BastaBugie n�90 del 12 giugno 2009
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4 GIUGNO 1989: VENT'ANNI DOPO TIENANMEN ANCORA VIETATA LA LIBERTA'
Ma non importa a nessuno
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 3 giugno 2009
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4 GIUGNO 1989: VENT'ANNI DOPO TIENANMEN
Ancora persecuzioni per chi chiede liberta'
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 4 giugno 2009
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PERCHE' AUMENTANO I SUICIDI?
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: 9 giugno 2009
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IL PREMIO DEFENSOR FIDEI 2009 DEL MENSILE IL TIMONE COMMENTA I RISULTATI DELLE ELEZIONI INDIANE
Autore: Luca Geronico - Fonte: 24 maggio 2009
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ANALISI IN NOVE PUNTI DELLE REALI ELEZIONI EUROPEE
E non quelle immaginarie di cui parlano i giornali
Autore: Massimo Introvigne - Fonte:
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IL DIFFICILE MESTIERE DEL GENITORE
Raccontato da una mamma vera
Fonte:
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LA GRANDE RIVOLTA DEI SAMURAI CRISTIANI
Questo si' che e' un romanzo da leggere (altro che Angeli e demoni e co.)
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: 3 giugno 2009
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CARI AMICI DI DAN BROWN, GALILEO NON È STATO CONDANNATO PER AVER DIMOSTRATO IL MOVIMENTO DELLA TERRA!
Autore: Carmen Elena Villa - Fonte: 9 giugno 2009
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4 GIUGNO 1989: VENT'ANNI DOPO TIENANMEN ANCORA VIETATA LA LIBERTA'
Ma non importa a nessuno
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 3 giugno 2009
La Pechino di oggi sembra tutta un’altra cosa rispetto alla città che vide il massacro di Tienanmen 20 anni fa. Grattacieli e alberghi modernissimi in acciaio, alluminio e vetro hanno sostituito le grigie costruzioni in stile stalinista; biciclette e tricicli con cui i giovani trasportavano i morti e i feriti sanguinanti sono quasi scomparsi, rimpiazzati da auto di lusso, pullman e metropolitana superveloce. Il Paese è cambiato: rivendica il secondo posto nell’economia globale e se la crisi sta minando i successi degli ultimi due decenni, la Cina rimane comunque la speranza più forte per la ripresa mondiale. I giovani, a causa della censura e del silenzio del regime, non sanno nemmeno che cosa sia accaduto 20 anni fa; gli studenti di oggi studiano e lottano per vincere la concorrenza nella corsa a un posto di lavoro, e hanno dimenticato Tienanmen. Ma proprio questa Cina modernissima e internazionale, nel bene e nel male, è frutto di quel massacro. L’'accelerazione delle riforme', lanciata da Deng Xiaoping nel ’92, è stato il tentativo di far rinascere nella gente la stima per il Partito che aveva ucciso i loro figli. Il tentativo di rendere 'ricchi e gloriosi' i cinesi doveva servire da sedativo, così che il benessere cancellasse il ricordo di quella notte di sangue e il popolo tornasse a onorare l’imperatore garante di stabilità e consumismo. Deng e Jiang Zemin sono arrivati perfino a giustificare il massacro come «un male minore», il prezzo pagato per garantire la «stabilità» e raggiungere lo sviluppo che ne è seguito. Ma, all’indomani di Tienanmen, le adesioni al Partito sono crollate fino al 70% e la gente ha compreso che i 'liberatori' dall’invasione giapponese e i 'timonieri' dell’unità e delle riforme sono soltanto un’oligarchia che domina il popolo a proprio vantaggio. La disillusione verso il regime è andata crescendo. Mentre i leader attuali predicano la «società armoniosa», le dissonanze divengono insostenibili: il divario fra ricchi e poveri (un esercito di circa 900 milioni) ha raggiunto livelli da Terzo mondo; i segretari