BastaBugie n�467 del 17 agosto 2016

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1 ESTATE ITALIANA: APOLOGIA DEL SILENZIO
Come si fa a scegliere il baccano, questo finto divertimento, indotto e fasullo, che fa perdere tutta la bellezza che in qualunque angolo d'Italia abbiamo a portata di occhi e di cuore?
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
2 L'IMMIGRATO HA SEMPRE RAGIONE
Un clamoroso video spiega perché l'Italia non espelle gli immigrati clandestini
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 LE CLASSI DIVISE IN MASCHI E FEMMINE HANNO MIGLIORI RISULTATI
La scienza lo conferma: bisogna valorizzare il bambino rispettando le sue specifiche caratteristiche, tra cui c'è l'essere maschio o femmina
Fonte: Faes Milano
4 EOWYN, LA SCELTA DEL VALORE SENZA RINOMANZA
Nel Signore degli Anelli la Dama di Rohan sopporta con eroica fortezza delusioni, amarezze e responsabilità non volute
Autore: Isacco Tacconi - Fonte: Radio Spada
5 IL PAPA, GLI EBREI E... IL PARADOSSO FRANCESE
Lo Stato Pontificio è il solo in tutta Europa dove gli ebrei non sono mai stati espulsi (mentre in Francia...)
Autore: Vittorio Messori - Fonte: Il Timone
6 ALL THAT REMAINS, IL FILM SUL SANTO SOPRAVVISSUTO ALLA BOMBA ATOMICA SU NAGASAKI
Takasashi Nagai discendeva da una famiglia di nobili samurai e nel 1934 si convertì al cattolicesimo
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 LA CHIESA PUO' CONDANNARE COME ERETICO UN DOCUMENTO DI UN CONCILIO ECUMENICO? E' GIA' SUCCESSO NEL 1439
Un decreto del Concilio di Costanza conteneva la teoria del conciliarismo, cioè la supremazia del concilio sul Romano Pontefice, e per questo fu dichiarato eretico
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana
8 RIMEDIARE ALLE DISASTROSE CONSEGUENZE DELL'ABORTO
Per chi ha abortito il percorso di guarigione inizia col dare il nome al figlio che vive in cielo, poi c'è bisogno di ascolto, dialogo, tenerezza, preghiera e del perdono di Dio
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
9 OMELIA XXI DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 13,22-30)
Sforzatevi di entrare per la porta stretta
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - ESTATE ITALIANA: APOLOGIA DEL SILENZIO
Come si fa a scegliere il baccano, questo finto divertimento, indotto e fasullo, che fa perdere tutta la bellezza che in qualunque angolo d'Italia abbiamo a portata di occhi e di cuore?
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 4 agosto 2016

"Il silenzio è la cosa più straordinaria che esista in natura. Lo si può interpretare in chiave filosofica e artistica, ma alla fine è costituito semplicemente dall'assenza di rompicoglioni nelle vicinanze".
Forse questo pensiero - tratto da un libro di Marco Presta - è un po' da misantropi, ma coloro che rompono (il silenzio) sono "più numerosi delle stelle del cielo", specie in estate.
Perché questa è la stagione in cui i nemici giurati della quiete mettono fuori le loro esuberanti testoline dalle tane e si organizzano, si scatenano, si motorizzano, si associano, si esibiscono a far gazzarra in ogni dove e nelle modalità le più diverse e sguaiate.
Del resto la cagnara di codesti individui nella stagione estiva viene assai amplificata dalla necessità di tutti - dovuta al caldo - di tenere le finestre di casa aperte e di stare prevalentemente fuori.
Così la forzata socializzazione espone a una babele di rumori molesti. Allora si scopre che non c'è solo l'abitudine maleducata (del vicino o del pub sotto casa) di tenere a tutta valvola radio, stereo e tv o quella - generale - di starnazzare a voce alta (per la via, nelle piazze, al bar, al ristorante, al telefonino, in treno, in spiaggia) affinché gli altri siano costretti a subire le rumorose ciarle altrui (anche di notte): forse ognuno di noi lo ha fatto qualche volta, ma per alcuni è una necessità, è il modo abituale di segnalare al mondo la propria esistenza.

ESTATE ITALIANA
Il fatto è che d'estate, in ogni paese o città o borgo abbondano sagre, feste, fiere, concerti, manifestazioni ed eventi: tutte belle e felici occasioni d'incontro, ma dove di solito veniamo rincitrulliti da amplificatori sfonda timpani.
Non si sa perché e come è invalso l'uso di avvolgere tutti i ludi e le kermesse nel casino, con un superamento dei decibel insopportabile all'essere umano e ad ogni altra specie vivente.
C'è chi si diverte così e, sia chiaro, è liberissimo di rintronarsi se lo si vuole. Ma in questo caso si dovrebbe allestire l'assordante baraonda in un ambiente chiuso e sigillato come una discoteca. Un club per masochisti.
Invece tali chiassosi svaghi, con eventi culturali, mangerecci o baccanali, sono pressoché tutti all'aperto e nessuno ha mai spiegato perché i promotori - oltre a fracassare l'apparato uditivo delle folle che liberamente partecipano e subiscono - rompano anche quello (e quelli) altrui.
Cioè di innocenti ed estranei cittadini che - perfino a distanze considerevoli - sono costretti a sopportare fin dentro casa musiche sgradevoli e voci assordanti di "animatori" che, pur rivolgendosi a persone vicine, rimbombano in potentissimi amplificatori. Viene da chiedersi: ma se sono tutti lì, perché devono parlarsi gridando in microfoni e casse?
Può capitare - in qualche occasione - verso l'una di notte, di recarsi in qualcuno di quei luoghi all'aperto, che da ore inondano il paese o il quartiere di suoni, per verificare la causa e la durata di tanta buriana, e trovare magari solo due o tre coppie residue di poveracci o romanticoni che ballano in una pista.
Cosicché cinque o sei ostinati nottambuli - grazie a leggi dissennate - a notte fonda tengono in ostaggio un paese o un quartiere intero, impossibilitato a dormire, suscitando nelle tante "vittime" (ri)sentimenti vivaci.
Qualcuno si trova a dover reprimere, dentro di sé, il desiderio di prenderli a secchiate d'acqua. Altri - più numerosi - inveiranno dentro e fuori di sé contro i sindaci che - per la nota politica demagogica "panem et circenses" - hanno accordato loro il diritto di rompere i cocomeri a tutto un paese fino all'1,30.

LA CAUSA
Quello che, in ogni caso, resta sconosciuta, è la ragione di tale gazzarra. Ce n'è veramente bisogno?
L'Italia è piena di paesi, città e campagne letteralmente mozzafiato, con scorci, paesaggi e cieli stellati struggenti.
Si vorrebbe comprendere quale demone interiore spinge individui e masse a fuggire questo fantastico spettacolo, apparecchiato e accompagnato dal silenzio della natura (la musica più sublime), per farsi rintronare dai rumori.
Da cosa devono fuggire? Da se stessi? Dalla bellezza delle cose? Da un vuoto che - dentro le loro anime e le loro menti - li spaventa fino alla vertigine? Dalla solitudine?
Ci sono luoghi incantevoli dove ho personalmente dovuto constatare l'incredibile presenza di villaggi turistici che a qualsiasi ora - all'aperto - ammorbano l'aria e la vita con chiassosi "intrattenimenti" più fastidiosi (anche per i vicini) del traffico di città nell'ora di punta.
Viene da chiedere: fratello turista (anche teutonico), tu che, magari, fai tutto l'anno una vita di guano, e ti sudi lo stipendio e paghi le tasse, subendo tanti rompiballe di città, nel mezzo al cemento e al traffico, ebbene tu poi spendi una cifra per venire a vivere una settimana in questo paradiso terrestre e, invece di goderti, per qualche giorno, lo spettacolo più bello che esista, creato per te dall'Artista supremo (e cioè lo spettacolo del mare, del sole, del vento, del cielo stellato, con i mirabili suoni della natura che ti avvolgono e ti fanno sentire finalmente "una fibra dell'universo", una creatura), tu paghi per darti in ostaggio ad attività chiassose e vacue che ti immergono nello stesso marasma da cui sei fuggito?
Sei proprio sicuro di desiderare tutto l'anno questo insulso baccano, questo finto divertimento, indotto, congestionato e fasullo, che ti fa perdere tutta la bellezza che qui avresti a portata di occhi e di cuore?

RIMINI, CATEGORIA DELLO SPIRITO
Io non ho nulla - sia chiaro - contro turisti siffatti, ma - dico - c'è Rimini, vadano lì ché come divertimentificio è perfetto e pure a basso costo. Capisco e apprezzo i riminesi. Dovendo vendere un prodotto non eccelso (dal punto di vista naturalistico), si sono genialmente inventati un parco giochi marino, lungo chilometri di spiaggia, per i forzati del divertimento. Ci può stare. I romagnoli sono i migliori in questa industria.
Ma l'idea di riprodurre piccole e maldestre Rimini in località incantevoli, dove il mare e la natura sono favolose è come avere una cena pagata alla migliore enoteca e chiedere al cameriere uno di quei vinelli nelle confezioni di cartone da 50 centesimi al litro; o come recarsi all'Oktoberfest portandosi da casa un birrino; o come andare a sentire un concerto di Riccardo Muti tenendosi sulle orecchie le cuffie con le canzoni dei Righeira.
Se ti trovi in un luogo così bello perché non lo gusti e impedisci pure agli altri di gustarne?
Il silenzio della natura non è il vuoto. E' l'esatto contrario perché ti fa sentire i suoni gentili dell'universo, l'infinita epopea del mare, la voce del vento, il canto degli uccelli e gli odori della campagna, della montagna o del Mediterraneo. Sono aromi e suoni fantastici.
E' singolare e scandaloso che i comuni - dove dilaga spesso la mania ecologista per la qualità dell'aria, dell'acqua, dei cibi - siano invece così indifferenti alla barbarie dell'inquinamento acustico.
Anzi, che siano loro stessi, di solito, ad autorizzare e perfino a provocare tale inquinamento.
Qualche piccola isola di resistenza all'invadenza del casino c'è. Di recente - ad esempio - una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che "l'attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone" non deve essere necessariamente documentata tramite perizia o consulenza tecnica (un iter difficile e costoso), ma bastano le testimonianze.
Forse dei modi ci sono, allora, per fermare o impedire gli abusi sui nostri timpani. Così a poco a poco si potrebbe anche imparare a rispettare il diritto al silenzio degli altri.
Ma decisiva sarà solo un'educazione, vera, profonda, a godere della musica del creato e al rispetto della sensibilità altrui.
Un'educazione che insegni a gustare il bello. Una seminagione di sensibilità e di intelligenza. Che sono però merce rara come il silenzio.

