BastaBugie n�50 del 03 ottobre 2008
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QUALI GUAI PER CHI SPOSA UN MUSULMANO?
Lo scontro di civiltà con la fede al dito
Autore: Massimo Introvigne - Fonte:
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FIGLIO DI LEADER DI HAMAS SI CONVERTE AL CRISTIANESIMO
Fonte:
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LA TELECOM ESALTA GANDHI: ECCO INVECE PERCHÉ NOI NON VOGLIAMO UN'EUROPA INDÙ
C'e' anche chi lavora per un'europa indu'
Autore: Alessandra Nucci - Fonte:
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UNA TRUFFA INTELLETTUALE: L'INCHIESTA DI CORRADO AUGIAS E REMO CACITTI
Autore: Massimo Introvigne - Fonte:
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PIO XII SECONDO BENEDETTO XVI: È L'ORA DELLA VERITÀ
Autore: Mimmo Muolo - Fonte:
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PIO XII: ALTO PROFILO UMANO E SPIRITUALE
Autore: Benedetto XVI - Fonte:
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TESTAMENTO BIOLOGICO: L'ERRORE DI CHI DICE OK
Testamento biologico: l’autogol della Conferenza Episcopale
Autore: Mario Palmaro - Fonte: non disponibile
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TESTAMENTO BIOLOGICO: NO, GRAZIE! SENZA SE E SENZA MA
No al testamento biologico. Senza se e senza ma.
Autore: Mario Palmaro - Fonte: non disponibile
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IL MANIFESTO: LE MEZZE VERITÀ SU ISRAELE E L'ACQUA AI PALESTINESI
Il Manifesto, la testata che perde la testa quando parla di Israele.
Autore: Yasha Reibman - Fonte:
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QUALI GUAI PER CHI SPOSA UN MUSULMANO?
Lo scontro di civiltà con la fede al dito
Autore: Massimo Introvigne - Fonte:
La Chiesa cattolica italiana ha ormai una vasta esperienza di matrimoni misti fra cattolici e musulmani. Ha condotto diverse indagini interne, e dispone di enti come il Centro Federico Peirone a Torino che da anni sono vicini alle coppie miste. La disponibilità all’aiuto in tutti i casi concreti non significa che la Chiesa non segnali con realismo i rischi. Del resto, su questo punto la posizione dei vescovi italiani non è lontana da quella di un combattivo apologista dell’islam come Tariq Ramadan, il quale usa parole piuttosto severe nei confronti di quei musulmani che sposano un coniuge cristiano con una buona dose di superficialità, andando incontro nella maggior parte dei casi a un inevitabile fallimento. Il problema è anzitutto teologico. La nozione del matrimonio non è la stessa nel cristianesimo e nell’islam. Il diritto islamico – sia pure con precisazioni e limitazioni – ammette la poligamia, e permette al marito di ripudiare la moglie semplicemente dichiarandolo, mentre la donna per divorziare deve passare attraverso un tribunale. Una musulmana non può sposare un uomo di un’altra religione; un musulmano può sposare una cristiana o un’ebrea ma dev’essere chiaramente stipulato che i figli saranno educati nella religione islamica. L’idea soggiacente è che il matrimonio non è, come per i cristiani, anzitutto un’istituzione di diritto naturale, per quanto elevata da Gesù Cristo alla dignità di sacramento. Per l’islam il matrimonio è un contratto rigorosamente normato dal Corano e dal diritto islamico, e l’idea che un musulmano sia coinvolto in un legame matrimoniale meramente “naturale”, non regolato dalla sua religione, non ha senso. Quando questa mentalità entra in contatto con il diritto occidentale iniziano i problemi. Per cominciare, in Italia una donna ha diritto di sposare chi vuole, prescindendo dalla religione. Ma una donna musulmana che non sia cittadina italiana in pratica avrà molte difficoltà a sposare un non musulmano. Il suo consolato, nella maggior parte dei casi, le negherà il nulla osta matrimoniale. Se il fidanzato italiano non ha una forte identità cristiana si presenterà al consolato per una “falsa” conversione all’islam, che dimenticherà poco dopo il matrimonio, salvo però esporsi a un’accusa di apostasia ove dovesse tornare alla pratica del cristianesimo. In mancanza di conversione dello sposo più o meno fasulla, ci sono oggi sentenze dei nostri tribunali che permettono a donne musulmane straniere di sposarsi in Italia anche senza il nulla osta del Paese di origine. Ma per il loro Paese questo matrimonio è illecito, e se tornano in patria le conseguenze possono essere molto serie. In realtà, in Italia sono più spesso donne cristiane a sposare immigrati musulmani. Non mancano casi di poligamia, i più gravi, perché il matrimonio poligamo per la legge italiana non esiste e la seconda (o terza, o quarta) moglie potrà essere ripudiata senza godere di alcuna tutela giuridica. La Chiesa sa però che anche i matrimoni misti monogamici spesso falliscono. L’uomo musulmano ha difficoltà a rinunciare all’idea del ripudio facile, evidentemente incompatibile con la nozione cattolica di matrimonio, e certamente non accetta che nel percorso educativo ai figli sia proposto il cristianesimo. Ha ragione – per una volta – Tariq Ramadan: il romanticismo non è un sostituto per la prudenza, e i richiami all’amore non bastano a superare una differenza culturale che si rivela nella maggior parte dei casi insormontabile.
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FIGLIO DI LEADER DI HAMAS SI CONVERTE AL CRISTIANESIMO
articolo non firmato
Mus’ab Hassan Yousef, figlio del leader di Hamas in Cisgiordania Sheik Hassan Yousef, ha annunciato in tv la sua conversione al cristianesimo. L’intervista è stata trasmessa dalla televisione araba Al-Hayat il 19 agosto. Mus’ab Hassan Yousef, nato e cresciuto nel villaggio di Bir Zeit, nei pressi di Ramallah, vive attualmente negli Stati Uniti dove ha incontrato il cristianesimo. Nell’intervista racconta la sua infanzia e la sua adolescenza, cresciuto nella più rigida ortodossia nel movimento di Hamas, la sua partecipazione all’Intifada fino all’arresto da parte degli israeliani. Proprio la permanenza in prigione ha aperto gli occhi a Mus’ab Hassan Yousef. Malgrado le torture inflitte dagli israeliani, il giovane palestinese si è reso conto che gli uomini di Hamas tanto idealizzati, erano a loro volta aguzzini del popolo palestinese, al punto da creare “una prigione nella prigione”, torturando e uccidendo altri palestinesi sospettati di collaborare con gli israeliani.
