BastaBugie n�93 del 03 luglio 2009

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1 RICORDATE L'UNIVERSITA' FONDATA DA UN PAPA, CHE RESPINSE BENEDETTO XVI?
Oggi accoglie a braccia aperte un dittatore...
Autore: Giorgio Israel - Fonte: Tempi
2 LA CRISI PROFONDA DELLA CHIESA ATTUALE
I Vescovi che disobbediscono al Papa
Autore: Sandro Magister - Fonte: Corrispondenza Romana
3 QUANDO TUTTO E' PERMESSO...
Ecco in Francia il festival dell’inferno
Fonte: Corrispondenza Romana
4 RIMANE SOLO FAMIGLIA CRISTIANA A PENSARE ALLE DONNE DI BERLUSCONI
L'ha capito anche Avvenire...
Autore: Marina Corradi - Fonte: Avvenire
5 RESPINGERE GLI IMMIGRATI CLANDESTINI?
Giusto! Parola di Piero Fassino e Francesco Rutelli
Autore: Emanuele Boffi - Fonte: Tempi
6 DEMOCRAZIA E FEDE RELIGIOSA
Ecco i motivi per cui in Cina finisci in prigione
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 25 giugno 2009
7 CINQUE MOTIVI PER CUI L'ECONOMIA VERDE E' UN GRANDE IMBROGLIO

Autore: Paolo Togni - Fonte: Svipop
8 L'INDULGENZA PLENARIA IN OCCASIONE DELL'ANNO SACERDOTALE
Dal 19 giugno 2009 al 19 giugno 2010
Autore: James Francis Card. Stafford - Penitenziere Maggiore - Fonte: Penitenzieria Apostolica
9 DOPO MEZZO SECOLO: UN BILANCIO DEL CONCILIO VATICANO II

Fonte: Corrispondenza romana

1 - RICORDATE L'UNIVERSITA' FONDATA DA UN PAPA, CHE RESPINSE BENEDETTO XVI?
Oggi accoglie a braccia aperte un dittatore...
Autore: Giorgio Israel - Fonte: Tempi, 18 giugno 2009

Muammar Gheddafi, leader della Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista, di malefatte alle sue spalle ne ha parecchie. Dicono che si sia ravveduto. Più che altro pare che sia diventato più furbo. Lui proclama di essere ora amico dell’Italia ma, da bravo mercante, tiene continuamente la partita aperta, malgrado la barca di quattrini che ha ottenuto: si presenta da noi con una divisa militare da operetta su cui spicca la foto di un eroe libico anti-italiano, tanto per far capire che basta un minimo sgarro e lui rovescia il tavolo. Difatti ha spiegato che, per tener chiusi i rubinetti dell’immigrazione, bisogna pagare, pagare e pagare. Nel suo felice paese pochi giorni fa è morto, dopo sette anni di prigionia, Fahti Eljahmi, dissidente libico colpevole di aver chiesto la libertà di parola. Gheddafi accetta le scuse italiane per il periodo coloniale ma non si scusa di aver cacciato 35 mila italiani e tutti gli ebrei libici espropriandoli di ogni cosa. Anzi, a dimostrazione che non c’è alcun pentimento, la Libia, in quanto presidente del famigerato Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu, ha promosso l’ignobile conferenza contro il razzismo di quest’anno a Ginevra, detta Durban II perché ha rinnovato i fasti anti-israeliani e antisemiti di quella svoltasi a Durban otto anni fa.
Possiamo capire che le ragioni della politica non sono solo morali e che, nella condizione pietosa dell’Occidente, e dell’Europa in particolare, tocchi fare qualche salamelecco a un individuo che può chiuderci una buona parte dei rubinetti energetici e tenerci sotto il ricatto di una valanga migratoria. Si può capire ma a condizione di turarsi il naso e sperando che l’inchino – consolandosi col fatto che anche Obama ha piegato la schiena – non si trasformi in un prostrarsi sul pavimento. Però è un po’ troppo sentir fare in Senato una predica che equipara Reagan a Bin Laden e sentirsi dire: “Fatevi i fattacci vostri, anche il Senato romano ha eletto Giulio Cesare dittatore”. Ci voleva Andreotti per apprezzare un discorso simile.
Tuttavia, almeno le istituzioni culturali dovrebbero seguire un metro diverso dalla politica. Aver pensato di conferire la laurea honoris causa in giurisprudenza a un simile dottore dovrebbe indurre la facoltà universitaria che l’ha pensato a darsi come insegna una faccia rossa di vergogna. Ma è stato anche umiliante che la stessa lezione, con tanto di giustificazione del terrorismo, sia stata impartita nell’Aula Magna dell’università “La Sapienza”. Viene da chiedersi: dove sono quei 67 docenti che riuscirono a impedire la venuta del Papa affermando che una “carica politica o religiosa” nell’università non ha diritto di parola se non a certe condizioni? Non credo che abbiano taciuto perché pensavano che il leader avesse da proporre alla comunità accademica e agli studenti una lezione magistrale di fisica dello stato solido, di filologia romanza o di biologia molecolare. Se fossero stati almeno furbi avrebbero chiesto la revoca della visita per far la figura di persone imparziali. Ma è probabile che loro amino Gheddafi, il rivoluzionario combattente per la libertà dei popoli, quanto detestano Benedetto XVI, il reazionario. I loro amici studenti dell’Onda hanno contestato il leader non perché è un dittatore – a casa propria ognuno è libero di fare quel che gli pare, no? – ma perché ha accettato il pacchetto sicurezza del governo Berlusconi… A parte uno studente che ha chiesto quando ci saranno libere elezioni in Libia, nell’Aula Magna della Sapienza le voci dei difensori di Galileo e della libertà di pensiero non si sono sentite. È proprio un mondo alla rovescia.

