IL PRIMO PRESEPE FU OPERA DI SAN FRANCESCO
San Francesco d'Assisi rievocò la Natività in una grotta di Greccio, mentre il primo presepe con le statue fu commissionato al famoso architetto e scultore Arnolfo di Cambio (nato a Colle di Val d'Elsa) per la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma
Autore: Liana Marabini - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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LA BELLEZZA DEI CANTI TRADIZIONALI DI NATALE
I canti natalizi, alle orecchie di chi sa coglierne lo spirito, fanno rivivere la gioia dell'evento accaduto nella stalla di Betlemme
Autore: Pasqualina Nives Gnerre - Fonte: I Tre Sentieri
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I SIGNIFICATI DI OGNI STATUINA DEL PRESEPE
L'acqua è figura di salvezza, il pozzo simboleggia Gesù, il castello di Erode è segno di superbia e poi ci sono la grotta, il pastore, le pecore, il falegname, la lavandaia, la mangiatoia, ecc.
Autore: Fabio Piemonte - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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QUANDO I COMUNISTI SOVIETICI ABOLIRONO IL NATALE
Nel 1929, il Partito comunista abolì totalmente le festività natalizie e, con esse, l'albero di Natale (accusato d'essere strumento con cui la Chiesa adescava i più piccoli, perché la religiosità dei bambini inizia appunto con l'albero di Natale)
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Sito del Timone
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AMERICAN SNIPER, IL FILM DI CLINT EASTWOOD SULLA VERA STORIA DEL CECCHINO PIU' LETALE D'AMERICA
Il mondo si divide in pecore, lupi e cani da pastore: a questi ultimi spetta il difficile compito di proteggere le pecore dai soprusi dei lupi cattivi (VIDEO: trailer del film)
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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I DISASTRI DELLA GESTIONE DELLA PANDEMIA
In Italia si fanno meno figli, non si hanno i soldi per le medicine e aumentano i casi di ansia e depressione
Autore: Raffaella Frullone - Fonte: Sito del Timone
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SAI DIRE DI PRECISO COSA SIA L'ERESIA?
Un eretico formale è escluso dalla Chiesa Cattolica e quindi se muore senza essersi pentito va all'inferno
Fonte: Radio Roma Libera
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OMELIA DELLA NOTTE E DEL GIORNO DI NATALE
Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Un Natale vero?
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OMELIA DELLA SACRA FAMIGLIA - ANNO C (Lc 2,41-52)
Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?
Fonte: Il Settimanale di Padre Pio
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IL PRIMO PRESEPE FU OPERA DI SAN FRANCESCO
San Francesco d'Assisi rievocò la Natività in una grotta di Greccio, mentre il primo presepe con le statue fu commissionato al famoso architetto e scultore Arnolfo di Cambio (nato a Colle di Val d'Elsa) per la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma
Autore: Liana Marabini - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 20-12-2021
Siamo alle soglie del Natale e l'omaggio più sentito alla Natività è il presepe. Tradizionalmente i presepi erano animati. Hanno un "inventore", San Francesco d'Assisi, nientemeno. Era rientrato dalla Terra Santa nel 1220 con ancora nel cuore le immagini del luogo di nascita di Gesù: Betlemme. Vi pensava spesso, perso nei ricordi di quelle emozioni così uniche che aveva sentito camminando sui Suoi passi. E un giorno, durante le sue peregrinazioni nei villaggi, ebbe la sorpresa di scoprire un luogo così simile a Betleeme: era il borgo di Greccio, un piccolo villaggio inerpicato sulla montagna a 750 metri d'altezza, alle pendici del Monte Lacerone (attualmente nella provincia di Rieti, ai confini con l'Umbria). Un luogo incantato, attorniato da boschi ricchi di felci e querce, le cui origini affondano le radici nel mito. Francesco vi identificò perfino una grotta, simile a quella della Terra Santa. Quindi decise di rievocare la Natività lì. La leggenda vuole che Greccio venne fondata da una colonia greca, esiliata dalla propria patria. Il luogo venne scelto per il proprio splendore, così come per la posizione geografica in termini strategici. I 750 metri d'altezza sul livello del mare infatti rappresentavano un'ottima difesa naturale. Il nome d'origine fu Grecia, si racconta, per poi divenire Grece, Grecce e infine Greccio. E lì, il "poverello di Assisi", dopo aver ottenuto l'autorizzazione da papa Onorio III, pensò di far rivivere la nascita di Gesù.
IL PRIMO PRESEPE DELLA STORIA FU OPERA DI SAN FRANCESCO Nella rappresentazione preparata da San Francesco, al contrario di quelle successive, non erano presenti la Vergine Maria, San Giuseppe e Gesù Bambino; nella grotta fu celebrata la Messa con un altare portatile posto sopra una mangiatoia presso la quale erano i due animali ricordati dalla tradizione, ossia l'asino e il bue. Dobbiamo la prima descrizione del presepe vivente allestito da San Francesco a Tommaso da Celano (1190-1265), frate francescano, scrittore e poeta, nonché autore di due Vitae di san Francesco. Nella prima Vita ci dà una descrizione più dettagliata della notte in cui fu allestito il primo presepio a Greccio, racconto che è poi ripreso da Bonaventura da Bagnoregio nella Leggenda maggiore. "I frati si radunano, la popolazione accorre; il bosco risuona di voci, e quella venerabile notte diventa splendente di luci, solenne e sonora di laudi armoniose. L'uomo di Dio [Francesco] stava davanti alla mangiatoia, pieno di pietà, bagnato di lacrime, traboccante di gioia, Il rito solenne della messa viene celebrato sopra alla mangiatoia e Francesco canta il Santo Vangelo. Poi predica al popolo che lo circonda e parla della nascita del re povero che egli [...] chiama 'il bimbo di Betlemme'. Un cavaliere virtuoso e sincero, che aveva lasciato la milizia e si era legato di grande familiarità all'uomo di Dio, messer Giovanni di Greccio, affermò di avere veduto, dentro la mangiatoia, un bellissimo bimbo addormentato che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno". (Bonaventura, Legenda maior, XX.) La descrizione di Bonaventura è la fonte che ha usato Giotto per comporre l'affresco Presepe di Greccio, nella Basilica superiore di Assisi. La visione apparsa all'"uomo virtuoso", messer Giovanni, fu un primo miracolo legato al presepe vivente di Greccio. Il secondo avvenimento straordinario è rappresentato dai miracoli avvenuti per mezzo del fieno che la sera di Natale è stato posto sulla mangiatoia. Nella regione circostante molti animali colpiti da diverse malattie furono liberati dopo aver mangiato questo fieno e donne che soffrivano per un parto lungo e doloroso mettendosi addosso il fieno partorirono felicemente. Anche uomini e donne accorsi nel luogo della rievocazione, sofferenti di diversi mali, guarirono quella notte. Sicuramente vale la pena visitare Greccio e capirne il fascino, che ha tanto ispirato San Francesco, creatore del primo presepe animato.
