BastaBugie n�428 del 18 novembre 2015

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1 E' INIZIATA LA TERZA GUERRA MONDIALE (CHE SPACCHERA' L'EUROPA IN DUE)
L'Islam è già dentro l'Europa e sta per esplodere in tutta la sua potenza: solo il cristianesimo lo può fermare ancora una volta (VIDEO: Belgistan, l'islam in Europa)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radici Cristiane
2 L'ISIS SI E' SEPARATA DA AL-QA'IDA PER MOTIVI STRATEGICI
Il manuale dell'Isis ''Bandiere nere su Roma'' prevede l'attacco alla capitale entro il 2020 (preparato da una strage a Bologna)
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 LA CAUSA DELLE STRAGI DI PARIGI NON E' IL FALLIMENTO DEI SERVIZI DI SICUREZZA, MA L'ISLAM COME RELIGIONE CHE VUOLE DOMINARE IL MONDO CON LA VIOLENZA
Il terrorismo che oggi dilaga nel mondo è figlio della Rivoluzione Francese: cantare la marsigliese vuol dire non capire che era espressione del terrore al pari di quello scatenato dall'Isis
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana
4 COABITARE CON IL BENE E' IL TRIONFO DEL MALE
Clamoroso: a Firenze una scuola rinuncia a una visita a una mostra con opere cristiane per ''venire incontro alla sensibilità delle famiglie non cattoliche'' (VIDEO: la mostra vietata)
Autore: Ernest Hello - Fonte: Blog di Costanza Miriano
5 TRA GLI APOSTOLI SCELTI DA GESU', QUELLO CHE TENEVA LA CASSA ERA GIUDA E RUBAVA I SOLDI
Perché stupirsi se qualche sacerdote, come l'ex abate di Montecassino, si è appropriato di ciò che era della Chiesa e che andava destinato ai poveri?
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Libertà e persona
6 PAUL RYAN, IL CATTOLICO CHE PIACE AL TEA PARTY
Il nuovo presidente della Camera federale degli Stati Uniti è cattolico, anti-casta e contrario all'aborto e allo statalismo: il candidato per cui tifare nella successione a Obama
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 IL GOVERNO INDIANO VARA LE ADOZIONI AI GAY E LE SUORE DI MADRE TERESA CHIUDONO IL SERVIZIO
In una nota dichiarano di non poter rinunciare ai principi non negoziabili: ''I bambini hanno bisogno del padre e della madre''
Autore: Benedetta Frigerio - Fonte: Tempi
8 LA CORTE COSTITUZIONALE ABBATTE L'ULTIMO PALETTO DELLA LEGGE 40
Chi ha certe malattie non ha diritto di nascere e va scartato
Fonte: Berlicche
9 OMELIA I DOMENICA DI AVVENTO - ANNO C (Lc 21,25-36)
I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni
Fonte: Il Settimanale di Padre Pio

1 - E' INIZIATA LA TERZA GUERRA MONDIALE (CHE SPACCHERA' L'EUROPA IN DUE)
L'Islam è già dentro l'Europa e sta per esplodere in tutta la sua potenza: solo il cristianesimo lo può fermare ancora una volta (VIDEO: Belgistan, l'islam in Europa)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radici Cristiane, ottobre 2015 (n. 108)

Papa Francesco, tornando dal suo viaggio in Corea l'8 agosto dello scorso anno, ha affermato che «siamo già entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli».
Guerra mondiale vuol dire guerra estesa a tutto il globo, a cui nessuna nazione, nessun popolo può sottrarsi. Ma si tratta di una guerra spezzettata, frammentata, perché i suoi attori non sono solo gli Stati, le superpotenze, come al tempo della guerra fredda. Allora guerra mondiale significava la minaccia di una guerra nucleare tra gli Stati Uniti e la Russia: una guerra tra due colossi che avrebbe inevitabilmente trascinato con sé le nazioni minori, che gravitavano nell'una o nell'altra zona di influenza. Oggi nessuna delle due superpotenze ha il potere di una volta.
L'Impero sovietico si è sgretolato, ma anche l'Impero americano conosce una fase di crisi. Il declino dell'impero americano è simbolicamente cominciato nel 2001, quando il crollo delle Twin Towers ne ha mostrato la vulnerabilità, ma la crisi è esplosa dopo le guerre dell'Afghanistan e dell'Iraq. Queste guerre sono state guerre sbagliate, soprattutto perché sono state guerre che non sono state vinte e le guerre che non sono vinte, per una potenza dalle pretese imperiali, devono considerarsi guerre perdute.

I CLANDESTINI NON FUGGONO LA GUERRA, MA LA PORTANO IN EUROPA
Ma anche l'Europa ha perduto la sua guerra: quella di Libia nel 2011. Gheddafi è stato abbattuto, la Libia è precipitata nel caos e l'Isis ha raggiunto il suo avamposto a Sirte. Un immenso cratere vulcanico si allarga oggi tra le coste della Libia, la periferia di Aleppo, in Siria, e quella di Baghdad, in Iraq: un cratere vulcanico, le cui eruzioni non sono dovute alle forze cieche della natura, ma ai terribili errori degli Stati Uniti e dell'Unione Europea.
Si tratta di una guerra civile mondiale, perché è una guerra ideologica e religiosa che si combatte in tutto il mondo e di cui solo adesso cominciamo ad avvertire la portata. La prima, anche se non l'unica, espressione di questa guerra è l'Islam. Non dobbiamo pensare all'Islam come a un nemico che minaccia l'Europa solo dall'esterno. L'Islam accerchia l'Europa, ma è già dentro l'Europa. è dentro l'Europa grazie al terrorismo, che non è ancora esploso in tutta la sua potenza, ma anche grazie alle masse di immigrati che la invadono secondo un piano chiaramente prestabilito. I clandestini non fuggono la guerra, ma la portano in Europa.

LE DUE LINEE STRATEGICHE (DURA E MORBIDA) DELL'ISLAM
Fin dagli anni Novanta è chiaro che l'Islam, nella sua marcia di conquista del continente europeo, avanza secondo due linee strategiche. La linea «dura», l'hard-jihad dell'islamismo radicale, vuole arrivare all'egemonia mondiale attraverso gli strumenti della guerra e del terrorismo: la sua espressione più avanzata è stata, per molti anni, il movimento di Bin Laden, Al-Qa'ida.
La linea «morbida», la soft-jihad, del cosiddetto « islam moderato », si esprime soprattutto attraverso gli strumenti dell'immigrazione e della demografia. I Fratelli Musulmani e, in Italia, l'Unione delle comunità e organizzazioni islamiche (UCOII) rappresentano questa strategia di espansione, che opera attraverso il controllo delle moschee, delle scuole coraniche e dei centri della finanza islamica.
Questo attacco all'Occidente attraverso due strategie complementari ha subito, da un anno a questa parte, un'improvvisa accelerazione.
La linea dura dell' hard-jihad ha avuto un salto di qualità nel passaggio da Al-Qa'ida all'Isis, (o, come dicono gli arabi, Daesch). In un anno abbiamo assistito alla nascita e allo sviluppo di uno Stato islamico, il quale ha, per fine dichiarato, la ricostituzione di quel califfato universale che, come ha spiegato la principale specialista dell'Islam, Bat Ye'Or, non è il sogno dei fondamentalisti, ma l'obiettivo di ogni vero musulmano.
Ma il fenomeno di accelerazione caratterizza anche la linea del soft-jihad. L'immigrazione si è trasformata in un'invasione dell'Europa massiccia e apparentemente inarrestabile.
Complessivamente, nel solo mese di luglio, sono arrivati sul suolo europeo 107.500 clandestini, più del triplo rispetto al luglio 2014. Le richieste di asilo raggiungeranno in un anno, nella sola Germania, la cifra di 800 mila. L'impotenza dei governi nazionali europei non rivela incapacità, ma complicità nel piano di islamizzazione dell'Europa.

SPACCARE L'EUROPA IN DUE
L'Isis, lo Stato islamico, ha detto al Meeting di Rimini dell'agosto 2015 padre Douglas Al Bazi, non è una degenerazione, è l'Islam autentico, genuino, come autentico Islam è anche l'Islam politico che sta prendendo il potere mediante gli strumenti democratici. Si tratta di due facce della stessa terrificante medaglia, due strategie complementari della stessa macchina di guerra.
Eurabia è il nome di un progetto che si propone di spaccare l'Europa in due. L'Europa latina e cattolica, comprendente la Spagna, la Francia e l'Italia cadrebbe sotto l'influenza islamica. Il caos economico e sociale potrebbe travolgere queste nazioni e su uno scenario di instabilità il terrorismo si accompagnerà alla ribellione delle muove masse islamiche. Una nuova cortina di ferro dividerebbe l'Europa protestante del Nord, sotto l'influenza tedesca e angloamericana, da quella del Sud, arabizzata e islamizzata. è in questa prospettiva che può leggersi il riferimento sempre più frequente alla conquista di Roma.
«La Libia è la porta per arrivare fino a Roma». è il titolo della nuova campagna del terrore dell'Isis in Libia, che su Twitter ha pubblicato una serie di immagini che mostrano la città eterna in fiamme sovrastata da una mappa della Libia, dove campeggia la bandiera nera del Califfato. Nel messaggio postato sul proprio account Twitter un combattente Isis, Abu Gandal el Barkawi, si appella ai jihadisti ad «andare a Roma, o Romia, passando per la Libia, la porta per Roma». Nel testo Barkawi aggiunge: «Le armi degli ottomani sono state lanciate e hanno accerchiato Roma dopo avere conquistato la Libia a sud dell'Italia» (Ansa.it, 25 agosto 2015).