Fonte: Libero, 4 agosto 2016

2 - L'IMMIGRATO HA SEMPRE RAGIONE
Un clamoroso video spiega perché l'Italia non espelle gli immigrati clandestini
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 19 e 25 luglio 2016

Ahimè, chi ci libererà dai cattomunisti? Pretendono di comandare sempre e comunque, sennò fanno sfracelli. Uno potrebbe dire: vabbè, se ci tengono tanto, si accomodino. Il guaio è che non sanno farlo. Non sono autorevoli, solo prepotenti. Di economia non capiscono un'acca, la loro ricetta è una sola: tasse.
L'unica cosa che sanno fare bene è la propaganda politica, infatti sono abilissimi a occupare tutti i media. Poi, neutralizzano gli oppositori a colpi di slogan: fascista, razzista, omofobo, populista. Argomenti zero (perché non ne hanno), insulti e linciaggi i loro metodi. Piazzati nei posti, anche di lavoro, quelli della loro fazione, gli altri capiscono l'antifona, ed è per questo che non c'è mai elezione che li schiodi. I catto? In realtà sono i progressisti, che con gli stessi sistemi (e la medesima ideologia), pur essendo in minoranza, comandano. Hanno tutte le cattedre, anche quelle apicali, nonché l'arma della parola, anche domenicale, a cui i fedeli sono abituati a obbedir tacendo per rispetto e/o timor reverentialis.
Così, la copertura propagandistica è totale. I disastri? Essendo costoro giacobini d'animo, ragionano così: tanto peggio per i fatti. Come diceva un pezzo grosso del Comitato di Salute Pubblica, «faremo della Francia un cimitero pur di rigenerarla a modo nostro». Questa premessa filosofica potrà sembrare ridondante rispetto al fatto che andiamo a commentare. Ma è solo un'anticipazione del commento, e il fatto è solo un minimo ma flagrantissimo esempio.

PRIMO FATTO: IL CONTROLLORE CHE TRATTA MALE UN IMMIGRATO
Ed ecco il fatto: il linciaggio mediatico del controllore della metropolitana milanese che ha trattato in malo modo l'immigrato nero che aveva saltato i tornelli per non pagare il biglietto. Ora, nessun prete ricorda a tutti che anche gli immigrati extracomunitari, essendo esseri umani, hanno il Peccato Originale. Infatti, essi subiscono salassi economici, umiliazioni, botte, sevizie, trattamenti inumani, stupri e perfino la morte in certi casi per mano dei trafficanti e dei loro scafisti. E zitti tutto sopportano. Poi, arrivati in Italia, i disperati, i poveracci, gli infelici, i tapini, gli sfruttati eccetera ci mettono un fiat a capire come funzionano da noi le cose e adeguarsi (leggi: approfittarne): rivolte, centri d'accoglienza distrutti, cibo rifiutato. E trasporti gratis.
Chi scrive ha visto di persona tram milanesi con vecchiette italiane paganti in piedi e giovanottoni neri gratuitamente stravaccati sui sedili. Un controllore - uno - ha fatto il suo lavoro e ha aggiunto una ramanzina affinché il portoghese nero ci pensi due volte la prossima volta. Sì, è vero, gli epiteti usati non erano dei più urbani, ma mettiamoci nei panni di un lavoratore in continua tensione, dato quel che succede nel mondo (e anche nei trasporti sub milanesi: abbiamo dimenticato il macchinista amputato a colpi di machete per motivi analoghi?). E l'esasperazione per una battaglia quotidiana e senza fine dove la mettiamo? E perché, insomma, tutta la comprensione psicologica deve andare al trasgressore e non a chi ha fatto il suo dovere?
Va bene, il ladro potrà invocare l'eccesso di legittima difesa, però il catto-com-pensiero sta sempre e comunque dalla parte del ladro, questo è il punto, perché «è colpa della società» (il catto-com-pensiero, infatti, sembra evangelico ma è marxista). Ed eccoli tutti, preti in testa, a stracciarsi le vesti, tanto che l'azienda Atm ha dovuto scusarsi, avviare indagine interna, richiamare l'incauto. Il quale, ne siamo certi, d'ora in poi si aggiungerà a quei suoi colleghi che fanno finta di non vedere.
Ciò a Milano aggiungerà un voto alla Lega? Niente paura: ci pensano i c.d. centri sociali a far passare a chiunque la voglia di fare il razzista e il populista. Voi direte a questo punto: il popolo, alle prossime elezioni, farà vendetta. Sbagliato. Non avete letto bene il commento nella prima parte. Rileggetelo attentamente. Capirete perché i milanesi hanno votato di nuovo un sindaco fotocopia.

SECONDO FATTO: L'ACCOGLIENZA IMMIGRATI E' IL NUOVO ITALIAN BUSINESS
L'imam somalo che progettava di fare il kamikaze alla Stazione Termini lo abbiamo visto, al tiggì, nella "sua stanza" che passava le ore su internet wi-fi e gratuito a guardare i filmati daesh. La sua posizione di fondamentalista islamico gli impediva di fumare, sennò le sigarette gliele avrebbe passate gratis l'"accoglienza", quella stessa che fa pagare a me diecimila lire un pacchetto e mi multa salato se butto la cicca per strada.
I leghisti mostrano la foto di un vecchietto italiano che fruga nel cassonetto attorniato da "profughi" nullafacenti che lo guardano compatendolo. Ma miglior foto è quella del villaggio "Happy Family" di Campomarino Lido, (cito) «un'elegante struttura turistica con piscina» diventata «centro di accoglienza» per richiedenti asilo e che oggi ospita circa 200 migranti. Tra cui il nostro imam che intendeva farsi esplodere a Roma.
Uno potrebbe chiedersi: com'è che «un'elegante struttura turistica con piscina» decide poi di trasformarsi in un albergo a una stella che, dati gli ospiti, richiederà, alla fine di tutto (se e quando tutto finirà) una ristrutturazione ab imis? La risposta è semplice: chi glielo fa fare, a un albergatore, di stare ad aspettare che la clientela si decida a scegliere il suo albergo? Dover fare i conti con le alte e basse stagioni, svenarsi in pubblicità, competere con la concorrenza? Basta riciclarsi nel nuovo trend tutto italiano et voilà: trentacinque euri quotidiani a chiorba di ospite, per sfamare il quale ne bastano cinque. Paga Pantalone.
Un mio amico imprenditore siciliano mi ha raccontato quanto segue: aveva acquistato anni fa, per (farlocco) investimento, un immobile molto ampio che nessuno voleva, e nessuno ha continuato a volerlo fino a poco tempo fa. Non avendone necessità, lo teneva lì dov'era, senza impiego (anche perché non avrebbe saputo come impiegarlo). Ora, qualcuno, in confidenza, gli ha detto: ma perché non ci fai un  "centro di accoglienza»"? Ci cavi un sacco di soldi e ci sistemi anche, a stipendio, tuo zio, tuo cognato, tua nipote e altri disoccupati siculi. Lui, che è già benestante, ha fatto spallucce. Per ora. Ma la tentazione è forte.
L'aneddoto è esemplare e potete benissimo moltiplicarlo da soli. Se ne sono accorti anche i famosi centri sociali, che in più luoghi si stanno buttando sull'italian business del terzo millennio. Allo studioso di storia, qual io sono, viene in mente quel che accadde al tempo dei giacobini, anticipati da Enrico VIII in Inghilterra: espropriarono i beni della Chiesa (alla quale erano stati donati dal popolo) e, per far cassa, li (s)vendettero a quelli che avevano disponibilità economica immediata. Si accorsero poi che, così facendo, si erano guadagnati i migliori sostenitori possibili del loro regime, gente che, da quel momento, avrebbe combattuto la loro battaglia anche dopo la loro dipartita.
Oggi, in Italia, il regime catto-comunista sta facendo la stessa cosa, identica. Mi si obietterà che qui da noi non c'è alcuna espropriazione di beni del popolo. No? E con i soldi di chi vien fatta l'accoglienza? C'è parecchia gente che si sta facendo la classica barba d'oro, e tanta altra che ha risolto il suo problema occupazionale. E poi dicono che gli italiani sono fessi. No, siamo tutti, nel nostro piccolo, dei Re Sole: après moi le déluge. E non mi riferisco tanto al kamikaze somalo one-shot, ma al fatto che a Milano non c'è più un bar, neanche uno, che non abbia davanti il suo giovanottone africano intento a fare la questua.

Nota di BastaBugie: Ecco il video della durata di 8 minuti che ci fa capire la farsa dei rimpatri: il sistema di respingimento differito alla frontiera.


https://www.youtube.com/watch?v=lz6qSHeiqkE

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 19 e 25 luglio 2016

3 - LE CLASSI DIVISE IN MASCHI E FEMMINE HANNO MIGLIORI RISULTATI
La scienza lo conferma: bisogna valorizzare il bambino rispettando le sue specifiche caratteristiche, tra cui c'è l'essere maschio o femmina
Fonte Faes Milano