IL PRIMO PRESEPE CON LE STATUE FU OPERA DI ARNOLFO DI CAMBIO Invece, il primo presepe inanimato della storia fu commissionato da Papa Niccolò IV nel 1288 al geniale scultore toscano Arnolfo di Cambio, perfezionatosi alla Bottega di Nicola Pisano. Arnolfo di Cambio, noto anche come Arnolfo di Lapo (Colle di Val d'Elsa, 1245 circa - Firenze, 8 marzo tra il 1302 e il 1310 circa), è stato uno scultore, architetto e urbanista italiano attivo in particolare a Roma e a Firenze alla fine del Duecento e ai primi del secolo successivo. Nel suo presepe vi sono rappresentati i tre Re Magi che adorano il Bambin Gesù assieme a San Giuseppe. La statua di Maria, che porta in braccio il bambino, è in realtà una statua del XVI secolo sebbene a seguito di un recente restauro, è stato possibile ipotizzare che l'opera sia la statua originale parzialmente riscolpita nel Cinquecento. È inoltre interessante il fatto che Arnolfo rifinì nei minimi dettagli solo le parti visibili allo spettatore; le parti più nascoste sono invece solo abbozzate. Arnolfo realizzò probabilmente la prima rappresentazione plastica del Presepe, scolpendo nel 1291 otto statuette che rappresentano i personaggi della Natività ed i Magi; le sculture superstiti del primo presepe della storia, inizialmente inserite in una cappella dedicata alla Natività nella navata destra della Basilica di Santa Maria Maggiore, sono oggi collocate nella cripta della Cappella Sistina dal nome di papa Sisto V, sempre nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Niccolò IV, al secolo Girolamo Masci (Lisciano, 30 settembre 1227 - Roma, 4 aprile 1292) fu uno dei protagonisti della cultura medioevale. Al suo nome infatti si associano le Università degli Studi di Montpellier, di Gray, di Ascoli e di Macerata, ma anche l'avvio dell'erezione del Duomo di Orvieto e gli interventi di restauro delle basiliche di San Giovanni in Laterano e di Santa Maria Maggiore nel quadro di un progetto volto ad adeguare la liturgia e l'iconografia mariana occidentale a quella d'Oriente, nella indomita speranza della riunificazione delle due Chiese. A lui va inoltre ricondotta nel 1289 la rifondazione della città di Cagli che si ritiene sia stata realizzata su disegno di Arnolfo di Cambio. Al suo pontificato è legata, secondo vari studiosi (quali Bellosi, Brandi, Nicholson), la committenza a Cimabue e pittori romani della decorazione della Basilica superiore di San Francesco ad Assisi, testimonianza del favore goduto da quel luogo presso di lui. Il primo papa francescano commissionò nel 1292 il primo presepe in marmo sempre ad Arnolfo di Cambio per la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma e all'orafo Guccio di Mannaia lo splendido calice in oro, argento dorato e smalti traslucidi, vero capolavoro dell'oreficeria italiana, quale omaggio alla basilica assisiate. Per Niccolò IV lavorarono artisti quali Arnolfo di Cambio, Pietro Cavallini e Iacopo Torriti. Da quel momento l'usanza dei presepi inanimai si diffuse in tutto il mondo cristiano. Per tradizione, il presepe si mantiene fino al giorno dell'Epifania, quando si mettono le statuine dei Re Magi di fronte alla Sacra Famiglia, o anche sino al giorno della Candelora, sia in Italia che in altri Paesi.
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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 20-12-2021
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LA BELLEZZA DEI CANTI TRADIZIONALI DI NATALE
I canti natalizi, alle orecchie di chi sa coglierne lo spirito, fanno rivivere la gioia dell'evento accaduto nella stalla di Betlemme
Autore: Pasqualina Nives Gnerre - Fonte: I Tre Sentieri, 19 dicembre 2021
Il Cattolicesimo è una religione unica nel mondo. Essa afferma il primato dello spirito sul corpo, ma non disconosce la dignità della materia, come fanno invece molte religioni orientali. È l'unica religione che giunge addirittura a "consacrare" la materia e quindi ad elevarla ad una dignità inconcepibile perfino per il mondo pagano. Il corpo è considerato un segno e diventa un' "espressione", un "simbolo" dello spirito, qualcosa che per sua natura lega il mondo ideale con il mondo materiale (d'altronde lo stesso termine "simbolo" derivava dal verbo greco che significa "legare"). Non è un caso che il Cattolicesimo sia la religione dell'Incarnazione. Con la Rivelazione, il segno è necessario per la salvezza: Dio ha voluto che giungessimo a lui tramite il Corpo e il Sangue di Cristo, non unicamente tramite una speculazione logica, che pure ha una necessità propedeutica.
UNA SAPIENZA PROFONDA Per questo motivo tante tradizioni natalizie, di cui oggi non si comprende bene lo spirito, celano in realtà una sapienza maggiore di tante teologie contemporanee che cercano di "comprendere" in maniera intellettualistica (e non intelligente) il Mistero. È il segno, è il rito, è la tradizione ciò che mantiene vivo il Mistero e permette davvero all'uomo di immergersi in esso, di coglierlo con tutto il proprio essere, anche con la mente, senza avere, però, la pretesa gnostica di esaurirlo. D'altronde l'atto più grande di Gesù Cristo non fu il predicare (che pure fu necessario in quanto Gesù è Maestro), ma il donarsi in un vero e proprio atto d'amore sacrificale, che Egli volle perpetuare nella Santa Messa. Negare il segno significa negare la propria dimensione carnale e così anche la propria condizione di creatura, con i suoi limiti. Gli stessi limiti, che, se accettati, spalancano l'orizzonte del divino: non c'è maggior slancio mistico che sentirsi piccoli di fronte a Dio! Anche dei segni così semplici come i canti natalizi possono diventare, alle orecchie di chi sa coglierne lo spirito che si cela in essi, dei veri e propri "echi" del vagito che nella stalla di Betlemme ha rinnovato il mondo. Tra i numerosi articoli dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton, ce n'è uno proprio sui canti di Natale, che vale la pena leggere e di cui noi vi offriamo una riduzione.
I CANTI DI NATALE SECONDO CHESTERTON "È proprio nei vecchi canti tradizionali di Natale che si ritrova non solo ciò che rende il Natale poetico, rassicurante e grandioso, ma, innanzi e soprattutto, ciò che lo rende emozionante. L'aspetto emozionante del Natale risiede in un paradosso antico e comunemente accettato: che si possano ritrovare il nocciolo e la potenza dell'intero universo in cose apparentemente di poco conto, che gli astri possano muoversi lungo la loro traiettoria proprio come una ruota alla rimessa abbandonata di un'osteria. È straordinario quanto questa percezione del paradosso della mangiatoia fu completamente smarrita da teologi brillanti e ingegnosi, e conservata, invece, nei canti di Natale. Per lo meno, questi ultimi mai dimenticano il cuore dell'intera faccenda che bisogna raccontare: che c'è stato un momento, cioè, in cui l'Assoluto ha retto l'universo da una stalla per animali. Una moda miope e volgare porta a disprezzare i canti tradizionali di Natale e a scoraggiarne l'esecuzione. Le stesse persone che chiacchierano allegramente in mezzo a tutti i rumori infernali della metropolitana, o che sopportano lo sferragliare di migliaia di veicoli su una strada sassosa, dicono di detestare il suono dei canti di Natale. Far finta che qualcosa ti piaccia forse è peccato, ma far finta che qualcosa non ti piaccia si avvicina molto a un peccato contro lo Spirito Santo. È ancora lecito tuttavia sperare che qualcuno, in questo periodo, senta quei canti: essi rappresentano gli ultimi echi di quel vagito che ha rinnovato il mondo". In queste parole c'è una verità straordinaria che oggi più che mai è necessario ricordare: la più grande teologia vive nel cuore delle tradizioni, nel cuore di quella pietas cristiana che le nostre nonne non hanno mai perso e che è l'unica cosa capace di dare all'uomo moderno il palpito del vivere, ossia un'accettazione serena del Mistero nel tempo, senza perdersi e aggrovigliarsi nei meandri che la modernità, con le sue ansie e le sue paure, offre all'uomo come unica soluzione del proprio esistere. Lo stupore che si cela in un rito, in una tradizione, in un canto è davvero un'incantevole eco della Bellezza a cui tutti noi aneliamo.
Nota di BastaBugie: per sapere come nacque il canto Tu scendi dalle stelle, clicca nel seguente link.
STORIA DEL CELEBERRIMO ''TU SCENDI DALLE STELLE'', SENZA IL QUALE IL NATALE NON E' NATALE Il più famoso canto natalizio fu scritto in napoletano nel 1754 dal vescovo sant'Alfonso Maria de' Liguori con il titolo ''Quanno nascette Ninno'' (VIDEO: Tu scendi dalle stelle e Quanno nascette Ninno) di Antonio Tarallo https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6419
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Fonte: I Tre Sentieri, 19 dicembre 2021
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I SIGNIFICATI DI OGNI STATUINA DEL PRESEPE
L'acqua è figura di salvezza, il pozzo simboleggia Gesù, il castello di Erode è segno di superbia e poi ci sono la grotta, il pastore, le pecore, il falegname, la lavandaia, la mangiatoia, ecc.
