuoglu. Era il 23 dicembre. L'8 gennaio, 16 giorni dopo, il diplomatico fece ritorno a Parigi «per continuare il suo lavoro». La legge alla fine venne approvata, anche se fu poi dichiarata incostituzionale dall'autorità giudiziaria francese. I rapporti economici tra Parigi e Ankara non hanno mai risentito di questa disputa, nonostante François Hollande abbia promesso di promuovere una nuova legge.
LA SENTENZA SVIZZERA Anche la Svizzera ha sfidato la Turchia su questo terreno. Nel 2007 ha condannato Doğu Perinçek, leader del Turkish Workers' Party, per aver dichiarato nel 2005 durante tre conferenze in Svizzera che il genocidio armeno è «una balla internazionale». Nel 2013, con una sentenza clamorosa, la Corte europea per i diritti umani ha dato ragione a Perinçek, affermando che non si può definire "genocidio" quello che riguarda gli armeni. Ma la Svizzera non si è arresa e ha fatto ricorso alla Grand chambre, che ancora non si è espressa in via definitiva. Ankara negli anni ha protestato in ogni modo, ma questo non ha impedito ai rapporti tra i due paesi di prosperare negli anni dal punto di vista politico ed economico.
ANKARA IN EUROPA? Storicamente, dunque, non c'è nessuna ragione per temere le rappresaglie della Turchia (capito Renzi?), anche se bisognerà aspettare per vedere come Ankara darà seguito all'incidente diplomatico con il Vaticano. Ma se Erdogan vorrà dare nuova linfa alle trattative per l'adesione della Turchia all'Unione Europea, che si sono bloccate nel 2006 anche per il mancato riconoscimento del genocidio, dovrà cambiare registro. Favorire, come fa da anni, gli islamisti in Siria per spodestare Bashar al-Assad, favorendo così un nuovo sterminio dei cristiani, non è certo un buon inizio.
Fonte: Corrispondenza Romana, 15/04/2015
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ARMENIA, ECCO COME AVVENNE IL GENOCIDIO SCOMODO
Un secolo fa, il 24 aprile 1915, iniziava il massacro sistematico di un popolo cristiano che dava fastidio all'Impero ottomano
Autore: Vincenzo Sansonetti - Fonte: Il Timone, aprile 2015
Antonio Gramsci meglio di Matteo Renzi? Parrebbe di sì, a giudicare dalla clamorosa assenza di qualunque esponente del governo italiano, neppure un sottosegretario!, all'inaugurazione della mostra Armenia, il popolo dell'Arca, aperta al Vittoriano di Roma fino al 3 maggio 2015; mostra sulla travagliata storia, la splendida cultura, la fede millenaria del popolo armeno, a cento anni esatti dal famigerato genocidio iniziato la notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, con arresti e deportazioni di massa. Se Renzi e il Partito democratico erede oggi del Pci tacciono, non ebbe invece paura di parlare, a ridosso di quei tragici eventi, l'intellettuale sardo che fu tra i fondatori (pochi anni dopo) del Partito comunista. Tra le poche voci che si alzarono in Italia, con libertà e audacia, a denunciare l'entità della tragedia armena (un'altra fu quella di Filippo Meda, esponente di spicco del movimento cattolico tra XIX e XX secolo, sostenuto da Benedetto XV), Gramsci scrisse nel marzo 1916: «Sarebbe stato possibile costringere la Turchia, legata da tanti interessi a tutte le nazioni europee, a non straziare in tal modo chi non domandava altro, in fondo, che di essere lasciato in pace. Niente mai fu fatto, o almeno niente che desse risultati concreti». E lo stesso Gramsci così spiegava: «Perché un fatto ci interessi, ci commuova, diventi una parte della nostra vita interiore, è necessario che avvenga vicino a noi, presso genti di cui abbiamo sentito parlare e che sono perciò entro il cerchio della nostra umanità». Concludeva profeticamente: «È un gran torto non essere conosciuti. Vuol dire rimanere isolati, chiusi nel proprio dolore, senza possibilità di aiuti, di conforto. Per un popolo, per una razza, significa il lento dissolvimento, l'annientarsi progressivo di ogni vincolo internazionale, l'abbandono a se stessi, inermi e miseri di fronte a chi non ha altra ragione che la spada e la coscienza di obbedire a un obbligo religioso distruggendo gli infedeli».
