BastaBugie n�525 del 27 settembre 2017
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UN PRESIDE FRANCESE RACCONTA CHE NELLE SCUOLE DOMINA L'ESTREMISMO ISLAMICO
Il fanatismo musulmano si impone durante la ricreazione, in mensa, in piscina: minacce ad ebrei e cristiani, inni all'Isis, insulti alle donne
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi
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ABOLITO L'ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II CHE DIFENDEVA MATRIMONIO E FAMIGLIA
Porte aperte a seconde nozze, unioni gay, contraccezione, rapporti prematrimoniali e così via
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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VOLEVO RASSICURARE I DEMOLITORI DELL'HUMANAE VITAE: AVEVATE GIA' VINTO
Clamoroso voltafaccia del cardinale Schönborn, oggi aperto ai divorziati risposati, ma una volta difensore implacabile dell'indissolubilità del matrimonio
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
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SENZA CELLULARE SCATTA IL PANICO?
La paura di rimanere non connessi è una malattia (che si chiama nomofobia)
Autore: Nadia Ferrigo - Fonte: La Stampa
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LA MERKEL DICHIARA LA TURCHIA DEFINITIVAMENTE FUORI DALL'EUROPA
Ma ormai è tardi: in Europa c'è già un esercito di 50.000 jihadisti pronti a colpirci in nome di Maometto
Autore: Luca Hofer - Fonte: Corrispondenza Romana
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SE FEDE E RAGIONE NON STANNO INSIEME, IL CATTOLICESIMO DIVENTA UN'ALTRA COSA
Rischia di diventare una prassi senza contenuti, una pastorale senza dottrina, un umanesimo senza Cristo, uno stare insieme senza sapere perché, un dialogo senza annuncio, una carità senza verità, un pluralismo senza unità, un'etica senza dogmi, una coscienza vuota di contenuti, un come senza un perché
Autore: Stefano Fontana - Fonte: Osservatorio Van Thuân
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IL GOVERNO STA PENSANDO DI CONSIDERARE REATO AVERE SOLDI CONTANTI (ANCHE SE GUADAGNATI ONESTAMENTE)
Maria Elena Boschi ha dichiarato: ''Dobbiamo porci il problema di come aggredire il contante che è presente nelle case degli italiani''
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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SI PUO' FARE LA COMUNIONE SENZA ESSERSI PRIMA CONFESSATI?
Il prezioso insegnamento del Concilio di Trento ci insegna ad essere equilibrati (inoltre è bene avere un padre spirituale)
Autore: don Gianni Cioli - Fonte: Aleteia
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OMELIA XXVI DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 21,28-32)
I pubblicani e le prostitute vi passano avanti
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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UN PRESIDE FRANCESE RACCONTA CHE NELLE SCUOLE DOMINA L'ESTREMISMO ISLAMICO
Il fanatismo musulmano si impone durante la ricreazione, in mensa, in piscina: minacce ad ebrei e cristiani, inni all'Isis, insulti alle donne
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi, 02/09/2017
È un libro destinato a interrogare molte coscienze e a lasciare il segno quello scritto da Bernard Ravet e appena pubblicato in Francia: Preside di liceo o imam della Repubblica? L'autore è stato per 15 anni preside in tre scuole secondarie statali tra le più difficili di Marsiglia, dove gli studenti musulmani sfiorano il 95 per cento dell'utenza, e ha visto con i suoi occhi quanto sia diventato grave il problema della diffusione dell'estremismo islamico tra gli alunni. «Per timore di stigmatizzare gli istituti che dirigevo, sono rimasto in silenzio per 15 anni», scrive, ma ora che è andato in pensione nel 2015, ha voluto pubblicare questo libro perché «è ora di finirla con la legge del silenzio che pesa sull'impatto della religione in certe scuole. Il fanatismo bussa alla porte degli istituti e impone i suoi simboli e le sue leggi nello spazio scolastico, durante la ricreazione, in mensa, in piscina».
NON AVREI POTUTO GARANTIRE LA SUA INCOLUMITÀ Nell'ultima settimana, diversi giornali francesi hanno pubblicato alcune anticipazioni del libro. Ravet racconta ad esempio di quando era preside del liceo Versailles e una mamma francese di religione ebraica, tornata a Marsiglia dopo un lungo soggiorno in Israele, è venuta a chiedergli di iscrivere il figlio. «Quando ho sentito parlare il ragazzo, con un evidente accento straniero, ho capito che i miei studenti avrebbero scoperto subito la sua provenienza straniera. Se avessero scoperto che veniva da Israele, l'avrebbero distrutto. Così, con imbarazzo, ho chiesto alla mamma di non iscriverlo alla scuola statale, ma ebraica». Il preside l'ha fatto a malincuore, «ma non avrei potuto garantire la sua incolumità. Quando, solo pochi mesi prima di questo episodio, un giornalista era venuto a chiedere a scuola quali erano i rapporti tra i miei studenti musulmani e i loro compagni ebraici, loro hanno risposto: "Qui non ci sono ebrei e se ci fossero, sarebbero obbligati a nascondersi"».
LE APOLOGIE DELLO STATO ISLAMICO E GLI INNI ALLA SHARIA Le minacce agli ebrei non sono l'unico segnale di radicalizzazione al quale Ravet ha assistito negli anni. Ci sono le ragazze che, nonostante il divieto di portare il velo, cercano di indossarlo a scuola ogni giorno, ci sono gli insegnanti che non possono parlare di Shoah o darwinismo per le eccessive proteste, ci sono le professoresse che vengono chiamate «troie» o «puttane» all'uscita della scuola solo perché portano la gonna, o i docenti di francese, che ogni giorno si sentono ripetere in classe che il francese è «una lingua straniera, la lingua dei miscredenti». Innumerevoli, inoltre, le apologie dello Stato islamico e gli inni alla sharia. Il preside racconta delle strane persone che si aggiravano intorno alle scuole da lui dirette: risse tra bande, giovani sbandati, barbuti che vendono la droga ai cancelli del liceo «perché tanto solo i miscredenti ne fanno uso e se la droga uccide, uccide solo i miscredenti. Quindi vendere la droga non è contrario all'islam». Difficile anche il rapporto con i genitori, che giustificano la segregazione dei sessi: «Le donne adultere vanno lapidate». Di tutto questo Ravet non ha voluto parlare ai giornali fino ad ora (ma alle autorità sì) per non essere «accusato di islamofobia e per proteggere quelle famiglie normali che non potevano permettersi altre scuole», ma ora non vuole più restare in silenzio. Anche perché il problema della radicalizzazione giovanile e scolastica sta crescendo sempre più grave in Francia.
