BastaBugie n�680 del 02 settembre 2020
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IL GOVERNO FRANCESE ALZA LA VOCE PER DIFENDERE IL TOPLESS
Eppure ben altra è la preoccupazione dei francesi visto il clima di paura dopo le stragi jihadiste e il senso di impotenza per le cattedrali incendiate e le migliaia di profanazioni di statue e chiese
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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LE BOMBE ATOMICHE SUL GIAPPONE, TRA GRAZIE E DISGRAZIE
Nel 75° anniversario delle bombe atomiche su Hiroshima (6 agosto) e Nagasaki (9 agosto) sveliamo episodi particolari, che interrogano credenti e scettici
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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PERCHE' LA CHIESA NON PRENDE UNA POSIZIONE NETTA NEI CONFRONTI DELL'ISLAM?
La Chiesa ha sempre chiamato a raccolta i cristiani per la difesa dall'islam... ma ora non è più possibile perché non c'è più una Cristianità
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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TAIWAN E LA BATTAGLIA PER LA LIBERTA' CONTRO LA CINA COMUNISTA
Oggi al potere in Italia abbiamo la sinistra, la cui simpatia cinese preoccupa chi ama la libertà (del resto la storia insegna... che la storia non insegna nulla)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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L'ETERNO FASCINO DI DON CAMILLO IN UN FUMETTO-FILM
Un volume a fumetti che ripropone il primo film e contiene anche inedite foto di scena, stralci della sceneggiatura originale di Guareschi e la storia segreta della pellicola
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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STORIA DI COME VENNE DISTRUTTO IL LIBANO CRISTIANO
Fino al 1975 il Paese dei Cedri era una Svizzera mediorientale e rifugio dei cristiani nella regione, ma poi fu occupato dalla Siria...
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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LA STORIA ROMANZATA DELL'IMPERO D'ASBURGO
Un libro imperdibile dove incontriamo Marco D'Aviano nella battaglia di Vienna che fermò definitivamente i turchi, si ricorda il tradimento della Francia, la divisione dell'Europa voluta dai protestanti, ecc.
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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CINA, IL PAESE SCONOSCIUTO IN CUI SI ADORA LO STATO
Sappiamo poco della Cina, anche se qualcosa che il regime cerca di nascondere trapela dei dissidenti (ma troppo pochi si ribellano perché nell'ateismo pratico cinese si adora il potere politico)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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OMELIA XXIII DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 18,15-20)
Se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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IL GOVERNO FRANCESE ALZA LA VOCE PER DIFENDERE IL TOPLESS
Eppure ben altra è la preoccupazione dei francesi visto il clima di paura dopo le stragi jihadiste e il senso di impotenza per le cattedrali incendiate e le migliaia di profanazioni di statue e chiese
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 28/08/2020
Basta scorrere gli articoli che Lorenza Formicola ha pubblicato sulla Bussola, e non solo, per rendersi conto della situazione della Francia rispetto all'islam. Per non dire delle intere banlieues in cui di fatto vige la sharìa e gli stessi poliziotti hanno ritrosia ad entrare, basta ricordare il bestseller Soumission di Michel Houellebecq, che se fu besteller e tanto scalpore suscitò è perché per il territorio metropolitano francese l'islamismo è ormai da anni il problema numero uno. Detto questo, ci sia consentito di trovare semplicemente ridicolo il caso del giorno, due bagnanti sulla spiaggia di Saintes-Maries-de-la-Mer in Costa Azzurra invitate dai gendarmi a coprirsi perché prendevano il sole in topless. Subito gli alti lai dei laïques gallici, condensati dal ministro competente in un «c'est un droit précieux» (diritto addirittura prezioso; un malizioso direbbe: sta a vedere per chi...). Cui aggiunse che ici «non siamo mica in Arabia Saudita». Insomma, l'orgoglio gallico alza la cresta per quattro tette al vento, mica per il clima di paura che la Francia respira da troppo tempo, mica per le stragi jihadiste subite, mica per le cattedrali incendiate e le migliaia di profanazioni di statue religiose e chiese che, se per disprezzo laïc non si vuol considerare importanti, sono «cultura nazionale» di certo molto più del topless. Lo scatto di orgoglio, insomma, che non è stato sfoderato quando veniva sgozzato un vecchio prete sull'altare, eccolo qua: le donne francesi hanno tutto il diritto costituzionalmente garantito di mostrare le proprie grazie coram populo, altrimenti l'Oltralpe interviene con tutta la sua leggendaria force de frappe. C'è da chiedersi, tuttavia, da dove i gendarmi censori abbiano cavato l'uzzolo di far coprire le mammelle delle bellezze al bagno. Delle due, l'una: o se lo sono sognato la notte avanti o hanno applicato una qualche ordinanza. Dunque, il ministro & soci dovrebbero prendersela con la legge, non con i poliziotti. Ma temiamo che la politica interna, in Francia, sia di fatto come quella italiana, anche se all'estero fa mostra di grandeur. Il che non torna affatto ad onore del governo Macron. Dunque, da oggi (ieri, in realtà) le francesi hanno via libera. Chi vuole, può mettersi in topless al mare. Già, ma perché no anche in piscina? La differenza sta nell'acqua non salata? E se una ha voglia di togliersi anche le mutande, perché il deretano on air configurerebbe oltraggio al pudore e il seno no? E poi: perché le regole censorie devono valere per le donne e non per gli uomini? Ma la vera domanda è un'altra: perché certuni e certuni ci tengono tanto a spogliarsi in pubblico? Tra l'altro, l'esposizione total view dell'epidermide en plein soleil deve essere preceduta da un sacrifico non piccolo: i mesi precedenti l'estate trascorsi a estenuarsi in palestra, sennò mostri solo pannelli adiposi e flaccidi cascami, e allora non ci sarà bisogno della polizia per farti coprire fino al collo e/ preferire la montagna. Ci sarà stato qualche motivo se i sermoni medievali erano pieni di invettive contro la «vanità» femminile (all'epoca i sessi erano solo due). Leggi censorie non ce n'erano, la nudità a quel tempo non scandalizzava nessuno e anche i bagni pubblici erano misti. Tutt'al più, le autorità intervenivano con le leggi cosiddette suntuarie per impedire ai ricchi di sfoggiare troppo in esteriorità e aizzare le invidie di chi non se le poteva permettere. E il freno all'arroganza ostentatoria non era questione di moralismo, ma di ordine pubblico: lo schiaffo alla povertà generava risentimenti e, questi, ritorsioni non di rado a mano armata. No, i predicatori medievali seguivano le direttive evangeliche e puntavano direttamente, e solo, al cuore di chi stava ad ascoltarli. Da come uno si veste, infatti, si capisce che cosa sogna (frase di Pio XII agli operatori della moda in udienza). E anche da come si sveste.
