BastaBugie n�134 del 02 aprile 2010
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ATTACCO FRONTALE DEL LAICISMO ALLA CHIESA CATTOLICA IN QUANTO TALE
Ecco i motivi della concentrazione di giornali e televisione sul caso dei preti pedofili
Autore: Marcello Pera - Fonte: Corriere della Sera
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IL QUOTIDIANO MASSONE NEW YORK TIMES ALL'ATTACCO DEL PAPA (MA E' UNA BUFALA CLAMOROSA)
Autore: Marina Corradi - Fonte: Avvenire
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UNA LUCIDA ANALISI DELLA SITUAZIONE DEL CLERO NELLA CHIESA CATTOLICA DI OGGI
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Il Foglio
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LA CHIESA AFFERMA CON CERTEZZA CHE PER ARRIVARE ALL'ESISTENZA DI DIO BASTA LA RAGIONE (PER NON CADERE NEL FIDEISMO CHE LA CONSIDERA INUTILE)
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire
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LE STATISTICHE LO CONFERMANO: GLI ABORTI AUMENTANO CON LA DIFFUSIONE DEI CONTRACCETTIVI
Autore: Benedetta Frigerio - Fonte: Tempi
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AVANZA LA CRISI DELLA FEDE, MA CHI VUOL BENE ALLE DONNE NON STA CON LE FEMMINISTE
Fonte: Corrispondenza Romana
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UN PO' DI STATISTICA: I SUICIDI SONO ALMENO 5 VOLTE GLI OMICIDI; L’ALCOOL CAUSA DECESSI PARI A 4 VOLTE L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO; ECC.
Autore: Fabio Spina - Fonte: Svipop
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA XXV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU'
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Vatican.va (messaggio per il 28 marzo 2010)
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ATTACCO FRONTALE DEL LAICISMO ALLA CHIESA CATTOLICA IN QUANTO TALE
Ecco i motivi della concentrazione di giornali e televisione sul caso dei preti pedofili
Autore: Marcello Pera - Fonte: Corriere della Sera, 19 marzo 2010
Caro Direttore, La questione dei sacerdoti pedofili o omosessuali scoppiata da ultimo in Germania ha come bersaglio il Papa. Si commetterebbe però un grave errore se si pensasse che il colpo non andrà a segno data l'enormità temeraria dell'impresa. E si commetterebbe un errore ancora più grave se si ritenesse che la questione finalmente si chiuderà presto come tante simili. Non è così. È in corso una guerra. Non propriamente contro la persona del Papa, perché, su questo terreno, essa è impossibile. Benedetto XVI è reso inespugnabile dalla sua immagine, la sua serenità, la sua limpidezza, fermezza e dottrina. Basta il suo sorriso mite per sbaragliare un esercito di avversari. No, la guerra è fra il laicismo e il cristianesimo. I laicisti sanno bene che, se uno schizzo di fango arrivasse sulla tonaca bianca, verrebbe sporcata la Chiesa, e se fosse sporcata la Chiesa allora lo sarebbe anche la religione cristiana. Per questo i laicisti accompagnano la loro campagna con domande del tipo "chi porterà più i nostri figli in Chiesa?", oppure "chi manderà più i nostri ragazzi in una scuola cattolica?", oppure ancora "chi farà curare i nostri piccoli in un ospedale o una clinica cattolica?". Qualche giorno fa una laicista si è lasciata sfuggire l'intenzione. Ha scritto: "l'entità della diffusione dell'abuso sessuale su bambini da parte di sacerdoti mina la stessa legittimazione della Chiesa cattolica come garante della educazione dei più piccoli". Non importa che questa sentenza sia senza prove, perché viene accuratamente nascosta "l'entità della diffusione": un per cento di sacerdoti pedofili? dieci per cento? tutti? Non importa neppure che la sentenza sia priva di logica: basterebbe sostituire "sacerdoti" con "maestri" o con "politici" o con "giornalisti" per "minare la legittimazione" della scuola pubblica, dei parlamenti o della stampa. Ciò che importa è l'insinuazione, anche a spese della grossolanità dell'argomento: i preti sono pedofili, dunque la Chiesa non ha autorità morale, dunque l'educazione cattolica è pericolosa, dunque il cristianesimo è un inganno e un pericolo. Questa guerra del laicismo contro il cristianesimo è campale. Si deve portare la memoria al nazismo e al comunismo per trovarne una simile. Cambiano i mezzi, ma il fine è lo stesso: oggi come ieri, ciò che si vuole è la distruzione della religione. Allora l'Europa pagò a questa furia distruttrice il prezzo della propria libertà. à incredibile che soprattutto la Germania, mentre si batte continuamente il petto per la memoria di quel prezzo che essa inflisse a tutta l'Europa, oggi, che è tornata democratica, se ne dimentichi e non capisca che la stessa democrazia sarebbe perduta se il cristianesimo venisse ancora cancellato. La distruzione della religione comportò allora la distruzione della ragione. Oggi non comporterà il trionfo della ragion laica, ma un'altra barbarie. Sul piano etico, è la barbarie di chi uccide un feto perché la sua vita nuocerebbe alla "salute psichica" della madre. Di chi dice che un embrione è un "grumo di cellule" buono per esperimenti. Di chi ammazza un vecchio perché non ha più una famiglia che se ne curi. Di chi affretta la fine di un figlio perché non è più cosciente ed è incurabile. Di chi pensa che "genitore A" e "genitore B" sia lo stesso che "padre" e "madre". Di chi ritiene che la fede sia come il coccige, un organo che non partecipa più all'evoluzione perché l'uomo non ha più bisogno della coda e sta eretto da solo. E così via. Oppure, per considerare il lato politico della guerra dei laicisti al cristianesimo, la barbarie sarà la distruzione dell'Europa. Perché, abbattuto il cristianesimo, resterà il multiculturalismo, che ritiene che ciascun gruppo ha diritto alla propria cultura. Il relativismo, che pensa che ogni cultura sia buona quanto qualunque altra. Il pacifismo che nega che il male esiste. Oppure resterà quell'europeismo retorico e irresponsabile che dice che l'Europa non deve avere una propria specifica identità, ma essere il contenitore di tutte le identità. Salvo poi ricredersi e andare nella cattedrale di Strasburgo a dire: "ora abbiamo bisogno dell'anima cristiana dell'Europa". Questa guerra al cristianesimo non sarebbe così pericolosa se i cristiani la capissero. Invece, all'incomprensione partecipano molti di loro. Sono quei teologi frustrati dalla supremazia intellettuale di Benedetto XVI. Quei vescovi incerti che ritengono che venire a compromesso con la modernità sia il modo migliore per aggiornare il messaggio cristiano. Quei cardinali in crisi di fede che cominciano a insinuare che il celibato dei sacerdoti non è un dogma e che forse sarebbe meglio ripensarlo. Quegli intellettuali cattolici felpati che pensano che esista una questione femminile dentro la Chiesa e un non risolto problema fra cristianesimo e sessualità. Quelle conferenze episcopali che sbagliano l'ordine del giorno e, mentre auspicano la politica delle frontiere aperte a tutti, non hanno il coraggio di denunciare le aggressioni che i cristiani subiscono e l'umiliazione che sono costretti a provare dall'essere tutti, indiscriminatamente, portati sul banco degli imputati. Oppure quei cancellieri venuti dall'Est che esibiscono un bel ministro degli esteri omosessuale mentre attaccano il Papa su ogni argomento etico, o quelli nati nell'Ovest, i quali pensano che l'Occidente deve essere laico, cioè anticristiano. La guerra dei laicisti continuerà, se non altro perché un Papa come Benedetto XVI che sorride ma non arretra di un millimetro la alimenta. Ma se si capisce perché non si sposta, allora si prende la situazione in mano e non si aspetta il prossimo colpo. Chi si limita soltanto a solidarizzare con lui o è uno entrato nell'orto degli ulivi di notte e di nascosto oppure è uno che non ha capito perché ci sta.