di Partito e i capivillaggio depredano terre e case di contadini per rivenderle e operare speculazioni edilizie; i migranti che hanno fatto bella la Pechino delle Olimpiadi non hanno salario, né sanità, né istruzione per i propri figli; lo sviluppo selvaggio di questi 20 anni ha reso la Cina il Paese più inquinato della Terra, dove ogni anno muoiono 400mila persone per malattie respiratorie. La nazione di oggi è frutto di quanto il massacro ha fermato. Al Partito che aveva operato le 4 modernizzazioni economiche, i giovani chiedevano la 'quinta modernizzazione', la democrazia, senza di cui la società sarebbe stata ingoiata dalla corruzione e dall’ingiustizia. I continui scandali alimentari (il latte alla melamina), quelli finanziari che coinvolgono pezzi grossi del Partito (a Shanghai, Xiamen, Guangzhou...), quelli delle scuole del Sichuan, crollate nel terremoto come 'budini di tofu' uccidendo 8mila bambini, mostrano che la Cina di oggi è ancora più corrotta di quella dell’89 e continua a produrre massacri. Nonostante ciò, il governo di Pechino mette a tacere gli scandali, annacqua le sentenze e vieta alle vittime di cercare giustizia per vie legali. La Cina di oggi, senza democrazia né libertà di parola, è il frutto incompiuto del movimento di Tienanmen. Ma in questi 20 anni quel movimento si è diffuso in modo capillare, generando una società civile più consapevole: attivisti per i diritti umani, avvocati che difendono i poveri, giornalisti e internauti che diffondo l’informazione negata. La massa di operai sfruttati, di contadini defraudati, di famiglie avvelenate genera ogni giorno un fiume di petizioni, dimostrazioni e richieste che mettono in crisi la stessa capacità di governo del Partito. Secondo il ministero della Sicurezza, vi sono almeno 87mila «incidenti di massa» (scontri fra polizia e manifestanti) ogni anno; le cause di lavoro – per salari non pagati o licenziamenti – nel 2008 sono state un milione. Davanti alle richieste della società civile, il governo-Partito si trova, come ai tempi di Tienanmen, davanti a un crocevia: deve decidere se seguire un sentiero di dialogo e democrazia o la via della repressione. Nessuno degli attivisti cerca oggi di rovesciare il sistema o di condannare il Partito comunista: chiedono giustizia e dialogo all’interno della risicata cornice legale disponibile. Molti di coloro che sollecitano le riforme sono membri del Partito e personalità dell’intellighenzia statale. Eppure, la risposta del regime è la stessa di 20 anni fa: silenzio, arresti, divieti di associazione e di pubblicazione via Internet o sui giornali di riflessioni su scandali, corruzione e democrazia. Nessuno sa fin quando potrà durare questo contenimento fatto di controlli polizieschi e militari. Ma certo un confronto aperto sul massacro di 20 anni fa e il riconoscimento delle colpe aiuterebbe alla riconciliazione. Purtroppo, la Cina sembra dirigersi in modo pericolosissimo verso una ripetizione amplificata di quel massacro. Vale anche la pena mettere in luce il legame fra movimento democratico e libertà religiosa. Nei primi anni dopo l’89, il braccio di ferro fra i dissidenti e il Partito è rimasto troppe volte a livello di rivendicazione economica o di libertà individuale. Ma ormai in Cina si diffonde sempre più una cultura che mette al centro la persona e i suoi diritti inalienabili, rispettando il potere dello Stato, ma criticando la sua dittatura autoritaria. Ciò è avvenuto 'grazie' a Tienanmen: diversi dissidenti, espulsi o imprigionati, hanno avuto contatto con comunità cristiane. Personalità come Gao Zhisheng, Han Dongfang, Hu Jia hanno scoperto la fede quale base del valore assoluto della persona, fondamento della difesa dei diritti umani. Questo innesto fra impegno civile e libertà religiosa è uno dei frutti che fa più sperare per un futuro di giustizia.