Autore: Fabio Piemonte - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17-12-2021
«La grotta, la caverna, 'porte' d'accesso nel cuore della terra, da sempre sono simbolo dell'utero materno, in un rinvio significativo tra la fecondità della terra e la fecondità umana. La grotta, nel presepe, indica la più grande fecondità che la nostra terra abbia mai avuto: Gesù Cristo». Prende le mosse dall'importanza di custodire tale ambientazione Il vero presepe. Tutte le statuine raccontate una per una (Il Timone 2021, pp. 132) di Luisella Scrosati e con le illustrazioni di Marina Lonati Colombo. Nel volume viene esplicitata la ragione storica, spirituale e teologica sottesa alla presenza di ogni personaggio, elemento naturale e artefatto che popola il presepe, dall'acqua al fuoco, dai diversi animali alle figure degli attori e spettatori del Natale del Signore, allo scopo di apprendere l'arte presepiale attraverso l'unico sguardo possibile, quello di chi riconosce che Dio si è fatto Bambino. Di qui, se l'acqua è figura della salvezza cui attingere e della sorgente che sgorga da sotto la soglia del Tempio, secondo la visione di Ezechiele (cf. Ez 47,1-12), allora «porre un ruscello nel presepe, meglio se sgorga dalla 'roccia' della grotta, è un gesto semplice, che vale però tutta una professione di fede e indirizza il nostro desiderio verso quella Sorgente che sola è in grado di dare vita». Allo stesso modo il fuoco posto vicino al Bambinello richiama il roveto che arde senza consumarsi, così come «la natura divina (il fuoco) arde nella natura umana, senza però distruggerla»; è il fuoco della Misericordia divina che purifica e scongiura il fuoco divoratore dell'Inferno. C'è poi un pozzo, «un canale di comunicazione tra le viscere della terra e il cielo, una realtà che congiunge il basso e l'alto e unisce tre elementi della creazione: l'acqua, la terra, l'aria», presso il quale nella Bibbia si stringono amicizie e si sugellano fidanzamenti e matrimoni. Dunque «il pozzo indica innanzitutto Gesù stesso, che nella natura umana e divina unifica e collega in Sé Cielo, terra e inferi: disceso dal Cielo, venuto sulla terra, sprofondato negli inferi e di nuovo asceso alla destra del Padre». Allo stesso modo il ponticello allude a Cristo quale 'pontefice' tra Dio e gli uomini.
IL CASTELLO DI ERODE, LE PECORELLE, IL FALEGNAME E LA LAVANDAIA Segno invece di potere e prepotenza è il castello di Erode che però «non è in grado di sconvolgere l'armonia del presepe», in quanto «il male ha sempre la pretesa di fare e brigare, perturbare e distruggere; eppure non riesce in nessun modo a stravolgere i piani di Dio». Relativamente agli animali che non possono mancare nel presepe, le pecorelle sono il segno degli uomini vicini e lontani che il Buon Pastore desidera radunare in un unico gregge. La capra come l'agnello alludono al sacrificio di Cristo; il cane rimanda ai sacerdoti e a quanti hanno il compito di custodire il gregge dei fedeli dai predatori; il gallo preannuncia con il suo canto lo spuntare della Luce vera; la chioccia coi suoi pulcini «manifesta la premura materna di Dio, la sua disponibilità a dare la vita per i suoi figli». Per quanto concerne i mestieri rappresentati, «il falegname intento a spaccare un ceppo, il panettiere che sforna una pagnotta fragrante, il ciambellaio che mostra a tutti le sue delizie, il maniscalco che ferra il suo cavallo, la massaia che porta in grembo un cesto di uova o la lavandaia che pulisce con la lisciva gli indumenti formano come un coro di fatica e realizzazione intorno al Dio fatto uomo. È da Lui che essi traggono forza e maestria; è per Lui che si affaccendano; ed è ancora da Lui che il loro lavoro viene benedetto». Infatti, come osserva ancora in proposito acutamente la Scrosati, «ogni colpo d'accetta o di martello, ogni panno lavato, ogni pane sfornato proclamano la benevolenza di Dio verso le sue creature e riconoscono in Lui, nella sua gloria, il fine di ogni cosa». Nel presepe c'è spazio ancora per Meraviglia, il pastore che nel Bambino di Betlemme contempla il mistero del Dio fatto uomo al quale offre in dono nient'altro che sé stesso; per Benino, il pastore che è figura dei grandi 'sognatori' biblici, il quale accoglie nel sonno la rivelazione divina, «abbandonando la dimensione della vigilanza, del calcolo, del ragionamento logico e della previsione». Ma nel presepe si ritrovano anche figure potenzialmente ingannevoli, quali l'oste che, attraverso «la promessa di una falsa consolazione ed una ingannevole felicità», rischia di far perdere la strada a chi sta andando ad adorare il Bambino. Allo stesso modo agisce la prostituta, simbolo di tutto ciò che seduce il cuore dell'uomo fino all'idolatria, allontanandolo dall'amore per Dio.
LA MANGIATOIA, LA CORONA D'AVVENTO E L'ALBERO DI NATALE La mangiatoia nella quale è adagiato il piccolo Gesù a Betlemme ("città del pane" in ebraico e "città della carne" in arabo) aiuta a far memoria del fatto che «il pane non diventa tale se prima i chicchi di grano non vengono frantumati, impastati e cotti nel forno. C'è dunque un processo di morte che dà la vita. Il Bambino nella mangiatoia di Betlemme richiama così l'offerta sacrificale della propria carne». Il bue e l'asinello alludono rispettivamente ai giudei e ai pagani, ossia all'universalismo della salvezza per tutti i popoli, laddove gli angeli rimandano alla riconciliazione operata da Cristo che rende nuovamente gli uomini concittadini degli spiriti celesti. E nella grotta, rigorosamente a mezzanotte durante la vigilia di Natale, viene adagiato il Bambino tra Maria e Giuseppe, in un silenzio che rievoca quello della notte dei primogeniti d'Egitto. Nell'evento che divide la storia umana in prima e dopo la nascita di Cristo, il segno di contraddizione che si fa carne invita ciascuno a decidere se «riconoscere e amare Dio in questo Bambino per la vita, o ignorarlo e rifiutarlo per la morte». Il volume della Scrosati riporta infine le benedizioni dell'Epifania e si sofferma anche sul significato spirituale profondo della corona d'Avvento e dell'albero di Natale, la cui tradizione affonda le radici nell'opera di evangelizzazione di san Bonifacio. Nel 724 l'apostolo della Germania riesce infatti a soppiantare il culto pagano, sostituendo «all'idolatria della superba grandezza della quercia l'umile maestà del giovane abete» e ai sacrifici umani offerte di amore e di bontà significate dalle candele poste sui suoi rami dal capo del villaggio di Geismar. Così «il nostro albero è pieno di luci, frutti e decorazioni perché ha riconosciuto la venuta del Re che è anche il Signore della vita».
Nota di BastaBugie: il libro di cui si parla nell'articolo si intitola "Il vero presepe. Tutte le statuine raccontate una per una" scritto da Luisella Scrosati con le illustrazioni di Marina Lonati Colombo (pag. 132, prezzo € 24.00). Per ordinarlo clicca qui!
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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17-12-2021
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QUANDO I COMUNISTI SOVIETICI ABOLIRONO IL NATALE
Nel 1929, il Partito comunista abolì totalmente le festività natalizie e, con esse, l'albero di Natale (accusato d'essere strumento con cui la Chiesa adescava i più piccoli, perché la religiosità dei bambini inizia appunto con l'albero di Natale)
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Sito del Timone, 21 dicembre 2021
La polemica di alcuni giorni fa sulle linee guida della comunicazione «inclusiva» dell'Unione europea - poi ritirate - che sconsigliavano l'uso di nomi e festività cristiane, ha portato alcuni a gridare al falso allarme. L'Europa, hanno infatti voluto precisare alcuni fact-checker, ossia i «cacciatori di bufale» sempre pronti a mettere i punti sulle i, non ha mai inteso «abolire il Natale». Ed è vero. Ciò però non toglie come quelle linee guida fossero imbarazzanti, tanto che poi sono state revocate, e non toglie neppure come l'abolizione del Natale non sia affatto uno scenario impossibile. Per un motivo semplice: nella storia, è già stata decretata. Neppure i più zelanti «cacciatori di bufale», categoria che spesso orbita nell'area politica progressista, potranno difatti negare il precedente - clamoroso eppure non molto conosciuto - dell'Unione Sovietica. In breve, accadde questo.