Nota di BastaBugie: nell'articolo sottostante dal titolo "Pakistan, studente cristiano ucciso in classe dai suoi compagni musulmani" si parla della madre del 17enne Sharoon che chiede giustizia, ma sa che potrà riceverne solo al tribunale di Dio. Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su Tempi il 4 settembre 2017: La famiglia di Sharoon Masih, cristiano pakistano di 17 anni, ha fatto molti sforzi per risparmiare i soldi e mandare il figlio alla scuola superiore pubblica di Burewala (Punjab). Nel villaggio Chak 461 Sharoon era l'alunno migliore della scuola e i genitori, dipendenti in una fabbrica di mattoni, hanno scelto di scommettere sulla sua educazione invece di mandarlo subito a lavorare come tutti gli altri ragazzi cristiani della zona. Ma dopo soli quattro giorni di scuola, Sharoon è stato ucciso in classe dai suoi compagni musulmani. Fin dal primo giorno in cui ha messo piede nella scuola pubblica, il 24 agosto, Sharoon è stato preso di mira dai compagni e isolato, essendo l'unico cristiano. Un compagno gli avrebbe anche detto: «Tu sei cristiano, se vuoi vivere non azzardarti a sederti con noi». Sharoon non si è fatto intimidire e ha cominciato la scuola con entusiasmo, ma il 27 agosto un gruppo di studenti gli ha imposto di convertirsi all'islam. Il cristiano ha rifiutato e per questo è stato picchiato selvaggiamente fino a che non è morto. Il pestaggio è avvenuto in classe durante le lezioni ma gli insegnanti dicono di non essersi accorti di nulla. Solo un ragazzo per ora ha confessato di aver preso parte all'assassinio: Muhammad Ahmed Rana. Un'indagine è in corso e l'amministrazione pubblica ha momentaneamente sospeso il preside della scuola. «Mio figlio era gentile, affabile e lavorava sodo», ha dichiarato la madre di Sharoon all'associazione British Pakistani Christians, «tutti gli volevano bene ma nella nuova scuola l'hanno preso di mira a causa della sua fede. Durante i primi giorni Sharoon ed io piangevamo tutti a giorni a causa delle torture quotidiane alle quali era sottoposto. Quei ragazzi malvagi che odiavano mio figlio ora si rifiutano di ammettere chi è coinvolto nell'omicidio. Ma io so che un giorno Dio li giudicherà». L'associazione sta cercando di raccogliere i circa tremila euro che serviranno alla famiglia poverissima per portare avanti la causa in tribunale contro Rana e gli altri assassini. Secondo Anjum James Paul, presidente della "Pakistan Minorities Teachers' Association", intervistato da Fides, il governo ha la sua parte di responsabilità perché non si impegna per eliminare le frasi oltraggiose verso i cristiani che tutti i libri di testo in Pakistan contengono, alimentando l'odio. «La violenza inizia tra i banchi di scuola perché i libri di testo usati fin dalle scuole primarie instillano negli allievi odio e intolleranza verso i non musulmani. Da un lato i libri di testo adottati nelle scuole pubbliche promuovono l'islam, i musulmani, la cultura e la civiltà islamica; dall'altro non esitano a promuovere disprezzo e odio contro le religioni non islamiche e i non musulmani. Questo ha evidenti conseguenza dannose sulle menti dei bambini e dei ragazzi, incita alla violenza e nuoce alla pacifica convivenza».
Fonte: Tempi, 02/09/2017
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ABOLITO L'ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II CHE DIFENDEVA MATRIMONIO E FAMIGLIA
Porte aperte a seconde nozze, unioni gay, contraccezione, rapporti prematrimoniali e così via
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 22/09/2017
«L'Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul Matrimonio e la Famiglia era noto come la roccaforte della resistenza contro il programma di misericordia di Francesco. Adesso il papa l'ha sciolto e ne ha fondato uno nuovo». Non si potrebbe essere più chiari di così, e l'autore di questa "sentenza" è Thomas Jansen, direttore di Katholisch.de, il sito internet ufficiale della Conferenza episcopale tedesca, che lo scrive in un articolo titolato "Un thinktank per Amoris Laetitia". Tanto per capire, vuol dire che la sola esortazione post-sinodale «non è sufficiente per cambiare il paradigma teologico-morale della Chiesa cattolica». Un Istituto su Matrimonio e Famiglia "rifondato" (per usare l'espressione usata da Vatican Insider) provvederà le armi teologiche per portare a compimento la rivoluzione. E questo con buona pace di coloro che in questi giorni si sono prodigati per sostenere che non è cambiato nulla, che l'istituzione di un nuovo Pontificio Istituto Teologico per le Scienze su Matrimonio e Famiglia è in continuità con il magistero di san Giovanni Paolo II e che si tratta solo di un aggiornamento. È vero che la battaglia - come abbiamo scritto - non è ancora finita, perché il vero cambiamento sarà possibile soltanto con i nuovi statuti, ma almeno sia chiaro quali sono i termini della questione. Il commento ufficiale della Conferenza episcopale tedesca è significativo, perché è da lì che viene la spinta maggiore a rovesciare l'insegnamento bimillenario della Chiesa su matrimonio e famiglia, e anzi nei giorni scorsi c'è chi ha scritto che proprio da settori della Chiesa tedesca vengono pressioni sul Papa per accelerare certe riforme in modo da rendere eventualmente impossibile al suo successore di tornare indietro.
PORTE APERTE A SECONDE NOZZE, UNIONI GAY, CONTRACCEZIONE, RAPPORTI PREMATRIMONIALI, ECC. La battaglia - che peraltro ha le sue radici nello scontro seguito alla pubblicazione dell'enciclica di Paolo VI Humanae Vitae (1968) - è iniziata nel momento in cui papa Francesco ha annunciato il doppio Sinodo sulla famiglia. Come si ricorderà si è dato fuoco alle polveri con il Concistoro del febbraio 2014, con la "lezione" che il Papa ha chiesto di svolgere al cardinale Walter Kasper, come introduzione ai lavori sinodali. Subito ci si è concentrati sul tema della comunione ai divorziati risposati, ma era soltanto lo strumento per scardinare l'intero edificio della morale cattolica. Infatti il documento presentato dai vescovi tedeschi come sintesi delle risposte al questionario diffuso tra i fedeli in preparazione del Sinodo, aveva già il carattere della guerra totale: tutto il magistero romano in fatto di gender, unioni omosessuali, relazioni prematrimoniali, ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti viene «respinto espressamente». Si parte dalla constatazione che la gente non segue più la morale sessuale insegnata dalla Chiesa e che i giovani non capiscono certe norme etiche, per arrivare ad «invocare un cambiamento profondo della morale cattolica». E quindi, porte aperte a seconde nozze, unioni omosessuali, controllo artificiale delle nascite, rapporti prematrimoniali e così via. Il documento puntava dritto, non a caso, al superamento della Humanae Vitae, con i princìpi di morale sessuale che confermava.
LA LINEA TRACCIATA DA GIOVANNI PAOLO II Dall'Istituto Giovanni Paolo II venne in effetti una risposta: come ricorda Thomas Jansen, due professori dell'istituto - Juan José Perez Soba e Stephan Kampowski - pubblicarono immediatamente un libro - "Il vangelo della famiglia" - con un sottotitolo eloquente: "nel dibattito sinodale oltre la proposta del cardinale Kasper". I due docenti rispondevano all'invito di papa Francesco per un dibattito franco e così, confutando le tesi di Kasper sugli sposi passati in seconde unioni, essi indicavano anche le linee di un atteggiamento pastorale misericordioso nella linea tracciata da Giovanni Paolo II. Come i Sinodi siano andati e delle polemiche e opposte interpretazioni che hanno seguito l'esortazione post-sinodale al punto da spingere quattro cardinali a esprimere al Papa cinque Dubia, è ben noto. Così Jansen ricorda che l'attuale cambiamento dell'Istituto segue la decapitazione dei vertici del Giovanni Paolo II quando l'anno scorso il Gran cancelliere cardinale Agostino Vallini e il preside monsignor Livio Melina furono sostituiti rispettivamente da monsignor Vincenzo Paglia e monsignor Pierangelo Sequeri.
