A SANREMO FIORELLO PRENDE IN GIRO LA CHIESA, I SACERDOTI, LA FEDE
In apertura del Festival Fiorello entra in talare, facendo la caricatura di un prete... ormai i cattolici sono ridotti a macchietta
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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KOBE BRYANT: I MEDIA SI SONO ''DIMENTICATI'' DI DIRE CHE ERA CATTOLICO
La morte a 41 anni del campione di basket ci ricorda cosa vuol dire essere cattolico sia nella buona che nella cattiva sorte
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Sito del Timone
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PERCHE' LE COPPIE SI SEPARANO?
Un tempo ero convinto che si separassero perché litigavano, ma mi sbagliavo... non si separano perché litigano, ma semmai litigano perché si separano (VIDEO: Consigli per fidanzati e sposi)
Autore: Roberto Marchesini - Fonte: Il Timone
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STRISCIA LA NOTIZIA E REPUBBLICA ALL'ATTACCO DI DON ARMANDO... MA I PARROCCHIANI LO DIFENDONO
Per le opinioni espresse sul bollettino della parrocchia, il parroco di Vanzaghello è stato attaccato perché svela le menzogne della cultura dominante
Fonte: Tempi
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CORONAVIRUS, LA VERA EPIDEMIA E' IL PANICO
La nuova minaccia fantasma è solo una paura ingiustificata delle malattie infettive (ad es.: lo sapevate che in Italia ben 5.000 persone muoiono ogni anno per complicazioni dell'influenza?)
Autore: Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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SPAGNA, PUZZA DI REGIME: NON PUOI PENSARE DIVERSAMENTE DAL GOVERNO
Il nuovo ministro dell'Istruzione spagnolo, Isabel Celaá, afferma che i figli non sono dei genitori, ma dello Stato (ad es. ai figli di genitori omofobi sarà insegnato ad amare chi vogliono)
Autore: Raffaella Frullone - Fonte: Sito del Timone
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DON BOSCO E LA PEDAGOGIA PREVENTIVA
Nell'educazione dei ragazzi san Giovanni Bosco mirava a prevenire gli errori del comportamento piuttosto che a curarli dopo che questi si fossero manifestati
Fonte: I Tre Sentieri
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UNA MONGOLFIERA PER LA LIBERTA'
Balloon, il film che ricorda la storia vera di un'incredibile fuga dal ''paradiso'' comunista della Germania Est (VIDEO: scena iniziale del film)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Film Garantiti
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OMELIA V DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 5,13-16)
Ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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A SANREMO FIORELLO PRENDE IN GIRO LA CHIESA, I SACERDOTI, LA FEDE
In apertura del Festival Fiorello entra in talare, facendo la caricatura di un prete... ormai i cattolici sono ridotti a macchietta
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 05-02-2020
Entra dalla platea ed entra in talare. È Fiorello che apre così il Festival di Sanremo. Con la sua usuale verve affascina il pubblico osannante: «Buonasera fratelli e buonasera sorelle! In questo mondo c'è bisogno di pace! Scambiatevi il segno di pace. Datevi la mano un con l'altro. Fatelo sul serio». Poi spiega il motivo del suo abbigliamento: «Questo è il festival delle polemiche e bisogna iniziare con qualcosa di veramente forte. Questo non è un abito blasfemo, ma un abito di scena. Dovevamo iniziare con qualcosa di potente. Questo è l'abito originale di Don Matteo». Lo sketch si conclude con Fiorello e tutto il pubblico che cantano "Amadeus" sulle note dell'alleluia.
CATTOLICI RIDOTTI A MACCHIETTA Fiorello, pleonastico a dirsi, è un genio dello spettacolo. Ma ai geni si deve perdonare di meno che alla very normal people proprio a motivo del loro genio. Il primo commento, quello più epidermico e dettato dalle viscere, è intuitivo per i lettori della Bussola: Fiorello ha preso in giro la Chiesa, i sacerdoti, la fede. "Lo facesse con l'islam con tanto di Kufi in testa o scimmiottasse il cohen ebraico!", a qualcuno scapperebbe da dire. Il Rosario Tindaro nazionale lo sa ed è per questo che ha tirato fuori la foglia di fico dell'abito di scena per coprire alcune pudenda che in realtà hanno visto milioni di spettatori. Però se facciamo tacitare per un attimo le nostre viscere, ci accorgiamo di un fatto quasi banale. Fiorello inconsapevolmente ci ha confermato in una verità tanto lapalissiana che non riusciamo nemmeno più a vederla: la Chiesa, la fede, i sentimenti religiosi, etc. vanno bene ormai solo per far ridere. I cattolici sono ridotti a macchiette. La religione cattolica sopravvive nella mente dei più come una tenue eco di qualcosa di assolutamente alieno con la vita di ogni giorno, buona solo per strappare sbadigli, sdegnose riprovazioni (sagrestia per molti fa rima solo con pedofilia) o risate se ci mette del suo un comico.
SOLO CANZONETTE? Già il fatto che Fiorello si presenti in talare la dice lunga. Quanti sono i sacerdoti in talare? Lo zero virgola. Però nell'immaginario collettivo il sacerdote è in talare. Fiorello stimola l'immaginario collettivo e dunque la talare ha una sua ragion d'essere. Però - e qui sta il punto - si tratta ormai solo di un simbolo, di una icona, di una suggestione visiva senza più nessun aggancio con il reale. Siamo perciò oltre alla satira del sacro. Il sacro è ridotto né più né meno ad un espediente di scena, ad un canovaccio teatrale, ad un topos comico, ad una maschera, così come in Shakespeare c'è il buffone e la prostituta. Perciò non prendetevela cari cattolici, nulla di personale. La talare è solo un pretesto, appunto «un abito di scena», come ha ricordato il Nostro. E dunque Fiore ci può prendere in giro perché i cattolici che vivono la loro fede in talare - ossia seriamente - sono pressoché estinti. Quindi numericamente innocui e di certo quei pochi esistenti non siedono nella stanza dei bottoni. Gli altri, i cattolici con il maglioncino grigio topo, plaudono festanti al dileggio festivaliero cantando "Amadeus" sulla melodia dell'alleluia parrocchiale. Tanto sono solo canzonette, si dirà.
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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 05-02-2020
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KOBE BRYANT: I MEDIA SI SONO ''DIMENTICATI'' DI DIRE CHE ERA CATTOLICO
La morte a 41 anni del campione di basket ci ricorda cosa vuol dire essere cattolico sia nella buona che nella cattiva sorte
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Sito del Timone, 28 gennaio 2020
Ha provocato grande commozione e sconcerto, nel mondo intero, la notizia della prematura scomparsa della star dell'Nba Kobe Bryant, morto domenica insieme alla figlia Gianna Maria ed altre persone in un incidente in elicottero nel sud della California, a Calabasas. Bryant aveva 41 anni, la figlia - pure d'arte, dato che era una promessa del basket femminile - appena 13. I media in queste ore stanno quindi rievocando le gesta di questo straordinario atleta, vincitore di 5 titoli Nba e non a torto accostato all'inarrivabile Michael Jordan, il quale lo riconosceva apertamente: «Come giocatore, lui si merita di essere paragonato a me».