L'ABOLIZIONE DEL NATALE Nell'aprile 1929, il Partito comunista - che aveva già preso a chiudere le chiese e a perseguitare i religiosi - fece un pesante passo avanti abolendo in toto il periodo delle festività natalizie e, con esso, l'albero, «usanza dei preti» accusato d'essere strumento con cui la Chiesa adescava i più piccoli, perché, si pensava allora, «la religiosità dei bambini inizia con l'albero di Natale», perciò occorreva evitare che si intossicassero col «veleno religioso». Qualche anno dopo, nel 1935, in Unione Sovietica si decise di introdurre poi una festa sostitutiva, quella del Capodanno. Sì procedette in tal senso sulla scorta di quanto apertamente suggerito sulle colonne della Pravda, l'organo ufficiale del Partito, dall'influente uomo politico Pavel Postyshev (1887-1939), il quale proponeva di restituire ai bambini sovietici «l'atmosfera di fiaba e magia» da alcuni anni rimossa. Le festività di fine dicembre furono insomma ripristinate. Ad una condizione, però: nessun riferimento, neppure remoto, alla religione. In effetti, già nel 1929 i sovietici furono a dir poco inflessibili nel loro intento di sradicare il Natale di Cristo dal loro immenso territorio. Basti qui ricordare che, nell'inverno di quell'anno, pattuglie di volontari si misero all'opera perlustrando palmo a palmo le città così come i villaggi. L'ordine era chiaro: garantire l'abolizione del Natale, osservando - con un'obbedienza al regime degna della penna di George Orwell - fin dentro le finestre delle case, al fine di assicurare compiuta esecuzione al decreto governativo. Ecco che allora il Natale si fece evento clandestino e, con esso, l'albero.
VIETATO L'ALBERO DI NATALE Significativa, in proposito, la prima pagina della rivista L'ateo alla macchina da lavoro uscita nel 1931. Vi era ritratto un uomo che fissava un abete sui cui rami si trovava un cartello molto esplicito: «Divieto di tagliare l'albero di Natale». Ciò nonostante, come si diceva, l'usanza dell'albero tornò nel 1935. Ci fu però chi ritenne che la pur laicissima operazione presentasse dei rischi. Così ecco che apparvero sull'albero soldati, atleti, pionieri, esploratori e piloti. Per non lasciare nulla al caso, pure l'antica stella Cometa venne sostituita dalla stella rossa a cinque punte. La messa al bando delle festività natalizie, insomma, continuò all'insegna del massimo rigore. Ciò però, come sappiamo, non ha impedito all'Urss, dopo decenni di feroci persecuzioni anticristiane, di crollare. E di crollare, tra l'altro, in tempi e modo tutt'altro che casuali. La fine dell'impero sovietico fu infatti stabilita l'8 dicembre 1991, festa dell'Immacolata Concezione, mentre la firma delle carte e la bandiera rossa ammainata dalla piazza rossa datano il 25 dicembre 1991. Precisamente il giorno di Natale. Fu Dio stesso, insomma, a voler metter la firma sulla fine dell'ateismo di Stato e della feroce utopia irreligiosa. Pur immobile nella sua mangiatoia, Gesù Bambino ha così battuto, in un solo colpo, Marx, Lenin e Stalin. Ma di tutta questa incredibile vicenda storica, chissà come mai, ancora oggi si fatica a parlare.
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Fonte: Sito del Timone, 21 dicembre 2021
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AMERICAN SNIPER, IL FILM DI CLINT EASTWOOD SULLA VERA STORIA DEL CECCHINO PIU' LETALE D'AMERICA
Il mondo si divide in pecore, lupi e cani da pastore: a questi ultimi spetta il difficile compito di proteggere le pecore dai soprusi dei lupi cattivi (VIDEO: trailer del film)
Fonte La Nuova Bussola Quotidiana, 23 gennaio 2015
Un soldato con il dito posato sul grilletto osserva da un mirino una donna e un bambino uscire dalla porta di una casa di una qualsiasi cittadina irachena. La donna tiene nascosta sotto il velo una granata, la tira fuori la passa al bambino e lo spinge a scagliarsi contro soldati americani. Inizia così American Sniper, l'ultimo film del regista americano Clint Eastwood. Pochi secondi ma di grande impatto visivo che aprono già a una grande domanda: si può andare in guerra, diventare in assoluto il più celebre cecchino della storia americana senza farsi scalfire minimante dagli orrori della guerra stessa e dal rimorso per le azioni compiute? Qualche secondo di esitazione prima che un flashback ci riporti indietro con il tempo per raccontarci la storia di Chris Kyle bambino, figlio, torero e marito che si trasforma nel più efferato cecchino di tutti i tempi. Un talento naturale la cui personalità e carattere vengono plasmati fin da bambino da un padre dai chiari principi morali. Il mondo, spiega papà Kyle, si divide in pecore, lupi e cani da pastore. A questi ultimi spetta il difficile compito di proteggere le pecore dai soprusi, spesso immotivati, dei lupi cattivi.
NÉ PECORE NÉ LUPI L'insegnamento è chiaro e semplice così com'è chiaro che il Signor Kyle, nella sua casa, non vuole allevare né pecore né lupi. La visione paterna accompagnerà Chris nel corso della sua intera vita e il giovane, in seguito agli attacchi terroristici alle ambasciate statunitensi di Kenya e Tanzania, si arruola nei Navy Seals. Il duro addestramento non scalfisce minimamente l'uomo mosso dal senso del dovere e dalla convinzione di assolvere a un ruolo più grande. E nemmeno l'inaspettato incontro con una donna che diventerà moglie e madre dei suoi due bambini lo dissuade dal partire. Rigore, acume, attenzione al dettaglio sono caratteristiche che non passano inosservate e Kyle viene spedito in Iraq per vegliare dall'alto sulle vite di quei soldati che si muovono tra le polverose e desolate strade delle città di Ramadi, Fallujah e Sadr City alla ricerca del pericoloso Al Zarqawi, del suo luogotenente, un uomo conosciuto come Macellaio e noto a tutti per la crudele mania di torturare i cittadini con un trapano, e dell'altrettanto talentuoso cecchino Mustafa. Una delle principali critiche mosse a Clint Eastwood per American Sniper è quella di aver girato un film guerrafondaio, in cui il netto contrasto tra il Bene e il Male risulta un po' troppo scontato e schematico. Quasi che l'intenzione di Eastwood fosse solo quella di presentare al mondo un film propagandistico per legittimare le scelte degli americani, condannare chiaramente quelle del nemico e far simpatizzare il pubblico con lo sniper più noto d'America, attraverso la semplicistica contrapposizione di giusto e sbagliato. In realtà, dietro American Sniper c'è molto più che il riduttivo resoconto di una guerra le cui ferite sono anche fresche e vive. American Sniper è la storia di un uomo divenuto presto eroe, un soldato ammirato in patria e temuto dai nemici tanto da guadagnarsi sia l'appellativo di Leggenda, attribuitogli dagli altri soldati, che quello di "Diavolo di Ramadi", affibbiatoli dai terroristi. Appostato sempre su un tetto diverso, Kyle è al tempo stesso angelo custode e sterminatore efferato e tutte le volte è messo di fronte alla difficile decisione del premere o meno il grilletto. Una decisione che è chiaramente condizionata dal contesto in cui si trova ad agire e dal ruolo incarnato.