NON UN SEMPLICE AGGIORNAMENTO Un ulteriore tassello riguarda il nome dell'istituto. Non solo un semplice aggiornamento non avrebbe bisogno di chiudere e rifondare, ma ha destato curiosità anche la denominazione di "Scienze del Matrimonio e della famiglia". Qualcuno lo ha legato a questa annunciata apertura alle varie discipline con cui si vuole allargare il discorso sulla famiglia (perfino all'ecologia), coerentemente alle linee impostate da Amoris Laetitia. Ma c'è chi vi ha trovato una inquietante connessione con il dibattito avvenuto al tempo dell'Humanae Vitae. Il giornalista Steve Skojec (Onepeterfive.com) riprendendo in mano il testo della Commissione di esperti che presentò a Paolo VI la relazione di maggioranza, a favore della contraccezione, ha infatti scoperto che già questa commissione aveva proposto la creazione di un istituto pontificio «per le scienze legate alla vita matrimoniale». L'idea era di avere a disposizione un gruppo di esperti di varie materie in grado di portare avanti la rivoluzione della morale propugnata dalla Commissione creata da Paolo VI. Uno dei compiti fondamentali di questo Istituto di Scienze sulla vita matrimoniale, dice la relazione, sarebbe dovuto essere quello di vedere come «la dottrina del matrimonio debba applicarsi a differenti parti del mondo». In pratica si prefigura quella maggiore autonomia delle Conferenze episcopali in materia dottrinale che papa Francesco auspica nella Evangelii Gaudium e che è già nei fatti come esito delle diverse interpretazioni date ad alcuni passaggi di Amoris Laetitia. Non può essere allora un caso che la rifondazione dell'Istituto Giovanni Paolo II proceda di pari passo con i lavori di una commissione storica (prima negata da monsignor Paglia, poi minimizzata, in realtà dai grandi poteri) che ha lo scopo di rivedere tutto il dibattito che ha accompagnato i lavori che hanno poi portato alla pubblicazione della Humanae Vitae. Qualcuno ha ancora dubbi su dove si voglia andare a parare?
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 22/09/2017
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VOLEVO RASSICURARE I DEMOLITORI DELL'HUMANAE VITAE: AVEVATE GIA' VINTO
Clamoroso voltafaccia del cardinale Schönborn, oggi aperto ai divorziati risposati, ma una volta difensore implacabile dell'indissolubilità del matrimonio
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 21/09/2017
Volevo rassicurare i demolitori dell'Humanae Vitae. Quelli che su Avvenire dicono che è tempo di riaprire il dibattito e magari la commissione che vuole ricostruire storicamente i passaggi della formazione dell'enciclica di Paolo VI. Tranquilli. Già da tempo i cattolici non solo non si comportano come l'enciclica raccomanda - chi di noi non pecca, su un fronte o sull'altro? il punto non è certo questo - ma proprio non ne avvertono neanche la contraddizione. I cattolici in camera da letto non solo fanno in buona parte come fa il mondo, ma questo non procura loro alcun problema. Prima e dopo il matrimonio fanno uso massiccio di contraccettivi, ai corsi prematrimoniali non solo circa il 90% - statistica fatta in soldoni, ma di parrocchie ne ho girate tante - ha una vita sessuale piena (e, ripetiamo, non è questo il punto), ma non lo avvertono proprio come una domanda. Non intuiscono la possibilità di una bellezza più grande, di una ricchezza che stanno dilapidando. E la questione non viene neppure sfiorata dalla maggior parte dei sacerdoti. "Mi si svuoterebbe il corso per fidanzati" mi ha detto più di un prete. Io, guarda un po', penso che sarebbe il contrario. I ragazzi hanno una fame disperata di grandezza e bellezza, e di qualcuno che abbia il coraggio di proporgliela. Poi magari non riuscirebbero a mantenersi fedeli alla proposta, ma ne annuserebbero la grandezza, si innamorerebbero di un modo di vivere la sessualità che non è neanche lontanamente paragonabile a quella che conosce il mondo, è un modo che tiene in massima considerazione la dignità, la grandezza dell'uomo, della donna, del bambino. E' uscito in questi giorni per la Ares un libro che è balzato in cima alla pila di quelli che leggerò appena finirò di scrivere il mio: Il compendio della teologia del corpo di Giovanni Paolo II. Le sue parole introducono a un mondo di una bellezza esorbitante, che i nostri pastori hanno il dovere di continuare a proporre, insegnare, esplorare. San Tommaso dice che prima del peccato originale nell'Eden il piacere sessuale doveva essere qualcosa di indescrivibile, alla massima potenza. Vivere la sessualità nel piano di Dio è un'avventura di cui i ragazzi sono stati privati, per colpa di pastori che temevano di essere impopolari. E invece, si sa, catholics do it better! Dunque, qual è esattamente il senso di "aprire" sui temi dell'Humanae Vitae? Non credo che il punto sia sulla verità della proposta cristiana. E' allora una preoccupazione pastorale? La rigidità della Chiesa avrebbe allontanato qualcuno? Non mi pare. Le porte sono già apertissime, i muri sono sfondati, e non è che questo abbia causato un affollamento nelle chiese, se l'obiettivo è quello. Non è inseguire il mondo che ci renderà attraenti, ma rendere ragione della bellezza che qualcuno di noi - felici pochi - ha potuto intuire, sperimentare, vivere, perché ha avuto qualche pastore coraggioso che gliel'ha annunciata, e questo ha portato a una pienezza e abbondanza di vita che il mondo mendica e cerca disperatamente.
Nota di BastaBugie: Francesco Agnoli nell'articolo sottostante dal titolo "Schönborn, il cardinale che smentì se stesso" si chiede cosa sia successo al cardinale arcivescovo di Vienna, oggi arcigno difensore delle novità dottrinali in materia di divorziati risposati, ma una volta difensore implacabile dell'indissolubilità del matrimonio e dell'impossibilità di una nuova chance? Leggi l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 23 settembre 2017: La confusione sotto il cielo cattolico è immensa: cardinali contro cardinali, vescovi contro vescovi, laici contro laici. I motivi sono molteplici, ma certamente ve n'è uno che più di altri è esemplificativo: l'interpretazione di Amoris laetitia. Tempo addietro, sull'aereo, a Bergoglio venne chiesto come andava interpretato il famoso capitolo VIII di quel documento, ed egli, invece di rimandare al prefetto per la Congregazione per la Dottrina della Fede, invitò a rivolgersi al cardinale di Vienna Christoph Schönborn. Un po' come mandare da Erode a Pilato... Più tardi, alcuni mesi dopo, il cardinale di Vienna, uomo di indubbia cultura ed intelligenza, se ne uscì in modo piuttosto violento, immediatamente rilanciato da Vatican Insider, contro i quattro cardinali estensori dei Dubia. Non rispose alle loro domande, magari citando il Vangelo a sostegno della sua posizione, ma si lanciò in un'invettiva: «Che dei cardinali, che dovrebbero essere i più vicini collaboratori del Papa, stiano cercando di fare un atto di forza nei suoi confronti e di far pressione su di lui affinché dia una risposta pubblica alla loro lettera resa pubblica è un comportamento assolutamente sconveniente». Parole che lasciarono perplessi, sia per il tono, veramente inusuale tra cardinali, sia per il contenuto, semplicemente falso. I 4 cardinali, infatti, non hanno mai compiuto un "atto di forza", ma hanno soltanto espresso un'opinione e chiesto una risposta chiara e definitiva, secondo le regole stabilite dalla Chiesa stessa. Ma davvero Christoph Schönborn non comprende la posizione dei suoi confratelli, con alcuni dei quali ha sempre avuto anche un ottimo rapporto personale? No, capisce benissimo, e questo desta ulteriore sconforto. Per sostenerlo mi appoggio semplicemente ai documenti. Infatti il cardinale di Vienna è stato nientemeno che il Segretario della Commissione per la Redazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (dal 1987 al 1992). E cosa dice quel catechismo a riguardo del tema dibattuto in corso? Al punto 1649 leggiamo: «I coniugi non cessano di essere marito e moglie davanti a Dio; non sono liberi di contrarre una nuova unione. In questa difficile situazione, la soluzione migliore sarebbe, se possibile, la riconciliazione. La comunità cristiana è chiamata ad aiutare queste persone a vivere cristianamente la loro situazione, nella fedeltà al vincolo del loro matrimonio che resta indissolubile...». E al punto 1650 si legge: «Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo («Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio»: Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione...». Se allora, dal 1987 al 1992, il cardinale Schönborn la pensava in questo modo, perchè oggi ha cambiato idea? Perché se lui è oggi in contrasto con se stesso, pretende che altri non possano avere dei dubbi, e porre delle legittime domande? [...] Si potrebbero aggiungere mille chiose: ad esempio che l'esclusione dalla comunione deriva da una valutazione oggettiva e non certo da un giudizio sul soggetto, perché non è compito della Chiesa leggere nei cuori e neppure emettere condanne personali (la Chiesa stabilisce che alcune persone sono certamente in cielo, i santi e i martiri, ma non ha mai potuto dire di nessuno che è sicuramente all'inferno, neppure di Hitler o Stalin); che essa si fonda non tanto su un divieto, ma su una visione positiva dell'uomo, considerato capace, con l'aiuto della grazia di Dio, di un amore per sempre, e anche di ritornare sui propri passi... Un'ultima considerazione per concludere: da anni ormai la Chiesa discute e si lacera nel tentativo di buttare a mare la dottrina professata sino a ieri. Ma cosa si sta facendo, in concreto, per aiutare i giovani cattolici ad affrontare il matrimonio con maggior consapevolezza, evitando così tanti divorzi futuri? Cosa si sta facendo per aiutare le coppie in difficoltà a rimanere insieme? Cosa si sta facendo davvero, oltre alla sanatoria dottrinale, per essere davvero prossimi, ma senza alterare le parole di Cristo, ai cattolici divorziati "risposati"? Nulla. E così il Sinodo sulla famiglia, che doveva essere pastorale, che doveva venire in aiuto concreto alle persone, è diventato in verità l'origine di un processo di rottamazione della dottrina, del catechismo, della legge evangelica sul matrimonio. Con cardinali che si arrabbiano se qualcuno gli chiede conto: «Perché dici oggi il contrario di ciò che hai detto sino a ieri?».