DISTRUGGERE GLI INFEDELI Chi non ha «altra ragione che la spada» e la coscienza di distruggere gli infedeli era ieri l'Impero ottomano, oggi lo è il cosiddetto Califfato islamico, se è vero che tra le vittime del cieco furore ideologico-religioso dell'Isis vi sono anche le minoranze cristiane armene in Siria, con chiese rase al suolo e migliaia di profughi in fuga. «Dopo un secolo continuiamo ad avvertire la stessa ostilità verso il nostro popolo, e ci facciamo i conti tutti i giorni», sostiene Baykar Sivazliyan, docente universitario a Milano e presidente dell'Unione degli Armeni d'Italia. «Il 24 aprile, e per tutto il 2015», afferma, «ricorderemo la diaspora moderna del nostro popolo, che ha pagato un prezzo altissimo (un milione e mezzo di vittime innocenti, per lo più nel silenzio della comunità internazionale), ma soprattutto cercheremo di vivere la memoria nel senso più alto, diffondendo la cultura armena per come essa ha saputo esprimersi nell'Italia e nel mondo». Il professor Sivazliyan ammette di riconoscere «pienamente quello che dal punto di vista culturale ha saputo rappresentare la Turchia»; a maggior ragione, a distanza di un secolo, si è «increduli di fronte alla barbarie che ha saputo esprimere». Come si è increduli di fronte al fatto che oggi la Turchia continua a non riconoscere o a minimizzare ciò che gli storici hanno acclarato e documentato da tempo, «un'ostinazione che la condanna a rimanere, nonostante i proclami e le apparenze, ancora molto lontana dall'Europa». Nessun rancore da parte degli Armeni, anzi una mano tesa. Conclude infatti il presidente dell'Unione degli Armeni d'Italia: «Da parte nostra non c'è nessuna turcofobia. Noi chiediamo solo che ci sia riconosciuto quello che la storia finora ci ha negato». Sono soltanto 21 i Paesi che hanno riconosciuto l'olocausto del popolo armeno. Tra questi, anche l'Italia. Mancano all'appello - fra i tanti - la Gran Bretagna, la Germania, la Spagna, purtroppo Israele, gli stessi Stati Uniti, dove è stata sì approvata una risoluzione del Congresso, ma il presidente Obama non l'ha ancora firmata. Colpa della Realpolitik, che induce a non irritare l'alleato turco, in uno scacchiere delicatissimo come il Medio Oriente? Intanto, in Turchia è reato anche solo nominare il genocidio armeno (è «vilipendio dell'identità nazionale»): si rischia una condanna fino a due anni di carcere.
LE MARCE DELLA MORTE La parola genocidio indica un crimine di lesa umanità. A dire il vero, il termine fu coniato quasi 30 anni dopo il massacro degli Armeni, quando il giurista ebreo-polacco Raphael Lemkin così chiamò nel 1943 «una serie di atti effettuati con l'intento di distruggere, totalmente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale». Ma i suoi studi, negli anni in cui Hitler organizzava sistematicamente l'annientamento del popolo ebraico, si basavano proprio sull'efferata eliminazione degli Armeni, e sono alla base della Convenzione dell'Onu per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio. Quali sono le premesse storiche del massacro degli Armeni di cent'anni fa? Nel 1908 nell'Impero Ottomano si afferma il governo dei cosiddetti Giovani Turchi, formato da Talat Pascià, ministro dell'Interno, Djemal Pascià, ministro degli Esteri ed Enver Pascià, ministro della Guerra. La volontà di eliminare i sudditi armeni che vivono da secoli nell'impero è parte di un piano più ampio di ingegneria sociale (oggi si direbbe anche di «pulizia etnica») che i Giovani Turchi intendono realizzare per costruire un'identità nazionale turca la quale, proprio per affermarsi, deve eliminare come «estranee» le popolazioni non turche. I piani di sterminio sono anche funzionali a un disegno geopolitico teso a creare uno spazio pan-turco. A fine marzo del 1915 i Giovani Turchi decidono di porre fine alla «questione armena», all'ombra della Grande Guerra. Viene così istituito un braccio militare esecutivo per l'eliminazione degli armeni: l'Organizzazione Speciale. Il genocidio ha inizio il 24 aprile 1915, quando a Istanbul viene arrestata l'intera intelligentsia armena, più di mille persone tra scrittori, docenti universitari, insegnanti, artisti e liberi professionisti. Nessuno di loro farà ritorno a casa. L'intera popolazione maschile armena viene chiamata alle armi, disarmata e sistematicamente eliminata. Segue quindi la deportazione, ad opera dell'Organizzazione Speciale, di tutti gli armeni, compresi vecchi e bambini, verso i deserti della Siria: sono le terribili «marce della morte». Caratterizzate da uccisioni di massa, mutilazioni, stupri, torture, conversioni coatte. Arrivati a destinazione, i sopravvissuti vengono uccisi. Almeno un milione e mezzo le vittime, mentre un altro mezzo milione di armeni è costretto alla diaspora in vari Paesi. Il 24 maggio 1915 Francia, Gran Bretagna e Russia sottoscrivono una dichiarazione congiunta che condanna i massacri degli Armeni in corso e accusa la Turchia di «crimine contro l'umanità e la civiltà». Oggi soprattutto la Francia sembra aver conservato la stessa sensibilità, al punto che nel Paese transalpino la negazione del genocidio armeno è ritenuto reato, alla pari della negazione del genocidio degli ebrei.