UNA REALTÀ VIOLENTA Eastwood, con una regia pulita e una narrazione fluida, non si nasconde dietro gli specchi e mostra allo spettatore la guerra per quella che è, una realtà violenta, dove il male è fine a se stesso tanto da non crearsi scrupolo neanche quando deve farsi scudo di donne e bambini per far esplodere una granata. Dall'altro lato, però, il regista non esita né teme nel presentare allo spettatore i dubbi e le perplessità di un uomo sulla cui testa pende una taglia da milioni di dollari e che "di fronte al male come non lo aveva mai visto" deve continuamente decidere della vita degli altri. Sappiamo bene che, alla fine, quel grilletto sarà premuto perché Kyle lotta contro il male anche quando questo assume i contorni delle vittime innocenti. Ma sappiamo anche che la decisione di colpire non è mai semplice né scevra da implicazioni e tormenti morali. Il disagio di Kyle emerge soprattutto a casa, nei periodi di stacco tra un turno e l'altro. Le poche commoventi scene domestiche servono a chiarire quanto l'uomo non riesca a staccarsi neanche mentalmente dall'orrore della guerra e dal suo ruolo di soldato. Perché la sua vita Chris la sente piena solo quando è in guerra, nel confronto con un nemico terribile, solo quando è in prima linea per assolvere a un dovere di cui non riconosce neanche i limiti. Kyle crede in quello che fa e sa bene che la sua decisione di uccidere è controbilanciata - non per questo giustificata - dalla necessità di coprire i suoi compagni. Eppure il peso morale delle sue azioni emerge con chiarezza soprattutto nel finale. Sia nel confronto con un figlio a cui spiega quanto sia difficile "fermare un cuore che batte" sia nel confronto con uno psichiatra a cui confessa di essere pronto ad assumersi la responsabilità di fronte a Dio per le oltre 160 persone uccise. Eastwood, con quella delicatezza e quella sensibilità che non fatica a padroneggiare, racconta molto più che la guerra. Ancora una volta dimostra di sapere fare grande cinema attraverso la storia di un uomo grande, di un eroe sorretto dal sentimento, dal desiderio di contribuire a creare un mondo perfetto e da una fede incrollabile. Basta la semplice immagine della Bibbia a ricordarci continuamente il significato ultimo di quella vita che non si piega mai di fronte al nemico ed è alla continua ricerca di un senso più grande persino in seguito al definitivo rientro in patria. Quella stessa patria che continua a servire con convinzione e che per un beffardo scherzo del destino lo condanna a una fine tragica e assurda.
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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23 gennaio 2015
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I DISASTRI DELLA GESTIONE DELLA PANDEMIA
In Italia si fanno meno figli, non si hanno i soldi per le medicine e aumentano i casi di ansia e depressione
Autore: Raffaella Frullone - Fonte: Sito del Timone, 15 dicembre 2021
La (non) notizia è su tutti i giornali di oggi. Così come da ieri è sulla home page dei siti delle principali testate italiane, l'hanno data le agenzie come i Tg. Vediamo qualche titolo. Repubblica: «Istat, record denatalità: 15mila nascite in meno nel 2020. E già 12.500 nel 2021 - La pandemia accelera una tendenza che va avanti ormai da anni. Il numero medio di figli di donne italiane è stato dell'1,17, è il numero più basso di sempre». Ansa: «Istat: il Covid svuota le culle, 12.500 nuovi nati in meno in Italia nel 2021Mai così pochi figli per donna, scendono a 1,17 bambini a testa». Corriere: «Istat, nascite in calo in Italia: nuovo record negativo. È recessione demografica». In gergo si dice che non c'è la notizia. Perché la notizia ovviamente non è che un cane morda un uomo, casomai che l'uomo morda un cane, e nell'ultimo report dell'Istat non c'è niente di nuovo sotto il sole. L'Italia è un Paese per vecchi e la pandemia - sì quella che doveva "renderci migliori" - non ha fatto che accentuare la tendenza già in atto alla recessione demografica. 405mila nascite a fronte di 740mila decessi. Un saldo tra nati e morti che nel 2020 segna quindi -335 mila italiani, un valore inferiore, scrive il Corriere: «solo a quello record del 1918 (-648 mila), quando l'epidemia di "spagnola" contribuì a determinare quasi la metà degli 1,3 milioni di decessi registrati in quell'anno». Il rapporto evidenzia che «alle conseguenze della pandemia sull'eccesso di mortalità si sono aggiunte le ripercussioni che le misure volte a contenere la diffusione dei contagi hanno prodotto sulla vita delle persone in termini di restrizioni degli spostamenti sul territorio». A questo proposito solo qualche giorno fa la rivista scientifica Lancet stimava un aumento globale di 53 milioni di casi di depressione e di 76 milioni per disturbi d'ansia nel 2020. Un dato che fa il paio a quello redatto dall'Istituto Piepoli redatta per il Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi, secondo cui sono aumentati dell'83% i disturbi legati all'ansia, del 72% i problemi di depressione e del 61% quelli relazionali. Chiaramente un quadro che cancella dall'orizzonte la fiducia, e quello slancio necessario per aprirsi alla vita anche quando tutto intorno sembra scoraggiarlo. Aggiungiamo poi un dato che l'Istat non considera, ma noi sì: sono stati 67.638 gli aborti dell'anno 2020. Quasi settantamila cittadini italiani. Si parla tanto di "salvare il Natale", di "ripartenza" e di "crescita" ma non ce n'è nemmeno l'ombra. La pandemia non ci ha reso migliori. Solo che lo ammettiamo unicamente di fronte ai numeri, in questo caso delle culle vuote. Eppure non c'è natalità da salvare se non si prende atto che è il Natale a salvare noi. Solo uno sguardo rivolto al cielo può spalancare la vita terrena alla speranza e invertire la rotta di un Paese che sembra aver perso fiducia nei suoi figli.
Nota di BastaBugie:Riccardo Cascioli nell'articolo seguente dal titolo "Non ci sono soldi per curarsi: la colpa è dei governi" spiega che nel 2021 c'è un aumento del 37,63% di poveri non in grado di acquistare medicinali di cui hanno bisogno. Non è un effetto della pandemia ma della sua sciagurata gestione. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 21 dicembre 2021: Pochi giorni fa è stato presentato il IX Rapporto sulla povertà sanitaria a cura del Banco Farmaceutico, e ciò che emerge non può certo stupire. Quasi 600mila persone (597.560 per l'esattezza) nel 2021 non sono in grado di acquistare medicinali di cui hanno bisogno, un aumento del 37,63% sull'anno precedente. Un'impennata mostruosa. E non stiamo parlando di chissà quali farmaci, anche uno sciroppo per la tosse - male di stagione - è fuori dalla portata. Peraltro, ci dice ancora il Banco Farmaceutico, «nonostante il forte universalismo del nostro Servizio sanitario Nazionale, il 42,2% della spesa farmaceutica è a carico delle famiglie». Se consideriamo che i poveri hanno mediamente un budget sanitario mensile di 10,25 euro, possiamo immaginare cosa ne possa uscire in termini di farmaci e visite mediche. Ma il problema dal punto di vista sanitario riguarda tutti, poveri e non poveri: il Rapporto ci dice che ben 4 milioni 83mila famiglie (poco meno di 10 milioni di persone) «ha risparmiato sulle cure, limitando il numero di visite e degli accertamenti o facendo ricorso a centri diagnostici e terapeutici più economici». I numeri parlano da soli e per il 2022 possiamo aspettarci anche di peggio visto l'andazzo. C'è però una questione da sottolineare: quando si parla di dati economici negativi, si usa dire «a causa della pandemia», e anche il Banco Farmaceutico lo fa. Ma è una affermazione imprecisa, sarebbe giusto dire «a causa della gestione della pandemia». E già, perché quanto è accaduto e sta accadendo sul piano politico non è l'esito ineluttabile di un grave problema sanitario. Questa è la narrazione romanzata del governo, che poi ci racconta come ha agito bene per minimizzare gli effetti negativi. Invece è l'esito di una strategia sciagurata che ha puntato dall'inizio su un lockdown in stile cinese, applicato in modo drastico a tutti e ovunque senza considerare le diversità da regione a regione e per fasce di popolazione. Si è bloccata l'intera economia del paese, in attesa poi di un vaccino "salvifico" che avrebbe per incanto risolto tutti i problemi. Non contenti, i nostri governanti - da Roma fino all'ultima delle Regioni - presi da furia vaccinista stanno creando ulteriori problemi all'economia e al mondo del lavoro in nome dell'assurda caccia ai non vaccinati. Il risultato di queste scelte è sotto gli occhi di tutti: popolazione in gran parte vaccinata, ma ormai nella prospettiva di un buco ogni 3-5 mesi, con il virus ancora in crescita e la quasi certezza di nuovi, dolorosi, lockdown (e non solo per i non vaccinati). E nel frattempo la popolazione si è impoverita, con la facile previsione che il peggio debba ancora venire. L'avevamo detto fin dall'inizio che sarebbe finita così e che è criminale mettere in contrapposizione salute ed economia e considerare il Covid come fosse l'unica malattia grave da affrontare. Basta solo un po' di buon senso per capirlo, se non ci sono soldi peggiora anche la salute: se non si produce ricchezza non ci saranno neanche fondi per l'assistenza sanitaria; se non si lavora e porta a casa uno stipendio decente, non c'è la possibilità di curarsi per malattie banali, figurarsi se capita qualcosa di serio. Senza considerare che il clima di terrore creato e le scelte di politica sanitaria (vedi ad esempio aver boicottato in ogni modo le cure domiciliari e la medicina del territorio), con gli ospedali diventati cittadelle Covid, hanno provocato gravi conseguenze per la diagnosi e la terapia di altre patologie gravi. Sarebbe interessante se i ricercatori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, che curano il Rapporto sulla povertà sanitaria, facessero un ulteriore passo in avanti e calcolassero anche la mortalità dovuta alla povertà sanitaria o quanto questa incida sulla speranza di vita. Sarebbe un contributo importante per avere un quadro completo delle responsabilità di questa inetta classe politica.