È da poco uscito, per le edizioni Paoline, un interessante saggio che analizza, con rigore universitario e molti studi sul campo, l'educazione differenziata per sesso. Si sta parlando anche di educazione omogenea scolastica, più in generale dell'educazione della persona e della personalità.  Il saggio è firmato da Marco Scicchitano, psicologo e psicoterapeuta, ricercatore clinico presso l'ITCI di Roma e da Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta, docente presso la LUMSA e presso la Pontificia Università Gregoriana. Cantelmi è stato il primo ricercatore italiano ad occuparsi dell'impatto della tecnologia digitale sullo sviluppo cognitivo e affettivo dei bambini.
Abbiamo rivolto alcune domande al dr. Scicchitano sull'argomento e ne è nata questa interessantissima conversazione che vi proponiamo nell'attesa di avere la possibilità di invitare i due autori, del testo Educare al femminile e al maschile, ad un incontro presso il Faes.
Da dove nasce lo spunto per il vostro studio? C'è davvero una differenza tra il modo di essere e apprendere di maschi e femmine?
Sia io che il Prof. Cantelmi siamo clinici, lavoriamo molto in contatto stretto con le persone che si rivolgono a noi presentandosi con il loro modo di vivere ed affrontare i problemi, le loro relazioni e la loro storia. Una disposizione importante per essere un buon clinico, come noi cerchiamo di essere, è quella di avere la capacità di "decentrarsi", uscire dal proprio modo di essere e dai propri schemi mentali e cercare di entrare in contatto il più possibile con l'unicità irripetibile che è la persona che di volta in volta ci troviamo di fronte. Capire le sue peculiarità originali e le caratteristiche che gli sono proprie è il modo concreto in cui manifestiamo concretamente l'accoglienza: "ac-cogliendo" la ricchezza di cui è portatrice. Nel nostro lavoro abbiamo imparato a svincolarci dagli schemi preconfezionati e mantenere uno sguardo il più possibile "pulito" e scevro dai condizionamenti che derivano dalle posizioni ideologiche. In questo modo è risultato evidente che ci sono delle differenze irriducibili tra maschi e femmine e che è importante tenerne conto in contesti come quello della psicoterapia, laddove ogni elemento è utile per favorire il benessere della persona.
Lo stesso discorso vale in contesto educativo in cui la missione degli operatori è proprio quella di valorizzare le specificità del bambino e formarlo rispettando le caratteristiche che lo contraddistinguono, tra cui c'è l'essere maschio o femmina. Nell'ambito dell'apprendimento per poter fare un buon servizio educativo al bambino bisogna tenere presente varie dimensioni della persona quali gli interessi, gli stili cognitivi, gli aspetti motivazionali. In ognuno di questi ambiti che hanno grande influenza nell'apprendimento è possibile individuare delle tipicità maschili e femminili che sarebbe utile e funzionale sfruttare a favore dei ragazzi.
Spesso infatti ci siamo trovati a rispondere a domande di genitori ed insegnanti che si sono interrogati proprio su questo argomento, e, una volta sollecitati dalla casa editrice abbiamo pensato che fosse necessario dedicare un volume snello ed agile da usare come introduzione all'argomento.
Ci sono studi che confermano questa posizione?
Si, certo. L'impostazione che abbiamo voluto dare al libro è esattamente fondata sull'evidenza scientifica, pertanto, nel parlare della diade maschile e femminile, e della differenza e della ricchezza che la caratterizza, abbiamo fatto sostanzialmente riferimento ad articoli e contributi di natura scientifica, per lo più in campo psicologico e neurobiologico. Nel libro ne citiamo molti anche se ci siamo limitati per non dare pesantezza al volume soffermandoci soprattutto sugli ottimi contributi e spunti che abbiamo trovato nei volumi pubblicati dal pediatra e psicologo americano Leonard Sax che sono ricchi di riferimenti a studi scientifici e che consigliamo a chi volesse approfondire il tema. Comunque gli studi che attestano differenze tra maschile e femminili sono molti, ma ne citiamo uno tratto dal libro che è significativo perché prende in esame bambini neonati, sui quali è difficile immaginare influenze culturali.
Nel 1980 una studentessa americana ha svolto una ricerca per verificare la correlazione tra l'ascolto di musica in bambini prematuri e migliori condizioni di crescita e sviluppo dei bambini stessi. Per appurare la veridicità dell'ipotesi fu fatta ascoltare ai bimbi musica leggera monitorando contemporaneamente i valori di crescita e sviluppo. Gli stessi valori furono registrati anche per un gruppo di controllo (bambini non esposti all'ascolto della musica), composto sempre di ventisei bambini prematuri. Al termine del periodo di osservazione si riscontrò che i bambini che avevano ascoltato la musica in culla erano cresciuti più rapidamente, avevano avuto minori complicazioni ed erano stati dimessi dall'ospedale cinque giorni prima rispetto ai bambini facenti parte del gruppo di controllo. Sax riporta nel suo Why Gender Matters, che consultando direttamente i risultati dello studio, ha notato una particolarità interessantissima che era sfuggita stranamente anche alla stessa autrice, Janel Caine. Le bambine che avevano ascoltato musica in culla avevano lasciato l'ospedale nove giorni e mezzo prima delle bambine del gruppo di controllo, mentre per i bambini maschi non era riscontrabile alcuna differenza, tra quelli che avevano ascoltato la musica in culla e quelli che non l'avevano fatto. Risultati simili, ma ancora più marcati che confermano i dati emersi nel 1980, vengono riportati in uno studio di Pediatria Neonatale, nel quale le bambine alle quali veniva sistematicamente canticchiata la ninna nanna di Brahms, al termine dell'osservazione riportavano delle condizioni cliniche per le quali venivano dimesse dall'ospedale dodici giorni prima rispetto alle bambine a cui non era stata cantata. Con i maschi non andava altrettanto bene. In media i bambini maschi che avevano ascoltato la musica non avevano lascito prima l'ospedale rispetto ai bimbi che non avevano ricevuto il trattamento. Per capire la ragione di questa differenza tanto evidente quanto apparentemente inspiegabile, non è necessario richiamare ipotesi e teorie: è sufficiente partire dalla fisiologia umana, costatando semplicemente che le bambine hanno un udito migliore per la musica, o quantomeno, per determinate frequenze. Diversi studi hanno infatti evidenziato che l'udito delle bambine è sostanzialmente più sensibile di quello dei maschi, specialmente nella gamma di frequenze che va dai 1000 ai 4000 Hz, che tra le altre cose è anche la gamma fondamentale per la discriminazione dei suoni nel linguaggio parlato. Inoltre è possibile osservare che la reazione cerebrale all'ascolto di suoni all'interno di questa gamma è nelle bambine neonate superiore a quella dei maschi anche dell'80%. Questa differenza tende ad aumentare nel corso dello sviluppo ed è stato possibile evidenziare che la superiorità femminile nell'ascolto di frequenze intorno ai 2kHz diventa maggiore con il passaggio all'adolescenza e all'età adulta.
Le femmine, dunque, sentono un'importante gamma di frequenze meglio dei maschi, beneficiano dei trattamenti di musicoterapia in modo molto più evidente e hanno una migliore risposta dei maschi nel percepire il tono della voce dell'altro, come ad esempio il padre o l'insegnante in classe.
Che sostegno danno le scuole single sex a questa specificità sessuale?
Possono darne molto e i risultati e le evidenze scientifiche cominciano ad affiorare soprattutto nel mondo anglosassone. I dati Britannici di questo anno indicano in modo evidente che è una buona strada da percorrere dato che tra i migliori 25 istituti privati, 21 sono omogenei per sesso. Anche qui in Italia si sta muovendo qualcosa. Peri ed Anelli hanno analizzato 30 mila studenti italiani su un periodo di osservazione di quindici anni, dal 1985 al 2000. Le loro analisi hanno preso in considerazione gli stipendi, le scelte professionali e accademiche. E sono arrivati a stabilire alcune conclusioni importanti:
1. Una quota più alta di persone dello stesso sesso in classe aumenta la probabilità di scegliere facoltà che fanno guadagnare di più. Per le donne aumenta del 5-6 per cento, per gli uomini del 6-7 per cento.
2. Migliori risultati accademici e maggiore preparazione, dato che le ragazze delle scuole omogenee abbandonano più raramente l'università e tendono a laurearsi prima.
Secondo il saggio appena pubblicato, che raccoglie dati e informazioni a livello statistico è più probabile che una ragazza che sia stata in una classe «ad alta percentuale femminile» scelga una facoltà come Economia o Ingegneria piuttosto che Lettere cambiando sensibilmente le sue possibilità di avere uno stipendio maggiore. Il discorso, fra l'altro, non vale solo per le donne: anche i maschi tendono a preferire facoltà che garantiscano loro un percorso professionale più soddisfacente, dal punto di vista retributivo, se nei cinque anni di liceo la percentuale di donne in classe è stata bassa.
Si fa un po' di confusione tra differenza e disuguaglianza: ci aiuta a capirne il senso?
Steven Pinker, celebre psicologo e divulgatore scientifico nel libro per il quale ha vinto il premio Pulitzer, Tabula Rasa, si chiede come mai alcune frange del femminismo lottino strenuamente contro l'idea che uomini e donne siano differenti, che abbiano abilità differenti e quindi inclinazioni e propensioni specifiche. Forse, si chiede l'autore, dietro a questo accanimento contro la differenza tra maschi e femmine si nasconda il timore che «differente» corrisponda ad «ineguale» e quindi «ingiusto». Probabilmente nel movimento di conquista dei diritti civili femminili è stata fatta una sovrapposizione concettuale tra "uguaglianza di diritti" e "uguaglianza delle caratteristiche" che ha portato a distorsioni notevoli ed ora controproducenti, arrivando a negare non solo il buon senso, ma anche i dati e le ricerche scientifiche. Pinker sostiene che il femminismo di genere, nella sua lotta contro l'ineguaglianza si sia messo in rotta di collisione con la scienza, perdendo di vista i criteri di una rigorosa e serena ricerca scientifica a favore di una fervente e ideologica battaglia, e noi siamo d'accordo con lui. Come abbiamo già detto non pensiamo che differente corrisponda ad ineguale, anzi. Cogliere le caratteristiche proprie di qualsiasi cosa permette di relazionarsi con essa a partire dalle sue peculiarità, ed è, quindi, arricchente. Sapere come è fatto un oggetto ci suggerisce come trasportarlo senza danneggiarlo e conoscere le caratteristiche di una pianta, ci aiuta a curarla bene, ad avere le giuste attenzioni e a farla crescere rigogliosa e sana. Forse è proprio partendo dalle differenze specifiche che si può realizzare una uguaglianza che non sia omologazione che appiattisce ma fioritura di talenti individuali.
Come si devono comportare i genitori per favorire le specificità sessuale?
Una buona prassi è essere ben informati in modo da affrontare responsabilmente il compito di essere genitori, ma allo stesso tempo pronti a farsi sorprendere dalla novità che porta ogni nuova persona in modo da essere saggi e centrati sull'educando, più che sugli schemi appresi e consolidati che compongono il nostro bagaglio di esperienze e conoscenze. È importante ricordare è che le variabilità individuali sono elevatissime all'interno di un insieme di persone, per cui non abbiamo nessun problema a riconoscere che ci possono essere maschi poco attratti dal sesso, caratterialmente miti e non aggressivi, così come donne competitive ed esplorative.
La persona umana è sempre talmente ricca e profonda che deve essere riconosciuta anzitutto come individuo con risorse e caratteristiche proprie ed uniche. Tuttavia, essendoci delle costanti riconoscibili, documentate che caratterizzano il maschile e il femminile, è utile stabilire quali sono e come possono essere valorizzate. L'educazione familiare ha un valore essenziale in questo processo.
Ciò che va evitato è la forzatura, il cercare di piegare il dato di realtà ad esigenze ideologiche. Non ascoltare e non vedere il proprio bambino per chi è e per ciò che gli piace è una grave responsabilità. Con i comportamenti spontanei, i primi sguardi e sorrisini e gli iniziali modi di giocare i bambini esprimono quelli che sono inclinazioni e primi passi nel mondo, timidi e ancora insicuri modi di entrarci in rapporto, gemme primeve del carattere e della personalità che sarà. Il bambino deve trovare una collocazione all'interno del suo ambiente di vita e le sue spontanee e innate caratteristiche non sempre bastano a sé stesse, ma necessitano della conferma e rassicurazione da parte degli adulti di riferimento, genitori parenti ed educatori, attraverso la "validazione".
La validazione è un processo fondamentale nello sviluppo e aiuta i bambini a sviluppare un senso della propria identità integro e sicuro. Il rinforzo positivo ha in questo un ruolo fondamentale e arricchente. Nella prima infanzia è necessario che l'adulto si ponga come guida e fonte di riconoscimento delle caratteristiche del bambino e regalare macchinine ai maschi e bambole alle femmine si inscrive perfettamente in questa cornice di significato, così come giocare alla lotta con i maschi e a "mamma e figlia" con le femminucce. Sono questi dei rinforzi positivi che permettono al bambino di radicare più in profondità quelle che sono sue inclinazioni naturali e innate aiutandolo nel costruirsi la propria identità.
Alcune linee di pensiero hanno ipotizzato che dovrebbe essere un dovere dell'adulto porsi come elemento neutro rispetto alla costruzione dell'identità di genere, ma questo è un grave errore pedagogico. È infinitamente più importante tutelare il ruolo di "validatore" dell'adulto rispetto all'assumere quell'atteggiamento di neutralità che avocano i sostenitori della teoria del "genere che si sceglie". Mancare questo ruolo per esigenze di aderenza a forme ideologiche è secondo il mio punto di vista una grave responsabilità.
Nel libro citiamo un caso in cui un padre ha cercato involontariamente di proporre strategie educative non consone alla figlia, e i risultati lo hanno costretto a cambiare.
In una mattina fredda e uggiosa, Isabella, particolarmente assonnata e stanca, non aveva alcuna intenzione di andare a scuola, e manifestava il suo diniego con una sorta di reticenza e ostruzionismo passivo che logorava il papà già di prima mattina. Tuttavia il papà non era totalmente nuovo e impreparato a queste «giornate no» e aveva già imparato una tecnica fondamentale: al di là dell'importanza di trasmettere il senso del dovere e della responsabilità, se vuoi che un bambino ti segua, devi attrarre la sua curiosità e stimolare la sua naturale propensione al gioco. Così recuperando le sue personali esperienze di gioco, propose alla piccola di andare con la bici, spiegandole che avrebbero fatto finta di essere guerrieri con archi e frecce. Avrebbero dovuto superare ostacoli, combattere contro i nemici, evitarli, correre ed inseguire. La cosa parve funzionare, ma solo dal letto fino al parcheggio della bici, dove nuovamente Isabella aveva cominciato a fare resistenza passiva. Il padre aveva avuto allora un'illuminazione: «La bici ha freddo!» Anzi no. «Il cavallo-bici ha freddo! Poverino... e si sente solo a stare li ad aspettare tutta la notte», «vedi Isabella?» Immediatamente i lineamenti della bimba avevano cominciato a distendersi improvvisamente e lo sguardo era divenuto un po' complice con il padre, e un po' preoccupato per il povero cavallo-bici infreddolito e triste. E così, nel nuovo gioco, la bici che prima era solo un mezzo di trasporto tutta salti e velocità, si riempiva istantaneamente di contenuti emotivi e relazionali. Allora Isabella, gli si era avvicinata sussurrando: «Povero cavallo-bici, adesso ti do la colazione calda calda eh?». E i problemi di accompagnamento a scuola, ci racconta il padre, finirono per un bel po' di tempo.

