SE MANCA IL PADRE AUMENTANO I CRIMINI
Ci sono padri fisicamente presenti, ma assenti dalla vita del bambino
Autore: Raffaella Frullone - Fonte: Sito del Timone
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IL MITO DELLA COMUNIONE SULLA MANO
Fin dai primi secoli i sacerdoti ponevano le ostie in bocca (i documenti confermano che toccare l'Eucaristia con le mani per i laici fu ben presto vietato, salvo per necessità e in tempo di persecuzione)
Fonte: I Tre Sentieri
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LA FESTA DELLA DONNA SECONDO EDITH STEIN
Santa Teresa Benedetta della Croce (1891-1942), monaca carmelitana, filosofa e mistica tedesca, vittima ad Auschwitz perché di origine ebraica, scrisse parole bellissime sulla complementarietà uomo-donna
Fonte: I Tre Sentieri
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LA LEZIONE DEL CORONAVIRUS IN ITALIA
È più importante la vita degli italiani o la sottomissione all'Unione Europea? (VIDEO: i festeggiamenti inglesi per l'uscita dall'Unione Europea)
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
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IL PANICO PER IL CORONAVIRUS E' PROPRIO CIO' CHE DOBBIAMO EVITARE
La paura fa il gioco del virus, ma combatterlo si può: con gli stili di vita, i farmaci, le azioni che possono contrastarlo (per questo è inaccettabile procedere a selezioni eugenetiche, lasciando morire i più deboli)
Autore: Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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IL CORONAVIRUS E' UN CASTIGO DI DIO?
Le epidemie, come gli altri mali fisici e morali, sono conseguenze del peccato originale, quindi...
Autore: Rodolfo Casadei - Fonte: Tempi
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IL CORONAVIRUS E I MERCENARI CHE ABBANDONANO LE PECORE
Per la prima volta in duemila anni l'Italia, il centro della Cristianità, resterà totalmente senza le Messe con partecipazione di popolo (stiamo vicini ai tanti buoni pastori, che pure ci sono, pronti a dare la vita)
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
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COME SAN CARLO BORROMEO AFFRONTO' CON FEDE L'EPIDEMIA DEL SUO TEMPO
Arcivescovo di Milano dal 1565 al 1583, fu definito da San Pio X ''modello del gregge e dei pastori nei tempi moderni''
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana
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OMELIA III DOM. DI QUARESIMA - ANNO A (Gv 4,5-42)
Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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SE MANCA IL PADRE AUMENTANO I CRIMINI
Ci sono padri fisicamente presenti, ma assenti dalla vita del bambino
Autore: Raffaella Frullone - Fonte: Sito del Timone, 3 marzo 2020
«La mancanza della figura paterna alimenta i "crimini da coltello"». Le parole di Jackie Sebire sono diventati titoli di apertura dei britannici Times, Bbc e Daily Mail. Psicologa forense con oltre 25 anni di esperienza nella polizia, autrice di numerosi articoli sugli abusi domestici e sulla gestione dei rischi, Jackie Sebire è stata nominata nel 2016 assistente capo della polizia del Bedfordshire e si occupa di affrontare la piaga della violenza giovanile in Inghilterra.
LA MANCANZA DI UNA FIGURA PATERNA DENTRO CASA «Certo è molto facile incolpare la diffusione delle droghe, i tagli ai finanziamenti o social media - ha dichiarato - ma uno dei fattori principali in questo tipo di crimini è la mancanza di una figura paterna dentro casa. E poi c'è una mancanza non solo di padri, ma di modelli maschili positivi e così i modelli diventano gli spacciatori, gli sfruttatori, le reti organizzate. Credo che non si parli abbastanza di questo tema». La Sebire ha parlato al vertice del Consiglio dei capi di polizia nazionale e dell'Associazione dei commissari di polizia e del crimine dove ha ribadito: «Non ci sono solo padri assenti, ma anche padri fisicamente presenti, ma assenti nella vita del bambino. Molti nemmeno si occupano di venire a riprendere i propri figli alla stazione di polizia, ed è un problema. I modelli di ruolo maschili positivi sono un fattore protettivo nella vita dei giovani» Il segno che stiamo vivendo una fase di normalizzazione della violenza giovanile è dato, secondo la Sebire, dal fatto che i teenager non hanno nemmeno più paura di andare in carcere: «A loro non importa se saranno condannati, un coltello consente loro di svolgere la propria attività criminale, sia che vengano sfruttati sia che sia quello che scelgono di fare». Sempre più giovani dunque, girano con armi da taglio, comprese le ragazze «che stanno assumendo sempre più potere all'interno delle bande», che i bambini «che portano il coltello per proteggersi».
ABBIAMO BISOGNO DI UNA GUIDA Secondo il Daily Mail lo scorso anno i «crimini da coltello» sono aumentati del 7%, raggiungendo il record di 45.000 reati. Non solo, uno studio della Commissione per l'Infanzia inglese ha rilevato che sono quasi 27.000 i bambini identificati come membri di una banda. Sempre lo scorso anno uno studio su adolescenti inglesi considerati vulnerabili ha messo in evidenza come quasi tre quarti di loro non vivessero con il padre. Per noi sono numeri, o nomi che appaiono come meteore nella cronaca nera, in cui, come scrive Claudio Risé nel suo "Il padre, libertà e dono" «traspare la fatica di raccontare queste storie senza scontrarsi con i divieti del politically correct e dei suoi tabù a cominciare dall'eventuale collegamento tra sofferenza mentale e divorzio, aborto, libertà sessuale, singleness, alcolismo». Rivolgendosi ai Cavalieri 2.0, nel dossier del mese di febbraio del Timone intitolato C'era una volta il maschio, Roberto Marchesini parlava così: «Il fatto è che nasciamo (anzi: veniamo concepiti) maschi; e abbiamo il compito di diventare uomini, Uomini compiuti, cioè veri uomini, eroi, cavalieri. E come se, assegnandoci un sesso, ci venisse assegnato un compito, un destino da compiere, una vocazione. Non scegliamo chi diventare: scegliamo di aderire a un progetto oppure di rifiutarlo. Per realizzare questo progetto abbiamo bisogno di una guida, di una indicazione». Di un padre insomma.
Nota di BastaBugie: l'importanza del padre e del marito per una famiglia salda è ben evidenziata nello straordinario film Courageous. Un film per tutta la famiglia che fa riflettere con l'azione, i sentimenti e l'ironia. Il film invita i padri ad alzarsi in piedi e dire ''Non dovrete chiedermi chi guiderà la mia famiglia perché, per grazia di Dio, lo farò io!'' Per informazioni sul film e per vedere trailer, colonna sonora e molto altro, clicca sul seguente link: http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=32
Fonte: Sito del Timone, 3 marzo 2020
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IL MITO DELLA COMUNIONE SULLA MANO
Fin dai primi secoli i sacerdoti ponevano le ostie in bocca (i documenti confermano che toccare l'Eucaristia con le mani per i laici fu ben presto vietato, salvo per necessità e in tempo di persecuzione)
Fonte I Tre Sentieri, 3 giugno 2020
Ormai è frequentissimo vedere fedeli che vanno a comunicarsi prendendo l'Eucaristia in mano. Chi è favorevole, dice che Gesù nel Cenacolo diede la prima Eucaristia nelle mani degli Apostoli. E inoltre che nei primi tempi della Chiesa non vi sarebbe stata l'usanza di ricevere l'Eucaristia direttamente in bocca. Prima di tutto facciamo parlare papa Giovanni Paolo II che nell'Ecclesia de Eucharistia scrive al n.61: "Dobbiamo badare con ogni premura a non attenuare alcuna dimensione o esigenza dell'Eucaristia. Così ci dimostriamo veramente consapevoli della grandezza di questo dono. (...) Non c'è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero!" Fatta questa autorevole premessa, veniamo al dunque.