Fonte: Blog di Costanza Miriano, 21/09/2017
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SENZA CELLULARE SCATTA IL PANICO?
La paura di rimanere non connessi è una malattia (che si chiama nomofobia)
Autore: Nadia Ferrigo - Fonte: La Stampa, 15/08/2014
Una sensazione di panico vi assale non appena vi accorgete di aver dimenticato lo smartphone a casa? Non riuscite a resistere più di dieci minuti senza controllare le notifiche e pensate che stia squillando anche quando non è così? Se avete risposto si ad almeno due domande su tre, allora potreste aver sviluppato una vera dipendenza da smartphone: la «nomofobia», per il mondo anglosassone «nomophobia». La definizione deriva dall'abbreviazione inglese «no-mobile-phone»: senza il telefonino connesso, carico e a portata di mano, sperimentiamo le stesse sensazioni di agitazione a ansia che si provano sulla poltrona del dentista. Ma perché? Secondo gli studi di David Greenfield, professore di psichiatria all'Università del Connecticut, l'attaccamento allo smartphone è molto simile a tutte le altre dipendenze, perché causa delle interferenze nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola il circuito cerebrale della ricompensa: in altre parole, incoraggia le persone a svolgere attività che credono gli daranno piacere. Così ogni volta che vediamo apparire una notifica sul cellulare, che sia un messaggino o una nuova e-mail, sale il livello di dopamina, perché pensiamo - anche se sarebbe il caso di dire, speriamo - che ci sia in serbo per noi qualche cosa di nuovo e interessante. Il problema però è che non possiamo sapere in anticipo se accadrà davvero qualche cosa di bello, così si ha l'impulso di controllare in continuazione. Proprio come giocare con una slot machine: sperando nella combinazione che ci renderà milionari, continuiamo a giocare. E per controllare le notifiche non serve nemmeno una moneta: basta impugnare lo smartphone. Secondo un sondaggio condotto dall'ente di ricerca britannico YouGov, più di sei ragazzi su dieci tra i 18 e i 29 anni vanno a letto in compagnia del telefono: un altro inequivocabile sintomo che qualche cosa non funziona. Nicola Luigi Bragazzi e Giovanni Del Puente, studiosi dell'Università di Genova, hanno proposto che la nomofobia venga inserita nel «Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali», conosciuto dagli addetti ai lavori con la sigla Dsm, dal titolo dell'edizione statunitense. «Come in ogni dipendenza, il primo sintomo è la negazione - spiegano i ricercatori. Anche se la tecnologia ci consente di sbrigare il nostro lavoro più velocemente e con efficienza, i dispositivi mobili possono avere un effetto pericoloso sulla salute: dobbiamo indagare il fenomeno ancor più in profondità e studiarne gli aspetti psicologici». «Quella sensazione di "perdersi qualche cosa" se non si controlla costantemente, è del tutto illusoria - conclude Greenfield -. Quello che succede sullo schermo non ha nulla a che fare con la nostra vita».
DOSSIER "CELLULARE? NO, GRAZIE!" L'illusione di essere connessi Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: La Stampa, 15/08/2014
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LA MERKEL DICHIARA LA TURCHIA DEFINITIVAMENTE FUORI DALL'EUROPA
Ma ormai è tardi: in Europa c'è già un esercito di 50.000 jihadisti pronti a colpirci in nome di Maometto
Autore: Luca Hofer - Fonte: Corrispondenza Romana, 20/09/2017
La Turchia non entrerà mai a far parte della UE. Questa la sintesi di brutale franchezza con cui la Cancelliera tedesca Angela Merkel si è espressa in relazione ai negoziati che da decenni la Turchia porta avanti, con fasi alterne, per fare ingresso nell'Unione europea. La cancelliera tedesca si è espressa senza mezzi termini sull'esclusione della Turchia dalla UE non solo nel corso del serrato dibattito con il candidato socialdemocratico Schulz, in vista delle prossime elezioni che si svolgeranno in autunno in Germania, ma anche in una sede istituzionale di alto rango come il Bundestag, la camera dei deputati tedesca. Angela Merkel ha espressamente affermato che il prossimo vertice del Consiglio della UE (che riunisce i capi di stato e di governo dei ventotto Stati membri) dovrà pronunciarsi sulla doppia opzione, ovvero il congelamento dei negoziati o la chiusura degli stessi nei confronti della Turchia. In ogni caso il "diktat" del motore politico ed economico d'Europa, la Germania, è più che sufficiente per indicare la rotta che la UE intende seguire per risolvere l'affaire Turchia.
CONVENIENZA ELETTORALE? NON SOLO Di fronte a questa presa di posizione alcune istituzioni politiche della UE, non pochi osservatori politici e mass media politically correct hanno cercato di smussare la portata delle frasi della cancelliera Merkel, attribuendole alla prossima scadenza elettorale politica in Germania ed alle palesi manifestazioni di insofferenza che l'elettorato tedesco ha mostrato nei confronti della pasticciata confusionaria gestione UE del problema dell'immigrazione clandestina e del potere "ricattatorio" esercitato dal Presidente turco Erdogan, che impegnandosi a "sigillare" le frontiere orientali di accesso all'Europa della marea di disperati in fuga da un Medio Oriente in piena anarchia politica, ha ottenuto ingentissimi finanziamenti economici da Bruxelles; la Merkel insomma avrebbe bisogno di riguadagnare la fiducia dell'elettorato tedesco di fronte al fallimento della gestione delle politiche migratorie di integrazione e agli enormi problemi di carattere politico, economico, culturale e religioso che ne sono derivati. Nulla di più errato. È certo innegabile che la CDU, il partito cristiano conservatore tedesco al governo della locomotiva d'Europa con Angela Merkel da oltre un decennio ha la necessità di smarcarsi dalle posizioni più "buoniste" in tema di immigrazione della SPD, il partito socialdemocratico tedesco, ma è opportuno sottolineare che nel corso del dibattito politico tra la Merkel e Martin Schulz, lo stesso leader socialdemocratico ha riconosciuto la necessità di congelare i negoziati di adesione della Turchia alla UE.