LE CROCI FIORITE SEGNO DI SPERANZA Oggi l'Armenia, Repubblica indipendente da 23 anni, affrancata dal dominio sovietico, conta tre milioni di abitanti in un territorio esteso come la Lombardia: solo una piccolo parte rispetto alla Grande Armenia di qualche secolo fa. Vanta una delle più floride culture del mondo antico, con una storia ricca di fascino, che affonda le radici nella tradizione biblica del Diluvio universale. Proprio alle pendici del monte Ararat, sulla cui cima si era arenata l'Arca di Noè, nel VII secolo avanti Cristo si formò infatti il popolo armeno. Ancor oggi il monte Ararat (pur in territorio turco) è un richiamo simbolico fondamentale per l'Armenia, che nel 301 dopo Cristo divenne il primo Paese al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione ufficiale. La Chiesa armena, tra le più antiche, anche se separata ha sempre mantenuto buoni rapporti con Roma; e una sua costola nel XVIII secolo è entrata a far parte della Chiesa cattolica. Nella mostra romana, una sezione è dedicate alle croci che costellano la storia armena: croci sempre fiorite, che germogliano. A testimoniare che la sofferenza di un popolo che ama Dio non è mai vana e porta frutti.
Nota di BastaBugie: sul genocidio armeno il miglior film prodotto è The promise. Per approfondimenti sul film e per vedere il trailer vai sul sito FilmGarantiti cliccando sul seguente link. http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=72
Fonte: Il Timone, aprile 2015
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OMELIA IV DOMENICA DI PASQUA - ANNO B (Gv 10,11-18)
Il buon pastore dà la propria vita per le pecore
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 26 aprile 2015)
Il Messia era stato caratterizzato dai profeti come il Pastore del suo popolo (Is 40,11; Ez 34,23; 37,24; Zc 13,17, ecc.), ed Israele era stato chiamato gregge del Signore (Ez 34,5; Mic 7,14; Zc 10,3, ecc.). Gesù Cristo affermò solennemente che questi vaticini si erano avverati in Lui, proclamandosi pastore, anzi buon pastore non solo del popolo ebreo ma di tutti gli altri che Egli avrebbe uniti al primo suo gregge, formandone un solo ovile sotto un solo pastore. Dal modo com'Egli parlò traspare tutta la sua tenerezza verso le anime e, dal contrapposto che fece tra il buon pastore e il mercenario, tutto il dolore che provava non solo per i falsi pastori del popolo ebreo, ma per i pastori falsi e mercenari di tutti i secoli. Io sono il buon pastore, esclamò; era venuto per dare la vita e per darla abbondantemente, e la dava alle sue pecorelle non solo pascolandole, ma immolandosi per loro; perciò soggiunse: Il buon pastore dà la vita per le sue pecorelle e, secondo l'espressione del testo greco, dà la vita in prezzo di redenzione. Egli era l'unico pastore che pascolando si offriva, e salvando dalla morte le sue pecorelle s'immolava per esse. Nell'Eucaristia donò se stesso offrendosi al Padre ed immolandosi incruentemente, e sulla croce s'immolò cruentemente. Per confermare e rendere vivo questo grande pensiero, Gesù Cristo ritornò alla similitudine dell'ovile e delle pecorelle, e disse: Il buon pastore dà la vita per le sue pecorelle, il mercenario invece è chi non è pastore, ed al quale non appartengono le pecorelle; quando vede venire il lupo abbandona le pecore e fugge, il lupo rapisce e disperde le pecorelle. Il mercenario poi scappa perché è mercenario e non gl'importa delle pecorelle. I pastori di pecore menano una vita solitaria nei campi e l'unica loro compagnia sono quei placidi animali che conducono al pascolo. Essi li amano come loro proprietà, e quasi come parte della loro vita; la