L'ULTIMA CENA E I PRIMI CRISTIANI A proposito del fatto che Gesù nell'Ultima Cena non diede agli Apostoli l'Eucaristia direttamente in bocca ma in mano, va detto che ciò non è affatto scontato. Anzi, è possibile supporre che Gesù abbia dato il pane direttamente in bocca a ciascun apostolo. In Medio Oriente, al tempo di Gesù vi era un'usanza che perdura tuttora: il capofamiglia nutre i suoi ospiti con la propria mano, mettendo un pezzo simbolico di cibo nella bocca degli ospiti. Ma, ammesso e non concesso che sia andata davvero così, cioè che Gesù abbia dato l'Eucaristia nelle mani degli apostoli, va fatta una precisazione importante: in quel momento gli Apostoli già erano stati ordinati sacerdoti, addirittura sacerdoti in pienezza, quindi vescovi. Per quanto invece riguarda il secondo argomento e cioè che i primi cristiani ricevessero la Comunione in mano vanno fatte due premesse. Prima premessa: non è detto che ciò che vi era nell'antichità è sempre migliore di ciò che si è approfondito e si è istituzionalizzato in seguito. Liturgicamente, come è sbagliato il progressismo, per cui ciò che viene dopo sarebbe sempre migliore di ciò che è venuto prima, è altrettanto sbagliato l'archeologismo, ovvero ciò che è venuto prima sarebbe sempre migliore di ciò che viene dopo. Seconda premessa: nei primi secoli del Cristianesimo si facevano forti penitenze per l'Eucaristia, per esempio ci si asteneva da qualsiasi cibo e bevanda dalla vigilia fino al momento della Comunione. Ora, se valesse il principio archeologista, bisognerebbe chiedere a tanti sostenitori della Comunione nella mano: perché non recuperare anche le rigide penitenze dei primi secoli? Se è giusto riprendere ciò che vi era all'inizio, allora si riprendano anche le dure penitenze dell'inizio. È da prevedere che molti si tirerebbero indietro.
VENIAMO AI FATTI Davvero nei primi tempi della Chiesa l'Eucaristia si riceveva nella mano? Certamente ci sono varie testimonianze che dicono questo. Ma è pur vero che ci sono anche testimonianze che attestano anche l'uso di dare la Comunione direttamente in bocca; e che la forma di darla sulla mano fosse dovuta a retaggi legati ai tempi delle persecuzioni. Va detto, inoltre, che nell'antichità era diffusa la distribuzione della Comunione usando pane fermentato e non azzimo, il che, ovviamente, non rendeva facile la perdita di frammenti. Dicevamo, ci sono testimonianze certe che attestano come sin dall'inizio vi era anche la consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra dei comunicandi e anche della proibizione ai laici di toccare l'Eucaristia con le mani. Solo in caso di necessità e in tempo di persecuzione, assicura per esempio san Basilio, si poteva derogare da questa norma e quindi era concesso anche ai laici di comunicarsi con le proprie mani. Papa Sisto I fu papa dal 115 al 125. Questi proibì ai laici di toccare i vasi sacri, per cui è ampiamente fondato supporre che vietasse agli stessi di toccare le Sacre Specie eucaristiche. Sant'Eutichiano, papa dal 275 al 283, affinché non toccassero l'Eucaristia con le mani, proibì ai laici di portare le sacre Specie agli ammalati. Il Concilio di Saragozza, nel 380, emanò la scomunica contro coloro che si fossero permessi di trattare la santissima Eucaristia come in tempo di persecuzione, tempo nel quale - come abbiamo già detto - anche i laici potevano trovarsi nella necessità di toccarla con le proprie mani. Sant'Innocenzo I, dal 404, impose il rito della Comunione solo sulla lingua. Papa Sant'Innocenzo I (401-417), nel 416, nella Lettera a Decenzio, Vescovo di Gubbio, che gli chiedeva direttive riguardo alla liturgia romana che intendeva adottare, rispose affermando per tutti l'obbligo di rispettare al riguardo la Tradizione della Chiesa di Roma, perché essa discende dallo stesso Pietro, primo Papa. Ebbene, lo stesso Sant'Innocenzo - come abbiamo detto prima - dal 404 aveva imposto il rito della Comunione solo sulla lingua. San Gregorio Magno narra che sant'Agapito, papa dal 535 al 536, durante i pochi mesi del suo pontificato, recatosi a Costantinopoli, guarì un sordomuto all'atto in cui "gli metteva in bocca il Corpo del Signore", dunque l'Eucaristia si dava direttamente in bocca. Il Concilio di Rouen, verso il 650, proibì al ministro dell'Eucaristia di deporre le sacre Specie sulla mano del comunicando laico: "(Il sacerdote) badi a comunicarli (i fedeli) di propria mano, non ponga l'Eucaristia in mano a nessun laico o donna, ma la deponga solo sulle labbra con queste parole..."
CONCILI E SINODI Sulla medesima linea il Concilio Costantinopolitano III (680-681), sotto i pontefici Agatone e Leone II, vietò ai fedeli di comunicarsi con le proprie mani e minacciò la scomunica a chi avesse avuto la temerarietà di farlo. Il Sinodo di Cordoba dell'anno 839 condannò la setta dei "casiani" a causa del loro rifiuto di ricevere la sacra Comunione direttamente in bocca. In Occidente, il gesto di prostrarsi e inginocchiarsi prima di ricevere il Corpo del Signore si osservava negli ambienti monastici già a partire dal VI secolo (per esempio nei monasteri di san Colombano) Più tardi nei secoli X e XI questo gesto si diffuse ancora di più. Quando san Tommaso d'Aquino espose nella Summa (III, 9, 82) i motivi che vietavano ai laici di toccare le sacre Specie, non parlò di un rito di recente invenzione, bensì di consuetudine liturgica antica come la Chiesa. Ecco perché il Concilio di Trento (Decreto sull'Eucaristia, Sessione III) poté affermare che non solo nella Chiesa di Dio fu una consuetudine costante che i laici ricevessero la Comunione dai sacerdoti, mentre i sacerdoti si comunicassero da sé, ma anche che tale consuetudine è di origine apostolica: "Nell'assunzione di questo Sacramento (l'Eucaristia) fu sempre costume nella Chiesa di Dio che i laici ricevessero la comunione dai Sacerdoti e i Sacerdoti celebranti invece comunicassero se stessi, costume che con ogni ragione deve ritenersi come proveniente dalla Tradizione apostolica." Abbiamo iniziato con papa Giovanni Paolo II, concludiamo con lui. Sempre nella Ecclesia de Eucharistia, al n.49, scrive: "Sull'onda dell'elevato senso del mistero si comprende come la fede della Chiesa nel mistero eucaristico si sia espressa nella storia non solo attraverso l'istanza di un interiore atteggiamento di devozione, ma anche attraverso una serie di espressioni esterne." Venendo a concludere, possiamo dire che, indipendentemente dal fatto che anche nell'antichità ci potessero essere delle consuetudini di dare la Comunione sulla mano, con il consolidarsi della Tradizione questa usanza non solo sparì ma venne anche condannata. A riguardo ha scritto giustamente don Giuseppe Pace S.D.B.: "Non si nega che (nei primi tempi del Cristianesimo) sia stato permesso ai laici di toccare talora le sacre Specie, in certi casi particolari, o anche in alcune Chiese particolari, per qualche tempo. Ma si nega che tale sia stata la consuetudine della Chiesa sia in Oriente che in Occidente per mille anni; (...). Anche nel culto dovuto alla santissima Eucarestia è avvenuto un sapiente progresso, analogo a quello avvenuto nel campo dogmatico (con il quale non ha nulla a che fare la teologia modernista). Detto progresso liturgico rese universale l'uso di inginocchiarsi in atto di adorazione, e quindi l'uso dell'inginocchiatoio; l'uso di coprire la balaustra di candida tovaglia, l'uso della patena, talora anche di una torcia accesa; e poi la pratica di fare almeno un quarto d'ora di ringraziamento personale".