Fonte: Tempi, 18 giugno 2009

2 - LA CRISI PROFONDA DELLA CHIESA ATTUALE
I Vescovi che disobbediscono al Papa
Autore: Sandro Magister - Fonte: Corrispondenza Romana, 19 giugno 2009

A fine mese i vescovi della Fraternità San Pio X ordineranno nuovi preti e la Santa Sede ha confermato che anche queste ordinazioni saranno considerate illegittime.
Ma i lefebvriani scismatici non sono i soli vescovi che preoccupano la Chiesa romana. Nei giorni scorsi si sono accesi i riflettori su due episcopati che per diversi motivi danno anch'essi filo da torcere: l'austriaco e il cinese.
Il 15 e 16 giugno sono scesi a Roma tutti i vescovi dell'Austria, chiamati a rapporto da Benedetto XVI.
Hanno incontrato a porte chiuse il papa e cinque capi di curia: i cardinali Giovanni Battista Re, della congregazione per i vescovi, William J. Levada, della congregazione per la dottrina della fede, Claudío Hummes, della congregazione per il clero, Zenon Grocholewski, della congregazione per l’educazione cattolica, Stanislaw Rylko, del pontificio consiglio per i laici. In più c'era il nunzio apostolico a Vienna, Peter Stephan Zurbriggen.
Il comunicato emesso al termine dell'incontro non l'ha detto, ma per due giorni filati i vescovi austriaci hanno subito severi rimproveri.
Papa Joseph Ratzinger conosce l'Austria molto da vicino. All'inizio del suo pontificato i vescovi austriaci furono tra i primi a recarsi da lui in udienza. E il 5 novembre del 2005, a conclusione della visita "ad limina", il papa li strigliò per bene. Li accusò di tacere punti importanti della dottrina e della morale cristiana per paura di proteste e derisioni. Li esortò a prendere in mano, finalmente, il catechismo e ad insegnarlo per intero. Ingiunse loro, letteralmente, di "cambiare rotta".
Dopo più di tre anni, evidentemente, l'impressione di Benedetto XVI è che i vescovi austriaci si siano ravveduti poco o nulla.
Una prova è anche ciò che è accaduto nei mesi scorsi nella diocesi di Linz. Come vescovo ausiliare di questa diocesi il papa aveva nominato il 31 gennaio un parroco del luogo, Gerhard Maria Wagner, 54 anni, con fama di conservatore. Immediatamente esplose la protesta dell'opinione cattolica progressista, che rinfacciò al designato il triplo misfatto d'aver equiparato anni addietro lo tsunami dell'Asia e il ciclone di New Orleans a "punizioni divine", e la saga di Harry Potter a macchinazione diabolica. Da queste risibili accuse si arrivò rapidamente a esigere la revoca della nomina.
Il brutto, agli occhi di Roma, era che i vescovi austriaci si guardarono bene dal difendere la nomina di Wagner, e così larga parte del clero. Anche l'arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn, si accodò all'onda. La pressione fu tale che Roma cedette. Il 2 marzo un laconico comunicato vaticano rese noto che il papa aveva "dispensato" Wagner "dall’accettare l’ufficio di vescovo ausiliare di Linz". Botto finale: uno dei capi della rivolta antiromana, Josef Friedl, prete di punta della diocesi di Linz, nel dichiarare vittoria rivelò anche di convivere con una compagna e di non tenere in alcun conto l’obbligo del celibato, con l’approvazione dei suoi parrocchiani e di altri preti austriaci, anch’essi concubini, e con la tolleranza dei vescovi.
Ma il caso Wagner era solo la cima di un più generale malessere. Il comunicato finale dell'incontro del 15-16 giugno ha elencato una serie nutrita di punti critici, riguardanti la dottrina, l'azione pastorale, l'insegnamento del catechismo, il clero, i seminari, le facoltà teologiche.
Su questo sfondo, appare ancor più vistoso il contrasto tra la timidezza con cui i vescovi austriaci governano le rispettive diocesi e, contemporaneamente, il loro pratico accedere all'orgogliosa pretesa che sia l'opinione pubblica a designare i nuovi vescovi o a porre il veto su quelli nominati da Roma.
Un altro vistoso contrasto riguarda il numero uno dei vescovi austriaci, il cardinale Schönborn. Passa per amico fidato di papa Ratzinger, ma in patria lascia libero campo alle correnti antiromane. Tra febbraio e marzo, all'apice della polemica contro la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani, i vescovi austriaci furono tra quelli che meno si spesero nel difendere il papa. Il vescovo di Salisburgo, Alois Kothgasser, sentenziò che con Benedetto XVI la Chiesa "si sta riducendo a una setta".
Nell'incontro del 15-16 giugno il papa ha cercato di riportare i vescovi austriaci all'ordine, come si intuisce da questo passaggio del comunicato finale:
"Il Santo Padre ha richiamato l’urgenza dell’approfondimento della fede e della fedeltà integrale al Concilio Vaticano II e al magistero post-conciliare della Chiesa, e del rinnovamento della catechesi alla luce del Catechismo della Chiesa Cattolica".
Quanto al clero concubino, valgono per l'Austria le norme generali, di maggiore severità, stabilite dal papa lo scorso 30 gennaio. Quando un prete convive con una donna e continua a svolgere il suo ministero, la congregazione vaticana per il clero ha l'autorità di dimetterlo dallo stato clericale. (...)

Fonte: Corrispondenza Romana, 19 giugno 2009

3 - QUANDO TUTTO E' PERMESSO...
Ecco in Francia il festival dell’inferno
Fonte Corrispondenza Romana, 25 Giugno 2009