L'OBIETTIVO FINALE NON È PARIGI O NEW YORK, MA ROMA
Non si tratta di affermazioni isolate. è lo stesso obiettivo annunciato da oltre dieci anni dall'imam Yusuf al Qaradawi, il principale rappresentante dei Fratelli Musulmani che, dopo aver guidato la "primavera araba" egiziana, è stato condannato a morte in contumacia dalla Corte d'Assise del Cairo il 16 giugno 2015.
Qaradawi è il presidente del European Council for Fatwa and Research, con sede a Dublino, punto di riferimento teologico delle organizzazioni islamiche legate ai Fratelli musulmani. Le sue idee, diffuse attraverso il canale satellitare "Al Jazeera", influenzano larga parte dell'Islam contemporaneo. Per i Fratelli Musulmani, come per l'Isis, l'obiettivo finale non è Parigi o New York, ma la città di Roma, centro dell'unica religione che, fin dalla sua nascita, l'Islam vuole annientare.
L'obiettivo è Roma, perché la guerra in corso prima di essere economica, politica, demografica è, come sempre, religiosa e perché da Roma venne la forza morale che nel 1571, a Lepanto, e nel 1683, a Vienna, sbaragliò l'Islam. Il vero nemico non sono gli Stati Uniti o lo Stato di Israele, che non esistevano quando l'Islam arrivò alle porte di Vienna, nel 1683, ma la Chiesa cattolica e la Civiltà cristiana, di cui la religione di Maometto rappresenta una diabolica parodia.
Papa Francesco non è san Pio V, ma Roma continua ad essere il cuore del mondo, il centro del Cristianesimo, la cui forza risiede in Gesù Cristo, che è Colui che ha fondato e continua a guidare la sua Chiesa. Dobbiamo comprendere che cosa significa Roma per l'Islam. Dobbiamo soprattutto comprendere che cosa deve significare Roma per noi. In questa guerra planetaria solo nella forza religiosa e morale di Roma l'Occidente può trovare la via della vittoria.

Nota di BastaBugie: un esempio delle conseguenze denunciate in questo articolo è il Belgio, una delle nazioni europee a più alta percentuale di musulmani. Più il numero dei musulmani aumenta più le libertà dei belgi iniziano a diminuire ed essere attaccate.
Questo percorso non è un caso. Il Corano stesso invita i musulmani ad essere amichevoli (ma non amici) degli infedeli finché i musulmani sono in inferiorità numerica, ma una volta ottenuto il potere devono imporre l'islam ed eliminare qualsiasi forma di miscredenza.
Ecco il clamoroso servizio della CBN sulla situazione in Belgio:


https://www.youtube.com/watch?v=GjNIaIoZKAE

Fonte: Radici Cristiane, ottobre 2015 (n. 108)

2 - L'ISIS SI E' SEPARATA DA AL-QA'IDA PER MOTIVI STRATEGICI
Il manuale dell'Isis ''Bandiere nere su Roma'' prevede l'attacco alla capitale entro il 2020 (preparato da una strage a Bologna)
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 18 novembre 2015

Nella miriade di commenti che hanno seguito la tragedia di Parigi, manca spesso una risposta convincente alla domanda: perché lo hanno fatto? «Perché ci odiano» o «perché hanno un'ideologia di morte» risponde al quesito sul piano psicologico ma non su quello politico e strategico. Anche chi odia e ha un'ideologia criminale sceglie i suoi obiettivi in funzione di una strategia.

STORIA DELLE DIVISIONI ALL'INTERNO DEL TERRORISTA ULTRA-FONDAMENTALISTA ISLAMICO
Per rispondere a questa domanda, è necessaria una brevissima storia delle divisioni all'interno del terrorista ultra-fondamentalista islamico. Nella sua incarnazione moderna, questo nasce nel 1981 con l'attentato al presidente egiziano Sadat. L'attentato è un successo sul piano militare - i terroristi riescono a uccidere un leader protetto da un imponente apparato di sicurezza - ma un fallimento sul piano politico. Non ne segue, come gli attentatori avevano sperato, una rivoluzione islamica in Egitto, ma l'arresto e l'impiccagione dei principali leader fondamentalisti, nella sostanziale indifferenza della popolazione. Dopo il 1981 il fondamentalismo propriamente detto sceglie di puntare al potere attraverso la lenta islamizzazione della società, la richiesta di democrazia e le elezioni. Se ne separa l'ultra-fondamentalismo, guidato in Egitto da Ayman al-Zawahiri, l'attuale leader di al-Qa'ida, che vuole invece continuare sulla via del terrorismo e degli attentati.
Ma anche l'ultra-fondamentalismo ha le sue divisioni. In Palestina Hamas - che è anche un'organizzazione politica, capace di vincere elezioni e governare - continua a organizzare attentati, ma sostiene che l'attenzione dell'intero islam radicale dovrebbe concentrarsi su Israele e sul colpire obiettivi israeliani. Quella contro Israele per Hamas non è una battaglia fra le tante, ma la madre di tutte le battaglie. Per al-Qa'ida, invece, il terrorismo ha successo se sposa una pluralità di cause - dalle rivendicazioni di indipendenza del Kashmir alla lotta dei fondamentalisti algerini contro il governo laico di Algeri - e colpisce in tutto il mondo. Di qui una frattura fra al-Qa'ida e Hamas, che non si è mai ricomposta.
La seconda divisione avviene dopo l'11 settembre 2001 e i successivi attentati di Madrid (2004) e Londra (2005). Anche qui si tratta di successi militari, ma con esiti politici ambigui. Ci sono ormai sufficienti documenti per sapere qual era lo scopo cui secondo bin Laden dovevano servire questi attentati. La sua tesi era che i governi laicisti o «falsamente» musulmani del Medio Oriente stanno in piedi solo perché sostenuti dall'Occidente. Se il burattinaio occidentale taglia i fili, i burattini - cioè i governi del Medio Oriente - cadono rapidamente. Gli attentati dovevano servire a convincere gli occidentali che occuparsi del Medio Oriente non era salutare, spaventando l'opinione pubblica e creando una pressione sui governi che li avrebbe indotti a ritirarsi da ogni intervento nei Paesi arabi.

BIN LADEN E AL-ZARQAWI
Bin Laden aveva studiato a Londra, dove frequentava gli stadi di calcio - era tifoso dell'Arsenal - ma rifiutava sdegnosamente di andare al cinema. Se avesse visto qualche western, avrebbe capito che il calcolo poteva funzionare - e funzionò - per qualche Paese europeo, ma non per gli Stati Uniti. Quando si sentono attaccati, gli Stati Uniti reagiscono. Dopo l'11 settembre reagiscono in modo confuso, commettendo molti errori, ma certamente disarticolano le basi di al-Qa'ida in Afghanistan e, con il prosieguo della presidenza Bush, iniziano a occuparsi del Medio Oriente non di meno, ma di più. Di qui critiche in al-Qa'ida alle strategie di bin Laden, e la nascita di un'opposizione interna.
Le opposizioni a bin Laden trovano un punto di coagulo nella figura di Abu Musab al-Zarqawi, leader di al-Qa'ida in Iraq. Non solo Zarqawi considera di scarsa utilità gli attentati in Occidente, ma accusa bin Laden di accordi sottobanco con l'Iran sciita e la Siria di Assad, che è un alauita (cioè appartiene a un'eresia sciita), dal suo punto di vista inaccettabili perché non considera gli sciiti autentici musulmani. Quando si imbatte in sciiti, Zarqawi li uccide senza pietà. Il conflitto fra Zarqawi e al-Qa'ida è così forte che, quando il primo è ucciso dagli americani nel 2006, sono in molti a pensare che le informazioni su dove trovarlo siano arrivate ai servizi statunitensi - tramite quelli pakistani - dallo stesso bin Laden.
Di qui un risentimento mai sopito fra i partigiani di Zarqawi e al-Qa'ida, che esplode nel febbraio 2014 quando l'ISIS - che riunisce sostanzialmente chi in Iraq e Siria si considera erede di Zarqawi - si separa da al-Qa'ida. L'attuale ISIS e al-Qa'ida avevano però condiviso un percorso comune dal 2011, l'anno della morte di bin Laden, al 2014, nel corso del quale era emersa l'idea dell'opportunità di non limitarsi al terrorismo ma puntare a costituire veri e propri Stati, certo non riconosciuti dalla comunità internazionale, che battessero moneta, riscuotessero tasse, avessero le loro scuole, polizie e ospedali. Solo che al-Qa'ida pensava a piccoli «emirati» leggeri, diffusi a macchia di leopardo nell'intero mondo islamico, dal Mali alla Somalia e dallo Yemen ai territori tribali fra Afghanistan e Pakistan, mentre l'ISIS ha deciso di puntare a un unico grande califfato.
Sia al-Qa'ida sia l'ISIS organizzano anche attentati in Occidente. Talora collaborano, come nel caso di Charlie Hebdo, e del resto i successi dell'ISIS stanno mettendo in forte difficoltà al-Qa'ida. Le informazioni secondo cui una riunificazione fra i due movimenti - ma stavolta con l'ISIS in posizione egemone - è oggi una possibilità concreta probabilmente non sono false. Concettualmente, però, gli scopi sono diversi. Al-Qa'ida pensa ancora di potere destabilizzare con gli attentati i governi occidentali, confondendo e turbando la loro politica estera. È ancora riuscita a colpire negli Stati Uniti, attivando «lupi solitari», in genere militari statunitensi di religione islamica, che hanno aperto il fuoco all'improvviso facendo un certo numero di morti, com'è avvenuto nel 2009 nelle sparatorie di Little Rock e Fort Hood.

L'ISIS PERSEGUE UNA STRATEGIA DIVERSA
Non è nato con lo scopo primario di destabilizzare l'Occidente, ma di costruire un califfato in Oriente e in Africa. Per questo ha bisogno di volontari, che costituiscono il nerbo del suo esercito. Dopo l'episodio di Charlie Hebdo, non solo gli analisti ma le stesse pubblicazioni dell'ISIS hanno messo in chiaro a che cosa servono quel genere di attentati. Sono spot pubblicitari per il reclutamento di nuovi militanti che partano dall'Occidente e vadano a combattere in Siria e in Iraq. E sono spot che funzionano: secondo alcune valutazioni, i combattenti partiti dalla Francia per arruolarsi nell'ISIS sono più di ottocento.
Se questo era vero per Charlie Hebdo, nei mesi passati dall'attacco al giornale satirico francese nel gennaio 2015 ai nuovi attentati di Parigi di novembre 2015 qualche cosa è cambiato. Lo spot pubblicitario per reclutare giovani estremisti disposti a partire per le terre del califfato rimane il primo motivo degli attentati. Ma se ne aggiungono altri due, anche qui chiaramente illustrati nella letteratura dell'ISIS, che tra l'altro è scritta da persone di buona cultura. Lo stesso califfo al-Baghdadi non è un contadino, ma un accademico con uno, o secondo altrui due, dottorati universitari.
Il secondo obiettivo è creare il caos in alcuni Paesi identificati come «a rischio» per l'incapacità della polizia di controllare periferie e banlieues dove non osa neppure avventurarsi e dove ci sono tanti musulmani. Il caos costringerà la polizia a occuparsi d'altro e a non ostacolare il reclutamento dell'ISIS. E in una società in preda al caos il reclutamento diventerà anche più facile. Lo spiega un opuscolo pubblicato nel mese di luglio 2015 dall'ISIS, «Gang musulmane». Il testo studia il fenomeno delle gang criminali in certi quartieri delle grandi città occidentali. Ben lungi dall'opporsi alle gang, sostiene l'ISIS, gli estremisti musulmani devono salutare il fenomeno con favore, infiltrare quelle esistenti e crearne di proprie, «gang musulmane» appunto, mantenendo e aumentando il tasso di violenza e di caos che regna nelle banlieues.
Il terzo obiettivo riguarda l'Italia. L'opuscolo «Gang musulmane» si conclude con un capitolo dal titolo «L'offensiva verso Roma». L'ISIS ricorda che Roma è il centro simbolico dell'Europa e dell'Occidente e che il califfato sarà preso sul serio anche da chi tra i musulmani oggi lo considera un fenomeno marginale o criminale solo quando sarà riuscito a colpire Roma. L'opuscolo rimanda a un libro pubblicato dall'ISIS nel febbraio 2015, «Bandiere nere su Roma». Le obiezioni di chi considera questa letteratura provocatoria e non autentica non sembrano convincenti. Lo stile è quello delle consuete pubblicazioni dell'ISIS.