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Fonte: Sito del Timone, 15 dicembre 2021
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SAI DIRE DI PRECISO COSA SIA L'ERESIA?
Un eretico formale è escluso dalla Chiesa Cattolica e quindi se muore senza essersi pentito va all'inferno
Fonte Radio Roma Libera, 5 febbraio 2018
La parola 'eresia' viene dal verbo greco haireisthai che significa 'scegliere' o 'prendere per sé stessi' e consiste nello scegliere o prendere per sé stessi, ciò che si vuole credere, piuttosto che accettare tutto ciò che Dio rivela tramite la Chiesa. Questa scelta si distingue per la sua falsità: è una scelta falsa, un esercizio falso del libero arbitrio, in quanto è una scelta della falsità piuttosto che della verità: ossia della verità che è l'oggetto della Fede. Questa scelta (nel caso di un'Eresia formale, vide infra) si distingue inoltre per la sua superbia, perché è un rifiuto di sottomettersi all'autorità di Dio e della Chiesa e di umiliare l'intelletto davanti alla Fede. Nell'epoca contemporanea l'eresia si insinua nella Chiesa tipicamente in modo implicito: tramite l'Oscurantismo. Questo oscurantismo fa parte del fenomeno che si chiama 'il Modernismo'. Cos'è esattamente l'eresia? Il codice di Diritto Canonico constata: 'Vien detta Eresia l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per Fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa'. Ora, il termine tecnico per la verità di cui si tratta qui è 'dogma'. Il dogma è una verità divinamente rivelata, che viene proposta dal magistero della Chiesa da credere come tale. Ricordiamo che il Concilio Vaticano I dichiara: 'Si deve credere per Fede divina e cattolica tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio, scritta o tramandata, e che dalla Chiesa viene proposto da credere come divinamente rivelata, sia con un giudizio solenne sia nel magistero ordinario e universale'. Questo giudizio solenne può essere dato o dal Papa o da un Concilio ecumenico e costituisce la definizione del dogma. Il magistero ordinario e universale, invece, consiste nell'insegnamento costante della Chiesa, ad esempio nei catechismi promulgati dall'episcopato (prima del fenomeno del Modernismo).
LA NEGAZIONE DI UNA VERITÀ RIVELATA DELLA FEDE Il criterio per sapere se una determinata dottrina appartenga al Magistero ordinario e universale della Chiesa (come alla Tradizione orale in genere,) è che la dottrina sia trasmessa 'ovunque, in ogni tempo, e da tutti', secondo la formula di san Vicenzo Lerino. Bisogna precisare che l'eresia, anche riferita ad una verità sola della Fede, comporta con sé la perdita totale della Fede, perché rigettare o dubitare in modo ostinato di una sola verità, è rigettare l'autorità di Dio su cui si basa la Fede intera. L'Eresia si distingue in eresia formale ed eresia materiale. L'Eresia formale viene definita nel Codice con il termine 'ostinato' ('pertinax' in latino): negazione ostinata, dubbio ostinato. L'eresia materiale, invece, è la negazione o dubbio non ostinato di una verità di Fede. In altre parole un'Eresia formale comprende non solo un errore dell'intelletto, ma anche un atto deliberato della volontà, mentre un'Eresia materiale comprende solo un errore dell'intelletto. Un esempio di un'eresia formale è negare che la santa Messa sia un sacrificio, come ha fatto Martin Lutero; un esempio di eresia materiale è la negazione del primato del Papa da parte di un protestante cresciuto nell'ignoranza, pronto a correggere questo errore se ne fosse adeguatamente istruito. L'eresia è la negazione di una verità rivelata della Fede, di un dogma. Tipicamente la Chiesa condannava l'eresia con l'anathema dichiarando, per esempio: 'Se qualcuno dicesse che i Sacramenti della nuova legge siano più o meno di sette, anathema sit' (Concilio di Trento s.7, can.1). L'infallibilità della Chiesa si estende sia ai dogmi che agli 'anatemi', dichiarando la Fede nel primo caso in modo positivo e nel secondo caso in modo negativo.
L'ERETICO È ESCLUSO DALLA CHIESA CATTOLICA Ora 'Anathema sit' significa 'sia escluso' e dichiara che un eretico formale è escluso dalla Chiesa cattolica: che non appartiene ad essa. Se muore nell'eresia senza esserne pentito, viene condannato all'Inferno. Oggigiorno l'eresia e l'anathema vengono considerate come fantasie crudeli e vuote della Chiesa cattolica o, nelle parole di Dietrich von Hildebrandt in La vigna devastata, come 'fanatismi medioevali'. Il Concilio Vaticano II ha evitato l'anathema e ha proposto di 'usare la medicina della misericordia, invece di imbracciare le armi del rigore' e la Gerarchia e il Clero hanno mantenuto questo atteggiamento negli anni successivi. Bisogna dire a questo punto, però, che quel genere di misericordia non è autentico, bensì costituisce un tipo di amore falso caratteristico del Modernismo e più particolarmente dell'Ecumenismo. Bisogna ricordare che le prime tre opere di misericordia (spirituali) sono: consigliare i dubbiosi; insegnare agli ignoranti; ed ammonire i peccatori; e come scrive Romano Amerio in Iota Unum: 'nella mente della Chiesa la condanna stessa dell'errore è opera di misericordia'. Questo è chiaro, perché la verità, la verità della Fede, è la luce che ci conduce al cielo. Se qualcuno spegne questa luce, non vede più la strada che deve seguire e dunque si perde. E' un'opera di misericordia da parte della Chiesa; anzi un dovere grave dire a questa persona che sta nell'errore e punirla, affinché lei si penta e torni alla vera strada. Questo ammonimento e questa punizione devono essere pubblici, affinché altri ne sappiano la gravità e non vengano anche loro contaminati dallo stesso errore. 'Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo taglialo e gettalo via da te: è meglio per te entrare nella Vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno' (Mt.18,1-20). Questa parola del Signore si applica bene all'esclusione di un eretico dal corpo sano della Chiesa. In breve, chi non ha capito il significato dell'eresia e dell'anatema non ha capito il significato della Fede. 'Bisogna assalire il Cielo con la preghiera', scrive Dietrich von Hildebrandt, '...che la grande parola 'Anathema sit' risuoni di nuovo contro tutti gli eretici e soprattutto contro coloro che formano la quinta colonna della Chiesa', perché le dichiarazioni dell'eresia e dell'anatema sono opere di misericordia e di amore, che mirano al bene eterno dei fedeli: dichiarazioni che separano la luce dalle tenebre, il vero dal falso e ci mostrano la strada stretta che sola conduce al Cielo: che con la Grazia di Dio, l'aiuto della Santissima Madre Sua e con una buona vita, raggiungeremo sicuramente alla Gloria del Suo Santo Nome.
