BastaBugie n�99 del 07 agosto 2009

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1 RU486
Tutte le ragioni per dire no, senza pericolose confusioni
Autore: Mario Palmaro - Fonte: Comitato Verità e Vita
2 RU 486
Rinfreschiamoci le idee su cosa dire quando si parla di aborto
Autore: I Tre Sentieri, 1 agosto 2009 - Fonte:
3 VOLANTINO DA STAMPARE E DIFFONDERE (O PUBBLICARE NEI BOLLETTINI PARROCCHIALI)
RU486: la pillola della morte
Fonte: Redazione di BastaBugie
4 FINALMENTE C'E' UNA VALIDA ALTERNATIVA AI CATECHISMI DELLA CEI
I libri di catechismo della Mimep-Docete, oltre che graficamente belli, hanno anche contenuti forti e chiari per l'educazione alla fede cristiana (e con un costo irrisorio)
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BASTABUGIE
5 EDUCAZIONE SESSUALE SI, MA QUELLA VERA

Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire
6 CINA, GLI ORRORI DELLA POLITICA DEL FIGLIO UNICO

Autore: Matteo Zuccari - Fonte: Avvenire
7 UNA LEZIONE DA NON DIMENTICARE
Negli anni 70 dicevano: siamo troppi e il mondo rischia di morire
Autore: Piero Gheddo - Fonte: ZENIT
8 CARITAS IN VERITATE
Presentazione dell'Enciclica
Autore: Card. Renato Raffaele Martino - Fonte: FidesVita

1 - RU486
Tutte le ragioni per dire no, senza pericolose confusioni
Autore: Mario Palmaro - Fonte: Comitato Verità e Vita, 31 luglio 2009

Verità e Vita dice no alla introduzione in Italia della pillola abortiva RU486. Condividiamo  le critiche che in queste ore anche altre associazioni pro life e pro-family hanno espresso all’introduzione di questo prodotto abortivo nel novero dei farmaci riconosciuti dall’Aifa.
Tuttavia, sentiamo il bisogno di fare chiarezza sulle ragioni che ci impongono di opporci alla RU486. E lo facciamo prendendo le mosse da un coraggioso editoriale di Giuliano Ferrara, apparso sul Foglio di giovedì 30 luglio. Il titolo è eloquente: “RU486, il pesticida umano”, e riprende la definizione che Jérôme Lejeune a suo tempo diede di questa pillola che uccide.
Se diciamo no alla RU486 è innanzitutto e primariamente per questa elementare ragione: questa pastiglia ha lo scopo dichiarato di sopprimere la vita di un essere umano innocente prima della nascita. E’ questa tremenda verità, questa cruenta faccia della medaglia, a qualificare in sintesi la natura della RU486. Fa bene Ferrara a scriverlo, facciamo bene tutti noi a ripeterlo. Ma questa affermazione obbliga, per coerenza logica, a trarre tre conseguenze inconfutabili:
1° CONSEGUENZA: L'ABORTO UCCIDE, COMUNQUE, UN ESSERE UMANO
E’ l’aborto volontario che, in quanto tale, uccide. Che esso sia attuato con gli strumenti del chirurgo, o che esso sia ottenuto con la somministrazione di un principio attivo, rimane immutata la tragica natura omicida di tale gesto libero ed intenzionale. Se poi vogliamo marcare gli aspetti emotivi e ripugnanti di tale triste fenomeno, allora dobbiamo ammettere che la procedura chirurgica non è certo meno cruenta e meno impressionante di quella chimica, e basterebbe descrivere o vedere in atto le tecniche chirurgiche abortive per averne una terribile conferma. Dunque, è vero che la RU486 uccide. Come è vero che la legge 194 del 1978 uccide. Noi non possiamo accettare lo schema implicito in molti commenti letti e ascoltati in queste ore: "la RU486  è cattiva, la legge 194 è buona".
2° CONSEGUENZA: LA RU486 UCCIDE FORSE LE DONNE, MA DI SICURO I BAMBINI
Tutte le altre motivazioni che rendono odiosa la “regolarizzazione” della RU 486 sono importanti, ma non possono e non devono essere affermate mettendo fra parentesi, o addirittura “contrapponendo”, l’attuale disciplina legale dell’aborto con l’uso della RU486. E’ evidente che l’introduzione di tale pillola rappresenterebbe un “allargamento” della piattaforma abortiva, aumenterebbe “l’offerta” di opportunità al mercato della “domanda” di aborto. E’ evidente che vi sono aspetti legati alla pericolosità del prodotto per le donne che lo usino; è evidente che vi sono notevoli dubbi sulla coerenza della stessa sciagurata legge 194 – una legge basata sulla “socializzazione” del problema dell’aborto – e l’eventuale introduzione della RU486. Ma è altrettanto evidente che la ragione fondamentale per cui siamo e restiamo contro la RU486 è una e una sola: e cioè che consideriamo profondamente ingiusto e inaccettabile l’aborto volontario legale. Se dicessimo soltanto che siamo contro la RU486 “perché è pericolosa per le donne che la usano” saremmo dei traditori della verità tutta intera. Noi pensiamo che le mine antiuomo – ad esempio – siano un oggetto terribile e da condannare, e lo pensiamo perché esse provocano la morte di molti civili innocenti, in particolari donne e bambini. Non diremmo mai che le mine antiuomo sono da evitare perché, poniamo, “pericolose per coloro che le devono collocare”.
3° CONSEGUENZA: LA RU 486 E' STATA LEGALIZZATA PERCHE' QUELLI CHE ERANO CONTRO L'ABORTO SONO DIVENTATI PIU' MORBIDI
Che poi, in sede politica o nelle schermaglie tecnico-farmaceutiche, si debba e si possa usare la “leva” della pericolosità della RU486; oppure che si invochi la sua natura derogatoria rispetto alla pur permissiva legge 194; ecco, che si faccia questo è comprensibile e forse perfino necessario. Ma a nessuno salti in mente di descrivere l’aborto chimico come un mostro, al quale sarebbe da opporre come buona e legittima la strada dell’aborto chirurgico. Se siamo alla vigilia della legalizzazione dell’aborto chimico in Italia (che in realtà esiste già sui banchi delle nostre farmacie), lo dobbiamo esclusivamente a un fatto: e cioè che la denuncia pubblica dell’orrore e della mostruosità dell’aborto legale è stata ormai abbandonata e lasciata alla ostinata resistenza di un gruppetto di pochi pro-life emarginati, ridotti alla totale insignificanza pubblica. I discorsi – dilagati nel trentennale della legge italiana sull’aborto – intorno alla “bontà originaria della 194, tradita nella sua applicazione”, sulla necessità di “applicare le parti buone” della legge, sulla necessità di “rendere libera la donna di decidere senza costrizioni”; tutti questi cedimenti al vero e al giusto sono un ottimo tappeto rosso steso davanti alla introduzione della pillola per abortire. Meravigliarsi adesso dell’ennesima sconfitta sul terreno della difesa della vita umana nascente è segno di una preoccupante miopia.