QUELLO CHE I GRANDI MEDIA NON CI HANNO DETTO Accanto a questo lato sportivo, ce n'è però un altro che merita di essere ricordato, ossia quello privato e di fede. Sì, perché Kobe Bryant - che da bambino, a seguito del padre anch'egli cestista, visse alcuni anni in Italia - era cattolico. E cattolico non per modo di dire: cresciuto in una famiglia credente, nel 2001 si era sposato in una parrocchia della California meridionale. La fede gli fu inoltre di decisivo aiuto in una delle vicende più burrascose della sua esistenza: quella di un processo per violenza sessuale ai danni di una dipendente di un hotel del Colorado. Alla fine chi accusava Bryant ritirò le sue accuse, ma quella fu per il campione una fase difficilissima, se non altro perché sua moglie Vanessa, a causa dello stress, abortì. Ebbene, in quel periodo tormentato - anche dal serio rischio di finire in cella - Bryant fu sostenuto soprattutto dalla fede: «L'unica cosa che mi ha davvero aiutato durante quel processo - sono cattolico, sono cresciuto cattolico, i miei figli sono cattolici - era parlare con un prete». L'esser cristiano ha aiutato il grande giocatore scomparso anche durante la crisi del suo matrimonio, avvenuta nel 2011 quando la moglie chiese il divorzio citando, a supporto di tale richiesta, differenze incolmabili tra i due, motivazione peraltro ricorrente quando le nozze vanno a rotoli.
RIMANERE INSIEME, NONOSTANTE TUTTO Ciò nonostante, Kobe Bryant non si è arresto all'idea di veder naufragare il suo matrimonio, celebrato davanti a Dio; e alla fine, due anni dopo, sua moglie Vanessa è tornata sui suoi passi, ritirando la richiesta di divorzio. Che il fuoriclasse morto domenica fosse un autentico credente è provato anche alla sua frequenza alla Santa Messa. Ne rende testimonianza il racconto, condiviso su Instagram, della cantante Cristina Ballestero, la quale incontrò Bryant alla Holy Family Cathedral di Orange, in California: «Mentre salivamo alla comunione, con grande signorilità ha aspettato che io lo precedessi». Non per nulla su Twitter anche Jose Gomez, arcivescovo di Los Angeles, ha voluto esprimere un pensiero in memoria del grande campione: «Sono molto triste per la notizia della tragica morte di Kobe Bryant giuntami questa mattina. Prego per lui e per la sua famiglia. Possa riposare in pace e possa la Madonna portare conforto ai suoi cari». Con toni egualmente commossi si è espresso uno dei vescovi ausiliari di Los Angeles, Robert Barron: «Preghiamo per il riposo della sua anima, insieme agli altri uccisi nell'incidente dell'elicottero. Possa il Signore concedere loro la sua misericordia e accoglierli nel suo regno celeste». Molto probabilmente i grandi media sorvoleranno su tutti questi aspetti, ricordando di Kobe Bryant solo le pur immortali imprese sportive. Tuttavia, adesso che purtroppo non c'è più, ciò che davvero conta - e che, ovunque si trovi, lo può aiutare - è anzitutto la sua fede; il solo lasciapassare che, c'è da sperare, lo aiuterà a riposare in pace e ad insegnare la pallacanestro agli angeli.
Fonte: Sito del Timone, 28 gennaio 2020
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PERCHE' LE COPPIE SI SEPARANO?
Un tempo ero convinto che si separassero perché litigavano, ma mi sbagliavo... non si separano perché litigano, ma semmai litigano perché si separano (VIDEO: Consigli per fidanzati e sposi)
Autore: Roberto Marchesini - Fonte: Il Timone, gennaio 2020 (n. 191)
Perché le coppie si separano? Un tempo ero convinto che si separassero perché litigavano. Avendo lavorato a lungo con le coppie ho capito che mi sbagliavo: non si separano perché litigano; al massimo litigano perché si separano (per i figli, i soldi, la casa, l'auto...). Ciò è confermato da una ricerca (P. R. Amato e A. Booth, A Generation at Risk: Growing Up in an Era of Family Upheaval, H.U.P., Cambridge1997) secondo cui circa il 70% dei divorzi avvengono in famiglie a basso livello conflittuale e solo il 25% in famiglie ad alto livello conflittuale. E allora: perché le coppie si separano? In genere, perché le aspettative non si sono realizzate. Molti si sposano per essere felici (non per far felice l'altro, come ad esempio richiede la Chiesa cattolica con le promesse matrimoniali) e dopo un po', inevitabilmente, subentra la delusione. Per altri, invece, finisce l'innamoramento, quel sentimento che dona benessere e che la nostra società confonde con l'amore (che non è un sentimento, bensì la libera decisione di cercare il bene dell'altro). Questa osservazione è condivisa dal sociologo Morali-Daninos (A. Morali-Daninos, Storia delle relazioni sessuali, Lucarini, Roma 1988, pp. 76-77): [...] si è assistito, in questo modo, a una vera e propria rivoluzione sessuale che si verifica ancora oggi, sotto i nostri occhi. Questa rivoluzione sembra essere stata guidata da due principi: il diritto all'amore e il diritto alla felicità nell'amore. Il primo di questi principi pone l'accento sull'importanza irrinunciabile dell'attrazione reciproca e ha avuto come conseguenza un indebolimento dei legami familiari e sociali. Il secondo principio implica la contingenza dell'unione in se stessa, poiché, se ci si sbaglia nella scelta del compagno, si può, anzi si deve ricominciare con un altro, donde il moltiplicarsi di divorzi, delle unioni libere e anche la necessità di valutare con più attenzione il momento opportuno per la nascita dei figli e per la creazione di una famiglia che potrebbe rischiare, domani, di non avere più una ragione d'essere. Cos'è accaduto? Come mai la soddisfazione personale è considerata oggi tanto importante; e perché il matrimonio viene fondato su un fugace e passeggero sentimento? Prendiamola alla larga...