LA TURCHIA IN EUROPA NON PUÒ PROPRIO ENTRARE Si svela così un segreto di pulcinella, che in realtà gli analisti di politica estera ed i diplomatici di tante cancellerie hanno sempre conosciuto, a volte sottaciuto, ma mai negato: la Turchia in Europa non può proprio entrare. Le ragioni che spiegano la presa di posizione della leader tedesca sono molteplici, ma chiare, limpide e di assoluta ragionevolezza: soprattutto, se si avesse la pazienza di andare a rileggere e consultare le prese di posizione sul tema dei vari leader tedeschi negli ultimi ventanni, sono assolutamente in linea con la politica estera della Germania, che al riguardo non ha mai fatto mistero della sua avversione all'ingresso della Turchia nella UE. Lo stesso potentissimo ministro delle finanza Wolfgang Schauble ha espressamente escluso la possibilità di un ingresso della Turchia nella UE. Dal 1963 la Turchia ha avviato i negoziati con l'allora Comunità europea, e da allora solamente un dossier su 33 è stato concluso con il pieno accordo delle parti: la Turchia in buona sostanza non è mai stata in grado di dimostrare di sapersi adeguare ai cosiddetti "Parametri di Copenaghen" - gli standard imposti dalla UE ad ogni Stato che intenda farne parte - in materia di democrazia, rispetto dei diritti civili, delle libertà personali, del libero mercato. Non solo: la Turchia con arroganza continua a non riconoscere il diritto di uno Stato membro della UE, Cipro, ad ottenere la restituzione dei territori della parte nord-est dell'isola, occupati militarmente dalla Turchia fin dal 1973 e denominati pomposamente "Repubblica turca di Cipro del Nord", una sorta di repubblica delle banane riconosciuta solamente dal governo di Istanbul.
UN EVENTUALE INGRESSO DELLA TURCHIA NELLA UE SAREBBE UNA CATASTROFE Ma accanto a queste legittime ragioni che in nome della violazione dello stato di diritto impediscono alla UE di riconoscere alla Turchia lo status di partner, è molto più interessante leggere nelle analisi ventennali dei politici e diplomatici tedeschi le vere ragioni dell'ostinato rifiuto del governo di Berlino ad accogliere gli eredi politici della Sublime Porta in Europa. La Turchia ha una popolazione di circa ottanta milioni di abitanti, e forte del sistema di voto ponderato vigente nel sistema normativo della UE, diverrebbe il secondo Stato con il maggior numero di rappresentanti politici nelle istituzioni, subito dopo la Germania e prima della Francia ed Italia. La Turchia ha una porzione di territorio in Europa pari a solo il 3%, mentre tutta la sua collocazione geografica e geopolitica è sbilanciata sul Medio Oriente, proprio su un'area oggetto di guerre brutali e terrorismo da decenni, in cui il fattore religioso integralista islamico gioca un ruolo da padrone nel determinare gli indirizzi politici delle varie fazioni in lotta. La Germania legittimamente - e pragmaticamente - ritiene che un eventuale ingresso della Turchia nella UE sarebbe una catastrofe in quanto grazie al peso del numero dei suoi rappresentanti nelle istituzioni la Turchia farebbe orientare pericolosissimamente la bussola della geopolitica europea a favore degli interessi del Medio Oriente, diventando di fatto l'ago della bilancia di ogni decisione a Bruxelles. Prova provata che i fattori identitari culturali, religiosi ed etnici - tanto vituperati dalla vulgata della globalizzazione politically correct - sono ancora e restano criteri valutativi indispensabili per costruire ponti ed alleanze politiche basate sul rispetto reciproco dei valori di ogni società politica.
Nota di BastaBugie: Gianandrea Gaiani nell'articolo sottostante dal titolo "Jihadisti in Europa: in 50mila pronti a colpirci" parla dell'esercito potenziale di 50.000 uomini pronti a colpire l'Europa in nome di Maometto. La statistica sui potenziali terroristi nel Vecchio Continente, la metà dei quali si trova nel Regno Unito, è stata illustrata da Gilles de Kerchove, coordinatore dell'antiterrorismo di Bruxelles. Ecco dunque l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 15 settembre 2017: Circa 2.500 foreign fighters islamici provenienti dall'Europa stanno combattendo per l'Isis in Siria e in Iraq. Lo ha dichiarato il coordinatore dell'antiterrorismo di Bruxelles, Gilles de Kerchove, in un'intervista al giornale tedesco Die Welt. "Molti moriranno in combattimento o saranno uccisi dallo Stato Islamico, poichè l'organizzazione non tollera i disertori. Altri si trasferiranno nelle aree di crisi di Somalia, Libia o Yemen". Kerchove ha precisato che circa 5.000 europei sono andati a combattere per lo Stato islamico (altri si sono arruolati con milizie qaediste o salafite), tuttavia 1.500 sono tornati e quasi 1.000 sono morti. Lo stesso de Kerchove teorizzò l'anno scorso al Parlamento Europeo l'impossibilità di incarcerare tutti i miliziani e terroristi che rientrano in Europa, affermando la necessità di "recuperarli alla società", come cercano in modo quasi comico di fare alcuni Stati come Svezia e Danimarca che hanno pagato sussidi di disoccupazione e invalidità anche ai foreign fighters recatisi in Siria e Iraq o che finanziano loro gli studi universitari una volta rientrati in Europa. Pochi giorni fa il coordinatore della Ue aveva stimato in oltre 50mila i jihadisti pronti a colpire in Europa, quasi la metà in Gran Bretagna (dove solo 500 dei 3mila considerati molto pericolosi sono sotto costante sorveglianza da parte dei servizi di sicurezza interna MI5), 5mila in Spagna, 17 mila in Francia, 2.500 in Belgio. La perdita di terreno in Iraq e Siria pone "un reale rischio" di vedere rafforzati da parte dell'Isis i finanziamenti per nuovi attacchi in Europa, ha detto il 7 settembre il commissario alla Sicurezza Ue, Julian King, davanti alla commissione per le libertà civili dell'Europarlamento. "Nel momento in cui stiamo vincendo sul terreno contro l'Isis, in Iraq e Siria, stanno trasferendo fondi fuori da Iraq e Siria", ha detto King. "C'è un reale rischio di nuovo afflusso di fondi destinati al terrorismo. Dobbiamo esserne coscienti e dobbiamo lavorare assieme per vedere il da farsi. Un rapporto Onu nel mese di agosto ha spiegato come l'Isis stia continuando a inviare 'rimesse' all'estero - spesso si tratta di piccole somme, difficili da intercettare - nell'ottica di alimentare le campagne terroristiche fuori dai Paesi dove hanno perso il controllo territoriale. Una dinamica confermata, ha fatto notare il commissario King, "dal ritmo accelerato degli attacchi in Europa". Le fonti di finanziamento dell'organizzazione jihadista restano in buona parte i profitti dalla vendita di petrolio e le tasse imposte alla popolazione nelle aree sotto il suo controllo. Questo, malgrado il ridimensionamento territoriale del 'Califfato" sia nell'ordine del 90% rispetto al periodo di massima espansione. King però sembra dimenticare che le cellule terroristiche non hanno bisogno di molto denaro per organizzare attentati (quello di Barcellona è costato meno di 2mila euro) e l'Europa continua a sborsare generosi sussidi del proprio welfare. Come ha ricordato Lorenza Formicola sul sito Formiche.net l'imam libico Abu Ramadan, aderente alla Fratellanza Musulmana, predica dal 1998 lo sterminio di tutti gli infedeli, ma ha ricevuto in 20 anni più di 620.000 franchi (oltre mezzo milione di euro) dal welfare svizzero, per lo più in sussidi di disoccupazione. Alcuni membri del commando jihadista che attaccò Parigi avevano ricevuto oltre 50 mila euro di sussidi dal welfare belga così come Khuram Butt e altri terroristi jihadisti britannici, incluso Salman Abedi, il kamikaze di Manchester, che ricevette migliaia di sterline solo per essersi iscritto all'Università. Sami Abu-Yusu, imam Salafita della moschea al-Tawheed di Colonia, sostiene la legittimità degli stupri delle donne infedeli e il rogo per i gay, ma vive col sussidio di disoccupazione gentilmente offerto dallo Stato tedesco. Julian King nel suo rapporto non ha dimenticato la lotta virtuale ai jihadisti del Web. Negli ultimi 2 anni Europol ha individuato "35mila elementi di contenuto terroristico online". Una quota compresa fra l'80 e il 90% di questi è stata eliminata: si tratta di circa 30mila contenuti.