Fonte: Corriere della Sera, 19 marzo 2010
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IL QUOTIDIANO MASSONE NEW YORK TIMES ALL'ATTACCO DEL PAPA (MA E' UNA BUFALA CLAMOROSA)
Autore: Marina Corradi - Fonte: Avvenire, 26 marzo 2010
Non è vero che la Congregazione per la dottrina della fede, negli anni in cui era guidata da Joseph Ratzinger, insabbiò il procedimento canonico a carico di Lawrence Murphy, il sacerdote americano colpevole di abusi su dei bambini sordi. Chi legga i documenti pubblicati dal New York Times a sostegno di questa accusa scopre che in realtà solo i vertici della Chiesa americana insistettero a indagare su fatti, che erano stati archiviati dalla giustizia civile. È vero invece che la terribile vicenda delle 29 denunce contestate a padre Murphy – e risalenti ad abusi avvenuti tra il 1950 e il 1974 – arrivò alla Congregazione solo nel 1998, quando l’ormai anziano sacerdote scrisse a Ratzinger chiedendo l’interruzione del processo anche a causa delle sue gravi condizioni di salute. Tuttavia l’allora segretario della Congregazione, Tarcisio Bertone, rispose ordinando che si procedesse secondo le misure previste dal canone 1341 «per ottenere la riparazione dello scandalo e il ristabilimento della giustizia». Il prete accusato morì quattro mesi dopo. (...) Un simile attacco (il secondo in pochi giorni) sulla prima pagina di uno dei più autorevoli quotidiani americani è una cosa che fa pensare. È un piegare quasi con la forza i fatti a una tesi che sembra precostituita e ordinata a uno scopo preciso: attaccare, nella persona del Papa, la Chiesa. Con una determinazione e una tendenziosità che lascia sbalorditi. Le accuse contro quel sacerdote americano sono terribili, ma dopo la prima denuncia il prete venne allontanato e da allora visse ritirato. La giustizia civile lasciò perdere. Da Roma invece, 24 anni dopo l’accaduto, non si consentì alla richiesta di cancellare la vicenda. Chi è l’insabbiatore dunque? La sproporzione fra le accuse e la realtà è troppa per non vedere la volontà di addossare alla Chiesa l’immagine di una sorta di 'cupola' opaca, che sa e non vede, che è informata e finge di ignorare. Quasi come se la dolorosa e limpida lettera di Benedetto XVI ai cattolici d’Irlanda, ammettendo le colpe di alcuni sacerdoti e le mancanze di una Chiesa locale, avesse risvegliato un rancore inespresso ma aspro, un’ansia di lanciare accuse gravi e non provate contro la Chiesa tutta, e il Papa per primo. C’è un sentore quasi di voglia di lapidazione in certi titoli forzati, sparati e subito ripresi da altre testate: come quando tra bande di ragazzi si decide all’improvviso che 'quello' è il nemico, e insieme lo si attacca. Perché? Noi non sappiamo di complotti. Abbiamo invece il dubbio di trovarci di fronte a una di quelle onde mediatiche che a volte traversano l’informazione: gli episodi di pedofilia in Irlanda, denunciati dallo stesso Benedetto con una accorata richiesta di verità e giustizia, usati come anello di una catena che va a cercare singoli episodi, ora veri ora dubbi, ora vecchi di trenta o cinquant’anni, in cui gli accusati spesso sono morti; e serra l’uno all’altro gli anelli, fino a farne una catena vera, da prigionieri, che mette addosso ai sacerdoti cattolici, tutti, alla Chiesa, tutta. Di 'onde mediatiche' se ne creano spesso, come se i media amplificassero se stessi in un gioco incontrollabile di echi. Ma questa volta si avverte in alcuni almeno una frenesia strana di lanciare il sasso, di sporcare, di insinuare che, in realtà, coloro agiscono nel nome di Cristo sono poi uguali a noi, e anzi molto peggiori. Il che talvolta tragicamente può essere vero. Ma non cambia la essenza della Chiesa, il suo essere corpo di Cristo, pure fatto di uomini peccatori. Che strana, livida voglia di fango emerge da certi titoli, dalla realtà piegata e costretta nei propri disegni. Viene in mente l’Eliot dei Cori da «La Rocca», viene in mente quella Straniera che non è amata dagli uomini – perché è «la Testimone»: «Colei che ricorda la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare». La Chiesa, che ancora pretende di affermare che esiste un Bene, e un Male. Che questo dia fastidio? Sembra diretto ai nostri giorni la profezia di Eliot, siamo noi, forse, «gli uomini che deridono/ tutto ciò che è stato fatto di buono».
Fonte: Avvenire, 26 marzo 2010
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UNA LUCIDA ANALISI DELLA SITUAZIONE DEL CLERO NELLA CHIESA CATTOLICA DI OGGI
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Il Foglio, 13 marzo 2010
Grazie a Dio, ci sono ancora parroci che, quando li si cerca, si trovano in chiesa, magari in ginocchio davanti al Santissimo oppure a confessare. Sono quei parroci che celebrano la Messa con devozione, consci di offrire sull’altare, a soddisfazione del Padre e per il bene dei fedeli, il sacrificio del Figlio. Sono quei parroci consapevoli del fatto che anche il più indegno dei sacerdoti può compiere ciò che nemmeno centomila battezzati integerrimi possono fare: perdonare un peccato mortale e trasformare il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Sono quei parroci che, durante l’Anno sacerdotale voluto da Papa Benedetto XVI, non li si è visti per qualche giorno tra canonica, sacrestia e chiesa perché sono andati in pellegrinaggio ad Ars, dipartimento dell’Ain, Francia, 45° e 58’ di latitudine nord, 4° e 49’ di longitudine est e hanno fatto delle coordinate del villaggio a suo tempo affidato al Santo Curato la croce che segna il cuore del loro sacerdozio. Ma quanti sono? Il parroco moderno, di solito, si presenta sotto altre spoglie. E’ iperattivo e impegnato altrove. In tipografia per il bollettino parrocchiale, sul cantiere del nuovo oratorio, a controllare le attività della Caritas, a discutere con l’assessore ai Servizi sociali, a passare le carte dell’ennesimo piano pastorale partorito dall’ennesimo ufficio diocesano, a barcamenarsi nelle discussioni del consiglio pastorale. Altrove. Non di rado una vittima del sistema, spesso è anche un onest’uomo. Ma noi fedeli non possiamo accontentarci di parroci che siano solo onest’uomini. L’abate Giovanni Battista Chautard in un aureo libretto intitolato “L’anima di ogni apostolato” diceva impietosamente: “A sacerdote santo, si dice, corrisponde un popolo fervente; a sacerdote fervente un popolo pio; a sacerdote pio un popolo onesto; a sacerdote onesto un popolo empio”. Anche i più inguaribili ottimisti devono riconoscere che la crisi pluridecennale in cui si dibatte il cattolicesimo è essenzialmente una crisi del sacerdozio e dei sacerdoti. Un dramma in tre atti. Il primo, andato in scena negli anni successivi al Concilio, è stato accompagnato da clamorosi fenomeni di contestazione e da una imponente emorragia di preti che hanno abbandonato la tonaca. Nel secondo, gli abbandoni sono diminuiti e i fenomeni di dissenso sono andati scemando, lasciando il posto a una diffusa visione burocratica del ruolo del sacerdote, fedele esecutore della linea dettata dal vescovo e insensibile, quando non addirittura refrattario, alla volontà del Papa. Si è così affermata una figura di parroco conservatore nella sua fedeltà incrollabile alla teologia moderna e allo “spirito del Concilio”, ma, proprio per questo, progressista nella sua aperta dissonanza dal magistero e dalla tradizione. Il terzo atto è appena cominciato ed è caratterizzato dall’inesorabile declino numerico dei sacerdoti nella vecchia Europa, cui corrisponde un tremendo “che fare?”