BastaBugie n�598 del 06 febbraio 2019

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1 J-AX CANTA L'INNO ALLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE
Dalla droga libera al dileggio del Family Day, la parabola di un idolo di bambini e ragazzi
Autore: Luigi Piras - Fonte: Il Timone
2 FINALMENTE ESCE IN AMERICA IL FILM SUL DOTTOR GOSNELL, IL SERIAL KILLER DELL'ABORTO
Chissà se mai vedremo in Italia il film su Kermit Gosnell, il ginecologo condannato all'ergastolo per gli orrori della sua clinica abortiva (VIDEO: trailer del film)
Autore: Pietro Piccinini - Fonte: Tempi
3 I GIOVANI FANNO MENO SESSO CHE IN PASSATO
La pornografia sta uccidendo il desiderio (bisogna arrivare a capire che il piacere sessuale da ricercare è quello del prossimo, cioè del proprio marito e della propria moglie, prima del proprio)
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Sito del Timone
4 COLOSSALE FAKE NEWS SUI PRESUNTI RAZZISTI BIANCHI TRUMPIANI CATTOLICI
Così tutti gli Stati Uniti hanno insultato un gruppo di studenti che ha partecipato alla Marciaper la Vita in base a un video di 60 secondi... poi si è scoperta la verità
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi
5 LE PESSIME LINEE GUIDA PER SBARAZZARSI DELLE CHIESE DISMESSE
Il Pontificio Consiglio della Cultura, presieduto dal cardinale Ravasi, stabilisce che le chiese ''inutili'' diventino musei e centri sociali oppure siano vendute
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 LE FAMIGLIE SONO LA BASE DI UNA SOCIETA' SANA... E QUINDI LIBERA
Intervista allo psicologo Silvio Rossi, autore del libro ''I Signori dell'Anello. Guida alla vita familiare''
Autore: Giuseppe Brienza - Fonte: In Terris
7 UN QUARTO DI TUTTI I DECESSI IN OLANDA SONO STATI CHIESTI DAL DEFUNTO STESSO
Migliaia muoiono chiedendo l'eutanasia... ed è evidente che con la morte a richiesta si è oltrepassato il limite
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi
8 OMBRA INQUIETANTE SULLE POLITICHE VACCINALI E SUGLI AFFARI CHE SI MUOVONO IN QUESTO MONDO
L'ex presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, Gualtiero Ricciardi, accusa Salvini, ma nasconde i suoi legami con il Pd e le case farmaceutiche dei vaccini
Autore: Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
9 OMELIA V DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO C (Lc 5,1-11)
D'ora in poi sarai pescatore di uomini
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - J-AX CANTA L'INNO ALLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE
Dalla droga libera al dileggio del Family Day, la parabola di un idolo di bambini e ragazzi
Autore: Luigi Piras - Fonte: Il Timone, novembre 2018 (n. 178)

Comunisti col Rolex è il titolo del fortunato album - come vendite - uscito l'anno scorso a firma del duo milanese Alessandro Aleotti (in arte J-Ax) e Federico Lucia (in arte Fedez). Titolo felice, come presa per i fondelli di una categoria quanto mai invasiva. «Conosco più di un punkabbestia col papà avvocato / che fa finta d'esser povero perché non lo è mai stato», canta il duo nel brano che dà il nome all'album, «Figlio di un'impiegata che a 40 anni ha perso il posto / mi sono fatto i soldi con la band e un po' di inchiostro /, dovrei fare come il Jova [Jovanotti, ndr] miliardario sotto costo a fare il vegano e poi mangiare la bresaola di nascosto». Come sberleffo sarebbe anche interessante, purtroppo il tutto finisce per essere un insipido tamburellamento sull'incoerenza generale, perché «la verità è che certa gente ti odia sempre, tanto vale farsi odiare facendo quello che ami veramente». Mentre l'orizzonte ideale che viene tratteggiato sembra essere il gozzovigliare, il godersela, e il ciondolare su Facebook, «perché in fondo il mio ideale è il socialismo reale quello sempre più social e sempre meno sociale». Gioco di parole che comunque merita un like.

TANTI FANS TRA I BAMBINI
Forse la più azzeccata definizione del duo - in realtà divisosi alcuni mesi fa - che voleva sbeffeggiare i «comunisti col Rolex» è stata quella di chi li ha soprannominati «comunisti col Pampers». È questo l'aspetto per cui vale forse la pena spendere alcune parole sui soggetti in questione - ma qui ne prendiamo uno in particolare, J-Ax - ovvero il pubblico a cui ormai fanno, fa riferimento. Che si potrebbe riassumere in un esercito di fan situati tra scuole elementari e medie, o primissime superiori, più genitori, mamme soprattutto, al seguito. Cosa che per altro J-Ax non nega, cantando: «Faccio le foto coi tuoi figli che mi strappano i vestiti è vero, siamo comunisti mangiati dai bambini».

LA PARABOLA DI UN RAPPER
La carriera di J-Ax inizia negli anni '90 con un altro duo, quello degli Articolo 31. È il periodo in cui il genere hip hop, o rap per capirci meglio, inizia a trovare interpreti anche in Italia. Nato negli Stati Uniti come colonna sonora delle periferie degradate, dei ghetti dei neri, come grido di un'America finita sempre più ai margini, tra disoccupazione e droga, il rap è musica assorbita nel ritmo, in un fiume di parole che si fanno ritmo loro stesse. È un'espressione di desolazione, passione, rabbia, con un tocco di elegia, che ricorda per molti aspetti la nascita di un altro genere tipicamente americano e nero, il blues. Un blues postmoderno che esce non più dalle piantagioni dolenti ma dalla giungla urbana. Anche in Italia il rap ha attecchito nelle periferie delle grandi città, Milano, Bologna, Napoli. J-Ax, classe 1972, parte appunto dalla cintura urbana di Milano, alla fine degli anni '80. La materia non gli manca: l'adolescenza fra i casermoni anonimi costruiti per gli operai delle grandi fabbriche che furono, la noia sui banchi di scuola, i genitori divorziati, le bande giovanili, i "tossici", la musica, le luci della grande città e le sue contraddizioni. «Nel mio quartiere erano tutti di destra ma non avevano un soldo, mentre mi accorgevo che quando andavo a Milano in centro tutti quelli con la kefìah erano figli di avvocati» ha raccontato il Nostro. È a quel mondo che danno voce, nel 1993, J-Ax e DJ Jad (Vito Luca Perrini), ovvero gli Articolo 31, con il cd di esordio Strade di città. Un lavoro elementare ma che ha una sua genuinità, anche riascoltato 25 anni dopo, ha un suo senso come fotografia sonora di un pezzo di realtà italiana. Però ciò che di interessante potevano avere gli Articolo 31 inizia e finisce lì. Il seguito sarà una serie di abili operazioni commerciali che porteranno al gruppo e poi a J-Ax come solista successo, soldi, popolarità, ma che ne faranno soprattutto una sorta di amplificatore del pensiero unico collettivo. Una parabola simile, in un certo senso, a quella di Vasco Rossi, che nei primissimi dischi diede voce alla generazione del cosiddetto riflusso, quella che usciva dall'ubriacatura delle ideologie degli anni '70 ritrovandosi con un pugno di mosche, e magari una dose di eroina, in mano, con canzoni che avevano un loro pregio, musicalmente e come testimonianza di un'epoca. Poi è diventato un ripetitivo prodotto di marketing in salsa radicale, nel senso del Partito Radicale. Si fa presto a cantare il vuoto di una generazione, ma così come la natura aborre il vuoto, diceva Aristotele, anche il mondo lo aborre ed è pronto a riempirlo dei suoi contenuti.

CANNA LIBERA E PROVETTA
Per J-Ax i contenuti sono stati, tra gli altri, l'antiproibizionismo, l'inno alla marijuana libera - con tanto di apertura a Milano, recentemente, di un negozio per la vendita della cannabis "legale", quella con bassi valori di thc - l'omaggio a Pannella - «siamo simili perché siamo scomodi» - le posizioni pro invasione di immigrati, il dito medio mostrato in tv al popolo del Family Day, il dileggio di Benedetto XVI, ecc. Nulla di originale e che non si trovi in un'infinità di piccoli o grandi protagonisti dell'industria musicale, si dirà. Vero, con la particolarità, dicevamo, che tale cocktail J-Ax lo ha saputo servire a un pubblico sempre più giovane, anche al di sotto dei teenager. E che non possono non portarsi anche tante mamme al seguito. Un esempio di prodotto confezionato per andare al cuore di queste e quelli è anche l'ultimo singolo del rapper, che ha commosso tanti. Si intitola Tutto tua madre. La canzone è autobiografica e racconta della bellezza dell'arrivo di un figlio nella vita di J-Ax e della moglie Eiaine Coker, ex modella statunitense sposata nel 2007, dopo un aborto spontaneo e anni di attesa vana di una gravidanza. Un testo certamente toccante. Non si può non voler bene al piccolo Nicolas, così si chiama il figlio. Nato, così hanno riportato i giornali, con una fecondazione artificiale di cui J-Ax si è fatto anche promotore in un post su Instagram: «Leggiamo più spesso di iniziative che questo Governo vorrebbe prendere contro la fecondazione assistita e tante altre procedure che aiutano decine di migliaia di coppie italiane a creare una famiglia insieme. [...] Anche perché di certo non è una scelta di nessuno trovarsi in una situazione così, ma si tratta di qualcosa che colpisce tutti trasversalmente, senza favoritismi o pregiudizi: destra, sinistra, leghisti, comunisti, grillini e gente che si nutre solo del proprio respiro. Per questo motivo, prima di andare fino in fondo e negare a centinaia di migliaia di italiani il diritto di avere un figlio, vi chiedo un piccolo gesto di empatia: come vi sentireste voi se, da un momento all'altro, il rumore del respiro e le risate del vostro bambino sparissero? Quel vuoto è quello che vivono tanti italiani come voi. Quel vuoto tanti non desiderano altro che colmarlo con l'amore. E l'amore, voi, o chiunque altro, non avete il diritto di fermarlo».
Già. Peccato che un figlio non sia mai un diritto dei genitori, semmai un loro desiderio. E che il rumore del respiro e le risate cancellate dall'esistenza siano anche quelle delle vite in embrione scartate con la provetta e a cui nessun cantante dedicherà mai una canzone.

