BastaBugie n�530 del 01 novembre 2017

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1 COSA SI FA PER UN MINUTO DI CELEBRITA'
Le assurdità del guinness dei primati... molto meglio la santità
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 LE DITTATORIALI POLITICHE EDITORIALI DEL GOVERNO
Così droghiamo il cinema italiano... ridateci Zalone!
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 ULTIMA MODA: IL MATRIMONIO CON SE STESSI
L'auto-sposa dichiara: ''Prometto di essermi fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarmi e onorarmi tutti i giorni della mia vita''
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
4 GLI IMPRODUTTIVI A CUI PIACE BELLO FIGO
Elite e giovani difendono il cantante osceno che si beffa di noi italiani
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
5 IN NOME DELLA LEGGE E DELL'INGIUSTIZIA UMANA
Un giudice infligge al killer 17enne di Monopoli la terribile pena di tre anni di scuola
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 PEDOFILIA A HOLLYWOOD? NON SE NE PUO' PARLARE
Riflessioni sull'ipocrisia dello scandalo Weinstein, il produttore hollywoodiano nel mirino per le molestie sessuali
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 SIAMO UOMINI O CAPORALI?
L'impossibile matrimonio tra nozze gay e esercito
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
8 BASTA UNA FERRARI PER DIRSI RICCHI?
Nuovo libro-intervista a Ettore Gotti Tedeschi con i meccanismi dell'economia comprensibili a chiunque
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
9 OMELIA XXXI DOM. TEMPO O. - ANNO A (Mt 23,1-12)
Il più grande tra voi sia vostro servo
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - COSA SI FA PER UN MINUTO DI CELEBRITA'
Le assurdità del guinness dei primati... molto meglio la santità
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 11/09/2017

Il Guinness World Records è un librone illustrato che contiene tutti «i più» del mondo: il più alto, il più basso, il più lungo, e così via. Certo, messa così sembra il motto delle olimpiadi (citius, altius, fortius...) e per qualche aspetto può essere anche divertente. Per esempio, quando un'intera cittadina si mobilita per cucinare il tiramisù più grosso del mondo (quest'anno, Gemona in Friuli, 3015 kilogrammi) o un budino di riso di 2070 chili, in India. Almeno lo mangiano.
Poi, però, si passa alle cose inservibili e create apposta per entrare nel Guinness, come il pallone da calcio di Doha nel Qatar, alto 12,19 metri. Vabbe', incentiva il turismo in un posto dove da vedere ci sarebbe, sennò, solo il deserto. Ma la tristezza arriva quando si passa a persone che si caricano di sacrifici enormi al solo scopo di avere il loro warholiano «quarto d'ora di celebrità». E solo quello, perché l'antico Circo Barnum i suoi freaks almeno li pagava, e si trattava di persone che, dati i tempi ottocenteschi, plausibilmente non avrebbero avuto altra fonte di sostentamento: donne barbute, gemelli siamesi, nani e infelici affetti da deformità importanti.

GUINNESS WORLD RECORDS 2018
Ma qui, nel Guinness World Records 2018 ci sono personaggi che si infliggono degli handicap al solo scopo di rimediare una comparsata in qualche programma televisivo di «mirabilia» o, appunto, nel Guinness. E' il caso dell'americana Ayanna Williams, che vanta le unghie (delle mani) più lunghe del mondo: quasi sei metri (576 cm. per l'esattezza). Dette unghie, per forza, si sono incurvate e descrivono ampi cerchi che obbligano la donna a tenere le dita sempre divaricate e le mani distanti dal corpo. Come farà per dormire? Quanti anni sono che questa persona si costringe a non usare più le mani? Chi è che si occupa dei suoi bisogni più elementari, a cominciare dalla toeletta? La Williams necessita anche di qualcuno che la imbocchi, per forza di cose. E tutti questi sacrifici solo il «quarto d'ora di celebrità» che non si sa quando e se viene? Infatti, l'anno prossimo il «record» può aggiudicarselo qualcun altro.
Non c'è, appunto, niente di più effimero che la gloria del Guinness. Eppure c'è gente che fa letteralmente di tutto pur di conseguirla. E non solo unghie: la cinese You Jianxia ha delle ciglia così lunghe che le arrivano sotto il mento. Per avere gli occhi liberi deve pettinare all'indietro, insieme ai capelli, quelle superiori; le inferiori le porta sciolte. Tagliarsele? Macché, vuoi mettere una fotina nel Guinness?

UNO STRIMINZITO QUARTO D'ORA DI CELEBRITÀ
E poi, al solito: quello che colleziona orsacchiotti (americano, ne ha 8025: ha dovuto affittare un capannone per metterceli dentro) e quello con l'acconciatura dei capelli più alta (californiano, mezzo metro in verticale sulla testa), l'ottantacinquenne (americano pure lui) che continua a fare body building (sono più di settant'anni che solleva pesi) e la cinese che ha i peli delle sopracciglia lunghe dodici centimetri (a tagliarli non ci pensa nemmeno).
Il Guinness World Records pare sia il libro più venduto al mondo e, come abbiamo visto, certuni considerano una fortuna esservi menzionati. Se il sacrificio valga la pena, è considerazione che lasciamo a loro. Certo, anche molti Santi cattolici hanno infranto record sovrumani: si pensi a quelli che vissero decenni nutrendosi di sola eucarestia (come san Nicola di Flüe) o quelli che da soli convertirono centinaia di migliaia di pagani (come san Francesco Saverio) o quelli che, partendo da niente, compirono opere colossali (come san Giovanni Bosco). Ma loro, almeno, avevano di mira la beatitudine eterna, mica lo striminzito «quarto d'ora» del Guinness.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 11/09/2017