DOSSIER "COMUNIONE SULLA LINGUA" Come ricevere l'Eucarestia Per vedere tutti gli articoli,clicca qui!
Fonte: I Tre Sentieri, 3 giugno 2020
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LA FESTA DELLA DONNA SECONDO EDITH STEIN
Santa Teresa Benedetta della Croce (1891-1942), monaca carmelitana, filosofa e mistica tedesca, vittima ad Auschwitz perché di origine ebraica, scrisse parole bellissime sulla complementarietà uomo-donna
Fonte I Tre Sentieri, 7 marzo 2020
Visto che oggi i media ci ricordano la cosiddetta "Festa della Donna", vogliamo "sostare" su queste belle parole di Santa Teresa Benedetta della Croce (1891-1942), la famosa Edith Stein. Nel suo La donna: il suo compito, la natura e la grazia, così scrive: "L'orientamento al fine naturale e a quello soprannaturale è comune all'uomo e alla donna, ma vi si nota una differenziazione di compiti, consona alle diverse proprietà naturali dei due sessi. La missione primaria dell'uomo è dominare la terra; in ciò la donna gli è posta a fianco come aiuto. La missione primaria della donna è procreare ed educare la prole; e in questo compito l'uomo le è dato come difesa. Ne deriva che nell'uno e nell'altra si manifestano gli stessi doni, ma in misura e in rapporto diversi. Nell'uomo, i doni necessari per la lotta, la conquista, il dominio: la forza muscolare con cui domina esteriormente la materia, l'intelletto con cui penetra intenzionalmente il mondo, la volontà e l'energia attiva con cui può plasmarlo. Nella donna, l'attitudine a proteggere, custodire e far sviluppare l'essere in formazione e in crescita: perciò il dono, di carattere più corporeo, di saper vivere strettamente unita a un altro, di raccogliere con calma le forze, e di sopportare il dolore e la privazione, e adattarsi; il desiderio di cooperare al loro sviluppo". È molto bello questo completarsi tra l'uomo e la donna. Si tratta di due forze che si armonizzano. La forza muscolare dell'uomo e la forza dell'accoglienza della donna. Ed è proprio su queste due forze che è bene fare una breve riflessione. L'armonia tra due forze d'intensità diverse, ma entrambe necessarie, è solo del genere umano; a dimostrazione di ciò che dice la buona filosofia, ovvero che l'anima è forma del corpo. Il corpo femminile, infatti, è "informato" dall'anima e ciò fa sì che esso (il corpo) assuma l'espressione della delicatezza. Negli animali non è così. Se nel genere umano, infatti, la donna è più "debole" dell'uomo, tra gli animali ciò può non verificarsi. Prendiamo lo sport. In alcune discipline le donne non possono raggiungere gli stessi risultati degli uomini. Tra gli animali ciò è possibile. Nell'ippica le cavalle possono essere ugualmente o anche più veloci dei cavalli. Insomma è la dimensione spirituale che rende ancora più diverso il corpo maschile da quello femminile. Ed ecco perché, da quando si è dimenticata la priorità dell'anima, tutto si è indistinto, annullato... e in tal modo non riusciamo più a capire la bellezza della diversità!
Nota di BastaBugie: nel seguente video di Matteo Montevecchi (durata: 3 minuti) dal titolo "La vera storia dell'8 marzo" si sbugiardano le fake news delle femministe che per anni hanno inventato un inizio "glorioso" della festa della donna, nascondendo che fu inventata nella russia sovietica sotto Lenin.
https://www.youtube.com/watch?v=MzJzVuAQne8
DOSSIER "FESTA DELLA DONNA" L'ideologia dell'8 marzo Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: I Tre Sentieri, 7 marzo 2020
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LA LEZIONE DEL CORONAVIRUS IN ITALIA
È più importante la vita degli italiani o la sottomissione all'Unione Europea? (VIDEO: i festeggiamenti inglesi per l'uscita dall'Unione Europea)
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 7 marzo 2020
La crisi del coronavirus è un emblema perfetto della fase storica che viviamo dal crollo del Muro di Berlino. Tutti i nodi stanno venendo al pettine. Per anni è stata esaltata la globalizzazione, l'interdipendenza e la fine delle frontiere. Si è spezzata la catena della produzione facendo della Cina la fabbrica del mondo: così ci siamo de-industrializzati e siamo diventati dipendenti da una mostruosa tirannia comunista, che è ormai la prima economia del mondo. E proprio la Cina ha esportato dappertutto il virus. Molti virus vengono da là e ovviamente - essendo la Cina il centro economico del pianeta - questo virus ha volato, sulle ali dell'economia, nelle zone più interconnesse con quel Paese. Infatti come è arrivato in Europa? Lo ha spiegato un articolo di Riccardo Luna, ieri, su Repubblica: attraverso la Germania ("il virus arriva in Italia dalla Baviera"). Eppure a passare per l'untore del mondo è stata l'Italia, mentre i tedeschi fanno i pesci in barile. Emblematica questa "fregatura" dell'Italia. In fondo cosa è accaduto alla nostra economia negli ultimi 30 anni? Nei primi anni Novanta eravamo la quarta potenza industriale del mondo:dal '91 al '99 la produzione industriale italiana è cresciuta del 13 per cento e quella tedesca solo del 3. Poi arriva l'euro e dal 2000 al 2018 quella italiana è precipitata del 17 per cento, mentre quella tedesca è cresciuta del 27 per cento. Così ci hanno accusato di essere il malato d'Europa imponendoci tagli e peggiorando la crisi. Ma la nostra malattia è l'Euro (che ci fu presentato come una medicina).
TORNIAMO AL CORONAVIRUS Cosa è successo in Italia? Si è individuato il focolaio prima di tutti gli altri e con maggiore efficienza grazie - come sempre - al genio italiano. Come rivela l'intervista che ieri "Repubblica" ha fatto ad Annalisa Malara. È questa anestesista di Codogno che, a proposito del famoso paziente uno di Codogno, ha intuito acutamente che c'era il virus. Lo ha capito grazie ad un'ottima formazione medica e lo ha scoperto malgrado "i protocolli italiani" che "non giustificavano" il tampone a quel paziente (è stata autorizzata, ma se "me ne assumevo la responsabilità"). Quindi non solo è stato assurdo dire - come ha fatto Conte - che "una gestione non del tutto propria secondo i protocolli in ospedale ha contribuito alla diffusione del virus", ma è vero il contrario: si è scongiurata un'epidemia molto più virulenta proprio perché medici molto in gamba hanno compreso che occorreva andare oltre quei protocolli. In questo episodio c'è tutto il caso italiano: il genio della nostra gente e la pochezza dell'élite. Un altro fatto emblematico. Perché la prospettiva è cupa? Perché - com'è noto - avremo bisogno di molti posti in terapia intensiva e già ora mancano. La Lombardia sta facendo da scudo all'Italia intera e riesce a farlo perché è la sanità migliore, ma la situazione in Italia è da tempo drammatica. Negli ultimi otto anni i governi succubi della Ue hanno fatto tagli alla Sanità per 130 miliardi, mettendola in forte stress. E oggi davanti al coronavirus ci troviamo ad arrancare. Dovremmo riflettere seriamente sui tagli fatti per inseguire i famosi parametri europei, penalizzando la Sanità che oggi tiene botta solo grazie al lavoro eroico di medici e infermieri. Anche questa vicenda è figlia di questo tempo disgraziato. Dovremmo capire finalmente che la salute, il lavoro e il benessere vengono prima degli ottusi, insensati e devastanti parametri di Maastricht. E dovremmo agire di conseguenza per affrontare l'impatto economico catastrofico del coronavirus.