Fonte: Corrispondenza Romana, 20/09/2017
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SE FEDE E RAGIONE NON STANNO INSIEME, IL CATTOLICESIMO DIVENTA UN'ALTRA COSA
Rischia di diventare una prassi senza contenuti, una pastorale senza dottrina, un umanesimo senza Cristo, uno stare insieme senza sapere perché, un dialogo senza annuncio, una carità senza verità, un pluralismo senza unità, un'etica senza dogmi, una coscienza vuota di contenuti, un come senza un perché
Autore: Stefano Fontana - Fonte: Osservatorio Van Thuân, 15/09/2017
Questa data, di cui ricorre l'undicesimo anniversario, è rimasta e rimarrà nella storia. In quel giorno Benedetto XVI tenne all'Università di Regensburg il discorso forse più importante di tutto il suo pontificato (perfino Giuseppe Vacca, il direttore dell'Istituto Gramsci, disse che qualsiasi persona di cultura deve aver letto quattro discorsi di papa Benedetto: Regensburg, il discorso ai Bernardins di Parigi, quello alla Sapienza di Roma e quello al Parlamento tedesco).
IL DISCORSO DI REGENSBURG Il discorso di Regensburg, pur nella sua brevità, è una summa di intelligenza cristiana e può trovare applicazione in tutti gli ambiti della vita di fede. Esso riguarda infatti un tema di teologia fondamentale: il rapporto tra la ragione e la fede. Tema urticante in un tempo in cui né le religioni né la ragione stessa credono più nell'importanza di questo rapporto. Benedetto colpiva al cuore sia il relativismo delle società occidentali che di verità non vogliono più sentire parlare, sia le religioni che male impostano il problema, come l'Islam e il protestantesimo. Come si ricorderà, subito dopo il discorso di Regensburg si sollevò un gran polverone: il mondo islamico protestò violentemente contro il Papa. Egli, in seguito, confessò candidamente di non aver pensato alle conseguenze politiche del suo dire, che comunque resta e resterà, nonostante i polveroni. La frase centrale era quella pronunciata dall'imperatore d'oriente, di fede cristiana, ad un pensatore musulmano durante un dialogo filosofico-teologico: «Ciò che è contro la ragione non viene dal vero Dio». Come si sa, per l'Islam Dio è Volontà onnipotente a cui si deve cieca e letterale obbedienza. Ecco perché essi si ritennero colpiti nel vivo. Ma la colpa non era di papa Benedetto, era della realtà delle cose.
UNA FEDE SENZA RELIGIONE L'attenzione generale fu indirizzata dai media solo su questo aspetto del discorso di Regensburg e nessuno fece notare che da quel discorso ne usciva male anche la religione protestante e, soprattutto, il cattolicesimo secolarizzato che vorrebbe accordarsi con un mondo senza verità. Non è inutile accennarne ora, mentre si ricordano i 500 anni della Riforma. Su questo punto le differenze tra la religione di Lutero e quella cattolica sono molto forti e papa Benedetto collocava il protestantesimo dentro il processo di corrosione del rapporto tra la ragione e la fede proprio dell'Occidente, considerandolo oggettivamente come alleato al cattolicesimo secolarizzato. Un implicito e oggettivo avvertimento al percorso ecumenico. Dal discoro di Regensburg, naturalmente, nasceva non tanto una critica quanto soprattutto una grande proposta di ampio respiro che non deve essere dimenticata. Se non si tengono insieme la fede e la ragione, il cattolicesimo rischia di cambiare il proprio DNA. Rischia di diventare una fede senza religione, una prassi senza contenuti, una pastorale senza dottrina, un umanesimo senza Cristo, uno stare insieme senza sapere perché, un cattolicesimo senza missione, un dialogo senza annuncio, una carità senza verità, un pluralismo senza unità, un'etica senza dogmi, una coscienza vuota di contenuti, un come senza un perché.
Fonte: Osservatorio Van Thuân, 15/09/2017
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IL GOVERNO STA PENSANDO DI CONSIDERARE REATO AVERE SOLDI CONTANTI (ANCHE SE GUADAGNATI ONESTAMENTE)
Maria Elena Boschi ha dichiarato: ''Dobbiamo porci il problema di come aggredire il contante che è presente nelle case degli italiani''
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 22/09/2017
"Dobbiamo porci il problema di come aggredire il contante che è presente nelle case degli italiani". La frase ormai è celebre e i lettori la riconosceranno. Non l'ha pronunciata un bandito, ma la nostra vicepremier, Maria Elena Boschi. E lo ha detto in un evento dal titolo eloquente: "A Cesare quel che è di Cesare". "È quindi diventato un reato detenere del contante, lecitamente guadagnato e già abbondantemente scremato dall'esosità del fisco! - commenta alla Nbq Maurizio Milano (Alleanza Cattolica) esperto di finanza - Per non parlare del termine utilizzato, "aggredire", indegno di un politico che consideri il proprio ruolo come quello di servitore del bene comune". La Boschi ha anche vantato, nella stessa occasione, il recupero di 23 miliardi di euro di evasione, con la sottolineatura "in Italia c'è la percezione di un'eccessiva pressione fiscale". "Ammesso e non concesso che la cifra riportata sia realistica - dice Milano - secondo il Boschi-pensiero in Italia la colpa è sempre dei cattivi evasori: non è vero che il nostro sia tra i Paesi più tassati al mondo e non vi è assolutamente una pressione fiscale esorbitante che schiaccia famiglie ed imprese. Macché, è solo una "percezione" falsa, senza basi reali. E dire che la scorsa estate i media ci hanno vessato con l'idea della temperatura "percepita" bel più alta di quanto indicava la colonnina di mercurio. Reale o percepito?