. Molti sostengono che la mancanza di vocazioni sia un fatto che deve essere accettato senza tentare alcuna contromisura. Anzi, dicono, siccome è Dio che manda operai nella vigna, è Lui stesso che decide di rallentare o addirittura estinguere il flusso delle vocazioni. Ragion per cui saremmo di fronte a uno di quei famosi “segni dei tempi” che esigono di “pensare” una chiesa diversa da quella che abbiamo fin qui conosciuto. Tradotto in parole più semplici, bisogna prepararsi a una chiesa senza sacerdoti. Ma chi nella storia aveva pensato a costruire una chiesa senza preti? Martin Lutero. L’ombra della protestantizzazione si allunga su non poche diocesi sotto le mentite spoglie dell’emergenza vocazionale. Ecco così fiorire l’idea di parrocchie in cui i laici impegnati, quasi sempre donne, rimpiazzino il prete nelle sue funzioni. Ed ecco attuarsi, come ad esempio nella diocesi di Milano, un complesso piano di accorpamento delle parrocchie sotto il cappello delle comunità pastorali, con la regia di sacerdoti-funzionari di mezza età. Una riforma che in questi mesi sta mettendo tutti d’accordo, nel senso che laici e sacerdoti non ne possono più. Quello milanese è un laboratorio tanto pericoloso quanto interessante. Chiunque vi si applichi può osservare da vicino il rischio di sgomberare il campo dalla vecchia figura del parroco, che nel diritto canonico ha una sua potestas molto robusta, per sostituirlo con dei preti che appaiono più simili a dei burocrati diocesani. I danni pastorali di una simile impostazione sono evidenti. Il prete che non risiede stabilmente in una comunità non riesce a essere un punto di riferimento per i fedeli. E, soprattutto, non diventa un modello, anche sul piano antropologico, per i ragazzi e i giovani che sempre meno avranno voglia di diventare come lui e verificare se hanno la vocazione al sacerdozio. Non a caso, nella terra di Ambrogio, si stanno affidando alcuni oratori a degli “animatori” stipendiati. Non a caso, nella diocesi che fu di San Carlo, un parroco può spiegare ai fedeli attoniti che “la domenica, invece di prendere la macchina e andare a Messa in una chiesa vicina, potete riunirvi e leggere insieme il Vangelo”. Il progetto sembra evidente. Siccome ci sono meno preti, si fanno fare più cose ai laici, con la conseguenza che ci saranno sempre meno preti e sempre più laici, finché il sistema progettato per funzionare perfettamente senza preti arriverà a pieno regime. Come sarebbe piaciuto a Lutero. Ma questo ragionamento, viziato da una conclusione precofenzionata, risulta di conseguenza viziato anche in origine. E’ proprio vero che non esistono vocazioni? Oppure le si va a cercare dove non ci sono? A riprova di questa idea, sta il fatto che, mentre i seminari diocesani si svuotano, molte famiglie religiose di recente fondazione e fortemente incentrate sul sacerdozio cattolico hanno i loro seminari, anche minori, stracolmi. Forse, a voler leggere i “segni dei tempi”, si impara qualcosa dallo svuotarsi dei seminari diocesani. Innanzi tutto che sono un problema. Nessuno sa dire con certezza quale siano gli standard dottrinali comuni ai luoghi in cui si devono vagliare e far crescere le vocazioni. C’è però un’aneddotica inquietante che racconta di seminaristi costretti a recitare il rosario di nascosto, a non rimanere inginocchiati durante la Messa, a farsi mandare a casa propria riviste di apologetica come Il Timone, ad ascoltare clandestinamente Radio Maria. Per le misteriose vie della Provvidenza, nonostante un simile apparato deformante, ci sono ancora buoni preti cattolici che oggi si affacciano, giovani e freschi di ordinazione, alla loro missione apostolica. Ma sono fiori nel deserto, perché la crisi è ben più drammatica di quanto si voglia dire. E' sufficiente una ricognizione della prassi liturgica invalsa in questi anni per rendersene conto. Le Messe domenicali offrono esempi a non finire. Dal prete che, al momento della comunione, si fa da parte e va a dirigere i canti mentre i ministri straordinari dell’eucaristia svolgono ordinariamente ciò che non toccherebbe loro, a quello che alla Messa per la Prima Comunione invita i bambini a recitare la formula di consacrazione assieme a lui, a quello che fa tenere l’omelia alla catechista. E’ il sacerdozio universale, bellezza. Una deriva ormai lontana mille miglia da quanto la Chiesa cattolica ha sempre insegnato. San Tommaso d’Aquino spiega benissimo che il sacerdozio dei fedeli consiste nel “ricevere” da Dio, mentre il sacerdozio ordinato consiste nell’“offrire” a Dio. Ma, una volta oscurato nella teologia l’aspetto sacrificale della Messa, il sacerdote ordinato finisce per essere come un comune fedele. E’ doloroso portarne le prove, ma non si può raccontare la progressiva scomparsa dei parroci nascondendone i segni. E’ capitato per esempio che, venute a scarseggiare le ostie consacrate per la comunione in una chiesa di un’importante città lombarda, si sia corsi in fretta e furia a prendere delle particole in sacrestia e le si sia mischiate alle altre, quasi che la consacrazione possa avvenire per semplice contatto. Qui è in gioco il cuore della fede cattolica. Qui ci si balocca con il dogma della presenza reale di corpo, sangue, anima e divinità di Gesù Cristo nell’ostia consacrata a opera del sacerdote. Sarà brutale, ma senza presenza reale non c’è sacerdozio. Senza la certezza che nell’ostia c’è tutto Gesù Cristo, senza riverenza per quel pane bianco e immacolato, senza sacro timore al cospetto di tanta grandezza, senza dolcezza al cospetto del manifestarsi della Grazia pallida e pura, il sacerdote può solo farsi da parte. Quando si arriva a questo, si comprende che il vecchio parroco, quello che anche tanti atei ricordano con un certo rispetto o persino un certo affetto, quello che magari metteva soggezione ma era capace di dire la parola giusta al momento giusto, quello che induceva a guardare in Cielo quando si rischiava di affezionarsi troppo alla terra, quel parroco non c’è più. Non poteva andare diversamente viste le premesse. Quando il 24 ottobre 1967, davanti al Sinodo dei vescovi, si tenne nella Cappella Sistina una celebrazione sperimentale della Messa prodotta dalla riforma postconciliare, l’impressione più diffusa venne riassunta benissimo dai molti che definirono il rito “freddo come una cena luterana”. Col risultato che più della metà dei padri sinodali votò contro o, quanto meno, chiese modifiche sostanziali. Monsignor Annibale Bugnini, artefice della riforma, accusò il colpo, ma non arretrò, anzi. Nel suo libro “La riforma liturgica” spiega quanto inadeguati fossero quei vescovi che non avevano gradito il suo lavoro. In particolare, riserva parole poco benevole per quelli “assillati dal dogma della presenza reale” che, poveri ruderi medievali, “avevano visto con preoccupazione qualche riduzione nei gesti e nelle genuflessioni, l’allungarsi della liturgia della Parola”. Proprio così, tra i vescovi di santa romana chiesa ce n’erano ancora molti con la fissa della presenza reale di Nostro Signore nell’eucaristia. Levata quella fissa, oggi, in gran parte dei seminari, è considerato