2 - LE DITTATORIALI POLITICHE EDITORIALI DEL GOVERNO
Così droghiamo il cinema italiano... ridateci Zalone!
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 09/10/2017

Aridàteci Checco Zalone (che non si chiama nemmeno così), almeno ci fa ridere, e davvero, senza declinazioni politicamente corrette, senza denuncia sociale, senza immigrati e degrado. Sulle sue sole spalle si regge il cinema italiano, ed è inutile girarci intorno. E' vero, sono film leggeri, i suoi, senza pretese, girati al risparmio. Ma dimostrano che sono le idee, quelle che "fanno" un film. E che certe idee, di contro, sono stucchevoli, stantie, fastidiose. Fuori dai denti: non se ne può più del cripto-marxismo antiborghese del nostro cinema. E che questo non sia solo un nostro cruccio è dimostrato dai numeri: la quota di mercato che il cinema italiano riesce a strappare coi denti si attesta intorno al 18% (quando non c'è Zalone).

CINEMA DROGATO
E il nostro è un cinema drogato: aiuti ministeriali, di RaiCinema, fondi regionali. «Di interesse culturale» lo chiamano, e giù denari. Malgrado il «culturale», però, agli italiani non interessa. Allora, che fanno, color che comandano? Anziché cominciare a dire «bambole, non c'è 'na lira, la pacchia è finita, arrangiatevi; cioè, spremetevi il cervello, fatevi venire nuove (e buone) idee», l'ultima trovata è questa: costringiamo gli italiani a guardarli, questi film. Bella pensata, degna del Minculpop. Comprate nazionale, anche se dovete sorbirvi il karkadé al posto del caffè. Scherzavano? Macché, ecco. Il Consiglio dei Ministri ha approvato il 2 ottobre, e con decreto legislativo (cioè, da subito, senza passare per le Camere) l'aumento delle quote di tempo che le televisioni devono riservare obbligatoriamente ai film italiani: 12% per la Rai e la metà per i canali privati. Che, appunto perché privati, non si vede in nome di quale logica debbano sopportare questo diktat. Non basta: sono aumentati anche gli investimenti obbligatori di tali emittenti a favore della produzione italiana. Ed europea: «ce lo chiede l'Europa» anche questo? Eggià, il nazionalismo, di questi tempi, si allarga alla Ue, e bastonate per chi non ci sta (vedi Brexit).

LE DITTATORIALI POLITICHE EDITORIALI DEL GOVERNO
Ora, a parte questa trovata dittatoriale di costringere le aziende private a rinunciare ai propri piani per subire le politiche editoriali del governo, servisse a qualcosa magari applaudiremmo. Ma viene in mente il verso di De André (cfr. La cattiva strada): «...a un ubriaco versò da bere ancora un poco...». Sì, perché il cinema italiano è già drogato. Di sussidi. Ora si mette lo spettatore nella condizione del protagonista di Arancia meccanica, che un marchingegno teneva con gli occhi sbarrati e puntati su uno schermo. Nel quale venivano proiettate filmati «rieducativi». L'ultima salvezza, per chi il cinema italiano proprio non lo sopporta, sta nel telecomando. Al quale, però, il decreto legislativo di cui si è detto ha ridotto il campo di scelta.
Ai cervelli che ci governano verrà mai in mente che, così facendo, si continua a tenere in piedi uno zombie, un mezzo cadavere che campa di stampelle statali e che - scusate se sono chiaro - non piace? Che risparmio di denaro pubblico sarebbe abolire tout court il finanziamento a un «interesse culturale» che non interessa nessuno... I cineasti sarebbero costretti a spremere il loro, di cervello, e a chiedersi perché il cinema americano domina i botteghini senza alcun aiuto pubblico. Si dirà che in Italia non ci sono i produttori-paperoni americani? Ma il cinema italiano ha dato lezioni a tutti senza soldi. Con il neorealismo, con i «peplum» girati a Cinecittà, con gli spaghetti-western girati in Sardegna o ad Almeria o in Marocco. La necessità aguzza l'ingegno, dovrebbe essere questo il motto di chi aspira a fare il cineasta. Sennò si finisce (e ci siamo già finiti) a fare quel che faceva mio padre quando annusava la tivù e vedeva un film francese: pfui, francese! diceva. E cambiava canale. O andava a letto.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 09/10/2017

3 - ULTIMA MODA: IL MATRIMONIO CON SE STESSI
L'auto-sposa dichiara: ''Prometto di essermi fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarmi e onorarmi tutti i giorni della mia vita''
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26/09/2017

Ahò, l'ha detto e l'ha fatto. Laura Mesi, istruttrice di fitness di Lissone (nuova provincia di MB, Monza & Brianza), si è sposata con se stessa. Sì, uno di Napoli l'ha fatto prima di lei, ma lei ha tenuto a precisare di averci pensato prima. Due anni fa aveva trentotto anni e si è detta: se a quaranta ancora non ho trovato l'anima gemella faccio da me, self-marriage. E l'ha fatto davvero, con tanto di abito bianco, bomboniere, torta e cerimonia del taglio, lancio del bouquet nuziale di spalle (chissà chi l'ha preso: rischia un matrimonio single pure lei; in altri tempi si sarebbe detto «restare zitella»). Invitati commossi.