Fonte: Il Timone, novembre 2018 (n. 178)

2 - FINALMENTE ESCE IN AMERICA IL FILM SUL DOTTOR GOSNELL, IL SERIAL KILLER DELL'ABORTO
Chissà se mai vedremo in Italia il film su Kermit Gosnell, il ginecologo condannato all'ergastolo per gli orrori della sua clinica abortiva (VIDEO: trailer del film)
Autore: Pietro Piccinini - Fonte: Tempi, 17 ottobre 2018

Bella coincidenza. Proprio nei giorni in cui mezzo mondo provava a riprendersi dal turbamento suscitato dal "giudizio shock" di papa Francesco sull'aborto, che è «come affittare un sicario per risolvere un problema» - e allora vai con Repubblica che cede il pulpito all'ultimo ginecologo abortista rimasto in Molise affinché dica al Papa di «non giudicare e di avere compassione» perché anche «tante donne cattoliche arrivano nel mio reparto» e «entrano in sala operatoria facendosi il segno della croce» -, ecco, in giorni come questi usciva nei cinema degli Stati Uniti un film intitolato Gosnell. The Trial of America's Biggest Serial Killer. Ossia "Gosnell. Il processo al più grande serial killer d'America". Volendo anche: il più grande sicario d'America. Bella coincidenza.
Prima di parlare del film, che abbiamo visto, serve un inciso. Il dottor Michele Mariano, l'ultimo dei molisani non obiettori di cui sopra, nell'intervista a Repubblica dice che gli tocca fare «da solo 400 aborti l'anno. Ogni giorno, senza tregua, senza ferie». Il medico un po' si lamenta e un po' si inorgoglisce, perché l'aborto «è la mia trincea». E però, ammette, «sono stanchissimo, ma non mollo». Perché non molla? Attenzione alla battuta adesso: «Come faccio? Dove finiranno le donne quando i ginecologi della mia generazione andranno in pensione, visto che i giovani sono tutti obiettori?». Ripetiamo di nuovo in modo che l'affermazione non sfugga all'occhio valorizzatore di Repubblica, sempre così attento allo spirito del tempo: «I giovani sono tutti obiettori». Volendo sperare che questo non sia l'unico caso in cui "i giovani sono più indietro di noi" (sarebbe un po' alienante leggerlo su Repubblica), significa che forse è giunto il momento di accettare il fatto: "i tempi sono cambiati", come si suol dire, e non sempre cambiano come vuole il mainstream.

CONTROCORRENTE
A proposito di segni dei tempi, il primo aspetto notevole di Gosnell è che il film sia riuscito a vedere la luce e perfino a ottenere qualche titolo sui grandi giornali nonostante abbiano tentato in vari modi di sabotare il progetto o quanto meno di mettergli la sordina. I produttori sono perfino riusciti a raccogliere online 2,3 milioni di dollari da 300 mila donatori, sebbene inizialmente pure le piattaforme di crowdfunding, simbolo della (presunta) libertà del web, avessero fatto storie per via della (sempre presunta) impresentabilità dell'iniziativa.
Il secondo aspetto notevole è che solo nel primo weekend dopo l'uscita nei cinema americani (12 ottobre), ha già incassato 1,2 milioni di dollari. Nonostante quanto sopra.
La vicenda del film è in gran parte nota ai lettori di Tempi. Si comincia dal blitz delle forze dell'ordine che nel 2010, seguendo le tracce di un presunto traffico illegale di sostanze, scoperchiò casualmente le pratiche abominevoli che si svolgevano nella massima tranquillità, quasi alla luce del sole, ma nello squallore e nella sporcizia più totali, all'interno della clinica del dottor Kermit Gosnell a Philadelphia. La trama ripercorre fedelmente l'indagine e il processo che seguirono, fino al 13 maggio 2013, quando Gosnell fu condannato al carcere a vita per l'omicidio colposo di una donna e per tre omicidi di bambini nati vivi nella struttura. Ma chissà quanti altri ce ne sono stati, perché il processo si è basato solo su quanto è stato possibile ricostruire rimettendo assieme la membra dei cadaverini ritrovati dalla polizia in ogni angolo di quella macelleria, abbandonati a marcire in decine di sacchi, barattoli, perfino cartoni del latte e ciotole per i gatti che infestavano la struttura. Nonostante qualche guaio precedente per malasanità, Gosnell era andato avanti per trent'anni a fare quello che faceva là dentro.
«Come il film "Spotlight", che ha raccontato gli insabbiamenti istituzionali nella Chiesa cattolica, "Gosnell" parla degli abusi delle istituzioni e delle norme, abusi davanti ai quali in troppi hanno chiuso un occhio per troppo tempo.
I titoli più importanti quando scoppiò questo caso non riguardavano gli orrendi crimini di Gosnell. Riguardavano la vicenda di una foto scattata da un giornalista locale nell'aula del tribunale alle file e file di posti vuoti riservati alla stampa, che all'inizio del processo non si fece vedere. Come in "Spotlight", ci è voluta una giornalista coraggiosa, la commentatrice Kirsten Powers, per portare la storia sulla ribalta nazionale e chiamare in causa le altre testate (alcune delle quali in seguito si sono scusate)».

IL CORAGGIO DI VEDERE
Il film, anche per via del budget limitato, non ha sicuramente l'obiettivo dell'Oscar e non è capolavoro dal punto di vista tecnico e artistico, anche se viaggia molto, incommensurabilmente al di sopra di tanti film "a tesi" prodotti negli ultimi anni. Ha comunque il grande merito di rinunciare alle prediche per attenersi ai fatti: molta sceneggiatura è presa di peso da verbali di tribunale, interrogatori della polizia, racconti di testimoni oculari. Forse anche per questo a tratti risulta impressionante, pur evitando volutamente il richiamo truculento, su cui sarebbe stato facile giocare visto l'argomento. La durezza è più nelle suggestioni che nelle immagini: per dare un brivido o una lacrima, certe cose basta chiamarle con il loro nome, come sanno bene quelli che hanno ribattezzato l'aborto "salute riproduttiva" o "diritto di scelta".
Curiosamente, però, pur non essendo visivamente esplicito, Gosnell è proprio un film sul coraggio di guardare la realtà e riconoscerla per quel che è, contro la pigrizia di chi preferisce non vedere per non dover sconvolgere i propri preconcetti. L'elemento che convincerà la giuria del processo a condannare il ginecologo macellaio è una fotografia che lo spettatore non vedrà mai. E che però non riuscirà a togliersi dalla testa, dopo aver sentito i testimoni raccontare di come Gosnell risolveva il "guaio" dei bambini nati vivi: incidendoli con le forbici dietro la nuca.

FETI E BAMBINI
Emblematica l'obiezione che si sente rivolgere più volte la procuratrice nel corso dell'indagine. «Ma tu non eri pro choice?». Come dire: vorrai mica lasciarti scalfire dalla realtà. Quasi tutti hanno un moto di resistenza, davanti all'insistenza del piccolo pool di inquirenti che vuole trascinare Gosnell in tribunale, prove schiaccianti alla mano. Tutti pronti a voltarsi dall'altra parte, a chiudere di nuovo gli occhi «purché non si mettano in discussione i diritti delle donne», come precisa il giudice prima di acconsentire a dare il via al procedimento. Tutti infatti sanno benissimo che il processo a Gosnell sarà un processo all'aborto, pur dicendo il contrario. In fin dei conti, quello faceva Gosnell: uccideva. Sì, il medico ignorava spudoratamente le leggi che regolano l'interruzione di gravidanza in Pennsylvania (leggi scritte «per fini politici» dai «nemici dell'aborto» per «creare barriere tra le donne e i miei servizi», si giustifica lui davanti ai suoi legali), Gosnell se ne fregava degli standard sanitari ed è questo che lo ha portato alla sbarra. La sostanza però non cambia e non riguarda solo Gosnell il criminale. Sotto sotto i personaggi del film lo sanno tutti, anche se preferirebbero non essere costretti a vedere in tribunale: nell'aborto ci vanno di mezzo i bambini. «Vuoi dire feti?», domanda a un certo punto la procuratrice al poliziotto appena uscito dal mattatoio di Gosnell. «A me sembrano bambini», risponde lui. Decisamente non si può processare uno come Gosnell senza processare l'aborto. (Ma tu non eri pro choice?)