DOSSIER "CONSIGLI PER L'ESTATE" Vacanze, spiaggia e... bikini Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 28/08/2020
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LE BOMBE ATOMICHE SUL GIAPPONE, TRA GRAZIE E DISGRAZIE
Nel 75° anniversario delle bombe atomiche su Hiroshima (6 agosto) e Nagasaki (9 agosto) sveliamo episodi particolari, che interrogano credenti e scettici
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06/08/2020
Per ricordare, da cattolici, il 75° anniversario delle bombe atomiche sul Giappone nulla di meglio che leggere due libri di Takashi Nagai (1908-1951), I figli di Nagasaki (pp. 240, € 17) e Il rosario di Nagasaki (pp. 96, € 14), editi entrambi da Fede&Cultura. Nagai era un medico militare che aveva partecipato alla campagna in Manciuria e poi, esercitando la sua professione a Nagasaki, si era visto piombare addosso il regalo finale degli americani. Enola Gay non era un omosex, come il nome sembrerebbe suggerire, ma solo il nome della madre del pilota del bombardiere partito da una base nelle Filippine. Le bombe, Fat Boy e Little Boy (il grassone e il piccolo, i piloti militari hanno sempre voglia di scherzare), erano state portate dall'incrociatore Indianapolis in segreto. Così segreto che, quando un sommergibile nipponico lo silurò sulla via del ritorno, nessuno soccorse i naufraghi in preda agli squali. Alla fine, il comandante venne processato e, dato in pasto alla stampa (come si era permesso di salvarsi?), si suicidò per la vergogna. Takashi, prima shintoista, poi positivista e infine convertito al cattolicesimo, nell'esplosione perse la moglie e restò con due bambini piccoli. Poi toccò a lui: leucemia da radiazioni che si diagnosticò da solo. I libri sono una sorta di testamento spirituale lasciato ai figli e al mondo, sempre tentato, questo, dalle armi da «soluzione finale» e da quelle che dovrebbero «mettere fine alle guerre». Il Giappone ha il triste primato di essere l'unico Paese che si sia visto arrivare sulla testa una bomba atomica, anzi due, una a Hiroshima il 6 agosto e l'altra a Nagasaki il 9. In fondo, morirono meno persone che a Tokio, dove un bombardamento «convenzionale» al fosforo incenerì nelle loro case di legno e carta 300.000 civili. Ma dopo settantacinque anni resta la domanda: perché due obiettivi civili e perché due? A noi cattolici interessa anche il fatto che qualcuno doveva pur sapere che a Nagasaki stavano quasi tutti i cristiani giapponesi. Ah, quasi dimenticavo: erano papisti. E fu la seconda volta, nella storia, che la cristianità giapponese venne azzerata completamente. La prima, nel 1638, quando una grande ribellione di samurai cristiani venne spazzata via dal più poderoso esercito che il Giappone shogunale avesse mai schierato. Chiedevano solo la stessa libertà religiosa accordata ai buddisti e ai pagani. Ci vollero due navi per portare via le teste mozzate (per il conteggio e i relativi premi). Il Giappone vietò il cristianesimo, e solo quello, per due secoli, quando gli americani, sempre loro, lo convinsero con le cattive a riaprirsi ai commerci. Ancora esiste, nella cattedrale di Nagasaki, il bassorilievo che commemora l'episodio con cui, di nascosto (pena la morte), alcune donne kakure kirishitan («cristiani nascosti») si rivelarono al missionario francese Bernard Petitjean. Con una fedeltà commovente, i cattolici giapponesi avevano conservato e tramandato la fede per duecento anni, senza preti e senza niente, essendo vietate anche le immagini. Non solo: sapevano che il cristianesimo era spaccato in due e fecero l'esame di cattolicità al missionario: sei celibe? ami la Madonna? obbedisci al papa? E il cattolicesimo nipponico - un cattolicesimo, ahimè, di martiri - cominciò a rifiorire dalla fine dell'Ottocento. Fino alla Bomba. All'ora delle commemorazioni annuali un proverbio locale dice che se Hiroshima protesta, Nagasaki prega. Hiroshima, infatti, è più laica, mentre Nagasaki è, storicamente, la città dei cristiani. A noi cattolici interessano due episodi: a Hiroshima la bomba esplose (a mezz'aria, per fare più «effetto») a cinquecento metri dalla casa dei gesuiti. Erano in sei, di ogni nazionalità, e stavano dicendo il Rosario. Illesi. Non solo, morirono tutti di serena vecchiaia molti anni dopo, stupendo i medici che periodicamente li visitavano. La stessa cosa accadde a Nagasaki nel convento dei frati di san Massimiliano Maria Kolbe. Un professore universitario giapponese era in biblioteca quando l'occhio gli cadde su un libro che recava l'immagine della Madonna di Fatima. Tutto si incendiò (era una biblioteca), lui si risvegliò con in mano quell'immagine. Illesi tutti e due. Si convertì.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06/08/2020
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PERCHE' LA CHIESA NON PRENDE UNA POSIZIONE NETTA NEI CONFRONTI DELL'ISLAM?