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LA TELECOM ESALTA GANDHI: ECCO INVECE PERCHÉ NOI NON VOGLIAMO UN'EUROPA INDÙ
C'e' anche chi lavora per un'europa indu'
Autore: Alessandra Nucci - Fonte:
Mentre in India continuano le violenze e le intimidazioni contro i cristiani, qui in Europa continua l’opera di mitizzazione dell’induismo e delle religioni orientali. Un esempio clamoroso ci viene dalla pubblicità della Telecom Italia lanciata proprio alla vigilia dell’esplosione di violenza nello stato indiano dell’Orissa. Il 15 agosto infatti Telecom Italia ha acquistato su tutti i maggiori quotidiani una pagina intera di pubblicità per dedicarla a un messaggio del Mahatma Gandhi, in cui si esalta la saggezza orientale e si deplora di converso la rovina provocata al mondo dall'inculturazione del cristianesimo in Occidente. Alcuni dei discorsi di Gandhi sono molto belli e per nulla contrappositivi, ma aver puntato su questo particolare discorso pensando di ottenerne il gradimento dei lettori, e utenti del telefono, la dice lunga sul grado di condizionamento al relativismo culturale cui si ritiene siano giunte le menti dei cristiani in Occidente. Nessuno nega le ingiustizie e violenze perpetrate con somma ipocrisia da molti esponenti delle società di matrice cristiana in cui visse il Mahatma Gandhi. Ma questo non significa che si debba fare di ogni erba un fascio, o che si possa accettare che sul banco degli imputati venga messa indistintamente tutta la storia dell'Occidente cristiano, come fa Gandhi in questo discorso. "Se bisogna cercare la verità, non si trova sul suolo europeo" egli afferma, lapidario. Uno si chiede allora dove mai si trovi questa "verità". Risposta: in India, non nello "splendore" (parola di Gandhi) delle città costruite dagli inglesi ma "in quelle umili case, nel mezzo dei mucchi di letame [dove] troviamo gli umili Bhangis, dove troverete un concentrato di saggezza." E come si riconosce, come si configura questa saggezza? In risposta, Gandhi se la cava con "Questa è una grande domanda" e passa direttamente dai complimenti allo stile di vita dei Bhangi all’elenco dei saggi del mondo asiatico: Zoroastro, Buddha e ... "Chi ha seguito il Buddha? Gesù, di nuovo dall'Asia. Prima di Gesù ci fu Mosè, Mosè che apparteneva anche lui alla Palestina, sebbene fosse nato in Egitto. Poi venne Gesù, poi Mohammad. Tutti loro li tralascio. Tralascio Krishna, tralascio Mahvi, tralascio le altre luci sconosciute in Occidente e al mondo letterario. Non conosco una singola persona che possa uguagliare questi uomini d'Asia." Gesù, dunque, fa sapere la pubblicità di Telecom Italia, era uno dei grandi uomini d'Asia. Gandhi si impadronisce di Gesù, lo relativizza, ponendolo lungo un unico asse cronologico che va senza distinzioni da Zoroastro a Krishna passando per Buddha e Maometto, e attribuisce il suo insegnamento ineguagliabile di amore - amore addirittura per il nemico - a una generica saggezza asiatica, che indica come base ispiratrice in generale della dottrina della non-violenza. Poi però, a quanto pare, tutto questo accumulo di saggezza asiatica, che unisce tutto e il contrario di tutto, a un certo punto è stata conculcato per colpa del cristianesimo. "E poi cosa accadde?" si domanda il Mahatma. Risposta: "Il Cristianesimo, arrivando in Occidente, si è trasfigurato". In negativo, naturalmente. Gandhi riesce a trasformare in colpa perfino quello che nessuno nega sia stato invece un grande vantaggio per l'India, cioè l'avervi diffuso l'inglese: non perché lingua commerciale internazionale, ma perchè senza questa lingua in comune i popoli dell'India, che parlano 30 lingue diverse, oltre a 2000 dialetti, non si sarebbero mai capiti fra loro (tuttora i leader indiani alle platee dove siedano tutte le regioni parlano in inglese e i piani di sostituire l'inglese con l'hindi sono stati di fatto accantonati). Gandhi ammette che "lo splendore che vedete e tutto quello che vi mostrano le città indiane non è la vera India": Ma lo dice con orgoglio, trasformando "splendore" in termine squalificante. Qual è allora la vera India, da cui possiamo imparare? Beh, intanto non è "il massacro che avviene sotto i vostri occhi, mi dispiace, vergognoso come dicevo ieri". Quello lì non è l'India, dice Gandhi, quello "dovete seppellirlo qui. Il ricordo di questo massacro non deve oltrepassare i confini dell'India". Bene, così sappiamo che se un massacro lo perpetrano loro in Oriente l'importante è non parlarne. Ma si può sapere infine che cos'è questa vera India, dove si trova nientemeno che la verità? Si va per esclusione: è quella che non ha "gli orpelli, la polvere da sparo e la bomba atomica dell'Occidente". Massacri sì, ma con armi semplici per favore. E chi saranno mai questi saggi Bhangi depositari della verità, che tutti vorremmo subito conoscere e frequentare? Sono la casta indiana più umile e disprezzata, una sub-divisione dei Dalit, cioè degli intoccabili. Sono la casta a cui la saggia tradizione indiana attribuisce il compito di pulire, essi soli, le latrine e di disporre, essi soli, dei cadaveri e delle carcasse di uomini e animali, compiti che si tramandano ineluttabilmente di padre in figlio. Questa loro condizione gliel'hanno data i loro connazionali, non gliel'hanno data gli inglesi (tantomeno gli americani, che con l'India non c'entrano proprio nulla). Ora, Telecom Italia è azienda privata che ha diritto di spendere come vuole i suoi profitti, come i suoi utenti hanno diritto di decidere di conseguenza dove vogliono allacciare i loro telefoni. Quello che è importante è che ognuno legga con discernimento e non accetti a-criticamente quello che viene glorificato da tutte queste pagine di giornale. Domandiamoci laicamente: possiamo accettare di pensare che la soluzione ai problemi del mondo sia che l'Asia "conquisti l'Occidente" con il "messaggio d'amore", di cui sono depositari i poveri Bhangi, tenuti dal sistema indù nella condizione di reietti? Perché attenzione: il Mahatma non invita a migliorare la loro condizione, ma solo ad ammirarne la saggezza, lasciandoli dove sono. Possiamo pensare che si debba arrivare, di qui, a un "mondo unico" dove imperi una simile saggezza? Il pensiero di Gandhi, infatti, è rivolto a un mondo unico che coincide con il monismo indù. E monismo significa la riduzione di tutto ad UNO. Invito a rilfettere sulle accuse all'Occidente di dualismo, che altro non è che la razionalità che distingue fra opposti: il bene non è male e il nero non è bianco, e così via, per il principio ineludibile di non-contraddizione (i cattolici possono consultare al riguardo - oltre al Vangelo - la Fides et ratio di Giovanni Paolo II) *** Ma attenzione: a sostenere l'universalismo della filosofia orientale ci sta l'ONU che, come annuncia la pubblicità di Telecom Italia, ha istituito la data di nascita di Gandhi come Giornata Internazionale della Non-violenza. Ora, siamo tutti d'accordo sul principio di pace e di non-violenza, non per nulla fu Gesù Cristo a raccomandare di porgere l'altra guancia circa millenovecento anni prima di Gandhi (e gli illuministi vorranno citare il Trattato sulla Tolleranza di Voltaire). Il fatto è però che, specie dopo l'11 settembre, il sentire moderno, istigato dai media e dalle istituzioni internazionali, vorrebbe ridurre al silenzio tutte le religioni, farne un fatto obbligatoriamente privato in quanto tutte considerate foriere di guerra, violenze e sopraffazione. Tutte, all'infuori di una. Stranamente, infatti, l'induismo sembra sfuggire a questo assioma. Come mai? Le ragioni di questa diversa considerazione, di questo valore assoluto riconosciuto implicitamente all'induismo, sono molte, ma la ragione principale è il collegamento che viene fatto fra l'induismo e la non-violenza civile predicata da Gandhi. Il fatto è però che la società induista non è affatto non-violenta. L'India è teatro di violenze e discriminazioni (di cui i cristiani sono fra le principali vittime). I principali partiti politici sono costruiti intorno al nazionalismo e all'intolleranza induista, la società hindi è tuttora divisa in caste e i dalit sono ancora oggetto di discriminazioni. Ai tempi di Gandhi non era diverso da oggi, semmai era peggio, tant'è vero che a ucciderlo fu un purista dell'induismo hindutva. Solo l'esigenza di sottrarsi al dominio britannico spiega come Gandhi potesse additare a pubblico spregio lo sfruttamento dell'Oriente da parte dell'Occidente senza sentirsi in contraddizione con la sua implicita approvazione dell'orrendo sistema delle caste indù. Ma possiamo noi in Occidente accettare a-criticamente il messaggio di Gandhi, attacco unilaterale che presenta tutto il bene da una parte e tutto il male dall'altra? La cultura occidentale cristiana è radicalmente diversa da quella orientale perché onora e protegge l'uomo e incoraggia lo sviluppo, non lo stare fermi, tanto meno il regresso. Per la cultura occidentale l'essere umano deve usare i propri talenti e metterli a disposizione della crescita e dello sviluppo della comunità, altro che saggezza dei poveri Bhangi. Ma se non saremo noi a difendere e trasmettere, fuori dai pregiudizi "multiculturalisti", la storia e la cultura classica, sotto attacco su ogni fronte e con ogni pretesto, non aspettiamoci che lo facciano gli organismi internazionali. Ultimamente la cultura classica è stata indicata come responsabile dello scarso rendimento in matematica e scienze dimostrato di recente dagli studenti italiani. (Da chi? Ad esempio dalla Commissione Berlinguer, istituita dal Ministro Fioroni per favorire lo studio della matematica e delle materie scientifiche). Rendiamoci conto che in realtà è tutto il contrario: la cultura classica, a partire dalla geometria euclidea, è quella che abitua a ragionare anche in termini scientifici, e lo dimostra proprio il nostro Paese che ha consegnato alla storia un'infinità di scienziati (Galvani, Volta, Marconi, Amaldi, Fermi, la scuola di Via Panisperna e oggi Rubbia, Dulbecco e Montalcini, solo per citare quelli che vengono in mente su due piedi - e pure il caso Galileo andrebbe letto bene e fuori dai pregiudizi). Guai dunque a piegarsi all'assolutizzazione del pensiero di Gandhi quale emerge dal brano pubblicizzato da Telecom Italia: relativistico quando si tratta di mettere Gesù Cristo sullo stesso piano di tutti gli altri "saggi d'Asia", ma assolutistico quando si tratta di attaccare l'Occidente ed esaltare la saggezza d'Oriente. Viene da pensare che forse non è un caso se fino a poco tempo fa questo suo discorso si era semplicemente .....perso di vista.