Fonte: Comitato Verità e Vita, 31 luglio 2009

2 - RU 486
Rinfreschiamoci le idee su cosa dire quando si parla di aborto
Autore: I Tre Sentieri, 1 agosto 2009 - Fonte:

La recente decisione dell'Agenzia del Farmaco in merito alla RU486 (la pillola abortiva) richiede una "rinfrescata" in merito all'aborto e soprattutto a come rispondere relativamente a questo crimine, che frequentemente viene presentato e creduto come un'inevitabile "conquista civile". Tra i credenti coloro che si dichiarano antiabortisti (purtroppo non sono tutti!) spesso non sanno cosa dire ed eventualmente tenere una discussione su questo argomento per difendere i sacri principi della vita. (...) Ecco alcune "idee" da far circolare.
Una precisazione: alcune di queste obiezioni sono molto banali, ma sono quelle che più facilmente si sentono in giro. 
 1.    Bisogna essere contro l’aborto, ma in alcuni casi non se ne può fare a meno.
Risposta: La vita umana o c’è o non c’è. Se non c’è, è inutile complicarsi l’esistenza: si potrebbe abortire sia se la motivazione è grave sia se è banale. Ma se la vita umana c’è, può un motivo, per quanto gravissimo, giustificare la soppressione di un essere umano innocente? Quale motivo può essere anteposto alla vita umana?
 2.    Quando si sa che il bambino dovrà soffrire, perché non impedirgli questa sofferenza?
Risposta: Prima di tutto chi può decidere se una vita umana è degna o non è degna di essere vissuta? Inoltre, chi stabilisce quale debba essere il criterio per stabilire l’entità della sofferenza? Per alcuni potrebbe essere un’entità grave, per altri un’entità oggettivamente meno grave, ma, soggettivamente, ugualmente grave. Per esempio, per chi ha un’idea corporeista ed atletica della vita già sapere che il proprio figlio può avere un braccio o una gamba più corta dell’altra può essere un motivo di grave sofferenza. Ma ci si rende conto che, secondo questo ragionamento, si ritorna all’antico concetto del pater familias dell’antica Roma? In quel tempo i bambini deformi (e molto spesso anche femminucce) dopo il parto venivano scaraventati a terra o esposti nelle pubbliche cloache dove morivano di stenti o divorati dai topi. Molti inorridiscono: poveri bambini! Ma dov’è la differenza con l’aborto moderno? I “poveri” antichi romani facevano (dopo) quello che non potevano fare prima. Se avessero avuto anche loro l’ecografia o l’amniocentesi…che ipocrisia! Si legittima l’aborto perché non si vede il bambino (ecco perché ha dato e dà tanto fastidio il documentario The silent scream del dottor Nathanson dove si vedono, ecograficamente, le reazioni del feto al momento dell’aborto), ma se si vedesse…Quando vi fanno questa obiezione, aprite la mano davanti al vostro interlocutore e ditegli: “Qui sulla mia mano c’è un feto vivente, schiaccialo se hai il coraggio!” Al 99 per cento non riuscirà a farlo…e cambierà discorso.
 3. Ma se non ci fosse l’aborto legale, ci sarebbe quello clandestino, le donne abortirebbero ugualmente e, per giunta, rischiando di più.
Risposta: Cosa pensereste se qualcuno dicesse: “Dal momento che i rapinatori, facendo le rapine, rischiano la vita, sarebbe opportuno legalizzare le loro malefatte”? Un conto è non infierire penalmente su chi decide per l’aborto, altro è legalizzare questo crimine.
 4.  È giusto che la donna decida di diventare madre quando desidera di diventarlo.
Risposta: Ammesso e non concesso che sia così. “Non concesso”, perché sarebbe un discorso, questo, che ci porterebbe fuori argomento. Dicevamo: ammesso e non concesso che sia così, la donna non diventa madre quando partorisce, ma quando concepisce. La donna, dal concepimento,  avverte dentro di sé che è cambiato tutto. Ci sono donne che non sopportano un determinato cibo, poi, dopo il concepimento, desiderano quel cibo (evidentemente l’embrione prima e il feto dopo danno degli impulsi per cui hanno bisogno di quelle sostanze nutritive); quindi, dopo il parto, i gusti ritornano come prima. Se, dunque, la mamma diventa mamma dal concepimento e non dal parto, allora si capisce bene perché la donna non può rinunciare ad essere mamma quando già lo è.
5.  Ma non è un’ingiustizia nei confronti della donna costringerla a proseguire la gravidanza?
Risposta: Lo abbiamo appena detto: se si è già papà e mamma non si può rinunciare ad esserlo. Ma perché io e non altri? Rispondiamo facendo questo esempio. Sono su un’auto e sto percorrendo una strada deserta, una strada su cui passano automobili ogni mezz’ora. Sto andando ad un appuntamento importante, decisivo per il mio futuro lavorativo. Ad un tratto sul ciglio della strada vedo un uomo sanguinante che ha bisogno di essere trasportato urgentemente all’ospedale. Se vi fosse un’altra auto dietro di me, potrei chiedere la cortesia a qualcun altro di trasportare quel disgraziato. Ma, sapendo che non passeranno altre auto per tanti minuti, io (appuntamento o meno) dovrò caricare quel poveraccio e trasportarlo in ospedale. Se non lo facessi, sarebbe per me gravissimo. In quel momento io solo (e non altri!) ho la possibilità di salvare la vita a quell’uomo. Così è per la donna che è già mamma: solo da lei dipende la vita o la morte di quel bambino.
6. Nei casi di violenza carnale come è possibile pretendere che la donna si tenga un bambino che le possa ricordare continuamente il trauma subito?
Risposta: Indubbiamente la donna che subisce una violenza rimane fortemente traumatizzata. Ma -chiediamoci- è giusto ritorcere una violenza subita su chi non ha nessuna colpa, ovvero sul bambino concepito? Inoltre, la donna che ha subito una violenza già è fortemente traumatizzata e la cosa da evitare è proprio aggiungere trauma su trauma. La donna che abortisce, infatti, sa che ha la vita in sé e sa anche che, in ultima analisi, è stata lei a decidere. Questo (come documenta ormai una fornita letteratura scientifica che parla di “sindrome depressiva post-abortiva”) può aggravare, non alleviare, la sua già drammatica situazione psicologica.
7. Il feto non è uomo perché non ha nessuna possibilità di relazionarsi consapevolmente con l’ambiente.
Risposta: Anche il bambino appena nato non è capace di relazionarsi consapevolmente con l’ambiente. Lo stesso si deve dire per il demente e per il malato in coma. La consapevolezza è certamente una componente dell’essere uomo, ma non la componente. Se così fosse -lo ripetiamo- potremmo uccidere i bambini anche dopo nati, potremmo uccidere i dementi, i malati in coma. La logica è logica!  
8.  Il feto non è uomo perché non è ancora totalmente formato.
Risposta: Prima di tutto va detto che l’organogenesi (la formazione degli organi) si completa ad appena sessanta giorni dal concepimento, il che vuol dire quando la donna sa di essere in cinta da un mese o poco più. Piuttosto questo discorso potrebbe valere per l’embrione. Ma –ragioniamo- non è la crescita ciò che conferisce dignità umana. Se così fosse, dovremmo dire che un uomo alto due metri è più uomo di uno alto un metro e mezzo. Oppure che un adulto è più uomo di un bambino. Si potrebbe inoltre fare questo esempio: un milligrammo d’oro è ugualmente oro rispetto ad un quintale dello stesso metallo. La differenza è quantitativa, non qualitativa!
9. L’antiabortismo della Chiesa non è credibile, perché il suo essere contro gli anticoncezionali fa sì che molti decidano dopo ciò che potrebbero decidere prima.
Risposta: Falso. Statisticamente parlando, le zone d’Italia in cui è più diffusa la contraccezione sono anche quelle in cui è più diffusa la pratica abortiva. O tutt’al più non c’è significativa differenza. La contraccezione sottende una mentalità in cui l’uomo e la donna si arrogano il diritto di decidere categoricamente sulla vita. In questo caso: assolutamente no! E’ evidente che quando fallisce la tecnica contraccettiva (cosa che può succedere) si può passare all’aborto come “ultimo contraccettivo”.
 10. La Chiesa non è credibile perché, se fosse davvero a favore della vita, approverebbe tutte le tecniche per favorire le nascite. Per esempio la fecondazione in vitro.
Risposta: Dire “voglio un figlio a tutti i costi” o dire “non lo voglio assolutamente” è la stessa cosa. Dinanzi al mistero della vita l’uomo può solo proporre, non disporre seconda una sua presunta volontà di potenza.
11.  La legge 194/78 ha fatto diminuire il numero degli aborti, anche quelli clandestini.
Risposta: Sciocchezze! Prima di tutto gli aborti se sono clandestini vuol dire che non sono computabili. Seconda cosa: non è affatto vero che gli aborti sono diminuiti, se per aborti intendiamo anche quelli che avvengono con la cosiddetta “pillola del giorno dopo”, che, proprio perché è “del giorno dopo” non impedisce il concepimento ma l’annidamento del concepimento. Il che vuol dire che è abortiva.
 Dunque, o siamo nel campo della stupidità o in quello del volontario accecamento dell’intelligenza. Attenzione: con questi giudizi non siamo duri. Ogni errante va sempre affidato alla misericordia di Dio, ma contro l’errore non è possibile alcuna mediazione e tentennamento. Ed è contro ogni errore (quindi anche contro l’errore dell’aborto) che si deve alzare la voce. Al Signore dovremo rendere conto di ogni nostro compromesso con il male…quindi anche con il terribile crimine dell’aborto.