Fonte: Radio Roma Libera, 5 febbraio 2018
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OMELIA DELLA NOTTE E DEL GIORNO DI NATALE
Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Un Natale vero?, settembre 2006 (ed. Studio Dominicano)
1) MESSA DELLA NOTTE (Lc 2,1-14)
"Un bambino è nato per noi" ci ha detto la voce del profeta antico: Isaia. Sulle prime non sembra una grande notizia. Perché allora ci siamo mossi in tanti questa notte per venire a renderci conto di un evento apparentemente così feriale e dimesso ("E' nato un bambino")? Perché siamo venuti a rendere omaggio a una creatura così piccola e indifesa? A una creatura "avvolta in fasce" dalla premura materna (ed è una cosa del tutto normale); a una creatura "deposta in una mangiatoia" (ed è sì una cosa insolita, ma unicamente per lo straordinario squallore). Certo, lo stesso profeta che ci ha dato l'annuncio, ci ha anche chiarito che non si tratta di un neonato comune: "Sulle sue spalle è il segno della sovranità, - ci ha detto - è chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace, e grande sarà il suo dominio". Titoli solenni, ma troppo sovrastanti per poterci davvero emozionare. Come mai allora questa nascita arriva a toccare un po' tutti, anche quelli meno sensibili alle tematiche religiose, anche quelli più resistenti alle sollecitudini e ai pensieri che non riguardino gli impegni e le aspirazioni dell'esistenza terrena? E' innegabile che l'incanto del Natale - sia pure con diversa intensità e in forme eterogenee - raggiunge praticamente qualsivoglia dimora umana, e poco o tanto segna e ispira ogni cuore. Del Natale si accorge ogni uomo, anche il più superficiale e distratto. Di questa universale attenzione ci sono delle ragioni forti e profonde, anche se dai più sono percepite confusamente e quasi come luci tenui e disordinate. Proviamo allora a mettere in chiaro qualcuna di queste ragioni. 1) L'INNOCENTE CHE CI LIBERA DAL PECCATO Chi è questo bambino? E' l'Innocente che ci libera dal peccato: nasce in un'umanità colpevole, ne assume la condizione e la pena, e ne pagherà col suo sangue il riscatto e la liberazione. "Ecco l'Agnello di Dio, - esclamerà un giorno Giovanni il Battezzatore, additandolo alle folle - ecco colui che toglie il peccato del mondo". Càpita all'uomo – quando è beneficato da un sufficiente stato di lucidità interiore - di provare l'amara percezione di essere scivolato in basso senza rimedio e di essere affondato come in una palude melmosa, dalla quale sa di non riuscire a emergere se qualcuno dall'alto non viene a dargli una mano. Ebbene, il Signore Gesù, che è nato a Betlemme, è venuto a darci una mano, è sempre pronto a risollevarci e a farci ripercorrere da capo la strada della giustizia, del vero bene, dell'intera osservanza dei comandamenti di Dio. In una sua omelia, sant'Agostino ha una frase dove risuona la sua esperienza di peccatore raggiunto dalla salvezza (che è poi l'esperienza un po' di tutti): "Saresti morto per l'eternità, - egli dice - se lui non fosse nato nel tempo…Una perpetua miseria ti avrebbe posseduto, se non ti fosse stata elargita questa misericordia…Ti saresti perduto, se lui non fosse arrivato". L'odierna nascita dell'Innocente è dunque un invito a rinnovare la nostra vita in comunione con il Figlio di Dio, divenuto nostro fratello e nostro Salvatore. La gioia del Natale, nella sua più radicale autenticità, è un riverbero nella nostra coscienza della festa che, secondo la parola di Gesù, si fa in cielo per ogni peccatore che si converte. 2) L'IMMORTALE CHE CI LIBERA DALLA MORTE Domandiamoci ancora: "Chi è questo bambino?". È l'Immortale che ci libera dalla morte. Egli viene dal giorno eterno di Dio ed entra in questi nostri giorni "infausti e brevi", sui quali incombe una rapida sera. "Viene dall'alto, come sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nell'ombra della morte", era stato profetizzato di lui da Zaccaria nel benedictus che troviamo nelle lodi mattutine. L'ombra di morte può darsi che talvolta offuschi anche il periodo natalizio che vorrebbe essere sempre lieto e sereno: per esempio, un vuoto recente, che si è aperto nella famiglia o nella cerchia dell'amicizia, può gettare un alone di invincibile tristezza sul nostro animo. In ogni caso, la morte è una certezza per tutti noi. E il Figlio di Maria nasce anche per questo: per dissolvere l'angoscia dell'ombra di morte. "Io sono la risurrezione e la vita; - egli dirà e lo comproverà con la potenza di Dio - chi crede in me anche se muore vivrà, e chiunque vive e crede in me non morrà in eterno". Credere in lui significa appunto uscire dall'ombra di morte; significa vincere con la speranza cristiana ogni ansia e ogni paura; significa consentire che la luce nuova e gioiosa che si è accesa a Betlemme irraggi senza attenuazioni e senza eclissi nei nostri cuori, nelle nostre case, nei nostri rapporti sociali. 3) L'AMORE CHE CI LIBERA DAL NOSTRO NATIVO EGOISMO Domandiamoci una terza volta: "Chi è questo bambino?". E' l'Amore che ci libera dal nostro nativo egoismo. La stalla di Betlemme - come sarà poi in modo esauriente e definitivo l'altura del Calvario - è la rivelazione dell'inimmaginabile amore del Creatore dell'universo "che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi". E' l'inizio di quella lunga storia di affettuosa dedizione che è l'intera avventura terrena dell'Unigenito del Padre, nato dalla Vergine Maria. Ciascuno di noi può ripetere per sé le appassionate parole dell'apostolo Paolo: "Mi ha amato e ha dato se stesso per me". Quel bambino nasce per insegnarci con l'esempio e con la parola che la vita vale a misura che è donata: vale se è donata per ricambiare l'amore che ci ha creati e salvati, vale se è donata per Dio e per il vero bene dei nostri fratelli. Se arriveremo a spendere così la nostra unica vita, saremo nella realtà, e non solo nel sentimento, più vicini alla povera culla dell'Unigenito del Padre, che si è fatto unigenito della Vergine Madre per stare sempre con noi, nel tempo e nell'eternità.