NIENTE PRETE, PER OVVIE RAGIONI
Nemmeno il sindaco o equipollente funzionario comunale: la legge non riconosce (ancora) simili stravaganze, ma se si diffonde la moda stiamo sicuri che qualche Cirinnà della situazione si attiverà perché il Legislatore prenda atto di un «cambiamento nel costume» e di un «fenomeno ormai diffuso». La neo self-sposa ha dichiarato a «Repubblica.it» che le chiedeva spiegazioni: «Credo fermamente che ciascuno di noi debba innanzi tutto amare se stesso. Si può vivere una fiaba anche senza il principe azzurro». Ahò, e se lo dice lei... La domanda numero due («Scusi, come si fa a vivere un fiaba da soli?») non le è stata posta, perciò arrestiamoci al quia.
Un tempo si diceva, lamentandosene: «ahimè, sono solo come un cane». Sì, perché era il timore della solitudine a spingere la gente a cercare di coniugarsi. Prima o poi viene la vecchiaia, per tutti, e da soli non ci se la cava: chi ci assiste quando siamo malati? L'Asl? Seeeh, vai a fare la fila con la febbre? Ma sprecherei il mio tempo se elencassi tutti i vantaggi pratici (che non sono i soli) del coniugio, motivo per cui tutti ci tengono tanto, perfino i preti e gli omosessuali. No, cercheremo di capire le motivazioni della signorina (pardon, adesso signora) Mesi, felicemente (si fa per dire) autosposatasi.
Temiamo che si tratti del solito, ormai trito, warholiano «quarto d'ora di celebrità». Infatti, la neoautosposa l'ha avuto. Scarsino, ma effettivo. Sì, perché per leggere l'articolo che «Repubblica.it» ha dedicato al suo evento nuziale ci vuole meno del classico quarto d'ora. Diciamo, allora, dieci-cinque minuti di celebrità. Pagati piuttosto carucci: l'articolo parla di diecimila euro per abito, pranzo catering, prenotazione sala e doppio anello intrecciato. Gran parte della somma è stata raccolta tramite i regali di «nozze» e, dice l'articolo, c'è stato pure chi ha avuto il coraggio di commuoversi.

SOLO STRANEZZE?
«Ma la sposa garantisce che le emozioni provate sono state assolutamente reali: "Ho promesso di amarmi per tutta la vita e di accogliere i figli che la natura vorrà donarmi."». Pure questi self-made? Boh. «Anche i miei familiari sono stati molto felici - continua la sposa - compreso mio fratello che all'inizio era scettico sulla mia idea e invece poi ha finito per commuoversi accompagnandomi verso il celebrante». Be', almeno all'inizio era scettico; chissà che cosa, poi, lo ha convinto. Settanta invitati, chissà quanti almeno inizialmente scettici.
Ma poi, si sa com'è, l'entusiasmo è contagioso. Ammette la protagonista della vicenda: «Per portate avanti un progetto del genere servono una certa disponibilità economica, il sostegno di chi si ha intorno e soprattutto un pizzico di follia». Il terzo requisito, però, è un portato dei tempi, perché in certe follie c'è del metodo. Viviamo in un'epoca in cui le «unioni civili» permettono comportamenti che solo qualche anno fa sarebbero stati giudicati piuttosto maluccio. Oggi, invece, l'ossessiva attenzione su queste tematiche e la martellante propaganda Lgbt inducono a catalogare come, al massimo, stranezze, matrimoni same-sex, a tre o più, e quant'altro la fantasia umana riesce a escogitare. Perciò, la signora di Lissone, spiacenti, ma non è riuscita ad essere originale. Ormai, specialmente in tema di sesso, non ci stupisce più niente. Anche il Guinness dei Primati se ne frega. Insomma, diecimila euro che avrebbero potuto trovare più utile impiego.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26/09/2017

4 - GLI IMPRODUTTIVI A CUI PIACE BELLO FIGO
Elite e giovani difendono il cantante osceno che si beffa di noi italiani
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06/09/2017

Pare che ai giovani 'sta schifezz'e l'uomme piaccia. Boh. Sì, perché, stando alle date cancellate, questo personaggio ghanese dal nome d'«arte» (si fa per dire) BelloFigo pare sia piuttosto richiesto: saltato il «concerto» (sic) prima di Natale a Brescia, annullato quello di capodanno a Mantova, poi a Legnano e Foligno. E' riuscito ad esibirsi solo a Torino ed Arezzo, mentre anche l'«evento» (sic) di Roma è andato a ramengo. Perché? Minacce di italiani innervositi. E come mai questo rapper fa girare i cabbasisi ai nostri connazionali? Confesso che non frequento la musica rap, per la semplice ragione che non la considero «musica». Per dovere di informazione ho dovuto sorbirmi un video di questo ghanese ossigenato e ho visto e sentito che, anche come «rap», siamo in fondo alla classifica. Però, evidentemente, a qualcuno piace, qualcuno disposto a pagare. E lo invitano pure in televisione. E' il meccanismo dei media, bellezza. Basta diventare famosi, fosse anche per i più ignobili motivi, e il circo mediatico di fa diventare ancor più famoso, così che alla fine scrivi un bestseller autobiografico e fai pure un sacco di soldi.