3 - VOLANTINO DA STAMPARE E DIFFONDERE (O PUBBLICARE NEI BOLLETTINI PARROCCHIALI)
RU486: la pillola della morte
Fonte Redazione di BastaBugie, 3 agosto 2009

La RAGIONE ci basta per dire che la pillola per abortire RU486 (da poco introdotta anche in Italia) non va utilizzata. Ecco perché:

1) NON E' UNA MEDICINA
2) NON CURA NESSUNA MALATTIA
3) NON AIUTA LA DONNA
4) UCCIDE UN BAMBINO (INNOCENTE)
5) E' ATROCE PER LE DONNE (CHE SPESSO VEDONO L'EMBRIONE ESPULSO DAL LORO CORPO: SARA' UN TRAUMA CHE RIMARRA' LORO PER TUTTA LA VITA)
6) NEL MONDO SONO FINORA MORTE 29 DONNE PER L'USO DELLA RU486 (RISCHIO DI MORTE 10 VOLTE SUPERIORE RISPETTO ALL'ABORTO CHIRURGICO)
7) A VOLTE LA RU486 FALLISCE E BISOGNA POI PROCEDERE ALL'ABORTO CHIRURGICO
8) E' UNA BOMBA ORMONALE CHE FA MALE ALLA SALUTE DELLA DONNA
9) NON RENDE DOLCE L'ABORTO (CHE RESTA SEMPRE UN FATTO ORRENDO)
10) SERVE SOLO PER SCARICARE COLPE E RESPONSABILITA' SULLE DONNE (COSI' I MEDICI SE NE LAVANO LE MANI NON DOVENDO PIU' COMPIERE L'ABORTO LORO DIRETTAMENTE)

Per chi ha FEDE, poi, è ancora più chiaro. Ecco perché:

PUÒ UN CATTOLICO UTILIZZARE LA RU486?
NO! Un cattolico non può utilizzare la pillola abortiva RU486. Chi compie un aborto (donna o medico) incorre nella SCOMUNICA AUTOMATICA. Cioè chi abortisce o usa la RU486 si pone automaticamente fuori dalla Chiesa Cattolica e quindi non può avere i sacramenti (comunione e confessione), e se muore senza pentirsi va all'inferno.