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UNA TRUFFA INTELLETTUALE: L'INCHIESTA DI CORRADO AUGIAS E REMO CACITTI
Autore: Massimo Introvigne - Fonte:
La fede crede che Gesù sia risorto. La scienza sa che Gesù non è risorto, perché i morti non risorgono. La fede crede che i quattro Vangeli ci trasmettano il messaggio di Gesù Cristo. La scienza sa che non è così. La fede crede che la Chiesa ci permetta d’incontrare ancora oggi nella storia Gesù di Nazaret attraverso la continuità dell’istituzione da lui fondata. La scienza sa che Gesù non ha fondato nessuna istituzione, e che la Chiesa come la conosciamo semmai deriva dall’imperatore Costantino. Vecchiume che risale all’Illuminismo, e che riposa su una concezione dogmatica e arrogante di scienza definitivamente decostruita da Adorno e Horkheimer in poi, senza dimenticare la meta-scienza di Popper? Purtroppo no: lo scientismo è un passato che non vuole passare, come conferma un aspirante best seller in cerca di lettori, Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione (Mondadori, Milano 2008), confezionato sulla scia del successo del suo precedente Inchiesta su Gesù dal giornalista Corrado Augias, questa volta con Remo Cacitti, docente di Storia del cristianesimo antico all’Università di Milano. Per quanto nell’anno di grazia 2008 questo possa sembrare un po’ vecchiotto, c’è ancora chi è convinto che si possa opporre alla fede – rappresentata per esempio da Benedetto XVI, oggetto di più di una battutina velenosa, e per definizione infondata e soggettiva – la Scienza storica con un’ideale S maiuscola, che sarebbe invece per definizione oggettiva, universale e certa. Cacitti va addirittura a ripescare dalle brume di uno scientismo anticlericale dimenticato l’archeologo e storico francese Salomon Reinach (1858-1932), che gli fornisce quello che può essere considerato il motto del libro: mentre la fede dice “io credo” la scienza della storia delle religioni, fondata su “fatti certi”, può dire con orgoglio “io so” (p. 265). Una volta entrati in (o per meglio dire, tornati a) questa logica, il gioco è fatto: a chiunque muovesse obiezioni in nome della religione o del semplice buon senso Monsieur le Professeur potrà additare la sua redingote e il suo cilindro accademici e invitare chi non insegna storia all’università a farsi più in là e non disturbare i manovratori. Il problema, dunque, è non entrare in una logica che, dal punto di vista del metodo (e senza volere in alcun modo giudicare le persone o le intenzioni), costituisce un’oggettiva truffa intellettuale. Metodologicamente, infatti, non è in nessun modo accettabile contrapporre “la” scienza alla religione (che poi, nel libro, è sostanzialmente la religione cattolica, oggetto degli strali polemici degli autori). Esistono infatti innumerevoli scuole teologiche e forme di spiritualità, ma da un punto di vista sociologico è possibile parlare in modo sensato di “una” religione cattolica, definita dal magistero della Chiesa e illustrata nel Catechismo. Non è invece possibile parlare quando si tratta del cristianesimo, delle sue origini e di Gesù Cristo di “una” scienza. Anzitutto, ci sono più scienze che si occupano di questi temi: colpisce, per esempio, l’assenza nel testo di qualunque riferimento alla sociologia delle religioni, una scienza il cui più noto esponente statunitense contemporaneo, Rodney Stark, ha dedicato una delle sue opere fondamentali precisamente alle origini del cristianesimo. Inoltre, Cacitti certamente sa benissimo che se si leggono dieci storici delle origini del cristianesimo scelti a caso si troveranno dieci tesi diverse su quasi tutti i punti essenziali, non solo su questioni di dettaglio. Ma soprattutto: in che cosa consiste il metodo storico “scientifico” di Cacitti, di cui si afferma con tanta sicumera la superiorità sul modo con cui si accosta alle origini cristiane Benedetto XVI? Si cita ripetutamente l’intenzione di privilegiare fonti diverse dai Vangeli, tra cui gli storici romani: ma dal momento che queste fonti ci dicono molto poco su Gesù Cristo si torna necessariamente al Nuovo Testamento, sia pure con una spruzzata di testi apocrifi e gnostici. A proposito dei Vangeli e delle lettere di Paolo, si afferma quindi che alcune affermazioni vanno intese come effettivo resoconto di fatti storicamente avvenuti, altre solo come metafore o descrizioni di esperienze spirituali a torto scambiate per realtà storiche o empiriche, altre ancora come affermazioni messe in bocca post factum a Gesù per giustificare interessi o posizioni della Chiesa nascente. Il metodo non è nuovo: il controverso esegeta irlandese, residente negli Stati Uniti, John Dominic Crossan e il suo Jesus Seminar avevano prodotto addirittura un Vangelo “a colori” dove attribuivano colorazioni diverse a quanto, secondo loro, Gesù avrebbe detto per davvero e a quanto sarebbe stato inventato dagli evangelisti. Il problema però è chi e come decide quali parole e fatti attribuiti a Gesù sono autentici e quali sono inventati. Dichiariamo autentici i testi che pensiamo di poter considerare più antichi? Niente affatto: Cacitti riconosce che le affermazioni più chiare sul fatto che Gesù sia fisicamente risorto dai morti sono in testi di san Paolo “vicini all’evento, ovvero databili agli anni Trenta del I secolo” (p. 28). Eppure secondo lo storico italiano è “evidente” che si tratta di “una prospettiva religiosa, non storica” (ibid.). E perché è “evidente”? Cacitti lo dice in modo più sfumato e Augias più brutalmente: perché nel XXI secolo “alla resurrezione dei morti oggi nessuno crederebbe” (p. 72). A parte la solita mancanza di