UN BUCO NELLA NUCA
C'è una scena del processo, forse la più riuscita di tutto il film, che squaderna in modo definitivo quella contraddizione che la "civiltà dell'aborto" ha cercato fino a questo momento di nascondere a se stessa e al mondo, oltre che alla giustizia.
Entra in aula una bella signora tutta composta, curata e sorridente come una rappresentante di cosmetici. È un medico, la dottoressa North, ed è per così dire una concorrente di Gosnell. Non vede l'ora di poter testimoniare che noi della nobile industria della "salute femminile" non siamo come quell'uomo. Noi rispettiamo i più alti standard igienici, non impieghiamo gli strumenti monouso più di una volta, non abbiamo le camere per le donne bianche divise da quelle per le nere (il medico afroamericano Gosnell invece le aveva). Noi non facciamo aborti a nascita parziale. Soprattutto noi mai incideremmo il collo a un bambino nato vivo per sbaglio, e ci mancherebbe.
Ed ecco che interviene l'avvocato di Gosnell, un genio cinico, il quale costringe la venditrice di diritti a raccontare per filo e per segno come si "interrompe una gravidanza" senza commettere un omicidio. Così davanti agli occhi della giuria, passano in rassegna, anche fisicamente, il tipico siringone utilizzato nelle cliniche abortive per iniettare il cloruro di potassio nel cuore del feto, il forcipe per estrarre il corpo morto, eccetera. A questo punto la dottoressa impomatata sorride già molto meno di prima, ma il legale di Gosnell incalza. Chiede lumi riguardo alla procedura che va seguita nei casi in cui il feto sia particolarmente grande, come era capitato negli omicidi imputati a Gosnell. In quei casi, spiega la signora, si procede con un macchinario ad «aspirare la materia grigia». «La materia grigia... Ah, il cervello. Gli aspirate il cervello», chiosa l'avvocato. «E dopo?». Dopo di che il cranio collassa e il feto può essere rimosso, spiega la North.
Ed è vero, continua il legale, che quando il cranio è troppo grande per il macchinario, dovete incidere un buco nella nuca al feto?
Sì ma noi prima non lo facciamo nascere, replica la donna, che ormai è finita nello stesso angolo di Gosnell ed è in palese difficoltà.
Insiste il legale: e se uno di questi grossi feti nascesse vivo, come è capitato al mio assistito, voi che cosa fareste?
Beh, allora gli somministreremmo il comfort care.
Può definire il comfort care?
Si tratta di tenere il feto al caldo e comodo, fino al decesso.
Fino al decesso... In sostanza lo lasciate morire. Sembra quasi più umano usare un paio di forbici.

Nota di BastaBugie: per approfondimenti sul film "Gosnell" vai al seguente link
http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=68

TRAILER INGLESE DEL FILM "GOSNELL"


https://www.youtube.com/watch?v=ttwkr8MM9Rk

Fonte: Tempi, 17 ottobre 2018

3 - I GIOVANI FANNO MENO SESSO CHE IN PASSATO
La pornografia sta uccidendo il desiderio (bisogna arrivare a capire che il piacere sessuale da ricercare è quello del prossimo, cioè del proprio marito e della propria moglie, prima del proprio)
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Sito del Timone, 16/01/2019

Insieme a quello demografico, un altro minaccioso inverno si sta abbattendo sull'Occidente: quello dell'attività sessuale. A certificarlo in modo chiaro è uno studio pubblicato sulla rivista Archives of Sexual Behavior che, monitorando un campione di oltre 26.000 statunitensi di età compresa tra i 18 e i 96 anni, ha rilevato come i giovani adulti di oggi abbiano, in media, 53 rapporti sessuali all'anno, più di 10 in meno rispetto ai loro coetanei degli anni Novanta. Un fenomeno che, per la verità, gli addetti ai lavori rilevano da anni, come testimonia per esempio il saggio Il sesso spuntato (Lindau) nel quale già otto anni fa lo statistico Roberto Volpi spiegava chiaramente come, a causa di tutta una serie di fattori, oggi le persone sperimentino un numero di rapporti sessuali inferiore a quelli che i loro coetanei, apparentemente prede d'una società moralistica, intrattenevano decenni fa. Paradossale, ma vero.

D'ACCORDO, MA COME MAI TUTTO QUESTO?
Cosa sta spegnendo la fiamma del desiderio nei giovani di oggi? Secondo un sessuologo affermato come Olivier Florant, il pur complesso fenomeno una causa principale l'ha, ed è la pornografia. «Il 40% dei pazienti che vengono da me sono dipendenti dalla pornografia e questo flagello colpisce tutti gli ambienti», ha spiegato l'esperto. Il motivo per cui il porno sta uccidendo il desiderio è abbastanza intuitivo: lo rispedisce al mittente, lo banalizza e, in definitiva, lo umilia. Tutto ciò, secondo Florant, sta portando ad una pericolosa autosufficienza sessuale, tale per cui il piacere istantaneo e privo di qualsivoglia responsabilità procreativa, alla fine, viene preferito ad ogni altro.
«La scorciatoia più semplice», ha sottolineato il sessuologo francese ad Aleteia.org, «è quella di chiuderti nella tua stanza con il tablet e fare uso di pornografia, che tu sia una ragazza o un ragazzo. E sognare. Perché è più facile sognare che agire. Alcune donne possono accontentarsi di avventure erotiche attraverso siti di appuntamenti, senza necessariamente andare all'atto, quando gli uomini trovano il loro sollievo attraverso la pornografia. Autosufficienza sessuale, sia maschile che femminile, che rompe letteralmente le relazioni tra uomini e donne e, se andiamo oltre, firma finalmente l'estinzione della specie umana».

COME USCIRNE?
Possono sembrare conclusioni in qualche modo apocalittiche, almeno a prima vista. Eppure basta pensare all'andazzo della natalità in Occidente, che è a dir poco cimiteriale, per capire che non è così. D'accordo, ma allora come uscirne? Secondo Florant, occorre ricominciare non solo a vivere bensì, prima, a pensare il piacere sessuale. E, soprattutto, a pensarlo in relazione al piacere del prossimo, vale a dire del proprio marito e della propria moglie, prima che al proprio. L'etimologia va nella medesima direzione se si considera che lo stesso termine sexus, essendo traducibile con «separato», rinvia ad un'alterità in assenza della quale perde di significato e bellezza. Non resta quindi che augurarsi che gli auspici del sessuologo d'Oltralpe, peraltro simili a quelli di altri esperti del ramo, non passino inascoltati.
Diversamente, l'umanità rimarrà sempre più ingabbiata nella masturbazione o in rapporti sterilizzati dalla contraccezione, quelli che un altro pensatore francese, Fabrice Hadjadj, ha chiamato forme di «masturbazione assistita». Il punto è che un'umanità simile, semplicemente, non ha futuro. Ragion per cui c'è da sperare che quanto prima, a questo Occidente sazio e disperato, per dirla alla Biffi, cadano le bende dagli occhi. Così che, quando non serve, si riesca a spegnere il tablet.

Nota di BastaBugie: per approfondire vai al dossier "pornografia" cliccando sul seguente link,
https://www.bastabugie.it/it/contenuti.php?pagina=utility&nome=_pornografia

Fonte: Sito del Timone, 16/01/2019

4 - COLOSSALE FAKE NEWS SUI PRESUNTI RAZZISTI BIANCHI TRUMPIANI CATTOLICI
Così tutti gli Stati Uniti hanno insultato un gruppo di studenti che ha partecipato alla Marciaper la Vita in base a un video di 60 secondi... poi si è scoperta la verità
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi, 24/01/2019

E alla fine anche il New York Times è stato costretto a scusarsi con il giovane Nick Sandmann e con gli altri studenti del liceo cattolico di Covington, dopo averli insultati insieme al resto del gotha mediatico americano per un intero fine settimana. Ma il caso dei «giovani cattolici bianchi elettori di Trump che assaltano un nativo americano alla Marcia per la vita» non può essere frettolosamente derubricato a «errore». Perché rivela in modo magistrale che cosa sono davvero le «fake news» e in quale assurdo stato di isteria collettiva sono sprofondati gli Stati Uniti, coinvolgendo purtroppo non solo gli odiatori di professione di Donald Trump e dei suoi malcapitati elettori, ma anche la Chiesa cattolica.

LA MARCIA PER LA VITA
Partiamo dai fatti. Venerdì si è tenuta a Washington, come tutti gli anni, la Marcia per la vita, l'evento pro life più partecipato al mondo. Anche la 46esima edizione si è svolta il 18 gennaio per ricordare il giorno del 1973 in cui è stata emessa la sentenza della Corte Suprema nel caso Roe v. Wade, che liberalizzò l'aborto negli Stati Uniti. Almeno 200 mila persone hanno sfilato per le strade della capitale celebrando la vita e chiedendo, come la maggior parte degli americani in base ai sondaggi, restrizioni alla pratica dell'interruzione di gravidanza.
La marcia, come al solito, è stata perlopiù ignorata dai media, che considerano "notizia" la partecipazione massiccia della popolazione a un evento solo quando sostiene cause progressiste à la page. Quest'anno, però, il muro dell'indifferenza è stato infranto da un video di 60 secondi subito diventato virale su Twitter: il filmato mostrava un gruppo di ragazzi bianchi, allegri e schiamazzanti come tutti i giovani del mondo, circondare un nativo americano armato di tamburo. La telecamera si soffermava in particolare su un giovane, Nick Sandmann, che con un ghigno enigmatico sul volto si frapponeva tra il nativo americano e il memoriale di Abraham Lincoln.