DOSSIER "EDUCAZIONE PARENTALE"
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Fonte: Faes Milano

4 - EOWYN, LA SCELTA DEL VALORE SENZA RINOMANZA
Nel Signore degli Anelli la Dama di Rohan sopporta con eroica fortezza delusioni, amarezze e responsabilità non volute
Autore: Isacco Tacconi - Fonte: Radio Spada, 7 agosto 2016

Teresina di Lisieux, la santa della «piccola via», ci ha lasciato una preziosa eredità, a noi che possiamo ambire ad una santità da «piccoli» compiendo bene ogni gesto, insegnandoci a raccogliere uno spillo da terra per amore dell'Amore, come se avessimo raccolto una moneta spendibile in Paradiso. E anche noi in quel caso potremmo dire con verità: "la sua grazia in me non è stata vana", giacché se il Buon Dio per un piccolo gesto offertogli in purezza d'intenzioni aumenterà nell'anima il grado di gloria, versando in lei come in una coppa una più larga misura di grazia santificante, tanto più non disdegnerà di soccorrere la povera mente di colui che cerca buone parole per cantare le sue bellezze: «Credo vidére bona Domini in terra vivéntium». E credo che in fondo sia proprio questa la chiave di lettura del personaggio di Éowyn: l'eroismo della devozione nascosta.
Oggi, in questa nostra storia, non ci sono orchi da uccidere anche se il nemico che ci para il cammino è ancor più temibile e oscuro. Il viaggio del tutto inaspettato che richiama la nostra attenzione, si volge piuttosto alla ricerca di una risposta intorno all'identità profonda di Dama Éowyn. La breve descrizione che di questa figura Tolkien fornisce al lettore è sufficientemente eloquente per permetterci di immaginarne la grazia, la nobiltà e la casta bellezza.

BELLA E FREDDA
Quando i "tre cacciatori" giungono ad Edoras guidati da Gandalf redivivo, divenuto il «Bianco», candido come la neve dopo essere passato attraverso la porta della morte, trovano un regno diviso e allo sbando, un re, Théoden figlio di Thengel, incatenato da un velenoso consigliere, e il cui popolo disperso e spaventato ne attende il risveglio. A fianco del vecchio re, un poco ritirata, si erge alta e silenziosa Éowyn, nipote del re e cugina dell'erede al trono ormai defunto. La giovane principessa, racconta Tolkien: "si voltò per guardarsi indietro. Nel suo sguardo grave e pensoso, posato sul re, si scorgeva una tenera pietà. Splendido il suo volto, ed i lunghi capelli pari a un fiume d'oro. Era bianca ed esile nella bianca veste cinta d'argento; ma pareva forte e severa come acciaio, una figlia di re. Così Aragorn mirò per la prima volta alla luce del giorno Éowyn, Dama di Rohan, e la trovò bella, bella e fredda, come una mattina di pallida primavera, e non ancora maturata in donna".
Fra tutti i personaggi femminili che incontriamo nel Signore degli Anelli, Éowyn appare l'unica vera donna, umana, reale. Mentre Arwen e Galadriel, proprio per il loro essere elfi, sono in qualche modo sottratte alla concretezza dell'umanità, avvolte come sono da un'aura sacrale, Éowyn al contrario porta su di sé il dramma della condizione mortale segnata da delusioni, amarezze e responsabilità non volute, ma virilmente accolte e affrontate con eroica fortezza. Lo stesso racconto del suo amore non corrisposto per Aragorn contribuisce a mostrarci una giovane donna segnata dalla sofferenza e dall'abbandono. Orfana e accolta in casa dello zio, costretta dagli eventi a dover assistere impotente il suo re, sedotto dai diabolici consigli di un traditore, Éowyn porta in sé come in una sintesi tutti quei valori dell'antica cultura anglosassone caratterizzata dall'onore e dalla fedeltà al re e alla terra, uniti alla virtù cristiana, in particolare della pietas e della fortitudo. Figlia di re eppure solitaria nel Palazzo d'oro di Meduseld, può soltanto sopportare e pregare dinanzi all'indebolimento del suo regno e alle sofferenze del suo popolo. Allo sbocciare del primo amore sperimenta l'umiliazione del rifiuto, e all'incombere della guerra si vede lasciata indietro e quasi abbandonata. Ma non è il suo il dolore della frustrazione di quelle donne che si sentono come "imprigionate" fra le mura domestiche, inseguendo utopie eversive di avventure ed emozioni libertarie. Una prospettiva che un reazionario e antimoderno come John Ronald Reuel Tolkien mai e poi mai avrebbe attribuito a uno dei suoi personaggi, se non per evidenziarne la innaturale bruttura. [...]

NESSUN UOMO PUÒ UCCIDERMI
Dopo aver ricevuto il comando da re Théoden di restare ad Edoras, il giovane Merry triste ed abbattuto per non poter partecipare alla guerra al pari dei suoi amici, si imbatte in un misterioso giovane guerriero di Rohan chiamato "Dernhelm". Costui "si avvicinò inosservato e mormorò qualcosa a bassa voce nell'orecchio dell'Hobbit. «Dove vi è la volontà, nulla è impossibile, si dice da noi»". Un saggio consiglio questo che definirei propriamente "da uomini", poiché le due facoltà che distinguono e separano come un abisso l'uomo dal resto dei bruti sono proprio l'intelletto, con la sua capacità di conoscere e ricevere la verità, e la libera volontà, con il suo innato desiderio di possedere il bene. Ora entrambe queste facoltà dell'anima hanno bisogno di essere purificate e rettificate cioè «raddrizzate», e la volontà in particolare necessita di essere volta, o meglio ordinata, verso quello che Aristotele, e con lui San Tommaso, chiamava il «bene onesto» cioè il bene morale oggettivo, voluto per se stesso e non per un altro motivo, distinguendosi perciò dal «bene utile» desiderato in quanto mezzo per un fine ulteriore, e dal meno pregevole «bene dilettevole» desiderato per il piacere che potremmo trarne ottenendolo.
Ad ogni modo, questo atto di volontà deciso e generoso sarà l'inizio della conversione di un'anima che, per poter tornare ad apprezzare il valore della sua vita, dovrà discendere fin quasi sulla soglia della morte. "«Allora verrai con me»", disse il Cavaliere. «Ti porterò sul mio cavallo, nascosto sotto il mio manto finché saremo lontani e questa oscurità sarà più cupa. Tanta buona volontà non deve essere scoraggiata. Non dire più nulla a nessuno, e vieni»".
Soltanto sui campi del Pelennor lo stesso Merry, insieme al lettore stupito, scoprirà che quel guerriero silenzioso ed esile è in realtà Éowyn, principessa di Rohan. In effetti nel libro ella manifesta con energia il suo desiderio a tratti implacabile di compiere gesta gloriose combattendo e morendo in battaglia. L'onore e la gloria sembrano quasi ossessionarla, tanto da gettarla nello sconforto quando si vede costretta nelle Case di Guarigione di Minas Tirith a sottoporsi alle cure necessarie che le impediscono di tornare in battaglia. Ma quel suo slancio impetuoso e impaziente deriva, come dirà Gandalf, da un malanimo interiore provocatole dai velenosi discorsi di Grima Vermilinguo, che istillarono nel suo cuore, oltre la tristezza, l'insofferenza e l'insoddisfazione per il suo essere donna, per di più ridotta a servire un debole e stolto re. "Ella nel suo corpo di fanciulla - dirà Gandalf ad Éomer - possedeva uno spirito e un coraggio senza dubbio uguali al tuo ardimento. E tuttavia era destinata a servire un vegliardo, che amava come un padre, ed a vederlo crollare in una stoltezza meschina e disonorevole; il suo ruolo le sembrava più ignobile di quello del bastone su cui il re si appoggiava".