docilità che esse hanno ad ogni loro cenno ispira ad essi una grande tenerezza, e la loro debolezza di fronte ai pericoli li rende solleciti nel difenderle. Un gregge è come una famiglia di cui il pastore si sente il capo, e perché le pecorelle lo riconoscono e ne ascoltano la voce, egli se ne sente quasi padre, e non esita ad affrontare dei gravi pericoli per difenderle, soprattutto contro le insidie dei lupi. Nelle solenni solitudini dei campi non c'è forse una scena più soave e commovente come quella di un gregge che pascola, e del pastore che lo vigila. Raccolte a gruppi, brucano le erbe, corrono di qua e di là, si riposano, e il loro belare è come un'armonia serena che si disperde lontano nelle ampie solitudini verdi e tranquille. Gesù Cristo non poteva scegliere una similitudine più bella per significare l'unione delle anime a Lui, e la sua infinita tenerezza nel pascolarle. L'arte ha raccolto in mille modi questa soave parabola, e ne ha formato innumerevoli quadri, dai quali traspare sempre la tranquilla pace delle anime che sono condotte ai pascoli da Gesù, e il suo infinito amore nel pascolarle. Egli è il buon pastore, e le anime per essere guidate da Lui debbono essere docili, semplici, silenziose ed affettuose come pecorelle. Egli le ama, le guida, le difende, le nutre e dà la vita per loro, vittima perenne di redenzione e di amore sugli altari. È questa la sua sublime regalità, tanto diversa: da quella dei reggitori di popoli, solleciti della loro gloria e del loro tornaconto. È questa la sua amorosa paternità per le anime, tanto diversa da quella di coloro che la reggono come mercenari, e che al primo pericolo che le minaccia fuggono e le lasciano in balia di quelli che le uccidono. Un pastore mercenario non ama le pecorelle, ma la paga che guadagna per il servizio che presta; il gregge anzi gli è di fastidio, perché rappresenta il peso della sua giornata e, quando si trova di fronte ai lupi che lo assalgono, fugge per mettersi in salvo, non avendo nessun interesse a salvare le pecorelle. Tali erano i pastori d'Israele, e tali sono i pastori degeneri, che riguardano il ministero come un'occupazione qualunque e una fonte di guadagno. Non parliamo poi dei così detti protestanti e di quelli di altre sette, i quali non solo sono mercenari, pagati per strappare le anime alla Chiesa, ma sono falsi pastori, ladri ed assassini che non entrano nell'ovile per la porta, non hanno alcun mandato di reggere le anime e rappresentano essi medesimi i lupi rapaci che le uccidono e le disperdono. Dopo aver detto che Egli è il buon pastore perché dà la vita per le pecorelle, Gesù Cristo soggiunge che Egli ha tanta premura per le sue pecorelle che le conosce ad una ad una, si comunica loro ed esse lo conoscono. Come il Padre conoscendo se stesso genera il Figlio e gli comunica la vita infinita, e come il Figlio conosce il Padre dandogli una lode infinita, così Gesù Cristo conosce le sue pecorelle, vivificandole ad una ad una, come se fosse tutto e solo per ciascuna, e dà la vita per loro, ad una ad una, di modo che ogni sua pecorella ottiene in pieno il frutto e i benefici della redenzione. Le pecorelle, poi, vivificate da Lui, lo amano perché lo conoscono e lo glorificano. C'è dunque tra Gesù buon pastore e le sue pecorelle un'unione di amore, che Gesù stesso paragona all'unione del Padre con Lui Verbo eterno. Egli dona loro la vita, ed esse lo glorificano e lo amano, Egli le cura singolarmente, una ad una, ed esse lo amano di amore singolare.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 26 aprile 2015)
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