BANDIERE NERE SU ROMA
«Bandiere nere su Roma» fissa un obiettivo ambizioso, non solo l'attacco terroristico - quella è solo una prima fase - ma la conquista di Roma. Naturalmente perché questo obiettivo, militarmente impossibile, diventi teologicamente realistico occorre rifarsi a detti di Muhammad e a interpretazioni del Corano. Ma c'è anche tanta sociologia e tanta geopolitica: si citano dati sulla diminuzione dei cattolici praticanti in Italia e sul numero di musulmani immigrati, e si spiega come una volta conquistata la Libia e magari anche la Tunisia lanciare missili sull'Italia diventerà concretamente possibile. L'ISIS sa che in Italia non ci sono le banlieues, ma spiega che c'è però un estremismo di sinistra, che può diventare un alleato e ispirare le «terze generazioni» musulmane. Pensa anche che l'Occidente sarà costretto a occuparsi poco dell'ISIS, o perfino a concludere un'alleanza non dichiarata con il radicalismo islamico, perché sarà impegnato in uno scontro con la Russia, che molti governi occidentali considerano il nemico principale.
Come si vede, un'analisi che unisce elementi apocalittici di carattere religioso a considerazioni geopolitiche di una certa raffinatezza. Una prospettiva che non esclude arretramenti o sconfitte in Iraq e Siria, anche se ripete il «teorema bin Laden» secondo cui i governi democratici non possono vincere guerre perché, se i soldati cominciano a morire, chi governa perde le elezioni. È un problema che né al-Qa'ida né l'ISIS evidentemente hanno e che continua a indurre Europa e Stati Uniti a non impegnare in Medio Oriente quelle truppe di terra che sole potrebbero sconfiggere il califfato - i droni e gli aerei non bastano. Ma anche se fosse sconfitto in Iraq e in Siria il califfato ha già un Piano B: si delocalizzerebbe in Africa e aspirerebbe a minacciare l'Europa.
«Bandiere nere su Roma» contiene anche due indicazioni concrete. La prima è che la fase di attacco a Roma dovrà andare dal 2015 al 2020, quando potrebbero essere mature le condizioni per una vera e propria guerra. E la seconda è l'importanza di Bologna come «porta» simbolica verso Roma. L'ISIS non ha dimenticato, anzi ha studiato, la strage di Bologna del 1980 e il suo impatto sull'Italia e attira l'attenzione sulla città emiliana, «le sue strade e le sue ferrovie», come obiettivi. L'ISIS legge poco? Al contrario, legge anche il politologo italiano Gianfranco Pasquino, di cui cita la frase: «Se vuoi creare il caos in Italia lo fai passando da Bologna». Servizi italiani avvisati, mezzi salvati. [...]

Nota di BastaBugie: ecco il link a un articolo di Vittorio Messori (con un clamoroso video) da noi rilanciato all'inizio di quest'anno dopo l'attacco terroristico avvenuto a Parigi il 7 gennaio 2015 contro la sede di un giornale satirico
LA STRATEGIA FALLIMENTARE DEL DIALOGO CON L'ISLAM
Siamo in guerra eppure non vogliamo prenderne coscienza (VIDEO: l'imam di Londra annuncia la conquista di Roma)
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3598

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 18 novembre 2015

3 - LA CAUSA DELLE STRAGI DI PARIGI NON E' IL FALLIMENTO DEI SERVIZI DI SICUREZZA, MA L'ISLAM COME RELIGIONE CHE VUOLE DOMINARE IL MONDO CON LA VIOLENZA
Il terrorismo che oggi dilaga nel mondo è figlio della Rivoluzione Francese: cantare la marsigliese vuol dire non capire che era espressione del terrore al pari di quello scatenato dall'Isis
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana, 18 novembre 2015

Tutti gli analisti hanno messo in luce il fallimento dei servizi di sicurezza in Francia nel tragico 13 novembre. La causa prima di questo fallimento, più che all'inefficienza, risale alla incapacità culturale della classe politica e amministrativa francese, che non riesce a risalire alle cause profonde del terrorismo e ai giusti rimedi per combatterlo.

UNA RELIGIONE POLITICA CHE SI È SEMPRE AFFERMATA CON LA VIOLENZA
Il terrorismo che oggi dilaga nel mondo è figlio della Rivoluzione dell'89 e della lunga serie di rivoluzionari di professione, anarchici, socialisti e comunisti, che tra l'Ottocento e il Novecento praticarono la violenza di massa e realizzarono i primi genocidi della storia dell'umanità. I cosiddetti fondamentalisti hanno innestato l'esperienza del terrorismo europeo sul tronco di un'ideologia intrinsecamente totalitaria qual è l'Islam, una religione politica che si è sempre affermata con la violenza.
Il progetto di inserire l'Islam all'interno dei valori repubblicani può nascere solo dalla mente di chi si rifiuta di comprendere il ruolo della dimensione religiosa nella storia e tutto riduce a conflitti economici o politici. Questa mentalità è all'origine dei clamorosi errori che, nella loro politica mediterranea, hanno accomunato la Francia di Sarkozy e di Hollande agli Stati Uniti di Barack Hussein Obama.
Tra la fine del 2010 e l'inizio del 2011 fu annunciata a gran voce la «primavera araba», nella convinzione che la caduta dei "tiranni", in Egitto, Libia e Siria, avrebbe inaugurato una nuova era di democrazia, di libertà e di sviluppo sociale in Africa e Medio Oriente. Obama, Sarkozy e poi Hollande, erano convinti che si potesse passare in maniera indolore dai regimi dittatoriali alla democrazia e che questa "rivoluzione democratica" avrebbe consegnato agli Stati Uniti e alla Francia le chiavi delle risorse economiche di quei territori. Nel febbraio 2011, la Francia ha iniziato a bombardare la Libia per favorire una "rivoluzione democratica" attuata dai ribelli jihadisti.

IL FALLIMENTO DELL'UTOPIA MULTICULTURALISTA E L'ASCESA DELL'ISLAM RADICALE
Il risultato è stato l'ascesa dell'Islam radicale, la morte di oltre 150mila persone e l'esplosione di sanguinose divisioni tribali nel mondo musulmano. L'anno seguente Hollande ha appoggiato Mohammed Morsi, neo-eletto presidente egiziano legato al movimento dei Fratelli musulmani, ed è stato tra coloro che più si sono dati da fare per scalzare dal potere il presidente siriano Bashar al Assad. Nel 2013 la Francia si è adoperata perché l'Unione Europea togliesse ogni embargo che le impedisse di rifornire di armi, istruttori e sostegno economico i ribelli jihadisti siriani.
Ora si apprende che la strage di Parigi era pianificata in Siria, in quegli stessi ambienti che fino ad un anno fa godevano della fiducia francese. Ma va anche sottolineato che i terroristi sono immigrati di seconda o terza generazione, di nazionalità belga e francese, formatisi in quei ghetti urbani in cui si consuma il fallimento dell'utopia multiculturalista.
A credere in quest'utopia è rimasto Barack Obama che all'indomani della carneficina ha dichiarato che «la divisa "liberté, égalité, fraternité" non evoca solo dei valori francesi, ma dei valori che tutti condividiamo», ma anche, a quanto pare, le autorità del Vaticano, secondo cui «i musulmani possono essere coinvolti nell'Anno santo», perché «nel mondo lacerato dalla violenza, è il momento giusto per lanciare l'offensiva della misericordia».

L'AUTENTICA LUCE DEL VANGELO
La misericordia è una grande virtù cristiana, ma se è emancipata da quelle della giustizia e della fortezza, diviene la versione ecclesiastica della cultura della resa laicista. Questa cultura oggi si esprime nell'accettazione di ogni deviazione culturale e morale, fino a comprendere il satanismo, una anti-religione a cui tanti giovani tributano inconsapevolmente il culto nei concerti rock. E per una simbolica nemesi Kiss the devil è il titolo della canzone che veniva suonata sul palco del Bataclan, quando i terroristi hanno iniziato la loro strage. La cultura della morte, di stampo islamico o relativista, può essere affrontata e vinta solo dall'autentica luce del Vangelo.