La Chiesa ha sempre chiamato a raccolta i cristiani per la difesa dall'islam... ma ora non è più possibile perché non c'è più una Cristianità
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 24/08/2020
Qualcuno, come fece Oriana Fallaci, ancora si chiede perché la Chiesa non prenda posizione netta nei confronti dell'islam. Come ha fatto per secoli. Già, perché se non siamo tutti musulmani lo si deve proprio alla Chiesa. Fu grazie alla sua insistenza se nel 1098 partirono le Crociate, quando l'imperatore bizantino, disperato, chiese aiuto ai fratelli cristiani d'Occidente; fu il papa Urbano II a sbottare, a Clermont, nei confronti della litigiosa nobiltà feudale: signori, se proprio avete voglia di menare le mani, perché non andate a farlo in difesa dei fratelli d'Oriente? Il papa, in quell'occasione, snocciolò le atrocità commesse sui pellegrini cristiani. E fu ascoltato. Fu un altro papa, san Pio V, a metterci i denari e la tessitura diplomatica necessaria quando si trattò di organizzare la spedizione di Lepanto nel 1571. Un secolo prima, la liberazione di Belgrado fu dovuta ancora alla Chiesa, che tassò tutto il clero per radunare un esercito cristiano. E fu un suo uomo, il francescano san Giovanni da Capestrano, a galvanizzare la raccogliticcia armata e a permettere a Janos Hunyadi la vittoria. Quel giorno lo si festeggia ancora, è il 6 agosto, festa della Trasfigurazione (istituita per simboleggiare la gioia che "trasfigurò" il volto dell'Europa), ed è da allora che le campane di tutta la cristianità suonano a mezzogiorno. Nel 1683 fu ancora un papa a liberare Vienna dall'assedio maomettano (Vienna, nel cuore dell'Europa), svenandosi finanziariamente (l'imperatore austriaco, Leopoldo, non aveva uno scellino). E ancora un francescano, il beato Marco d'Aviano. Questo, mentre la Francia di Luigi XIV trescava col turco (non era una novità: nel secolo precedente il francese Francesco I lo aveva già fatto contro l'imperatore Carlo V). Ai francescani è affidata la Custodia della Terrasanta perché il loro è stato il tributo di sangue più alto nel rapporto con l'islam. I primi cinque ammazzati (i cosiddetti Protomartiri francescani) stavano appunto predicando in Marocco. Fu vedendo i loro cadaveri che l'agostiniano portoghese Fernando de Bulhões decise di farsi francescano col nome di Antonio di Padova (sì, proprio lui), e solo la malaria lo indusse a rinunciare alla missione nell'Africa musulmana. Lo stesso Francesco d'Assisi provò tre volte a recarsi personalmente in terra islamica. La terza come cappellano della Quinta Crociata. Qui sfidò il sultano Malik al Kamil all'ordalia del fuoco, per vedere chi aveva ragione tra Cristo e Maometto (ma i mullah prudentemente rifiutarono). Il padre del "dialogo" cristiano-musulmano è ancora un francescano, il b. Raimondo Lullo (Ramón Llull), spagnolo. Ex militare, nel XIII secolo fondò una scuola in cui i francescani studiavano l'arabo e il Corano, appunto per cercare un contatto tra i due mondi. Ma, dopo una vita passata ad analizzare l'islam e gli islamici (Lullo è considerato uno dei maggiori eruditi di tutti i tempi), concluse che con quelli non c'era modo di ragionare e girò per i concili predicando la crociata definitiva, per la quale auspicava la fusione di tutti gli ordini monastico-militari. Morì in Africa, lapidato indovinate da chi. Potremmo andare avanti con gli esempi storici per un libro intero, ma non c'è lo spazio. La Chiesa, domatrice di popoli, è riuscita ad ammansire gli unni e i vikinghi, i magiari e persino i vandali. Ma non ha mai, dico mai, concluso granché con gli islamici. Infatti, dal secolo VII la condizione permanente, a parte intervalli più o meno lunghi, è il conflitto. Lo dice la storia, non noi. Tornando alla domanda iniziale, come mai oggi la Chiesa cerca disperatamente il dialogo, pur sapendo che è un dialogo, sì, ma tra sordi? Perché non c'è più una cristianità. Anzi, non c'è più un Occidente. Le uova di drago seminate dagli -ismi (cominciando dall'Illuminismo e finendo col Comunismo) hanno lasciato l'ex Occidente in braghe di tela, e i papi da oltre due secoli sanno bene che nessuno muoverà un dito per soccorrere quei poveri disgraziati che confessano Cristo (di nascosto, naturalmente) nei luoghi dove i musulmani comandano. Ogni parola "sbagliata" del papa può costare la pelle a migliaia di cristiani, e nessuno nell'ex Occidente farà una piega. Sarà già tanto se qualche giornale ne parlerà in un trafiletto in una pagina interna. Dunque, la Chiesa deve trattare con i guanti ayatollah e imam, mullah e muftì, sperando nella loro benevolenza. Purtroppo la sorte ha voluto che su quasi tutto il petrolio mondiale stessero seduti proprio i seguaci del Profeta, ai quali farebbero un baffo eventuali sanzioni economiche. Da qui il "dialogo".