Fonte: 3 giugno 2009
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4 GIUGNO 1989: VENT'ANNI DOPO TIENANMEN
Ancora persecuzioni per chi chiede liberta'
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 4 giugno 2009
Anche il governo cinese commemora a suo modo il massacro di Tienanmen: da giorni la piazza teatro dell’eccidio è sotto stretto controllo, polizia in borghese e in uniforme vigila su ogni crocchio, soprattutto se vi sono stranieri o telecamere. In questi giorni le autorità, alla solita censura, hanno aggiunto l’oscuramento del sito Internet Twitter (sul quale molti si scambiano notizie e commenti brevissimi), quello di fotografie online Flick e il provider di posta elettronica Hotmail. Stretto controllo anche nelle università, dove ai responsabili è chiesto di tenere d’occhio studenti e docenti stranieri; i tassisti devono invece segnalare subito alla polizia i clienti sospetti, specie chi vuole andare alla piazza incriminata. Il governo dice spesso che è tempo di andare 'oltre Tienanmen', che ormai tutti hanno rimosso, eppure impiega una spropositata molte di energie per 'far dimenticare' in modo violento, eliminando chi vuol parlare degli eventi di 20 anni fa. Molti protagonisti del movimento di protesta vivono agli arresti domiciliari o sono scomparsi proprio in questi giorni. Il 30 maggio la polizia ha sequestrato e portato verso un luogo sconosciuto Wu Gaoxing, detenuto per due anni dopo aver partecipato alle proteste pro-democrazia del 1989. Di recente, aveva scritto una lettera aperta al presidente Hu Jintao, chiedendo un risarcimento per chi, come lui, è stato imprigionato per anni e ora si ritrova povero, perfino senza assistenza sanitaria. A Ding Zilin, 72 anni, fondatrice delle 'Madri di Tienanmen', il gruppo che ogni anno chiede giustizia per i figli uccisi il 4 giugno, la polizia ha intimato di 'allontanarsi' da Pechino. Lei però si è rifiutata ed ora è sorvegliata a vista, con il telefono tagliato. Sono agli arresti domiciliari anche Chen Xi, attivista per i diritti umani del Guizhou, e Qi Zhiyong, che la notte del massacro, colpito da un proiettile, ha perso una gamba. Il governo non gli ha permesso nemmeno di prendere parte alle Paralimpiadi perché il suo handicap non ricordasse a nessuno quegli eventi. Bao Tong, che per la sua opposizione al massacro ha subito 7 anni di carcere e gli arresti domiciliari perpetui, ha acconsentito a lasciare Pechino fino al 7 giugno. Zhou Duo, già docente di sociologia, che si unì alle proteste degli studenti nell’ 89, è stato invece portato lontano dalla capitale. La polizia impedisce di uscire da casa anche a Zeng Jinyan, moglie del famoso attivista detenuto Hu Jia. E manca da mesi Liu Xiaobo, fra gli ultimi a lasciare piazza Tiananmen 20 anni fa e che lo scorso anno è stato fra gli estensori di 'Carta 08', un appello al governo perché avvii un dialogo sulla democrazia con la popolazione e fermi la corruzione che sta inquinando tutta la società cinese. Tienanmen è una domanda al presente e al futuro della Cina, perché il suo sviluppo sia davvero più 'armonioso' e comprenda non solo il benessere materiale di pochi, ma anche i diritti umani di molti. Lo comprendono molto bene i tanti gruppi nel mondo impegnati a non lasciar passare l’anniversario senza degne celebrazioni: hanno lanciato incontri, veglie, sit-in per ricordare i giovani massacrati e per chiedere alla Cina più rispetto per il suo popolo. Peccato che i governi mondiali (fra cui Stati Uniti e Unione europea), attanagliati dalla crisi economica, abbiano ormai deciso che con Pechino si debba parlare solo di commercio e di valuta, lasciando in disparte quanto 'ci divide': la dignità umana.
Fonte: 4 giugno 2009
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PERCHE' AUMENTANO I SUICIDI?