Circa 60.000 persone e in generale un “ottimo bilancio”. Questi i risultati secondo Ben Barbaud, organizzatore del quarto “Festival dell’inferno-Hellfest” che si è svolto a Clisson, nella Regione della Loira, dal 19 al 21 giugno. 108 gruppi di “musica estrema” si sono esibiti per un totale di 15 ore di concerto al giorno. All’evento ha preso parte anche Marilyn Manson, cantante noto come “reverendo della chiesa di satana”.
Tra i fan di Marylin Manson c’è il noto seguace della “chiesa di satana” americana Soan, il nuovo idolo del rock francese, vincitore della settima edizione del programma “Nouvelle Star”, proposto dall’emittente televisiva “M6”, che – grazie a lui – è riuscita a fare il pieno di ascolti, registrando – con 4 milioni e 300 mila spettatori – la migliore audience di ogni stagione, il 18,4%. Ventisette anni, parigino, un passato nei bar e nei metrò per sbarcare il lunario cantando, Soan ha fatto proprio il look trasgressivo del suo idolo, proponendosi in un modo definito “atipico” o “gotico” dalla stampa specializzata d’Oltralpe: abbigliamento a dir poco eccentrico, tatuaggi, orecchini, occhi tinti.
Il “festival dell’inferno”, tutto in linea con questo mood, è stato patrocinato dal Comune, dal Consiglio regionale del dipartimento della Loira e dal Consiglio generale della Loira Atlantica. Venerdì 19 giugno, giorno dell’inaugurazione, erano presenti la vice presidente della cultura, Yanick Lebeaupin, e il consigliere regionale Chloé Le Bail, che hanno apportato il loro sostegno alla manifestazione sottolineando la competenza e la serietà dell’organizzazione.
Tra i gruppi di musica estrema presenti, i Deströyer 666, che si definiscono “l’anti Cristo” e che hanno invitato a “iniziare l’attacco” e a “far fuoco”.
I destinatari di questo appello sono senza dubbio i cristiani, ai quali consigliano di «dire le loro preghiere». «Non scapperete al martello di satana», promette il gruppo e molti cantanti esortano a «bruciare i sacerdoti».
Dai loro video e dal loro modo di vestire si evince chiaramente l’ossessione per il blasfemo e dal sito internet dell’Hellfest vengono lanciati messaggi di morte con immagini di torture, mutilazioni, visi mostruosi, corpi dilaniati e sguardi disperati.
Non sono mancate le reazioni all’evento: e-deo.info, portale che propone un’analisi dell’attualità da un punto di vista cattolico, ha organizzato una forte resistenza all’Hellfest.
L’Agrif (Alleanza generale contro il razzismo e per il rispetto dell’identità francese e cristiana), i Giovani per la Francia di Philippe de Villiers, il collettivo Act Hope e i giovani del CNI (Centro Nazionale degli Indipendenti) hanno esortato alla mobilitazione contro l’organizzazione del festival.
La prima vittoria è arrivata da Coca-Cola e Kronembourg che avrebbero dovuto sponsorizzare l’evento e che, dopo le numerose proteste, hanno deciso di non farlo.
Secondo alcuni sociologi, diventare fan di questo tipo di musica estrema rappresenta una sorta di rito di passaggio dalla giovinezza all’età adulta: da riti collettivi condivisi da tutti, come ad esempio il matrimonio, si passa ad altre esperienze, quali lo sport estremo o la musica metal con le sue provocazioni.
Ciò che tuttavia non viene messo in luce è quanto ha sottolineato il rapporto Fenech sulle sette dell’agosto 2008, che ha denunciato i pericoli del satanismo in Francia, la presenza di circa 25.000 giovani adepti e le loro tendenze suicide. 

Fonte: Corrispondenza Romana, 25 Giugno 2009

4 - RIMANE SOLO FAMIGLIA CRISTIANA A PENSARE ALLE DONNE DI BERLUSCONI
L'ha capito anche Avvenire...
Autore: Marina Corradi - Fonte: Avvenire, 26 giugno 2009

Nello schizzare di fango che viene ormai ogni mattina dai quotidiani, con ventilati annunci di sempre maggiori scandali, e rivelazioni, e signore autofotografatesi – che singolare abitudine – in bagno durante una festa, vien voglia, almeno a noi, di voltare pagina verso altre storie – per esempio i massacri a Teheran, per esempio la morte annunciata di altri milioni di uomini, quest’anno, per fame. Ma le storie di Palazzo Grazioli hanno scosso molti, anche fra i lettori di Avvenire, e vorremmo allora provare a discuterne pacatamente.
Dunque: non fa piacere a nessun cittadino apprendere che il presidente del Consiglio, a oltre settant’anni, per svagarsi riceve delle fanciulle che le cronache chiamano "escort". Se sapessimo la stessa cosa di nostro padre, ne saremmo rattristati; penseremmo a uno squilibrio, a una sorta di esorcismo della vecchiaia, in un uomo che in realtà la teme. Una debolezza, una fragilità tuttavia private. In lingua cristiana, peccati. Che però – e sorprende un po’ che proprio dei cattolici come noi debbano ricordarlo – in quanto peccati, non sono reati. Non si capisce insomma quale dovrebbe essere il reato addebitato, in una inchiesta penale. E invece vortica la gogna mediatica, e soffia vento di impeachment; benché Berlusconi sia stato eletto con un ampio consenso popolare.
Allora non si può non domandarsi quanto questa indignazione sia strumentale. Se cioè i gossip contro Berlusconi non siano l’ultimo tentativo di scalzare un ingombrante avversario, quando per via elettorale non ci si è riusciti  in alcun modo. È un tallone d’Achille, la "sregolatezza" del Cavaliere, su cui accanirsi facilmente. Su cui cercare il consenso dei cattolici, nel nome della decenza, e della morale cristiana. Se la Chiesa poi non parte lancia in resta, la si accusa di badare alla convenienza politica; se non grida scomuniche, la si avverte, come ieri sul fondo di Repubblica, che la sua voce in difesa della famiglia sarà d’ora in poi «molto meno credibile».
Si vorrebbe, d’improvviso, una Chiesa ingerente, che condanna un politico per la sua condotta morale; si vorrebbe d’improvviso una Chiesa moralista – ma non era questa la grande accusa ai cattolici? – che si accanisce contro il peccatore, più che sul peccato. Si vorrebbe una Chiesa giustizialista, che confonde peccati e avvisi di garanzia.
Ora, tutto ciò, oltre che strumentale a un disegno politico, appare doppiamente strano se si pensa al pulpito da cui viene la predica. È la stessa parte politica e mediatica che da trent’anni modernizza l’Italia, dettando i dogmi della nuova morale: l’irrilevanza del matrimonio, la liceità di divorzio e aborto, l’equivalenza di ogni tipo di "famiglia". Il "partito" che chiede anche ai cattolici la condanna di Berlusconi, è lo stesso che ha ribaltato i canoni della morale cristiana di questo Paese, nel nome di una modernità liberata dall’«oscurantismo» cattolico. Singolare, in una cultura che ci ha insegnato che l’aborto è un «diritto», che la fedeltà coniugale è cosa d’altri tempi e che i preservativi bisogna distribuirli a scuola, quest’onda di indignazione per un politico a cui piacciono – troppo, è vero – le donne.
La coscienza di Berlusconi, tuttavia, è un suo privato contenzioso col Padreterno. Vorremmo potere smettere di occuparcene – magari anche il premier potrebbe dare una mano in tal senso – e vedere che cosa il suo governo fa per l’occupazione, le famiglie, la scuola, l’immigrazione, la crisi demografica. Questo ci interessa assai di più che le foto dei bagni di Palazzo Grazioli. Scommetteremmo anzi che questo interessa di più, a molti italiani. Questa è la vera questione morale. Il resto è battaglia di potere, nella cui buona fede fatichiamo a credere.