UNO SBERLEFFO
Ora, qual è il segreto del ghanese del rap? Il suo hit No pago afito è uno sberleffo: ha preso tutte le lamentele dei leghisti sull'immigrazione selvaggia e se le è attribuite, condendole con il turpiloquio italiano appreso nel Paese ospite. Una piccola bugia, veniale: un verso della canzone dice che lui è scappato in Italia perché nel suo paese c'è la guerra. Non ha nemmeno la scusa della rima, perché il suo rap ne fa a meno. [...]
Questa «canzone» (sic), insomma, proprio mentre l'ultimo caso di stupro perpetrato da immigrati campeggia sui telegiornali ed esaspera l'opinione pubblica, ha comprensibilmente indispettito e diviso: chi ne aveva già le tasche piene trova che la misura sia colma, perché l'aggiunta della presa musicale per i fondelli fa traboccare il vaso; i politicamente corretti rimangono della loro idea, perché «se i fatti contraddicono la teoria, tanto peggio per i fatti» (Ernst Bloch, filosofo marxista).

LE ÉLITES E I RAGAZZINI
Per esempio, Riccardo Magi, segretario dei Radicali, intervistato mesi fa sulla Gazzetta di Parma aveva detto: «Su profughi e migranti che "non vogliono pagare l'affitto", "non vogliono lavorare" e vivono "a scrocco" degli italiani il rapper satirico incarna esattamente le stesse menzogne che, ad esempio, Matteo Salvini recita in televisione tutti i giorni, senza che nessuno si indigni». Be', questo non è proprio vero: l'élite di Capalbio sì che si indigna.
Per quanto riguarda le «menzogne» sugli immigrati, la domanda da cento miliardi di dollari è: come mai non esistono statistiche sugli umori degli italiani riguardo all'immigrazione? A parte le trasmissioni - di portata limitata - che conduceva Belpietro su Rete4, non si vedono mai sondaggi nazionali su quel che pensano gli autoctoni di questo problema. Magari si scoprirebbe che quel «vivono a scrocco» è percepito, eccome, dagli italiani. E che epifenomeni come quel ghanese ossigenato sono valutati positivamente da due fasce precise di popolazione: le élites e i ragazzini. Cioè, quelle improduttive.

Nota di BastaBugie: il seguente video (che ha avuto 18 milioni di visualizzazioni) dimostra come non solo la politica dell'accoglienza crea una situazione che porterà ad una devastazione dell'Italia senza precedenti, ma che perfino ci facciamo prendere in giro senza reagire. Provate in Italia a prendere in giro un nero e vi accorgerete della differenza di trattamento.
ATTENZIONE: la canzone contiene parolacce e volgarità. A proposito: andate in un qualunque paese musulmano (oppure va bene anche in Russia) e pubblicate un video simile e poi raccontateci se la passate liscia come il "cantante" Bello Figo che canta "Non pago affitto" per sbeffeggiarci impunemente.


https://www.youtube.com/watch?v=ookGv44MMd4

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06/09/2017

5 - IN NOME DELLA LEGGE E DELL'INGIUSTIZIA UMANA
Un giudice infligge al killer 17enne di Monopoli la terribile pena di tre anni di scuola
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 27/10/2017

Hai ammazzato uno? Eh, sei un ragazzaccio. Via, per questa volta scriverai alla lavagna cento volte «così non si fa». Ricordate quel che successe a Monopoli, in Puglia, il 2 maggio scorso? Un minorenne aveva spintonato giù da una scogliera sul lungomare un paio di pensionati, Giuseppe Dibello (settantasette anni) e Gesuino Aversa (settantacinque). I due anziani erano finiti in mare (era buio). Il secondo si era salvato a stento riuscendo a guadagnare la riva. L'altro aveva battuto la testa su una roccia ed era morto annegato.
Omicidio volontario? Parrebbe di sì, ma dice la legge che ci vuole il movente. L'omicida non era solo, era con un quindicenne. Che era stato denunciato solo per omissione di soccorso. Sì, ma il movente? Non c'è. Una bravata. Che bravi. Poverino, dice il suo avvocato che l'omicida «voleva solo fare uno scherzo, un bagno fuori stagione all'anziano». E che, volete punire uno per uno scherzetto? Sì, ma - dirà qualcuno - c'è scappato il morto. E che vuoi che sia, - dice il giudice - chi muore giace e chi vive si dà pace, non vorrai rovinare per sempre un ragazzino... Ma - insiste il qualcuno - quello è morto, e neanche serenamente: s'è spaccato il cranio sugli scogli ed è pure annegato, è una brutta morte. Ma sì, quisquiglie & pinzillacchere, direbbe Totò, non sottilizziamo: la legge non deve punire ma recuperare; il morto non si può recuperare ma chi l'ha ammazzato sì, ergo...