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: 9 giugno 2009
Una ricerca della clinica San Carlo di Milano (29 maggio 2009) evidenzia una crescita nei tentativi di suicidio tra i giovani. 590 a Milano negli ultimi tre anni. C’è una generazione che non sa soffrire. Ai giovani viene detto in tutte le salse che la vita è un giocattolo, non un compito. Così, quando non è conforme alle aspettative, la si butta. Tanto, dopo c’è solo il sonno eterno (altra cosa che viene detta in tutte le salse). Anche i genitori fanno la loro parte. Se ci sono, è tutto un lavorare per guadagnare i soldi per divertirsi. Il pargolo? Oggi tennis, domani piscina, poi lezione di danza, di pianoforte, di sci… Trousse scolastica firmata, cellulare, paghetta cospicua, palestra, pub, discoteca, motorino… E poiché anche per i genitori la vita è un giocattolo, quando non vanno più d’accordo si separano. Lasciando i figli a mezzadria e usandoli come arma di ricatto o riempiendoli di gadget per cercare di compensare (come se qualcosa potesse compensare la perdita della famiglia). Va da sé che talvolta basta un brutto voto o la rottura con la fidanzatina… Se c’è qualcuno che si salva (e non sempre) è la coppia cattolica credente e praticante con un sacco di marmocchi. Tutti gli altri sono a rischio.
Fonte: 9 giugno 2009
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IL PREMIO DEFENSOR FIDEI 2009 DEL MENSILE IL TIMONE COMMENTA I RISULTATI DELLE ELEZIONI INDIANE
Autore: Luca Geronico - Fonte: 24 maggio 2009
«Ora si può, con qualche ragione, sperare in una amministrazione migliore». È come un lungo sospiro di sollievo quel sorriso con cui padre Thomas Chellan – ieri a Oreno di Vimercate per ritirare il premio «Defensor Fidei» del mensile Il Timone – commenta i risultati delle elezioni indiane e in particolare in Orissa. Un incubo iniziato lo scorso 23 agosto e, che spera, dissoltosi con il voto di metà maggio. Quel giorno le squadracce dei nazionalisti indù si radunarono davanti al centro pastorale di Khadamal che padre Thomas Chellan dirige da anni. Meglio andarsene nonostante la polizia, già in allerta, assicurasse di controllare la situazione. Inutile la fuga nella notte fino alla casa di un amico nel villaggio di Nuagaon, in campagna: padre Thomas viene scovato anche lì e per un giorno intero – nelle mani di 50 fanatici inferociti – seviziato con bastoni, cosparso di cherosene con la minaccia di dare fuoco ai vestiti. Poi, mezzo denudato, fatto inginocchiare in piazza. Un incubo, che ha lasciato segni indelebili sul corpo di questo sacerdote di 57 anni minuto, gentile, e ancora sorprendentemente gioioso. «Si può sperare – spiega – perché il Biju Janata Dal del governatore uscente Navin Patnaik, ha superato nettamente i nazionalisti del Bjp. Patnaik aveva più volte protestato per quanto avvenuto nel distretto di Kandhamal, in Orissa, ma era ostaggio della storica alleanza con il Bjp. E poi, a livello federale, il Congresso ha registrato una massiccia vittoria: penso che gli elettori abbiano voluto difendere in ogni modo la laicità dello Stato contro il fondamentalismo indù. L’India è un grande Paese in cui indù, musulmani, buddisti e cristiani da secoli vivono in pace e vogliono continuare a farlo. Sajan K. George, presidente del Global council of indians christians, ha chiesto al governatore dell’Orissa giustizia per i cristiani. Come concretamente? Per prima cosa bisogna ricostruire un’atmosfera pacifica nei villaggi cristiani: ora si vive nel terrore, nel timore che i vicini di casa si rivelino inaspettati aguzzini. Occorre ricreare una possibile convivenza in primo luogo ristabilendo una amministrazione locale con polizia, ufficiali pubblici. Essere certi che se io non ti attacco tu non mi attacchi. In secondo luogo creare occasioni di dialogo, di confronto, di riconoscimento reciproco. Molti villaggi cristiani nel distretto di Kandhamal sono deserti, le case distrutti, gli abitanti nei campi profughi o fuggiti in