NESSUNA EMANCIPAZIONE FEMMINILE
Pertanto, scopo del suo rivaleggiare con gli uomini non è l'assurda pretesa di veder riconosciuti i suoi diritti di donna. In altre parole non è una rivendicazione egualitaria inquadrata in una prospettiva di emancipazione del genere femminile che la spinge a fuggire dalle mura della casa adottiva, bensì una profonda e personale inquietudine interiore, causa del suo disperato desiderio di cavalcare verso una "oscurità ancora più cupa". Questa giovane principessa sembra cercare addirittura la morte per porre fine al suo mal di vivere. Un tormento interiore che oscilla tra un'insofferenza tipicamente adolescenziale e quella soffocante malinconia che toglie la pace e il gusto delle cose semplici e ordinarie, suggerendo ombre ed immagini di felicità lontane da quelli che potremmo definire i propri "doveri di stato". In realtà, ella va cercando sollievo alla sua profonda infelicità e insoddisfazione, che non troverà, com'è ovvio, sui campi di battaglia bensì nell'incontro di un uomo che le darà il suo cuore offrendole il suo amore puro, accogliendola per quello che è.
La sua lunga convalescenza nelle Case di Guarigione sarà la circostanza provvidenziale perché ella possa trovare finalmente quella pace interiore che né le gesta eroiche né alcuna avventura potrebbe elargire. Un po' come accadde a Sant'Ignazio di Loyola dopo essere stato ferito ad una gamba nell'assedio di Pamplona. Costretto a letto per un lungo periodo e non avendo a disposizione i libri di cavalleria che egli tanto amava leggere, Ignazio si rassegnò a dover leggere la Vita di Cristo di Ludolfo il Certosino e la Leggenda aurea di Jacopo, o Giacomo, da Varazze. Sarà questo l'inizio di quell'innamoramento così intenso e sincero per Nostro Signore Gesù Cristo che lo condurrà, dopo una «veglia d'armi» a deporre la sua spada ai piedi della Madonna nel monastero benedettino di Montserrat.
Anche nel caso di Éowyn la malattia sarà l'occasione per meditare sulla propria esistenza sprofondandosi in quella notte oscura dell'anima che la traghetterà, dopo profonda purificazione interiore, alla luce dell'alba. Un'alba così chiaramente annunciata, come da un araldo celeste, da quelle semplici parole che Piccarda Donati, nel cielo della luna, rivolse a Dante: «E'n la sua volontade è nostra pace». È questo il segreto di felicità che pone l'uomo dinanzi alla verità ultima del suo stesso esistere: essere per Dio e in Dio. Non importa quale sia l'onore (o il disonore) che ci viene tributato, né la posizione sociale che dobbiamo occupare, né l'umiltà delle mansioni che dobbiamo svolgere. L'unica cosa che conta è compiere «la sua volontade», che la Divina Provvidenza ci manifesta indubitabilmente attraverso l'età in cui ci troviamo, le qualità che possediamo, le infermità che dobbiamo sopportare, il sesso e il grado sociale che essa stessa ha disposto per noi.

ORA È GUARITA
Ma credo sia più utile per noi lasciar parlare direttamente il testo in cui Éowyn scioglie ogni velo di tristezza, liberata dal peso opprimente di un'ambizione disordinata. Sarà nella discreta, luminosa ordinarietà dell'amore sponsale che ella troverà quella felicità che credeva possibile solo nell'emozione di eroiche gesta e nelle glorie dei grandi palazzi. Quella che segue appare quasi il racconto di una conversione, manifestando l'addolcimento di una fanciulla che l'amore ha restituita a nuova vita: "Non sarò più una fanciulla d'arme, né rivaleggerò con i grandi Cavalieri, né amerò soltanto i canti che narrano di uccisioni. Sarò una guaritrice, e amerò tutto ciò che cresce e non è arido». E di nuovo guardò Faramir. «Non desidero più essere una regina», disse. Allora Faramir rise, felice. «Meno male», esclamò, «perché io non sono un re. Eppure sposerò la Bianca Dama di Rohan, se ella lo vorrà. E se ella lo vorrà, potremo attraversare il Fiume in giorni più felici e dimorare nello splendore d'Ithilien e coltivarvi un giardino. Ogni cosa vi crescerà con gioia, se coltivata dalla Bianca Dama». «Devo dunque lasciare il mio popolo, uomo di Gondor?», ella disse. «E vorresti che la tua gente orgogliosa dica di te: "Ecco un signore che ha domato una selvaggia fanciulla del Nord! Non vi era dunque una donna della razza dei Numeroreani ch'egli potesse scegliere?"». «Lo vorrei», disse Faramir. E la prese fra le braccia e la baciò sotto il cielo assolato, e non si curò di essere in piedi sulle mura, visibile a molti. E molti infatti li videro, e videro la luce che brillava intorno a loro mentre scendevano dalle mura e si recavano, mano nella mano, nella Case di Guarigione. E al Custode delle Case Faramir disse: «Ecco Dama Éowyn di Rohan, ed ora è guarita».
Il giovane Capitano, ultimo Sovrintendente di Gondor, venuto a sapere che l'erede al trono è giunto nella città di Minas Tirith, si rassegna serenamente a cedere il passo al Re che viene ad occupare il trono che la stirpe dei Sovrintendenti aveva il compito di custodire. In questo Faramir ed Éowyn sono accomunati: entrambi perdono ogni prospettiva di regalità e di gloria per dedicarsi ad una vita umile e semplice, scelgono cioè l'evangelico «ultimo posto» che racchiude il segreto della perfetta letizia.

NON VADO IN CERCA DI COSE GRANDI, SUPERIORI ALLE MIE FORZE
Sembra proprio che dopo la sua guarigione, Éowyn, nel gaudio di sapersi affrancata da quello spirito maligno di malinconia, abbia cantato nella quiete delle sue lunghe veglie notturne: "Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze".
Quando l'uomo cessa di contendere a Dio lo scettro (o l'anello) del potere, riconoscendo in lui la felicità che egli disperatamente cerca in questa Terra di Mezzo, solo allora egli può trovare quella pace e quel ristoro di cui un altro Re disse: "Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, così la divina ricompensa nell'anima mia". Ed in fin dei conti è proprio questo eroismo della devozione nascosta che Faramir ed Éowyn abbracciano congiuntamente che fa di loro delle figure tra le più straordinarie del Signore degli Anelli. Questa Principessa dei Rohirrim dimostra la nobiltà del suo lignaggio non tanto nella sua abilità sul campo di battaglia, quanto nella pietà e nell'amore devoto verso il suo re, in virtù del quale soltanto riesce ad abbattere il Re degli stregoni di Angmar. Tuttavia la bontà e la purezza del suo cuore dovevano essere liberate dal velo di oscura tristezza che aveva stretto il suo cuore in una morsa, e che nell'esperienza catartica che l'ha portata sin su l'abisso della morte hanno potuto rifiorire per restituirle la libertà.
In conclusione, la "redenzione" di Éowyn non poteva compiersi in maniera più discreta e graduale: una vera e propria conversione del cuore. Ed è esattamente la scelta di vivere nascosta fra le faccende della vita domestica, nella rinuncia ad ogni onore e gloria mondana, nell'amore puro e semplice per il suo sposo, nella quiete del servizio silenzioso e in quel prodigioso segreto che manifesta la gloria dell'umiltà, che fa di Éowyn una donna «come Dio comanda».

Nota di BastaBugie
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http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=8

Fonte: Radio Spada, 7 agosto 2016

5 - IL PAPA, GLI EBREI E... IL PARADOSSO FRANCESE
Lo Stato Pontificio è il solo in tutta Europa dove gli ebrei non sono mai stati espulsi (mentre in Francia...)
Autore: Vittorio Messori - Fonte: Il Timone, aprile 2016 (n. 152)

Léon Poliakov, l'ebreo russo naturalizzato francese, fu forse il maggior storico del secolo scorso dell'antisemitismo e della persecuzione degli israeliti, e fu presente tra l'altro al processo di Norimberga come consulente della delegazione francese. Situazione paradossale, la sua, visto che la Francia avrebbe dovuto stare dalla parte degli imputati e non di certo da quella dei giudici: nei quattro anni di occupazione tedesca fu zelante e convinta collaboratrice della politica sterminatrice dei nazionalsocialisti. Furono le polizie e le milizie di Vichy a riempire con brutalità i treni di ebrei francesi (la comunità giudaica più numerosa d'Europa, almeno dieci volte superiore a quella italiana), i treni, dunque, che andavano verso i lager tedeschi.
Un paradosso, come quello della stessa Francia, la cui capitale fu conquistata in sole quattro settimane dai tedeschi ma che, a guerra finita, pretenderà di avere una zona di occupazione in Germania, Berlino compresa, come se avesse vinto e non perso la guerra. Quasi come al Congresso di Vienna, dove i francesi sedettero come vincitori di Napoleone, dopo averlo seguito in massa per tanti anni nei suoi massacri in Europa e presentandosi come oppositori solo dopo che il Còrso fu battuto.
Cose, è chiaro, che dico sorridendo ironico e che non incrinano di certo la mia amicizia di sempre e la mia gratitudine di cattolico e di studioso per quanto quella grande Nazione ci ha dato e, in parte, ancora ci dà per la causa della fede, seppur falcidiata nel post-concilio.

IL PAPATO ERA FAVOREVOLE AGLI EBREI
Ma, uscendo da queste divagazioni, torniamo a Poliakov in quanto storico dell'antisemitismo non accomodante, anzi spesso duro al limite del fazioso. Quanto ai cattolici dirà, in sintesi, che il papato era favorevole agli ebrei e li difendeva con vigore quando la loro condizione peggiorava in modo tale che la Chiesa giudicasse inaccettabile. Diveniva severa quando la loro condizione superasse, sul piano della ricchezza e dell'influenza, quella dei cristiani.
Nel 1514 fu istituita all'università di Roma una cattedra di ebraico dove il docente era un celebre dotto ma era pur sempre un giudeo convertito. Sta di fatto che, come io stesso ho più volte ricordato, lo Stato Pontificio è il solo in tutta Europa dove gli ebrei non siano mai stati espulsi.
Ci volle un'ideologia post e anticristiana, ne 1643, per fare ciò che i cristiani non avevano mai fatto in quasi duemila anni. Scrive Poliakov: "Malgrado gli alti e i bassi a seconda del temperamento dei papi che si succedevano, si constata sorprendentemente una fiduciosa speranza che il ghetto riponeva nei suoi sovrani, i Vescovi di Roma e forse anche una segreta comprensione, un furtivo e riconoscente ammiccamento fra l'ebraismo e i Sovrani Pontefici". Ma, qui, Poliakow aggiunge una cosa che non solo io ma, immagino, quasi tutti - battezzati o circoncisi che siano - ignoravano e ignorano: "Il fatto è che, in ebraico, il termine Papa veniva tradizionalmente indicato, a Roma, col vocabolo afifior la cui etimologia è discussa ma che per molti studiosi è una deformazione di avi Pior. E, cioè, "padre Pietro". Se è così, è un segno ulteriore del sentimento che, nonostante tutto, unì per tanti secoli gli ebrei al pontefice".

Fonte: Il Timone, aprile 2016 (n. 152)

6 - ALL THAT REMAINS, IL FILM SUL SANTO SOPRAVVISSUTO ALLA BOMBA ATOMICA SU NAGASAKI
Takasashi Nagai discendeva da una famiglia di nobili samurai e nel 1934 si convertì al cattolicesimo
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08-08-2016

9 agosto 1945. Pochi secondi dopo le 11,02, il tempo impiegato da una bomba di 25 chilotoni per coprire la distanza tra l'aereo e la denotazione (pare circa 400-500 metri dal suolo), 40mila dei 240mila abitanti di Nagasaki, in Giappone, vengono vaporizzati all'istante lasciandosi dietro lo strascico di altri 50mila orrendamente mutilati e una pletora di fatto incalcolabile di rovinati nel fisico e nello spirito per anni e anni.
Tra i sopravvissuti alla seconda bomba atomica sganciata su esseri umani della storia, un'ecatombe, un crimine orrendo, vi è Takasashi Nagai (1908-1951), a cui il regista e produttore statunitense Ian Higgins (già autore nel 2009 di The 13th Day sulle apparizioni di Fatima) dedica All That Remains, un film in dvd edito dalla Ignatius Press di San Francisco. Delicato e crudo allo stesso tempo, il lungometraggio è di quelli da vedere e da far vedere quanto più possibile. Una piccola perla del cinema indipendente, alternativo e low-budget che si avvale di intelligenti stratagemmi di postproduzione per superare gl'inevitabili inconvenienti tecnici di chi non può permettersi investimenti faraonici e che sfrutta con grande maestria il talento superbo del cast, anzitutto Leo Ashizawa, nei panni del protagonista.