RAZZISTI, FASCISTI, INTOLLERANTI
La narrazione a reti unificate dei media americani ha frettolosamente emesso la versione ufficiale della storia, condita da sdegno unanime e condanna feroce: il giovane, che indossava un cappellino rosso Maga (Make America Great Again, il fortunato slogan della campagna elettorale di Trump), stava irridendo il nativo americano, per il quale non portava alcun rispetto, impedendogli di passare con fare minaccioso. La storia, gonfiata all'inverosimile da tutti i giornali, è stata prontamente confermata dal nativo in questione, il 64enne Nathan Phillips, attivista che afferma di avere combattuto nella guerra del Vietnam: «Si stava mettendo male per me», ha dichiarato al Washington Post, «e ho pensato: "Devo riuscire ad andarmene da questa situazione e finire la mia canzone al memoriale di Lincoln". Ho provato a farlo, ma quel ragazzo mi si è parato davanti e mi sono ritrovato in un vicolo cieco».
Il caso è stato subito portato davanti al tribunale più feroce degli Stati Uniti, quello dei social e in particolare di Twitter, che ha emesso la sua inappellabile condanna: quel ragazzo è colpevole. I media si sono scatenati: il New York Times ha accusato gli studenti di «assaltare» il nativo americano, Cnn, Washington Post e tutti gli altri media che non perdono occasione di attaccare Trump e i suoi sostenitori si sono accodati. Nick e gli altri studenti sono stati definiti «teppisti disgustosi», degni di «essere eliminati» con quelle loro «facce da schiaffi» e i loro «ghigni da suprematisti bianchi privilegiati». E giù con «razzisti, fascisti» e «intolleranti» (e che altro potrebbero essere dei giovani bianchi, cattolici, pro-life, elettori di Trump?). Anche la scuola cattolica di Covington è stata presa di mira: i media hanno sottolineato come fosse una scuola «privata, cattolica, per soli maschi» e dove guarda caso tutti gli insegnanti sono «bianchi».

LA CONDANNA
Anche i cattolici si sono buttati nella mischia: la scuola cattolica di Covington, che ha annunciato per martedì la chiusura dei battenti a causa delle minacce ricevute e ha riaperto mercoledì grazie ai pattugliamenti della polizia, ha emesso un comunicato insieme alla diocesi per «condannare le azioni degli studenti verso Nathan Phillips e verso tutti i nativi americani in generale. Questo comportamento è contrario agli insegnamenti della Chiesa cattolica sulla dignità e il rispetto della persona umana. Prenderemo le azioni appropriate, compresa l'espulsione».
Ma non finisce qui: oltre che espellerli dalla scuola e magari metterli alla sbarra (un procuratore ha annunciato che i fatti possono costituire il reato di «assalto aggressivo e violento»), il celebre sacerdote gesuita James Martin, quello che accusa la Chiesa cattolica di discriminare e odiare le persone Lgbt, si è detto «disgustato» dalla condotta degli studenti, mettendoli alla porta addirittura della Chiesa: «Queste azioni non sono cattoliche. Mi chiedo se questi studenti capiscano pienamente che cosa sia la dignità di ogni vita umana». Sottinteso: non solo quella dei bambini abortiti. Persino la Marcia per la vita si è prontamente lavata le mani e ha accusato i giovani.
Gli utenti di Twitter poi, famosi e non, non ci sono andati giù leggeri. Ecco una breve e concisa rassegna stampa: «Nessuno nasce razzista. Sono i genitori, gli insegnanti, la società e i leader che li educano all'intolleranza. È colpa di Trump. Ecco perché dobbiamo condannare il razzismo dovunque e sempre». «Piccoli pezzi di merda». «Chiudete quei ragazzi nella scuola e bruciatela». «Razzisti». «Bigotti». «Intolleranti». «Froci».

IL SECONDO VIDEO
Questo uragano apocalittico di isteria, sdegno, reprimenda, condanna unanime si è abbattuto su un minorenne e i suoi amici in base a una foto e un video di 60 secondi per un intero fine settimana. Poi è avvenuto un fatto increscioso. Per uno strano scherzo del destino la dea Nemesi ha rivolto il suo sguardo sugli Stati Uniti e ha fatto sì che venisse pubblicato su Twitter un nuovo filmato, ma più lungo, ben 10 minuti, che ha mostrato che cosa è davvero successo quel venerdì: il nativo americano non è stato affatto provocato dai giovani, è accaduto piuttosto il contrario. Gli studenti, seduti pacificamente sulla scalinata del memoriale, si sono ritrovati sotto la salva di insulti ingiustificati del gruppo Black Hebrew Israelites, che li stava vezzeggiando con queste parole delicate: «Froci. Sporchi buchi di culo bianchi, la vostra ora sta per arrivare. Voi credete in un fottuto molestatore di bambini. Cristo sta per tornare e prendere i vostri culi bianchi a calci». In questo clima amichevole, non sono stati affatto i giovani a importunare Nathan Phillips, ma è lui che, invece di salire al memoriale come avrebbe potuto fare in qualsiasi momento, ha scelto di andare davanti a loro a provocarli, suonando il suo tamburo in faccia al giovane Sandmann, sempre più perplesso. Gli altri nativi, intanto, gridavano agli studenti: «Siamo qui da milioni di fottuti anni prima di voi. Tornatevene in Europa da dove provenite. Questa non è la vostra terra».
Nick Sandmann ha poi raccontato la vera e documentata versione dei fatti in un comunicato stampa: «Sono lo studente del video». Dopo che alcuni afro-americani hanno cominciato a insultarci, «il manifestante nativo americano si è parato davanti a me accompagnato da almeno una persona con una telecamera. Non ho mai interagito con lui. Non ho fatto alcun gesto con la mano né altre mosse aggressive. A essere onesto, ero stupefatto e confuso sul perché mi avesse avvicinato. Un altro gruppo di manifestanti ci aveva già gridato contro e quando il secondo gruppo [di nativi americani] ci ha avvicinati ho temuto che la situazione potesse sfuggire di mano: c'erano adulti che tentavano di provocare dei ragazzi. Ho pensato che rimanere calmo e immobile avrebbe aiutato a placare gli animi. Mi sono reso conto che tutti avevano telecamere e che forse un gruppo di adulti stava cercando di provocare un gruppo di giovani. Ho recitato una preghiera in silenzio perché le cose non degenerassero».
E ancora: «Sono mortificato che così tante persone abbiano pensato cose che non sono avvenute, che studenti della mia scuola stessero intonando slogan razzisti contro gli afro-americani o i nativi americani. Io non l'ho fatto, non nutro sentimenti di odio nel mio cuore e non ho visto alcun mio compagno fare queste cose. Ho letto che il signor Phillips è un veterano di guerra. Lo ringrazio per il suo servizio e sono grato a tutti coloro che difendono la nostra nazione in uniforme. Se qualcuno si è guadagnato il diritto di parlare liberamente, quello è un veterano».

CONTRORDINE, COMPAGNI!
Dopo che la realtà dei fatti è stata appurata, la metà degli editorialisti, dei commentatori e degli utenti di Twitter che si era scagliata contro il giovane si è scusata, altri hanno cancellato gli insulti, altri ancora hanno fatto finta di niente o sono andati a nascondersi. I giornali si sono riempiti di articoli pensosi sull'importanza di «non correre alle conclusioni», di «non supporre» le cose e, ovviamente, di verificare i fatti. Tutti in ritardo, ma meglio tardi che mai. Solo per la cronaca: Phillips, il nativo americano, ha ritrattato imbarazzato la sua versione dei fatti. «Contrordine, compagni!», avrebbe ironizzato quel genio di Giovannino Guareschi.
Mentre un intero paese faceva retromarcia, chi pubblicamente chi meno, chi scusandosi chi facendo finta di niente, pochi hanno avuto il coraggio di usare le parole scelte da Sohrab Ahmari, che scrive per il Catholic Herald e per il New York Post: «Vorrei avere parole rassicuranti da offrirvi in mezzo a questo momento difficile. Ma tutto ciò che posso dire è che tutti vi abbiamo deluso. L'élite dei media è venuta meno al suo dovere verso la verità e la giustizia. La vostra scuola vi ha deluso. La vostra diocesi vi ha deluso. La vostra Chiesa vi ha deluso, con alcuni dei più importanti cattolici della nazione, laici e chierici, che si sono affrettati a unirsi a coloro che infierivano su di voi. L'America vi ha deluso. Anch'io vi ho deluso, perché sono stato un credulone davanti al consenso espresso da tutti i media. Ho imparato la lezione. Cari ragazzi della scuola cattolica di Covington, non dovete chiedere scusa di niente».
In tutto questo, Donald Trump, che da anni non fa altro che twittare frasi come «le fake news sono il vero NEMICO DEL POPOLO», è ovviamente passato all'incasso, dichiarando: «Nick Sandmann e gli studenti di Covington sono diventati il simbolo delle Fake News e di quanto malvagie possano essere». Forse per la prima volta da quando è stato eletto presidente degli Stati Uniti, neanche un giornale ha avuto il coraggio di dargli torto.