DOSSIER "LE GLORIOSE CROCIATE" Tutto quello che ci hanno insegnato è falso Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 24/08/2020
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TAIWAN E LA BATTAGLIA PER LA LIBERTA' CONTRO LA CINA COMUNISTA
Oggi al potere in Italia abbiamo la sinistra, la cui simpatia cinese preoccupa chi ama la libertà (del resto la storia insegna... che la storia non insegna nulla)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 27/08/2020
Formosa (nome dato dagli spagnoli) è un'isola meglio nota col nome autoctono di Taiwan. I più anziani tra noi la ricorderanno soprattutto per quel «Made in Taiwan» scritto sul retro di giocattoli o di altri oggetti in plastica importati. Fu la primissima di quelle «tigri asiatiche» che dagli anni Sessanta conobbero uno sviluppo economico e finanziario travolgente, oggi surclassato dalla Cina. Già, la Cina, cui Taiwan è troppo vicina. Taiwan, venticinque milioni di abitanti, nel 1948 accolse i nazionalisti di Chang Kaishek che, dopo una lunga guerra contro il Giappone, avevano dovuto soccombere ai comunisti di Mao Zedong. Chang Kaishek fu tra i promotori della fondazione delle Nazioni Unite e alleato di ferro, col Giappone, degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda. Dotata di un sistema politico democratico e presidenziale, Taiwan fu grande esportatrice soprattutto di componentistica e in gara col Giappone riguardo ai tumultuosi ritmi di crescita. Ma con gli anni Settanta la Cina rossa si affacciò alla ribalta mondiale, dopo il lunghissimo e immane massacro interno dovuto alla politica del «Grande Timoniere». I «libretti rossi» coi pensierini di Mao invasero l'Occidente e sedussero parecchi giovani. Il maoismo degli eskimo e degli opuscoli tradotti in italiano nell'Albania rossa fece non pochi proseliti e, addirittura, la Cina divenne di moda, anche al cinema. Così, la Cina venne accolta nell'Onu e, per giunta, ebbe un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza. Gli occidentali speravano che la sua presenza bilanciasse quella dell'Unione Sovietica, con la quale non era in buoni rapporti, ma in pratica si ottenne solo di paralizzare l'Onu nelle circostanze cruciali. Per giunta, si dovette dare alla Cina il contentino di escludere Taiwan dall'Onu, mossa vergognosa e vigliacca che ancora pesa sulla coscienza onusiana. La Cina comunista pretendeva (e pretende) che Taiwan facesse parte del suo territorio, così come pretendeva (e ottenne) la restituzione di Hong Kong da parte degli inglesi. Per fortuna gli americani erano, sì, disposti a far trattare Taiwan come un'appestata in sede internazionale, ma non a rinunciare ad essa in caso di invasione cinese. Così, i cinesi rimasero a mordere il freno per anni, in attesa del momento buono. Che arrivò con la politica mista (e schizofrenica) del «comunismo di mercato». Tutto l'Occidente fu invaso da prodotti cinesi, tutti volevano assicurarsi quell'immenso mercato, tutti si affannavano per offrire alla Cina su un piatto d'argento tutto quel che voleva. Anche la Santa Sede, per evitare ai cattolici cinesi guai peggiori, dovette dirsi disponibile a rinunciare alle relazioni con Taiwan. Prontamente, nel 2005 la Cina si dotò di una legge che le consentiva di invadere Taiwan in qualunque momento, per «difendere l'integrità dello stato». Nel 1989, dopo la sanguinosa repressione studentesca di Tien-An-Men, la Ue aveva decretato un embargo sulla fornitura di armi alla Cina, embargo ribadito a maggior ragione dopo le minacce di invasione a Taiwan. Il viaggio dell'allora presidente italiano Ciampi e dell'allora ministro degli esteri Fini a Pechino fu caratterizzato dalla mancata visita alla cattedrale cattolica nella capitale cinese e da dichiarazioni favorevoli alla revoca dell'embargo sulle armi. Almeno, però, su Taiwan i due stettero zitti. Non così Prodi nel 2006. Infatti, si espresse pubblicamente per una sola Cina. Oggi al comando italiano abbiamo i soliti dem (ennesimo nuovo nome dei comunisti) e i pentastellati, la cui simpatia «cinese» preoccupa gli Usa. Eh, la storia insegna che la storia non insegna nulla. Infatti, questa con la Cina si chiama sindrome di Monaco. Per ora la parte di Churchill tocca a Trump, ma anche Biden, nella sua nomination alla Convention democratica, sul tema non si è allargato più di tanto. Infatti, il deep state americano è per la tenzone, chiunque vinca le elezioni. Noi cattolici non abbiamo motivo per amarlo, questo deep state. Ma ricordiamo che furono le cannoniere americane a interrompere la persecuzione dei cristiani giapponesi.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 27/08/2020
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L'ETERNO FASCINO DI DON CAMILLO IN UN FUMETTO-FILM
Un volume a fumetti che ripropone il primo film e contiene anche inedite foto di scena, stralci della sceneggiatura originale di Guareschi e la storia segreta della pellicola
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 02/12/2019