SENZA RAGIONE La storia dell'età moderna, può essere riassunta (semplificando) come la storia della ribellione contro la legge naturale. La facoltà umana deputata al riconoscimento di quest'ultima è la ragione, che l'antropologia classica pone al vertice dell'uomo e al comando della sua vita. Ne abbiamo un esempio nel mito platonico della biga alata, dove i due cavalli (le passioni irascibile e concupiscibile) muovono la biga, ma è l'auriga (la ragione) a tenere le briglie e a stabilire la direzione. Un mezzo per negare l'esistenza della legge naturale fu limitare le capacità della ragione. Hobbes (1588-1679), per primo, dichiarò che la ragione non può cogliere concetti metafisici quali le leggi morali e religiose, che egli chiamò «idola» (feticci, invenzioni, falsità). La ragione può cogliere soltanto ciò che cade sotto i sensi umani, cioè la materia. Nacque così l'empirismo inglese, la prima filosofia compiuta della modernità. Esso fu seguito dall'illuminismo che, lungi dall'essere l'esaltazione della ragione (come viene insegnato a scuola), consiste piuttosto nella riaffermazione dei suoi limiti. Anche per gli illuministi, infatti, la ragione può cogliere solamente ciò che colpisce i sensi; e le realtà metafisiche (comprese le leggi morali e religiose), gli «idola» degli empiristi, divengono cosi «superstizioni». Se la ragione non è in grado di guidare l'uomo, chi prenderà il comando? Le passioni? Ecco, quindi, il romanticismo: non tanto l'antitesi dell'illuminismo, ma la sua diretta conseguenza. [...]
ADULTERIO E ROMANTICISMO Come ebbe a dire Joris-Karl Huysman, ex romantico convertitosi al cattolicesimo, il tema della letteratura romantica è uno solo: l'adulterio. In poche parole, questo genere letterario riguarda lo scontro tra le norme morali e religiose riguardanti il matrimonio e la sessualità, e la sfrenata passione sessuale; ovviamente, il lieto fine consiste nella vittoria della seconda sulle prime. Il marito cornuto, il cattivo del racconto, è destinato a soccombere di fronte alla potenza della passione adulterina. Anche se pochi ci fanno caso questo topos influenzò non solo la poesia e la letteratura, ma la musica, la pittura e il cinema del Novecento. E, ovviamente, l'idea del matrimonio stesso, visto come mera convenzione sociale destinato a soccombere di fronte all'innamoramento. A questa prima, tragica Rivoluzione Sessuale, seguì quella che tutti conosciamo e che accompagno il cosiddetto Sessantotto. Anche in quel caso ci fu una rottura netta e totale delle norme morali e religiosi che riguardano il sesso. E, anche in quel caso, le passioni (quella sessuale in particolare) divennero la facoltà più importante dell'uomo. Il Sessantotto, infatti, ebbe tra le varie conseguenze quella di rompere con un matrimonio come patto di significato sociale, come dedizione reciproca degli sposi, diventando mera fonte di soddisfazione personale. L'altra grande idea rivoluzionaria che ebbe delle enormi conseguenze sul concetto generale di matrimonio fu l'idea che il fine della vita dell'uomo non sia il sacrificio di sé per il bene degli altri, come insegna il Vangelo; e nemmeno il bene comune. Bensì il proprio personale tornaconto. Tuttavia, poiché la felicità è delectatio in felicitate alterius (rallegrarsi della felicità altrui), chi si sposa per questo motivo è condannato all'infelicità. E quindi a cercarla compulsivamente in altre relazioni (magari attraverso nuovi strumenti, come le app), sperando che la prossima sia quella buona. La fragilità attuale dell'istituzione matrimoniale è il frutto maturo della modernità. L'abbandono della legge naturale produce solo odio e infelicità.
Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 1 ora e 40 minuti) dal titolo "Consigli per fidanzati e sposi" l'autore del precedente articolo, Roberto Marchesini spiega che il matrimonio non è finalizzato alla propria soddisfazione personale. Però è altrettanto sbagliato ritenere che debba obbligare a rinunciare ad ogni tipo di gratificazione. Ecco quindi spiegato come funziona il matrimonio con preziosi consigli per fidanzati e sposi (che è il tema del suo libro "E vissero felici e contenti").
https://www.youtube.com/watch?v=FNU_v8oF0Gs
Fonte: Il Timone, gennaio 2020 (n. 191)
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STRISCIA LA NOTIZIA E REPUBBLICA ALL'ATTACCO DI DON ARMANDO... MA I PARROCCHIANI LO DIFENDONO
Per le opinioni espresse sul bollettino della parrocchia, il parroco di Vanzaghello è stato attaccato perché svela le menzogne della cultura dominante
Fonte Tempi, 24 gennaio 2020
I giorni scorsi su alcuni quotidiani nazionali, e stretto giro sul profilo social di una nota "opinionista", sono apparsi stralci di titoli e pagine tratti del bollettino della Parrocchia di Vanzaghello (Mi), il Mantice. Le frasi, estrapolate dal loro contesto, hanno dato vita ad un vero e proprio "linciaggio" social del parroco, don Armando, reo di aver pubblicato concetti "imbarazzanti e inammissibili nel 2020", perché non in linea con alcune tendenze "politically correct". Per chi si fosse preso la briga di leggere fino in fondo gli articoli oggetto di scandalo, questi denunciano il relativismo imperante, contro cui spesso si è scagliato il magistero della Chiesa. Possono non piacere a livello di tono o di contenuto, si può certamente dissentire e dibattere, ognuno liberamente può trarre la propria conclusione; sono articoli già presenti sul web, con una risonanza certo maggiore rispetto al bollettino parrocchiale di paese, ma non ci risulta che siano stati mai contestati in rete. Ci sembrano quindi un pretesto per far diventare caso nazionale un dibattito interno ad un paese di 5.000 anime, con la speranza di far rimuovere il parroco dal suo incarico, come se dalla scelta di pubblicare articoli (oltre ai soliti avvisi e numeri utili) si possa giudicare l'operato di un pastore e lo stato di salute di una comunità. Vorremo quindi provare a dare un minimo di contesto e fare luce sull'uomo e pastore don Armando. Don Armando arrivò a Vanzaghello nel 1993 anni fa come coadiutore, per affiancare l'ormai anziano parroco del paese, di cui prenderà il posto tre anni dopo: finalmente dopo qualche anno si riaprivano i cancelli dell'Oratorio, la domenica quello che ormai era un luogo semi deserto si riempiva di bambini e giovani. Don Armando chiarì sin da subito le sue posizioni e il suo modus operandi: l'oratorio, riprendendo i principi del suo fondatore Don Bosco, è un luogo di formazione, non solo di svago, veniva chiesta quindi un'iscrizione formale e la partecipazione assidua ad un percorso. Un prete duro e distante quindi, si potrebbe pensare: tutt'altro. Chi ha avuto modo di bussare alla sua porta o al suo confessionale si è trovato di fronte un pastore comprensivo, sempre pronto ad ascoltare, a dare conforto sia spirituale che materiale. Un pastore accogliente anche nei confronti di persone immigrate e di altre religioni, che cercavano un confronto e un aiuto vero. Tutto ciò non certo in nome del dilagante e sterile buonismo, ma con grande spessore culturale e con la profonda umanità di un pastore che vede e comprende le povertà della vita quotidiana alla luce della vera pietas cristiana. Come ama dire lui stesso: «Dal pulpito si tuona, dal confessionale si perdona». "Dai loro frutti li riconoscerete". Oggi, a Vanzaghello, ci sono circa 300 ragazzi iscritti all'oratorio domenicale, sono nate numerose