chiaro segno di non-vocazione rimanere inginocchiati per il ringraziamento dopo la comunione. Ma se un sacerdote non insegna ai suoi parrocchiani la reverenza per Dio che cos’altro può fare? Se non vuol rimanere con le mani in mano, ecco che insegnerà la reverenza per qualcos’altro: per l’ambiente, per la pace, per i poveri, per le balene in via d’estinzione. Persino per il dio delle altre religioni: ma non per il proprio. Non è un caso se, nell’udienza generale del 1° luglio 2009, a proposito dell’anno sacerdotale, Papa Benedetto XVI ha detto: “Dopo il Concilio Vaticano II, si è prodotta qua e là l’impressione che nella missione dei sacerdoti in questo nostro tempo, ci fosse qualcosa di più urgente; alcuni pensavano che si dovesse in primo luogo costruire una diversa società”. Ma non è in un progetto umanitario che trova compimento la vocazione al sacerdozio. Il sacerdote radica la sua identità nel primato della Grazia divina. “A fronte di tante incertezze e stanchezze anche nell’esercizio del ministero sacerdotale, è urgente il recupero di un giudizio chiaro ed inequivocabile sul primato assoluto della grazia divina, ricordando quanto scrive san Tommaso d’Aquino: ‘Il più piccolo dono della Grazia supera il bene naturale di tutto l’universo’”. Nell’udienza precedente aveva inoltre spiegato che “in un mondo in cui la visione comune della vita comprende sempre meno il sacro, al posto del quale la funzionalità diviene l’unica decisiva categoria, la concezione cattolica del sacerdozio potrebbe rischiare di perdere la sua naturale considerazione, talora anche all’interno della coscienza ecclesiale”. Perso di vista tutto questo, il destino del parroco è quello di essere uno fra i tanti. A far marciare le cose per bene in parrocchia ci pensa il popolo che, liberato da secoli di oppressione liturgica, può dare finalmente sfogo alla sua democratica creatività. Ma il popolo, quand’anche sia il “popolo di Dio”, una volta abbandonato a se stesso, al massimo riesce a mettere su la Festa dell’Unità, fosse pure la Festa dell’Unità dei cristiani. E il prete, nella gran parte dei casi cresciuto nella stessa temperie, partecipa con entusiasmo. Poiché l’entusiasmo è l’unico criterio che oggi misura la riuscita di qualsiasi iniziativa ecclesiale, dalla celebrazione della Messa alla raccolta di carta per il Mato Grosso. Se una Messa non è partecipata entusiasticamente, se non è animata entusiasticamente pare quasi non sia valida. Così, ognuno ci mette del suo. C’è chi si affanna nella corsa al microfono per leggere chilometriche preghiere dei fedeli, chi compie gesti simbolici che danno un senso ulteriore alla Messa, chi sale alla ribalta per spiegare che cosa significhino quei gesti simbolici, chi dai gesti simbolici si sente edificato e chi, ma raramente, volta i tacchi dicendo: “Se me lo devi spiegare che razza di simbolo è?”. Quanto sono lontane le Messe del Curato d’Ars. Quanto lontana la sua concezione del sacerdozio. Quanto lontano il suo essere parroco, responsabile davanti a Dio del destino eterno di ogni anima affidatagli. “Tolto il sacramento dell’Ordine” diceva ai suoi parrocchiani il santo “noi non avremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest’anima viene a morire per il peccato, chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote”. E poi ancora sopraffatto dalla responsabilità di dare a Dio ciò che gli spetta anche per conto altrui: “E’ il prete che continua l’opera della Redenzione sulla terra. Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti, è lui che apre la porta, è lui l’economo del buon Dio, l’amministratore dei suoi beni. Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie”.
Fonte: Il Foglio, 13 marzo 2010
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LA CHIESA AFFERMA CON CERTEZZA CHE PER ARRIVARE ALL'ESISTENZA DI DIO BASTA LA RAGIONE (PER NON CADERE NEL FIDEISMO CHE LA CONSIDERA INUTILE)
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire, 13 dicembre 2009
I due interventi inaugurali del Convegno internazionale su Dio recentemente promosso dalla Cei hanno riproposto un tema decisivo. Il cardinal Ruini ed il filosofo Robert Spaemann hanno infatti ribadito la possibilità di elaborare delle dimostrazioni razionali dell’esistenza di Dio. La scelta di iniziare il Convegno con questo discorso è molto importante anche nei riguardi del mondo cattolico, perché non pochi credenti cadono nel fideismo, che nega il contributo della filosofia alla fede, considerandola inutile o addirittura perniciosa, e poggia la fede soltanto su un sentimento interiore e sulla Bibbia. In realtà, la capacità della ragione di giungere a Dio è affermata già dalla stessa Bibbia. Un passo della Lettera ai romani (I, 19-21), citato più di una volta al Convegno: «Ciò che di Dio si può conoscere è agli uomini manifesto […]. Infatti […] le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute». E la Lettera di Pietro (1 Pt, 3, 15) esorta a promuovere il cristianesimo appunto anche mediante la ragione: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». Anche sulla scorta di questi passi la Chiesa si è molte volte pronunciata sulla possibilità di affermare Dio con la ragione. Per esempio nell’enciclica Fides et Ratio (§ 24, 36 e 53), dove, inoltre, Giovanni Paolo II ha criticato (al § 55) i 'pericolosi ripiegamenti sul fideismo, che non riconosce l’importanza della conoscenza razionale e del discorso filosofico per l’intelligenza della fede, anzi per la stessa possibilità di credere in Dio'. Ma potremmo citare anche molti interventi di Benedetto XVI. Similmente, il cardinal Bagnasco ha rimarcato al Convegno che «purtroppo […] sentimentalismo ed emotivismo […] finiscono per avallare l’opinione diffusa che religione e ragione appartengano a due mondi, se non contrapposti, quantomeno incomunicabili». Per contro, la filosofia può recare alla fede almeno due preziosissimi contributi. Anzitutto, le prove filosofiche dell’esistenza di Dio possono essere proposte a chi non è già cristiano, possono condurre l’ateo a convincersi dell’esistenza di Dio e possono inoltre portare il non cristiano sulla soglia della fede nel Dio cristiano. In effetti, i cristiani diventano tali sia perché ricevono la fede direttamente da Dio o da qualche persona che inoltre la testimonia, sia anche, a volte, perché vengono convinti da dei ragionamenti. Per esempio, s. Agostino si è convertito grazie a s. Ambrogio ed alla lettura dei discorsi dei filosofi neoplatonici, s. Edith Stein è arrivata al cristianesimo leggendo s. Teresa e grazie alla filosofia di s. Tommaso, e Janne Haaland Matlary – già viceministro norvegese, che era agnostica (ed in certi periodi atea) - è arrivata al cattolicesimo proprio grazie alla filosofia. Inoltre, la filosofia può soccorrere anche chi è già credente: anche i più grandi santi hanno attraversato periodi in cui nessun sentimento interiore confermava loro l’esistenza di Dio, come è avvenuto a Madre Teresa di Calcutta. È la «notte dello spirito», per usare l’espressione di s. Giovanni della Croce. In simili momenti, la filosofia, che può dimostrare l’esistenza di Dio e anche alcuni aspetti della sua natura (onnipotenza, sapienza, giustizia, provvidenza, ecc.), può aiutarci a rimanere convinti che Dio esiste, a riconoscerlo anche quando si addensa il buio.