Fonte: Avvenire, 26 giugno 2009

5 - RESPINGERE GLI IMMIGRATI CLANDESTINI?
Giusto! Parola di Piero Fassino e Francesco Rutelli
Autore: Emanuele Boffi - Fonte: Tempi, 21 maggio 2009

L’Italia respinge le carrette del mare. L’Italia riporta in Libia i clandestini che tentato di raggiungere Lampedusa. Il fatto ha sollevato polemiche: l’Unhcr (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha criticato l’operato italiano, alcuni uomini di Chiesa hanno biasimato il governo Berlusconi, sia il presidente della Repubblica sia quello della Camera hanno espresso le loro perplessità, l’opposizione ha aspramente polemizzato con la maggioranza. Eppure, anche all’interno del centrosinistra, qualche voce che ha invitato a tenere presente la complessità del fenomeno si è levata. E non è un caso che a essersi smarcati maggiormente dalla linea del loro partito, il Pd, siano stati Piero Fassino e Francesco Rutelli. A diverso titolo, in questi anni, si sono occupati del problema e, con onestà, hanno riconosciuto che occorre, innanzitutto, riconoscere alcuni dati di fatto. Primo: i respingimenti non se li è inventati il ministro degli Interni Roberto Maroni. Fassino ha ricordato che «io, come esponente del governo Prodi tra il ’96 e il ’98, ho firmato decine di accordi di riammissione con i paesi dei Balcani e del Mediterraneo, che prevedono il diritto dell’Italia a rimpatriare nei paesi da cui erano venuti i clandestini e l’obbligo di questi paesi di riprenderseli. Il respingimento alle frontiere è un mezzo previsto dagli accordi internazionali, e applicato anche dai governi del centrosinistra». Fu sempre la sinistra nel ’99 a fermare gli scafisti – anche con sistemi ben più cruenti dei respingimenti – che arrivavano dall’Albania e fu Giuliano Amato – come ha ricordato al Messaggero l’ambasciatore libico Hafed Gaddur – a firmare con la Libia il patto di collaborazione per contrastare l’immigrazione clandestina. Trattato che prevedeva i respingimenti? «Certo – ha dichiarato Gaddur – in quale altro modo avremmo dovuto impedire ai barconi di arrivare a Lampedusa? Sicuramente non a colpi di mitra». D’altronde, come ha rilevato Franco Bechis su Italia Oggi, «quel che sta avvenendo oggi fra lo scandalo generale è la normalità da anni». Solo tra il 2005 e il 2008, «l’Unione Europea ha attuato circa 150 mila respingimenti di immigrati clandestini». E, sebbene in queste ultime settimane l’Italia sia stata presentata come un paese “xenofobo”, i dati dicono il contrario. Siamo uno Stato assai accogliente con gli immigrati ed è strano che accuse di inospitalità non siano rivolte ad altri paesi come la Spagna zapateriana che detiene il record 2007 di dinieghi (644.989), un’enormità rispetto alla “xenofoba” Italia (9.394).
TRAFFICI PIANIFICATI A TAVOLINO
Il secondo fatto, ricordato da Rutelli, è che quello dei clandestini è un business in mano alle organizzazioni terroristiche (a Panorama, Rutelli ha paventato il nome di al Qaeda). Rutelli, alla guida del Copasir, il comitato per la sicurezza della Repubblica, ha di recente presentato un rapporto sull’immigrazione clandestina. Il rapporto, redatto grazie alle informazioni d’intelligence, è solo in parte, per ovvi motivi di sicurezza, consultabile on line. Al capitolo 3 (“Immigrazione clandestina”) vi si legge che esiste un «interesse dei trafficanti ad incoraggiare le partenze anche ingenerando false aspettative nei migranti; la presenza, nelle aree di transito dei clandestini, di situazioni collusive che favoriscono la strutturazione di snodi logistici; la crescente invadenza di organizzazioni criminali “multinazionali” nella gestione del traffico». Secondo i nostri servizi segreti i barconi in partenza dall’Africa sono in mano a organizzazioni di terroristi che «costringono il clandestino ad espatriare con la coercizione e il raggiro» e le cui mosse sono studiate a tavolino («la rilevata strategia dei trafficanti di pianificare arrivi in massa per congestionare i centri di accoglienza»). Non è un business da poco. Secondo Antonio Laudati, a capo della Direzione affari penali del ministero della Giustizia, esperto di mafie transnazionali, il «viaggio di ognuno di questi disperati frutta fino a trentamila dollari». Un malaffare sotto gli occhi di tutti, anche di Fabrizio Gatti, inviato dell’Espresso in Libia e Tunisia, che ha scritto di «guadagni spaventosi: per ogni euro investito nel viaggio dei pescherecci, i trafficanti ne guadagnano milletrecento». E due operazioni dei Ros in marzo hanno rivelato che le organizzazioni criminali, rispetto a qualche anno fa in cui si limitavano a gestire il “viaggio”, oggi si occupano anche della fuga dei clandestini dai centri di accoglienza e del loro inserimento nella malavita o nel mondo della prostituzione. Addirittura, si sono verificati casi di rapimenti di clandestini: i criminali, dopo averli aiutati a sbarcare in Italia hanno chiesto alle famiglie d’origine un riscatto per liberarli.
L’IPOCRISIA SUL DIRITTO D’ASILO
Si è detto e scritto che il problema maggiore della politica dei respingimenti è l’impossibilità di riconoscere l’asilo politico a chi ne avrebbe diritto. Vero, anche se, come ha detto Fassino, non bisogna essere ipocriti, «sappiamo bene che invocare immediatamente il diritto d’asilo anche quando non se ne ha titolo è un mezzo cui ricorrono molti clandestini». Lo ha ribadito anche l’ambasciatore Gaddur: «La richiesta d’asilo è diventata una scusa. Perché un uomo che ha diritto allo status di rifugiato dovrebbe imbarcarsi su un gommone e rischiare la vita in mare se può presentarsi all’ambasciata italiana a Tripoli e chiedere asilo?».
Resta, comunque, il problema: respingere la nave con cento immigrati anche se a bordo vi sono cinque o sei asilanti, oppure accoglierli tutti e poi riportarne 95 da dove sono partiti? La soluzione migliore, caldeggiata dall’Italia, è creare agenzie sui territori di partenza o di transito, nei consolati o nella ambasciate, dove poter compilare e lì verificare la domanda d’asilo. è questa la linea del governo che, se non viene rovinata dalle intemperanze verbali di alcuni suoi ministri, può risultare assai gradita anche all’Onu e alla Libia.