MEDICI E FARMACISTI CATTOLICI POSSONO PRESCRIVERE CON RICETTA O DARE A UNA DONNA LA RU486?
NO! Anche chi fornisce la RU486 è AUTOMATICAMENTE SCOMUNICATO con le conseguenze dette sopra.

PUÒ UN CATTOLICO DIRE DI ESSERE PERSONALMENTE CONTRARIO ALLA RU486, MA DI NON POTER IMPORRE LA SUA IDEA A CHI LA PENSA DIVERSAMENTE?
NO! La RU486 uccide un innocente. Nessuno può permettere l'uccisione dell'innocente. Altrimenti potremmo dire che è possibile uccidere chiunque, basta farlo con una pillola e con una legge che lo permetta (ma questo sarebbe approvare la legge del più forte!).
NESSUNO PUÒ DISPORRE DELLA VITA ALTRUI, TANTO PIU' SE CHI VIENE UCCISO E' UN BAMBINO INDIFESO E INNOCENTE NELLA PANCIA DELLA MAMMA. L'ABORTO E' SEMPRE UN DELITTO E COME TALE VA COMBATTUTO.

Fonte: Redazione di BastaBugie, 3 agosto 2009

4 - FINALMENTE C'E' UNA VALIDA ALTERNATIVA AI CATECHISMI DELLA CEI
I libri di catechismo della Mimep-Docete, oltre che graficamente belli, hanno anche contenuti forti e chiari per l'educazione alla fede cristiana (e con un costo irrisorio)
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BASTABUGIE

Oggi la parrocchia è il luogo in cui si porta i bambini tra un corso di nuoto, uno di judo, uno di tennis, uno di danza, uno di informatica, a fare l'ennesima, secondo la mentalità corrente, rottura settimanale: "il catechismo", che per i genitori serve solo per far fare la festa per la prima comunione.
Cosa si fa a catechismo? Se lo si domandasse ai bambini che escono dalla lezione si avrebbero le seguente risposte: "un cartellone", "che non si deve urlare a lezione", "che ci dobbiamo voler bene", "che siamo tutti fratelli" e nelle migliore delle ipotesi, "abbiamo parlato di Gesù". E le nozioni? I contenuti della fede?
Negli ultimi decenni la trasmissione della fede ha incontrato crescenti difficoltà.
Si è tentato di sostituire a un metodo piuttosto nozionistico il tentativo di una «catechesi per la vita cristiana», che fosse più coinvolgente e meglio idonea a introdurre i ragazzi nella comunità credente.
I risultati sono stati però scarsi, tanto che poi i bambini non riescono a stabilire con la fede e con la Chiesa un rapporto duraturo e profondo.
Molti si ostinano a usare quei catechismi particolari editi dalla CEI negli anni 80, che, oltre che brutti, lasciano alquanto a desiderare come contenuti: troppo annacquati per poter incidere nella fede dei bambini e dei ragazzi.
Con l'uscita del Catechismo della Chiesa Cattolica il Papa già dal 1992 e ribadito nel 1997, chiedeva con forza magisteriale una revisione di questi catechismi particolari alla luce del nuovo Catechismo certamente più conforme alla Tradizione. Revisione mai avvenuta e i suddetti catechismi sono ancora "in servizio".
Molti sacerdoti e catechisti però hanno ormai messo nel cassetto i catechismo della CEI.
Ma il problema è: con cosa sostituirli?
Finalmente (da ormai diversi anni) sono disponibili dei libri di catechismo che, oltre che graficamente belli, hanno anche contenuti forti e chiari per l'educazione alla fede cristiana.
Sono venduti praticamente a prezzo di costo da una coraggiosa casa editrice, la Mimep-Docete, che ha fatto dell'apostolato a mezzo stampa una coraggiosa scelta vocazionale.
Per la classe della prima comunione è disponibile il libro:
IL CAMMINO CON GESU' VERSO LA PRIMA COMUNIONE
al costo di pochi euro.
È disponibile anche il "quaderno attivo" relativo con le illustrazioni da colorare e domande semplici per verificare l'apprendimento.
Ordinando una quantità superiore a 15 copie viene inviata gratuitamente il dvd che riassume tutti i contenuti del libro. Molto utile ai bambini per iniziare l'incontro di catechismo oppure ai catechisti per farsi una rapida idea dei contenuti da trattare durante l'anno.
Per la preparazione alla cresima c'è il secondo libro della serie (ideale prosecuzione di quello per la comunione, con un utile ripasso all'inizio):
INCONTRO AL TUO AVVENIRE: DALLA CONFERMAZIONE ALLA MATURITA' CRISTIANA
Con questo libro i ragazzi possono scoprire tutte le principali verità della fede cristiana con un utile approfondimento che aiuterà perfino i catechisti nella loro vita spirituale.
Questi libri possono essere ordinati direttamente nel sito internet www.mimep.it oppure telefonando allo 02.95.74.19.35 oppure inviando un fax allo 02.95.74.46.47 oppure inviando una e-mail a ordine@mimep.it.
Sia dal catalogo della Mimep-Docete che dal sito internet è possibile conoscere la vasta scelta di materiali utili a tutti: libri, dvd e molto altro. Non ci si pente mai di nessun acquisto.