Nota di BastaBugie: spesso in questi giorni abbiamo visto cantare ai francesi la marsigliese, l'inno nazionale. Ma esso è fortemente in contrasto con i valori di pace a cui chi lo canta vorrebbe associarlo. A farlo notare è stato Mauro Faverzani nell'articolo del 18 novembre 2015 pubblicato su "Corrispondenza Romana" con il titolo "I morti di Francia non si piangono cantando la Marsigliese".
Eccolo in forma integrale:
I 129 morti e gli oltre 300 feriti di Parigi non han versato sangue per la "Marseillaise". Non c'entra: è un canto stonato in partenza. E, se simbolo è di qualcosa, lo è di quella Rivoluzione e del conseguente periodo definito, non a caso, "Terrore", che non fu poi molto differente dall'orrore provocato dall'Isis. Invocare quelle note è fuori luogo.
Così come fuori luogo, anzi stucchevole è stato sentire il presidente francese Hollande definire l'accaduto come un attentato ai «valori della Repubblica». Quali valori? Quei 129 morti e gli oltre 300 feriti non han versato il loro sangue nemmeno per quel clima soffocante ed oppressivo di laicismo giacobino, imposto in un Paese un tempo figlio prediletto della Cristianità.
Del resto, che cosa si aspettavano in una terra, in cui non solo al Raduno annuale degli islamici di Francia, ma persino nelle scansie dei supermercati è possibile trovare libri che inneggiano all'uso delle armi «per assicurare la supremazia di Allah», nonché alla conquista dell'Europa, come I 40 Hadith, testo che preconizza la morte per gli «apostati» (ergo, per gli islamici, che si convertano a qualsiasi altra confessione), o come La via del musulmano, che predica una jihad esplicitamente «offensiva» e la «pena di morte» per gli «eretici»?
Che cosa si aspettavano in una terra in cui il 50% della carne bovina, il 40% di quella di pollo ed il 95% di quella d'agnello viene macellato col metodo halal ovvero «conforme» alla sharia, alla legge islamica, come denunciato dal volume Bon appetit!, scritto dalla giornalista Anne de Loisy ed uscito nel febbraio scorso? Che cosa si aspettavano in una terra in cui si consente di costituirsi in partito e presentarsi alle elezioni a chi venga a dettar legge in casa altrui, promuovendo l'imposizione del velo, l'istituzione di feste nazionali islamiche, la lingua araba e la revisione dei libri di testo nelle scuole francesi, come nel caso dell'Udmf ovvero Unione dei democratici musulmani di Francia e del Pej ovvero Partito di uguaglianza e giustizia? Che cosa si aspettavano in una terra in cui nelle carceri i detenuti non islamici vengono costretti sotto minaccia da quelli musulmani a rispettare il Ramadan, contando sul silenzio terrorizzato degli agenti di Polizia Penitenziaria, come denunciato nel luglio dell'anno scorso dal settimanale Minute? Chi semina vento, abdicando al proprio dovere di governare una Nazione e lasciandola anzi islamizzare da altri, indisturbati ed impuniti, non può poi pretendere di non raccogliere tempesta.
Chi ha buona memoria ricorderà senz'altro il video diffuso soltanto nel marzo scorso su social e internet, prodotto dall'Alhayat Media Center, l'azienda incaricata della propaganda jihadista. Le parole del canto proposto erano chiare, chiarissime. Si diceva: «Dobbiamo sconfiggere la Francia, dobbiamo umiliarla! Vogliamo vedere la sofferenza e morti a migliaia. La battaglia è iniziata. La vendetta sarà terribile. I nostri soldati sono rabbiosi. La vostra fine sarà orribile. L'islam prevarrà, risponderà con la spada. Chi vorrà opporsi, non conoscerà più la pace. Siamo venuti per dominare ed i nostri nemici periranno. Li elimineremo e lasceremo i loro corpi imputridire».
Allora, forse, quelle parole parvero a qualcuno un semplice spot e furono accolte con una certa indifferenza. C'era già stato l'attacco a Charlie Hebdo, si riteneva che la Francia, il proprio tributo di sangue, l'avesse già pagato. Non era così. Le minacce, i terroristi islamici, non le lanciano mai a caso. In un'intervista, che verrà pubblicata sul prossimo numero del mensile Radici Cristiane, quello di dicembre, presto nelle case degli abbonati, l'antropologa Ida Magli è molto chiara: non crede che l'Occidente possa mai vedere scatenarsi l'inferno, il «giorno J» della jihad, ma per un solo, semplice motivo: perché «l'Occidente si sta ammazzando da solo», grazie anche all'azione di governanti che, avendo giurato fedeltà al proprio Paese ma agendo contro i suoi interessi, «sono spergiuri impegnati ad ucciderci».
Si è sentito anche in questi giorni un gran parlare di islam "moderato", dimenticando però come il presidente turco Recep Tayyip Erdogan - ritenuto, non a caso e nonostante tutto, da molti, in Occidente, un leader pure "moderato" - abbia esplicitamente dichiarato, nel corso di un'intervista concessa nell'agosto del 2007 a Kanal D Tv: «L'espressione "islam moderato" è turpe ed offensiva. Non c'è alcun islam moderato. L'islam è islam».
Allora, non è cantando la Marseillaise o invocando insussistenti «valori» del laicismo giacobino di Stato, che si piangono davvero quei morti. Versiamo pure lacrime. Ma sono inutili, finché non si aprano gli occhi. Finché cioè, come ha detto l'abbé Guy Pagès, esperto di islam, non la si smetta di considerare «l'islam una religione come un'altra», poiché, così facendo, «spalanchiamo le nostre porte alla guerra di conquista che Allah prescrive a qualsiasi musulmano: "E combatteteli finché la religione non sia interamente per Allah solo" (Corano, 2.193)». Diversamente, piangere non serve.

Fonte: Corrispondenza Romana, 18 novembre 2015

4 - COABITARE CON IL BENE E' IL TRIONFO DEL MALE
Clamoroso: a Firenze una scuola rinuncia a una visita a una mostra con opere cristiane per ''venire incontro alla sensibilità delle famiglie non cattoliche'' (VIDEO: la mostra vietata)
Autore: Ernest Hello - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 16/11/2015

"Lo spirito del male dice: 'Riposati. Che farai nella mischia? Altri combatteranno abbastanza. Tu che sei savio, non iscomodare le tue abitudini. Il male, continua il diavolo, è sempre esistito ed esisterà sempre nelle stesse proporzioni. I pazzi che vogliono combatterlo non guadagnano nulla e perdono il loro riposo. Tu che sei savio, dà ad ogni cosa la sua parte e non dichiarare a niente la guerra. È impossibile illuminare gli uomini. Perché dunque tentarlo? Fa pace con le opinioni che non sono tue. Non sono esse tutte ugualmente legittime?'.
Così parla il demonio; e l'uomo separato dalla verità, perché ha paura di lei, che è l'Atto puro, l'uomo, insensibilmente e a sua insaputa, si unisce all'errore […] discende a poco a poco, durante il suo sonno, in quell'indifferenza glaciale, placida e tollerante, che non s'indigna di niente, perché non ama niente, e che si crede dolce perché è morta.
E il demonio vedendo quest'uomo immobile, gli dice: 'Tu gusti il riposo del savio'; vedendolo neutro tra la verità e l'errore, gli dice: 'Tu li domini entrambi'; vedendolo inattivo, gli dice: 'Tu non fai del male'; vedendolo senza risorsa, senza vita, senza reazione contro la menzogna e il male […], gli dice 'Io t'ho ispirato una filosofia savia, una dolce tolleranza, tu hai trovato la calma nella carità', perché il demonio pronunzia spesso le parole di tolleranza e di carità.
L'uomo vivo, l'uomo attivo che ama e che è unito all'unità, afferra il rapporto delle cose, e unisce fra loro le verità.
L'uomo morto ha perduto il senso dell'unità. Non unisce più verità fra di loro: non concilia più, per la contemplazione dell'armonia, le cose che devono esser conciliate, le cose vere, buone e belle.
Ma in cambio, compone una parodia satanica dell'unità; cerca di amare insieme il vero e il falso, il bene e il male, il bello e il brutto; non sempre si adira, almeno in apparenza, se si affermano i dogmi, ma preferisce che si neghino.
Non avendo voluto unire ciò che è unito, credere a tutta la verità, conciliare quel che è conciliabile, cerca di unire ciò che è necessariamente ed eternamente contraddittorio, di credere insieme alla verità e all'errore, di conciliare il Sì e il No; non avendo voluto amare Dio tutto intiero, cerca di amare Dio e il diavolo: ma è l'ultimo che preferisce".
"Che si direbbe d'un medico il quale, per carità, avesse riguardi verso la malattia del suo cliente? Immaginate questo tenero personaggio. Direbbe al malato: Dopo tutto, amico mio, bisogna essere caritatevole. Il cancro che vi corrode è forse in buona fede. Suvvia, siate gentile, fate con lui un po' d'amicizia; non bisogna essere intrattabili; fate la parte del suo carattere. In questo cancro, esiste forse una bestia; essa si nutre della vostra carne e del vostro sangue, avreste il coraggio di rifiutarle quanto le occorre? La povera bestia morirebbe di fame. Del resto, io sono condotto a credere che il cancro è in buona fede e adempio presso di voi ad una missione di carità.
È il delitto del secolo quello di non odiare il male, e di fargli delle preposizioni. Non vi ha che una proposizione da fargli, è di scomparire. Ogni accomodamento concluso con lui somiglia neppure al suo trionfo parziale, ma al suo trionfo completo, perché il male non sempre domanda di scacciare il bene, domanda il permesso di coabitare con lui. Un istinto segreto lo avverte che domandando qualche cosa, domanda tutto. Appena non è più odiato, si sente adorato".
(Autore: Ernest Hello, 1828 - 1885, nell'opera L'homme del 1872)