Fonte: Avvenire, 13 dicembre 2009
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LE STATISTICHE LO CONFERMANO: GLI ABORTI AUMENTANO CON LA DIFFUSIONE DEI CONTRACCETTIVI
Autore: Benedetta Frigerio - Fonte: Tempi, 30 dicembre 2009
Davvero la diffusione della ‘cultura contraccettiva’ serve a limitare le interruzioni di gravidanza? I dati mostrano che avviene l'esatto contrario 'Piu' ti proteggi, meno abortisci’. E’ uno degli slogan piu’ in voga nelle campagne che promuovono la cosiddetta sessualita’ responsabile, secondo cui solo la sana e consapevole diffusione di una ‘cultura contraccettiva’ puo’ limitare il ricorso all'interruzione di gravidanza. Uno slogan smentito ora da una pubblicazione apparsa sull'ultimo numero della rivista scientifica Italian Journal of Gynaecology & Obstetrics, organo ufficiale dei ginecologi italiani. I dati tracciano un ritratto dei paesi occidentali che fa vacillare il postulato delle piu’ famose teorie demografiche e che mostrano come, soprattutto in Europa, gli aborti aumentano insieme alla diffusione dei contraccettivi e insieme alla crescita degli aborti volontari. Lo studio prende in considerazione una molteplicita’ di fattori che vanno dall'eta’ della donna al numero di figli desiderato e rileva le probabilita’ di ricorrere all'aborto. Un risultato ancor piu’ sorprendente, dal momento che lo studio considera diversi gruppi di donne ed esclude la ‘pillola del giorno dopo’. In Spagna, in appena sei anni, la possibilita’ di utilizzare precauzioni sessuali e’ salita del 38,6 per cento, mentre il tasso di abortivita’ nello stesso periodo e’ aumentato del 58,9 e il numero di aborti effettivi e’ salito del 39 per cento. Un elemento in piu’ emerge dai dati francesi, secondo cui se e’ vero che le gravidanze indesiderate sono diminuite grazie a tecniche variate in qualita’ piu’ che in quantita’, il tasso di abortivita’ non ha fatto lo stesso. Tra tutte le donne che vanno incontro a una gravidanza non preventivata quelle che infine scelgono di abortire sono in aumento del 20 per cento. Come dire che piu’ si diffonde la cultura contraccettiva piu’ un figlio non voluto viene percepito come una sorta di fallimento nel proprio ‘piano di protezione’. La ricerca raccoglie poi le tendenze di piu’ paesi smentendo anche in generale il nesso fra la diminuzione degli aborti e la diffusione di contraccettivi sempre piu’ sofisticati. Tanto che nello scorso decennio in quattordici nazioni sviluppate (Danimarca, Finlandia, Norvegia, Regno Unito, Italia, Spagna, Austria, Belgio, Francia, Germania, Olanda, Svizzera, Canada, Stati Uniti e Nuova Zelanda) il proliferare di strumenti sempre piu’ efficaci e sofisticati non ha modificato il tasso di abortivita’. Preoccupanti i dati provenienti da Oltremanica, dove da sempre si spende di piu’ per promuovere il ‘sesso responsabile’ (solo quest'anno sono stati stanziati fondi extra per circa 20 milioni di sterline). Fra il 1996 e il 2007 in Inghilterra e Galles il tasso contraccettivo e’ aumentato del 2 per cento all'anno con una crescita significativa di quello di abortivita’, schizzato su del 12,3. Addirittura tra le adolescenti, sottoposte ai messaggi martellanti delle campagne contraccettive, il numero di aborti si aggira intorno al 38 per cento. Non solo, all'inizio del mese, dopo che l'8 di dicembre le metropolitane di Londra sono state tappezzate da cartelli dove appare il condom con la scritta ‘l'immacolata contraccezione’, il governo ha dato notizia dell'incremento degli aborti ripetuti piu’ volte dalle stesse adolescenti, segnalando che l'interruzione di gravidanza e’ sempre piu’ percepita come un metodo anticoncezionale fra gli altri. Sono seguite roventi polemiche su una politica contraccettiva che gia’ nell'aprile scorso aveva rivelato la sua vera logica, quando i comitati di revisione pubblicitaria di radio e tv chiesero di introdurre spot esplicitamente abortivi a supporto di quelli contraccettivi per contrastare le gravidanze tra adolescenti. Il caso degli Stati Uniti La pubblicazione getta una luce nuova anche sugli Stati Uniti, dove la diminuzione dell'aborto viene attribuita al maggior uso dei contraccettivi. Analizzando la situazione Stato per Stato, i ricercatori hanno scoperto che le interruzioni di gravidanza calano laddove si ricorre maggiormente alla contraccezione irreversibile (legatura delle tube e chiusura dei deferenti), mentre aumentano negli Stati dove e’ piu’ diffusa la contraccezione reversibile. Analizzando come le politiche sono recepite dalle donne americane appare vero l'assioma secondo cui ad una maggior educazione all'astinenza consegue un calo degli aborti. Separando le adolescenti in gruppi e’ emerso che fra le bianche, a differenza di quanto accade fra le loro coetanee di colore, il ricorso all'uso del contraccettivo e’ diminuito del 50 per cento, riducendo drasticamente gli aborti e compensando quelli rimasti costanti in altri gruppi. Cio’ evidenzia che la politica dell'astinenza, introdotta nell'agenda della presidenza Bush, riduce il numero delle gravidanze almeno quanto la contraccezione. Infine, parla chiaro la casistica delle adolescenti di tutti i paesi considerati. Qui non esiste in nessun caso una correlazione positiva fra copertura contraccettiva e diminuzione dell'aborto. Se fra le francesi, le inglesi e le australiane gli aborti sono aumentati riducendo le gravidanze, per le giovani spagnole lo schema fra 1997 e 2005 e’ a senso unico: al crescere della contraccezione (+278 per cento) corrisponde non solo l'aumento degli aborti (+228), ma anche del tasso di gravidanza (+23), a dimostrazione che la copertura contraccettiva e’ stata del tutto insufficiente a compensare l'incremento della disinibizione sessuale e della propensione abortiva.
Fonte: Tempi, 30 dicembre 2009
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AVANZA LA CRISI DELLA FEDE, MA CHI VUOL BENE ALLE DONNE NON STA CON LE FEMMINISTE
Fonte Corrispondenza Romana, 20/3/2010
“L’Osservatore Romano” dell’11 marzo ha pubblicato un articolo della storica Lucetta Scaraffia, dal titolo Una collaborazione antica e nuova, in cui viene affrontato, in una singolare prospettiva, il problema degli abusi sessuali nella Chiesa. Secondo la storica cattolica le cause della pedofilia e delle altre perversioni sessuali non risalirebbero alla crisi morale contemporanea, al crollo della famiglia e dunque dell’educazione familiare, alla totale mancanza di pudore e di autocontrollo, alla diffusione senza scrupoli di pornografia e prostituzione, in una parola alle devastanti conseguenze della Rivoluzione sessuale, anche femminista, del ’68, ma al contrario (sembra di capire...) all’insufficiente femminismo della comunità ecclesiale! La Scaraffia scrive infatti: «se nei secoli passati la Chiesa si è nei fatti dimostrata nei confronti delle donne più aperta del mondo profano, oggi la situazione si è capovolta e le pressioni esterne ed interne, affinché il nodo venga affrontato in ambito cattolico, sono forti e urgenti». Visto che il mondo laico oggi, del tutto assurdamente, nega le differenze irriducibili tra i sessi, secondo la fantomatica teoria del gender, anche la Chiesa dovrebbe ammettere la piena parità uomo-donna nelle “sfere decisionali” (quali?). Continua infatti l’autrice: «Il problema però è che a questa importante elaborazione teorica non ha fatto seguito con altrettanta nettezza una trasformazione nella partecipazione femminile alla vita della Chiesa, o, perlomeno, la partecipazione, che pure si è significativamente ampliata, si è mantenuta quasi sempre al di fuori delle sfere decisionali e degli ambiti di elaborazione culturale». Secondo la storica, sarebbe la bassezza morale del maschio, a giustificare l’attuazione di questa sorta di teo-femminismo. «Basti un esempio: nelle dolorose e vergognose situazioni in cui vengono alla luce molestie e abusi sessuali da parte di ecclesiastici su giovani a loro affidati, possiamo ipotizzare che una maggiore presenza femminile non subordinata avrebbe potuto squarciare il velo di omertà maschile che spesso in passato ha coperto con il silenzio la denuncia dei misfatti». Significa che l’uomo maschio, più che la donna, avrebbe congenite attitudini all’omertà e al sopruso? Ma non è stato proprio il femminismo, tra le tante “conquiste sociali”, come quella di rendere milioni di donne omicide del proprio figlio, a rendere l’immagine della donna tutto l’opposto della figura angelica e soave che ora, per fini ideologici, ci si vorrebbe mettere davanti? Prostituzione, uso del corpo a fini di carriera, velinismo, aggressività, sono solo alcune delle tare diffuse presso le donne emancipate moderne. La donna vuole rispetto della sua identità più vera, detta da Giovanni Paolo II, “genio femminile”? Lo avrà, ma non continuando nelle rivendicazioni distruttive e regressive che hanno caratterizzato fin qui il femminismo laico e anticristiano. Bensì mettendosi in ascolto obbediente dell’insegnamento perenne della Chiesa. Papa Woytjla diceva per esempio che «La donna – nel nome della liberazione dal “dominio” dell’uomo – non può tendere ad appropriarsi delle caratteristiche maschili, contro la sua propria “originalità” femminile» (Mulieris dignitatem). Ritorni sé stessa la donna, anzitutto suora, moglie e madre di famiglia, si ispiri – come fecero una schiera senza numero di grandi donne del passato (dalla Maddalena ad Armida Barelli, da santa Monica a Edith Stein) – all’umiltà della Donna perfetta, Vergine e Madre, cui ogni donna dovrebbe ispirarsi, e celermente nelle famiglie, nella cultura e nella società tornerà quel giusto apprezzamento e quella sana valorizzazione del femminile che proprio gli idoli della carriera, dell’emancipazione e dell’autonomia le hanno fatto perdere.