SUDDITANZA CIECA Invece continuiamo a subire l'incapacità di questo governo di uscire dai diktat della Ue. Conte infatti ha annunciato che, per affrontare l'epidemia, andrà col cappello in mano a Bruxelles a chiedere (ai tedeschi) di poter spendere 4 o 5 miliardi di soldi nostri. Primo: 4 o 5 miliardi sono nulla rispetto a quello che dovremmo mettere in campo. Secondo: non siamo più un paese indipendente, abbiamo perso totalmente la nostra sovranità e non possiamo neanche più affrontare una grave epidemia senza chiedere il permesso alla Ue. Viene da chiedersi: prima della vita dei nostri cittadini viene l'obbedienza alla Ue? Questa è la metafora perfetta degli ultimi 25 anni in cui ci siamo consegnati alla Ue, ovvero alla Germania, come colonia, rinunciando alla nostra indipendenza, alla nostra moneta e al nostro benessere. Questo ventennio ha portato al collasso la nostra economia e la crisi del coronavirus sarà il colpo di grazia. Ancora una volta: grazie Europa, anzi grazie europeismo nostrano. In Europa non hanno ancora capito le dimensioni drammatiche di questa epidemia e forse capiranno solo quando e se esploderà pure da loro. Per l'Italia non si scomodano, se non con una ridicola e inutile "flessibilità" sul deficit dello 0,2 per cento. Un nulla. Ma questa crisi potrebbe far saltare la stessa Ue. Anzi, un autorevole economista, Ashoka Mody, ha scritto in questi giorni che la concomitanza della crisi italiana con quella cinese potrebbe innescare una crisi globale catastrofica. Fra l'altro Mody scrive: "In due decenni, da quando l'Italia ha adottato l'euro, gli italiani sono diventati più poveri. L'economia del paese permane in una recessione economica quasi perpetua". Adesso dobbiamo capirlo. Se non ora quando?
Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 4 minuti) Nigel Farage il 31 gennaio 2020 festeggia l'uscita dall'Unione Europea insieme a coloro che lo hanno sostenuto in questa lunga battaglia. Il video è in lingua inglese, ma l'importante è capire il clima di festa che ha accompagneto questa data storica.
https://www.youtube.com/watch?v=pkFC5bkJiQw
DOSSIER "CORONAVIRUS" Sì alla prudenza, no al panico Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: Libero, 7 marzo 2020
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IL PANICO PER IL CORONAVIRUS E' PROPRIO CIO' CHE DOBBIAMO EVITARE
La paura fa il gioco del virus, ma combatterlo si può: con gli stili di vita, i farmaci, le azioni che possono contrastarlo (per questo è inaccettabile procedere a selezioni eugenetiche, lasciando morire i più deboli)
Autore: Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10-03-2020
L'impressione che si ha in questi giorni in cui l'epidemia di Covid-19 si è diffusa è quella di una grande paura, di un panico che porta a fuggire davanti al nemico che avanza, anziché fermarsi a combatterlo. Il panico, il fuggi fuggi, in tutte le circostanze di pericolo, dalle guerre alle catastrofi naturali, è sempre e comunque un elemento di danno. Di fronte a questa epidemia, la cosa più ragionevole da fare è contrastarla, con tutti i mezzi che abbiamo, e magari anche cercando di trovare soluzioni nuove, creative. Il Covid-19 è un virus, e non è pensabile che un virus non possa essere contrastato dalla scienza medica, a meno di ammettere l'impotenza di tale scienza, a dispetto di tutte le conquiste di cui essa stessa si vanta. Ieri è arrivata una importantissima notizia dalla Repubblica Democratica del Congo: dopo 13 mesi di epidemia, è guarito l'ultimo caso di Ebola presente nel Paese africano. Nessuno ovviamente lo sa, ma un anno fa si era acceso in Congo un nuovo focolaio di questa terribile malattia infettiva che ha un tasso di mortalità del 70%, un tasso spaventoso. Questa epidemia che ha fatto circa 2000 morti è stata combattuta e vinta. I mezzi sono stati quelli che ormai stiamo imparando a conoscere anche qui: l'igiene personale in primis, in particolare quella delle mani, e il distanziamento sociale. Le persone malate sono state curate anche farmaceuticamente, con buoni esiti. Potremmo allora imparare qualcosa anche da un Paese che non ha le nostre sofisticate strutture sanitarie e il nostro personale altamente qualificato. E a tale proposito, occorre sottolineare un aspetto molto importante: in questi giorni nei nostri ospedali, e in particolare in quelli della Lombardia soggetti ad un impegno e a un carico di lavoro eccezionale, tutto il resto dell'attività sta continuando, per garantire la salute dei cittadini. Abbiamo decine di migliaia di pazienti oncologici, o con gravi patologie croniche, che continuano ad essere seguiti e curati. Non c'è solo il Covid-19. Ogni giorno in Italia muoiono 1.400 persone, delle più diverse patologie, ma soprattutto di quelle cronico-degenerative. Ogni giorno medici e infermieri combattono contro la malattia, e devono anche assistere a quell'evento ineluttabile che è la morte. Per questo in un momento come quello attuale di confusione e approssimazione diffusa, dalla classe politica ai social, i medici in prima linea, a fare il proprio dovere, sono la migliore risposta alla sfida della malattia, ma non devono essere lasciati soli. Questi medici in prima linea sono anche quelli che stanno cercando - sul campo - armi adatte a sconfiggere il nemico. Allo stato attuale delle conoscenze, non esistono protocolli terapeutici definiti. Tuttavia, in queste circostanze, i medici possono tornare ad esercitare la loro capacità creativa, cercando, sperimentando soluzioni ai problemi. Come dice un vecchio proverbio inglese: non ci sono problemi, ci sono solo soluzioni. Abbiamo in tal senso l'esempio dei medici cinesi che prima di noi hanno affrontato nelle scorse settimane il Covid-19. Dalla Clorochina al plasma dei guariti passando per le staminali, senza trascurare la medicina tradizionale: contro il coronavirus la Cina sta sperimentando ad ampio raggio, e dalla sperimentazione si è già arrivati a linee guida che potremmo utilizzare anche qui. [vedi nota in fondo all'articolo, N.d.BB] [...] Un altro dato su cui riflettere è quello messo in luce dagli studi cinesi che dimostra che il Coronavirus è molto più dannoso e pericoloso nelle persone che fumano. Inspiegabilmente nessuno si è ancora preso la briga di invitare decisamente i fumatori a smettere: lo facciamo volentieri noi. In una battaglia così importante come quella col virus, è fondamentale conoscere le caratteristiche dell'avversario, come agisce, quali sono i suoi obiettivi. Da questo punto di vista dovremmo guardare con grande attenzione ai dati epidemiologici che cominciano ad essere disponibili. Sappiamo che l'età media dei pazienti deceduti è 81 anni, e che ci sono 20 anni di differenza tra l'età media dei deceduti e quella dei pazienti positivi al virus. La maggior parte dei decessi - 42.2% - si è avuta nella fascia di età tra 80 e 89 anni; il 32.4% dei decessi erano tra 70 e 79; l'8.4% erano tra 60 e 69; il 2.8% tra 50 e 59 e il 14.1% sopra i 90 anni. Le donne decedute dopo aver contratto il virus hanno un'età più alta degli uomini. L'età mediana per le donne è 83.4, l'età mediana per gli uomini è 79.9. Per quanto riguarda il sesso, i pazienti morti dopo esser risultati positivi al Coronavirus sono in maggioranza uomini. Nella maggior parte di questi casi il virus è intervenuto in organismi non abbastanza forti per reagire adeguatamente ed è stato molto probabilmente una concausa del decesso. In più di due terzi dei casi i morti con il Coronavirus avevano tre o più patologie preesistenti. Quindi il virus contribuisce, determinando una polmonite interstiziale con grande danno respiratorio, all'indebolimento di un organismo già particolarmente fragile a causa di una malattia esistente come tumore, malattie cardiologiche, diabete. Gli studi epidemiologici condotti confermano le osservazioni fatte fino a questo momento nel resto del mondo, in particolare sul fatto che gli anziani e le persone con patologie preesistenti sono più a rischio. Persone molto fragili, che dobbiamo proteggere il più possibile. Anche per questo suonano inaccettabili le ipotesi di procede a selezioni eugenetiche, lasciando morire i più deboli. Bisogna invece fare il massimo sforzo per aumentare i posti letto, gli operatori sanitari, i presidi sanitari per salvare ogni vita umana. Questo deve essere lo sforzo di chi governa il Paese, uno sforzo in supporto dei medici che combattono ogni giorno la battaglia per la vita.
Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Paolo Gulisano, nell'articolo spiegava che la Cina sta sperimentando delle linee guida che potremmo utilizzare anche qui. Ecco nel dettaglio queste sperimentazioni cinesi: In primo luogo la Clorochina: questo vecchio farmaco ampiamente utilizzato per decenni contro la malaria - ora abbandonato - e utile anche nelle malattie autoimmuni è stato impiegato nel trattamento di pazienti gravemente malati di COVID-19 negli ospedali di Wuhan. Poi il Tocilizubam, una proteina sintetica iniettabile che blocca gli effetti dell'interleuchina-6 (IL-6) nei pazienti affetti da artrite reumatoide. La IL-6 è una proteina che il corpo produce quando è presente un'infiammazione. I ricercatori cinesi hanno infatti trovato che una delle cause di morte nei pazienti gravi infettati dal coronavirus è la tempesta di citochine, una reazione eccessiva del sistema immunitario. Il farmaco è in fase di sperimentazione clinica in 14 ospedali di Wuhan. Un'altra soluzione è quella che prevede l'utilizzo di plasma di pazienti guariti: questo plasma contiene un gran numero di anticorpi protettivi. Al 28 febbraio, 245 pazienti con COVID-19 hanno ricevuto la terapia e in 91 casi si sono manifestati miglioramenti degli indicatori clinici e dei sintomi. Ci sono poi farmaci antivirali in sperimentazione: il favipiravir, un farmaco antinfluenzale disponibile nei mercati stranieri, è stato inserito in uno studio clinico parallelo controllato a Shenzhen: ha un'efficacia relativamente evidente e reazioni avverse basse. Anche il remdesivir, sviluppato contro le infezioni da Ebola, ha mostrato a livello cellulare un'attività antivirale abbastanza buona contro il nuovo coronavirus. Ci sono poi le cellule staminali: possono inibire la risposta eccessiva del sistema immunitario e sono stati usati anche per trattare dei pazienti gravi, quattro dei quali guariti. Attualmente sono utilizzate nei trattamenti tre tipi di cellule staminali, le mesenchimali, le polmonari e le embrionali. I ricercatori di solito iniettano soluzioni a base di cellule staminali nei polmoni. Inoltre l'Accademia Cinese delle Scienze ha sviluppato un nuovo farmaco a base di cellule staminali, CAStem, che ha mostrato risultati promettenti negli esperimenti sugli animali. Infine, ci sono tutte quelle misure che possono aiutare il nostro organismo a difendersi meglio. Il professor Luc Montagner, Premio Nobel per la Medicina, invita ad assumere sostanze antiossidanti che possono ostacolare l'azione del virus. Tra questi il Glutatione.
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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10-03-2020
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IL CORONAVIRUS E' UN CASTIGO DI DIO?
Le epidemie, come gli altri mali fisici e morali, sono conseguenze del peccato originale, quindi...
Autore: Rodolfo Casadei - Fonte: Tempi, 2 marzo 2020
Sinceramente non riesco a capire perché tanti uomini di Chiesa esorcizzino la parola "castigo" quando si parla di calamità come l'attuale epidemia di coronavirus, come ha fatto il card. Scola nella sua intervista a Repubblica, e lascino trapelare il loro biasimo nei confronti dei loro rari confratelli che fanno ricorso a un linguaggio vagamente imparentato con quello di castigo parlando di "ammonimento" o di "segno" divino, come ha fatto don Mauro Leonardi con padre Livio direttore di Radio Maria. A dire il vero, credo di capire il perché di queste linee di condotta, e quello che capisco non mi piace. Certo, se si fa ricorso al vocabolo "castigo" o ad altri simili bisogna poi chiarire bene cosa questo significhi in termini cristiani. Non si può certamente lasciar credere che chi è colpito da una malattia o da un'altra catastrofe prevalentemente naturale è punito in maniera personalizzata per i peccati che lui ha commesso; né è possibile associare determinate colpe, comportamenti anche molto diffusi, malvagità collettive, ingiustizie strutturali al dolore e alla morte che colpirebbero collettivamente chi vive in certi luoghi in certi tempi. Su questo è stato molto chiaro, e rivoluzionario rispetto alla mentalità della sua epoca, Gesù Cristo, quando ha spiegato che gli sfortunati morti schiacciati sotto il crollo della torre di Siloe non erano più colpevoli di quelli che l'avevano scampata, e che il cieco nato non era tale a causa di peccati suoi o dei suoi genitori. Detto questo, però, occorrerebbe anche spiegare perché Dio, presentato come buono fino alla misericordia, permette questi mali: perché permette la malattia, la morte, il dolore innocente, il trionfo terreno dell'ingiustizia, ecc. È la domanda che gli uomini si fanno dall'inizio dei tempi moderni, convenzionalmente a partire da L'aratore di Boemia di Johannes von Saaz, un poema dei primissimi anni del XV secolo dove un contadino che ha perduto la moglie si ribella a tutte le giustificazioni metafisiche con cui la morte in persona risponde alle sue proteste. Gli uomini di Chiesa d'oggi, velocissimi nell'esecrare un confratello che abbia dato adito anche lontanamente a un fraintendimento sul tema del rapporto fra calamità e colpa personale o collettiva, sono lenti e titubanti quando si tratta di rispondere alle obiezioni del contadino; oppure semplicemente svicolano. Il Catechismo della Chiesa cattolica spiega che il dolore, la malattia, la morte sono conseguenze del peccato originale dei nostri progenitori. Il cattivo uso della libertà da parte loro ha prodotto una corruzione che si è trasmessa ai discendenti ma che non è solo morale, relativa alla nostra inclinazione al male, ma anche fisica, riguardante tutto il creato. Come scrive san Paolo nella lettera ai Romani, «La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8, 19-21) Il catechismo spiega che "colui che l'ha sottomessa" è l'uomo col suo peccato (CCC n. 400). Chi si definisce cristiano non può cavarsela alla leggera dicendo o pensando che il peccato originale è una vecchia storia alla quale non crede più nessuno. Comunque la si interpreti e la si concepisca, è una storia dalla quale dipende tutta la veridicità dell'annuncio cristiano: «La Chiesa, che ha il senso di Cristo, (1Cor 2,16) ben sa che non si può intaccare la rivelazione del peccato originale senza attentare al Mistero di Cristo» (CCC n. 389). Chiarito che anche le epidemie, come gli altri mali fisici e morali, sono conseguenze del peccato originale, è accettabile definirle "castigo divino", benché non si tratti di castighi mirati a colpe personali specifiche? O questa sarebbe un'antropomorfizzazione dell'agire di Dio che alla fine sfocia inevitabilmente nella superstizione, o per lo meno in una comprensione inadeguata di Lui da parte nostra? Beh, non c'è nessuno che non abbia presente che nella Bibbia, nel Vangelo, nella liturgia della Chiesa e in tante preghiere canoniche Dio è presentato come Colui che premia e che castiga, che si adira e che si commuove fino alla misericordia. Dal libro di Tobia nell'Antico Testamento («Vi castiga per le vostre ingiustizie, ma userà misericordia a tutti voi», Tb 13,5) alle descrizioni del giudizio finale che fa ripetutamente Gesù, per esempio nel capitolo 25 di Matteo («Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo... Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, ... E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna»). Questo linguaggio descrive compiutamente Dio e il suo agire? No, perché Dio è trascendente, e quindi noi possiamo parlare di Lui solo in termini analogici. Non c'era bisogno di aspettare i pur intelligenti esponenti della "teologia negativa" o "apofatica" del XX secolo, protestanti come Paul Tillich e Karl Barth: a definire Dio come il "totalmente altro" non sono stati per primi i pensatori tedeschi, ma sant'Agostino nelle Confessioni. E i medievali sapevano benissimo che la nostra conoscenza delle cose divine è fatta di similitudini, metafore, analogie. Se lo ricorda anche chi non ha studiato filosofia medievale ma ha letto la Commedia di Dante, dove a un certo punto l'autore chiarisce: non è che beati e dannati si trovino veramente nelle condizioni in cui ve li descrivo, ma è che così ci appaiono per il nostro vantaggio spirituale. Allora perché parliamo di un Dio che manifesta ora la Sua ira, ora la Sua tenerezza? Che ama e che castiga? Semplicemente perché siamo esseri umani, e solo con parole e concetti umani possiamo esprimerci, elaborare i nostri pensieri e le nostre esperienze, entrare in rapporto con gli altri. E che questo non dispiaccia troppo a Dio lo si può dedurre dal fatto che «non horruit Virginis uterum», non gli fece ribrezzo essere ospitato nel ventre di Maria e assumere la carne umana in Gesù Cristo. Gli uomini di Chiesa che pensano di cavarsela nascondendo sotto il tappeto metà degli appellativi e degli aggettivi con cui di Dio si parla nelle Scritture, nella Tradizione della Chiesa e negli scritti dei santi e delle sante e riproponendo con larghi sorrisi solo i vocaboli rassicuranti ed edificanti, incorrono in una contraddizione di fondo: se la Trascendenza di Dio non deve essere intaccata attribuendogli un comportamento umano come è quello del castigare, non può esserlo nemmeno attribuendogli qualsiasi altra caratteristica o propensione, fosse pure quelle dell'amare, del perdonare, del rispettare la libertà umana, ecc. Questi commentatori non risolvono nessun problema, tranne quello di preservare la propria rispettabilità di fronte al mondo. Questa è la sgradevole sensazione che si prova leggendoli. Cerchino invece di esercitare un po' di benevolenza verso i loro confratelli che vedono nel coronavirus un "monito" rivolto all'umanità. Non è forse vero che tutto è segno per chi crede? Ne abbiamo fatto esperienza nella vita personale, quando abbiamo patito una perdita o un'afflizione, e poi abbiamo riconosciuto che era un avvenimento provvidenziale che ci richiamava alla necessità della nostra conversione; perché non si potrebbe proporre lo stesso tipo di lettura di eventi che riguardano la collettività, se questa lettura - sempre analogica, sempre figurata - aiuta a stimolare conversioni? Chi dice oggi «Il tempo si è fatto breve» riattualizza la tradizione di san Paolo nella prima lettera ai Corinzi, che non c'entra nulla col terrorismo psicologico ma molto con la necessità di decidere per o contro Dio. Chi prova orrore di tutto questo resta col problema di rispondere alle proteste del moderno contadino di Boemia, che non si accontenterà della rispettabilità sociale dell'interlocutore, e finirà per voltargli le spalle.
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Fonte: Tempi, 2 marzo 2020
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IL CORONAVIRUS E I MERCENARI CHE ABBANDONANO LE PECORE
Per la prima volta in duemila anni l'Italia, il centro della Cristianità, resterà totalmente senza le Messe con partecipazione di popolo (stiamo vicini ai tanti buoni pastori, che pure ci sono, pronti a dare la vita)
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 9 marzo 2020
Si dicevano rivoluzionari e si sono svelati tanti pavidi don Abbondio. Niente più ponti, ma muri e molto alti, invalicabili. [...] Non si vede in giro nessun san Carlo Borromeo. Tutti rintanati nelle Curie. I "medici" che avrebbero dovuto curare le anime hanno abbandonato il gregge, addirittura aderendo senza nulla obiettare al decreto governativo che sospende in tutta Italia, fino al 3 aprile, le messe con la presenza di fedeli. Un fatto senza precedenti. [...] Per la prima volta in duemila anni il paese che è il centro della cristianità resterà totalmente, e per giorni, senza messa. Un evento che potrà lasciare indifferenti atei e agnostici, ma per milioni di cattolici è un vero choc. Non solo perché vengono privati del sacrificio eucaristico proprio in una tragica situazione epidemica, nella quale più si avverte il bisogno di pregare, ma anche per quello che la messa è di per sé. Padre Pio da Pietrelcina diceva: "il mondo potrebbe stare senza sole, ma non potrebbe stare senza la Santa Messa". Un paradosso con cui il santo mistico intendeva far capire l'infinito potere di intercessione e protezione che è - per l'umanità intera - il rinnovarsi quotidiano del sacrifico di Cristo sulla croce: il grande esorcismo che protegge il mondo dal male e dall'autodistruzione. Qualcuno evoca la profezia apocalittica di Daniele che vide un giorno "abolito il sacrificio quotidiano" ed "eretto l'abominio della desolazione". Di certo è un evento traumatico per la Chiesa. C'è chi sostiene che, in base al Concordato e anche alla Costituzione, è discutibile che le generiche parole del decreto governativo possano significare abolizione delle messe. Di certo la Segreteria di Stato vaticana e la Cei non hanno neanche tentato di opporsi o discuterne. Eppure avrebbero avuto ottime ragioni. Infatti non si vede perché sospendere le messe quotidiane in tutta Italia, quando centri commerciali, bar, ristoranti e metropolitane non vengono chiusi nemmeno nelle zone rosse. Così come viaggiano treni e aerei e tutti continuano a lavorare.
MESSE, PERCHÉ NO? Perché mai a messa dovrebbe essere più facile il contagio che in ufficio, in metro o al ristorante? Oltretutto alle liturgie feriali partecipano quattro gatti e possono dunque stare molto distanziati. Sembra che il governo italiano [...] abbia - a dir poco - un pregiudizio negativo sulla messa... Ma Vaticano e Cei sono perfino peggio. Infatti - se anche avessero dovuto cedere - avrebbero potuto proporre che in ogni città venissero scelte almeno alcune chiese in cui poter celebrare messe continue (diciamo ogni due ore) per mandare ai fedeli e agli italiani il messaggio di una preghiera continua di intercessione per il nostro Paese e per permettere ai partecipanti di diluirsi in tante messe e quindi presenziare fisicamente a un metro di distanza. Nelle altre parrocchie i vescovi avrebbero potuto disporre l'adorazione permanente, per tutto il giorno, ancora una volta come preghiera costante per l'Italia, contro l'epidemia. Non solo. I vescovi che sospendono le messe e chiudono le chiese avrebbero dovuto mandare sacerdoti - o meglio andare loro stessi - come presenze fisse negli ospedali a disposizione dei malati (quelli di coronavirus e gli altri) e del personale medico e infermieristico. Che testimonianza se tutti i vescovi, in questi giorni, si fossero stanziati negli ospedali. Invece no, se ne stanno rintanati nelle curie. Talvolta sprofondando nell'assurdo come il vescovo di Firenze che è arrivato a scrivere: "il provvedimento governativo... sembra in qualche modo indicare nella preghiera privata una strada per continuare a nutrire la vita spirituale". Quasi che Conte, Casalino e Speranza fossero diventati i nuovi pastori della vita spirituale dei cristiani. [...] I vescovi hanno abdicato alle loro responsabilità. Potevano lanciare una grande preghiera per l'Italia lasciando tutte le chiese aperte, anche di notte. [...] Oggi tutta l'Italia è materialmente in ginocchio eccetto chi dovrebbe essere fisicamente in ginocchio: papa, cardinali e vescovi. Il messaggio che è arrivato al popolo - se ne sia coscienti o no - è terribile: sembra che nella disgrazia e nella sofferenza sia meglio lasciar perdere Dio, perché non serve a nulla. Ma se non serve lì, non serve mai (o bisogna ricordarsene solo per firmare l'otto per mille?).