sociologia – uno sguardo alle Indagini mondiali sui valori convincerebbe gli autori che la maggioranza assoluta dei nordamericani e dei sudamericani, e un buon terzo degli europei, crede in pieno XXI secolo che Gesù sia risorto – la formula sembra precisamente quella rimproverata al Jesus Seminar: consideriamo autentici solo gli eventi e gli insegnamenti riportati nei Vangeli che risultano accettabili ai contemporanei, anzi a quella minoranza di contemporanei che segue i dettami dello scientismo. Il criterio spacciato per scientifico e storico in realtà è ideologico e deriva dai nostri pregiudizi. Così le affermazioni sul primato di Pietro e tutto quanto fonda un cristianesimo che non sia puro insegnamento morale sulla povertà e la pace “devono” essere aggiunte posteriori e non possono fare parte dell’insegnamento autentico di Gesù Cristo: il quale, diversamente, assomiglierebbe troppo a quello di Benedetto XVI e darebbe fastidio alla sensibilità liberal degli autori. Che le cose stiano così è confermato dalle incaute incursioni su temi diversi da quelli delle origini cristiane. Per esempio, in tema di apparizioni della Madonna a Fatima, Lourdes e Medjugorje, Cacitti afferma ripetutamente che “non hanno assolutamente nulla di religioso” (p. 149). Poiché nello scientismo non c’è posto per le apparizioni, è evidente che la Madonna non appare. Ma più curiosa ancora è la pretesa di definire che cosa sia “religioso”. Avendo a suo tempo partecipato (unico studioso italiano invitato) al progetto europeo LISOR sulla definizione di religione, penso di avere qualche elemento per dire che, per esempio, nel messaggio di Fatima o nelle parole della Vergine a Lourdes, per tacere dell’esperienza dei fedeli e dei pellegrini nei rispettivi santuari, tutto è religioso secondo una qualunque delle maggiori nozioni di religione utilizzate nella sociologia contemporanea. Anche sul rigore scientifico di Cacitti ci sarebbe poi da ridire, come quando definisce “chierici franchisti” i sacerdoti e religiosi uccisi durante la guerra di Spagna e canonizzati (p. 210: molti di loro non erano certamente “franchisti” e furono uccisi per la loro fede, non per le loro idee politiche) e quando confonde, tra i documenti del Vaticano II, la Nostra Aetate (che non è il testo “che apre alla libertà religiosa”, p. 246) con la Dignitatis humanae. Si passa invece dalla semplice svista alla manifestazione dichiarata del pregiudizio ideologico quando lo storico di Milano attacca “l’oscena strumentalizzazione di certi passi del Corano, operata da truci cristiani, per i quali sarebbe quel testo sacro a fomentare la violenza e il terrorismo islamici”: una posizione che “certo non è vera” (p. 66). Il maggiore sostenitore accademico contemporaneo della tesi secondo cui le giustificazioni di una certa violenza islamica si trovano in alcune sure del Corano, David Cook, il quale offre argomenti molto seri e tutt’altro che facili da smontare, sarà forse “truce” per gli standard di Cacitti, ma certamente non è un cristiano. A suo tempo, in pubbliche interviste, Cacitti difese Il Codice da Vinci come fonte, se non di veri insegnamenti, almeno di valide “intuizioni”. Non dovrebbe quindi prendersela troppo con chi oggi pensa che il suo libro possa fare compagnia a Dan Brown nello scaffale delle fantasie anticattoliche: mentre il cristianesimo, quello vero, rimane un’altra cosa.
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PIO XII SECONDO BENEDETTO XVI: È L'ORA DELLA VERITÀ
Autore: Mimmo Muolo - Fonte:
Pio XII visto da papa Ratzinger è un pontefice di «alto profi¬lo umano e spirituale», ca¬ratterizzato dall’«esemplarità della vita», dalla «saggezza» e dalla «ten¬sione pastorale» che lo hanno gui¬dato «nel suo lungo ministero pa¬storale e in modo particolare nel¬l’organizzazione degli aiuti al po¬polo ebraico». È questo in sintesi il ritratto tracciato ieri da Benedetto XVI, che ha parlato del suo prede¬cessore ricevendo in udienza i par¬tecipanti al simposio promosso dal¬la Pave the Way Foundation proprio sulla figura e l’opera di papa Pacel¬li. Nel discorso, del quale Avvenire pubblica in questa stessa pagina un ampio stralcio, il Pontefice invita ad accostarsi al Papa della Seconda guerra mondiale «senza pregiudizi ideologici» e perciò apprezza l’ope¬razione di raccogliere ed esamina¬re i documenti dai quali risulta in maniera inequivocabile quanto Pio XII si sia adoperato per salvare gli e¬brei perseguitati dai regimi nazista e fascista. Grazie a questi documenti e testimonianze, annota Benedetto XVI, «si apprende che non rispar¬miò sforzi, ovunque fosse possibi¬le, per intervenire direttamente op¬pure attraverso istruzioni impartite a singoli o ad istituzioni della Chie¬sa cattolica in loro favore». Inoltre, prosegue il Pontefice, egli compì «non pochi interventi in modo se¬greto e silenzioso proprio perché te¬nendo conto delle concrete situa¬zioni di quel complesso momento storico, solo in tale maniera era pos¬sibile evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei». L’udienza di ieri e il discorso di pa¬pa Ratzinger, giunti a pochi giorni di distanza dal 50° anniversario della morte di Pio XII (il 9 ottobre 1958 a Castel Gandolfo) rivestono un’im¬portanza particolare per diversi mo¬tivi. Innanzitutto si tratta della pri¬ma volta che Benedetto XVI si sof¬ferma in maniera così approfondi¬ta sulla figura del suo predecessore. Un accenno significativo, in realtà, era giunto venerdì scorso durante la prima giornata del viaggio in Francia. In quella occasione il Pa¬pa, incontrando la comunità ebrai¬ca parigina, aveva citato sia Pio XI, sia Eugenio Pacelli, ricordando