associazioni parrocchiali sia di tipo contemplativo che caritativo; più di 300 persone che si turnano nella chiesetta di San Rocco per adorare il Santissimo Sacramento giorno e notte. Nel 2018 è stata riaperta la chiesa di Madonna in Campagna con una corona umana di 1300 persone. Attualmente due ragazzi sono in seminario e uno sta percorrendo il cammino per diventare Frate Domenicano. Oltre alla forte spinta spirituale l'attenzione costante di don Armando verso i ragazzi (non per nulla anche da parroco ha scelto di risiedere in Oratorio) si è manifestata con ampliamenti, manutenzioni, ristrutturazioni, nuovi spazi e nuove attrezzature al passo con i tempi. Tanti giovani, oggi ormai adulti, hanno nel cuore le belle giornate del campeggio estivo, le fatiche delle camminate assieme, le serate davanti ai falò con don Armando che suona la chitarra elettrica (già talmente retrogrado che suona bene la chitarra elettrica!), le tende montate in qualche modo, le messe all'aperto, le gite in piscina, la caccia al tesoro per le vie del paese, il Giubileo del 2000, e un lungo elenco di fotogrammi pieni di gioia. Se avete l'occasione di passare da Vanzaghello, fermatevi nella nostra bella chiesa, guardate come è ben curata, ascoltate il nostro maestoso organo ottocentesco rimesso in funzione dopo anni di inattività, andate a vedere il dipinto della Vergine delle Rocce della scuola di Marco d'Oggiono, la corona della Vergine di Lourdes fatta con gli ori offerti dei fedeli. Potete fermarvi a pregare il Santissimo sempre presente in San Rocco, ammirare la grande Croce Istoriata nel cortile della casa parrocchiale, proseguire nei cortili dell'oratorio per vedere la sala stampa e tante altre opportunità a disposizione dei ragazzi. Tutto questo è segno di un lavoro spirituale e organizzativo costante, di una sintonia tra il pastore e il gregge. Se qualcuno vuole dissentire dalle posizioni di don Armando chieda un confronto, ma la Chiesa di Milano sappia che Vanzaghello è, con tutti i limiti, una piccola oasi felice dal punto di vista della fede cattolica, guidata da un pastore che porta avanti la sua missione... con "qualche" frutto. Con affetto e riconoscenza verso il nostro parroco, Giovani e adulti parrocchiani di Vanzaghello
Nota di BastaBugie: nel video (durata: 3 minuti) si può vedere il servizio del 23 gennaio 2020 dell'inviata musulmana Rajae Bezzaz per Striscia la notizia con l'attacco a don Armando Bosani, parroco a Sant'Ambrogio di Vanzaghello, diocesi di Milano. L'accusa è quella di razzismo, omofobia, antisemitismo, persino "antigretismo" e qualche altro non meglio specificato psicoreato dell'era moderna. La segnalazione a Mediaset è partita dal Pd di Vanzaghello. Nel video alcuni esponenti del Pd hanno fatto in modo di farsi trovare "casualmente" mentre passava la troupe per le interviste... Per vedere la puntata di Striscia la notizia, clicca nel link qui sotto: https://www.mediasetplay.mediaset.it/video/striscialanotizia/rivista-parrocchiale-poco-pacifica_F309939901105C11
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Fonte: Tempi, 24 gennaio 2020
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CORONAVIRUS, LA VERA EPIDEMIA E' IL PANICO
La nuova minaccia fantasma è solo una paura ingiustificata delle malattie infettive (ad es.: lo sapevate che in Italia ben 5.000 persone muoiono ogni anno per complicazioni dell'influenza?)
Autore: Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 01-02-2020
11.000 morti per polmonite; 5.000 morti per complicazioni dell'influenza. È il bilancio dell'epidemia del Coronavirus cinese? No: è il quadro epidemiologico del nostro Paese. Ogni anno questo è il numero dei morti per queste due patologie. È un dato che dovrebbe far riflettere su quello che sta accadendo. L'epidemia che sta scoppiando è infatti una epidemia da panico, da paura ingiustificata delle malattie infettive. La nuova minaccia fantasma si chiama Coronavirus. Certo: come abbiamo già scritto i casi esistono, e per certi versi il loro numero crescente sta a significare che il sistema cinese di prevenzione non sta funzionando, esattamente come accadde nel 2003 con la SARS, come la NBQ ha ricordato negli scorsi giorni. La vicenda del Coronavirus sta mostrando quanto sia fragile il gigante cinese, quel modello fatto di un mix micidiale di Comunismo e Turbocapitalismo che tanto piace in Occidente, e persino nei Sacri Palazzi Vaticani. Esaltato fino a pochi giorni fa per i suoi risultati economici e per la sua potenza militare e politica, questo modello si trova ora a fronteggiare con scarsa efficacia una epidemia che a causa degli spostamenti dei cittadini cinesi nel mondo si sta globalizzando. Tuttavia parliamo di una malattia che ha un tasso di mortalità del 3%. Ciò significa che su 100 persone che si ammalano 97 guariscono senza problemi. Inoltre, i dati che cominciano ad essere accessibili, rivelano che i morti sono persone anziane, malati cronici, immunodepressi. Insomma, col nuovo Coronavirus sta accadendo la stessa cosa che avviene con i nostri virus influenzali. Tra parentesi, nei giorni scorsi veniva proprio annunciato come imminente il picco dell'epidemia influenzale in Italia. Ora non se ne parla più: tutta l'attenzione è monopolizzata dal pericolo giallo.
LA FABBRICA DELLA PAURA E sul fattore paura nascono e proliferano strane narrazioni. C'è chi ha parlato di numeri di morti altissimi e tenuti nascosti; chi di un microrganismo killer sfuggito ai laboratori militari preposti alla produzione di armi batteriologiche. Questa ipotesi è stata alimentata dalla presenza nei centri più colpiti di medici militari. In realtà è normale prassi del regime cinese intervenire con metodi tipici da regime dittatoriale, e non certo con gli specialisti e i protocolli tipici della Sanità occidentale. Ma anche queste centinaia di medici-soldati possono fare ben poco: mancano infatti tute protettive, occhiali di salvataggio, mascherine igieniche, strumentazioni e test-kit per scoprire la malattia nelle decine di migliaia di pazienti che affollano i corridoi degli ospedali. La poca efficacia dipende anche dalla mancanza di informazioni e dal silenzio tenuto per troppo tempo prima di lanciare l'allarme. Secondo uno dei più autorevoli mezzi di informazione medica, il britannico The Lancet, i primi casi di coronavirus, ufficialmente denunciati il 31 dicembre, si sarebbero in realtà verificati dai primi di dicembre. Accanto a queste ipotesi di guerra batteriologica decisamente fantasiose, esistono poi prese di posizione che colgono l'occasione per fare sentire la loro voce. Tra questi il virologo del San Raffaele Roberto Burioni, il campione del "vacciniamo ad oltranza", che sostiene che ai dati che vengono dalla Cina devono essere aggiunti parecchi zeri. Per il professore insomma saremmo di fronte ad una emergenza sanitaria. Tuttavia, ha l'onestà e il realismo di dire che non c'è in vista alcun vaccino per il Coronavirus. D'altra parte, pur essendo questi virus studiati da anni, e avendo avuto l'epidemia di SARS nel 2003, in tutti questi anni non si è arrivati a produrre alcun tipo di vaccino per alcun Coronavirus. Difficile quindi affermare che lo si possa fare oggi, magari nel giro di poche settimane. Eppure c'è chi lo fa, e queste intemerate di ricercatori possono portare su di loro l'attenzione dei media, o meglio ancora lucrosi finanziamenti e financo il rialzo dei titoli di borse di società quotate.