Il 5 maggio ricorre la morte di Napoleone, e la data ci è rimasta impressa (a noi di una certa età, almeno) per via della poesia-cordoglio di Manzoni, che un tempo era obbligatorio mandare a mente a scuola. Il venerabile Felice Prinetti, ex ufficiale piemontese veterano delle guerre d'indipendenza, poi sacerdote lanteriano e fondatore di una congregazione di suore, al nipotino che gli chiedeva cos'avesse di speciale il 5 maggio rispose, ironico, che in quel giorno morivano i grandi uomini. Ebbene, anche lui morì un 5 maggio (1916). Naturalmente, è sicuro che nulla di tutto ciò sapevano gli amministratori comunali di Milano che il 5 maggio 2019 inaugurarono il Parco Guareschi. Sorge nel quartiere Vigentino, in via Chopin ed è dedicato al papà di Don Camillo. Cosa buona e giusta, perché Giovannino Guareschi era molto legato a Milano, città in cui visse per un periodo vicino a piazza Erba. Non sono molti gli scrittori italiani noti nel mondo: Dante, Collodi, Gramsci (sì, proprio lui: è tra i cinque italiani più letti al mondo). Ma il più tradotto, dopo Pinocchio, è il suo Don Camillo. Ora la milanese ReNoir edita un grande volume cartonato a fumetti che ripropone il celeberrimo primo film della serie (Don Camillo. Il film a fumetti, pp. 240, €. 29,90) e contiene anche inedite foto di scena del film, stralci della sceneggiatura originale di Giovannino Guareschi e «la storia segreta della lavorazione della pellicola». Infatti, nella prima idea doveva essere lo stesso Guareschi a recitare nella parte del sindaco Peppone (che dall'autore aveva mutuato i baffoni). Per giunta, Guareschi aveva ben altra idea della faccia di Don Camillo (e il fumettista ne tiene conto), faccia che invece fu quella di Fernandel. Non fu certo la prima volta che un autore dovette piegarsi alle esigenze della produzione cinematografica e all'intreccio di equilibri che emerge quando si deve fare i conti con contratti già firmati, registi che lavorano meglio con certi attori piuttosto che con altri, produttori (che poi sono quelli che ci mettono i soldi, dunque il loro parere pesa eccome) che seguono loro disegni e mire. Anche il commissario Montalbano nei romanzi di Andrea Camilleri aveva un aspetto ben diverso da quello di Luca Zingaretti (infatti, la statua che gli è stata dedicata a Porto Empedocle ha i capelli). Ma poi tutto si accomoda e le cose vanno come devono andare. Tuttavia, nel caso di Guareschi fu proprio l'autore ad avere torto, perché Fernandel riuscì a caratterizzare talmente Don Camillo da superare in espressività anche il ritratto originale. Infatti, dopo la sua morte si provò a riportare sugli schermi la coppia Don Camillo-Peppone ma con scarsissimo esito. Fernandel aveva dalla sua anche il fatto di essere personalmente un buon cattolico, così come Guareschi. E quel film, con i due seguiti, continua implacabile a venire programmato tutti gli anni, specialmente sotto Natale, in tutti i canali televisivi. Per un paragone, solo La vita è meravigliosa di Frank Capra ha la stessa longevità-eternità. Film in bianco&nero, datatissimi, che però hanno l'incredibile capacità di tenere la gente incollata allo schermo su una storia già vista decine di volte. Guareschi ha creato un personaggio immortale che, pur muovendosi in un «mondo piccolo» e italianissimo, ha travalicato i confini nazionali e fatto vibrare le corde del cuore di ogni persona a qualsiasi latitudine. La riprova? Se cercate su internet troverete la foto, d'epoca, di un cinema thailandese (thailandese!) con la gente fuori a fare la (lunghissima) fila per vedere Don Camillo.
Nota di BastaBugie: per approfondire i film di Don Camillo e per leggere le schede dei migliori film, visita il sito FilmGarantiti.it: clicca qui!
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 02/12/2019
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STORIA DI COME VENNE DISTRUTTO IL LIBANO CRISTIANO
Fino al 1975 il Paese dei Cedri era una Svizzera mediorientale e rifugio dei cristiani nella regione, ma poi fu occupato dalla Siria...
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10/08/2020
Conobbi Jocelyne Khoueiry (pasionaria cristiana del Libano, morta pochi giorni fa) a cena, una tavolata nei dintorni di un lontano Meeting di Rimini. Parlava francese e lamentava la sorte del suo Paese praticamente occupato dalla Siria. Mi colpì il fatto che, per descrivere i rozzi siriani a paragone dei raffinati libanesi, usava praticamente le stesse barzellette messe in giro dai nostri lottacontinui ai danni dei carabinieri: vanno sempre in due perché uno sa leggere e l'altro scrivere, la scritta sull'auto che serve a far loro sapere da quale parte devono entrare, eccetera. Ma per le nuove generazioni è bene fare un po' di storia. Il termine «libanizzazione» fu usato al tempo della guerra civil-religiosa in Libano: durò una quindicina d'anni a partire dal 1975 e fece oltre centomila morti. Indicava un'ospitalità pericolosa, da nido del cuculo. Il Libano era un tempo definito la Svizzera del Medioriente, terra di casinò e di bancarottieri in fuga, un'oasi di benessere e di dolce vita in un deserto di sottosviluppo. Diciassette diverse comunità religiose convivevano tranquillamente sotto la bandiera col cedro fino al giorno in cui il Paese offrì asilo a seicentomila profughi palestinesi. I quali non tardarono a venire egemonizzati dall'Olp di Arafat, che trasformò il campo profughi di Tall-Zaatar in una fortezza armata fino ai denti (dove, tra l'altro, si addestravano anche appartenenti alle Brigate Rosse). In breve, quei palestinesi costituirono uno stato nello stato, soggetto a leggi proprie e obbediente a strategie eterodirette. Si pensi che a un certo punto l'Olp potè contare su una cassa finanziaria che era il triplo dell'intero bilancio dello Stato libanese. La domenica 13 aprile 1975 fu dato fuoco alle polveri: a Beirut si svolse una sfilata di palestinesi in armi e a volto coperto per festeggiare la strage effettuata nel villaggio israeliano di Kiryat-Chmoneh