Fonte: Tempi, 24/01/2019

5 - LE PESSIME LINEE GUIDA PER SBARAZZARSI DELLE CHIESE DISMESSE
Il Pontificio Consiglio della Cultura, presieduto dal cardinale Ravasi, stabilisce che le chiese ''inutili'' diventino musei e centri sociali oppure siano vendute
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 19-21 dicembre 2018

Cosa fare delle chiese "dismesse"? Il Pontificio Consiglio della Cultura, presieduto dal cardinale Ravasi, ha pubblicato delle Linee-guida per affrontare questo fenomeno. Calo della popolazione - dicono le Linee - invecchiamento dei centri storici, chiese non parrocchiali non più sostenute dalle realtà che le avevano costruite e mantenute, diminuzione del clero, sepecolarizzazione … un insieme di cause pone il problema delle chiese non più sede di uso liturgico. Come evitare che diventino discoteche o pizzerie? Questa è, in sintesi, la problematica.

QUALE VISIONE TEOLOGICA?
Il Pontificio Consiglio prende atto di questa situazione, dandola per scontata e irreversibile, e quindi, dopo aver dichiarato che una chiesa non esaurisce la sua funzione solo come sede liturgica, ma ha anche altre valenze, propone un dialogo con la società civile per la destinazione appunto "sociale" delle chiese.
Tutte le questioni pratiche che la Chiesa deve affrontare, compresa questa delle chiese "dismesse", dipendono da una visone teologica. Se compito della Chiesa è evangelizzare il mondo e rinnovarlo con la forza della morte e resurrezione di Cristo, la diminuzione dei "luoghi" in cui questo mistero cosmico  e miracoloso avviene dovrebbe angosciare. E dovrebbe portare a chiedersi da dove nasca questa secolarizzazione che non fa più andare a Messa le persone. Perché il problema sta lì, e non nel calo demografico oppure nell'invecchiamento dei centri storici, cause concomitanti ma non certo fondamentali nella dismissione delle chiese. Se, invece, compito della Chiesa è considerare il mondo come altare, i poveri come sacramento, la solidarietà sociale come carità, l'ingiustizia sociale come causa del peccato e non il peccato come causa dell'ingiustizia … allora le chiese servono a poco o non servono addirittura e il fenomeno della secolarizzazione è da vedersi come positivo e frutto dello stesso cristianesimo. Sarebbe il cristianesimo stesso a pretendere che le chiese siano sostituite da strutture sociali o culturali.

RESA INCONDIZIONATA ALLA SECOLARIZZAZIONE
Oggi il proselitismo è condannato, l'osservazione del precetto domenicale è considerata superata, si costituiscono celebrazioni domenicali senza Messa anche in città con un'ampia presenza di sacerdoti e si aspetta il sinodo sull'Amazzonia per poterlo fare in forma autorizzata e sistematica. Si capisce quindi che la preoccupazione non è cosa facciamo delle chiese dismesse, ma cosa facciamo delle chiese. Ci sono tante chiese dismesse, a parte motivi storici vari, perché non sappiamo più rispondere alla domanda a cosa servano le chiese non (ancora) dismesse.
Una volta accettata la secolarizzazione come un fenomeno irreversibile e positivo, addirittura frutto del cristianesimo, non si vede perché ci si dovrebbe preoccupare della scomparsa delle chiese, esito di una secolarizzazione coerentemente compiuta fino in fondo. Tale scomparsa è da vedersi come un bene, come una uscita verso il mondo, come simbolo di una Chiesa povera che si fa mondo, una Chiesa che non ha privilegi né presunzioni di superiorità e che non vuole sovrapporre al mondo la propria ideologia eucaristica, come se le sorti del mondo dipendessero dalla consacrazione del Pane e del Vino fatta da un inutile sacerdote, una Chiesa che riconosce finalmente che Dio si rivela nell'umanità e, quindi, che fondare un sindacato o una associazione contro la tratta delle donne è più importate che celebrare la Messa davanti a un pugno di persone, dato il calo demografico e l'invecchiamento dei centri storici. Vorrebbe dire non riconoscere che il mondo è adulto e capace di sé e che il mondo e non la Chiesa è il luogo dell'auto-comunicazione di Dio come dice la teologia che oggi va per la maggiore.

UNA CHIESA CONFUSA CON IL MONDO
Ma almeno le chiese non diventerebbero pizzerie, dice qualcuno insieme con le Linee guida del Pontificio Consiglio della Cultura. Diventerebbero centri sociali, luoghi di cultura, teatri amatoriali, sedi dell'associazionismo. Ma in questo modo il percorso di una Chiesa che si fa mondo è ancora più evidente. La carità che si fa solidarietà, la pace di Cristo che diventa pacifismo, la liturgia che diventa rappresentazione teatrale, l'amore di Cristo per i Piccoli che diventa scuola di danza, la comunità ecclesiale che diventa assemblearismo, la fede che diventa religione civile, l'unica salvezza in Gesù Cristo che diventa riunione inter-religiosa. Si dice continuamente (sbagliando) che la fede cristiana non è un'etica e poi la si riduce ad etica sociale utilizzando gli spazi liturgici come luoghi di aggregazione sociale e culturale.
In una diocesi italiana un lascito ha conferito al vescovo la proprietà di una cappella in centro città ormai in disuso e abbandonata. Il vescovo non ha mai pensato nemmeno per un istante di farne un centro sociale, ha subito pensato di restituirla al culto e farne un centro di spiritualità per giovani. Il compito di ogni vescovo e di restituire ogni chiesa al culto e alla celebrazione eucaristica. Niente di meno può soddisfare, né niente di meno può essere programmato dal Pontificio Consiglio della Cultura.

PAPA FRANCESCO E GIOVANNI PAOLO II
Dopo la pubblicazione delle Linee guida [...] anche papa Francesco ha confermato l'idea di venderle per aiutare i poveri. Il suo intervento ha fatto ricordare che nella Sollicitudo rei socialis, l'enciclica del 1987 che commemorava la Populorum progressio, Giovanni Paolo II aveva detto qualcosa di simile: "Di fronte ai casi di bisogno non si possono preferire gli ornamenti superflui delle chiese e la suppellettile preziosa del culto divino; al contrario potrebbe essere obbligatorio alienare questi beni per dar pane, bevanda, vestito e casa a chi ne è privo" (n. 31).
Le indicazioni di papa Francesco e di Giovanni Paolo II meritano comunque qualche riflessione, perché la questione presenta forse anche altre sfaccettature che è bene evidenziare.
I poveri esistevano anche quando erano state costruite le chiese ora in dismissione, o quando si collocavano nelle chiese gli ornamenti e le suppellettili preziose che ora si vorrebbe vendere. Però la Chiesa di allora non ha impedito queste costruzioni e questi collocamenti per devolvere le relative somme ai poveri, perché ai poveri ci ha sempre pensato in altro modo, ossia con la gamma di attività di solidarietà a sfondo religioso di cui quella società era intessuta, e perché tutti gli uomini, poveri compresi, hanno soprattutto bisogno di Dio.

I POVERI VOGLIONO E HANNO BISOGNO ANCHE DELLE CHIESE
Nessun monastero o convento ha mai pensato di costruire solo la mensa e la foresteria e non prima di tutto la chiesa o di devolvere le risorse per costruire la chiesa al bilancio della mensa o della foresteria. Anche perché, spesso, i soldi per le suppellettili preziose provengono non dai ricchi ma proprio dai poveri. E tante chiese e cappelle oggi sconsacrate e "dismesse" sono sorte anche col contributo dei poveri e a loro finalizzate. Spesso sono state costruite da confraternite religiose dedite a curare qualche forma di disagio, o erano cappelle di ospedali, o di monti di pietà, o di rifugi di mendicità, o di opere pie. Il rapporto delle chiese con i poveri è molto complesso e non è positivo presentare la conservazione delle chiese "dismesse" come un furto ai danni dei poveri.
D'altro canto l'idea di vendere le chiese e di dare il ricavato ai poveri, può servire a coprire altre carenze della Chiesa stessa. Le chiese in questione sono spesso un peso, il che diventa il motivo principale della vendita mentre la donazione del ricavato ai poveri risulta essere lo scopo strumentale.
Inoltre la Chiesa di oggi spreca molte risorse in mille altri modi e potrebbe cominciare da lì per ottenere risorse da dare ai poveri, piuttosto che dalla vendita delle chiese o delle suppellettili preziose. Infine, la soluzione manifesta una rassegnazione più che un atto di coraggio. Rassegnazione davanti alla secolarizzazione considerata irreversibile e rassegnazione davanti agli scarsi risultati dell'impegno della Chiesa per la sua dottrina sociale. Ai poveri la Chiesa dovrebbe pensare soprattutto con l'impegno di tutti i suoi figli per incarnare i principi della Dottrina sociale della Chiesa e non con la vendita di chiese e suppellettili preziose. Puntare sul secondo fronte significa rassegnarsi al fallimento del primo.
Le chiese dismesse e sconsacrate vanno sistemate e riconsacrate. Sono convinto che molti poveri parteciperebbero volentieri all'impresa.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 19-21 dicembre 2018

6 - LE FAMIGLIE SONO LA BASE DI UNA SOCIETA' SANA... E QUINDI LIBERA
Intervista allo psicologo Silvio Rossi, autore del libro ''I Signori dell'Anello. Guida alla vita familiare''
Autore: Giuseppe Brienza - Fonte: In Terris, 30/12/2018