Fonte: Tempi, 21 maggio 2009

6 - DEMOCRAZIA E FEDE RELIGIOSA
Ecco i motivi per cui in Cina finisci in prigione
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 25 giugno 2009

 Liu Xiaobo è uno degli intellettuali e dissidenti più brillanti della Cina di oggi. Il suo arresto è stato ora motivato con l’accusa di «sovversione contro lo Stato». In realtà Liu, 53 anni, non ha mai svolto alcuna attività violenta, essendosi concentrato a scrivere riflessioni e proposte sui diritti umani e la democrazia, pubblicandoli su riviste internazionali e siti Internet. Ma aprire gli occhi e la mente della gente è forse l’attività più sovversiva per un governo che pretende di aver dato il benessere ai cittadini, anche se toglie loro la libertà di pensare in modo autonomo. La cattura di Liu è segno di quanto la Cina non sia molto cambiata dai tempi del massacro di Tienanmen. Nell’ 89 Liu Xiaobo fu uno dei docenti che partecipò agli scioperi della fame decisi dagli studenti per spingere la leadership al dialogo. Fino all’ultimo, cercò di convincere i manifestanti ad abbandonare la piazza e l’esercito a non attaccare.
  Ma fu testimone del fallimento della sua mediazione e del bagno di sangue che ne seguì. Per questo ha passato un paio d’anni in prigione. A due decenni da Tiananmen, Liu è di nuovo privato della libertà. Il suo 'sequestro', in dicembre, è avvenuto poco prima della pubblicazione di 'Carta 08', documento sottoscritto da 303 intellettuali, attivisti e gente comune, di cui Liu sembra essere l’estensore. Il testo è una delle analisi più acute sulla situazione della Cina contemporanea. I firmatari apprezzano i cambiamenti avvenuti negli ultimi 20 anni, con l’uscita del Paese dalla povertà e dal totalitarismo maoista, ma puntano il dito sulla «modernizzazione folle» e senza riforme politiche, che ha prodotto la «corruzione governativa, la mancanza di uno stato di diritto, deboli diritti umani, corruzione dell’etica pubblica, crasso capitalismo, crescente diseguaglianza fra ricchi e poveri, sfruttamento sfrenato dell’ambiente naturale, umano e storico, l’acuirsi di una lunga lista di conflitti sociali». I firmatari di 'Carta 08' chiedono al governo riforme perché temono che i conflitti sociali diventino sempre più violenti, mettendo in crisi anche lo sviluppo economico. Per tutta risposta – proprio come ai tempi di Tienanmen – il governo si prepara a condannare Liu, e ha messo agli arresti domiciliari decine di altri promotori, controllando e interrogando membri del Partito simpatizzanti del documento. Forse per la prima volta in un testo della dissidenza, in 'Carta 08' si cita la necessità della libertà religiosa come elemento importante per la società cinese. Si chiede perfino che sia eliminato il controllo statale sulle attività religiose e che non vi sia frattura fra attività ufficiali 'legali' e attività sotterranee 'illegali'. Ciò è dovuto al fatto che molti dissidenti, fra cui lo stesso Liu Xiaobo, da rivendicazioni basate solo sulla Dichiarazione dell’Onu, sono giunti alla conclusione che i diritti umani nascono da una concezione della dignità umana come valore assoluto, garantita soltanto da una visione religiosa, in cui la persona è considerata creatura di Dio e lo Stato servitore della dignità umana.
  Tale collegamento fra democrazia e fede religiosa è quanto di più 'sovversivo' si possa immaginare a Pechino, ma è forse l’unica strada per evitare l’implosione del gigante cinese. L’occidente tanto interessato al commercio – e poco ai diritti umani e alla fede – dovrebbe pensare ad aprire con il Paese asiatico non solo dispute sul protezionismo, ma anche sulla libertà religiosa. Se non altro per difendere il futuro dei propri investimenti.