l'anno prima; da un auto in corsa partirono dei colpi contro i cristiani che entravano nella chiesa del quartiere di Sabra alla messa principale. Quattro morti. Due ore dopo, la risposta: venne attaccato un autobus pieno di fedayn armati del Fronte di Liberazione Arabo, milizia finanziata dall'Irak. E fu la guerra. Da una parte i guerriglieri dell'Olp, sostenuti dalla maggior parte dei musulmani e dai comunisti locali con le loro milizie; dall'altra, i cristiani, presto organizzatisi nelle Forze Libanesi unificate e inquadrate da Bashir Gemayel. Ma era l'inizio della fine dell'ultimo rifugio dei cristiani in Medioriente. Naturalmente, l'opinione pubblica occidentale, plagiata da quelli che allora dominavano le piazze e la scena culturale, tifava per i fedayn, che passavano per «sinistra» (mentre gli altri erano «destra») e non c'era sessantottino senza kefiah al collo. Neanche un anno dopo, la Siria invadeva il Libano col pretesto di «pacificare» tutti: Al Fatah, fedayn, Alp (Armata per la Liberazione della Palestina), Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), drusi di Kamal Jumblatt (poi sostituito dal figlio Walid, vicepresidente dell'Internazionale Socialista) eccetera. Ci furono le solite proteste internazionali cui mise fine la Lega Araba che, autorizzata da americani e sovietici, impose in loco la sua Forza Araba di Dissuasione. Che però era composta, guarda un po', da soldati siriani. Due anni dopo, a situazione internazionale mutata, i siriani ripresero tranquillamente l'invasione, addirittura bombardando il settore cristiano di Beirut. Ma, poiché i cristiani resistevano egregiamente, la guerriglia passò agli attentati mirati per decapitarne la dirigenza. Fu così che nel 1980 ci lasciò la pelle la figlia di Gemayel, Maya, un anno e mezzo d'età. Nel 1982 erano gli israeliani a intervenire militarmente, e vittoriosamente, con l'operazione «Pace in Galilea». Ciò permetteva al parlamento libanese di eleggere quasi all'unanimità presidente il giovane Bashir Gemayel, che raccoglieva voti anche da sciiti, sunniti e drusi. La sua presidenza durò ventitré giorni in tutto: il 14 settembre 1982 il cristiano maronita Gemayel saltava in aria con la sua auto. Il resto della storia è ancora più triste: il Consiglio di Sicurezza dell'Onu impose il cessate il fuoco ma la forza multinazionale di pace scappò letteralmente via dopo i primi morti. Anche gli israeliani se ne andarono e da allora, in una guerra che finì col diventare di tutti contro tutti, la vera padrona del Libano fu la Siria. Oggi tocca alla Siria, ma chi conosce la storia la commisera un po' meno.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10/08/2020
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LA STORIA ROMANZATA DELL'IMPERO D'ASBURGO
Un libro imperdibile dove incontriamo Marco D'Aviano nella battaglia di Vienna che fermò definitivamente i turchi, si ricorda il tradimento della Francia, la divisione dell'Europa voluta dai protestanti, ecc.
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 16/07/2020
Cominciata nella preistoria, la saga degli Adler e la formazione dell'Austria continua col secondo volume de Il prato alto. La tempesta. Dal 1246 al 1683, di Emilio e M. A. Biagini (Solfanelli, pp. 343, €. 19). Le vicende della famiglia Adler si intrecciano strettamente con la storia e (per ora) terminano con la liberazione di Vienna dai turchi l'11 settembre 1683. L'8 il beato Marco d'Aviano aveva detto messa servito dal re polacco Jan Sobieski in persona. Poi il sermone: «aveva parlato in tono del tutto normale, non declamatorio, neppure a voce particolarmente alta, eppure tutti lo avevano sentito perfettamente. Nell'intero l'esercito cristiano multinazionale, formato da polacchi, austriaci, tedeschi, croati, magiari, italiani, e perfino francesi, ognuno aveva sentito l'omelia nella propria lingua». Appena compresero il miracolo, tutti si inginocchiarono commossi: «In quell'istante tutti seppero che avrebbero vinto». Gli ussari alati (il rumore della vibrazione delle loro «ali» terrorizzava i nemici) caricarono al grido di Jezus Maryjo ratujce (Gesù Maria salvateci). Prima di darsi alla fuga i turchi sgozzarono tutte le donne cristiane prigioniere e destinate agli harem. Con differente stile, quando, subito dopo, i cristiani conquistarono l'ungherese Gran, «alla popolazione musulmana della città venne consentito di ritirarsi in pace verso Buda, ancora in mano turca». Invece, la banda di calvinisti ungheresi alleati dei turchi e comandati da Imre Thököli, principe di Transilvania, devastò il santuario austriaco dedicato alla Madonna di Loreto. Alla statua fecero il "processo", la condannarono e decapitarono. Prima di soccorrere Vienna il Sobieski aveva dovuto smascherare i deputati del Sejm, il parlamento polacco, comprati da Luigi XIV perché votassero contro la spedizione. Infatti, Francia remava contro: aveva offerto Tolone come porto ai barbareschi, "osservatori" francesi davano una mano ai turchi, all'ora della Guerra dei Trent'Anni, che spopolò l'Europa, la Francia aiutava i protestanti in funzione antiasburgica; già Francesco I, sconfitto e prigioniero a Madrid di Carlo V, aveva scritto al Sultano per farsi liberare. Commentano gli autori: «Grazie a te, Richelieu, e a Lutero, del quale idealmente hai continuato l'opera. Grazie a voi due e grazie al demonio che così bene avete servito, è nata la "nuova" Europa, l'Europa divisa, l'Europa "moderna", l'Europa dei nazionalismi e delle ideologie, l'Europa