DOSSIER "BIMBI, MESSA E CATECHISMO"
Come si sta in chiesa e come si studia la dottrina

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Fonte: Redazione di BASTABUGIE

5 - EDUCAZIONE SESSUALE SI, MA QUELLA VERA

Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire, 28 luglio 2009

 L’agenzia Aceprensa ha riferito i dati di uno studio, pubblicato dalla rivista scientifica British Medical Journal, circa l’impatto delle politiche inglesi per la riduzione del numero delle gravidanze e degli aborti tra le adolescenti. Questi dati mostrano l’inefficacia della strategia adottata, incentrata sull’incentivazione dell’uso dei contraccettivi. L’effetto ottenuto, infatti, è stato opposto a quello sperato: tra le ragazze di 13­15 anni monitorate per 18 mesi dalla ricerca, quelle che hanno seguito tale programma 'educativo' ha intrattenuto relazioni sessuali precoci nel 58% dei casi, e il 16% di esse ha cominciato una gravidanza; quelle che non lo hanno seguito hanno invece avuto relazioni precoci nel 33% dei casi, e il 6% di esse ha cominciato una gravidanza.
  Ovviamente ci saranno diverse cause di questo fallimento. Per esempio, non di rado, queste politiche associano ai contraccettivi un’idea erronea di 'sesso sicuro', quando invece la sua efficacia anticoncezionale non è totale e la difesa nei confronti dell’Aids è tutt’altro che assoluta. Avvenire, del resto, ha già riferito nei mesi scorsi di altri studi scientifici che mostrano come le politiche anti-Aids focalizzate sui preservativi non ne arrestino la diffusione che, anzi, a volte, aumenta: se si trasmette l’idea secondo cui essi danno una protezione assoluta, il risultato (lo ha scritto anche Lancet, un’autorevole rivista scientifica) è l’incentivazione dei rapporti sessuali precoci e disimpegnati, talvolta promiscui, seriali e consumistici.
  Ma soprattutto – ecco il punto che ci preme sottolineare – in queste politiche emerge una concezione rinunciataria dell’educazione all’amore e all’affettività, che quasi (e talvolta totalmente) la riduce a mera istruzione sui mezzi per evitare gravidanze e infezioni. Così, molto raramente si insegna che l’amore è progetto, donazione, responsabilità, fedeltà e – in certi casi – rinuncia.
  Non solo per il bene altrui, ma anche per il proprio. In questi programmi l’amore è descritto quasi come mera attrazione e/o impulso sessuale irresistibili – e la diffusione di questa idea è un’altra causa della precocità e del degradarsi dei rapporti sessuali stessi –, di cui si possono solo 'contrastare' le conseguenze.
  Manca quasi sempre una visione integrale dell’educazione, quella per cui essa deve accompagnare l’interlocutore verso la sua fioritura.
  La vera educazione è infatti maieutica, fa appello alla volontà altrui per aiutarla a fortificarsi e per educarla alla libertà, addita l’ideale di una signoria su stessi, sui propri desideri e impulsi, anche (ma non solo) sessuali, non per reprimerli, bensì per assecondarli in modo conforme al bene integrale della persona. Manca, in definitiva, l’idea classica di virtù, parola che oggi suona negativa, perché la si associa a un’autorepressione, quando invece la vera virtù assume le energie delle emozioni, degli affetti e delle passioni, realizza una sintesi con la ragione e con la volontà, porta tutti gli aspetti dell’essere umano a convivere armoniosamente tra di loro. Così, grazie a tale unità delle sue dimensioni, che cooperano verso il suo bene complessivo, l’uomo virtuoso è interiormente forte.
  Non è vero che una tale educazione è inefficace. Infatti, programmi educativi di questo tipo sono stati adottati con successo in vari Paesi.
  Per esempio negli Stati Uniti: nei luoghi dove sono stati applicati, il numero delle gravidanze precoci è calato del 38 % e quello degli aborti è sceso del 50%. O in Uganda, dove il tasso di infezione dell’Aids è sceso dal 21% al 6%.

Fonte: Avvenire, 28 luglio 2009

6 - CINA, GLI ORRORI DELLA POLITICA DEL FIGLIO UNICO

Autore: Matteo Zuccari - Fonte: Avvenire, 25 luglio 2009

 Un libro denuncia il lato più terribile della pianificazione in atto dagli anni ’70, dagli aborti forzati ai bimbi gettati via
 La “politica del figlio unico” in vigore dalla fine degli anni ’70 come uno dei lati oscuri della Cina.
  Un libro ne svela i lati più sconcertanti: «Strage di innocenti. La politica del figlio unico in Cina», scritto da Harry Wu e curato da Toni Brandi e Francesca Romana Poleggi, è stato pubblicato il 23 luglio scorso dell’Editrice Angelo Guerini.
  Harry Wu, oggi direttore esecutivo della Laogai Research Foundation, è sopravvissuto all’esperienza dei “Laogai”, i lager cinesi, in tutto simili a quelli nazisti. I metodi con cui il regime di Pechino persegue il controllo delle nascite non sono meno violenti. Non solo vige l’obbligo del figlio unico (tranne che in pochi casi): anche per il primo figlio occorre il permesso di una “cellula del controllo della popolazione”, in base ai numeri rigidamente pianificati dal governo centrale per ogni zona del Paese.
  «Meglio dieci tombe che una nascita fuori piano», «Una sterilizzazione fa onore a tutta la famiglia», «Meno bambini, più maialini da fattoria»: questi sono gli slogan con cui il regime cerca di inculcare nella popolazione l’idea del figlio unico obbligatorio. Per chi sgarra c’è l’aborto forzato, talvolta al 7° o 9° mese, o anche l’infanticidio: almeno mezzo milione di funzionari girano per il Paese arrestando le donne rimaste incinte senza permesso, o i loro familiari per indurle a costituirsi. Alcune testimonianze sono agghiaccianti; donne fatte abortire con metodi atroci, bambini appena nati buttati nella spazzatura, ancora vivi, o uccisi barbaramente davanti agli occhi della madre. Il regime si vanta di avere così evitato circa 400 milioni di nascite. Gli effetti di questa politica, a quanto denuncia Wu, sono il rapido invecchiamento della popolazione; un forte squilibrio fra i sessi, tant’è che milioni di cinesi non possono sposarsi per mancanza di donne e diventa sempre più frequente il rapimento o il commercio di donne vietnamite.
  Non solo: sono in aumento i suicidi di donne che hanno subito la violenza dell’aborto forzato. Mentre sono tantissimi i bimbi non registrati all’anagrafe, quindi privi di ogni diritto. A tutto questo si aggiunge la repressione contro che denuncia queste violenze o cerca di difendere le vittime: l’arresto e la tortura sono all’ordine del giorno.