Fonte: 25 giugno 2009

7 - CINQUE MOTIVI PER CUI L'ECONOMIA VERDE E' UN GRANDE IMBROGLIO

Autore: Paolo Togni - Fonte: Svipop, 25-6-2009

La spinta assai propagandata alle modifiche dei sistemi economici, nazionali ed internazionali, giustificata con la necessità di muovere verso una "economia verde" è un fatto. Ma che significa "economia verde"? Quali conseguenze deriverebbero dal perseguire questo obiettivo? Il discorso è abbastanza complesso, ma vale la pena mettere in rilievo alcuni punti fermi.
1. Muoversi verso l'"economia verde" significa innanzitutto convertire il sistema energetico, producendo una notevole percentuale dell'energia necessaria da fonti rinnovabili; diminuire drasticamente i consumi; rinunziare ai prodotti provenienti da lontano; trasformare la struttura produttiva energetica, attualmente accentrata in pochi grandi impianti, in una struttura distribuita, nella quale le singole comunità possano produrre ed utilizzare l'energia della quale hanno necessità. Prospettiva anche accattivante, nella quale le comunità di base acquisterebbero una maggiore autonomia e potrebbero porre le basi per una vita più semplice.
Peccato che questo possa avvenire solo al prezzo di un obbligato ritorno all'economia curtense che caratterizzò il primo medioevo, ed ai relativi livelli di benessere materiale. Da quell'epoca un rapido miglioramento quali-quantitativo delle produzioni e degli scambi ha garantito un innalzamento senza precedenti delle condizioni di vita degli uomini,  fondato sulla progressiva crescita dei centri di produzione e dei trasporti, che nell'ottica "verde" dovrebbero essere pressoché azzerati.
Mi sembra difficile, oltretutto in assenza di certezze sugli esiti positivi di questo processo, che intorno alla prospettiva descritta possa raccogliersi il consenso di masse significative di cittadini: oltretutto un forte aumento della mortalità infantile e l’abbassamento drastico delle aspettative di vita ne sarebbero conseguenza inevitabile.
Nonostante ogni indicazione derivante dal buon senso insito in quanto scritto sopra c’è un gruppo di persone che seguitano a pontificare e trovare udienza, e vengono considerate oracoli dalle teste deboli di tutto il mondo. Posso citare tra questi Jeremy Rifkin e Amartya Sen, che vanno imperversando su televisioni e giornali di tutto il mondo, e vengono citati da personaggi di tutti gli schieramenti politici: ma che volete farci, l’imbecillità e l’ignoranza non hanno casa, e sono trasversali.
2. Anche l'economia ha sue leggi inderogabili che inevitabilmente giungono ad effetto: la prima è che non è possibile ripartire ciò che non è stato prodotto:  la priorità nel circuito economico è indiscutibilmente della produzione, e ad essa, prima e più che alle fasi dell'uso sociale, della ripartizione e dell'attivazione del flusso della spesa pubblica, va riservata ogni cura per garantire che sia adeguata alle attese di benessere presenti nel tessuto sociale, e costantemente crescente in produttività. Secondo il Vangelo, lo stesso Nostro Signore Gesù Cristo, prima di poter distribuire ai fedeli pani e pesci, dovette moltiplicarli,  confermando nei fatti la priorità della produzione. Sono molti coloro che non hanno chiaro questo concetto, e invertono le priorità: ma il dividere ciò che non è stato prodotto, cioè nulla, non porta benefici a nessuno.
Si aumenta la ricchezza di una società solo se si generano, tramite il lavoro, materiale o intellettuale che sia, beni prima non esistenti, o esistenti in forma non immediatamente fruibile. È corollario evidente di questa affermazione che il processo di produzione deve essere organizzato in modo tale che i beni o le risorse prodotte abbiano un valore superiore alla somma del valore dei beni e delle risorse impiegati a produrli, altrimenti si ha distruzione - non creazione - di ricchezza. Questa regola accetta un'eccezione nel caso, che deve essere previamente conosciuto e accettato per scelta cosciente, in cui si ritenga utile all'interesse generale avviare un determinato tipo di produzione o di attività: in questo caso può essere accettato un sacrificio immediato in vista di un maggiore beneficio futuro.
Quanto sopra si realizza, necessariamente ed esclusivamente,  in una libertà di concorrenza tra quanti intendano intraprendere un processo produttivo, tutelata ferreamente e senza eccezioni, determinando e mantenendo una situazione di parità; condizione questa che, a sua volta, postula l'esistenza di un notevole livello di libertà, non solo sul piano economico. Vale la pena di ricordare che la libertà esiste non in quanto garantita, ma in quanto esercitata: la costituzione dell'URSS, che formalmente garantiva tutte le libertà, era in effetti la maschera dietro la quale si celava il regime più sanguinario, illiberale e tirannico mai conosciuto nella storia dell'umanità.
3. Da questo punto di vista  non è affatto sana la cosiddetta “economia verde”, che costituisce un vero e proprio imbroglio concettuale ed una truffa a danno dei cittadini e della comunità nazionale. Infatti non può dichiararsi  fattore di sviluppo il fare ricorso ad energia proveniente da fonti rinnovabili, se non si dice chiaramente che tale energia costa sei volte (l’eolica) o sessanta volte (la fotovoltaica)  di più dell’energia prodotta da sistemi a combustione interna, e dieci o cento volte più di quella da nucleare. Onestà vorrebbe che tali dati fossero dichiarati, e che si motivasse l’eventuale decisione di privilegiare le rinnovabili con motivazioni ambientali,  ammettendone il costo e consentendo ai cittadini di valutare l’opportunità della spesa a ragion veduta.
4. Ma gli equivoci dell’economia verde non si fermano qui, anzi si aggravano se si parla di occupazione. Dire che la trasformazione del sistema economico secondo principi verdi determinerà un aumento di posti di lavoro non è falso, è semplicemente la prima parte della verità: la seconda, e mancante, è quella riguardante il costo di questi posti, che va conteggiato nella spesa pubblica, e quindi posto a carico di tutti i cittadini, perché non determinano produzione, ma distruzione di ricchezza.
I più anziani ricorderanno che nell’ultimo dopoguerra furono istituiti i cosiddetti “cantieri di lavoro”, nei quali si pagavano degli operai perché facessero dei lavori inutili; in tal modo, a carico dello Stato, si offriva una forma di aiuto agli strati più deboli della popolazione. Ciò avveniva in un momento nel quale la produzione non era ancora ripresa, e le necessità erano molte e diffuse.
Ed oggi? Oggi abbracciare l’”economia verde” significa solo produrre meno, pagando in compenso prezzi più alti. Potrebbe essere una scelta da fare per ottenere (forse) una migliore qualità dell’ambiente, ma i mentori dell’economia verde non ci prendano in giro parlando di nuovo sviluppo e di rilancio.
5. Una questione non marginale è anche la frustrazione tipica degli economisti. Il motivo è semplice: sono sicuri di avere nella loro testa la soluzione di tutti i problemi del mondo, e di essere quindi i più qualificati per governarlo, e invece solo a pochissimi di loro è concesso di entrare nelle stanze dei bottoni, e per lo più non per gestire le cose, ma per dare suggerimenti che spesso non vengono ascoltati. Questo stato di cose genera in loro una propensione a suggerire soluzioni nelle quali l’intervento dello stato sia significativo: ciò permetterebbe loro, in quanto consiglieri del principe, di avere le mani in pasta almeno un po’. Molto spesso, nell’ansia di raggiungere questo obiettivo, giungono perfino a dimenticare dati essenziali ed evidenti dei problemi che si candidano a risolvere.
Proprio questo sta succedendo a proposito di “economia verde”: vengono trascurati dati (dis)economici evidenti per prospettare soluzioni miracolistiche a problemi seri che stiamo attraversando.
Probabilmente alla base di tutto questo sia anche il maledetto contagio che le idee socialiste hanno sparso nel mondo, e che, a vent’anni dal giorno benedetto in cui Giovanni Paolo II e Ronald Reagan hanno fatto crollare le strutture materiali che ne costituivano l’attuazione concreta, seguita ad esercitare la sua fetida influenza sulle menti poco o male strutturate. Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti che un’economia comunque diretta dallo stato significa, senza eccezioni, fallimento e disastro.
A proposito di stato imprenditore credo di poter riprendere le  esemplari parole di Giuseppe Togni, Ministro per il coordinamento delle attività economiche del Governo nel 1947, che ne definiva le condizioni di accettabilità: “… una gestione a sfondo privatistico che implichi la necessità di quadratura dei bilanci, di determinazione di utili … continuo confronto di gestione tra le aziende di Stato e le aziende di proprietà privata; … minore tentazione di ricorrere a particolari privilegi e sottrarsi ad oneri fiscali …”. Chiarezza e distinzione di ruoli, quindi: senza le quali sono assicurati l’insuccesso e il tracollo.
L’”economia verde” è proprio una forma di economia di stato, aggravata dal fatto che non sono neanche soggetti pubblici a gestirla, ma amici e amici degli amici. Per esempio, affidare a un soggetto composto da imprese interessate la redazione di un piano di settore che dovrà essere adottato dalla Pubblica Amministrazione, non è una furbizia, ma una sciocchezza e una scorrettezza.