I CRISTIANI NASCOSTI
Il film mescola sapientemente la presa diretta e le immagini, agghiaccianti, di archivio e ci restituisce una storia che il mondo ha tenuto sin troppo sotto traccia. Takasashi discende da una famiglia di nobili samurai confuciani e scintoisti, ma non sono queste credenze a dominare la sua gioventù. Piuttosto lo è l'ateismo di cui sono intrisi gli ambienti scientifici che frequenta. Studia, infatti, Medicina, e si specializza in Radiologia. E arriva alla fatidica Nagasaki, lui che è originario di Matsue. Al letto di morte della madre, nel 1930, Takasashi comincia però un lungo, profondo viaggio alla ricerca del senso dell'esistenza non pago delle risposte preconfezionate e solide del razionalismo.
Scopre così la storia dei kakure kirishitan, i "cristiani nascosti" costretti per secoli alla clandestinità dopo la micidiale persecuzione subita tra Cinque e Seicento allorché, dopo un primo momento di favore, la fede cattolica "straniera" e "al servizio" delle potenze europee venne bandita con particolare efferatezza (leggi LA GRANDE RIVOLTA DEI SAMURAI CRISTIANI, https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=723 clicca qui, N.d.BB). Un passato glorioso, questo, che trova proprio in Nagasaki un centro di rilancio, quando, nel momento in cui il Giappone cominciava timidamente a riaprirsi dopo essersi chiusi a riccio la città divenne il fulcro del cattolicesimo nipponico durante il periodo Meji (1869-1912). Takasashi incontra qui la maestrina Maria Midori Moriyama, e lei e la sua famiglia (capi dei kakure krisihitan per sette generazioni) incominciano a insegnargli la sublimità inarrivabile della fece cattolica. Tutto succede la notte di Natale del 1932, alla Messa di mezzanotte cui Midori ha invitato Takasashi.

QUALCOSA DI GANDE E GRANDIOSO ACCADE
Il giorno dopo Takasashi salva la vita di Midori azzeccando una diagnosi di appendicite acuta e trasportandola a braccia nella neve al più vicino ospedale. Il nazionalismo nipponico però incombe e la guerra anche, la guerra sino-giapponese. Al fronte, in Manciuria, Takasashi ha tempo e modo di toccare con mano il dolore e la crudeltà, e di ripensare al cattolicesimo, ma anche a Midori. Finalmente riceve il battesimo il 9 giugno 1934 con il nome di Paolo. Lo fa in memoria di san Paolo Miki, il martire cristiano crocefisso con 25 compagni nel 1597 sulle colline attorno a Nagasaki.
Il dvd di All That Remains contiene anche un cortometraggio animato girato da Higgins nel 2015, 26 Martyrs, breve, toccante, opportuno, oltre a un secondo contributo del padre marinista statunitense Paul Glynn, già autore nel 2009 del libro A Song for Nagasaki per la Ignatius Press, premessa dello scrittore cattolico giapponese Shusaku Endo (1923-1996), e co-autore su queste stesse colonne di due articoli sui "cristiani nascosti" del Giappone e sui martiri cinquecenteschi di Nagasaki.
Fra Takasashi e Midori c'era del tenero da tempo, discreto, velato, ma potente. Nel 1934 si sposano nella cattedrale di Urakami, a Nagasaki. Nel frattempo Takasashi è diventato un radiologo importante, anche di fama. Incontra san Massimiliano Kolbe, che dal 1931 al 1936 è in Giappone. La felicità è però un attimo, e Takasashi scopre di avere la leucemia. Lo scopre nel 1945, dopo quattro anni che il Giappone è in guerra con gli Stati Uniti. Gli danno due o tre anni di vita, e prima di portarselo via quell'orrenda peste lo avrà ridotto a un paralitico costretto nel suo letto. La dolce Midori non sa far altro che rivolgersi alla Vergine del Cielo, a rivolgersi a lei fino a quel lampo accecante del 9 agosto 1945.
Takasashi sopravvive a "Fat Man" (così fu chiamata in codice la bomba atomica che rase al suolo la capitale del cattolicesimo nipponico) ma Midori no; di lei resta solo un rosario bruciacchiato tra le rovine di quella che una volta era la loro casa. Siccome c'era inaspettatamente nebbia, l'aereo che quel tragico mattino sganciò la bomba lo fece in un punto diverso da quello prestabilito attutendone (si fa per dire) l'effetto. Per questo qualcuno la scampò. Ma non così lo strazio e il dolore. Takasashi rimane solo ad allevare i figli (dopo il disastro di Hiroshima Takasashi li aveva sfollati a sei chilometri dalla città) e davanti alla follia umana diviene segno di contraddizione. Da un lato c'è la morte procurata inutilmente con quell'ordigno senza precedenti, dall'altro la cecità del nazionalismo giapponese che si straccia le vesti perché Tokyo piegata e piagata dall'atomica decide di arrendersi. Follie di un secondo, dopo le quali resta il nulla.

IL NULLA E LA SPERANZA
Il nulla fisico scavato dalla reazione a catena dell'uranio e il nulla dello spirito svuotato anche degli dèi più falsi e bugiardi: quelli dell'ideologia, vacua come ogni ideologia, e quelli delle religioni-bugie che non esistono. È in questo contesto che il dottor Takasashi Nagai si guadagna, rosario sempre in pugno, il soprannome con cui è noto, "santo di Urakama". Nel mezzo del disastro più terribile egli è la testimonianza che la vita è comunque più forte, anzi la fede è sempre più forte. Prostrato e annichilito nel fisico come l'intero Giappone, mostra che nell'uomo c'è altro, che c'è ben altro nell'uomo che si affida a Dio. Sarebbe stato facile per lui chiedersi, davanti a Hiroshima e a Nagasaki, dove fosse Dio, ma il pensiero non lo ha mai sfiorato.
Emblema della speranza, e della speranza cristiana, è divenuto un simbolo per tutti, un simbolo cui persino l'imperatore Hirohito fa visita nel 1949. I suoi scritti sono diventati un monumento di fede, speranza e carità, e la sua abitazione un museo oggi diretto dal nipote. Lui, che era cattolicissimo, e per di più un convertito (cioè un "traditore"), è diventato il segno di un Paese, di un patriottismo autentico e mai becero cui persino il "divino" signore del Sol levante ha dovuto inchinarsi. Il film di Higgins s'immagina il suo ultimo istante come un sogno in cui la bella Midori lo chiama perché è l'ora di andare. Si spalancano le porte della cattedrale e la gente assiepata sui banchi si volta sorridente per accogliere l'ingresso degli sposi come nel giorno del matrimonio, sposi che stavolta salgono in Cielo. Non tutte le lacrime sono da pusillanimi. Takasashi Nagai è Servo di Dio e All That Remains un capolavoro.

Nota di BastaBugie: per ora il film non è disponibile in italiano.
Nel frattempo è possibile guardare il trailer del film:


https://www.youtube.com/watch?v=OexsTC6dwxs

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08-08-2016

7 - LA CHIESA PUO' CONDANNARE COME ERETICO UN DOCUMENTO DI UN CONCILIO ECUMENICO? E' GIA' SUCCESSO NEL 1439
Un decreto del Concilio di Costanza conteneva la teoria del conciliarismo, cioè la supremazia del concilio sul Romano Pontefice, e per questo fu dichiarato eretico
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana, 20/07/2016

Il Concilio di Costanza (1414-1418) è annoverato tra i 21 Concili ecumenici della Chiesa, ma un suo decreto, la Haec Sancta del 6 aprile 1415 è considerato eretico, perché afferma la supremazia del Concilio sul Romano Pontefice. A Costanza, la Haec Sanctaebbe la sua applicazione nel decreto Frequens, del 9 ottobre 1417, che indiceva un Concilio cinque anni più tardi, il successivo dopo altri sette anni e poi uno ogni dieci anni.
Con ciò attribuiva di fatto al Concilio la funzione di organo collegiale permanente, che si affiancava al Papa e di fatto gli era superiore. Martino V, eletto Papa a Costanza nel 1417, nella bolla Inter cunctas del 22 febbraio 1418, riconobbe l'ecumenicità del Concilio di Costanza e tutto ciò che esso aveva deciso, sia pure con la formula genericamente restrittiva: «in favorem fidei et salutem animarum».
Non sappiamo se il Papa condividesse, almeno in parte, le teorie conciliariste o fosse obbligato a questo atteggiamento dalla pressione dei cardinali che lo avevano eletto. Di fatto non ripudiò la Haec Sancta e applicò con rigore il decreto Frequens, fissando la data di un nuovo Concilio generale, che si tenne a Pavia-Siena (1423-1424), e designò la città di Basilea come sede della successiva assise. Morì però il 21 febbraio 1431 e l'assemblea si aprì sotto il suo successore, Gabriele Condulmer, eletto Papa con il nome di Eugenio IV il 3 marzo 1431.

LE TEORIE CONCILIARISTE AVEVANO L'APPOGGIO DELLA MAGGIORANZA
Fin dall'apertura nel Concilio di Basilea esplose il contrasto tra due partiti: i fedeli del Papato e i partigiani delle teorie conciliariste, che costituivano la maggioranza dei Padri conciliari. Il braccio di ferro conobbe momenti alterni. In una prima fase Eugenio IV ritirò la sua approvazione ai Padri ribelli di Basilea. Successivamente, cedendo alla pressioni politiche ed ecclesiastiche, fece marcia indietro e con la bolla Duduum Sacrum del 15 dicembre 1433, revocò lo scioglimento da lui già decretato del Concilio, ratificando i documenti che esso aveva emanato fino a quel momento, e perciò anche la Haec Sancta che i Padri di Basilea proclamavano come loro magna charta.
Quando si rese conto che essi non si sarebbero arrestati nelle loro rivendicazioni, il Papa sconfessò nuovamente l'operato del Concilio, trasferendolo a Ferrara (1438), a Firenze (1439) e quindi a Roma (1443). Il trasferimento venne però rifiutato dalla maggioranza dei Padri conciliari che rimase a Basilea, continuando i lavori. A questo punto si aprì quello che è entrato nella storia come piccolo Scisma d'Occidente (1439-1449), per distinguerlo dal Grande (1378-1417) che lo aveva preceduto.
Il Concilio di Basilea depose Eugenio IV come eretico ed elesse il duca Amedeo VIII di Savoia antipapa con il nome di Felice V. Eugenio IV, da Firenze, dove era stato trasferito il Concilio, lanciò la scomunica sull'antipapa e sui Padri scismatici di Basilea. La Cristianità si trovò ancora una volta divisa, ma se nell'epoca del Grande Scisma avevano prevalso i teologi conciliaristi, in questa fase il Papa fu sostenuto da un grande teologo: il domenicano spagnolo Juan de Torquemada (1388-1468) (da non confondersi con l'omonimo Inquisitore).