Nota di BastaBugie: se non si combatte il male, si finisce per rinnegare il bene. Esempio paradigmatico è il fatto di cronaca avvenuto qualche giorno fa a Firenze. La Crocifissione bianca di Chagall, il quadro preferito da Papa Francesco, non potrà essere visitato dagli alunni della terza elementare della scuola Matteotti. E così neanche la Pietà di Van Gogh, la Crocifissione di Guttuso, l'Angelus di Millet e le altre cento opere della mostra Divina Bellezza. Il motivo? "Per venire incontro alla sensibilità delle famiglie non cattoliche visto il tema religioso della mostra", dice la scuola. Una follia.
Ecco il racconto nell'articolo di Alfredo Mantovano pubblicato su La nuova Bussola Quotidiana il 13-11-2015 con il titolo "Vietati Chagall e Van Gogh perché turbano i "non cattolici".
Ecco l'articolo completo:
Lo si può anche liquidare come sublime esempio di stupidità, spinto fino al disprezzo del ridicolo. Però è successo, e non è una novità nel suo genere. Ai bambini della terza elementare della scuola Matteotti di Firenze viene impedito, nel giro programmato alla città, di visitare le opere della mostra Divina Bellezza allestita nel capoluogo toscano: fra esse, la Crocifissione bianca di Chagall, ammirato da Papa Francesco qualche giorno fa a margine del convegno ecclesiale, la Pietà di Van Gogh, la Crocifissione di Guttuso, l'Angelus di Millet e numerose altre opere. Per quale ragione? É spiegato nel verbale del consiglio interclasse, che si è tenuto lo scorso 9 novembre (riportato da QN-La Nazione): «la visita è stata annullata», così è stato messo per iscritto, «per tutte le terze per venire incontro alla sensibilità delle famiglie non cattoliche visto il tema religioso della mostra»; la mostra ha infatti come filo conduttore il rapporto tra arte e sacro.
Quando accade un fatto del genere, più che ripetersi «signora mia, a che punto siamo giunti», è lecito chiedersi perché si è giunti a questo. Perché, cioè, anche in Italia il rispetto della libertà religiosa, che è qualcosa in sé positivo, viene declinato, e da tempo, nei termini dell'abolizione di ogni simbolo che richiami la confessione religiosa, e perché questo accada soprattutto quando la confessione è quella cristiana. In nome della laicità, i Crocifissi nei luoghi pubblici sono diventati merce rara, in tante scuole il ricordo del Natale è sostituito dalle feste più improbabili e più disancorate dalla realtà, e l'abitudine di segnarsi prima di cena o prima di prendere un volo viene guardato con un misto di sospetto e di commiserazione.
Perché? Ci sono almeno due ragioni. La prima chiama in causa ciascuno di noi, in quanto italiani; la seconda la fascia di coloro che si riconoscono cristiani. Sfugge in modo sempre più diffuso che il cristianesimo è indissolubilmente correlato alla nostra storia, al nostro modo di pensare, alla nostra vita "laica" quotidiana; al punto che se l'opzione della scuola Matteotti di Firenze fosse portata alle sue logiche conseguenze la vita diventerebbe veramente complicata. Per restare alla patria di Dante, gli scuolabus dovrebbero rigorosamente evitare i percorsi che incrociano chiese, o lambire solo gli edifici sacri realizzati più di recente: somigliando più a fabbriche o a discoteche, non generano turbamento; un automezzo che transiti davanti a Santa Maria Novella rischia seriamente di collidere non con altri veicoli, ma con la «sensibilità delle famiglie non cattoliche».
A scuola si dovrebbe rifiutare l'iscrizione degli alunni il cui nome richiama con maggiore evidenza figure cardine della nostra fede: Maria, Giuseppe, Francesco, financo Matteo; la semplice pronuncia in classe di quei nomi durante l'appello, col richiamo al motivo per cui sono stati scelti, è causa di sicuro turbamento. Perché poi far coincidere il giorno di riposo a scuola con la domenica, il cui stesso nome costituisce "reato", richiamando quel Dominus che non si vuole in alcun modo nobiscum? Che dire poi della toponomastica? Via, il prima possibile, i nomi delle strade dedicati ai Santi o che richiamino simboli religiosi… Per concludere che se una persona vuole mostrarsi veramente di buon senso, anche se non crede, non può immaginare che siano cancellati duemila anni di una storia al cui interno - piaccia o non piaccia - la fede ha avuto un ruolo centrale.
Per il cristiano la riflessione è ancora più rapida: quanto c'è di nostra inerzia e indifferenza nel mancato rispetto dei simboli della nostra confessione? La prima volta - ormai molti anni fa - in cui in una scuola elementare la recita della Nascita di Gesù è stata sostituita dalla rappresentazione di Cappuccetto rosso abbiamo pensato che fosse una stranezza, ma comunque qualcosa cui non conferire tanto peso. Ogni qual volta abbiamo visto immagini sacre dileggiate e oltraggiate in manifestazioni pubbliche siamo stati propensi a rubricarle come folklore. L'abitudine a non considerare il patrimonio delle nostra religione come un tesoro prezioso, da tutelare - è il minimo sindacale -, da valorizzare e da rilanciare, come fa a Firenze la mostra Divina Bellezza e come ci esorta a fare il Magistero dei Pontefici, un bel giorno concorre a generare il divieto rivolto ai bambini a stupirsi di fronte allo splendore dell'arte, e dell'arte fondata sulla fede.
Non è sufficiente meravigliarsi della stupidità laicista e gridare allo scandalo; per cominciare, per non restare nel generico e per rimanere al caso dal quale si è partiti, perché non organizzare una visita alla mostra di Firenze per gli sfortunati bambini delle terze classi della scuola Matteotti e per i rispettivi genitori?



https://www.youtube.com/watch?v=YspqC2_PuUk

Fonte: Blog di Costanza Miriano, 16/11/2015

5 - TRA GLI APOSTOLI SCELTI DA GESU', QUELLO CHE TENEVA LA CASSA ERA GIUDA E RUBAVA I SOLDI
Perché stupirsi se qualche sacerdote, come l'ex abate di Montecassino, si è appropriato di ciò che era della Chiesa e che andava destinato ai poveri?
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Libertà e persona, 13/11/2015

Tenere la cassa non è mai facile. Giuda Iscariota teneva la cassa dei 12 apostoli. E' stato il cardinal Giacomo Biffi, se non erro, a ricordare più volte che Gesù e gli apostoli avevano una cassa. Perché il denaro serve, è utile, può fare del gran bene; ma è anche una grande tentazione.
La giornalista Elisa Calessi ha scritto argutamente su facebook: Stavo pensando a Giuda. Certo che Gesù Cristo poteva ben farlo un rinnovamento come si deve. Almeno tra i suoi. Dico, erano solo 12. Un po' di pulizia, un po' di trasparenza. Come poteva non accorgersi di avere un ladro in casa? Non era Dio?
Se ne desume: che la cassa può servire a cose buone e a cose cattive; che i cristiani non sono immuni dalla tentazione e dal peccato; che la soluzione non è l'eliminazione della tentazione. La Chiesa avrà sempre i suoi beni, perché ha a cuore i poveri, e perché non professa il pauperismo, che anzi considera da sempre un'eresia. Con quei soldi ha costruito nei secoli, chiese, scuole, ospedali, ospizi... Da quei soldi qualcuno si è fatto e si farà sempre ammaliare. Che sia laico o pastore.
Scandalizzarsi di tutto ciò è nel contempo giusto, ed ipocrita: "giusto", se chi lo fa è il primo a combattere in sé la tentazione del potere, del primeggiare, dell'apparire (il suo scandalo sarà così temprato dalla sua conoscenza dell'animo umano, e della sua fragilità); ipocrita se chi lo fa non ha altro scopo che denigrare, per i peccati di alcuni, la fede di molti, o per affermare una sua presunta superiorità morale, o, infine, per negare la possibilità stessa di un sano distacco dai beni materiali.
In generale credo che l'indignazione davanti a certi pessimi esempi e certi spettacoli indecorosi di uomini di Chiesa non debba portare alla disperazione: gli alberi di pere, dice un amico prete, producono pere; gli uomini, fanno peccati.
I sacerdoti poi, sono alberi particolari: si radicano interamente in Cristo, rinunciando a moglie, figli, beni propri... una scelta di immensa generosità e grandezza, che produce spesso frutti meravigliosi.
Però accade anche che, quando la tensione, la preghiera, la vita interiore calano, si risvegli l'uomo concupiscente, l'uomo vecchio, e la brama di potere e di denaro diventi forte come lo è negli uomini che non hanno nessuno da servire e da amare.
Come lo è in certi single (di nome o di fatto, anche in senso lato e metaforico) che pongono ogni loro soddisfazione nella carriera, nel successo...
Dio e gli affetti veri sono le uniche ricchezze che ci possono tenere lontani dalla brama dei beni effimeri.
Per questo la riforma della Chiesa non passa, anzitutto, dalle riforme economiche (che pure possono essere giuste e necessarie), ma da ben altro.

Nota di BastaBugie: gli ipocriti del nostro tempo si sono buttati a capofitto sulla notizia che l'ex abate di Montecassino, Pietro Vittorelli, è stato indagato per aver usato in modo indebito 500mila euro che appartenevano alla Curia.
Ecco il racconto dell'accaduto, che mostra l'incoerenza di chi critica i prelati indegni, nell'articolo di Tommaso Scandroglio pubblicato su La nuova Bussola Quotidiana il 17-11-2015 con il titolo "Il monsignore gay e l'ex abate: la doppia morale".
Ecco l'articolo completo:
Il gossip ecclesiale gode di ottima salute in queste settimane. Cospirazioni sinodali, il caso di monsignor Chamarsa, Vatileaks hanno sfilato di recente sul red carpet di tutti i principali media mondiali. Da ultimo la sete di scandali di giornali e Tv ha trovato appagamento nella notizia che l'ex abate di Montecassino, Pietro Vittorelli, è stato indagato per aver usato in modo indebito 500mila euro, soldi che appartenevano alla Curia. Vittorelli vantava plurime aderenze con esponenti del mondo della politica non proprio immacolati dal punto massmediatico e non solo.
Ricordiamo Piero Marrazzo, ex governatore della Regione Lazio, il quale si era rifugiato a Montecassino per sfuggire al polverone mediatico-giudiziario scatenatosi per le sue frequentazioni con transessuali, e Angelo Balducci, già presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, arrestato nel febbraio 2010 nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per le Grandi opere. Dopo l'esperienza monastica don Pietro scoprì la politica. Lo troviamo, infatti, in abiti borghesi nell'ottobre del 2014 ad un convegno organizzato nella sede italiana del Parlamento europeo a Roma, accanto al consigliere regionale del Lazio Mario Abbruzzese e ad Antonio Tajani, primo vicepresidente del Parlamento europeo. Il viso di dom Pietro era però conosciuto anche nell'ambiente gay, dove si presentava con il nome di Marco Venturi. Si vocifera di festini e orge in una casetta sulla Casilina, di pratiche erotiche estreme, di viaggi e cene sontuose, di pernottamenti in hotel pentastellati (a volte le ricevute erano a 4 zeri), nonché di uso di droghe, a cui Vittorelli non avrebbe rinunciato nemmeno dopo un ictus che lo avrebbe lasciato malconcio su una sedia a rotelle.
Tutte licenze che il Vittorelli-Venturi si concedeva distraendo fondi dell'ordine, destinati - ripetono i media - ai poveri. Insomma l'ex abate è la sintesi perfetta dell'incarnazione del male per la vulgata corrente: un religioso che ruba ai poveri, si dà a pratiche omosessuali, vive sfarzosamente, fa uso di droghe, è amico di politici e uomini danarosi (tra i molti, Lapo Elkan) su cui girano molte voci poco lusinghiere ed è pure indagato. Eppure, ci vien da dire, il giudizio sulle condotte oggettivamente riprovevoli di dom Pietro è un tantino ipocrita. Si rabbrividisce di fronte ai suoi festini a luci rosse. Ma la libertà sessuale secondo i cliché correnti non dovrebbe essere concessa a tutti, religiosi compresi? Per la cultura laica se Dio non esiste così come i suoi precetti sulla castità, perché vietare godimenti venerei ai sacerdoti? Nei giornali patinati in allegato ai quotidiani è tutto un florilegio del sesso libero da tabù, di triangoli amorosi, di scappatelle e orgette con effetto catartico sulla psiche e la vita di coppia. Perché negarlo anche a chi ormai è un ex prete?
Si grida "Vergogna!" perché dom Pietro frequentava bei maschioni. Eppure quei giornali che sbattono in prima pagina le vicende di Vittorelli sono gli stessi che berciano in continuazione sulla normalità di ogni orientamento sessuale. E che dire poi della presunta tossicodipendenza dell'ex abate? Il governo e molti esponenti politici è da tempo che spingono per una liberalizzazione dei trip a base di droghe.
In breve, il caso Vittorelli mette in luce che ci sono vizi e vizi, peccati cattolici e peccati laici. Prendiamo ad esempio la vicenda del "collega" Chamarsa. Questi dai media è stato trattato bene, anzi benissimo, spesso elogiato per quel suo ormai famigerato outing. Perché Chamarsa aveva rispettato alcune regole auree del politicamente corretto: non era stato scoperto con le mani nella marmellata, ma era stato lui per primo ad aprire il vaso di Pandora; appariva come vittima di una Chiesa conservatrice e retriva e pioniere del nuovo che avanza in campo dottrinale, non aveva mai rubato (peggior peccato mortale in questa nuova chiesa dei pauperisti) e la sua relazione omosessuale non aveva il baricentro sulla voglia di trasgressione, bensì sull' "affetto". Insomma nel salotto del mondo che conta si presenta bene Chamarsa, con l'abito buono.
Il raffronto tra Vittorelli e Chamarsa è allora illuminante. A ben vedere non importa di quali nefandezze si macchia un prelato, ma è questione di stile. Importa il come, non il cosa. In altri termini non esiste una dose minima di peccato ad uso personale che non suscita riprovazione sociale. Dose, superata la quale, scatta la censura e la lacerazione di vesti. Tu uomo in talare puoi comportarti come i tuoi omologhi laici in fatto di sesso e sballo, l'importante è rispettare le regole del gioco dettate dalla vulgata corrente. Rivendica per te il piacere erotico in ogni sua declinazione come sana espressione della tua personalità e scamperai alla censura. Non farti scoprire nel godere di ogni bassezza edonistica, ma vendila come conquista sociale e rivendicala come gesto di libertà. Vivi pure di istinti, ma vestili con i panni nobili dei diritti civili. Si badi bene. Non è stata questa una difesa di Vittorelli, ma solo prurito per l'incoerenza di giudizio.