Silvio Rossi, psicologo e psicoterapeuta di esperienza (ha 25 anni di attività di studio oltre che al servizio della Pubblica amministrazione) ha scritto il libro "I Signori dell'Anello. Guida alla vita familiare in piccole note", pubblicato dalla casa editrice cattolica "D'Ettoris Editori". Il suo è stato definito dallo scrittore Paolo Gulisano "un libro geniale" e, addirittura, lui "una sorta di Ennio Flaiano della psicologia", per la originalità e vividezza dei contenuti, a cominciare dal titolo prescelto.
L'Anello di cui parla, infatti, non è naturalmente quello di Sauron, il personaggio cattivo per antonomasia creato dallo scrittore inglese Tolkien ne Il Signore degli Anelli, bensì quel cerchietto d'oro che suggella una comunione di vita per sempre fra un uomo e una donna che si amano e ambiscono a divenire genitori. Il saggio raccoglie 107 brevi e fulminanti "note" per una sana e politicamente scorretta vita familiare distillando nel complesso alcune preziose verità sulla famiglia, in gran parte oggi negate o dimenticate. In Terris lo ha intervistato in occasione della festa della Santa Famiglia.
Il suo saggio mi pare confermi, dal punto di vista della vita matrimoniale e familiare, quanto diceva G. K. Chesterton, vale a dire: "Una cosa morta va con la corrente, solo una cosa viva può andare controcorrente"
Sono d'accordo, la famiglia non solo è una realtà viva ma è anche l'ambiente naturale per l'accoglienza e la custodia della vita e, in questo senso, è chiamata oggi ad andare decisamente controcorrente e ad essere per sua natura anticonformista. La famiglia si oppone alla dittatura del politicamente corretto con l'educazione dei figli, ai quali offre una formazione ad un pensiero autonomo e libero. Con ciò anche pagando a volte il prezzo dell'isolamento e dell'impopolarità. Chesterton diceva pure che sarebbero venuti i tempi in cui si sarebbe combattuto per dimostrare le cose ovvie. Direi proprio che questo è il nostro tempo e che la famiglia deve andare controcorrente per tutelare la sua stessa esistenza e il suo futuro.
In effetti a un certo punto nel suo libro Lei scrive una "profezia" per il futuro che, temo, non molti sottoscriverebbero. Vale a dire che, sicuramente, il futuro "appartiene alla famiglia e a chi lavora per essa", cosa vuole dire?
Voglio dire che la famiglia è connaturata all'essere umano e non è una 'sovrastruttura' legata ad un determinato periodo storico che, magari, era valida un tempo e ora può essere messa tranquillamente da parte o sostituita con forme alternative di convivenza. La famiglia è il valore sociale fondante di ogni altro valore comunitario e, perciò, alla fine i tentativi di combatterla non avranno esito. La distruzione della famiglia coinciderebbe necessariamente con la distruzione dell'uomo e della società. Ma certamente le esigenze dell'ecologia umana prevarranno e ci sarà un futuro e sarà assegnato dalla riscoperta della famiglia.
Nella famiglia italiana (quella che resiste almeno) c'è una tendenza a viziare i figli, anche quando sono adulti (vedi il fenomeno, tutto italiano, dei "bamboccioni"). Come e quando i genitori dovrebbero rendere autonomi i figli? Qual è l'età giusta, dal punto di vista psicologico, per lasciare la famiglia d'origine e formarsene una propria
Non c'è un momento preciso in cui finisce l'adolescenza e inizia l'età adulta. La maturazione umana è un continuo procedere verso l'autonomia e l'indipendenza e, alla fine, si sente dentro di sé che è arrivata l'ora. Il problema è un altro ed è che oggi una parte di genitori conta sui figli per la propria stessa sopravvivenza psicologica. Parlo di genitori che non sono stati capaci di esprimere un'identità a prescindere dei figli e che, quindi, hanno bisogno di tenerseli vicini per avere una ragione di vita. È questo che blocca un normale e sano 'distacco' da parte dei giovani con danno per tutti. D'altra parte è vero che i ragazzi continuano ad essere viziati anche da grandi. Spesso fin da piccoli sono abituati ad ogni agio e alla comodità di un nido che è troppo sicuro e confortevole. Questo non è bene per loro perché si abituano a dare tutto e sempre per scontato e, in questo, i genitori li conducono ad una totale mancanza di senso della realtà. Arriverà, infatti, il momento del confronto con l'esterno e, con queste attitudini, non sarà facile per loro trovare fiducia in sé stessi nelle difficoltà e progettare un personale futuro.
Ci spiega, in breve, perché una società sana che, nel tempo, si possa mantenere vivace e vitale, non può che essere quella basata su famiglie sane?
Vede, sono molti anni che faccio lo psicoterapeuta e in tutto questo tempo ho notato e ho verificato una correlazione incontrovertibile tra salute della persona e salute della famiglia. Se la famiglia è sana ci sono altissime probabilità che la persona sia sana e, anche, se in essa si sviluppano dei problemi psicologici, quando la famiglia funziona bene ci sono maggiori probabilità di trovare una strada di risoluzione. La società è composta di persone e, quindi, alla fine è semplice tirare le somme: la famiglia sana produce persone sane e le persone sane contribuiscono a mantenere la società coesa, viva. Quindi la salute della società è strettamente legata al benessere della famiglia. Chi vuole migliorare la società deve per forza ripartire della famiglia fondata sul matrimonio.
Nel libro Lei ha conia un'espressione geniale: "Il patrimonio è la tomba dell'amore". Come mai?
Beh, ovviamente è un gioco di parole che parte della falsa frase comune: 'Il matrimonio è la tomba dell'amore'. Direi subito che quest'ultima è proprio una "fake news". Però è una convenzione fatta propria da molti. In realtà il matrimonio è la realizzazione definitiva dell'amore quando questo è vissuto in una piena consapevolezza del dono di sé. Invece, se è il patrimonio inteso come desiderio di conquistare una sicurezza economica a guidare la decisione di sposarsi, allora in questo caso è votato al sicuro fallimento. Ricordiamoci che i nostri nonni di fatto erano molto più poveri di noi, però questo non li ha trattenuti dallo sposarsi né da fare tanti figli e vivere pienamente l'epoca del boom economico. Insomma, ci vuole anche del coraggio per essere felici.
Ci può sfatare anche dal punto di vista psicologico i luoghi comuni relativi alla convivenza, tipo "Tanto che differenza fa?", "Ci vogliamo bene lo stesso", etc.?
Certo! Io penso che la convivenza sia una scelta dettata per molti dalla sfiducia e dal facile compromesso. Oggi viviamo nell'epoca del rifiuto delle scelte definitive. Siamo come "parcheggiati" nel provvisorio e nelle mezze misure ed è in questo contesto che prospera la convivenza. È perfetta per accontentare le persone del nostro tempo che vogliono giocare al marito o alla moglie ma lasciando aperto uno spiraglio aperto... La convivenza sembra un matrimonio ma non lo è affatto. Manca la parte essenziale dell'impegno pubblico e definitivo. L'uomo e la donna sono fatti per le scelte definitive e non certo per stare lì a galleggiare a mezz'acqua. Se personalmente dico di amare una donna devo dimostrarlo con una scelta totale perché l'amore è intrinsecamente totale e totalizzante.
Educare - ha scritto - è "l'arte profonda e raffinata di insegnare a distinguere". Nell'attuale società relativista e buonista, pensa sia un'arte ancora praticabile?
Direi di sì, perché anche i relativisti devono scegliere. Il problema è che loro non hanno dei criteri validi per scegliere bene. Ma tutti noi siamo chiamati a decidere migliaia di volte ogni giorno e dobbiamo scegliere se queste decisioni sono fatte bene così da dare alla nostra vita la sua piena realizzazione. In caso contrario purtroppo andiamo verso un fallimento personale. Ecco perché l'arte di scegliere esprime proprio la pienezza del nostro essere liberi e, quindi, è l'insegnare a scegliere bene che guida poi a distinguere. Questo è il cuore dell'educazione. Non possiamo farne a meno. E, per quanto riguarda il buonismo che, ricordiamolo, è come la patologia della bontà, esso si traduce in un atteggiamento che non rende più possibile distinguere il bene dal male. Il buonismo porta a leggere tutte le categorie della bontà in maniera zuccherosa e melensa. In questo senso è chiaro quindi che porta a perdere ogni capacità di scelta e, alla fine, la libertà.

Fonte: In Terris, 30/12/2018

7 - UN QUARTO DI TUTTI I DECESSI IN OLANDA SONO STATI CHIESTI DAL DEFUNTO STESSO
Migliaia muoiono chiedendo l'eutanasia... ed è evidente che con la morte a richiesta si è oltrepassato il limite
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi, 25/01/2019

Bert Keizer è uno dei 60 medici della Levenseindekliniek, la clinica "Fine vita" olandese che nel 2017 ha praticato l'eutanasia a 750 persone. È abituato a recarsi a casa dei pazienti che vogliono morire ma la scena cui ha assistito l'anno scorso è inedita anche per lui. Arrivato al capezzale dell'uomo che avrebbe dovuto uccidere insieme a un'infermiera, ha trovato 35 persone che «bevevano, gridavano e ridevano. C'era un gran chiasso e ho pensato: "Va bene, e adesso come faccio?". Per fortuna l'uomo che doveva morire sapeva esattamente come fare e all'improvviso ha detto: "Ok, ragazzi" e tutti hanno capito. Sono rimasti in silenzio, i bambini sono stati portati fuori dalla stanza e gli ho fatto l'iniezione».