COSÌ È, SE VI PARE Insomma, «così è, se vi pare». Peccato però che i dati ufficiali stimino il total tax rate gravante sulle imprese italiane a ridosso del 65%, contro il già elevato 49% della Germania ed il più ragionevole 29% della Svizzera: è ragionevole affermare che le imprese italiane si lamentano a torto, per una "percezione" distorta della realtà?". Inoltre: "A fronte di una persecuzione fiscale da fare invidia allo sceriffo di Nottingham, il "quantum" del recupero dell'"evasione" fiscale andrebbe poi analizzato accuratamente, distinguendo tra ciò che corrisponde ad effettive evasioni ed elusioni, giustamente da sanzionare, e quanto invece alla pressione su dirigenti e funzionari dell'Agenzia delle Entrate a centrare i loro "obiettivi monetari" di recupero dell'"evasione", con ogni mezzo. Un po' come quelle amministrazioni comunali che si trovano a fine anno sotto budget sulle contravvenzioni stradali ed iniziano a mettere autovelox ovunque: viene davvero raggiunto l'obiettivo "sicurezza stradale", nel secondo caso, e l'obiettivo "equità fiscale", nel primo? È lecito dubitarne, l'importante è fare cassa". E qui si arriva al punto veramente dolente. Cioè ai contanti da "aggredire". Il denaro a cui si riferiva Maria Elena Boschi ammonta a 180-230 miliardi di euro (a seconda delle stime) in contanti nelle cassette di sicurezza, secondo le stime di Banca d'Italia e organi investigativi. Due "voluntary disclosure" (emersione volontaria), una nel 2015 e l'altra nel 2017 ancora in corso non hanno avuto il successo sperato. Anche perché non era conveniente: facendo "emergere" il contante, rendendolo tracciabile, le tasse sarebbero state ricalcolate negli ultimi cinque anni, con un forte aggravio per il contribuente. Cosa stanno per fare, allora? Dal 2015 è in vigore il reato dell'auto-riciclaggio, che può costare fino a 9 anni di reclusione. Per chi ha molti contanti l'alternativa è secca: o non usa quel denaro, oppure rischia un'incriminazione per auto-riciclaggio.
OLTRE AL BASTONE C'È ANCHE LA CAROTA Il governo si adopererà per rendere più facile il pagamento con moneta elettronica. Ma anche in questo caso, quella che è una carota per il consumatore, è un'altra bastonata per i venditori e i professionisti che prestano servizi al pubblico: arrivano adesso, infatti, le sanzioni per chi non è dotato di Pos per i pagamenti con bancomat e carte di credito e debito. La battaglia contro i contanti non è affatto nuova. E' in corso in tutto l'ultimo decennio, con una campagna mediatica martellante rilanciata da dichiarazioni politiche a tema. Il governo Monti, nel 2012, aveva fissato il limite del pagamento in contanti a 999,99 euro, dunque dai 1000 euro in su, come tutti noi ricordiamo ancora, dovevamo necessariamente pagare con moneta elettronica. Dal gennaio 2014, le banconote da 200 e 500 euro sono considerate "a rischio" di attività di riciclaggio e stanno sparendo dal mercato. Entro il 2018, la banconota da 500 euro sarà ritirata. Renzi ha alzato la soglia del pagamento in contanti a 2999,99 euro, rilassando leggermente il vincolo. Tuttavia il suo stesso governo ha introdotto l'obbligo dei Pos (su cui, appunto, adesso scattano le sanzioni), la fattura elettronica per tutti i fornitori della Pubblica Amministrazione, lo scontrino elettronico, che è già obbligatorio per la grande distribuzione, che comunica direttamente al Fisco tutto ciò che si incassa. Ma i controlli non si limitano a questi, perché se è vero che c'è un tetto sui pagamenti in contanti, coerentemente c'è anche sul denaro che versiamo in banca e su quello che preleviamo. Sia chi preleva che chi versa deve anche dimostrare, documentazione alla mano, con date e circostanze certe, come ha speso i soldi che ha prelevato, o dove ha recuperato quelli che sta versando. Altrimenti deve pagare tasse aggiuntive sui contanti, che a quel punto vengono considerati automaticamente come reddito.
UNA CAMPAGNA STAMPA MARTELLANTE A queste norme, sfornate una dietro l'altra a ritmo crescente, si accompagna una campagna stampa martellante. Contante è uguale a criminalità: "Ricordo che solo tre categorie umane non possono fare a meno del contante: lo spacciatore, il delinquente e l'evasore" diceva la giornalista Milena Gabanelli nella sua trasmissione Report, nel 2012, quando lanciò una vera e propria crociata contro il contante. Ma la criminalità ha bisogno dei contanti, necessariamente? No, come spiega, con dovizia di dettagli, il giornalista ed editore Leonardo Facco in Elogio del contante, la più accorata difesa del più classico metodo di pagamento. No, perché un bravo hacker è, già da ora, perfettamente in grado di mascherare origine e destinazione di ogni pagamento elettronico. Possibile che tanta enfasi sulla criminalità non celi altri intenti? A pensar male... si può pensare che la tracciabilità serva soprattutto al prelievo dai conti privati di tutto il necessario da parte dello Stato, senza possibilità di difesa. E' un ulteriore modo di penetrare nelle mura domestiche della famiglia, entro cui è difficile che un padre o una madre o un fratello paghino con bonifici, mentre è molto più facile che si prestino o regalino soldi in contanti. E' insomma, un'ennesima imposizione di un potere verticale sulla società. "Date a Cesare quel che è di Cesare" - conclude Milano - è fondativo della legittima autonomia delle realtà temporali ma rischia di venire assolutizzato se non è letto insieme al resto della frase "e date a Dio quel che è di Dio". Non compete davvero allo Stato decidere se i cittadini possono o meno detenere contante, che rimane un legittimo presidio di libertà. Uno degli ultimi".
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 22/09/2017
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SI PUO' FARE LA COMUNIONE SENZA ESSERSI PRIMA CONFESSATI?
Il prezioso insegnamento del Concilio di Trento ci insegna ad essere equilibrati (inoltre è bene avere un padre spirituale)
Autore: don Gianni Cioli - Fonte: Aleteia, 26 giugno 2017
Mi è capitato a volte di rinunciare a fare la Comunione, durante la Messa, pensando di avere qualche peccato da confessare. Una persona però mi ha fatto presente che non è necessario confessarsi ogni settimana e che, a meno di non avere sulla coscienza peccati gravi, fare la Comunione è comunque cosa buona perché l'Eucarestia è anche una medicina che guarisce dai peccati. Nel dubbio, cosa è meglio fare? Lettera firmata Per rispondere alla domanda mi pare opportuno attingere direttamente alla dottrina del Concilio di Trento che affrontò la questione in maniera dettagliata nella Sessione XIII (11 ottobre 1551) e più esattamente nel Decreto sul santissimo sacramento dell'eucaristia. Nel secondo capitolo del decreto si legge: «Il Signore, quindi, nell'imminenza di tornare da questo mondo al Padre, istituì questo sacramento. In esso ha effuso le ricchezze del suo amore verso gli uomini, rendendo memorabili i suoi prodigi (Sal 110,4), e ci ha comandato (Cfr. Lc 22,19; 1Cor 11,24) di onorare, nel riceverlo, la sua memoria e di annunziare la sua morte, fino a che egli venga (1Cor 11,26) a giudicare il mondo. Egli volle che questo sacramento fosse ricevuto come cibo spirituale delle anime, perché ne siano alimentate e rafforzate, vivendo della vita di colui, che disse: Chi mangia me, anche lui vive per mezzo mio (Gv 6,58) e come antidoto, con cui liberarsi dalle colpe d'ogni giorno ed essere preservati dai peccati mortali» (DS 1638, il grassetto è mio). Nel settimo capitolo del medesimo decreto a proposito Della preparazione necessaria per ricevere degnamente la santa eucaristia si dice, invece, che «...quanto più il cristiano percepisce la santità e la divinità di questo celeste sacramento, tanto più diligentemente deve guardarsi dall'avvicinarsi a riceverlo senza una grande riverenza e santità, specie quando leggiamo presso l'apostolo quelle parole, piene di timore: Chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve il proprio giudizio, non distinguendo il corpo del Signore (1Cor 11,29). Chi, quindi, intende comunicarsi, deve richiamare alla memoria il suo precetto: L'uomo esamini