altri Stati. Chi è rimasto spesso è costretto a conversioni forzate all’induismo, anche se nell’intimo resta cristiano. In questa situazione noi sacerdoti non riusciamo ad essere presenti, a svolgere il nostro servizio di pastori in queste comunità. Molti però sostengono che in queste elezioni l’estremismo è stato sconfitto. Ne conviene? Non posso affermare che siano stati definitivamente sconfitti perché sono ancora là e il Bjp governa ancora in alcuni Stati indiani. Non sono sconfitti e credo che adesso cercheranno di attuare il loro programma politico agendo come se fossero un partito secolarizzato. A Pasqua l’arcivescovo di Cuttack Bhubaneswar, Rapahel Cheenath, ha rivolto un vigoroso appello in difesa della laicità dello Stato, sempre più a rischio. La più grande democrazia del mondo vede minate le basi della convivenza? In India convivono da sempre culture e religioni diverse: noi viviamo così e non ci sentiamo per questo stranieri. I missionari cristiani potevano andare negli Stati a maggioranza indù senza problema, i rapporti fra le famiglie di religione diversa sono generalmente buone. Chi ha fomentato le violenze? Persone con mire politiche, che vivono segregate dagli altri e istigano gli altri indù: è una minoranza che ha creato questa situazione. Subito dopo l’aggressione ha dichiarato: «Cristo mi sta guarendo: non ho odio né amarezza. Sono pronto a servire chi mi ha colpito». Oggi ripeterebbe queste parole? Il cristianesimo, in India come nell’antica Roma, è nato dalle persecuzioni. Allora non c’erano i media a raccontarle, ma la Chiesa è cresciuta. Padre Thamas Chellan apre un libro e indica la pagina con la lista dei 75 cristiani uccisi fra agosto e dicembre. «Abbiamo imparato che il sangue dei martiri è il seme della Chiesa. Ora mi è stato chiesto di tornare in Kerala, il mio Stato di origine. Ma noi cristiani resteremo in Orissa e non rinunceremo alla fede».
Fonte: 24 maggio 2009
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ANALISI IN NOVE PUNTI DELLE REALI ELEZIONI EUROPEE
E non quelle immaginarie di cui parlano i giornali
Autore: Massimo Introvigne - Fonte:
Mentre il dato amministrativo è come sempre influenzato da fattori squisitamente locali, il risultato delle elezioni europee – posto che, nella campagna elettorale, del Parlamento Europeo si è parlato pochissimo – ha valore principalmente di sondaggio sulla vita politica italiana. Le analisi scientifiche dei dati e dei flussi sono utili, ma richiedono mesi, mentre su sondaggi di questo genere i commenti in Italia di norma sono accolti con attenzione solo se sono fatti subito. Il mio punto di vista non è quello di un politologo ma di un sociologo, abituato a maneggiare numeri, e in particolare di un sociologo delle religioni. Tra religione ed elezioni il rapporto naturalmente è solo indiretto. Ma chi trascura nelle analisi di dati italiani di qualsiasi genere il fattore R – religione –, che pure certamente non è l'unico di cui tenere conto, di solito sbaglia. Propongo dunque alcuni primi commenti. 1. Il sondaggio è solo parzialmente attendibile perché il campione è grande ma non è uniforme. Troppo grande è lo squilibrio fra le percentuali di votanti nelle diverse regioni d’Italia – nelle Isole , per esempio, ha votato il 47,13% contro il 65,04% nazionale –, per cui si tratta tecnicamente di un “campione non omogeneo”, dunque di dubbia rappresentatività. 