ABBIAMO OLTREPASSATO IL LIMITE
Parlando con l'inviato del Guardian, Christopher de Bellaigue, che ha scritto un lungo articolo per spiegare che «l'Olanda ha forse oltrepassato il limite con la morte on demand», Keizer usa questo esempio per illustrare che «l'eutanasia è diventata qualcosa di normale». Nel 2002, quando la "buona morte" è stata legalizzata, morirono 1.882 persone, salite nel 2017 a 6.585. Se a questo dato si aggiunge che, sempre nel 2017, si sono suicidati 1.900 olandesi e la morte di altre 32 mila persone è stata accelerata con una sedazione terminale molto anticipata, si ricava una conclusione «impressionante»: oltre un quarto di tutte le morti (150 mila circa) in Olanda nel 2017 sono state indotte dall'uomo stesso.
Morire in Olanda non è mai stato così facile: l'eutanasia era inizialmente riservata ai maggiorenni, ma ora è stata estesa anche ai bambini; non serve più una malattia terminale per ricevere l'iniezione letale, basta soffrire in modo soggettivamente «insopportabile» per un qualunque disagio che va dalla demenza alla depressione; se il proprio medico di base è restio a concedere l'autorizzazione, ci si può sempre rivolgere alla Levenseindekliniek e presto, il Guardian ne è certo, verrà approvata dal Parlamento la "pillola del fine vita" su richiesta per chiunque trovi la propria vita insopportabile.

IL BUSINESS DELLA COMPASSIONE
L'eutanasia è un servizio sanitario di base coperto dal premio mensile che ogni cittadino olandese paga alla propria assicurazione. È anche un business altamente remunerativo: per ogni iniezione letale praticata da un medico della Levenseindekliniek, le compagnie assicurative pagano alla clinica 3.000 euro. Il compenso è dovuto anche se il paziente cambia idea all'ultimo momento. Steven Pleiter, direttore della "Fine vita", non ne fa ovviamente una questione di soldi, ma di «empatia, etica, compassione»: una compassione che ha fruttato alla Levenseindekliniek nel 2017 oltre due milioni di euro. Nota il Guardian: «Le compagnie assicurative preferiscono ovviamente pagare una cifra una tantum per uccidere qualcuno, piuttosto che spendere un'enorme quantità di soldi per curare una persona viva, ma non produttiva».
Nonostante meno dell'8 per cento dei medici si rifiutino di praticare l'eutanasia per ragioni di coscienza, in tanti cominciano a riaversi dalla sbornia letale. Alcuni sono rimasti turbati quando a novembre 2018 i pm olandesi hanno annunciato che per la prima volta una dottoressa sarà processata per omicidio: aveva ucciso una paziente nonostante questa le avesse fatto chiaramente intendere di non volere morire. «Aveva firmato le direttive anticipate», si è giustificata la dottoressa, ma è stata ugualmente rinviata a giudizio.
Altri invece hanno avuto esperienze destabilizzanti. Come Marie-Louise (nome fittizio), medico di base, che si rifiutò di uccidere con l'eutanasia un uomo affetto da demenza che aveva firmato un testamento biologico, chiedendo l'iniezione letale quando le sue condizioni sarebbero peggiorate. Negli anni «cambiò idea almeno 20 volte», anche perché «era la moglie che voleva obbligarlo». Un giorno, dopo che il marito aveva cambiato idea per l'ennesima volta, la donna entrò nello studio di Marie-Louise, battendo i pugni sul tavolo: «Se solo trovasse il coraggio! Quel codardo!».
Oggi Marie-Louise ha deciso di abbandonare la professione: quell'uomo, infatti, è stato finalmente ucciso con l'eutanasia dal dottore sostitutivo mentre lei si trovava in vacanza. Marie-Louise sapeva che il suo sostituto era un fan della "buona morte" ma non pensava che sarebbe arrivato a tanto. Ora si sente in colpa, non fa che chiedersi cosa sarebbe successo se non fosse entrata in ferie. «Come posso continuare così? Sono un medico e non posso neanche garantire la sicurezza dei miei pazienti più vulnerabili».

SUA MADRE È MORTA MEZZ'ORA FA, MI DISPIACE
Come lei, anche Marc Veld, pur non essendo contrario in linea di principio all'eutanasia, si sente in colpa. La scorsa primavera ha cominciato a sospettare di sua madre, Marijke: pur non essendo malata terminale, dava segnali di volerla fare finita. Marc ha cercato più volte di parlare con il suo medico, senza successo, per spiegargli perché le sofferenze della madre non erano affatto insopportabili né impossibili da alleviare. Il 9 giugno ha ricevuto una telefonata dal medico: «Mi dispiace, sua madre è morta mezz'ora fa». L'aveva uccisa lui e senza neanche avvisarlo, come previsto dalla legge. «Avrebbe potuto vivere ancora molti anni», scuote la testa Marc, roso dal rimorso e dalla rabbia.
C'è poi Berna Van Baarsen. Favorevole alla "buona morte", aveva deciso di costruire attivamente la legge, facendosi nominare membro di una delle commissioni di controllo dell'eutanasia, incaricate di valutare i dossier che i medici sono obbligati a inviare dopo aver ucciso i propri pazienti. A gennaio se n'è andata sbattendo la porta, accusando i suoi colleghi di avere oltrepassato il limite. Continuavano a giudicare legali i casi dei pazienti che ricevevano l'eutanasia sulla base del testamento biologico, nonostante non fossero più in grado di intendere e volere. «È fondamentalmente impossibile stabilire che cosa vogliono questi pazienti, perché non possono più spiegarsi. Il tema del consenso è ambiguo. Nelle commissioni ci si nasconde dietro la legge e non ci si chiede più se è moralmente giusto uccidere delle persone in determinate condizioni».
Non è facile prevedere se l'Olanda abbia già raggiunto il fondo del piano inclinato o se si spingerà fino ad approvare la pillola eutanasica on demand per tutti. Di sicuro, nota il Guardian, viaggiando nel regno della "buona morte" sbandierata nel nome dell'autonomia e dell'autodeterminazione, si percepisce un paradosso:
«La pillola non dispiacerebbe a molti medici con cui ho parlato perché permetterebbe loro di ricominciare a salvare vite come prima. Ma se alcuni richiedenti dell'eutanasia si arrabbiano con i medici che rifiutano di concederla, la verità è che la gente non vuole suicidarsi con le proprie mani. Piuttosto che bere il cocktail letale, il 95 per cento di coloro che richiedono l'eutanasia in Olanda vuole che sia un medico a ucciderli. In una società che si vanta di rifiutare ogni forma di autorità stabilita, quando si tratta della morte tutti vogliono la Mamma». Tutti, cioè, desiderano che sia lo Stato ad autorizzarli e approvarli. Vogliono che qualcuno dica loro: non ti stai uccidendo, non stai facendo qualcosa di male, stai agendo per il bene.

Fonte: Tempi, 25/01/2019

8 - OMBRA INQUIETANTE SULLE POLITICHE VACCINALI E SUGLI AFFARI CHE SI MUOVONO IN QUESTO MONDO
L'ex presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, Gualtiero Ricciardi, accusa Salvini, ma nasconde i suoi legami con il Pd e le case farmaceutiche dei vaccini
Autore: Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 07-01-2019

Negli scorsi giorni ha dovuto rispolverare la sua consumata esperienza di attore per spiegare le sue repentine dimissioni da presidente dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss). Parliamo di Gualtiero Walter Ricciardi, medico, docente universitario, collaboratore di varie organizzazioni a carattere scientifico, e in gioventù attore. Prese parte infatti in ruoli minori a diversi film di ambientazione partenopea, dove il mattatore era il celebre Mario Merola, il re della sceneggiata napoletana. I titoli dei film dove recitò Ricciardi sono tutto un programma: Io sono mia, L'ultimo guappo, Il mammasantissima.
Ricciardi ha da tanti anni lasciato le scene e i set, ma se dovesse mettersi nuovamente davanti ad una macchina da presa il suo film dovrebbe intitolarsi Vaccinator. Ricciardi infatti negli anni scorsi è stato una sorta di braccio armato delle politiche sanitarie dei governi Renzi e Gentiloni. Fu chiamato ai vertici della Sanità italiana dal Ministro Lorenzin nel 2014, come Commissario Straordinario dell'Iss, per poi diventarne l'anno seguente presidente, sempre su indicazione della Lorenzin. Una scelta evidentemente di carattere non solo meritocratico, ma anche politico.