ALLARMISMO INGIUSTIFICATO C'è poi chi ha buttato ulteriore benzina sul fuoco dell'allarmismo. In una intervista rilasciata nei giorni scorsi, Walter Ricciardi, presidente della World Federation of Public Health Association (Wfpha), ed ex Direttore dell'Istituto Superiore di Sanità, carica dalla quale si era dimesso per protesta contro la presenza nel primo governo Conte di Matteo Salvini, ha dichiarato che l'Italia è una "bomba microbiologica". Cosa farebbe del nostro Paese una realtà ad altissimo rischio epidemico, quali la stessa Cina o Paesi in via di sviluppo? Secondo Ricciardi i rischi che si paventano con la diffusione del coronavirus sono «piccole avvisaglie». Il vero problema è che «purtroppo, la mancanza di conoscenze scientifiche e di fiducia nei confronti della scienza e quindi dei vaccini sta determinando una grande vulnerabilità e il nostro Paese in questo contesto è uno dei più deboli». Una affermazione decisamente sorprendente. Le coperture vaccinali italiane sono perfettamente in linea con quelle degli altri Paesi europei. Non si riscontrano focolai epidemici: l'andamento delle principali malattie infettive è normale. Perché allora cogliere l'occasione della paura del Coronavirus per lanciare questo tipo di messaggi allarmistici? E ancora: perché diffondere l'illusione della immediata realizzazione di un vaccino per un virus individuato da un mese, quando sappiamo bene che per preparare un vaccino servono molti anni di studi e ricerche, occorrono test clinici in vitro o in vivo su animale e poi su uomo, e gli studi e i risultati poi vanno attentamente valutati? Infine, non si comprende perché quella della vaccinazione dovrebbe essere l'unica obbligata soluzione alle malattie infettive. E i farmaci antivirali? E le misure igieniche di isolamento, profilassi, e soprattutto di stili di vita sani? Perché trascurarli? In sintesi: non bisogna farsi condizionare dal Fattore P, il fattore paura, che magari è funzionale a distrarre l'opinione pubblica da quelli che sono i veri problemi, sanitari e non solo.
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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 01-02-2020
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SPAGNA, PUZZA DI REGIME: NON PUOI PENSARE DIVERSAMENTE DAL GOVERNO
Il nuovo ministro dell'Istruzione spagnolo, Isabel Celaá, afferma che i figli non sono dei genitori, ma dello Stato (ad es. ai figli di genitori omofobi sarà insegnato ad amare chi vogliono)
Autore: Raffaella Frullone - Fonte: Sito del Timone, 21 gennaio 2020
«Non possiamo pensare in alcun modo che i figli appartengano ai genitori». Non si può certo dire che non sia stata chiara Isabel Celaá, ministro dell'Istruzione dell'esecutivo spagnolo guidato dal socialista Pedro Sánchez. La Celaá ha rilasciato questa dichiarazione durante una conferenza stampa in cui criticava l'adozione del cosiddetto «Pin parentale» da parte del governo della regione di Murcia per iniziativa del partito Vox. Si tratta di una sorta di consenso informato che permette alle famiglie di esercitare il primato educativo e dunque fornire o meno l'autorizzazione rispetto alle attività scolastiche complementari. «Il Pin parentale viola il diritto fondamentale e costituzionale dei bambini e dei giovani a essere educati - ha dichiarato il ministro Celaá - e dunque non può essere accettato. Viola inoltre l'autonomia del centro educativo». Nel caso il messaggio non fosse abbastanza chiaro, le ha fatto eco Irene Montero, ministro spagnolo per l'Uguaglianza, che ha ribadito: «I figli di genitori omofobi hanno il diritto di essere educati al rispetto» e sulla «possibilità di "amare chi vogliono"». Secondo la Montero la decisione del governo della Múrcia «comporta la rottura del patto contro la violenza di genere». Ma se i figli non appartengono ai genitori bensì allo Stato, allora ci sono alcune cose che non tornano, come ha scritto in una lettera diventata virale María Teresa Corzo Santamaría, preside della Facoltà di Scienze economiche e commerciali della Pontificia Università di Comillas e madre di cinque figli.
LETTERA APERTA AL MINISTRO DELL'ISTRUZIONE «Signora Celaá, sono la madre di cinque figli, lavoro ogni giorno all'università e spendo le mie energie quotidiane tra la cura dei miei figli e il lavoro e il pagamento di tutte le tasse allo Stato. Grazie al fatto che vivo nella Comunità di Madrid, ho qualche aiuto destinato alle famiglie numerose e per la disabilità di due dei miei figli. In altre comunità non va così bene. Ma mai nessuno di qualunque governo mi ha aiutato quando i miei figli si sono alzati di notte o quando sono stati malati, né alcuno mi ha aiutato quando sono stati ricoverati. Nessuno è corso a prendere uno dei nostri bambini a scuola mentre io o mio marito eravamo in ospedale con nostro figlio appena operato al cuore. Nessuno mi ha accompagnato nei controlli medici di mio figlio con la sindrome di Down. Solo le associazioni non governative senza scopo di lucro ci hanno offerto aiuto. Di questo "governo papà", nessun segno. Non vi ho visto signore e signori. Ma ora che il bambino è a scuola, guarda caso, ora volete essere voi "il padre", volete educarlo a modo vostro. E togliere la libertà di educazione ai genitori. Perché attenzione, cosa succede se la madre non pensa come il governo? Allora diciamo che non puoi pensare diversamente e basta. E se la signora Montero pensasse che la madre è pazza? O se la madre dice qualcosa che alle dee dell'Olimpo, custodi del bene, non piace? O peggio ancora, e se lo dicesse il padre? [...] Un'ultima domanda, dato che è filosofa e conosce i sillogismi. Se i bambini ora appartengono allo Stato totalitario del signor Sánchez e del signor Iglesias, allora appartengono anche allo Stato di Franco, quando Franco era al comando, giusto? E se il prossimo presidente del governo sarà il signor Abascal, i bambini di questo Paese apparterranno anche a lui, giusto? Dopo 17 anni dalla nascita di della mia figlia maggiore, molto lavoro, molti dottori, molte notti di sogni infranti e molte occhiaie, avevo solo bisogno di sentire questo insulto alle libertà e all'intelligenza. Ma ora le cose sono cambiate, i genitori non hanno più libertà. No, ora no, perché le dee hanno parlato».