Fonte: Libertà e persona, 13/11/2015

6 - PAUL RYAN, IL CATTOLICO CHE PIACE AL TEA PARTY
Il nuovo presidente della Camera federale degli Stati Uniti è cattolico, anti-casta e contrario all'aborto e allo statalismo: il candidato per cui tifare nella successione a Obama
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08/11/2015

La successione al presidente dimissionario della Camera federale di Washington John Boehner, è compiuta. A sostituirlo, dal 29 ottobre, è Paul Ryan, giovane, aitante, di ottime prospettive, capace persino (e non è facilissimo) di far scordare certe magre come l'essere stato il candidato alla vicepresidenza di Mitt Romney nel 2012 e di avere con lui fallito.
Deputato del Wisconsin dal 1998 e sempre con margini superiori al 60% dei voti, il vero salto di qualità Ryan lo ha spiccato alla presidenza della Commissione Bilancio della Camera dal 2011 al 2015, quando non ha solo fatto le pulci ai conti della macchina governativa, ma ha pure proposto quei funzionali piani alternativi di riduzione delle tasse e di contenimento della spesa pubblica che ne hanno fatto un beniamino del movimento dei "Tea Party". Conservatore con le carte in regola a ogni voce di programma (dalla politica interna ai princìpi non negoziabili), Ryan è così divenuto il simbolo vivente della sfida ai vecchi arnesi di partito, vale a dire cioè che con una formula usurata ma sempre efficace viene chiamato "establishment".

SCONFITTO L'ESTABLISHMENT PIÙ DISPONIBILE AL COMPROMESSO
Ora, nel personale di quell'establishment i "Tea Party" avevano da tempo iscritto anche Boehner che proprio per questo, al termine di un lungo braccio di ferro, ha lasciato. Che al suo posto sia arrivato Ryan significa che l'establishment ha perso e che l'ala più barricadera ha vinto. Il candidato più naturale per la successione a Bohner era infatti il deputato della California Kevin McCarthy, buon conservatore pure lui. McCarthy era il favorito un po' perché leader della maggioranza Repubblicana alla Camera, un po' perché in sintonia con lo stesso Boehner, ma gli oltranzisti che hanno avuto ragione di Boehner sono riusciti a bloccare pure lui assicurandosi uno dei posti chiave dell'architettura istituzionale degli Stati Uniti. Sconfitto è insomma l'establishment più disponibile al compromesso con l'Amministrazione Democratica; meglio: quello che l'ala dei Repubblicani facente riferimento ai "Tea Party" percepisce come l'establishment più disponibile al compromesso se non addirittura all'inciucio. Le due cose, infatti, sono molto diverse.

IL TEA PARTY TORNA ALLA GRANDE
Delle molte considerazioni possibili, la prima ha la veste di una notizia. Questa: il mondo dei "Tea Party", ultimamente dato (dai media) per disperso, è tornato, e in verità non se n'è mai andato. È attivo, è forte, e forse lo è più di prima. Certamente più di prima riesce a incidere nel profondo del Partito Repubblicano (dove ha fondato una vera e propria colonia) e, per suo tramite, nelle istituzioni del Paese. All'arco ha ancora molte frecce, temibili in un anno di elezioni quale sarà il 2016.
La seconda considerazione è che con l'avvento di Ryan alla presidenza della Camera il baricentro politico del Partito Repubblicano, in costante spostamento a destra da decenni, ma in fortissima accelerata negli anni della presidenza di George W. Bush (2000-2008) e di Barack Obama (dal 2008), si è mosso ancora più a destra.
La terza è che questo spostamento a destra non avviene affatto ai danni della "Sinistra" interna ai Repubblicani per il semplice fatto che la "Sinistra" interna non c'è più. Storicamente, il cosiddetto establishment ha incarnato l'ala liberal del partito, per lungo tempo maggioritaria, e per questo avversata dai conservatori. Ma proprio perché il baricentro del partito sta da anni puntando a destra, lo spazio politico dei liberal si è assottigliato fino di fatto a scomparire. Il risultato è che quello che viene chiamato establishment oggi non è più la Sinistra liberal interna, ma una Destra diversa da quella movimentista aggregata ai "Tea Party".

UN IMPORTANTE BANCO DI PROVA
Quarta considerazione: con l'uscita di scena di Boehner (e di McCarthy), l'establishment (oramai di destra, benché di una Destra diversa da quelle dei "Tea Party") di fatto evapora lasciando il posto a un "monocolore" movimentista. Fine dello scontro? Forse no. Come dimostrano queste vicende, in casa Repubblicana il termine establishment ha perso i connotati ideologici finendo per significare soltanto politica di governo (dei quadri Repubblicani). Ma se così è, una volta eletto alla presidenza della Camera (politica di governo dei quadri Repubblicani) l'anti-establishment Ryan è già automaticamente il simbolo dell'establishment (nuovo). Vale a dire: o i "Tea Party" sono la nuova "casta" Repubblicana, oppure il vecchio gergo politico è oramai afono. Potrebbero sembrare solo oziose questioni di filologia, se non persino di vacuo nominalismo, ma non lo sono affatto. La presidenza Ryan è infatti il vero banco di prova (qualcuno direbbe le forche caudine) dei "Tea Party", chiamati finalmente a essere il nuovo "sistema" del Partito Repubblicano, con tutto ciò che questo comporta, oppure destinati a non sbocciare mai in un'autentica cultura di governo. Visto che prestissimo dovranno accompagnare la selezione del candidato presidenziale che sfiderà lo sfascismo dei Democratici, e auspicabilmente governare il Paese più importante del mondo, è ora che facciano mente locale. Il poscritto non secondario è che entrambe le Destre del Partito Repubblicano, "casta" e "movimento", hanno espresso figure istituzionali (Boehner e Ryan) di grande serietà e di sicura fede, cattolica.

Nota di BastaBugie: ecco l'articolo che pubblicammo al tempo della campagna elettorale del 2012 per il presidente degli Stati Uniti. All'epoca Paul Ryan era il candidato vicepresidente. Ecco il link all'articolo che contiene anche un video (in inglese) di un discorso di Paol Ryan.
ELEZIONI USA: PAUL RYAN E' IL VERO ASSO NELLA MANICA DI MITT ROMNEY (GRAZIE ANCHE AI VESCOVI AMERICANI CHE SPERANO NON SIA RIELETTO OBAMA)
No all'aborto, no al matrimonio omosessuale, sì alla sussidiarietà: ecco il video del candidato cattolico con idee chiare sui principi non negoziabili che in Europa possiamo solo sognare
di Marco Respinti
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2437