Fonte: Corrispondenza Romana, 20/3/2010
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UN PO' DI STATISTICA: I SUICIDI SONO ALMENO 5 VOLTE GLI OMICIDI; L’ALCOOL CAUSA DECESSI PARI A 4 VOLTE L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO; ECC.
Autore: Fabio Spina - Fonte: Svipop, 15-2-2010
In Italia le vittime per il virus della nuova influenza H1N1 possano arrivare a 95mila su circa sei milioni di contagiati, questo lo scenario peggiore; se invece il virus si mantenesse blando la mortalità sarebbe di circa 15mila morti al termine dell’epidemia (vedi pagina con alcune delle notizie diffuse sull’influenza H1N1). Queste le previsioni pochi mesi fa, quando sui quotidiani si discusse per settimane l’opportuno di una chiusura preventiva delle scuole. Altro allarme di questi giorni è relativo al famigerato smog urbano: ''Visto che ne' il governo nazionale, ne' le amministrazioni locali si muovono per un dramma che ogni anno costa la vita ad almeno 7400 cittadini, noi Verdi apriremo una vertenza in ogni città presentando esposti e chiedendo alle procure di aprire inchieste per omicidio colposo”. Questa è l’informazione ricorrente sui mass-media che angoscia le mamme costrette a vedere i propri figli crescere in città “avvelenate” dalle loro stesse auto utilizzate per raggiungere il lavoro e/o la scuola, dai riscaldamenti impiegati per rendere gli ambienti più salubri. La singola vita umana ha un valore grandissimo per cui è giusto tentare sempre di fare il massimo per salvarla, però, non avendo a disposizione risorse infinite per poter affrontare tutti i problemi contemporaneamente, sarebbe opportuno ottimizzare l’azione partendo da un’analisi oggettiva della realtà, al fine d’identificare l’entità dei vari rischi e l’affidabilità delle previsioni. L’oggettività dei numeri può aiutarci a descrivere la realtà in modo da evitare che la nostra idea soggettiva prenda il sopravvento. Per curiosità proveremo a paragonare le stime del numero di decessi in Italia dovuti a varie cause: queste spesso sono descritte singolarmente sicché è difficile trattarle come pezzi di un unico puzzle e raramente qualcuno s’incarica di ricostruirlo. Peraltro bisognerebbe tenere conto che esistono morti per cui le cause del decesso sono ben accertate e vengono riportate sul certificato di morte, ad esempio per gli incidenti stradali, la droga, gli omicidi, gli assideramenti, mentre per alcune cause il numero di morti è stimato statisticamente,:ad esempio lo smog, il caldo, il fumo passivo. Ha dunque un valore scientifico diverso dire che un tot di persone muoiono ogni anno per malattie cardiache rispetto all’affermazione per cui ogni anno muoiono tot persone per fumo passivo. Naturalmente non si ha la pretesa di uno studio scientifico con l’ufficialità di un ente statistico, ma solo di raccogliere e presentare un po’ d’informazione che ci viene offerta dai mass-media, sulla quale spesso si forma l’opinione pubblica rispecchiando l’enfasi e lo spazio concesso dai mezzi di comunicazione alle varie cause. Non essendo cambiata sensibilmente la popolazione italiana, confronteremo numeri relativi anche ad anni diversi, cercando di utilizzare per quanto possibile la più recente stima disponibile (vedi pagina che riporta link della notizia ed anno relativo). Il numero totale di decessi in Italia nel 2006 è stato di 557.892 (per dare un’idea dell’ordine di grandezza sono quasi tutti i cittadini della città di Genova popolata da 611.171 persone il 1.1.2009). A questi vanno aggiunti i 131.118 aborti registrati nel 2006 (poco più dei cittadini di Ferrara, secondo il censimento Istat del 2001). Dunque, proseguendo, abbiamo: • 80.000 morti per il fumo (sono poco di più di tutti i cittadini della città di Grosseto popolata da 79.695 persone il 1.1.2009); • 52.000 morti causati da obesità (sono duemila meno dei cittadini di Cuneo popolata da 54.624 nel 1999); • 30.000 morti causati dall’alcool (poco meno di tutti i cittadini di Oristano popolata da 33.007 persone nel 1999); • 28.000 per inattività fisica o pigrizia (più o meno i cittadini di Enna popolata da 28.424 persone nel 1999); • tra i 50.000 decessi (secondo Assinform, editore di riviste specializzate nel settore del rischio nel campo della sanità) ed i 14.000 (secondo l'Associazione degli anestesisti) per malasanità • circa 10.000 decessi imputabili agli effetti del radon secondo studi dell’Unione Europea; altri studi forniscono oltre 3.000 morti per il Radon; • 8.500 morti per l’influenza stagionale; • 7.400 morti causa smog; • 7-8.000 morti per incidenti domestici; • 5.669 morti causa incidenti stradali nel 2006; • Tra 4081 nel 1987 a 2823 nel 2008 per suicidio; • 4.000 morti causa Aids; • 3.000 morti causa amianto (06/12/2007); • 1.170 nel 2007 le morti legate al lavoro nel nostro Paese, di cui 609 per infortuni stradali, ovvero lungo il tragitto casa-lavoro o in strada durante l'esercizio dell'attività lavorativa. 1.280 morti sul lavoro nel 2006; • 648 pedoni deceduti per investimento nel 2008; • 621 per omicidio nel 2006 (nel 1995 erano 1042); • 502 morti per droga in Italia nel 2008; • Circa 400 per annegamento; • 352 ciclisti morti (girare in bicicletta comporta un rischio di morte più che raddoppiato rispetto all’utilizzo di un ciclomotore); • 228 per l’influenza H1N1 (gennaio 2010). A seconda delle proprie esperienze esaminare i numeri può creare delle sorprese (partendo dal presupposto che le stime sono realizzate in modo onesto). Si scopre così che la malasanità, l’alcool, la pigrizia, causano decessi pari a 4 volte l’inquinamento atmosferico; il fumo 10 volte, l’aborto 20 volte. Il numero di morti per inquinamento, quindi, è vicino a quello causato dall’influenza e dagli incidenti domestici per i quali non si vive nella stessa angoscia e non si fanno domeniche di sensibilizzazione e denunce (oltretutto questi ultimi non sono morti stimati statisticamente ma “certificati”), i suicidi sono almeno 5 volte degli omicidi. Esistono quindi molti campi su cui si può, e si deve, investire per difendere la vita umana, specie se il rispetto della vita umana è visto come un dovere sempre (sicché ad esempio operare per ridurre il numero di suicidi ed omicidi richiede lo stesso impegno). Tornando all’inquinamento atmosferico, fondamentale è dunque cercare di migliorare la qualità dell’aria nelle nostre città, ma con la consapevolezza che si sta lavorando da tempo per migliorare progressivamente rispetto al passato. Decenni fa si è affrontata la problematica relativa all’SO2, poi il piombo, il benzene ed ora le soglie del Pm10 stanno progressivamente scendendo. Dalla costatazione che dei 95.000 decessi previsti per l’H1N1, effettivamente finora questi sono stati 228, si dovrebbe comprendere che è opportuno tener conto prudentemente delle previsioni ma non utilizzarle come certezze per creare angoscia: la paura ha il solo effetto di far effettuare frettolose scelte emotive. Come diceva il filosofo Norberto Bobbio, “la realtà con il tempo ha sempre il sopravvento sulle idee”. La scienza abitua a dover sempre verificare con onestà le proprie idee con la realtà e ad avere uno “spirito critico”, per questo è importante che nelle scuole si apprenda una mentalità scientifica, che prima si “impari ad imparare” e dopo ci si specializzi. L’impegno principale attuale sembra sia dare una Terra migliore ai nostri giovani, forse raccoglieremo maggiori frutti, anche in campo ambientale, impegnandoci principalmente per dare “giovani migliori” di noi a questa Terra.