Nota di BastaBugie: Mauro Faverzani nell'articolo seguente dal titolo "Spagna verso il regime comunista, SOS della Chiesa" racconta la drammatica situazione spagnola. Ecco l'articolo completo pubblicato su Corrispondenza Romana il 29 gennaio 2020: «Abbiamo visto come il comunismo si è introdotto in Venezuela. Ed è quanto sta avvenendo ora in Spagna»: a lanciare l'allarme, dalle colonne del quotidiano Abc, sono state Eva Buitrago, 65enne di Santa Cruz, e Violeta Perdorno, 59enne di Caracas, entrambe esponenti dell'Associazione Pensionati venezuelana. Scorgono ora nel Paese iberico gli stessi germi, che hanno portato il marxismo al potere in Venezuela, a partire dall'era Maduro. E non sbagliano. A confermarlo autorevolmente in una lettera pastorale, è stato l'arcivescovo metropolita di Mérida-Badajoz, mons. Celso Morga Iruzibieta, che, dopo aver letto il programma del nuovo governo Psoe-Podemos, lo ha accusato senza mezzi termini di laicismo militante, pronto a rendersi «parte attiva nella rimozione totale di Dio dalla vita pubblica» e nell'«imporre l'ateismo pratico». Ciò cui il prelato oppone l'enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate n. 29, laddove si legge in particolare: «Quando lo Stato promuove, insegna o addirittura impone forme di ateismo pratico, sottrae ai suoi cittadini la forza morale e spirituale indispensabile per impegnarsi nello sviluppo umano integrale». Non è un caso che il diritto dei genitori ad impartire ai figli un'educazione religiosa conforme alle proprie convinzioni sia stato definito dal neo-ministro per l'Educazione spagnolo, Isabel Celaá, del Partito Socialista Operaio, un «diritto accessorio». Ed, in base a tale assurdo pretesto, è pronta a trascinare la giunta regionale di Murcia in tribunale, accusandola d'aver violato il diritto all'istruzione, per aver dato «priorità ad un diritto accessorio» ovvero cercato di trattare tutte le materie allo stesso modo. È lo stesso ministro, che due mesi fa, dal palco del congresso delle Scuole cattoliche, negò che la Costituzione iberica garantisca ai genitori il diritto di scegliersi la scuola per i propri figli e tanto meno un'educazione religiosa. Il nuovo governo ha già mostrato, poco dopo il suo insediamento, un inquietante volto da regime. Contro cui si è già espresso pubblicamente anche il card. Antonio Cañizares Llovera, arcivescovo metropolita di Valencia: «Ciò che ha detto il ministro Celaá è una barbarie, è il più grande passo indietro che un governo possa fare - ha commentato -. Questo governo sta violando l'ordinamento giuridico spagnolo. I genitori hanno il dovere e la responsabilità di educare i propri figli e niente e nessuno glielo può togliere, tanto meno lo Stato», che deve rispondere all'esigenza di «garantire a tutti, soprattutto alla famiglia, di poter adempiere al proprio dovere educativo». Sua Eminenza ha bollato espressamente chi la pensi diversamente d'avere ancora la testa ai «gulag sovietici ed alla cultura comunista». Nei giorni scorsi Txomin Gómez, responsabile dell'Educazione nella Diocesi di Vitoria, ha denunciato a chiare lettere, in un'intervista rilasciata all'agenzia InfoCatólica, gli ostacoli amministrativi e le difficoltà opposte dagli istituti scolastici alle famiglie decise ad iscrivere i propri figli all'ora di religione. Non solo: il nuovo governo, spostato decisamente a Sinistra con l'accordo tra Partito Socialista Operaio e Unidas Podemos, già dai primi passi compiuti ha rivelato subito la propria vera natura, quella di lupo travestito da nonna di Cappuccetto Rosso: nella valutazione degli alunni l'ora di religione non farà più media; inoltre, chi non la frequenti, avrà semplicemente una materia in meno, non essendone più previste alternative educative; vietate le scuole che propongano un'istruzione differenziata in base al sesso, maldestramente ed ideologicamente definita una «segregazione educativa» (sic): chi non ha classi miste, può scordarsi di ricevere ancora soldi pubblici; verrà di contro potenziata nelle classi l'educazione «affettivo-sessuale», cavallo di Troia per inculcare una mentalità contraccettiva, abortista ed Lgbt-friendly alle nuove generazioni sin dalla più tenera età. Peggio di così... Sono tutti provvedimenti, che violano palesemente gli accordi vigenti tra Spagna e Santa Sede, accordi che prevedono per l'ora di religione condizioni assolutamente equiparabili a quelle delle altre materie. Invece no, d'ora in poi gli alunni si troveranno di fronte a professori di "serie A" (gli iperlaicisti) e professori di "serie B" o "C" o "D" (gli insegnanti di religione). Insomma, una cosa è certa: in Spagna il nuovo governo è appena nato, eppure già si sente puzza di regime.
Fonte: Sito del Timone, 21 gennaio 2020
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DON BOSCO E LA PEDAGOGIA PREVENTIVA
Nell'educazione dei ragazzi san Giovanni Bosco mirava a prevenire gli errori del comportamento piuttosto che a curarli dopo che questi si fossero manifestati
Fonte I Tre Sentieri, 30 gennaio 2020
Don Bosco viene ricordato anche per la sua pedagogia. Essa è stata definita "preventiva", ovvero una pedagogia che mirava ad evitare gli errori comportamentali piuttosto che a curarli dopo che questi si fossero manifestati. In realtà il famoso sacerdote piemontese era convinto che la pedagogia vera non avesse bisogno di metodi precostituiti, ma decise lo stesso di dare un nome alla sua pedagogia perché doveva pur dare una definizione da presentare al ministro Rattazzi.