2. L'astensionismo particolarmente clamoroso in Sicilia colpisce il PDL, che lì perde 10,4 punti di percentuale rispetto alle politiche del 2008. Non è difficile ipotizzare che la spaccatura interna del PDL – con due fazioni contrapposte e litigiose fino all’insulto pubblico – in occasione della recentissima crisi della giunta regionale siciliana abbia contribuito all'esito, ancorché vi siano pure cause strutturali che vanno al di là della Sicilia e riguardano tutto il Sud. 3. Occorre anzitutto sottolineare che la sconfitta del PDL e della coalizione di governo è ampiamente immaginaria. In pendenza della più grave crisi economica degli ultimi ottant’anni, che di solito penalizza gravemente chi è al governo a prescindere dalle sue effettive responsabilità, una coalizione di governo che sfiora il 48% (dovendosi attribuire alla coalizione anche un buon 80% del dato MPA/La Destra, che come vedremo è sostanzialmente un dato MPA) – tra l’altro, sommando appunto l’80% del dato MPA la coalizione avanza, e non arretra, rispetto alle politiche (dal 46,8 del 2008 al 47,24 del 2009) – e un PDL che rimane ampiamente il primo partito in consultazioni diverse da quelle politiche (le quali tradizionalmente sono più favorevoli ai partiti fortemente connotati dalla presenza di un leader) sono dati su cui altrove in Europa e nel mondo chi governa metterebbe la firma. Il dato, in situazione di crisi economica, non permette d’inferire (come sostiene il quotidiano Repubblica) che gli attacchi di magistrati e giornalisti al premier Silvio Berlusconi in relazione a sue vicende personali abbiano effettivamente avuto un’influenza “decisiva”; né è certo – come ipotizzava invece alla vigilia il Corriere della Sera – che abbiano pesato molto vicende relative alla squadra di calcio del Milan, di cui Berlusconi è proprietario, ancorché studi seri su elezioni passate invitino a considerare in Italia i fatti calcistici come sempre più rilevanti di quanto a prima vista si potrebbe pensare. Né si comprende l'esultanza del PD che in un anno dalle politiche alle europee ha perso il 7,1%, un autentico crollo che nessun artificio mediatico riesce a mascherare. Paragonare i risultati effettivi ai sondaggi ha interesse per valutare la qualità dei sondaggisti ma non ha un grande significato politico (se i sondaggi erano sbagliati, non ha senso sostenere che qualcuno “è risalito” o “è sceso” rispetto alle loro cifre), ancorché si possa convenire sul fatto che l’eccessiva insistenza del PDL sui sondaggi durante la campagna elettorale ha contribuito alla percezione distorta del risultato. 4. Contrariamente a quanto hanno subito sostenuto – con notevole eco mediatica – personaggi vicini al presidente della Camera dei Deputati, on.le Gianfranco Fini, il sondaggio elettorale non boccia affatto le posizioni vicine a quelle della Chiesa Cattolica su vita e famiglia. La somma dei voti ottenuti dai partiti che nei programmi o nella maggioranza dei loro parlamentari (sia pure con minoranze di opinione diversa) sui valori non negoziabili (fine vita, unioni omosessuali, scuole non statali) hanno posizioni vicine a quelle della Chiesa – PDL, Lega Nord, UDC, La Destra-MPA – arriva al 54,19% (e più, se si aggiungesse anche il Südtiroler Volkspartei). E resta fuori del Parlamento Europeo il Partito Radicale, il partito-simbolo della posizione contraria. 5. Sempre al contrario di quanto sostengono gli amici dell'on.le Fini, sembra fin da ora evidente, per quanto siano complesse le analisi dei flussi, che voti non più dati al PDL – i quali non sono certo andati al PD – siano passati alla Lega o all'UDC, i quali sui valori non negoziabili hanno posizioni più chiaramente identificate con quelle sostenute dalla Chiesa Cattolica di quelle dello stesso PDL, come mostrano anche alcune specifiche candidature nell’UDC. Pertanto, la lezione da trarre – pur tenendo conto del carattere non completamente rappresentativo del sondaggio – è che l’elettore di centro e di destra gradisce – certamente, non spregia – il richiamo a posizioni chiare in materia di vita e di famiglia. Dunque si potrebbe ipotizzare che siano state, semmai, più le posizioni dell’on.le Fini che quelle di altri esponenti del partito più sensibili al tema dei valori non negoziabili a sottrarre qualche voto al PDL. 6. Ancora, il successo della Lega – in alcune zone d’Italia particolarmente clamoroso – mostra che l’elettorato gradisce i richiami all’identità e a una politica rigorosa in tema d’immigrazione e di contrasto all’estremismo ultra-fondamentalista islamico. La