Fonte: Svipop, 15-2-2010
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA XXV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU'
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Vatican.va (messaggio per il 28 marzo 2010)
Cari amici, ricorre quest’anno il venticinquesimo anniversario di istituzione della Giornata Mondiale della Gioventù, voluta dal Venerabile Giovanni Paolo II come appuntamento annuale dei giovani credenti del mondo intero. Fu una iniziativa profetica che ha portato frutti abbondanti, permettendo alle nuove generazioni cristiane di incontrarsi, di mettersi in ascolto della Parola di Dio, di scoprire la bellezza della Chiesa e di vivere esperienze forti di fede che hanno portato molti alla decisione di donarsi totalmente a Cristo. La presente XXV Giornata rappresenta una tappa verso il prossimo Incontro Mondiale dei giovani, che avrà luogo nell'agosto 2011 a Madrid, dove spero sarete numerosi a vivere questo evento di grazia. Per prepararci a tale celebrazione, vorrei proporvi alcune riflessioni sul tema di quest’anno: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (Mc 10,17), tratto dall’episodio evangelico dell'incontro di Gesù con il giovane ricco; un tema già affrontato, nel 1985, dal Papa Giovanni Paolo II in una bellissima Lettera, diretta per la prima volta ai giovani. 1. GESÙ INCONTRA UN GIOVANE “Mentre [Gesù] andava per la strada, – racconta il Vangelo di San Marco - un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni” (Mc 10, 17-22). Questo racconto esprime in maniera efficace la grande attenzione di Gesù verso i giovani, verso di voi, verso le vostre attese, le vostre speranze, e mostra quanto sia grande il suo desiderio di incontrarvi personalmente e di aprire un dialogo con ciascuno di voi. Cristo, infatti, interrompe il suo cammino per rispondere alla domanda del suo interlocutore, manifestando piena disponibilità verso quel giovane, che è mosso da un ardente desiderio di parlare con il «Maestro buono», per imparare da Lui a percorrere la strada della vita. Con questo brano evangelico, il mio Predecessore voleva esortare ciascuno di voi a “sviluppare il proprio colloquio con Cristo - un colloquio che è d'importanza fondamentale ed essenziale per un giovane” (Lettera ai giovani, n. 2). 2. GESÙ LO GUARDÒ E LO AMÒ Nel racconto evangelico, San Marco sottolinea come “Gesù fissò lo sguardo su di lui e lo amò” (cfr Mc 10,21). Nello sguardo del Signore c’è il cuore di questo specialissimo incontro e di tutta l’esperienza cristiana. Infatti il cristianesimo non è primariamente una morale, ma esperienza di Gesù Cristo, che ci ama personalmente, giovani o vecchi, poveri o ricchi; ci ama anche quando gli voltiamo le spalle. Commentando la scena, il Papa Giovanni Paolo II aggiungeva, rivolto a voi giovani: “Vi auguro di sperimentare uno sguardo così! Vi auguro di sperimentare la verità che egli, il Cristo, vi guarda con amore!” (Lettera ai giovani, n. 7). Un amore, manifestatosi sulla Croce in maniera così piena e totale, che fa scrivere a san Paolo, con stupore: “Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). “La consapevolezza che il Padre ci ha da sempre amati nel suo Figlio, che il Cristo ama ognuno e sempre – scrive ancora il Papa Giovanni Paolo II -, diventa un fermo punto di sostegno per tutta la nostra esistenza umana” (Lettera ai giovani, n. 7), e ci permette di superare tutte le prove: la scoperta dei nostri peccati, la sofferenza, lo scoraggiamento. In questo amore si trova la sorgente di tutta la vita cristiana e la ragione fondamentale dell'evangelizzazione: se abbiamo veramente incontrato Gesù, non possiamo fare a meno di testimoniarlo a coloro che non hanno ancora incrociato il suo sguardo! 3. LA SCOPERTA DEL PROGETTO DI VITA Nel giovane del Vangelo, possiamo scorgere una condizione molto simile a quella di ciascuno di voi. Anche voi siete ricchi di qualità, di energie, di sogni, di speranze: risorse che possedete in abbondanza! La stessa vostra età costituisce una grande ricchezza non soltanto per voi, ma anche per gli altri, per la Chiesa e per il mondo. Il giovane ricco chiede a Gesù: “Che cosa devo fare?”. La stagione della vita in cui siete immersi è tempo di scoperta: dei doni che Dio vi ha elargito e delle vostre responsabilità. E’, altresì, tempo di scelte fondamentali per costruire il vostro progetto di vita. E’ il momento, quindi, di interrogarvi sul senso autentico dell’esistenza e di domandarvi: “Sono soddisfatto della mia vita? C'è qualcosa che manca?”. Come il giovane del Vangelo, forse anche voi vivete situazioni di instabilità, di turbamento o di sofferenza, che vi portano ad aspirare ad una vita non mediocre e a chiedervi: in che consiste una vita riuscita? Che cosa devo fare? Quale potrebbe essere il mio progetto di vita? “Che cosa devo fare, affinché la mia vita abbia pieno valore e pieno senso?” (Ibid., n. 3). Non abbiate paura di affrontare queste domande! Lontano dal sopraffarvi, esse esprimono le grandi aspirazioni, che sono presenti nel vostro cuore. Pertanto, vanno ascoltate. Esse attendono risposte non superficiali, ma capaci di soddisfare le vostre autentiche attese di vita e di felicità. Per scoprire il progetto di vita che può rendervi pienamente felici, mettetevi in ascolto di Dio, che ha un suo disegno di amore su ciascuno di voi. Con fiducia, chiedetegli: “Signore, qual è il tuo disegno di Creatore e Padre sulla mia vita? Qual è la tua volontà? Io desidero compierla”. Siate certi che vi risponderà. Non abbiate paura della sua risposta! “Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Gv 3,20)! 4. VIENI E SEGUIMI! Gesù, invita il giovane ricco ad andare ben al di là della soddisfazione delle sue aspirazioni e dei suoi progetti personali, gli dice: “Vieni e seguimi!”. La vocazione cristiana scaturisce da una proposta d’amore del Signore e può realizzarsi solo grazie a una risposta d’amore: “Gesù invita i suoi discepoli al dono totale della loro vita, senza calcolo e tornaconto umano, con una fiducia senza riserve in Dio. I santi accolgono quest'invito esigente, e si mettono con umile docilità alla sequela di Cristo crocifisso e risorto. La loro perfezione, nella logica della fede talora umanamente incomprensibile, consiste nel non mettere più al centro se stessi, ma nello scegliere di andare controcorrente vivendo secondo il Vangelo” (Benedetto XVI, Omelia in occasione delle Canonizzazioni: L’Osservatore Romano, 12-13 ottobre 2009, p. 6). Sull’esempio di tanti discepoli di Cristo, anche voi, cari amici, accogliete con gioia l’invito alla sequela, per vivere intensamente e con frutto in questo mondo. Con il Battesimo, infatti, egli chiama ciascuno a seguirlo con azioni concrete, ad amarlo sopra ogni cosa e a servirlo nei fratelli. Il giovane ricco, purtroppo, non accolse l’invito di Gesù e se ne andò rattristato. Non aveva trovato il coraggio di distaccarsi dai beni materiali per trovare il bene più grande proposto da Gesù. La tristezza del giovane ricco del Vangelo è quella che nasce nel cuore di ciascuno quando non si ha il coraggio di seguire Cristo, di compiere la scelta giusta. Ma non è mai troppo tardi per rispondergli! Gesù non si stanca mai di volgere il suo sguardo di amore e chiamare ad essere suoi discepoli, ma Egli propone ad alcuni una scelta più radicale. In quest'Anno Sacerdotale, vorrei esortare i giovani e i ragazzi ad essere attenti se il Signore invita ad un dono più grande, nella via del Sacerdozio ministeriale, e a rendersi disponibili ad accogliere con generosità ed entusiasmo questo segno di speciale predilezione, intraprendendo con un sacerdote, con il direttore spirituale il necessario cammino di discernimento. Non abbiate paura, poi, cari giovani e care giovani, se il Signore vi chiama alla vita religiosa, monastica, missionaria o di speciale consacrazione: Egli sa donare gioia profonda a chi risponde con coraggio! Invito, inoltre, quanti sentono la vocazione al matrimonio ad accoglierla con fede, impegnandosi a porre basi solide per vivere un amore grande, fedele e aperto al dono della vita, che è ricchezza e grazia per la società e per la Chiesa. 