"SOLO" 17 ANNI...
E poi, non dobbiamo essere senza cuore, l'assassino ha solo diciassette anni. Pensa un po', qualche mese ancora e sarebbe stato maggiorenne. Certo che il morto è proprio sfortunato, neanche la soddisfazione di vedere (da lassù) il proprio esecutore in galera. Eh, tutti hanno diritto a una seconda chance, anche un quasi adulto che uccise un pensionato e ne ferì, pare gravemente, un altro. Il giudice dei minori (quello ha diciassette anni, non diciotto: dura lex sed lex) è stato paterno. Non ha riscontrato, bontà sua, l'omicidio aggravato dai futili motivi («...un bagno fuori stagione...»), non ha redarguito l'imbecille urlandogli in faccia: non lo sai che se butti giù tuo nonno da una scogliera lo ammazzi? No, si è intenerito per la povera creatura che voleva solo far fare «un bagno fuori stagione» a un vecchietto senza neanche assicurarsi che quello sapesse nuotare.
E gli ha appioppato nientepopodimenoché - udite, udite - tre anni di scuola, sano sport e volontariato. Poi, in un soprassalto di severità, ha aggiunto che in questi tre anni deve avere buoni voti. Se farà così, dice il Corsera che «vedrà cancellata definitivamente la sua colpa che altrimenti avrebbe configurato il reato di omicidio e si sarebbe tradotto in una condanna pesante. Viceversa, potrà tornare a una vita normale; libero e senza macchia». E giustizia è fatta.

TRE ANNI DI SCUOLA
Un calcolo: se quello ha diciassette anni, fa la quarta superiore, dunque due anni sarebbero non di scuola ma di università. A meno che non sia già ripetente, cosa probabile. Insomma, neanche una sberla, neanche un buffetto, neanche una tirata d'orecchi. «O gran pietà dei cavalieri antiqui...», declamava il Tasso: togliete «cavalieri antiqui» e mettete «giudici moderni». O italiani.
Ora, poiché il caso del tribunale barese non è unico, si possono tirare le somme sulla strategia di fondo (meglio: filosofia) della magistratura nazionale post-sessantottina: omicidi, rapine e stupri sono ormai derubricati a «reati minori»; anzi, non sono neanche più reati, bensì bravate degne di ogni attenuante specifica e generica, da trattare con la massima indulgenza anche perché così non si intasano le carceri. Queste ultime, invece, devono avere tutto il posto che serve per i reati finanziari, quelli contro il fisco e quelli ideologici: su queste devianze il rigore della legge si abbatterà con tutta la sua possanza anche preventiva, perché lo Stato è Dio e il politicamente corretto è il suo verbo; da che mondo e mondo la lesa maestà divina è stata trattata con la severità massima. Abbiamo detto ideologici? Sì. Se l'omicida di Monopoli avesse perpetrato il suo «scherzo» ahimè funesto indossando una maglietta con su stampata la faccia del Duce gli avrebbero dato l'ergastolo. Dopo avere ingoiato la chiave.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 27/10/2017

6 - PEDOFILIA A HOLLYWOOD? NON SE NE PUO' PARLARE
Riflessioni sull'ipocrisia dello scandalo Weinstein, il produttore hollywoodiano nel mirino per le molestie sessuali
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14/10/2017

Durante il Ventennio il Minculpop suggeriva (eufemismo) ai giornalisti di glissare sulla cronaca nera e in particolar modo sui suicidi. Infatti, è accertato (oggi, non nel Ventennio) che esiste un «effetto imitazione»: quando i giornali danno notizia, con risalto, di un suicidio, ecco che nel giro di una settimana ne spuntano come funghi altri tre o quattro, e con le stesse modalità. Non si tratta di gente che quella notizia ha istigato al suicidio, ma di persone che già rimuginavano l'idea e alle quali la notizia ha dato la spinta decisiva.
Tutto questo viene in mente a proposito dello scandalo Weinstein, il produttore hollywoodiano che, improvvisamente, si ritrova nel centro del mirino per le molestie sessuali da lui perpetrate a partire da trent'anni fa. Anche qui, basta che una si alzi e accusi, che subito altre mani si levano: anche a me! anche a me! E per un po' di tempo non passa giorno che a qualcuna non si risvegli improvvisamente la memoria. Non solo. Si crea un effetto a catena che coinvolge pure altri. Per esempio, l'attrice Hilarie Burton ha accusato il celebre attore Ben Affleck (l'attuale Batman) di averle strizzato un seno (il sinistro, per la precisione) in diretta tivù nel 2003. Niente di penalmente rilevante, visto che il fatto è avvenuto sotto le telecamere e tra due adulti consenzienti: al massimo un certo imbarazzo per chi la gag (chiamiamola così) l'ha dovuta subire a sorriso sforzato. Cattivo gusto, insomma.

IL CASO WEINSTEIN
Per quanto riguarda il caso Harvey Weinstein, chi si scandalizza pubblicamente oggi rasenta (e forse supera) l'ipocrisia. Sì, perché certe cose le sanno tutti, e da sempre. Qualche decina d'anni addietro l'americano Selwyn Ford pubblicò un libro che (non) fece scandalo, Il sofà del produttore. Sottotitolo: Il rito del "pedaggio sessuale" nella storia di Hollywood. Nel quale figuravano i nomi delle più celebri e celebrate star del cinema americano, alcune delle quali poi diventate «icone». Lo lessi fresco di traduzione italiana e ve ne risparmio brani e citazioni.
E' tuttavia riassumibile in una scenetta, ivi descritta, che mi è rimasta impressa: l'aspirante attrice entra nello studio del produttore ed espone i suoi desiderata; quello gli fa presente che non è abituato a parlare con postulanti ancora vestite. Ora, gli strali sono finiti tutti addosso a Weinstein, e chissà perché solo a lui. La moglie vuole lasciarlo, l'Academy of Motion Picture Arts and Sciences (l'associazione che ogni anno organizza la cerimonia degli Oscar) lo ha sospeso a tempo indeterminato, chi lamenta sue molestie di trent'anni fa, chi addirittura rivela di essere stata da lui stuprata. Di fronte alla valanga di accuse («disgustose, ripugnanti, contrarie ai principi dell'Academy e della comunità creativa che essa rappresenta»; la quale, lo sanno tutti, è composta da puritani), anche chi in un primo tempo aveva cercato di difendere il produttore getta la spugna: ormai la slavina è in movimento e non rimane che mettersi in salvo.