se stesso (1Cor 11,28). E la consuetudine della Chiesa dichiara che quell'esame è necessario così che nessuno, consapevole di peccato mortale, per quanto possa credere di esser contrito, debba accostarsi alla santa eucaristia senza aver premesso la confessione sacramentale» (DS 1646-47, il grassetto è mio). Sulla base questi testi mi pare non esservi alcun dubbio che la Chiesa ci esorti a fare sempre la comunione ogni volta che partecipiamo alla Messa, quindi come minimo tutte le domeniche, a meno di non essere consapevoli di aver commesso un peccato mortale. La Chiesa ci esorta a fare la comunione tutte le volte che è possibile perché ci ricorda che questo «cibo spirituale» ci libera dalle «colpe di ogni giorno» (cioè dai peccati veniali, come puntualizza anche il Catechismo della Chiesa cattolica) e ci preserva dai peccati mortali. La Chiesa ovviamente non ci obbliga a fare le comunione tutte le domeniche, (l'obbligo esiste ma è limitato a una volta all'anno! [a Pasqua, N.d.BB]), ma certo ci fa capire che rinunciare alla comunione significa privarsi di un grande aiuto spirituale che il Signore ci ha donato nella sua bontà, consapevole dei nostri bisogni. Certo, proprio la consapevolezza della grandezza e della bellezza del dono ci spinge a non accostarci al Sacramento in una condizione indegna e quindi, come puntualizza il Concilio, ciascuno deve esaminare se stesso con sincerità e desiderio di conversione, e confessare i peccati gravi di cui avesse consapevolezza, soprattutto in vista della propria conversione e della vita eterna. Ma se uno non ha consapevolezza di aver commesso peccati gravi non dovrebbe aver timore di accostarsi all'eucaristia. Questo naturalmente non toglie il valore della confessione frequente anche dei soli peccati veniali, che la Chiesa raccomanda, ma non la si dovrebbe collegare meccanicamente alla comunione. L'importante è acquisire la disposizione ad esaminare con sincera onestà, ma senza scivolare nello scrupolo, la propria coscienza e a non peritarsi a ricorrere con sollecitudine al sacramento della penitenza qualora si avesse consapevolezza di essersi allontanati seriamente da Dio che è la pienezza della nostra vita. Il problema è che è mancata nella Chiesa la capacità di educare i cristiani ad un esame di coscienza serio e sereno. In passato infatti, il timore di essere in peccato mortale portava i cristiani a ritenere che fosse necessario confessarsi ogni volta che intendevano accostarsi alla comunione, col risultato che alle messe domenicali, nonostante la dottrina incoraggiante del Concilio di Trento, facevano la comunione davvero in pochi. Oggi al contrario si ha l'impressione che molti di quelli che partecipano alla Messa, anche a giudicare dalla scarsità delle confessioni, si accostino, nonostante gli ammonimenti di Trento, alla comunione senza farsi grandi problemi circa i propri peccati e, più che altro, senza aver fatto alcun esame di coscienza. In entrambi casi è mancata, e manca, la capacità di discernere. In entrambi i casi si è rischiato, e si rischia, di perdere la gioia della conversione. Una via da percorrere per superare la condizione di dubbio circa la propria reale condizione di peccato, a cui allude la lettrice, e per non cadere né in un atteggiamento di scrupolo, che vede il peccato mortale ovunque, né in quello di una superficialità che si autoassolve da ogni peccato, penso possa essere quella di intraprendere un serio percorso di direzione spirituale in grado di fornire sereni criteri di discernimento per camminare e convertirsi nella carità, sentendosi veramente amati da Dio. Egli non è un giustiziere che attende la nostra caduta per condannarci, ma è il Padre che ci attende con amore per correrci incontro e abbracciarci (cfr. Lc 15,20).
Fonte: Aleteia, 26 giugno 2017
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OMELIA XXVI DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 21,28-32)
I pubblicani e le prostitute vi passano avanti
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 1 ottobre 2017)
La prima lettura di questa domenica è un invito alla conversione. La conversione ridona vita alla nostra anima, dopo la triste esperienza del peccato. Così dice il Signore per bocca del profeta Ezechiele: «Se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso» (Ez 18,27). L'inizio della conversione è riflessione. Ciò è messo in luce da questa lettura profetica con queste parole: «Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà» (Ez 18,28). È dunque necessario riflettere sulla nostra condotta e fare nostre le parole del salmista: «Fammi conoscere Signore le tue vie, insegnami i tuoi sentieri» (Sal 24,4). I maestri di vita spirituale insegnano che è molto importante, per non dire indispensabile, un po' di meditazione quotidiana. Bisogna meditare sulla Parola di Dio e sulla vita dei Santi i quali hanno messo in pratica fedelmente il Vangelo. La meditazione consiste nel leggere attentamente questi brani e nel pensare cosa il Signore voglia dirci con ciò che stiamo approfondendo. Da questa riflessione scaturiranno certamente dei propositi di miglioramento. Insegna sant'Alfonso de' Liguori che meditazione e peccato non vanno mai insieme: o si lascia la meditazione, oppure si lascia il peccato. Anche se uno avesse, per così dire, già un piede all'inferno, se iniziasse a meditare anche solo per un quarto d'ora al giorno, certamente arriverebbe a convertirsi. Chi si converte è come quel figlio di cui parla il Vangelo di oggi, il quale inizialmente dice di no al padre e poi, ravveduto, va a lavorare alla vigna paterna. Tante volte noi siamo invece come il primo figlio, il quale dice di sì e poi non fa niente. Diciamo di sì in un momento di entusiasmo e poi ci riprendiamo ciò che abbiamo donato al Signore. Convertirsi significa diventare sempre più simili a Gesù fino ad avere in noi, come dice san Paolo, i suoi stessi sentimenti (cf Fil 2,5). Convertirci significa crescere continuamente nella carità, mettendo in pratica ciò che insegna la seconda lettura di oggi: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,3-4). Un esempio bellissimo di conversione ce lo offre proprio san Paolo. Inizialmente egli perseguitava la Chiesa ma poi, ricevuto il Battesimo, lavorò nella vigna del Signore con la stessa energia e lo stesso zelo con cui prima combatteva il Cristianesimo. Gesù termina la parabola dei due figli con delle parole che ci fanno molto riflettere: «I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio» (Mt 21,31). I pubblicani e le prostitute erano le persone più disprezzate in Israele, eppure erano quelle che accolsero con più disponibilità la predicazione del Vangelo. Proprio per il loro evidente peccato, essi non commettevano il grave errore di considerarsi a posto davanti a Dio. Essi sapevano di essere molto bisognosi di misericordia. L'insegnamento è molto chiaro: non possiamo condannare nessuno prima del tempo. Anche il più grande peccatore può passarci molto avanti in Paradiso. Tante volte noi, invece, disprezziamo e condanniamo il prossimo e non ci accorgiamo che i più lontani da Dio forse siamo proprio noi per la stolta presunzione di considerarci a posto. Una volta da un santo eremita andarono due donne per ricevere dei consigli spirituali. Una era una grande peccatrice, una prostituta, l'altra era una donna apparentemente per bene. Il santo eremita disse alla grande peccatrice di portargli una grossa pietra, e chiese alla donna per bene di portargli un sacco di sabbia. Dopo alcune ore tornarono tutte e due affaticate. L'eremita fece questa domanda: «Chi di voi ha fatto più fatica?». Evidentemente tutte e due fecero molta fatica. Alla fine egli spiegò che la grossa pietra simboleggiava il grande peccato della prostituta, mentre il sacco di sabbia significava la grande presunzione della donna per bene. Quale dei due era il peccato più grande? A noi la risposta. Riflettiamo dunque sulla nostra condotta, allontaniamoci dalla stolta arroganza, e così avremo la salvezza.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 1 ottobre 2017)
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