LA TESTIMONIANZA DEI MARTIRI E DEI SANTI Per la prima volta da secoli in una calamità come questa è stato totalmente cancellato Dio. Per venti secoli nella nostra terra è avvenuto il contrario. Tutte le nostre città hanno chiese che sono ex voto per la fine delle pestilenze, durante le quali le città si mettevano sotto la protezione della Madonna. Oggi si cancella Dio. È una situazione inaudita, che sta disorientando del tutto i cattolici, che si sentono abbandonati da quelli che dovrebbero essere i pastori, ma che si sentono anche privati della presenza di Dio nel momento in cui più forte è il bisogno di affidarsi e pregare. [...] La messa custodisce il vero tesoro della Chiesa e non saperlo difendere significa annientare la Chiesa. Nel Catechismo della Chiesa cattolica, voluto da Giovanni Paolo II e dal card. Ratzinger, si legge: " 'Senza la domenica non possiamo vivere' diceva il sacerdote e martire Saturnino all'inizio del secolo quarto, durante una delle più feroci persecuzioni anticristiane, quella di Diocleziano nel 304 d.C. Accusato di aver celebrato l'Eucaristia per la sua comunità, Saturnino ammette senza reticenza: 'Senza l'Eucaristia non possiamo vivere'. E una delle martiri aggiunse: 'Sì, sono andata all'assemblea e ho celebrato la cena del Signore con i miei fratelli, perché sono cristiana' ". La Chiesa ha sempre indicato come esempio la loro testimonianza. E oggi? Il problema è il venir meno della fede e la dimenticanza di Cristo. C'è una domanda di Gesù, nel Vangelo, che faceva riflettere Paolo VI. Dove chiede: "Quando il Figlio dell'uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?" (Lc 18, 8). In Italia, per ora, sì. [...] Nelle curie la ricerca sarebbe molto più faticosa e forse senza esito.
Nota di BastaBugie: diversi parroci in tutta Italia hanno cercato di stare vicini ai fedeli in questo momento particolare trovando soluzioni possibili senza disobbedire alla legittima autorità. C'è chi si fa trovare più spesso del solito al confessionale e dopo la confessione propone immediatamente la comunione fuori dalla Messa, c'è chi espone il Santissimo Sacramento in chiesa (almeno la domenica) affinché la preghiera personale sia comunque una preghiera fortemente eucaristica (in attesa di poter partecipare di nuovo al Santo Sacrificio), c'è chi è sempre a disposizione per i fedeli per benedire le loro bottigliette d'acqua che poi portano a casa per utilizzarle come sacramentale. Insomma problemi nuovi trovano soluzioni antiche che hanno sempre aiutato spiritualmente il popolo cristiano a superare i momenti di difficoltà. Scriveteci le idee più originali che vedete applicare dai vostri pastori. Pubblicheremo le più significative.
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Fonte: Libero, 9 marzo 2020
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COME SAN CARLO BORROMEO AFFRONTO' CON FEDE L'EPIDEMIA DEL SUO TEMPO
Arcivescovo di Milano dal 1565 al 1583, fu definito da San Pio X ''modello del gregge e dei pastori nei tempi moderni''
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana, 4 Marzo 2020
San Carlo Borromeo (1538-1584), cardinale di Santa Romana Chiesa e arcivescovo di Milano dal 1565 al 1583, fu definito, nel decreto di canonizzazione, come «un uomo che, mentre il mondo gli sorride con le maggiori blandizie, vive crocifisso al mondo, vive dello spirito, calpestando le cose terrene, cercando continuamente le celesti, emulo in terra, nei pensieri e nelle opere, della vita degli Angeli» (Paolo V, Bolla « Unigenitus » del 1 Nov. 1610). La devozione agli angeli accompagnò la vita di san Carlo, che il conte di Olivares, Enrique de Guzmán, ambasciatore di Filippo II a Roma, definiva «più angelo che uomo» (Giovanni Pietro Giussano, Vita di San Carlo Borromeo, Stamperia della Camera Apostolica, Roma 1610, p. 441). Molti artisti, come Teodoro Vallonio a Palermo e Sebastien Bourdon a Fabriano, hanno raffigurato nei loro dipinti Carlo Borromeo mentre contempla un angelo che ripone nel fodero la spada insanguinata per indicare la cessazione della terribile peste del 1576. Tutto era iniziato nel mese di agosto di quell'anno. Milano era in festa per accogliere don Giovanni d'Austria, di passaggio sulla via delle Fiandre, di cui era stato nominato governatore. Le autorità cittadine erano in fermento per tributare al principe spagnolo i massimi onori, ma Carlo, da sei anni arcivescovo della diocesi, seguiva con preoccupazione le notizie che giungevano da Trento, da Verona, da Mantova, dove la pestilenza aveva iniziato a mietere vittime. I primi casi scoppiarono a Milano l'11 agosto, proprio mentre vi entrava don Giovanni d'Austria. Il vincitore di Lepanto, seguito dal governatore Antonio de Guzmán y Zuñiga, si allontanò dalla città, mentre Carlo, che si trovava a Lodi per i funerali del vescovo, vi accorse immediatamente. La confusione e la paura regnavano a Milano, e l'arcivescovo si dedicò interamente all'assistenza dei malati, ordinando preghiere pubbliche e private. Dom Prosper Guéranger riassume così la sua inesauribile carità. «In mancanza di autorità locali, organizzò il servizio sanitario, fondò o rinnovò ospedali, cercò denaro e vettovaglie, decretò misure preventive. Soprattutto provvide ad assicurare il soccorso spirituale, l'assistenza ai malati, il seppellimento dei morti, l'amministrazione dei Sacramenti agli abitanti confinati nelle loro case, per misure prudenziali. Senza temere il contagio, pagò di persona, visitando ospedali, guidando le processioni di penitenza, facendosi tutto a tutti come un padre e come un vero pastore» (L'anno liturgico - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, Paoline, Alba 1959, pp. 1245-1248). San Carlo era convinto che l'epidemia fosse «un flagello mandato dal cielo» come castigo dei peccati del popolo e che contro di essa fosse necessario ricorrere ai mezzi spirituali: preghiera e penitenza. Egli rimproverò le autorità civili per aver riposto la loro fiducia nei mezzi umani piuttosto che in quelli divini. «Non avevano essi proibito tutte le riunioni pie, tutte le processioni durante il tempo del Giubileo? Per lui, ne era convinto, erano queste le cause del castigo» (Chanoine Charles Sylvain, Histoire de Saint Charles Borromée, Desclée de Brouwer, Lille 1884, vol. II, p. 135). I magistrati che governavano la città continuavano a opporsi alle cerimonie pubbliche, per timore che l'assembramento di persone potesse dilatare il contagio, ma Carlo, «che era guidato dallo Spirito divino» - racconta un altro biografo - li convinse adducendo diversi esempi, tra cui quello di san Gregorio Magno che aveva fermato la peste che devastava Roma nel 590 (Giussano, op. cit. p. 266). Mentre la pestilenza dilagava, l'arcivescovo ordinò dunque tre processioni generali da svolgersi a Milano il 3, 5 e 6 di ottobre, «per placare l'ira di Dio». Il primo giorno il santo, quantunque non si fosse in tempo di Quaresima, impose le ceneri sul capo delle migliaia di persone riunite, esortando alla penitenza. Finita la cerimonia la processione si recò alla basilica di Sant'Ambrogio. Egli stesso si pose alla testa del popolo, vestito della cappa paonazza, con un cappuccio, a piedi nudi, la corda di penitente al collo e una grande croce in mano. In chiesa predicò sul primo lamento del profeta Geremia "Quomodo sedet sola civitas plena populo", affermando che i peccati del popolo avevano provocato il giusto sdegno di Dio. La seconda processione guidata dal cardinale si diresse alla basilica di San Lorenzo Maggiore. Nel suo sermone egli applicò alla città di Milano il sogno di Nabucodonosor di cui parla Daniele, «mostrando che la vendetta di Dio era venuta sopra di essa» (Giussano, Vita di San Carlo Borromeo, p. 267), Il terzo giorno la processione si diresse dal Duomo alla basilica di Santa Maria presso