PEDOFILIA A HOLLYWOOD? NON SE NE PUÒ PARLARE
Pochi anni fa la regista hollywoodiana Amy Berg ebbe una nomination agli Oscar per un documentario sulla pedofilia nel clero cattolico (Deliver us from evil). Poi ebbe la balzana idea di girarne un altro, solo che stavolta indagò sulla pedofilia a Hollywood (An open secret). Nessuno volle distribuirlo e il film le rimase sul gozzo. Insomma, Harvey Weinstein è senza dubbio uno sporcaccione, ma è davvero l'unico di quell'ambiente? Come mai la croce gli si è abbattuta addosso dopo trent'anni? Il suo caso ricorda quello del francese Dominique Strauss-Kahn, accusato di molestie da una cameriera d'albergo: la sporca faccenda gli costò la nomina al Fondo monetario internazionale e lo marchiò per sempre sui media di tutto il mondo. Anche lui di origini ebraiche.
Intanto, la figlia di Weinstein ha chiamato al telefono i soccorsi perché il padre manifestava intenzioni suicide. Pare che andrà a farsi curare la sesso-dipendenza in un centro specializzato. Nel frattempo la Miramax l'ha licenziato. Tutto molto giusto. Ma, ripetiamo, a orecchio Weinstein non ci pare una mosca bianca. Niente, aspettiamo un altro Sofà del produttore. Magari il seguito.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14/10/2017

7 - SIAMO UOMINI O CAPORALI?
L'impossibile matrimonio tra nozze gay e esercito
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06/10/2017

Il generale di corpo d'armata Marco Bertolini in data 3 ottobre u.s. ha pubblicato un commento - tra il rassegnato e l'indignato - su «CongedatiFolgore», che è il giornale online degli ex paracadutisti militari italiani. Le foto a corredo (titolo: «Oggi sposi») mostrano un giovanotto in divisa di gala (doppiopetto blu notte con bottoni dorati, fascia azzurra a tracolla, spadino al fianco) che si sposa con un altro giovanotto (in borghese, questo), brindisi a braccia intrecciate, sindaco e perfino la Cirinnà tutta contenta. Si intravedono pure due bambine, che il tulle lascia supporre damigelle.
Si tratta di un ufficiale di marina che ha convolato giusto un anno fa presso la sala consiliare del comune di Piombino. Perché il generale ha aspettato un anno prima di esprimere il suo disappunto? Boh. Infatti di questo si tratta, anche se esternato con stile non pungente ma solo lievemente amaro. Il generale ricorda i tempi, in verità non lontanissimi, in cui nessun Allievo poteva farsi vedere nel raggio di cento metri dall'Accademia Navale in atteggiamenti affettuosi con una donna, fosse anche la madre. Tempi in cui gli era vietato il trasporto di qualsiasi oggetto atto a inficiare il decoro dell'uniforme, fosse anche la busta di plastica del supermercato. Guanti bianchi, mano destra libera e pronta al saluto (militare, ovviamente) e sinistra sull'elsa dello spadino.

UOMINI O CAPORALI?
E ciò valeva anche per i mancini, nessuno poteva ritenersi esentato. Per forza: siamo uomini o caporali (diceva Totò)? Le Forze Armate, e le Scuole Ufficiali delle varie Armi, erano e dovevano essere la quintessenza della virilità marziale. Per questo ci si andava, ed era questa, anzi, l'attrattiva. Forse ci abitueremo, forse a questo serve la propaganda ossessiva: a far sì che ci adattiamo a considerare "normale" qualcosa che un generale in (fresca) pensione fa fatica a trangugiare. Certo, anche i "femminielli" (i due di Piombino sono napoletani) possono essere depositari di virtù belliche, come no. Il ricordo - letterario - va a quella falange di tebani (mi pare) tutta composta di omosex e sulla cui bellicosità non si scherzava.
Ma è anche vero che nessuno di loro si sarebbe sognato di sposarsi con tanto di cerimonia e damigelli/e. Scrive il generale, rivolgendosi agli uomini in uniforme, che «ci siamo persi quando abbiamo smesso, disperati, di indignarci nei confronti di chi svillaneggia quello da cui veniamo in nome di una libertà falsa e volgare, magari travestendosi da noi senza però avere lo stesso sangue blu che scorre nelle nostre vene». Il giornale che ospita questa riflessione è quello dei paracadutisti, quella Divisione Folgore che diede il nome a un celebre film sulla ancora più celebre battaglia di El Alamein.