Fonte: Svipop, 25-6-2009

8 - L'INDULGENZA PLENARIA IN OCCASIONE DELL'ANNO SACERDOTALE
Dal 19 giugno 2009 al 19 giugno 2010
Autore: James Francis Card. Stafford - Penitenziere Maggiore - Fonte: Penitenzieria Apostolica, 25 aprile 2009

Si arricchiscono del dono di Sacre Indulgenze, particolari esercizi di pietà, da svolgersi durante l’Anno Sacerdotale indetto in onore di San Giovanni Maria Vianney.
È imminente il giorno in cui si commemoreranno i 150 anni dal pio transito in cielo di San Giovanni Maria Vianney, Curato d’Ars, che quaggiù in terra è stato un mirabile modello di vero Pastore al servizio del gregge di Cristo.
Poiché il suo esempio è adatto per incitare i fedeli, e principalmente i sacerdoti, ad imitare le sue virtù, il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha stabilito che, per questa occasione, dal 19 giugno 2009 al 19 giugno 2010 sia celebrato in tutta la Chiesa uno speciale Anno Sacerdotale, durante il quale i sacerdoti si rafforzino sempre più nella fedeltà a Cristo con pie meditazioni, sacri esercizi ed altre opportune opere.
Questo sacro periodo avrà inizio con la solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, giornata di santificazione sacerdotale, quando il Sommo Pontefice celebrerà i Vespri al cospetto delle sacre reliquie di San Giovanni Maria Vianney, portate a Roma dall’Ecc.mo Vescovo di Belley-Ars. Sempre il Beatissimo Padre concluderà l’Anno Sacerdotale in piazza S. Pietro, alla presenza di sacerdoti provenienti da tutto il mondo, che rinnoveranno la fedeltà a Cristo e il vincolo di fraternità.
I sacerdoti si impegnino, con preghiere e buone opere, per ottenere dal Sommo ed Eterno Sacerdote Cristo la grazia di risplendere con la Fede, la Speranza, la Carità e le altre virtù, e mostrino con la condotta di vita, ma anche con l’aspetto esteriore, di essere pienamente dediti al bene spirituale del popolo; ciò che sopra ogni altra cosa la Chiesa ha sempre tenuto a cuore.
Per conseguire al meglio il fine desiderato, gioverà molto il dono delle Sacre Indulgenze, che la Penitenzieria Apostolica, con il presente Decreto emesso in conformità al volere dell’Augusto Pontefice, benignamente elargisce durante l’Anno Sacerdotale:
A.- Ai sacerdoti veramente pentiti, che in qualsiasi giorno devotamente reciteranno almeno le Lodi mattutine o i Vespri davanti al SS.mo Sacramento, esposto alla pubblica adorazione o riposto nel tabernacolo, e, sull’esempio di San Giovanni Maria Vianney, si offriranno con animo pronto e generoso alla celebrazione dei sacramenti, soprattutto della Confessione, viene impartita misericordiosamente in Dio l’Indulgenza plenaria, che potranno anche applicare ai confratelli defunti a modo di suffragio, se, in conformità alle disposizioni vigenti, si accosteranno alla confessione sacramentale e al Convivio eucaristico, e se pregheranno secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.
Ai sacerdoti viene inoltre concessa l’Indulgenza parziale, anche applicabile ai confratelli defunti, ogni qual volta reciteranno devotamente preghiere debitamente approvate per condurre una vita santa e per adempiere santamente agli uffici a loro affidati.
B.- A tutti i fedeli veramente pentiti che, in chiesa o in oratorio, assisteranno devotamente al divino Sacrificio della Messa e offriranno, per i sacerdoti della Chiesa, preghiere a Gesù Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, e qualsiasi opera buona compiuta in quel giorno, affinché li santifichi e li plasmi secondo il Suo Cuore, è concessa l’Indulgenza plenaria, purché abbiano espiato i propri peccati con la penitenza sacramentale ed innalzato preghiere secondo l’intenzione del Sommo Pontefice: nei giorni in cui si apre e si chiude l’Anno Sacerdotale, nel giorno del 150° anniversario del pio transito di San Giovanni Maria Vianney, nel primo giovedì del mese o in qualche altro giorno stabilito dagli Ordinari dei luoghi per l’utilità dei fedeli.
Sarà molto opportuno che, nelle chiese cattedrali e parrocchiali, siano gli stessi sacerdoti preposti alla cura pastorale a dirigere pubblicamente questi esercizi di pietà, celebrare la Santa Messa e confessare i fedeli.
Agli anziani, ai malati, e a tutti quelli che per legittimi motivi non possano uscire di casa, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato e con l’intenzione di adempiere, non appena possibile, le tre solite condizioni, nella propria casa o là dove l’impedimento li trattiene, verrà ugualmente elargita l’Indulgenza plenaria se, nei giorni sopra determinati, reciteranno preghiere per la santificazione dei sacerdoti, e offriranno con fiducia a Dio per mezzo di Maria, Regina degli Apostoli, le malattie e i disagi della loro vita.
È concessa, infine, l’Indulgenza parziale a tutti i fedeli ogni qual volta reciteranno devotamente cinque Padre Nostro, Ave Maria e Gloria, o altra preghiera appositamente approvata, in onore del Sacratissimo Cuore di Gesù, per ottenere che i sacerdoti si conservino in purezza e santità di vita.
Il presente Decreto è valido per tutta la durata dell’Anno Sacerdotale. Nonostante qualsiasi disposizione contraria.
Dato in Roma, dalla sede della Penitenzieria Apostolica, il 25 aprile, festa di S. Marco Evangelista, anno dell’Incarnazione del Signore 2009.