della statolatria, l'Europa nemica delle proprie radici cristiane, schiava del denaro e della speculazione». Il vantaggio di quest'opera di storia romanzata sta nel punto di vista: chi legge, per esempio, un manuale di storia sulla Guerra dei Trent'Anni non sa chi sono i buoni e i cattivi, non sa per chi deve parteggiare. I Biagini, invece, sono chiari e, di questi tempi, un «centro di gravità permanente» non ce l'ha nemmeno Battiato, infatti se ne duole. E gli autori ci informano anche nel dettaglio: «Il padre gesuita Friedrich Spee von Langenfeld, di Kaiserwerth, presso Düsseldorf, nel suo trattato giuridico d'avanguardia, Cautio criminalis, pubblicato nel 1631, di gran lunga più avanzato del Beccaria, aveva chiaramente affermato che la stregoneria è uno sciocco peccato di superstizione, rientrante nella competenza del confessore ordinario, e nient'altro». E «che la tortura era perfettamente inutile, perché un soggetto debole ma innocente avrebbe confessato qualunque cosa». Cose che la Chiesa sapeva fin dal trecentesco Manuale per inquisitori del catalano Nicholas Eymeric. Il tono dei Biagini è lievemente umoristico e, quando serve, canzonatorio, anche se non mancano riflessioni profonde: «Ogni volta che erranti o viziosi diventano troppo forti, l'errore e il vizio cambiano nome, adottano denominazioni ossequiose e accattivanti, e non è prudente pronunciare in pubblico il vecchio nome tanto più aderente alla realtà. Chissà perché, prima che arrivasse la "modernità", il suicidio era inesistente o quasi. Forse quando l'uomo volta le spalle a Dio e confida solo in se stesso, in lui si rompe qualcosa, e lo rende fragile di fronte alle avversità?». Buona lettura e vi assicuro che non smetterete di leggere.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 16/07/2020
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CINA, IL PAESE SCONOSCIUTO IN CUI SI ADORA LO STATO
Sappiamo poco della Cina, anche se qualcosa che il regime cerca di nascondere trapela dei dissidenti (ma troppo pochi si ribellano perché nell'ateismo pratico cinese si adora il potere politico)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 21/08/2020
Il vaccino di Putin? Coro internazionale di «no». Quello cinese? Meglio, anche se non si sa ancora perché e anche se i rapporti dell'Oms con la Cina all'inizio della pandemia non erano granché chiari. Il meglio di tutti, vedrete, sarà quello di Bill Gates, a cui l'Italia ha dato soldi. Intanto, vediamo via tivù i gioiosi assembramenti nelle piscine di Wuhan, dove nessuno sa nuotare, visto che hanno tutti il salvagente a ciambella ai fianchi. Ma che cosa sappiamo, davvero, di quel pianeta? Qualcosa che il regime cerca di nascondere, sì, trapela e si sa delle repressioni contro i dissidenti di Hong Kong, contro i cattolici fedeli a Roma, contro i seguaci del Falun Gong; si sa del sistema schiavistico dei «laogai», l'arcipelago di campi di concentramento in cui i detenuti lavorano gratis e sostengono l'export a costo zero che invade il mondo di prodotti a prezzo stracciato. Ma quasi nessuno sa come funziona davvero il singolare «comunismo di mercato» cinese. Per esempio, è vero che oggi la Cina produce qualche miliardario e che almeno duecento milioni di cinesi hanno un potere d'acquisto pari a quello occidentale; meno noto è che tutti gli altri (cioè, l'altro miliardo e rotti) vivono nella miseria più nera. Se in metropoli come Shanghai il salario medio si aggira all'incirca sui duecento euro mensili, nelle campagne circostanti di euro se ne guadagnano solo ventotto. Per giunta, anche nelle città decine di milioni di emigranti (che lasciano le campagne per fame) lavorano senza misure di sicurezza e senza orario per una trentina di euro al mese. Solo il dieci per cento dei lavoratori può vantare un regolare contratto con paga continua. Infatti, pare che molti datori di lavoro falsifichino le ricevute e non paghino i salari con il pretesto di saldarli semestralmente (cosa che poi non sempre avviene). Coloro che, non avendo ricevuto la paga, non possono tornare ai loro villaggi a festeggiare il capodanno cinese, spesso si suicidano per la vergogna. Qualcuno cerca di farsi giustizia da sé ma una efficientissima polizia interviene e la magistratura non va per il sottile nell'infliggere, com'è noto, la pena di morte (con la spesa del proiettile -usato per il colpo alla nuca - a carico dei familiari del condannato). Scoppiano ogni anno decine di migliaia di tumulti in tutto il Paese, corredati da scontri con la polizia. Operai, contadini, pensionati e perfino ex militari si sono visti spogliati di ogni cosa a beneficio di segretari di partito e dirigenti di industrie o banche. Ma lo si viene a sapere solo quando è in atto una «guerra alla corruzione», cioè un rimescolamento di carte all'interno del potere. Anche l'istruzione, fiore all'occhiello del «grande balzo in avanti» maoista, langue: i figli dei contadini che non possono permettersi le tasse scolastiche mollano la scuola dell'obbligo. Sul versante religioso si sa come stanno le cose. Tuttavia, il regime ha da qualche tempo deciso di incoraggiare il solo confucianesimo, perché predica il sacrificio per il bene comune e la sottomissione ai governanti. Però neanche i cinesi sono scemi e quando vedono i pezzi grossi del partito, pur condannati per corruzione, godersi lussuosi arresti domiciliari mentre il popolo bue finisce alla forca, si arrabbiano. Il fatto è che il regime tiene la guardia sempre alta nei confronti di coloro che potrebbero capeggiare le proteste: dissidenti, giornalisti, avvocati, attivisti dei diritti umani, leader religiosi. Periodicamente, non pochi esponenti di queste categorie conoscono il carcere e la «rieducazione». Purtroppo non sono molti. Il fatto è che per millenni i cinesi sono stati abituati a pensare i «diritti» come qualcosa di graziosamente concesso dall'imperatore. Sopra il quale non c'era altro. Infatti, l'ideogramma che lo rappresenta ha una linea orizzontale in cima: il cielo. Cioè, sopra l'imperatore non c'era nulla, l'imperatore era l'unico dio. Da qui il pratico ateismo dei cinesi e l'abitudine alla sottomissione allo Stato. Forse l'Occidente potrà davvero fare qualcosa per la Cina (e per se stesso) se, come un tempo in Africa, si farà precedere dai missionari.