REPUBBLICANI CONTRO L'ABORTO
Nella politica americana è quasi completamente assente la disciplina di partito. Tra tutti c'è però un solo tema su cui candidati repubblicani convergono: la sacralità della vita e la lotta all'aborto. Matteo Borghi ci descrive la situazioni delle primarie del partito repubblicano nel bell'articolo su La nuova Bussola Quotidiana il 02-11-2015 dal titolo "Repubblicani uniti contro aborto e Planned Parenthood".
Ecco l'articolo completo:
Se c'è una cosa che nella politica italiana è canonizzata, mentre in quella degli Stati Uniti è quasi completamente assente, è la disciplina di partito. In concreto in America è molto difficile vedere politici intenti a ripetere a macchinetta alle tesi precostituite dei rispettivi vertici di partito. Lo si vede, benissimo, nel dibattito pre-primarie del Partito Repubblicano i cui candidati, invece di limitarsi a dire le stesse cose in modo diverso, fanno di tutto per smarcarsi per attirare l'attenzione dei futuri elettori.
Dei grandi temi che stanno dominando la battaglia elettorale nessun ha la stessa opinione di un altro: in materia economica ci sono - da una parte - falchi come Rand Paul e Marco Rubio, che vorrebbero ridurre lo stato al minimo, e dall'altra i più moderati come Jeb Bush, solo vagamente definibile liberista. Non solo. Anche tra un Rubio e un Paul ci sono vistose differenze: basti pensare che Paul propone una flat tax del 14,5% per tutti, mentre nel suo programma Rubio mantiene la progressività fiscale con tre aliquote dal 15 al 35% sulla base degli introiti individuali o familiari. Lo stesso si dica per la politica estera, dove i candidati hanno opinioni diverse sul ruolo degli Stati Uniti nelle crisi internazionali: se Bush, in coerenza con la politica del fratello George W., è a tutti gli effetti un 'falco', Rand Paul, benché più moderato del padre Ron (convinto che gli Usa non debbano intervenire da nessuna parte), non è convinto che gli Stati Uniti debbano mantenere il ruolo di "poliziotto internazionale". E c'è infine il caso di Donald Trump, che va avanti nel totale disinteresse di qualsiasi tema che non sia legato doppio filo all'immigrazione (che fino a un paio di mesi fa era l'unica issue sul suo sito elettorale, oggi affiancata da tasse e secondo emendamento.
Tra tutti c'è però un tema su cui candidati convergono con piccole differenze: la sacralità della vita e la lotta all'aborto. Rubio la difende strenuamente da cattolico osservante, Carly Fiorina da madre di una ragazza morta per droga, Ted Cruz da conservatore a tutto tondo e Rand Paul da credente convinto del diritto alla vita anche da un punto di vista libertario (nessuno può disporre della vita di un feto che è a tutti gli effetti un essere umano). Jeb Bush ha rivendicato di essere il governatore che ha fatto di più per la lotta all'aborto, mentre il neurochirurgo afroamericano Ben Carson - ad oggi favorito dai sondaggi - ha chiarito che a suo giudizio l'aborto è inammissibile anche in caso di stupro, mentre «se ne può discutere» solo nei rari casi in cui la gravidanza comporti un rischio per la vita della madre. Perfino Trump, che da ex liberal fino a qualche anno fa si dichiarava pro-choice, si è da tempo convertito alle posizioni pro-life: vuoi per un cambiamento ideale ed etico, come sostiene lui, vuoi per convenienza politica, come dicono i detrattori, è significativo che attualmente ogni candidato abbia grosso modo le stesse posizioni sul tema in questione.
Anzi, tutti e dieci (non abbiamo citato i minori come Christe, Huckabee e Kasich) si stanno scagliando contro Planned Parenthood, che sta diventando così la battaglia etica più rilevante della campagna elettorale. Di cosa si tratta? Formalmente Pp è una fondazione indipendente che si occupa di "pianificazione familiare". In concreto è un'agenzia finanziata in gran parte dal governo per promuovere aborti e controllo delle nascite. Per capire più nel dettaglio i finanziamenti e le attività della no-profit più discussa d'America basta guardare il rapporto ufficiale 2013-2014 disponibile online.
Emerge che Pp ha come sponsor proprio il governo degli Stati Uniti che, coi suoi 528 milioni di dollari l'anno pari al 41% del bilancio, è di gran lunga il maggior finanziatore. I sostenitori della no profit sostengono che gli aborti occupino solo una piccola parte delle attività di Planned Parenthood (330mila su 10,6 milioni di interventi, pari al 3%) ma non è così: fra le attività di "contraccezione" ad esempio si fa rientrare la distribuzione di ben 1 milione 440mila «kit di contraccezione di emergenza» che, su richiesta, possono essere recapitati anche a casa. Si tratta delle cosiddette pillole del giorno dopo o dei cinque giorni dopo che, tecnicamente, provocano dei veri e propri aborti incidendo su un feto già in formazione.
Di fatto Planned Parenthood non porta avanti solo una generica difesa dei diritti delle donne ma un programma politico e ideologico ben preciso: «Oggi», scrivono le due presidentesse Alexis McGill Johnson e Cecile Richards nell'introduzione all'Annual report, ««stiamo sperimentando un'esplosione di impegno sociale nella nuova generazione, fra attivisti, pazienti e medici. Queste persone rifiutano di sentirsi in imbarazzo e stigmatizzati per le proprie scelte sessuali, di controllo delle nascite e di aborto». Procedure che oggi «grazie a Planned Parenthood e l'Affordable Care Act (Obamacare ndr), più di 48 milioni di donne possono ricevere senza pagare».
Una forte vicinanza ideologica e politica al governo Obama permette a Pp di ricevere moltissimi fondi nonostante i moltissimi scandali. Molti, come si può immaginare in una fondazione in cui circolano cifre a otto zeri, per corruzione e appropriazione indebita. I più significativi sono forse quelli che emergono da un breve documentario verità realizzato da LiveAction, che attraverso alcuni suoi associati ha messo in luce alcuni aspetti terrificanti delle pratiche di Pp. Alcune ragazzine di 13 anni hanno chiesto consulto per abortire un feto dopo un rapporto non protetto con un trentenne, ottenendo rassicurazioni dalle addette al servizio («non mi interessa», «non ho sentito l'età», «non devi dire niente»). In un caso un'addetta ha solo notare che la legge dell'Indiana non consente l'aborto delle minorenni senza il consenso dei genitori per cui in teoria la ragazza dovrà dichiarare l'età del suo partner. Ma la soluzione è arrivata subito dopo: basta scrivere che si tratta di violenza sessuale e che la ragazza non sa l'età del suo violentatore e l'aborto si può praticare senza alcun problema.
Ma la parte più orrenda è quella in cui un finto donatore chiede che i suoi soldi vengano indirizzati esclusivamente per gli aborti di donne afroamericane. «Ho difficoltà», dice testualmente, «con l'Azione Positiva (programma che promuove l'inserimento con quote lavorative riservate per i neri ndr) e non voglio che i miei figli siano svantaggiati rispetto ai neri […]. Penso che meno bambini neri ci sono la fuori e meglio sia». Una direttrice dell'Idaho gli risponde: «Assolutamente, è fantastico». La battaglia contro Planned Parenthood è insomma un classico esempio in cui la lotta agli sprechi si affianca a un'istanza etica di primo piano. In casi come questi non si possono che dire due parole: forza Repubblicani.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08/11/2015

7 - IL GOVERNO INDIANO VARA LE ADOZIONI AI GAY E LE SUORE DI MADRE TERESA CHIUDONO IL SERVIZIO
In una nota dichiarano di non poter rinunciare ai principi non negoziabili: ''I bambini hanno bisogno del padre e della madre''
Autore: Benedetta Frigerio - Fonte: Tempi, 14/10/2015

Su questo punto le suore di madre Teresa non sono disposte a dialogare con il governo indiano, e così hanno deciso di chiudere i 18 servizi di adozione attivi presso i loro numerosi orfanotrofi piuttosto che vedere i bambini assegnati a genitori single o divorziati. La notizia circolata in India in questi giorni ha fatto il giro del mondo. Le Missionarie della Carità, che dedicano la vita al soccorso dei "più poveri fra i poveri", come li definiva la fondatrice madre Teresa, il 10 ottobre hanno motivato pubblicamente la loro decisione conseguente alle nuove linee guida introdotte dal ministero federale per le donne e la promozione dell'infanzia: «Siamo grate a Dio che ci ha permesso di servirlo in questo modo per tanti anni. È chiaro però che la volontà di Dio è che questo lavoro abbia fine», si legge nel comunicato.

LA REAZIONE DEL MINISTRO
Le missionarie hanno cominciato in agosto a chiudere le agenzie abilitate all'interno delle loro strutture per l'infanzia, subito dopo il varo della riforma del governo volta ad «aumentare l'accessibilità delle adozioni» prevedendone la possibilità anche al di fuori del matrimonio. Appresa la decisione delle religiose, il ministro Maneka Gandhi le ha accusate di seguire «ragioni ideologiche», aggiungendo che il loro rifiuto di seguire le regole avrebbe costretto l'esecutivo «a revocare l'autorizzazione a gestire i centri», perché «non vogliono adeguarsi a un'agenda laica». Siccome, però, le suore da anni suppliscono alle mancanze del governo di New Delhi prendendosi in carico di migliaia di bambini, il ministro in seguito ha ammorbidito i toni: «Stiamo cercando di persuaderle che sono brave persone (i single e i divorziati, ndr)». La risposta delle missionarie è arrivata appunto con la nota di sabato, firmata della portavoce della congregazione, Sunita Kumar: «È stato due mesi fa abbiamo deciso di sospendere tutto il nostro lavoro di adozione in India. Abbiamo rinunciato volontariamente allo status legale per condurre i centri di adozione. Se avessimo proseguito il lavoro cominciato da Madre Teresa, rispettare tutte le disposizioni sarebbe stato difficile per noi».

LA REGOLA UMANA
Anche suor Amala, direttrice del Nirmala Shishu Bhawans, una delle case per bambini gestite dalle Missionarie della Carità, ha spiegato alla stampa indiana le ragioni del gesto clamoroso: «Abbiamo già chiuso i nostri servizi per l'adozione perché pensiamo che così i nostri bambini potrebbero non ricevere amore». Secondo la suora «le nuove linee guida sono in conflitto con la nostra coscienza. Sicuramente non possono essere rivolte a persone credenti come noi, forse sono per le persone non religiose come ha detto il ministro. Ma noi siamo preoccupate per i bambini e per il loro futuro. Che succede se una persona single a cui diamo un nostro bambino risulta essere gay o lesbica? Che sicurezza e che tipo di educazione morale avranno questi bambini? Le nostre regole permettono solo alle coppie sposate di adottare». E non si tratta di una regola religiosa, ha poi precisato suor Amala, «ma è una regola umana. I bambini hanno bisogno di entrambi i genitori, maschio e femmina. Questo è solo un fatto naturale, non è così?».
Nel comunicato stampa si legge ancora che il lavoro delle Missionarie della Carità «è aiutare i bisognosi e gli afflitti. Da quando è stato avviato 65 anni fa da Madre Teresa, abbiamo servito i più poveri tra i poveri, a titolo gratuito, senza distinzioni di casta, credo e religione. I nostri centri di adozione hanno trovato una casa a migliaia di bambini. Confidiamo che Dio si prenderà cura di tutti i bambini che hanno bisogno di amore da parte dei genitori. Noi continueremo a servire con tutto il cuore e gratuitamente ragazze madri, bambini malnutriti e disabili».