MISSIONI "DI PACE"
I baschi amaranto urlano «Folgore!» quando marciano, anche se, ormai, l'urlo di guerra si fa solo alle parate del 2 giugno, perché guerre non ce ne sono più. Al massimo, «missioni di pace». Quando non si tratta di presidiare le metropolitane o togliere la monnezza dalle strade di Napoli. Ho studiato Scienze Politiche a Pisa negli anni "caldi". A Pisa c'era Lotta Continua, ma anche la Scuola militare di Paracadutismo. Una volta alcuni estremisti aggredirono in gruppo (il collettivo - tanti contro uno - era il loro pallino) un parà per strada, insultandolo come «fascista» e pestandolo. L'indomani tutta la caserma, in borghese e all'ora della libera uscita, ricambiava con trasporto per le vie pisane. La cosa finì sui giornali e suscitò scandalo. Il ministro degli interni - mi pare fosse Scalfaro - fu severo e consegnò tutti gli allievi parà. Già allora, anni Settanta, la Dc era «un partito di centro che guarda a sinistra», come diceva De Gasperi. Così, tra i due litiganti ci rimisero i parà.
E da allora che funziona il piano inclinato. Come dice il generale, «ci siamo persi lasciando che il piano inclinato sul quale slitta il nostro amor proprio e l'orgoglio per quel che le nostre uniformi rappresentano diventasse sempre più ripido. E sempre più veloce il precipizio».

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06/10/2017

8 - BASTA UNA FERRARI PER DIRSI RICCHI?
Nuovo libro-intervista a Ettore Gotti Tedeschi con i meccanismi dell'economia comprensibili a chiunque
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 05/10/2017

E' la seconda volta che Paolo Gambi intervista Ettore Gotti Tedeschi, firma del nostro giornale e banchiere, nonché ex presidente del vaticano Ior (da cui fu praticamente cacciato con polemiche). Lo schema è, ancora, l'intervista ironica su cose serie. La prima volta il libro-intervista era Un mestiere del diavolo, edizioni Giubilei. E anche adesso si dimostra come si possa far riflettere il lettore circa argomenti complessi di economia ma divertendo. Se si pensa che normalmente i libri di economia sono scritti da studiosi accademici e sono piuttosto difficili da digerire per i non specialisti, non è da poco. Nel presente libro (Mammona. Basta una Ferrari per dirsi ricchi?, Amazon, pp. 110) l'intervistatore instaura un dialogo semiserio e a tratti surreale per capire come possa diventare ricco e comprarsi, appunto, una Ferrari.

I MECCANISMI DELL'ECONOMIA COMPRENSIBILI A CHIUNQUE
Ciò diventa occasione per trattare, in modo facile e comprensibile a chiunque, i meccanismi dell'economia e della finanza, insomma delle regole del gioco del potere economico. Ma è anche occasione per far riflettere il lettore sulla morale insita nell'economia e nella finanza (sempre che ce ne sia una), cioè per spiegargli che è, sì, vero che l'economia serve a soddisfare i bisogni dell'uomo, ma questi bisogni quali sono? Sono solo quelli materiali? In tal caso l'economia non riuscirà mai a soddisfarli, perché da «mezzo», quale è, diventerebbe «fine» e assumerebbe autonomia morale (per una spiegazione più dettagliata, leggere il libro). Come ha scritto il papa Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, se uno strumento (questo è l'economia) assume autonomia morale si ritorce contro l'uomo e non serve più. Nel senso che cessa di servire. Partendo da questo presupposto Gotti Tedeschi coglie l'occasione per spiegare, in modo semplice, come nasce la crisi economica attuale, come si sviluppa e quali prospettive sta determinando.

VITA, FAMIGLIA, EDUCAZIONE, FEDE
Il libro tocca moltissimi argomenti di carattere economico e finanziario, ma anche il loro rapporto con il valore della vita, della famiglia, dell'educazione, della fede. Le domande e risposte sono concepite in modo che Gambi chiede, sì, come si fa a diventare ricco, e Gotti Tedeschi gli risponde, invece, spiegandogli come si fa a diventare saggio (pur rispondendo tecnicamente alla domanda). Per esempio, alla domanda su qual sia il miglior investimento, ecco la risposta: i figli (e si spiega perché). Oppure, ecco un'altra domanda: ci può svelare il segreto per non diventare mai poveri? Risposta: è semplice, vivendo da poveri pur essendo ricchi. Oppure ancora (altro tipo di domanda): che cosa sono i prodotti finanziari derivati? (altro tipo di) risposta: sono come il viagra... (segue spiegazione). Ancora: chi ha inventato l'economia? Risposta: chi ha inventato l'uomo. Infine: come faccio a comperare, e pagare, la Ferrari che tanto sogno? Risposta singolare: provi a seguire i consigli evangelici, vedrà che la Ferrari non la sognerà più; sognerà, piuttosto, la vita eterna.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 05/10/2017

9 - OMELIA XXXI DOM. TEMPO O. - ANNO A (Mt 23,1-12)
Il più grande tra voi sia vostro servo
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 5 novembre 2017)