IL PRIMATO DEL PAPA E LA SUA INFALLIBILITÀ
Torquemada decorato da Eugenio IV del titolo Defensor fidei è autore di una Summa de Ecclesia, in cui afferma con vigore il primato del Papa e la sua infallibilitas. In quest'opera, egli dissipa con grande precisione gli equivoci che si erano creati nel XIV secolo a partire dall'ipotesi del Papa eretico. Questo caso, secondo il teologo spagnolo, è concretamente possibile, ma la soluzione del problema non va cercata in alcun modo nel conciliarismo, che nega la supremazia pontificia. La possibilità di eresia del Papa non compromette il dogma dell'infallibilità, anche perché se egli volesse definire un'eresia ex cathedra, decadrebbe in quel momento stesso dalla sua carica (Pacifico Massi, Magistero infallibile del Papa nella teologia di Giovanni de Torquemada, Marietti, Torino 1957, pp. 117-122). Le tesi di Torquemada vennero sviluppate nel secolo successivo da un suo confratello italiano, il cardinale Gaetano.
Il Concilio di Firenze fu molto importante perché, il 6 luglio 1439, promulgò il decretoLaetentur Coeli et exultet terra, che poneva fine allo scisma di Oriente, ma soprattutto perché condannò definitivamente il conciliarismo, confermando la dottrina della suprema autorità del Papa sulla Chiesa. Il 4 settembre 1439, Eugenio IV, definì solennemente «che la santa sede apostolica e il romano pontefice hanno il primato su tutto l'universo; che lo stesso romano pontefice è il successore del beato Pietro principe degli apostoli, è autentico vicario di Cristo, capo di tutta la Chiesa, padre e dottore di tutti i cristiani; che nostro Signore Gesù Cristo ha trasmesso a lui nella persona del beato Pietro, il pieno potere di pascere, reggere e governare la chiesa universale, come è attestato anche negli atti dei concili ecumenici e dei sacri canoni» (Denz-H, n. 1307).

PAPA EUGENIO IV CONDANNÒ LA DOTTRINA DEL CONCILIARISMO
Nella lettera Etsi dubitemus del 21 aprile 1441, Eugenio IV condannò gli eretici di Basilea e i «diabolici fundatores» della dottrina del conciliarismo: Marsilio da Padova, Giovanni di Jandun e Gugliemo di Ockham (Epistolae pontificiae ad Concilium Florentinum spectantes, Pontificio Istituto Orientale, Roma 1946, p. 28 – pp. 24-35), ma nei confronti della Haec Sancta ebbe un atteggiamento esitante, proponendone quella che in termini moderni potrebbe essere definita una "ermeneutica della continuità". Nel decreto del 4 settembre 1439, Eugenio IV afferma che la superiorità dei Concili sul Papa, affermata dai Padri di Basilea sulla base della Haec Sancta, è «una cattiva interpretazione data dagli stessi Basileesi, che di fatto si rivela come contraria al senso genuino delle Sacre Scritture, dei Santi Padri e dello stesso concilio di Costanza» (Decreto del 4 settembre 1439, inConciliorum Oecumenicorum Decreta, EDB, Bologna 2002, p. 533).
Lo stesso Eugenio IV ratificò il Concilio di Costanza, nel suo insieme e nei suoi decreti, escluso «ogni pregiudizio al diritto, alla dignità e alla preminenza della Sede apostolica», come scrive il 22 luglio 1446 al suo legato. La tesi dell'ermeneutica della "continuità" tra la Haec Sancta e la Tradizione della Chiesa fu presto abbandonata. La Haec Sancta è certamente l'atto autentico di un legittimo Concilio ecumenico, ratificato da tre Papi, ma ciò non basta per rendere vincolante sul piano dottrinale un documento del Magistero che si pone in contrasto con l'insegnamento perenne della Chiesa. Oggi noi riteniamo che si possano accettare tutti e soli quei documenti del Concilio di Costanza che non ledono i diritti del Papato e non contrastano con la Tradizione della Chiesa. Questi documenti non comprendono laHaec Sancta, che è un atto conciliare formalmente eretico.

LA CRISI ATTUALE NELLA CHIESA
Gli storici e i teologi spiegano che la Haec Sancta può essere ripudiata perché non fu una definizione dogmatica, in quanto mancano in essa le formule tipiche come anathema sit e verbi come "ordina, definisce, stabilisce, decreta e dichiara". La reale portata del decreto è di carattere disciplinare e pastorale e non implica l'infallibilità (cfr. ad esempio la voce Concile de Constance, del cardinale Alfred Baudrillart, nel Dictionnaire de Théologie Catholique, III, col. 1221 - coll. 1200-1224).
Lo scisma di Basilea si concluse nel 1449 quando l'antipapa Felice V raggiunse un accordo con il successore di Eugenio IV, Papa Niccolò V (1447-1455). Felice abdicò solennemente e il Papa lo creò cardinale e vicario papale. La condanna del conciliarismo fu ribadita dal V Concilio Lateranense, dal Concilio di Trento, e dal Concilio Vaticano I. Chi oggi difende l'istituzione del Papato deve accompagnare lo studio di queste definizioni dogmatiche, con l'approfondimento delle opere dei grandi teologi della Prima e della Seconda Scolastica, per trovare in questa miniera dottrinale tutti gli elementi necessari a fronteggiare la crisi attuale nella Chiesa.

Fonte: Corrispondenza Romana, 20/07/2016

8 - RIMEDIARE ALLE DISASTROSE CONSEGUENZE DELL'ABORTO
Per chi ha abortito il percorso di guarigione inizia col dare il nome al figlio che vive in cielo, poi c'è bisogno di ascolto, dialogo, tenerezza, preghiera e del perdono di Dio
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 27 luglio 2016

Le conseguenze dell'aborto, spiegato senza ideologie, in modo professionale. Intervista a Benedetta Foà, psicologa clinica, che aiuta "genitori" (donne ma anche uomini) in lutto.
Vuoi spiegarci brevemente qual è il tuo lavoro e di che persone ti occupi?
Grazie Costanza, lo spiego volentieri. Ho cominciato ad occuparmi di post-aborto nel 1995. In quel momento mi trovavo in Bosnia al tempo della guerra che si è svolta nell ex-Jugoslavia tra il 1991 e il 1996. Ero lì come volontaria della Caritas a portare aiuti umanitari. È stato dopo questa esperienza che ho realizzato  che prendersi cura degli Esseri Umani è la cosa più importante  che ci sia. È grazie al dott. Philip Ney, psichiatra Canadese, che è venuto a tenere un corso di formazione alla parrocchia di San Giacomo a Medjugorje, che mi si sono aperti gli occhi rispetto al trauma dell'aborto. Fino a quel momento non era un argomento di cui mi fossi mai interessata, e non mi occupavo di psicologia allora. Oggi, a distanza di 22 anni, sono psicologa clinica, counselor con la P.I. psicologa delle emergenze e una delle poche professioniste che lavora sul territorio italiano per la risoluzione del trauma post-abortivo. Attraverso un percorso mirato, da me ideato, aiuto donne e uomini ad uscire del tunnel  nero della depressione che può venire dopo un aborto. Mi occupo di "genitori" in lutto, sia donne che uomini, e tratto aborti sia spontanei che procurati.
Le donne che soffrono dopo avere abortito sentono dolore per la perdita del loro figlio o per colpa nostra, di noi che le facciamo sentire giudicate?
Sicuramente una donna che perde un figlio soffre perché ha perso suo figlio. Sia che l'aborto sia spontaneo o procurato, possiamo avere reazioni diverse. Intendo dire che ci sono mamme che dopo un aborto spontaneo vanno in una crisi profonda (soprattutto se la gravidanza è avanzata) e mamme che riescono a farsene una ragione senza soffrire troppo. Così succede anche per l'aborto procurato. Ho incontrato donne che mi hanno confidato di avere abortito volontariamente e che non ci hanno mai più pensato, e invece incontro ogni giorno donne che a causa del fatto che hanno abortito di loro volontà non se ne fanno una ragione e stanno male.  È il giudizio degli altri a farle stare male? Non mi risulta, è il senso di colpa per avere scelto di non tenere il proprio bambino che le manda in crisi. È come se prima dell'evento abortivo fosse solo un "problema" o un "girino" e invece subito dopo l'intervento, la coscienza si sveglia e grida:  il mio bambino è morto! Per quella che è la mia esperienza le donne sono molto arrabbiate, dopo l'evento aborto, con tutti coloro che non le hanno sostenute nel tenere il bambino: il padre del bambino in primis e poi la famiglia d'origine.
Ci sono secondo te anche donne che non soffrono, dopo questa esperienza?
Probabilmente si. Logicamente non sono le mie utenti visto che da me viene chi sta male. Però ho donne e uomini che vengono a cercare il mio aiuto anche dopo 20/30 anni dall'interruzione di gravidanza. Come hanno fatto a conviverci per così tanto tempo? Esiste un meccanismo della mente che si chiama negazione. Cioè nego di avere un problema, faccio finta che non c'è. Ma questo meccanismo difensivo dura per un po', ma prima o poi cede. Ad esempio alla nascita di un altro figlio o per il decesso di un nostro caro o una qualunque situazione della vita. Una paziente che ho in cura in questo momento, a distanza di 25 anni, ha trovato per caso il mio libro e il leggerlo le ha fatto ricordare cose rimosse. Mi ha confessato: in questi anni ho vissuto la vita a metà, non mi sono vista, non mi sono ascoltata dopo l'aborto la parte felice di me è morta. È stato il mio libro? No, semplicemente è bastato poco per fare emergere un dolore latente ma pre-esistente che è finalmente emerso dopo 25 anni. Negli uomini ho riscontrato che spesso il riavvicinarsi alla fede gli fa vedere la gravità dell'atto di aver fatto abortire la propria ragazza, magari all'età di vent'anni. A quell'età non c'era la piena consapevolezza ma poi con il tempo la si acquista e si può andare in crisi. Anche gli uomini possono soffrire di stress post-aborto e i sintomi sono uguali a quelli delle donne.
Qual è il tuo obiettivo? Che le donne stiano bene? Non c'è il rischio che di nuovo cancellino quello che hanno fatto, se mettono come obiettivo il loro benessere?
Chiaramente l'obiettivo di un medico è che i pazienti stiano bene. Elaborare un lutto non equivale a cancellare. Se mio nonno muore ed io elaboro il suo lutto vuol dire che non mi ricordo più di lui? Penso sia impossibile. Così per il proprio figlio abortito. Direi che il pericolo più grosso che vedo nelle mamme che vengono a cercare il mio aiuto sia proprio il contrario, cioè avere la mente bloccata sul bimbo abortito, pensare solo a lui e non occuparsi dei figli che ci sono già o che verranno. Purtroppo succede veramente. Ho davanti agli occhi tante mamme che soffrono talmente tanto per la perita di questo figlio che non riescono ad uscire dal tunnel nero in cui entrano. Ho incontrato una mamma che ha perso il figlio il giorno prima di partorire e da quel momento in poi è entrata e uscita dal reparto di psichiatria. Quando l'ho incontrata erano passati dieci anni e raccontava l'episodio come se fosse successo il giorno prima. Peccato che aveva già una figlia di cui non è più riuscita ad occuparsi.
Qual è la strada per uscire da questo dolore?
Il primo ostacolo alla guarigione è la mancanza di presa di coscienza del fatto che si sta male. Proprio a causa della negazione o della intellettualizzazione, entrambi meccanismi difensivi, spesso si nega a noi stessi il nostro dolore. Secondo ostacolo, l'omertà. Il non parlarne con nessuno, per vergogna o per paura del giudizio, isola e fa sentire un profondo senso di solitudine. Avere una persona con cui poter parlare, sentendosi accolti, ascoltati e non giudicati è un enorme passo avanti. Inoltre, se quella persona è anche un professionista preparato, allora può avvenire la svolta. Nel mio libro, Dare un nome al dolore (casa ed. Effatà), spiego il mio metodo di cura. Negli anni mi sono resa conto che è efficace per un passo avanti verso la guarigione; poi, logicamente, ci vuole la volontà di stare meglio.
Tu pensi che la 194/78 abbia cambiato la mentalità, o piuttosto credi che quelle donne avrebbero abortito lo stesso?
Mi ricordo che quando la legge è stata approvata per me è stato uno choc. Ero piccola, forse una decina anni, ma avevo già capito che era una cosa grave. Adesso incontro donne che sono nate dopo il '78 e non hanno idea della mentalità precedente, pro vita. Personalmente penso che l'approvazione della legge ha cambiato la mentalità e siamo passati piano piano ad una cultura che legalizza la morte. Prima di queste leggi vita e morte erano nelle mani di Dio e tutto era sacro, adesso che è passato nella mani degli uomini, tutto è diventato scarto. L'Uomo è stato spogliato del suo valore e di conseguenza se non è perfetto o se non ci serve lo possiamo usare/ gettare a nostro piacimento. È proprio il valore intrinseco della vita quello che dobbiamo riacquistare. Sono convita che molte donne non avrebbero abortito con una cultura diversa, e lo dico perché me lo raccontano loro stesse. Ho ancora nelle mente le parole di una ragazza che al nostro primo incontro mi disse: Vorrei che lei mi dicesse perché ho abortito. Allibita la guardo e prosegue: sono andata dal ginecologo, non sapevo ancora di essere incinta, l'ho scoperto in quel momento. Il mio compagno era stupito ma contento eppure il ginecologo mi ha dato il foglio per abortire senza che nessuno di noi lo abbia chiesto. Ho abortito e non so perché. Sono passati quattro anni da quel giorno, ancora mi scrive dandomi notizie. Ha sposato l'uomo di cui ha abortito il figlio e ora non riesce più a rimanere gravida.
Quali sono le ripercussioni sulla famiglia e sui fratelli del bimbo abortito?
Ho appena sottolineato il fatto che quella ragazza ha sposato lo stesso partner perché non è particolarmente frequente. Di solito l'evento aborto spezza il legame affettivo. Più volte mi sono sentita dire: dopo l'aborto avrei voluto che lui sparisse dalla mia vita! Delle ricerche fatte dall'Istituto Elliot, Illinois, USA, dicono che la maggior parte delle relazioni di coppie non sposate si sciolgono a breve tempo (1/12 mesi). Le coppie sposate reggono di più a causa del vincolo matrimoniale e dal fatto che probabilmente ci sono altri figli. Personalmente le mamme che conosco che sono sposate con l'uomo con cui hanno deciso di abortire sono coppie molto tormentate perché il pensiero di fondo è che lui, compagno e marito, non le ha sostenute  nella loro prima gravidanza e che con il senno di poi si fa sempre più forte il pensiero "C'era posto anche per quello che abbiamo rimandato indietro!"
Vorrei spendere una parola sullo stato di salute per i fratelli dei bambini abortito. Questi soffrono di un disagio psicologico  a cui è stato dato il nome di Sindrome del sopravvissuto. Molti sono i tipi diversi di bimbi in questa condizione: gemelli in grembo di cui uno muore e l'altro sopravvive (questi sono moltissimi a livello di aborti spontanei), ma succede anche in quelli procurati: la donna va ad abortire e dopo due mesi si trova ancora gravida. I figli erano due. Poi ci sono tutti i casi dove, nonostante il tentato aborto (salino per es.), il bambino sopravvive e nasce vivo. Fallimenti di pillole abortive, in passato si usavano rimedi come il prezzemolo o altre erbe per abortire. Però ho sentito casi in cui la madre si buttava giù dalle scale pur di perdere il figlio, senza riuscire. Per ultimi ma non ultimi sono sopravvissuti anche tutti i fratelli la cui mamma ha abortito il fratello prima o dopo di lui e il bambino lo sa. La domanda di fondo per queste persone è: mamma ma se io ero mio fratello abortivi me? Questa domanda inespressa manda molto in crisi e toglie molte energie a questi bambini. Generalmente queste persone soffrono di bassa autostima e fanno molto fatica a trovare il loro posto nel mondo. Tantissime sono le persone che soffrono di questa sindrome, chi più chi meno.
Dopo quanto mi hai appena detto, cosa pensi della legge 194?
Penso che tutti abbiamo diritto alla vita. L'aborto ha portato frutti di veleno e infelicità per tante donne, uomini, bambini. Senza contare i nonni, parenti vari, operatori sanitari. I medici hanno tradito il loro mandato di essere "guaritori" fregandosene del giuramento di Ippocrate. [...]