Fonte: Tempi, 14/10/2015

8 - LA CORTE COSTITUZIONALE ABBATTE L'ULTIMO PALETTO DELLA LEGGE 40
Chi ha certe malattie non ha diritto di nascere e va scartato
Fonte Berlicche, 11/11/2015

Cari giudici, che dire? Ce l'avete fatta.
Vi siete costruiti, passo passo, sentenza dopo sentenza, la strada per poter dire che è legittimo poter selezionare gli embrioni. Avete demolita una legge votata dal Parlamento e che è scampata ad un referendum con tutti contro, a parte la ragione. Adesso avete stabilito che, in nome del desiderio, degli embrioni siano condannati all'oblio perpetuo nel freddo. Avete sancito, messo nero su bianco, che ci sono degli uomini di serie A, degli uomini di serie B. Che chi ha certe malattie non ha diritto di nascere ma può essere scartato. Messo da parte. Per il suo stesso bene, è chiaro. Per l'esigenza di tutelare la sua dignità. Ipocriti.
La disuguaglianza, che si credeva bandita. L'eugenetica, incubo di ere passate. La pretesa vestita da diritto, vista troppe volte. Chi vi sostiene forse crede siano novità, ma hanno l'odore di antiche rupi, di remote caverne.
Ce l'avete fatta. A portare alla logica conseguenza il fatto che sia lecito uccidere un figlio, seppure non nato; conseguenza dell'amare il proprio desiderio più della vita. Altrui.
Non avete ancora finito, è chiaro. Volete tutto: volete che sia legale creare un bambino (non chiamatelo figlio!) come volete, decidendo cosa mettervi dentro, giocando ad esser dio. Magari pretendendo che sia per il suo stesso bene. Non manca molto. Alcune sentenze, e poco più. Già vi muovete.
Vi do una notizia: non siete Dio. Non sapete che cosa state contribuendo a creare. Non ne avete idea, probabilmente. Certamente.
Giocate ad esser Dio, ma in fondo è roba vecchia, che altri hanno giocato molto prima di voi. Ma era un inganno, non ve l'hanno detto? Non avete la stoffa di Dio. Siete ominicchi.
Verrete selezionati. I vostri figli, i vostri nipoti, e trovati mancanti. Scartati. Inadatti. Imperfetti.
Sognate di esser Dio, ma non vi accorgete che siete tra gli uomini. Dall'altra parte della sbarra. Anche voi.
Sarete trovati indegni. Lasciati fuori, tra gli inutili. Non sentite già un po' di freddo?

Nota di BastaBugie: la nuova sentenza della Corte Costituzionale sulla legge 40 del 2004 ritiene lecita la selezione degli embrioni per evitare la trasmissione di malattie genetiche. Viene così riconosciuta lecita l'eugenetica in Italia. Giacomo Rocchi descrive cosa è successo nell'articolo pubblicato su La nuova Bussola Quotidiana il 12-11-2015 dal titolo "Se la Consulta riconosce il diritto all'eugenetica".
Eccone un estratto significativo:
Il Tribunale penale di Napoli, che stava giudicando due professionisti della fecondazione in vitro, accusati di avere selezionato, tra gli embrioni prodotti in soprannumero, quelli affetti da malattie genetiche e di averli soppressi, ha sospettato che la legge sia incostituzionale nel porre due divieti assoluti: di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e di soppressione degli embrioni prodotti. Secondo il Tribunale, entrambe le condotte dovrebbero essere permesse ai danni degli embrioni malati, alla luce del diritto della donna a rifiutarne il trasferimento nel proprio corpo, avendo ella in ogni caso il diritto di abortirli.
Come si vede, si tratta della concretizzazione giuridica della "cultura dello scarto" di cui ha spesso parlato Papa Francesco: se gli embrioni sono malati possiamo rifiutarli e, siccome non servono a niente, è meglio ucciderli.
I criteri indicati per sollevare il dubbio di costituzionalità sono ben conosciuti: il diritto alla salute della donna - che è ormai una parola vuota, che corrisponde al riconoscimento della sua totale autodeterminazione - e l'Europa: viene così richiamata la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che aveva, appunto, affermato il diritto delle coppie di procedere alla diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni prodotti e di rifiutare quelli malati.
La Corte Costituzionale ha risposto in maniera affermativa alla questione della selezione, dichiarando l'illegittimità costituzionale della legge «nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l'impianto nell'utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili».
La decisione viene presentata come inevitabile conseguenza di quella di pochi mesi fa che aveva eliminato il divieto di accesso alle tecniche di fecondazione artificiale per le coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili: la Corte osserva, infatti, che l'accesso di queste coppie alle tecniche presuppone l'esecuzione della diagnosi genetica e la selezione, perché esse non servono più a superare la sterilità, ma a conseguire gravidanze di bambini non malati. Quindi, dice la Corte, ciò che è diventato lecito per effetto di quella pronuncia «non può dunque - per il principio di non contraddizione - essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante».
In realtà quella piccola breccia aperta per gli aspiranti genitori consapevoli di essere portatori di malattie genetiche si è rapidamente trasformata nel crollo dell'intera diga: ora -in forza della nuova pronuncia della Corte Costituzionale - la diagnosi genetica preimpianto e la selezione degli embrioni è espressamente consentita per tutte le coppie. La Corte finge di credere che ciò avverrà al solo scopo di evitare il trasferimento degli embrioni malati, ma, di fatto, viene espressamente autorizzata la prassi usata dagli "specialisti" della fecondazione in vitro: produzione di quanti più embrioni possibili, diagnosi genetica su tutti gli embrioni prodotti, selezione discrezionale di alcuni di essi dipendente dalle finalità che la coppia o i tecnici si prefiggevano.
Si deve sottolineare che questa pronuncia contiene un elemento davvero sorprendente - ma anche terribile - di chiarezza: la Corte, infatti, ha autorizzato (sia pure in qualche caso) la selezione eugenetica degli embrioni! Sì: questa parola terribile - eugenetica - che richiama pratiche orribili contro la vita e la dignità dell'uomo e tempi oscuri è stata "sdoganata"; sì, la Corte Suprema di una nazione civile ha statuito che, in certi casi, la selezione a scopo eugenetico è permessa.
Nonostante l'enormità di questo evento giuridico, non possiamo stupirci: sappiamo benissimo, infatti, che la produzione artificiale dell'uomo è inevitabilmente eugenetica, perché l'embrione è un "prodotto" (la legge 40 parla di "produzione degli embrioni") realizzato su richiesta da clienti paganti, che lo vogliono perfetto.
Possiamo consolarci osservando che ora, almeno, ogni velo sulla natura di queste pratiche è caduto; nessuno può dire di non sapere; nessuno - soprattutto se afferma di far parte di un mondo che difende la vita e respinge la cultura dello scarto - può continuare a sporcarsi le mani (e a guadagnare denaro) con pratiche così abiette.

Fonte: Berlicche, 11/11/2015

9 - OMELIA I DOMENICA DI AVVENTO - ANNO C (Lc 21,25-36)
I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni
Fonte Il Settimanale di Padre Pio, (omelia per il 29 novembre 2015)

È iniziato l'Avvento, ovvero il Tempo che ci prepara a festeggiare il Natale del Signore. In questo Tempo la Chiesa ci invita a riflettere sulla venuta del Signore. Vi è stata una prima venuta del Figlio di Dio sulla terra, a Betlemme. Questa prima venuta si è verificata nel silenzio e nel nascondimento: il Figlio di Dio è sceso su questa terra prendendo carne nel grembo della Vergine Maria. La Sacra Scrittura paragona questa discesa a quella della rugiada che irrora la terra, oppure a un germoglio che spunta da un ramo. Questa prima venuta è avvenuta nella povertà e nell'umiltà per insegnare a noi la via da percorrere se vogliamo raggiungere il Cielo.
Vi è poi una seconda venuta che ci sarà alla fine dei tempi. Quest'ultima venuta sarà contraddistinta dalla gloria e dalla maestà: il Figlio di Dio verrà per giudicare il mondo intero e vi sarà la definitiva vittoria del bene sul male.
Di queste due venute parlano le letture di oggi. La prima lettura si riferisce alla prima venuta. Il profeta Geremia, infatti, afferma: «In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra» (Ger 33,15). Della seconda venuta ci parla il Vangelo: «Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria» (Lc 21,27). Per prepararci a questa venuta, il Vangelo ci esorta a pregare con perseveranza: «Vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21,36).
Nessuno sa quando Gesù verrà nella gloria. Una cosa sola è certa: quel giorno verrà all'improvviso, quando meno ce lo aspetteremo. Il Signore dice: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso» (Lc 21,34). Ogni giorno dobbiamo essere pronti per l'incontro con Dio. Del resto, quando verrà la nostra ultima ora, quella per noi sarà la fine e dovremo rendere conto a Dio della nostra vita. Poco importa sapere quando verrà la fine del mondo! I vizi e i peccati appesantiscono il nostro cuore e ci impediscono di pensare al Cielo.
Per prepararci all'incontro con Gesù, san Paolo, nella seconda lettura di oggi, ci esorta a comportarci rettamente, ricercando la nostra santificazione e l'amore fraterno. Egli, infatti, così scrive ai Tessalonicesi: «Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell'amore fra di voi e verso tutti [...] per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità» (1Ts 3,12-13).
Se faremo così anche noi, non avremo nulla da temere da quel giorno che verrà all'improvviso. Sarà un giorno di gioia per tutti quelli che amano il Signore, e un giorno di condanna per tutti quelli che moriranno in peccato mortale. Pertanto, la Chiesa ci esorta a confessarci spesso e a confessarci bene, sinceramente, con vivo pentimento e sincero proposito di non peccare più.
Il modo migliore per vivere il Tempo dell'Avvento è quello di riordinare la nostra coscienza con un buon esame di coscienza, con una buona Confessione e con una preghiera più generosa.
Un proposito molto bello potrebbe essere quello di leggere e meditare quotidianamente le letture della Messa. Da questa meditazione scaturiranno certamente dei propositi di miglioramento. Un altro proposito ci viene indicato dalla Colletta, ovvero dalla preghiera iniziale della Messa. Con quella preghiera abbiamo chiesto a Dio di suscitare in noi la volontà di andare incontro a Gesù con le buone opere. Il campo delle opere buone è sconfinato. L'Avvento sarà il tempo propizio per individuare cosa potremo fare concretamente.
Riassumendo, possiamo dire che la preghiera e le opere buone devono essere il nostro proposito: allora il Natale che si sta avvicinando sarà il più bello della nostra vita, e Gesù tornerà a nascere nel nostro cuore.

Fonte: Il Settimanale di Padre Pio, (omelia per il 29 novembre 2015)

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