Fonte: Avvenire, 25 luglio 2009

7 - UNA LEZIONE DA NON DIMENTICARE
Negli anni 70 dicevano: siamo troppi e il mondo rischia di morire
Autore: Piero Gheddo - Fonte: ZENIT, 18 giugno 2009

Il premio Nobel Dario Fo ha pubblicato un volume, “la catastrofe rimandata”, radicalmente pessimista sul futuro del mondo e dell’umanità. Non c’è più petrolio, non c’è più acqua, non c’è più cibo, ci sono troppi uomini, troppe armi e via dicendo. Ma pochi se ne accorgono – continua Fo – la maggioranza si dichiara ottimista: fin che saranno caduti nel baratro.
Questi sono i “profeti” che trenta o quarant’anni fa insistevano nel dire che la Terra stava morendo per il boom demografico e che il petrolio sarebbe finito entro il Novecento. Previsioni “scientifiche” che la storia ha dimostrato false. Il boom demografico è diventato uno “sboom”: secondo dati dell’ONU oggi ci sono 67 Paesi nei quali la popolazione non aumenta ma diminuisce, fra i quali naturalmente anche l’Italia; gli italiani diminuiscono e il loro posto viene preso da bambini dei terzomondiali, che sono fra noi. Se non ci fossero i circa tre milioni di lavoratori stranieri noi italiani diminuiremmo di numero! Quanto al petrolio, sebbene l’estrazione dell’oro nero continui ad aumentare, quasi ogni giorno si scoprono altre fonti di gas e di petrolio sulla terra e nei mari.
Al cosiddetto catastrofismo non ho mai creduto, anzitutto perché siamo agli inizi delle scoperte scientifiche che cambieranno la vita dell’uomo e dell’umanità e non sappiamo cosa ci riserverà la natura. So che il famoso “Club di Roma”, nato all’inizio degli anni Settanta da un gruppo di scienziati, era molto autorevole e diffondeva, documentandole scientificamente, notizie catastrofiche sul futuro dell’umanità. Era famoso appunto perché molti lo citavano. Oggi è scomparso dalla scena mondiale in quanto le sue previsioni, basate su dati “inoppugnabili”, sono state tutte smentite dalla realtà dei fatti.
Fra l’altro ricordo le previsione che, entro la fine del millennio, ci sarebbero state guerre per l’occupazione di terreni agricoli perché la produzione di grano, riso, mais e altri cereali di base non sarebbe bastata per tutti i dieci miliardi di uomini che si prevedeva. Invece siamo sei miliardi e non si sono ancora viste guerre per occupare territori agricoli. Non solo, ma in Europa e negli USA i governi pagano perché i territori agricoli siano lasciati incolti perché c’è troppa produzione di cibo, carne, latte, agrumi, rispetto alla nostra popolazione. Quindi il problema non è che siamo troppi, ma che i più poveri non sono educati a produrre per la loro sopravvivenza.
Affermare che la fame in Africa esiste anche perché c’è troppa popolazione è un assurdo: il continente africano è assolutamente sottopopolato, ma la fame è spiegabile solo con la povera gente tenuta nell’ignoranza e senza che nessuno vada ad insegnargli anche solo l’uso della ruota e dell’aratro, lo scavo dei pozzi, l’irrigazione artificiale e via dicendo. L’agricoltura di sussistenza bastava mezzo secolo fa, quando gli africani erano sui 300 milioni, non basta più oggi che si avvicinano ai 900.
E’ una lezione che il mondo moderno non ha imparato, perché continua a ripetere che gli uomini sono troppi, che fra poco mancheranno l’acqua e il petrolio, che lo scioglimento dei ghiacci dell’Antartide porterà ad un innalzamento delle acque dei mari, di due-tre metri, inondando quasi tutte le città costiere. Sono convinto che questo catastrofismo, oltre ad essere continuamente smentito dai fatti, non è produttivo e non serve ad educarci a un vero risparmio di energia, di acqua ecc.
Non ho mai creduto al catastrofismo dei profeti di sventura per un importante motivo: la fede in Dio, Creatore e Padre dell’umanità, e la fiducia nella Provvidenza. Il cosmo, la natura del pianeta Terra sono stati creati da Dio come strumenti offerti all’uomo, creato a sua immagine e somiglianza” dice la Bibbia, per migliorare le condizioni di vita di tutti gli uomini. La natura va rispettata, esplorata, utilizzata affinché produca per l’uomo quello di cui ha bisogno. Se si mette tra parentesi la relazione della natura con Dio Creatore, la si svuota del suo significato profondo, e per lo stesso motivo si perde di vista chi è l’uomo e di cosa ha veramente bisogno per essere felice. La natura non è nata per caso dal famoso Big Bang delle origini: è anch’essa una creatura di Dio posta a servizio dell’uomo, di tutti gli uomini.
Ora, Dio Creatore e Padre di tutti gli uomini, che vede tutto, può tutto e sa tutto, che conosce il passato, ma anche il futuro, non è pensabile che permetta un esaurimento fisico e delle possibilità ancora inesplorate delle forze della natura, fin che l’umanità sopravvive. Ecco perché occorre tenere assieme i due bandoli della matassa, da cui si dipana il mistero del futuro: da un lato l’uomo ha il dovere di usare bene la natura creata, senza sprecare risorse, senza distruggerla (ad esempio con i bombardamenti e gli incendi di foreste) ricercando nel profondo delle cose create tutte le loro possibilità di servizio all’uomo; dall’altro, mi pare contrario alla fede cristiana perdere la fiducia nella Provvidenza e prevedere continuamente catastrofi a breve scadenza, che tolgono all’uomo, soprattutto ai giovani, la gioia di vivere, la speranza nel futuro, e poi sono smentite dalla storia.