5. ORIENTATI VERSO LA VITA ETERNA “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Questa domanda del giovane del Vangelo appare lontana dalle preoccupazioni di molti giovani contemporanei, poiché, come osservava il mio Predecessore, “non siamo noi la generazione, alla quale il mondo e il progresso temporale riempiono completamente l'orizzonte dell'esistenza?” (Lettera ai giovani, n. 5). Ma la domanda sulla “vita eterna” affiora in particolari momenti dolorosi dell’esistenza, quando subiamo la perdita di una persona vicina o quando viviamo l’esperienza dell’insuccesso. Ma cos’è la “vita eterna” cui si riferisce il giovane ricco? Ce lo illustra Gesù, quando, rivolto ai suoi discepoli, afferma: “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,22). Sono parole che indicano una proposta esaltante di felicità senza fine, della gioia di essere colmati dall'amore divino per sempre. Interrogarsi sul futuro definitivo che attende ciascuno di noi dà senso pieno all’esistenza, poiché orienta il progetto di vita verso orizzonti non limitati e passeggeri, ma ampi e profondi, che portano ad amare il mondo, da Dio stesso tanto amato, a dedicarci al suo sviluppo, ma sempre con la libertà e la gioia che nascono dalla fede e dalla speranza. Sono orizzonti che aiutano a non assolutizzare le realtà terrene, sentendo che Dio ci prepara una prospettiva più grande, e a ripetere con Sant’Agostino: “Desideriamo insieme la patria celeste, sospiriamo verso la patria celeste, sentiamoci pellegrini quaggiù” (Commento al Vangelo di San Giovanni, Omelia 35, 9). Tenendo fisso lo sguardo alla vita eterna, il Beato Pier Giorgio Frassati, morto nel 1925 all'età di 24 anni, diceva: “Voglio vivere e non vivacchiare!” e sulla foto di una scalata, inviata ad un amico, scriveva: “Verso l’alto”, alludendo alla perfezione cristiana, ma anche alla vita eterna. Cari giovani, vi esorto a non dimenticare questa prospettiva nel vostro progetto di vita: siamo chiamati all’eternità. Dio ci ha creati per stare con Lui, per sempre. Essa vi aiuterà a dare un senso pieno alle vostre scelte e a dare qualità alla vostra esistenza. 6. I COMANDAMENTI, VIA DELL'AMORE AUTENTICO Gesù ricorda al giovane ricco i dieci comandamenti, come condizioni necessarie per “avere in eredità la vita eterna”. Essi sono punti di riferimento essenziali per vivere nell’amore, per distinguere chiaramente il bene dal male e costruire un progetto di vita solido e duraturo. Anche a voi, Gesù chiede se conoscete i comandamenti, se vi preoccupate di formare la vostra coscienza secondo la legge divina e se li mettete in pratica. Certo, si tratta di domande controcorrente rispetto alla mentalità attuale, che propone una libertà svincolata da valori, da regole, da norme oggettive e invita a rifiutare ogni limite ai desideri del momento. Ma questo tipo di proposta invece di condurre alla vera libertà, porta l'uomo a diventare schiavo di se stesso, dei suoi desideri immediati, degli idoli come il potere, il denaro, il piacere sfrenato e le seduzioni del mondo, rendendolo incapace di seguire la sua nativa vocazione all'amore. Dio ci dà i comandamenti perché ci vuole educare alla vera libertà, perché vuole costruire con noi un Regno di amore, di giustizia e di pace. Ascoltarli e metterli in pratica non significa alienarsi, ma trovare il cammino della libertà e dell'amore autentici, perché i comandamenti non limitano la felicità, ma indicano come trovarla. Gesù all'inizio del dialogo con il giovane ricco, ricorda che la legge data da Dio è buona, perché “Dio è buono”. 7. ABBIAMO BISOGNO DI VOI Chi vive oggi la condizione giovanile si trova ad affrontare molti problemi derivanti dalla disoccupazione, dalla mancanza di riferimenti ideali certi e di prospettive concrete per il futuro. Talora si può avere l'impressione di essere impotenti di fronte alle crisi e alle derive attuali. Nonostante le difficoltà, non lasciatevi scoraggiare e non rinunciate ai vostri sogni! Coltivate invece nel cuore desideri grandi di fraternità, di giustizia e di pace. Il futuro è nelle mani di chi sa cercare e trovare ragioni forti di vita e di speranza. Se vorrete, il futuro è nelle vostre mani, perché i doni e le ricchezze che il Signore ha rinchiuso nel cuore di ciascuno di voi, plasmati dall’incontro con Cristo, possono recare autentica speranza al mondo! È la fede nel suo amore che, rendendovi forti e generosi, vi darà il coraggio di affrontare con serenità il cammino della vita ed assumere responsabilità familiari e professionali. Impegnatevi a costruire il vostro futuro attraverso percorsi seri di formazione personale e di studio, per servire in maniera competente e generosa il bene comune. Nella mia recente Lettera enciclica sullo sviluppo umano integrale, Caritas in veritate, ho elencato alcune grandi sfide attuali, che sono urgenti ed essenziali per la vita di questo mondo: l'uso delle risorse della terra e il rispetto dell'ecologia, la giusta divisione dei beni e il controllo dei meccanismi finanziari, la solidarietà con i Paesi poveri nell'ambito della famiglia umana, la lotta contro la fame nel mondo, la promozione della dignità del lavoro umano, il servizio alla cultura della vita, la costruzione della pace tra i popoli, il dialogo interreligioso, il buon uso dei mezzi di comunicazione sociale. Sono sfide alle quali siete chiamati a rispondere per costruire un mondo più giusto e fraterno. Sono sfide che chiedono un progetto di vita esigente ed appassionante, nel quale mettere tutta la vostra ricchezza secondo il disegno che Dio ha su ciascuno di voi. Non si tratta di compiere gesti eroici né straordinari, ma di agire mettendo a frutto i propri talenti e le proprie possibilità, impegnandosi a progredire costantemente nella fede e nell'amore. In quest'Anno Sacerdotale, vi invito a conoscere la vita dei santi, in particolare quella dei santi sacerdoti. Vedrete che Dio li ha guidati e che hanno trovato la loro strada giorno dopo giorno, proprio nella fede, nella speranza e nell'amore. Cristo chiama ciascuno di voi a impegnarsi con Lui e ad assumersi le proprie responsabilità per costruire la civiltà dell’amore. Se seguirete la sua Parola, anche la vostra strada si illuminerà e vi condurrà a traguardi alti, che danno gioia e senso pieno alla vita. Che la Vergine Maria, Madre della Chiesa, vi accompagni con la sua protezione. Vi assicuro il mio ricordo nella preghiera e con grande affetto vi benedico.
Fonte: Vatican.va (messaggio per il 28 marzo 2010)
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