Nota di BastaBugie: Flora Gualdani sempre sul blog di Costanza Miriano riassume le tappe per poter elaborare il lutto del bambino perso a causa di un aborto nella parte finale dell'articolo pubblicato il 28 luglio 2016. Eccolo:
Mi sono specializzata nel prendermi cura non soltanto delle maternità più difficili ma anche delle maternità negate. Di quelle donne cioè, che hanno fatto una scelta diversa e sono tornate, magari a distanza di decenni con i capelli imbiancati, a portarmi il loro tormento che riemerge e non passa. Il trauma post aborto.
Le aiuto usando il balsamo della misericordia che riscatta, dà speranza e libertà. E con lo sguardo della trascendenza. Perché è Gesù l'unico farmaco capace di guarire quella ferita. Lui ama. E' misericordioso, cioè scende con il cuore sopra le nostre miserie.
Ci vuole un lungo cammino di recupero, paziente e personalizzato tra spiritualità e psicologia. Ho accompagnato in questo cammino tante donne, di ogni livello culturale, fino alla guarigione. E spesso con una riscoperta della fede.
A queste donne, ferite dall'aborto, spiego anzitutto che generare è più grande che distruggere. Chi genera, genera per l'eternità. Dico loro: «tu hai generato per l'eternità. Se hai ucciso, hai ucciso un corpo: non hai distrutto la persona: che è proprietà di Dio. Devi capire che anche se hai troncato il futuro alla tua creatura, non hai fatto che restituirla al Mittente. E Lui la porterà comunque a compimento, là dove un giorno o mille anni sono la stessa cosa. Lui è il Dio dell'amore, che ha vinto la morte e non lascia incompiute le sue opere: prima o poi avverrà un incontro, l'abbraccio. Ma la riconciliazione con quel figlio devi cominciarla adesso: sentilo vivo, dagli un nome, sappi che ti sta aspettando e sta pregando per te. Ti ama. Resti sua madre.

Fonte: Blog di Costanza Miriano, 27 luglio 2016

9 - OMELIA XXI DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 13,22-30)
Sforzatevi di entrare per la porta stretta
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 21 agosto 2016)

La scorsa domenica era la solennità dell'Assunzione di Maria in Cielo. Abbiamo meditato come la Madonna assunta alla gloria celeste indica a tutti noi la meta da raggiungere: il santo Paradiso. Abbiamo meditato che dobbiamo desiderare il Cielo e per desiderarlo dobbiamo pensarci spesso. Questa domenica il brano del Vangelo continua il discorso dicendoci che la porta di accesso al Cielo è stretta e noi dobbiamo sforzarci di entrare. Gesù infatti afferma: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno» (Lc 13,25).
Queste parole ci fanno comprendere che l'inferno non è vuoto, come alcuni vanno dicendo, e che, purtroppo, molti non riusciranno per colpa loro a varcare quella porta stretta. Alle parole di Gesù fanno eco quelle della Madonna a Fatima, quando Ella diceva che molte anime vanno all'inferno. Ma cosa voleva dire Gesù con il riferimento alla porta stretta? Una risposta può essere la seguente: la porta stretta ci fa comprendere che per la salvezza eterna ci vuole la nostra collaborazione. Dio, che ci ha creati senza di noi, non ci salva senza di noi. Bisogna dunque impegnarsi, pensando che andare in Paradiso non è un viaggio in carrozza, ma un percorso in salita su di un sentiero angusto e a volte spinoso e, in fine, la porta che troveremo sarà così stretta che solo gli umili vi entreranno. L'entrata in Paradiso si potrebbe paragonare al travaglio di un parto: come vi è stata sofferenza per venire a questo mondo, così ve ne sarà per entrare nella Vita eterna.
Ci vuole dunque la nostra collaborazione. Prima di tutto il Signore ci chiede di pregare. Sant'Alfonso de' Liguori non esitava ad affermare che chi prega certamente si salva e chi non prega certamente si danna. San Pio da Pietrelcina aggiungeva: chi prega certamente si salva, chi prega poco è in pericolo. La salvezza eterna è una grazia e questa grazia si deve domandare di continuo nella preghiera. Preghiamo soprattutto con il Rosario. Quando recitiamo l'Ave Maria, infatti, diciamo alla Madonna «prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte». Tutte le Ave Maria che recitiamo in vita le ritroveremo al momento della nostra morte e saranno per noi di grande sollievo in quell'ora suprema.
Apparendo dopo morte a san Giovanni Bosco, san Domenico Savio – ragazzo morto a poco più di quattordici anni – diceva che, al momento della morte, il pensiero che maggiormente rasserena l'anima è quello di essere stati devoti della Madonna durante la vita. La devozione alla Madonna e la preghiera frequente del Rosario ci consentiranno di varcare questa porta stretta e di entrare in Paradiso.
Ci vuole la nostra collaborazione per andare in Paradiso, e questa collaborazione, oltre che con la preghiera, la daremo sforzandoci ogni giorno di combattere contro il peccato che costantemente ci minaccia. Combatteremo contro il peccato, prima di tutto, evitando tutte le occasioni pericolose. Pensiamo a quei divertimenti, spettacoli, amicizie che ci espongono al peccato e ci mettono sull'orlo della perdizione. Un cristiano non dovrebbe esitare a spezzare con forza questi legami che lo mettono così in pericolo!
Quando recitiamo l'Atto di dolore diciamo: propongo con il tuo santo aiuto di non offenderti mai più e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Queste parole indicano chiaramente che dobbiamo fuggire con decisione da tutti i pericoli che minacciano la nostra anima. Insegnava san Filippo Neri che, di fronte all'occasione pericolosa, chi ha coraggio fugge, chi invece è vigliacco vi rimane e soccombe.
Affidiamoci con tutto il cuore alla Madonna, amiamola con tutto il cuore, preghiamola sempre con fiducia. Accompagnati per mano da Lei, il cammino che conduce al Cielo diventerà dolce e soave.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 21 agosto 2016)

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