L'ESISTENZA DELLA VERITÀ La pedagogia di Don Bosco era ovviamente una pedagogia che si basava sulla convinzione dell'esistenza della verità. Sulla convinzione cioè che il soggetto che la pedagogia doveva servire (il fanciullo), pur nelle diversità contestuali, familiari e sociali, fosse sempre lo stesso, ovvero un dato perenne. A dimostrazione di ciò, egli affermava che il primo bisogno del fanciullo fosse quello di essere amato. Sperimentò che quando un giovane o un fanciullo vive nella strada o una vita animalesca nei tuguri, diventa diffidente e scontroso. Invece, quando gli si dimostra affetto e lo si circonda di calore e simpatia, le cose cambiano. Insomma, va fatto capire ai fanciulli che la loro vita non è senza senso, ma sempre frutto di un progetto di amore, che non si è "gettati" nel mondo, ma che invece si ha la possibilità di essere accompagnati dall'Assoluto. Ma come mai don Bosco era convinto che il fanciullo, una volta amato, tendesse sempre a rispondere positivamente? La risposta sta nel fatto che egli era convinto che nessun fanciullo fosse veramente cattivo. Attenzione però: questa convinzione non si poneva all'interno di una prospettiva di tipo roussoniana (l'uomo in natura è sempre buono, ciò che lo corrompe è il progresso e la società), quanto nella concezione autenticamente cattolica del peccato originale. Il Santo credeva che il fanciullo, più facilmente dell'adulto, tendesse a rispondere alla pedagogia del'amore, perché questi (il fanciullo) ancora conserva in sé le gemme preziose della grazia santificante ricevuta dal Battesimo e di una vita senza malizia. Dunque, "prevenzione" del suo metodo vuol dire appunto prendere i fanciulli quanto prima: evitare che si possano guastare e quindi rendere più difficile il loro recupero e l'efficacia della pedagogia dell'amore. Per far questo don Bosco dette grande importanza all'oratorio. Volle che i ragazzi non fossero nella strada, bensì sempre controllati non solo nello studio ma anche nel giocare e nel trascorrere il tempo libero. Attenzione: il gioco e lo sport vennero valorizzati da don Bosco non solo come riempimento, ma anche come realizzazione e contributo importante alla crescita. Il gioco, come possibilità di scaricare le proprie energie per evitare, quindi, qualsiasi tipo di "corto circuito" sul piano fisico e mentale; e per evitare che il fanciullo trascorresse nell'ozio i suoi momenti di libertà dallo studio. Ma anche lo sport, come capacità di giocare nell'accettazione delle regole, vere metafore dell'oggettività della vita; ovvero il fatto che l'uomo non può gestire la sua esistenza a proprio piacimento, ma sempre in conformità alle leggi che non può darsi da sé, ma che invece deve oggettivamente riconoscere e rispettare.
LA RISPOSTA ALLA MORALE AUTORITARIA POSTKANTIANA La pedagogia preventiva di don Bosco muove non solo dalla convinzione dell'esistenza della verità, ma anche dalla convinzione secondo cui tale verità è conoscibile. Essa presuppone che alla base dell'educazione vi sia la possibilità di motivare le regole imposte. Insomma, non si tratta della cosiddetta "morale del pugno sbattuto sul tavolo", devi far questo perché lo devi fare, bensì della morale che, imponendo regole, dà anche la spiegazione delle motivazioni che ne sono alla base. In questo senso si capisce molto bene come la spiritualità e il pensiero pedagogico di don Bosco costituiscano valide ed evidenti risposte alla mentalità dominante nel XIX secolo. La morale di quel secolo era infatti di tipo autoritario, proprio perché "figlia" della filosofia kantiana. Tale pensiero aveva demolito la metafisica, affermando l'impossibilità di dimostrare l'esistenza di Dio; accorgendosi poi dell'incapacità, in tal modo, di costruire una morale universale. Kant, dunque, dovette recuperare queste verità non più nella prospettiva razionale, bensì in quella volontaristica: anche se Dio non è conoscibile, deve essere ammesso per esigenze morali. Da qui una morale che non poggiasse sull'evidenza della verità, ma solo sull'impulso della volontà; una morale non più basata sulla persuasione, ma solo sull'imperativo categorico.
L'ALLEGRIA L'esito di questa prospettiva pedagogica fondata sul riconoscimento della verità e di una morale basata sulla persuasione era inevitabilmente un rapportarsi positivo e gioioso nei confronti della vita, atteggiamento questo molto lontano dalla cultura del tempo o da spiritualità seriose e protestantiche. Scrive un famoso biografo di don Bosco, Bonaventura Zarbà D'Assoro: Ecco perché don Bosco vuol bandito ogni sussiego e ogni accigliamento del volto degli educatori salesiani, e ogni piega amara sul labbro dei loro educandi. Egli ispira la sua pedagogia al motto di San Filippo Neri: 'Scrupoli e malinconia, via da casa mia!' che non è altro poi che la traduzione libera del detto paolino: 'Guadete, iterum dico, gaudete!' (...). Dell'allegria don Bosco fece come un precetto del vivere fin dai primi anni, e com'egli aveva vissuta la giovinezza a cielo aperto, così volle che i fanciulli avessero 'ampia libertà di saltare, correre, schiamazzar a piacimento.' La disposizione de' suoi istituti conserva l'impronta di quello stile; niente chiostre e cortili chiusi: aria e luce, nell'anima e fuori.
L'AMORE ALLA CHIESA E AL PAPA E IL SENSO DELLA GIUSTIZIA La pedagogia di don Bosco, partendo da questi presupposti, si mosse anche nella trasmissione ai fanciulli dell'affidamento alla Chiesa e al suo Capo visibile, nell'amore verso queste realtà. Il Governo Piemontese, infatti, non sopportava le scuole di don Bosco proprio perché in esse gli allievi s'innamoravano della Chiesa e di Pio IX. La prospettiva di don Bosco, proprio perché basata sul riconoscimento della verità e pur fondandosi sull'amore, non si traduceva in una sorta di relativismo mieloso. Egli era convinto della necessità della missione. Racconta Zarbà D'Assoro: "Una delle ultime volte che don Bosco comparve in mezzo ai suoi, il 7 dicembre 1887, fu per trascinarsi incontro a monsignor Cagliero che tornava a rivederlo ancora e gli conduceva con alcune suore una piccola india battezzata. 'Eccole - gli dissero - o Padre, una primizia che i suoi figli le offrono dagli ultimi confini della terra'. E subito la giovinetta, con accento filiale disse: 'Vi ringrazio, carissimo Padre, di aver mandato i vostri missionari a salvar me ed i miei fratelli! Essi ci hanno resi cristiani e ci hanno aperto le porte del cielo.' Don Bosco pianse. Nella piccola india redenta egli vedeva non solo il primo fiore cristiano delle Pampas, ma anche il pegno delle future conquiste destinate ai suoi figli.