co¬me il Pastor Angelicus avesse defi¬nito il periodo del secondo conflit¬to mondiale, con tutte le sue tragi¬che conseguenze, «un’ora di tene¬bre». Un segnale importante (anche per la sede in cui è stato lanciato) della considerazione con cui papa Ratzinger guarda al suo predeces¬sore di oltre mezzo secolo fa. Con il discorso di ieri il Pontefice si è spinto ancora più in là. Facendo ri¬ferimento all’ingente documentazione raccolta dal convegno pro¬mosso da Pave the Way, ha potuto non solo mettere in evidenza «l’in¬faticabile azione pastorale e uma¬nitaria di Pio XII», ma anche di fat¬to smontare il principale argomen¬to di quanti cercano di offuscarne la figura, alimentando nei casi più e¬stremi la 'leggenda nera' del suo presunto antisemitismo e chieden¬do che non si proceda alla beatifi¬cazione. È l’argomento della cosid¬detta 'politica dello struzzo', per u¬sare la famosa espressione che si trova in una lettera del 1942 del¬l’ambasciatore bri¬tannico presso la Santa Sede, sir D’Arcy Osborne. Niente di più errato, ha fatto intendere in pratica Benedetto XVI. Papa Pacelli e¬ra perfettamente a conoscenza delle persecuzioni e non nascondeva certo la testa sotto la sabbia, ma agiva concreta¬mente per salvare quante più vite era possibile. Lo faceva però in segreto, per¬ché nel contesto così delicato di quegli anni infausti, «solo in tale maniera era possibile evitare il peg¬gio e salvare il più gran numero pos-sibile di ebrei». Un secondo punto di grande inte¬resse dell’udienza di ieri è costitui¬ta dal fatto che il simposio è stato promosso da un organismo guida¬to da un ebreo, Gary Krupp, che ha presentato al Pontefice gli altri par¬tecipanti al congresso. Pave the way Foundation è impegnata già da tempo a riscoprire e valorizzare l’a¬zione umanitaria di papa Pacelli per le vittime della guerra e, in partico¬lare per gli ebrei. Il motto dell’orga¬nismo è, infatti, «Pavimentare la strada per la pace [donde il nome della fondazione, ndr], rimuoven¬do gli ostacoli tra le religioni e pro¬muovendo gesti di buona volontà». «Pio XII ha salvato nel mondo più e¬brei di chiunque altro nella storia», ha dichiarato in diverse interviste lo stesso Krupp, presentando l’inizia¬tiva di questo simposio. E spesso si è espresso in termini critici anche nei confronti dei cu¬ratori dello Yad Va¬shem, il museo del¬l’Olocausto di Ge¬rusalemme, che o¬spita dal 2005 una fotografia di Pio XII, la cui didascalia in calce ne definisce per lo meno ambi¬guo il comporta-mento di fronte allo sterminio degli e¬brei. Tra l’altro la di¬dascalia non è stata rimossa neanche in seguito ad una for¬male richiesta di re¬visione. «Bisogna essere imparziali. Solo co¬sì si può giudicare», ha concluso K¬rupp in un’intervista di qualche set¬timana fa. Un auspicio ripreso ieri anche da Benedetto XVI con il suo invito ad evitare «i pregiudizi ideo¬logici», quando si esamina l’opera¬to di papa Pacelli. A cinquant’anni dalla sua morte è tempo di «cono¬scere la verità storica». E con l’ini¬ziativa di Pave the Way è stato fatto un deciso passo avanti.
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PIO XII: ALTO PROFILO UMANO E SPIRITUALE
Autore: Benedetto XVI - Fonte:
Benedetto XVI: «Non risparmiò gli sforzi, ovunque possibile». «Basta ricordare l’incontro che Pio XII ebbe con gli 80 delegati dei campi di concentramento tedeschi, che dopo la guerra in una speciale udienza in Vaticano vollero ringraziarlo di persona».
Quando ci si accosta senza pregiudizi ideologici alla nobile figura di questo Papa, oltre ad essere colpiti dal suo alto profilo umano e spirituale, si rimane conquistati dall’esemplarità della sua vita e dalla straordinaria ricchezza del suo insegnamento. Si apprezza la saggezza umana e la tensione pastorale che lo hanno guidato nel suo lungo ministero e in modo particolare nell’organizzazione degli aiuti al popolo ebraico. Grazie a un vasto materiale documentario da voi raccolto, arricchito da molteplici e autorevoli testimonianze, il vostro simposio offre alla pubblica opinione la possibilità di conoscere meglio e più compiutamente ciò che Pio XII ha promosso e compiuto a favore degli ebrei perseguitati dai regimi nazista e fascista. Si apprende allora che non risparmiò sforzi, ovunque fosse possibile, per intervenire direttamente oppure attraverso istruzioni impartite a singoli o ad istituzioni della Chiesa cattolica in loro favore. Nei lavori del vostro convegno sono stati anche evidenziati i non pochi interventi da lui compiuti in modo segreto e silenzioso proprio perché, tenendo conto delle concrete situazioni di quel complesso momento storico, solo in tale maniera era possibile evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei. Questa sua coraggiosa e paterna dedizione è stata del resto riconosciuta ed apprezzata durante e dopo il tremendo conflitto mondiale da comunità e personalità ebraiche che non mancarono di manifestare la loro gratitudine per quanto il Papa aveva fatto per loro. Basta ricordare l’incontro che Pio XII ebbe, il 29 novembre del 1945, con gli 80 delegati dei campi di concentramento tedeschi, i quali in una speciale udienza loro concessa in Vaticano, vollero ringraziarlo personalmente per la generosità dal Papa dimostrata verso di loro, perseguitati durante il terribile periodo del nazifascismo. Gentili signori e signore, grazie per questa vostra visita e per il lavoro di ricerca che state compiendo. Grazie alla Pave the Way Foundation per la costante azione che dispiega nel favorire i rapporti e il dialogo tra le varie religioni, in modo che esse offrano una testimonianza di pace, di carità e di riconciliazione [...].