2) MESSA DEL GIORNO (Gv 1,1-18)
Ciò che è avvenuto a Betlemme venti secoli fa può esser qualificato come un'invasione di gioia. Una gioia immensa, una gioia invincibile, per la prima volta è entrata nella storia; in quella storia umana che è più che altro un succedersi ripetitivo di tristezze e di angosce. "Vi annunzio una grande gioia" (Lc 2,10): così nella notte santa l'angelo dà la notizia del Natale agli insonnoliti pastori. Questa gioia, notificata dal cielo, è arrivata fino a noi e contraddistingue e rischiara lietamente questi giorni tra tutti i giorni dell'anno. La ragione più semplice e immediatamente comprensibile della contentezza che (in misura e in forme diverse) oggi raggiunge ogni uomo, è che l'umanità intera almeno confusamente capisce di aver ricevuto un regalo. Un regalo, anche se piccolo, è il segno che qualcuno ci vuole un po' di bene; e sentirsi amati è la cosa più bella e gratificante che ci sia. Ma qui il dono è il più grande e sorprendente che si possa pensare: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16). La pagina altissima del vangelo di Giovanni, che abbiamo ascoltato, ci aiuta a renderci conto dell'immensa ricchezza che abbiamo ricevuto. Quel "Figlio unigenito" - quel "Verbo che era presso Dio ed era Dio" (cfr. Gv 1,1) - ci aiuta a risolvere, almeno sul piano esistenziale, i nostri problemi più difficili. Se ci chiediamo, per esempio: da che parte è venuto l'universo?, il Natale ci risponde sciogliendo l'enigma dell'origine delle cose: "Tutto è stato fatto per mezzo di lui - ci è stato detto - e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste" (Gv 1,3). "Per mezzo di lui", cioè per mezzo di quel bambino povero e indifeso che contempliamo effigiato nei nostri presepi, del quale la parola di Dio, che qui è risonata, ci ha rivelato il nascosto prestigio e la forza trascendente: "Ultimamente, in questi giorni, ci ha parlato per mezzo di un figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo" (Eb 1,2). Ma che cosa rappresenta il bimbo nato a Betlemme per me, per le mie sostanziali aspirazioni di creatura smarrita, che deve affrontare l'arcano inquietante di un pellegrinaggio terreno senza certezze, verso un destino che non mi è noto? Quel bambino è "la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Gv 1,9), ci è stato risposto. Dopo che lui è venuto, non siamo più dei viandanti che camminano al buio: non solo la nostra origine, ma anche la nostra mèta ci è stata chiarita nell'evento del Natale. La nostra mèta è quella di assimilarci al Verbo che si è fatto uomo, ed essere come lui "generati da Dio" (cfr Gv 1,13), cioè possessori, rimanendo creature umane, della vita divina; una vita tanto superiore e preziosa da essere in grado di sottrarci alla tirannia della morte e di porci al riparo dagli insulti del male: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16). "Chiunque crede in lui". La strada per realizzare in noi la realtà del Natale è quella, come si vede, di accogliere la venuta del Signore Gesù con una fede autentica e piena, una fede che trasformi la nostra mentalità irredenta e converta sostanzialmente la nostra vita: "A quanti l'hanno accolto - abbiamo sentito - ha dato potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome; i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati" (Gv 1,12-13). "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare il mezzo a noi" (Gv 1,14). Abita in mezzo a noi, è ormai dei nostri, nostro familiare e nostro compagno di viaggio: anche questo fa parte dell'intima motivazione della gioia natalizia. E' il dono di poter evadere della solitudine e vincere il disagio dell'incomunicabilità. Gli uomini vivono oggi addensati e fitti come in nessun'altra epoca. Eppure sono troppo spesso estranei gli uni agli altri, senza il conforto di una sincera comunione di pensieri e di vita. Ma da quando il Figlio di Dio si è fatto uomo e ha preso dimora fra noi, nessun uomo deve più sentirsi abbandonato e solo. Ognuno che crede e accoglie il Natale nella sua piena verità, arriva alla persuasione che lo fa rinascere e gli fa dire: "C'è un Dio che è con me, un Dio che sa che ci sono e non mi dimentica, un Dio che mi ha raggiunto con il suo amore, un Dio che ha assunto volto e cuore di uomo perché anch'io potessi amarlo come lui mi ama". Questa è la bellezza e l'incanto più coinvolgente della festa di luce e di vita che oggi ci raduna. "Ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo" (Lc 2,11): così la voce dell'angelo ha squarciato non solo il silenzio della notte palestinese ma anche la notte oscura che incombe sull'intera vicenda umana. "Di tutto il popolo"; dunque anche nostra. Nell'evangelo" - nella "buona notizia" che è partita da Betlemme - non ci sono privilegi di ricchezza, di classe, di dominio, di fama. Questa gioia ineffabile entri allora in tutte le case, si posi come una divina carezza sul capo dei nostri bimbi, come dolce conforto nelle sofferenze dei malati, come una mite consolazione nelle pene dei tribolati, come una presenza rasserenante nel deserto di chi si sente derelitto e solo, come un'energia di vittoria nella debolezza di chi è tentato, come una certezza per tutti di un esistenza più significante e felice. Questo è l'augurio natalizio più adeguato e più vero.
Fonte: Un Natale vero?, settembre 2006 (ed. Studio Dominicano)
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OMELIA DELLA SACRA FAMIGLIA - ANNO C (Lc 2,41-52)
Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?
Fonte Il Settimanale di Padre Pio
La prima domenica dopo Natale ricorre ogni anno la festa della Santa Famiglia di Nazareth. Una famiglia unica e irripetibile, formata da Giuseppe, Maria e Gesù. Maria e Giuseppe erano veri sposi anche se vissero il loro matrimonio verginalmente, non solo come fratello e sorella, ma come Angeli in Terra, e più ancora. E Gesù è il Figlio di Dio venuto su questa Terra per la nostra salvezza. La Famiglia di Nazareth offriva agli angeli del Paradiso lo spettacolo più bello; essa – come si espressero alcuni Santi – era come la Trinità terrestre. San Giuseppe faceva le veci del Padre, Gesù è lo stesso Figlio di Dio, Maria è il riflesso più puro dello Spirito Santo. San Giuseppe, come la Chiesa da sempre ha insegnato, non è padre naturale di Gesù, ma, come si dice comunemente, il padre putativo, verginale, in quanto Gesù è stato concepito per opera dello Spirito Santo. Tuttavia era indispensabile la presenza di san Giuseppe per fare in modo che il Figlio di Dio entrasse in questo mondo in modo ordinato, ovvero che avesse una famiglia umana dove vivere e crescere. La famiglia è formata dallo sposo, la sposa (uomo e donna) e la prole. Tutto ciò che va contro questo piano di Dio è peccato e perversione. San Giuseppe educò lo stesso Figlio di Dio! Già da questo comprendiamo la grandezza di questo Santo che tante volte dimentichiamo. Dalle sue labbra Gesù apprendeva la Volontà del Padre Celeste; obbedendo a lui, Egli compiva con certezza ciò che Dio Padre chiedeva. Il Figlio di Dio si affidò a san Giuseppe: sul suo esempio mettiamo la nostra vita nelle mani di questo grande Santo. Maria, invece, è Madre naturale di Gesù. Da Lei, il Figlio di Dio ha preso la carne e il sangue, solo da Lei. Per tale motivo ci doveva essere una straordinaria somiglianza tra Gesù e la sua Madre Santissima. La vita di Maria a Nazareth, come pure quella di san Giuseppe, fu una continua adorazione. Essi avevano sempre sotto il loro sguardo Gesù; i loro occhi e i loro cuori non potevano distaccarsi da Lui. La Santa Famiglia di Nazareth ci offre dei grandissimi insegnamenti per la nostra vita cristiana, per la vita delle nostre famiglie. Prima di tutto essa ci insegna a mettere al primo posto la Volontà di Dio. Solo compiendo l'adorabile Volontà del Padre Celeste potremo essere felici, su questa Terra e in Paradiso. Nemmeno il più piccolo peccato nella Santa Famiglia di Nazareth: tutto era santo! Sull'esempio di Gesù, Giuseppe e Maria, impariamo anche noi ad evitare il peccato, pensando che esso è la più grande disgrazia che si possa abbattere sulle nostre famiglie. Insegnava un Santo, ad esempio, che la bestemmia e il non andare a Messa la domenica, allontanano sempre di più la benedizione di Dio sulle nostre famiglie. E poi pensiamo ai peccati contro la vita, alla contraccezione, all'aborto: altro che santa famiglia! Ripuliamo le nostre famiglie da tutte queste macchie che la rendono sempre più opaca. Chiediamo alla Madonna e a san Giuseppe di renderle un riflesso quanto più splendente della loro Santa Famiglia. Un altro insegnamento riguarda la preghiera. Ricordiamolo sempre: una famiglia che prega insieme è una famiglia che rimane insieme, una famiglia benedetta da Dio. Un tempo, alla sera, le famiglie si radunavano attorno al focolare per la recita del Rosario. Oggi, purtroppo, non è più così e i risultati si vedono con evidenza: famiglie distrutte, separazioni e divorzi. Ritorniamo alla preghiera e ritroveremo l'unità famigliare.
Nota di BastaBugie: brevi spunti per l'omelia delle Messe feriali si possono leggere ogni giorno nella rubrica "Schegge di Vangelo" pubblicata sul sito de La Bussola Quotidiana. Ecco il link: http://lanuovabq.it/it/schegge-di-vangelo
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