CONTRO LA LIBERTÀ VACCINALE (CHE ESISTE IN TUTTA EUROPA)
La politica Ricciardi l'aveva corteggiata a lungo: socio fondatore di Italia Futura di Montezemolo, si candida poi con Scelta Civica di Monti, ma resta fuori dal Parlamento. Viene recuperato dal PD, che come detto gli affida un ruolo cruciale, un ruolo di cui egli stesso ebbe a vantarsi nel settembre 2017 alla festa del Pd di Firenze, rivendicando la sua parte da protagonista nella legge che ha imposto dieci vaccini obbligatori. Per lui, per altro, ci volevano tredici vaccini obbligatori: avrebbe aggiunto anche lo pneumococco, oltre all'anti-meningococco B e C, contenuti nel decreto iniziale. E Ricciardi, in qualità di presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, ha partecipato anche al Piano nazionale sui vaccini, apripista della legge. Nonostante queste significative collaborazioni politiche, Ricciardi nell'intervista al Corriere della Sera ha dichiarato: «Guai se la politica interferisce con la scienza».
Già, perché ora lo scenario politico è cambiato, e a Ricciardi il Governo attuale proprio non va giù, ma con dei distinguo: «Malgrado il buon rapporto personale con la ministra della Salute Giulia Grillo, la collaborazione tra l'Istituto e l'attuale governo non è mai decollata. Al contrario, su molti argomenti alcuni suoi esponenti hanno sostenuto posizioni ascientifiche o francamente antiscientifiche». Quale sia il bersaglio del professore diventa sempre più esplicito nel proseguo dell'intervista: «È chiaro che quando un vicepresidente del Consiglio (Matteo Salvini, ndr) dice che per lui, da padre, i vaccini sono troppi, inutili e dannosi, questo non è solo un approccio ascientifico». Inoltre, prosegue l'ex attore, «Dire in continuazione che i migranti portano malattie è senza fondamento e mette in difficoltà le istanze tecniche, costrette a una specie di autocensura per non contraddire il livello politico».
Insomma, il motivo per cui Ricciardi si sarebbe dimesso è Salvini che vorrebbe la libertà vaccinale (come nella maggior parte dei Paesi Europei) e che dice che i migranti portano malattie. Lo scienziato, anziché dimostrare con fatti e prove che il Vice Premier ha torto, si stizzisce e se ne va sbattendo la porta. Dopo anni di collaborazione con esponenti politici, improvvisamente Ricciardi vuole che i politici stiano lontani dalla Sanità. Una affermazione quantomeno contraddittoria. D'altra parte, oltre a quelli politici ci sono in gioco ben altri interessi quando si parla di salute, e in particolare in quello che è stato il principale campo d'azione di Ricciardi, cioè i vaccini.

EVIDENTI CONFLITTI DI INTERESSE
Sull'ex presidente dell'Iss sono da tempo in corso indagini per la valutazione dei suoi conflitti di interesse. E' ormai da tempo accertato che ha fatto da consulente per le case farmaceutiche sui loro vaccini. Per un incarico assunto in Europa, Ricciardi dovette stilare la sua dichiarazione di interessi presso la Commissione europea in data 28 marzo 2013. Il documento rivela che l'ex presidente dell'Istituto Superiore di Sanità ebbe a stilare gli HTA (Health Technology Assessment), cioè la valutazione dell'impatto sulla salute, di una serie di vaccini per le case farmaceutiche. Quello che balza agli occhi è che l'ultimo vaccino per cui fece da consulente fu quello contro il Meningococco B, che è stato poi inserito nel Piano nazionale sui vaccini, nonostante il parere contrario di molti ricercatori dello stesso Istituto Superiore di Sanità. Fece da consulente, inoltre, per i vaccini contro il papilloma virus, che nell'ultimo piano vaccinale è stato inserito anche per i maschi. Come anche è stato inserito nel piano nazionale sui vaccini cui ha partecipato l'antipneumococcico, per cui lui è stato consulente per diverse aziende.
Ad inizio dicembre, i membri del gruppo di lavoro "Vaccino Veritas" hanno inviato al ministro della Salute Giulia Grillo una richiesta di attivazione di una Commissione d'Inchiesta Ministeriale per «valutazione conflitti d'Interesse e omissione di peculiari informazioni a garanzia della tutela della Salute Pubblica, nonché dell'integrità, indipendenza e trasparenza della Pubblica Amministrazione» a carico di Ricciardi.
Il Codacons ha presentato una diffida urgente e pubblicato tutti i rapporti intercorsi tra Ricciardi e le aziende farmaceutiche produttrici di vaccini. L'eco di queste richieste di chiarimenti è arrivata fino in Inghilterra: il prestigioso British Medical Journal lo scorso  17 dicembre ha pubblicato un articolo dal titolo "Un alto dirigente della sanità pubblica italiana affronta le accuse di non aver reso pubblici i suoi rapporti con le case farmaceutiche".
In realtà il professor Ricciardi queste accuse non le ha neppure menzionate nell'intervista al Corriere della Sera, e l'intervistatore si è ben guardato dal citarle. E' molto più facile accusare il cattivissimo Salvini, reo di tutti i mali, compreso magari il volerci vedere chiaro nel grande affare delle vaccinazioni.

Nota di BastaBugie: sulla complessa questione dei vaccini si possono leggere i vari articoli che abbiamo pubblicati nel nostro dossier
https://www.bastabugie.it/it/contenuti.php?pagina=utility&nome=_vaccini

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 07-01-2019

9 - OMELIA V DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO C (Lc 5,1-11)
D'ora in poi sarai pescatore di uomini
Fonte Il settimanale di Padre Pio

Le letture di questa domenica ci fanno meditare sul dono delle vocazioni. Che cos'è la vocazione? Si può dire che è una chiamata particolare a seguire Gesù più da vicino nella vita religiosa o sacerdotale. Il Signore sceglie delle creature e dona loro la grazia più grande dopo quella del santo Battesimo. La vita consacrata è, infatti, un anticipo già su questa terra della vita angelica che si condurrà un giorno in Paradiso. Nella prima lettura abbiamo ascoltato il racconto della vocazione del profeta Isaia. La risposta del Profeta è stata pronta e generosa: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8). E nel Vangelo abbiamo sentito come Gesù chiamò i suoi primi Discepoli e come loro, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. Gesù inoltre dice a Pietro: «D'ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10), ovvero collaboratore di Dio nella salvezza dei fratelli.
Certamente il Signore chiama molti giovani alla vita consacrata o sacerdotale, dal momento che immensi sono i bisogni delle anime da salvare in ogni angolo della terra. Purtroppo sono sempre troppo pochi quelli che rispondono generosamente lasciando tutto per seguire il Signore. In proposito si racconta un episodio della vita di san Francesco Saverio.
Una volta questo Santo, dopo aver predicato ai giapponesi sull'immenso amore di Dio nel donarci il suo Unigenito Figlio, sentì farsi questa grave obiezione: «Come mai Iddio, se è così buono come tu dici, ha aspettato tanto a farci conoscere i misteri del Cristianesimo?». A questa domanda, san Francesco Saverio si rattristò, poi si fece coraggio e rispose: «Volete saperlo?... Ecco: Dio aveva incaricato molti cristiani di venire ad annunziarvi il Vangelo; ma molti di essi non hanno voluto obbedire...».
San Francesco Saverio fece un appello ai giovani che perdevano il loro tempo più bello in cose inutili: «Come vorrei... far conoscere a tanti uomini, più ricchi di scienza che di amore, il grande numero di anime che, per loro negligenza, sono prive della grazia e forse vanno all'inferno. Sono milioni di infedeli che forse si farebbero cristiani, se ci fossero missionari».
Il missionario è veramente un pescatore di uomini, che non bada a sacrifici pur di guadagnare anime a Gesù Cristo. La vocazione missionaria è una vocazione eroica; santa Teresina del Bambin Gesù, paragonava il missionario al martire che perde la sua vita per amor di Dio. Dio chiama, chiama molti giovani. San Giovanni Bosco, in base alla sua esperienza di educatore della gioventù, diceva che un giovane su tre ha il dono della vocazione. Pensiamo a quante chiamate e a quante poche risposte...
Bisogna pregare molto per ottenere il dono di numerose e sante vocazioni. Questo è il dono più grande, più necessario alla Chiesa e al mondo intero. A nulla varrebbero le più grandi opere se mancassero gli operai della messe. Diceva san Giovanni Maria Vianney: «Lasciate un paese per vent'anni senza sacerdote e gli uomini vi adoreranno le bestie». Pensiamo a quanti paesi sono senza sacerdote, a quante anime sono senza pastore. Bisogna molto pregare per implorare un dono così grande! Nella vita di mons. Ketteler, vescovo di Magonza in Germania, si legge un episodio molto bello, che ci fa capire quanto valga la preghiera umile e nascosta.
Celebrando la Santa Messa in un monastero, mons. Ketteler rimase stranamente colpito, nel distribuire la Santa Comunione, alla vista di una suora. Quel volto lo aveva già visto in un'altra occasione. Finita la Messa espresse il desiderio di parlare alla Comunità: tutte le religiose si radunarono, ma il Vescovo non vi trovò quella che tanto l'aveva impressionato. Chiese se tutte fossero presenti e seppe che mancava una suora, che era già al lavoro. Venne chiamata e interrogata su quello che faceva, su quelle che erano le sue preghiere nel corso della giornata. Ella rispose che fin da bambina pregava molto il Sacro Cuore di Gesù e che di notte dedicava un'ora di preghiera per la conversione di quei giovani intelligenti, chiamati al sacerdozio, ma che trascurano la loro vocazione. Ancora più impressionato il Vescovo disse alla Superiora: «Io debbo la mia conversione da una vita frivola a questa suora. Una notte, nella foga della danza, vidi improvvisamente davanti a me un volto che mi fissava intensamente. Ne rimasi sbalordito, meditai su quella strana apparizione, compresi la leggerezza del mio operare e cambiai vita, entrando in Seminario. Oggi, nel distribuire la Comunione, ho riconosciuto quel volto, apparsomi nella notte».
Ogni vocazione è un miracolo e solo la preghiera lo può ottenere.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

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