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TESTAMENTO BIOLOGICO: L'ERRORE DI CHI DICE OK
Testamento biologico: l’autogol della Conferenza Episcopale
Autore: Mario Palmaro - Fonte: non disponibile, 23 Settembre 2008
La Conferenza episcopale italiana ha ufficialmente "sdoganato" il cosiddetto testamento biologico, chiamato anche living will. Lo ha fatto per voce del suo presidente, il Cardinale Angelo Bagnasco, che ha fra l’altro auspicato l’approvazione da parte del Parlamento italiano di "una legge sul fine vita che – questa l’attesa − riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita, dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell’ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito – fuori da gabbie burocratiche − di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza". Si tratta di una svolta epocale, poiché in tutti questi anni la posizione della Chiesa cattolica sul Testamento biologico è stata sempre molto critica, sia nel merito dello strumento, e sia con riferimento all’abuso del mezzo, utilizzato per introdurre surrettiziamente nell’ordinamento giuridico l’eutanasia. Del resto, è noto che le Conferenze episcopali non sono una fonte magisteriale - che invece è competenza del Santo Padre e della Congregazione per la dottrina della fede – ma strutture territoriali organizzative con una valenza più pastorale e politica. Si tenga presente che all’interno del dibattito bioetico e degli stessi manuali scritti da autori cattolici in questi anni, il giudizio negativo sul Testamento biologico è sempre stato ribadito, pur riconoscendo che in linea di principio le direttive anticipate potrebbero non essere illecite. Verità e Vita condivide da sempre - su basi razionali e logico-giuridiche - questo giudizio negativo sul Testamento Biologico e quindi continuerà a proclamarsi contraria alla sua legalizzazione. Con l’ininterrotta Tradizione della Chiesa di Roma continuiamo a credere nel primato della retta coscienza e nella doverosità di seguirne il dettato, quando intorno a noi si assumano indicazioni che appaiano ingiuste o erronee. Come il Cardinal Henry Newman ripetiamo che "noi brindiamo al Papa, ma prima ancora alla nostra coscienza". A questo comunicato stampa seguirà un altro documento in cui saranno ribaditi gli aspetti negativi del Testamento biologico. Per ora ci limitiamo ad affermare – con rispetto ma anche con convinzione – che quello della Conferenza episcopale è un clamoroso autogol, dettato da motivazioni essenzialmente politiche. I vescovi sembrano sostanzialmente ragionare così: a. Esiste un vuoto normativo sulla materia. b. La maggioranza presente ora in parlamento possa colmare questo vuoto facendo salvi certi principi, meglio di quanto potrebbe in un futuro con una diversa composizione di Camera e Senato. c. Il testamento biologico è uno strumento moralmente neutro, che può essere "riempito" di contenuti positivi e accettabili. Verità e vita non condivide questa analisi, perché: a. Il valore legale delle direttive anticipate è "la linea del Piave" etico giuridico: una volta varcata questa demarcazione, siamo già nel territorio dell’autodeterminazione e della disponibilità del bene della vita da parte del paziente. L’atto medico non è più legittimato dal "bene del paziente", ma dalla "volontà del paziente". Logica vuole che compiuto questo passo si giunga per progressione alla legittimazione dell’atto eutanasico; b. Non esiste oggi un vuoto legislativo, ma un’azione ideologica di parte della Magistratura, che mira proprio a "costringere" il Parlamento a legiferare, e a legiferare in un certo modo; c. Il dibattito parlamentare – condotto sul filo della logica compromissoria bipartisan ("si spera col concorso più ampio" scrivono testualmente i vescovi) - introdurrà certamente concessioni e scivolamenti al terreno eutanasico. d. Ogni testamento biologico conduce all'eutanasia, introduce discriminazioni tra persone, porta a giudicare della qualità della vita e a valutare se la vita è degna o meno di essere vissuta. e. Non si evita l'accanimento terapeutico con il testamento biologico: al contrario questo strumento rende il concetto di accanimento terapeutico del tutto soggettivo, slegato dalla condizione di malato terminale e permetterà ad altri di decidere se quel malato (l'anziano in stato di demenza senile, il giovane in stato vegetativo persistente e così via) è sottoposto a quello che essi ritengono essere accanimento terapeutico. f. Le sciagurate sentenze che legittimano l'uccisione di innocenti come Eluana Englaro necessitano di una sola risposta dal Parlamento: è vietato uccidere, sia il paziente incosciente, sia il paziente consapevole. g. Riconoscere valore alle dichiarazioni anticipate di trattamento che impongono la cessazione di cure non ridurrà affatto l'accanimento terapeutico, ma renderà lecito quello che fino a questo momento è illecito, l'omicidio del consenziente. Anche in questa occasione, Verità e Vita ribadisce la sua linea, che coincide con la sua stessa ragion d’essere: sulla vita non si scende a patti con nessuno. Ci auguriamo che altri vogliano esprimere la propria contrarietà a passi che possono aprire voragini di morte.
Fonte: non disponibile, 23 Settembre 2008
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TESTAMENTO BIOLOGICO: NO, GRAZIE! SENZA SE E SENZA MA
No al testamento biologico. Senza se e senza ma.