Fonte: ZENIT, 18 giugno 2009

8 - CARITAS IN VERITATE
Presentazione dell'Enciclica
Autore: Card. Renato Raffaele Martino - Fonte: FidesVita

La Caritas in veritate è la terza enciclica di Benedetto XVI ed è un’enciclica sociale. Essa si inserisce nella tradizione delle encicliche sociali che, nella loro fase moderna, siamo soliti far iniziare con la Rerum novarum di Leone XIII ed arriva dopo 18 anni dall’ultima enciclica sociale, la Centesimus annus di Giovanni Paolo II. Quasi un ventennio ci separa quindi dall’ultimo grande documento di dottrina sociale. Non che in questo ventennio l’insegnamento sociale dei Pontefici e della Chiesa si sia ritirato in secondo piano. Si pensi per esempio al Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nel 2004 o all’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI che contiene una parte centrale espressamente dedicata alla Dottrina sociale della Chiesa e che io, a suo tempo, ho definito una "piccola enciclica sociale". Si pensi soprattutto al magistero ordinario di Benedetto XVI, su cui tornerò tra poco. La scrittura di una enciclica, però, assume un valore particolare, rappresenta un sistematico passo in avanti dentro una tradizione che i pontefici assunsero in sé non per spirito di supponenza ma con la precisa convinzione di rispondere così alla loro missione apostolica e con l’intento di garantire alla religione cristiana il "diritto di cittadinanza" nella costruzione della società degli uomini.
Perché una nuova enciclica? Come sappiamo, la Dottrina sociale della Chiesa ha una dimensione che permane ed una che muta con i tempi. Essa è l’incontro del Vangelo con i problemi sempre nuovi che l’umanità deve affrontare. Questi ultimi cambiano, ed oggi lo fanno ad una velocità sorprendente. La Chiesa non ha soluzioni tecniche da proporre, come anche la Caritas in veritate ci ricorda, ma ha il dovere di illuminare la storia umana con la luce della verità e il calore dell’amore di Gesù Cristo, ben sapendo che "se il Signore non costruisce la casa invano si affannano i costruttori".
Se ci guardiamo indietro nel tempo e ripercorriamo questi vent’anni che ci separano dalla Centesimus annus ci accorgiamo che grandi cambiamenti sono avvenuti nella società degli uomini.
Le ideologie politiche, che avevano caratterizzato l’epoca precedente al 1989, sembrano aver perso di virulenza, sostituite però dalla nuova ideologia della tecnica. In questi venti anni, le possibilità di intervento della tecnica nella stessa identità della persona si sono purtroppo sposate con un riduzionismo delle possibilità conoscitive della ragione, su cui Benedetto XVI sta impostando da tempo un lungo insegnamento. Questo scostamento tra capacità operative, che ormai riguardano la vita stessa, e quadro di senso, che si assottiglia sempre di più, è tra le preoccupazioni più vive dell’umanità di oggi e, per questo, la Caritas in veritate lo ha affrontato. Se nel vecchio mondo dei blocchi politici contrapposti la tecnica era asservita all’ideologia politica ora, che i blocchi non ci sono più e il panorama geopolitico è di gran lunga cambiato, la tecnica tende a liberarsi da ogni ipoteca. L’ideologia della tecnica tende a nutrire questo suo arbitrio con la cultura del relativismo, alimentandola a sua volta. L’arbitrio della tecnica è uno dei massimi problemi del mondo d’oggi, come emerge in maniera evidente dalla Caritas in veritate.
Un secondo elemento distingue l’epoca attuale da quella di venti anni fa: l’accentuazione dei fenomeni di globalizzazione determinati, da un lato, dalla fine dei blocchi contrapposti e, dall’altro, dalla rete informatica e telematica mondiale. Iniziati nei primi anni Novanta del secolo scorso, questi due fenomeni hanno prodotto cambiamenti fondamentali in tutti gli aspetti della vita economica, sociale e politica. La Centesimus annus accennava al fenomeno, la Caritas in veritate lo affronta organicamente. L’enciclica analizza la globalizzazione non in un solo punto, ma in tutto il testo, essendo questo un fenomeno, come oggi si dice, "trasversale": economia e finanza, ambiente e famiglia, culture e religioni, migrazioni e tutela dei diritti dei lavoratori; tutti questi elementi, ed altri ancora, ne sono influenzati.
Un terzo elemento di cambiamento riguarda le religioni. Molti osservatori notano che in questo ventennio, pure a seguito della fine dei blocchi politici contrapposti, le religioni sono tornate alla ribalta della scena pubblica mondiale. A questo fenomeno, spesso contraddittorio e da decifrare con attenzione, si contrappone un laicismo militante, e talvolta esasperato, che tende ad estromettere la religione dalla sfera pubblica. Ne discendono conseguenze negative e spesso disastrose per il bene comune. La Caritas in veritate affronta il problema in più punti e lo vede come un capitolo molto importante per garantire all’umanità uno sviluppo degno dell’uomo.
Un quarto ed ultimo cambiamento su cui voglio soffermarmi è l’emergenza di alcuni grandi Paesi da una situazione di arretratezza, che sta mutando notevolmente gli equilibri geopolitici mondiali. La funzionalità degli organismi internazionali, il problema delle risorse energetiche, nuove forme di colonialismo e di sfruttamento sono anche collegate con questo fenomeno, positivo in sé, ma dirompente e che ha bisogno di essere bene indirizzato. Torna qui, impellente, il problema della governance internazionale.