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 21/08/2020
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OMELIA XXIII DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 18,15-20)
Se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello
Fonte Il settimanale di Padre Pio
Il tema centrale delle letture di questa domenica è la carità fraterna. San Paolo, nella seconda lettura, dice chiaramente: «Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell'amore vicendevole; perché chi ama l'altro ha adempiuto la Legge» (Rm 13,8). Egli insegna che i Comandamenti di Dio, come non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare, e qualsiasi altro comandamento, «si ricapitola in questa parola: amerai il tuo prossimo come te stesso» (Rm 13,9). Da ciò si capisce che ogni peccato, ogni trasgressione ai Comandamenti di Dio, è una mancanza di carità. Questo vale anche per i Comandamenti della purezza, ovvero il sesto e nono, in quanto, se si ama veramente il prossimo, si desidera vivamente il suo bene spirituale e lo si rispetta anche nel più piccolo pensiero. Per questo motivo, sant'Agostino affermava: «Ama e fa' quello che vuoi», nel senso che per chi ama veramente Dio e il prossimo diventa una esigenza osservare i Comandamenti di Dio, per lui non potrebbe essere diversamente; al contrario, quando prevale l'egoismo, allora la nostra volontà si oppone a quella di Dio e noi desideriamo ciò che Dio proibisce. San Paolo conclude questa breve lettura affermando che «pienezza della Legge infatti è la carità» (Rm 13,10). Quando si parla di carità si parla sempre di una comunione di persone. Dio stesso è una Comunione di Persone: il Padre ama il Figlio, il Figlio ama il Padre, e l'Amore reciproco tra il Padre e il Figlio è lo Spirito Santo. Il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio, e, insieme, le tre divine Persone sono l'unico vero Dio. Le creature umane, create a sua immagine e somiglianza, devono riflettere questa Comunione divina d'amore. Per tale motivo, la prima cosa che Dio chiede alle sue creature è l'amore reciproco. Gesù, nel brano del Vangelo di oggi, afferma con autorità: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Dove regna la carità, la vita in comune si trasforma in un Paradiso anticipato, e Gesù rimane tra di noi; ma, dove trionfa l'egoismo, l'esistenza umana preannuncia l'eterna perdizione. Faremo rimanere Gesù in mezzo a noi se ci ameremo scambievolmente come Lui ci ha amati e se ognuno di noi cercherà non tanto di stare bene, ma di far stare bene il prossimo. Le letture di oggi ci indicano alcune forme di carità fraterna, ai giorni d'oggi poco praticate. La prima è quella della "correzione fraterna", la seconda riguarda la "preghiera". La correzione fraterna è forse la carità più difficile da praticare. Nella prima lettura, Dio diceva al profeta Ezechiele che se egli non avesse richiamato il peccatore, questi sarebbe morto nei suoi peccati, ma il profeta avrebbe dovuto rendere conto della sua morte; se invece egli lo avesse messo in guardia, egli non sarebbe stato responsabile della sua perdizione. Così, nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù dice che guadagneremo un fratello se riusciremo a convertirlo dalla sua condotta perversa (cf Mt 18,15). Queste parole devono farci riflettere seriamente. Quante volte noi, per non avere fastidi, non diciamo niente ai nostri fratelli che sbagliano e vivono lontani da Dio! Tuttavia, questo silenzio è pieno di responsabilità. Dobbiamo parlare, e la nostra parola sarà accolta solo se sarà unita all'umiltà e alla carità. Diversamente le nostre parole allontaneranno ancora di più le anime da Dio. Dove le parole non arrivano, giunge la preghiera. Ecco la seconda forma di carità indicataci dal Vangelo di oggi. L'efficacia della preghiera, e soprattutto della preghiera in comune, è messa in luce da queste parole di Gesù: «In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà» (Mt 18,19). Raccontava un sacerdote, che poi divenne vescovo di Praga e cardinale, mons. Giuseppe Beran, che quando egli doveva richiamare qualche fratello che sbagliava, lo faceva con parole umili e piene di carità. Lo richiamava alcune volte; poi, quando si accorgeva che le sue parole cadevano nel vuoto, egli non diceva più nulla e si limitava a pregare e ad offrire sacrifici. Gli effetti desiderati non si facevano di molto attendere: alla fine egli riusciva sempre ad ottenere la sospirata conversione. Imitiamo anche noi un esempio così bello e ci accorgeremo che la preghiera da sola otterrà molto di più di tutte le più belle parole.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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