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Fonte: I Tre Sentieri, 30 gennaio 2020
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UNA MONGOLFIERA PER LA LIBERTA'
Balloon, il film che ricorda la storia vera di un'incredibile fuga dal ''paradiso'' comunista della Germania Est (VIDEO: scena iniziale del film)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Film Garantiti, 08-11-2019
Nel trentennale della caduta del Muro di Berlino un film tedesco (dopo lo struggente Le vite degli altri, Oscar 2007) ricorda i trentamila sventurati che cercarono di fuggire dal paradiso comunista della Germania Est (Ddr: Deutsche Demokratische Republik; i comunisti li riconosci dall'ossessione per il termine «democratico»), di cui quasi cinquecento uccisi dai Vopos (Volkspolizei: polizia del popolo, nei fatti contro il popolo). Si tratta di Balloon. Il vento della libertà, del regista Michael Herbig. Il quale fin qui aveva prodotto solo film per adolescenti ma ora si misura con una storia vera. Turingia, 1979, due famigliole, gli Strelzyk e i Wetzel, da due anni lavorano nel massimo segreto a un piano audacissimo: scappare nell'Ovest con una mongolfiera. Il capofamiglia dei primi è un elettricista con moglie e due figli, di cui uno adolescente, l'altro è un bambino. L'altro capofamiglia ha un figlio di tre anni ed è stato precettato per il servizio militare di lì a breve. Occorre dunque far presto. Non possono dire niente neppure agli anziani genitori, perché questi verrebbero accusati di complicità e messi in prigione. Già: tutti quelli che scappano dalla Ddr sono etichettati ufficialmente come «traditori» e su di loro l'ordine è di sparare a vista, compresi donne e bambini. Ripetiamo: si tratta di una storia vera, tant'è che nei titoli di coda compaiono le foto dei veri protagonisti. E una volta tanto è una storia a lieto fine, perché le due famigliole davvero riuscirono a scappare. Comprando metri e metri di stoffa nei negozi più disparati per non destare sospetti e cucendoli disperatamente a macchina in cantina di notte, finalmente la mongolfiera, che più artigianale non si può, è pronta. Ma la Turingia è a Sud e bisogna aspettare il (ahimè raro) vento dal Nord che spinga il pallone oltre confine. Quando questo vento comincia a spirare, Wetzel si tira indietro: ha rifatto i calcoli, il pallone non li reggerebbe tutti. Partono solo gli Strelzyk, ma il marchingegno fatto in casa precipita. Riescono a tornare indietro senza farsi notare, però l'involucro è rimasto a terra e la Stasi parte in caccia. In fretta e furia Wetzel costruisce un'altra mongolfiera, perché è solo questione di tempo prima che la Stasi (Staatssicherheit: l'equivalente comunista della Gestapo) lo colleghi agli Strelzyk, che nel frattempo sono stati individuati. Stavolta partono tutti e la fuga, sia pur per pochi metri, riesce. Il film si segue come un thriller, due ore col fiato sospeso. Ma mostra aspetti della vita quotidiana sotto il regime che davvero spiegano come quella gente sia stata disposta a farsi sparare nella schiena pur di andarsene. Comincia coi ragazzini che devono giurare fedeltà al socialismo in una cerimonia apposita. Agghiaccia quando il bambino all'asilo si lascia scappare, interrogato dalla maestra, che il padre di notte cuce a macchina. Si conclude con tutti agenti della Stasi, e pure i militari di guardia al confine, che ci rimettono la testa per la loro negligenza nel non essere riusciti a impedire la defezione di due intere famiglie. In un mondo concentrazionario in cui tutti quelli che conosci possono diventare delatori e anche la minima azione può essere letta come «sovversiva». Un'intera nazione letteralmente svuotatasi quando furono aperte le frontiere è un fatto che si commenta da solo, così come i famosi boat people vietnamiti quando arrivarono i vietcong. Voto con i piedi. Ma i veri muri sono quelli nella testa, e questi, come l'esperienza anche (o soprattutto?) nostrana ci ha dimostrato e ancora ci mostra, non cadono mai.
Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 1 minuto e mezzo) si può vedere la scena iniziale del film che fa capire bene come funziona il controllo del regime.
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OMELIA V DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 5,13-16)
Ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?
Fonte Il settimanale di Padre Pio
Ogni cristiano ha il dovere di mettere in pratica le parole di Gesù che abbiamo appena ascoltato: «Voi siete il sale della terra [...] voi siete la luce del mondo [...]. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,13-16). Insegnava san Giovanni Crisostomo che non ci sarebbe bisogno di parole se la nostra vita risplendesse in questo modo; non ci sarebbe bisogno di maestri, se noi predicassimo con le nostre opere; non ci sarebbe un pagano, se noi fossimo cristiani come si deve. Scriveva un santo missionario sul finire del XIX secolo dalla lontana Cina: «Se l'Europa fosse veramente cristiana, questa grande nazione si sarebbe già convertita al Vangelo». Il fatto è che, purtroppo, molti rifiutano il Vangelo a motivo del cattivo esempio che diamo. Sant'Antonio da Padova scriveva in un suo sermone: «Cessino, ve ne prego, le parole e parlino le opere». Proprio così: devono parlare le nostre opere! In questo modo saremo sale della terra e luce del mondo. In questo modo noi saremo dei piccoli missionari anche senza dire parola. Per chi, invece, è chiamato a predicare con la parola, si impone una legge: quella di mettere in pratica ciò che predica agli altri. È inevitabile che non venga accolta la predicazione quando questa non è seguita dall'esempio. Gli alunni infatti – diceva san Giovanni Crisostomo in una celebre omelia – osservano la condotta dei maestri e, se vedono che anche loro sono presi dagli stessi difetti, o addirittura da peggiori, come potranno ammirare il Cristianesimo? Questo grande Santo scriveva inoltre: «Quando io cerco in te i segni per riconoscerti cristiano, trovo segni del tutto opposti. Se volessi giudicare chi sei dai luoghi che tu frequenti, dalle persone corrotte con le quali ti trovi, dalle parole che niente hanno di serio e di utile, direi che nulla mi resta per riconoscerti cristiano». Queste parole, purtroppo, tante volte potrebbero essere dette di ciascuno di noi. Giustamente, san Francesco di Sales si chiedeva: «Che differenza passa tra il Vangelo e la vita di un santo?». Era poi lui stesso a dare la risposta: «È la stessa differenza che vi è tra una sinfonia scritta sul rigo musicale e una sinfonia eseguita!». Ed è così: nella vita di un santo, o perlomeno di un fervente cristiano, impariamo come si mette in pratica il Vangelo. Noi tutti, inoltre, dobbiamo sforzarci di essere questa "sinfonia eseguita" per tutti i fratelli che incontreremo sul nostro cammino. San Giovanni Crisostomo insegnava che, per questo motivo, dovremo rendere conto a Dio non solo delle nostre colpe, ma anche del danno che rechiamo agli altri con il nostro cattivo esempio. In che modo possiamo essere anche noi sale della terra e luce del mondo? Compiendo le buone opere di cui parla Gesù nel Vangelo di oggi. Per buone opere non si intendono solo le opere di misericordia le quali non devono mai mancare, ma anche tutte le singole virtù. Per essere concreti, ricordo ora brevemente quelle che sono le virtù e quelli che sono i vizi capitali. Tra le virtù più belle vi è la fede, la speranza, la carità; poi la pazienza, la purezza, l'umiltà, la mitezza, la semplicità. Sono tantissime le virtù e siamo chiamati ad esercitarle ogni istante della giornata. I vizi capitali, invece, sono sette: superbia, accidia, lussuria, ira, gola, invidia e avarizia. Ogni volta che ci facciamo prendere da questi vizi, noi diamo una contro-testimonianza e allontaniamo le anime dalla Verità; se, al contrario, eserciteremo le virtù e le buone opere, saremo luce che illumina, sale che dà sapore.
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