Queste quattro grandi novità, emerse nel ventennio che ci separa dall’ultima enciclica sociale, novità rilevanti che hanno cambiato in profondità le dinamiche sociali mondiali, basterebbero da sole a motivare la scrittura di una nuova enciclica sociale. All’origine della Caritas in veritate, c’è, però, un altro motivo che non vorrei venisse dimenticato. Inizialmente la Caritas in veritate era stata pensata dal Santo Padre come una commemorazione dei 40 anni della Populorum progressio (PP) di Paolo VI. La redazione della Caritas in veritate ha richiesto più tempo e quindi la data del quarantennio della Populorum progressio – il 2007 – è stato superato. Ma questo non elimina l’importante collegamento con l’enciclica paolina, evidente già dal fatto che la Caritas in veritate viene detta una enciclica "sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità". Collegamento evidente, poi, per il primo capitolo dell’enciclica, che è dedicato proprio a riprendere la Populorum progressio, ed a rileggerne l’insegnamento dentro il magistero complessivo di Paolo VI. Il tema della Caritas in veritate non è lo "sviluppo dei popoli", ma "lo sviluppo umano integrale", senza che questo comporti una trascuratezza del primo. Si può dire, quindi, che la prospettiva della Populorum progressio venga allargata, in continuità con le sue profonde dinamiche.
Credo che non vada dimenticato che la Caritas in veritate dimostra con chiarezza non solo che il pontificato di Paolo VI non ha rappresentato nessun "arretramento" nei confronti della Dottrina sociale della Chiesa, come troppo spesso si è detto, ma che questo Papa ha contribuito in modo significativo ad impostare la visione della Dottrina sociale della Chiesa sulla scia della Gaudium et spes e della tradizione precedente ed ha costituito le basi, su cui si è poi potuto inserire Giovanni Paolo II. Non deve sfuggire l’importanza di queste valutazioni della Caritas in veritate, che eliminano tante interpretazioni che hanno pesato – e tuttora pesano – sull’utilizzo della Dottrina sociale della Chiesa e sulla stessa idea della sua natura ed utilità. La Caritas in veritate mette bene in luce come Paolo VI abbia strettamente collegato la Dottrina sociale della Chiesa con la evangelizzazione (Evangelii nuntiandi) ed abbia previsto l’importanza centrale che avrebbero assunto nelle problematiche sociali i temi legati alla procreazione (Humanae vitae).
La prospettiva di Paolo VI e gli spunti della Populorum progressio sono presenti in tutta la Caritas in veritate e non solo nel primo capitolo, espressamente dedicato a ciò. A parte l’utilizzo di alcuni spunti particolari relativi alle problematiche specifiche dello sviluppo dei Paesi poveri, la Caritas in veritate fa proprie tre prospettive di ampio respiro, contenute nell’enciclica di Paolo VI. La prima è l’idea che «il mondo soffre per mancanza di pensiero» (PP [Populorum progressio] 85). La Caritas in veritate sviluppa questo spunto articolando il tema della verità dello sviluppo e nello sviluppo fino a sottolineare l’esigenza di una interdisciplinarietà ordinata dei saperi e delle competenze a servizio dello sviluppo umano. La seconda è l’idea che "Non vi è umanesimo vero se non aperto verso l’Assoluto" (PP. 42) ed anche la Caritas in veritate si muove nella prospettiva di un umanesimo veramente integrale. Il traguardo di uno sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini è ancora davanti a noi. La terza è che all’origine del sottosviluppo c’è una mancanza di fraternità (PP 66). Anche Paolo VI faceva appello alla carità e alla verità quando invitava ad operare «con tutto il loro cuore e tutta la loro intelligenza» (PP. 82).
Alla Populorum progressio viene conferito lo stesso onore dato alla Rerum novarum: venire periodicamente ricordata e commentata. Essa è quindi la nuova Rerum novarum della famiglia umana globalizzata.
All’interno di questo umanesimo integrale, la Caritas in veritate parla anche della attuale crisi economica e finanziaria. La stampa si è dimostrata interessata soprattutto a questo aspetto ed i giornali si sono chiesti cosa avrebbe detto la nuova enciclica sulla crisi in atto. Vorrei dire che il tema centrale dell’enciclica non è questo, però la Caritas in veritate non si è sottratta alla problematica. L’ha affrontata, non in senso tecnico, ma valutandola alla luce dei principi di riflessione e dei criteri di giudizio della Dottrina sociale della Chiesa ed all’interno di una visione più generale dell’economia, dei suoi fini e della responsabilità dei suoi attori. La crisi in atto mette in evidenza, secondo la Caritas in veritate, che la necessità di ripensare anche il modello economico cosiddetto "occidentale", richiesta dalla Centesimus annus circa venti anni fa, non è stato attuato fino in fondo. Dice questo, però, dopo aver chiarito che - come già aveva visto Paolo VI e come ancor più vediamo noi oggi - il problema dello sviluppo si è fatto policentrico e il quadro delle responsabilità, dei meriti e delle colpe, si è molto articolato. Secondo la Caritas in veritate, «La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente» (n. 21). Dall’enciclica emerge una visione in positivo, di incoraggiamento all’umanità perché possa trovare le risorse di verità e di volontà per superare le difficoltà. Non un incoraggiamento sentimentale, dato che nella Caritas in veritate vengono individuati con lucidità e preoccupazione tutti i principali problemi del sottosviluppo di vaste aree del pianeta. Ma un incoraggiamento fondato, consapevole e realistico perché nel mondo sono all’opera molti protagonisti ed attori di verità e di amore e perché il Dio che è Verità e Amore è sempre all’opera nella storia umana.
Nel titolo della Caritas in veritate appaiono i due termini fondamentali del magistero di Benedetto XVI, appunto la Carità e la Verità. Questi due termini hanno segnato tutto il suo magistero in questi anni di pontificato, in quanto rappresentano l’essenza stessa della rivelazione cristiana. Essi, nella loro connessione, sono il motivo fondamentale della dimensione storica e pubblica del cristianesimo, sono all’origine, quindi, della Dottrina sociale della Chiesa. Infatti, «Per questo stretto collegamento con la verità, la carità può essere riconosciuta come espressione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica. Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta» (n. 3).

Fonte: FidesVita

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