San Celso. San Carlo portava nelle sue mani la reliquia del Santo chiodo di Nostro Signore, donata dall'imperatore Teodosio a sant'Ambrogio nel V secolo e concluse la cerimonia con un sermone dal titolo: "Peccatum peccavit Jerusalem" (Geremia 1,8). La peste non accennava a diminuire e Milano appariva spopolata, perché un terzo dei cittadini aveva perso la vita e gli altri erano in quarantena o non osavano uscire dalle loro case. L'arcivescovo ordinò che venissero erette nelle principali piazze ed incroci cittadini circa venti colonne in pietra sormontate da una croce per permettere agli abitanti di ogni quartiere di partecipare alle messe e alle preghiere pubbliche affacciandosi alle finestre di casa. Uno dei protettori di Milano era san Sebastiano, il martire a cui erano ricorsi i romani durante la peste dell'anno 672. San Carlo suggerì ai magistrati di Milano di ricostruire il santuario a lui dedicato, che cadeva in rovina, e di celebrare per dieci anni una festa solenne in suo onore. Finalmente nel luglio del 1577 la peste cessò e in settembre fu posta la prima pietra del tempio civico di S. Sebastiano, dove il 20 gennaio di ogni anno ancora oggi si officia una messa per ricordare la fine del flagello. La peste di Milano del 1576 fu ciò che era stato per Roma il sacco dei Lanzichenecchi cinquant'anni prima: un castigo, ma anche un'occasione di purificazione e di conversione. Carlo Borromeo raccolse le sue meditazioni in un Memoriale, in cui scrive tra l'altro: «Città di Milano, la tua grandezza si alzava fino ai cieli, le tue ricchezze si estendevano fino ai confini dell'universo mondo (...) Ecco in un tratto dal Cielo che viene la pestilenza che è la mano di Dio, e in un tratto fu abbassata la tua superbia» (Memoriale al suo diletto popolo della città e diocesi di Milano, Michele Tini, Roma 1579, pp. 28-29). Il santo era convinto che tutto si dovesse alla grande misericordia di Dio: «Egli ha ferito e ha sanato; Egli ha flagellato e ha curato; Egli ha posto mano alla verga del castigo e ha offerto il bastone del sostegno» (Memoriale, p. 81). San Carlo Borromeo morì il 3 novembre del 1584 ed è sepolto nel Duomo di Milano. Il suo cuore fu solennemente traslato a Roma, nella basilica dei Santi Ambrogio e Carlo a via del Corso dove ancora lo si venera. Innumerevoli chiese sono a lui dedicate, tra cui la maestosa Karlskirche di Vienna, costruita nel XVIII secolo come atto votivo dell'imperatore Carlo VI, che aveva affidato la città alla protezione del santo durante la peste del 1713. Durante i suoi diciotto anni di governo della diocesi di Milano, l'arcivescovo Borromeo si dedicò con altrettanto vigore a combattere l'eresia, che considerava la peste dello spirito. Secondo san Carlo, «da nessun'altra colpa è Dio più gravemente offeso, da nessuna provocato a maggiore sdegno quanto dal vizio delle eresie, e che a sua volta nulla può tanto a rovina delle provincie e dei regni quanto può quell'orrida peste» (Conc. Prov. V, Pars I). San Pio X, citando questa sua frase, lo definì «modello del gregge e dei pastori nei tempi moderni, propugnatore e consigliere indefesso della verace riforma cattolica contro quei novatori recenti, il cui intento non era la reintegrazione, ma piuttosto la deformazione e distruzione della fede e dei costumi» (Enciclica Edita saepe del 26 maggio 1910).
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Fonte: Corrispondenza Romana, 4 Marzo 2020
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OMELIA III DOM. DI QUARESIMA - ANNO A (Gv 4,5-42)
Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato
Fonte Il settimanale di Padre Pio
Il brano evangelico della terza Domenica di Quaresima ci presenta l'episodio di Gesù che incontra una donna samaritana al pozzo di Giacobbe della città samaritana di Sicar. L'episodio è molto significativo per due motivi. Prima di tutto perché si tratta di una città samaritana; e, subito dopo, per il fatto che Gesù parla ad una donna. La Samaria era una regione posta tra la Giudea e la Galilea. Essa era il risultato di una mescolanza di diverse popolazioni. Nel 721 a.C., infatti, gli assiri avevano deportato il meglio della popolazione samaritana, sostituendola con coloni babilonesi ed aramei che portarono con sé i loro culti pagani. Col tempo ne risultò una popolazione mista, sia di razza che di religione, al punto che i giudei non vollero mai considerare i samaritani come fratelli di sangue e di fede. Questo episodio ci insegna che Gesù è venuto per la salvezza di tutti e che il Vangelo deve essere predicato fino agli estremi confini della terra. Gesù parla ad una donna. Questo stupì non poco i suoi Discepoli. Secondo la mentalità degli ebrei dell'epoca, un uomo non doveva perdere il suo tempo a parlare con una donna della Legge mosaica. Il fatto che Gesù si fermi a parlare con la samaritana al pozzo di Sicar ci insegna la pari dignità che vi è tra l'uomo e la donna. All'inizio del suo ministero pubblico, andando dalla Giudea verso la Galilea, Gesù prese la via che, attraverso la montagna, passa per la Samaria. Gesù si fermò nei pressi di un pozzo e lì vide una donna che andava ad attingere dell'acqua. Assetato per il lungo cammino, il Maestro divino domanda un po' da bere a quella donna. A nessuno si poteva negare un bicchiere d'acqua; ma, per la parlata di Gesù, quella donna si accorse subito che colui che gli domandava da bere era un ebreo e non un samaritano. Ella si meravigliò che un ebreo si degnasse di fare una simile domanda. Iniziò allora un dialogo. In cambio di quella poca acqua necessaria per dissetarsi, Gesù promette "l'acqua viva". L'acqua viva è l'acqua di sorgente, l'acqua che zampilla, a differenza di quella di pozzo che è ferma. L'acqua viva simboleggia molto bene la grazia che scaturisce dal Cuore trafitto di Gesù. Di quest'acqua ha parlato la prima lettura di oggi; Dio disse a Mosè: «Tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà» (Es 17,6). Quella roccia simboleggiava Cristo Crocifisso, dal cui Costato trafitto uscì sangue e acqua, simbolo di grazia e di salvezza. Di quest'acqua ha parlato anche la seconda lettura di oggi, quando dice che «l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). L'acqua è simbolo di grazia e purificazione, ed è importante notare come Gesù parlò di quest'acqua viva e parlò anche della situazione di peccato nella quale si trovava la donna samaritana, la quale conviveva con un uomo che non era suo marito. Un po' per volta, Gesù volle portare quella donna alla conversione, e volle farle comprendere che ella aveva bisogno di una profonda purificazione. La donna si convertì al punto che corse nel villaggio per portare tutti a Gesù. In più occasioni Gesù aveva presentato i samaritani, a differenza dei farisei, come i più sensibili alla sua predicazione. Pensiamo ad esempio alla bella parabola del Buon Samaritano: essa doveva risuonare come un severo rimprovero per i maestri della Legge. Come quella donna, anche noi abbiamo avuto bisogno della grazia purificatrice. Questa grazia l'abbiamo ricevuta nel giorno del nostro Battesimo, con il quale ci è stato tolto il peccato originale. Il Battesimo si riceve una sola volta nella vita, mentre noi pecchiamo ogni giorno, e ogni giorno abbiamo bisogno di perdono e purificazione. Dopo il Battesimo, la grazia del perdono e della purificazione ci è offerta dal sacramento della Confessione. Questo Sacramento si può ricevere molte volte. La Chiesa ci fa obbligo di riceverlo perlomeno una volta all'anno. Si capisce però che ci è fortemente raccomandato di confessare i nostri peccati molto più spesso, ogni mese, o anche ogni settimana se ci è possibile. Facendo così, l'acqua della grazia ci purificherà continuamente e la nostra anima sarà più bianca della neve.
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