Fonte: Penitenzieria Apostolica, 25 aprile 2009

9 - DOPO MEZZO SECOLO: UN BILANCIO DEL CONCILIO VATICANO II

Fonte Corrispondenza romana, 19 Giugno 2009

Nel 2012 si celebreranno i primi 50 anni dall’apertura del XXI Concilio Ecumenico della Chiesa cattolica, indetto da Giovanni XXIII nel 1962 e concluso sotto Paolo VI nel 1965. È molto difficile sintetizzare cosa abbia rappresentato questo (quasi) mezzo secolo di storia per la Chiesa e il cattolicesimo, sia in Italia, ove risiede Roma “capitale della cristianità”, sia nel resto del vasto mondo. L’espressione più acuta ci pare essere quella usata a suo tempo da Giovanni Paolo II e cioè “apostasia silenziosa”.
Infatti dopo 20 secoli di fede e di evangelizzazione, di istituzioni e monumenti innumerevoli ispirati al Vangelo, in pochi decenni, a partire dal Vaticano II, si registrano: l’abbandono in massa della Chiesa da parte dei battezzati (con migliaia di domande di sbattezzo ogni anno!!), la perdita quasi totale della fede, la distruzione della famiglia naturale fondata sul matrimonio indissolubile, la scomparsa dell’educazione al pudore, all’obbedienza, alla preghiera… Come è stato possibile tutto ciò, che manifesta una radicale mutazione antropologica, in neppure 50 anni? Gli effetti debbono avere una causa ad essi proporzionata. L’apostasia silenziosa di milioni di cattolici, per di più in tutto l’orbe, e lo sbandamento di numerosi sacerdoti e di interi ordini religiosi, non può spiegarsi solo con il laicismo e il razionalismo, con il potere delle lobby anticattoliche o con la visione edonistica della vita, tutte tristi realtà dilagate nel corso del Novecento.
Il teologo Brunero Gherardini, in un libro coraggioso (Concilio Vaticano II. Un discorso da fare, Casa Mariana Editrice, s.i.p., 2009. Per richiederlo: tel/fax 0825.444415 e cm.editrice@immacolata.ws) mostra con grande chiarezza che l’apostasia postconciliare non deriva anzitutto da cause esterne alla Chiesa, ma da gravi deviazioni interne, deviazioni e ambiguità che qua e là affiorano nello stesso dettato conciliare. Certo lo “spirito del Concilio” di cui parlarono strumentalmente i novatori degli anni ’60 è andato molto al di là dei documenti votati e approvati dai Padri, e poi promulgati da Paolo VI. All’interno di documenti quali Sacrosanctum Concilium, Unitatis redintegratio, Nostra aetate, Dignitatis humanae e Gaudium et spes, emerge uno spirito ben diverso da quello a cui i medesimi documenti sembrano esplicitamente rifarsi quando citano il Magistero perenne e i Dottori della Chiesa.
Il tema sarebbe vastissimo e mi limito a 3 brevi esempi assai diversi tra loro, ma che mostrano con semplicità i paralogismi e le aporie conciliari. Prendiamo il documento sulla Liturgia: esso dichiara a più riprese il dovere di mantenere la lingua latina nel rito romano (SC 36 e 54). Cosa è avvenuto di questo passo conciliare? Lo spirito di aggiornamento che permea tutto il Vaticano II l’ha cancellato persino nelle menti di coloro che per anni hanno dichiarato di dover far applicare il Concilio? Da decenni si attende una risposta autorevole. La costituzione Dei Verbum afferma giustamente che S. Scrittura, Magistero della Chiesa e sacra Tradizione sono così strettamente legati «da non potere indipendentemente sussistere» (n. 10): Come è possibile allora asserire che tra i beni presenti nei fratelli separati c’è «la Parola di Dio scritta» (UR 3)?
Al n. 3 di Nostra aetate, documento che non comporta neppure una citazione magisteriale e tradizionale, si fa intendere che i musulmani adorano il vero Dio, benché rifiutino esplicitamente sia Cristo che lo Spirito Santo. Ecumenismo o sincretismo, si chiede rigorosamente Gherardini… Fermiamoci qui, invitando i lettori a procurarsi quanto prima il prezioso volume che è appoggiato inoltre da due autorevoli prefazioni a cura del vescovo di Alberga mons. Mario Oliveri e del Segretario della Congregazione per il Culto Divino, mons. Malcom Ranjith.

Fonte: Corrispondenza romana, 19 Giugno 2009

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