La Liturgia odierna propone alla nostra attenzione un singolare passo del Vangelo di Matteo. Si tratta dei primi versetti del capitolo 23, che - nel suo insieme - costituisce una dura invettiva contro i giudici di Israele e contro l'ipocrisia dei farisei. È il discorso più violento del Signore in cui Egli denuncia, senza addolcimenti di sorta, i principali vizi e depravazione degli scribi e dei farisei.
Il Signore parte dal riconoscimento dell'autorità: «Sulla cattedra di Mosè - dice - si sono seduti gli scribi e i farisei» (ivi, 2). Mosè infatti aveva consegnato la Legge ricevuta da Dio al popolo d'Israele. Gli scribi, appartenenti per lo più al partito dei farisei, avevano il compito d'insegnare la Legge mosaica al popolo. Ecco perché si diceva che erano seduti sulla cattedra di Mosè. Il Signore riconosce la loro autorità, ma mette in guardia il popolo dalla loro condotta di vita perché «dicono e non fanno». Diversi anni dopo s. Paolo, provenendo da famiglia di farisei, lancerà loro un'invettiva analoga a quella di Gesù: «Ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? Tu che proibisci l'adulterio, sei adultero? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? Tu che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge? Infatti il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani come sta scritto» (Rm 2,21-24).
L'osservanza della Legge da parte dei farisei si riduceva a mero formalismo e fanatica ostentazione. Gesù non esita a svelarlo quando denuncia che «tutte le loro opere fanno per esser ammirati dagli uomini» (Mt 23,5), come allargare i filatteri e allungare le frange. I filatteri erano strisce di pergamena sulle quali erano scritte quattro sezioni della Legge. Chiusi in apposite custodie, venivano legati sulla fronte e sul braccio sinistro. Per ostentare l'osservanza della Legge, i farisei li facevano di proporzioni più grandi, come pure allungavano le frange del mantello che, nel simbolismo ebraico, rappresentavano i Comandamenti di Dio.
Così pure il desiderio dei primi posti e dei saluti nelle piazze (ivi, 6-7) o l'esser chiamati rabbi o maestri (ivi, 8-10) risponde solo ad una brama di onore e di potere così lontana dallo spirito di servizio con cui ogni autorità deve esser esercitata se vuol essere conforme al Vangelo di Cristo: «Il più grande tra voi sia vostro servo - ammonisce perentoriamente il Signore -; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato» (ivi, 11-12).
Contro la brama di onori manifestata dai farisei, il Signore, a chi vuol davvero esser suo discepolo, raccomanda di non farsi chiamare né "padre" né "maestro". Con ciò Egli non vieta che ci si possa chiamare "maestro" o "padre", purché lo si faccia nella consapevolezza che si può esser appellati tali solo come rappresentanti dell'unico Maestro divino e del Padre di tutti. Vieta invece l'uso dei termini "padre" e "maestro" per solo desiderio di fatuo onore e di umano prestigio.
Quanta chiarezza meridiana in queste parole del Signore! Con questi aspri rimproveri rivolti agli scribi e i farisei - rimproveri che continuano con le non meno sferzanti "sette invettive" contro di loro - Gesù mostra che il linguaggio "politicamente corretto", oggi così di moda, non ha nulla di evangelico. Il Signore ha denunciato vizi e peccati di scribi e farisei, ben sapendo che quelle invettive, eccitando il loro livore, lo avrebbero condotto alla morte. Dinanzi alla manipolazione della verità, operata da scribi e farisei, il Signore non tace, non ha rispetto umano e non è diplomatico. Queste caratteristiche della predicazione di Gesù dovrebbero esser riprese ai nostri giorni in cui viene predicato con fin troppa eloquenza il Gesù delle Beatitudini e della Risurrezione, mentre è gettato nel dimenticatoio il Gesù delle "sette invettive" e della Passione. Non si può leggere il Vangelo con le censure di ciò che è scomodo. Così facendo si deturpa la Parola di Dio. Essa invece va letta e commentata in una saggia visione d'insieme, senza escludere nulla, per tentar di comprendere al meglio il nostro Dio, Padre amoroso ma anche Giudice giusto. La pedagogia di Dio, infatti, non muta: «Cristo è lo stesso -  ammonisce s. Paolo - ieri, oggi e sempre» (Eb 13,8).
Un'eloquente conferma ci è offerta, a questo riguardo, da Padre Pio da Pietrelcina che, in una sconcertante visione del 1913, vide un gruppo di sacerdoti, equivalenti - potrebbe dirsi - agli "scribi e farisei" del tempo di Gesù. Nella visione Gesù era in un mare di dolori. Quando Padre Pio gli chiese quale fosse la causa di quell'amara sofferenza, «il suo sguardo si riportò verso quei sacerdoti [poco prima descritti, ndr]; ma poco dopo, quasi inorridito e come se fosse stanco di guardare, ritirò lo sguardo ed allorché lo rialzò verso di me - racconta Padre Pio -, con grande mio orrore, osservai due lagrime che gli solcavano le gote. Si allontanò da quella turba di sacerdoti con una grande espressione di disgusto sul volto, gridando: "Macellai!". E rivolto a me disse: "Figlio mio, non credere che la mia agonia sia stata di tre ore, no; io sarò per cagione delle anime da me più beneficate in agonia sino alla fine del mondo [...] L'ingratitudine ed il sonno dei miei ministri mi rendono più gravosa l'agonia [...] Ciò che più mi affligge è che costoro al loro indifferentismo aggiungono il loro disprezzo, l'incredulità. Quante volte ero lì per lì per fulminarli [...]"» (Epistolario I, pp. 350s).
Da queste parole, che non hanno bisogno di commento, si comprende bene che il Gesù delle invettive contro i farisei è lo stesso che si manifestò a Padre Pio ed è lo stesso che noi oggi adoriamo nelle nostre chiese.
A noi far tesoro delle sue parole che son parole di Vita eterna, parole che, se percuotono e feriscono, è perché vogliono salvare e santificare.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 5 novembre 2017)

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