Autore: Mario Palmaro - Fonte: non disponibile, 23 Settembre 2008
In questo momento di forte disorientamento dell’opinione pubblica – che vede nel pronunciamento dei vescovi italiani una legittimazione morale del Testamento biologico – Verità e vita ribadisce tutti gli elementi negativi legati al living will: a. Ogni forma di testamento biologico stravolge il rapporto tra medico e paziente, rendendo il medico esecutore delle decisioni altrui. b. Il testamento biologico, anche se redatto in forma inequivocabile, certa ed esplicita non garantisce affatto che chi lo redige o lo firma sia davvero libero, davvero consapevole, davvero informato. c. C’è il serio rischio che questo strumento – in se stesso abbastanza asettico e ambivalente sul piano morale – venga utilizzato come cavallo di Troia per introdurre nell’ordinamento la prassi eutanasica. d. I più strenui fautori del testamento di vita sono i bioeticisti e i circoli politicoculturali che si battono per la legalizzazione dell’eutanasia e. Il testamento biologico è la prosecuzione del processo di “controllo autogestito” della vita avviato dal pensiero illuminista e anticattolico. Basta leggere questo pensiero del bioeticista laico Maurizio Mori: “A mio giudizio c'è un elemento strutturale profondo, legato al fatto che ormai anche il versante più prettamente biologico della nostra vita è entrato nel nostro ambito di decisione. D'altra parte anche da un punto di vista storico questo è un processo ineluttabile. Se pensiamo ai tre grandi cardini della vita sociale -il matrimonio (l'unione, cioè, di due adulti al fine di generare) la nascita (l'apparire, cioè, di un nuovo individuo) e la morte vediamo che la presa di controllo del matrimonio, iniziata con l'illuminismo, è ormai del tutto acquisita con l'introduzione del divorzio e il controllo della trasmissione della vita attraverso la contraccezione, e che ora stiamo arrivando a controllare anche gli altri due momenti: l'ingresso nella vita e la morte. Questo comporterà una completa riorganizzazione della vita sociale”. Verità e Vita non vuol rendersi complice in alcun modo di questo processo, forse ineluttabile. f. Nessun uomo sa veramente prevedere ciò che vuole per sè in un futuro solo immaginato ma mai vissuto; g. Il testamento di vita è uno strumento malvagio o inutile. Possiamo ricondurre l’infinita varietà dei casi clinici a tre categorie di casi emblematici. Il primo: il paziente chiede nel testamento di vita al medico di assumere una condotta che configura una vera e propria eutanasia, cioè una condotta attiva o passiva che contiene in sé l’intenzione di provocare la morte. In questo caso, il medico ha il diritto e soprattutto il dovere di ignorare le direttive anticipate. Il secondo caso: il paziente prescrive ai sanitari di insistere oltre ogni ragionevole limite nel somministrare cure e farmaci, mettendo in atto l’ipotesi dell’accanimento terapeutico. E’ probabile che in simili situazioni il medico ancora una volta si smarchi dalla richiesta del paziente, e applichi le terapie senza inutili insistenze. Terza ipotesi: il paziente chiede al medico di fare esattamente ciò che il medico stesso è chiamato a compiere in ossequio alla sua arte e alla sua retta coscienza. Per cui, anche in assenza del living will, il buon medico avrebbe assicurato al paziente il medesimo trattamento. Mi pare che non siano pensabili altre situazioni. h. Il Testamento biologico serve casomai a nascondere alcuni veri problemi della medicina moderna, tentando di risolverli con l’arma – sempre deleteria – del legalismo e del formalismo contrattuale. Che il medico e il paziente riprendano a dialogare fra loro; che il medico si sforzi di conoscere il malato nella sua complessità di persona, e non di insieme di organi da riparare; che il malato ritorni ad affidarsi al medico con la fiducia di chi si riconosce bisognoso di salute, di quella salus che contiene in sé la radice della parola “salvezza”. i. La figura del “tutore” è, in tal senso, emblematica: si affida a un terzo rappresentante legale la cura degli interessi del malato, quasi che egli avesse necessità, davanti al “tribunale medico” di un avvocato che ne difenda gli interessi. Sottintendendo che gli interessi del medico e della medicina divergono da quelli del paziente e della sua famiglia. j. Il nodo del problema sta qui, al livello del senso più profondo dell’arte medica, nella riscoperta dei contenuti essenziali del Giuramento di Ippocrate. Si tratta di decidere se è possibile una medicina che prescinda da quei precetti, o se invece – come dimostra l’esperienza clinica – non c’è medicina vera se non dentro questo misterioso “patto asimmetrico” che lega il paziente al medico. Il testamento di vita appartiene a una visione contrattualistica del rapporto medico-paziente, dove i pilastri della fiducia e della compassione sono stati rimpiazzati dalla volontà negoziale delle parti e dalla minaccia di salatissime richieste di risarcimento danni. Triste il giorno in cui la medicina avrà accettato di diventare una simile desolata landa senz’anima.
Fonte: non disponibile, 23 Settembre 2008
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IL MANIFESTO: LE MEZZE VERITÀ SU ISRAELE E L'ACQUA AI PALESTINESI
Il Manifesto, la testata che perde la testa quando parla di Israele.
Autore: Yasha Reibman - Fonte:
Il Manifesto, “quotidiano comunista”, è riconosciuto per la grande ironia ed efficacia che contraddistingue le sue prime pagine. Ironia e intelligenza che sembra perdere drammaticamente quando parla di Israele. Qualche giorno fa, titolava “Apartheid dell’acqua”. Un richiamo alla discriminazione razziale contro i neri del regime razzista bianco sudafricano, dove c’erano due categorie di cittadini e le persone di colore non potevano entrare negli stessi locali dei bianchi e nemmeno sedersi vicini a loro sugli autobus. Cosa avrà fatto di così terribile Israele? Lo Stato ebraico è accusato di dare tanta acqua agli israeliani e poca ai palestinesi e di farla pagare a prezzi diversi (ah, il rapporto tra gli ebrei e il denaro!). Questa è pura discriminazione, devono aver pensato alla redazione del Manifesto. E quindi hanno titolato sull’apartheid. Un paragone terribile. Eppure, il redattore responsabile del titolo avrebbe potuto leggersi tutto l’articolo: la quantità di acqua che Israele deve dare ai palestinesi è stabilita dagli accordi di Oslo del 1993, che Israele rispetta. Non solo: lo Stato ebraico fornisce ai palestinesi addirittura più acqua di quella prevista. Inoltre Israele non fa pagare l’acqua in modo diverso ai propri cittadini arabi ed ebrei, non si tratta di una discriminazione tra cittadini di uno stesso Stato. La differenza di prezzo, infatti, Israele la mette in pratica tra i cittadini del proprio Stato e quelli di uno diverso. È come se la Francia vendesse agli italiani la corrente elettrica a un prezzo maggiore di quanto la fa pagare ai cittadini francesi. Dov’è lo scandalo? Il lettore del Manifesto viene dunque ingannato. Sul quotidiano diretto da Gabriele Polo non viene nemmeno proposta una semplice riflessione. Dal 1993 al 2008 la dirigenza palestinese cosa ha fatto per fornire acqua ai palestinesi? Ha costruito a Gaza centrali per desalinizzare l’acqua del mare? Ha ammodernato gli acquedotti per collegarsi meglio a quelli israeliani, giordani o egiziani? Domande purtroppo retoriche, i soldi sono serviti per le armi e gli esplosivi dei terroristi.
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