stessa UDC, che – senza trionfare – ha guadagnato il suo punto di percentuale, che non è poco per un piccolo partito, aveva diffuso manifesti con il volto di un suo candidato, il giornalista convertito dall’islam al cattolicesimo Magdi Allam, e la scritta “islamicamente scorretto”. Questi temi – anche qui, contro l’opinione dell’on.le Fini e dei suoi amici – hanno dunque esercitato un forte richiamo sugli elettori. Dal momento che il successo della Lega Nord è più marcato proprio nelle zone d’Italia dove maggiore è l’affluenza alla Messa domenicale, s’impone una riflessione anche alla gerarchia cattolica sul perché le opinioni espresse da alcuni suoi esponenti in materia d’immigrazione e di respingimenti di clandestini non siano state seguite da elettori cattolici che hanno ampiamente votato per la Lega. Senza naturalmente voler sostenere che la gerarchia ecclesiastica debba farsi dettare tempi e agende dagli esiti elettorali, un dialogo fra la gerarchia cattolica e i suoi stessi fedeli – sulla linea delle ultime e più pacate dichiarazioni del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Angelo Bagnasco, del resto già raccolte in questo senso da esponenti del centro-destra come il sottosegretario all’Interno on.le Alfredo Mantovano – dove si esaminino in modo più approfondito i principi in tema d’immigrazione che si ricavano dalla dottrina sociale della Chiesa e si riporti nello stesso tempo con forza l’attenzione sull’identità cattolica del nostro Paese emerge come un contributo urgente e necessario al bene comune dell’Italia. 7. Non va sopravvalutato – anche se va registrato – il successo dell’IDV. Tanto più in consultazioni europee dove non si eleggono governi, partiti che tuonano contro chi è al governo con la modalità dell’insulto raccolgono ovunque in Europa più o meno quanto raccoglie l’IDV in Italia. Il problema non sono i voti dell’IDV, ma chi pensa – illusoriamente – che sia possibile utilizzarli politicamente all’interno di coalizioni, mentre i voti che partono dai vari “Vaffa-Day” (o come altro si chiamano in altri Paesi) sono per loro natura voti “contro” e non “per”. 8. Merita un cenno anche il crollo de La Destra, che in realtà non ha preso il 2,2% come si legge nelle tabelle, ma molto meno. In effetti il 2,2% è il risultato di un 15,64% in Sicilia, di un 3,22% nella circoscrizione Sud e di percentuali inferiori all’1% in tutto il resto d’Italia, con imbarazzanti 0,74% nella città di Roma – roccaforte storica dei suoi dirigenti – e 0,74% a Torino, dove nel 2008 il risultato fu buono e dove non mancavano candidati validi. Appare dunque evidente come il 2,2% vada ampiamente attribuito al MPA e non a La Destra. La caduta – nel Centro-Nord – dal 2,5% del 2008 (senza MPA e altri alleati) allo 0,75% del 2009 è a suo modo il risultato più clamoroso e imprevisto (dai sondaggisti) delle elezioni. A Torino, a Roma e in molte altre località l’alleanza LA Destra - MPA è superata dalla Fiamma Tricolore. Avranno giocato il simbolo (la fiamma tricolore stavolta l’aveva, appunto, la Fiamma Tricolore e non un’alleanza in cui c’era La Destra), l’illegibilità del simbolo della coalizione Storace-Lombardo, l’assenza dell’attivismo televisivo del 2008 dell’on.le Daniela Santanché (nel frattempo passata con il suo movimento al PDL). Ma soprattutto sembrano avere avuto un ruolo le turbolenze della Regione Siciliana che, se hanno giovato in Sicilia (+ 2,9% per l’alleanza La Destra-MPA rispetto ai voti ottenuti separatamente dai due partiti nel 2008), evidentemente non sono piaciute agli elettori de La Destra nel Centro-Nord che non hanno capito né il senso della coalizione elettorale, né il suo progetto politico, né le minacce dell’on.le Lombardo di nuove alleanze alla Regione Siciliana “al di là” del centro-destra. E tutto questo nonostante il fatto che non soltanto La Destra ma lo stesso MPA avessero proposto valori e giudizi storici (per esempio, per esponenti del MPA, in tema di “conquista del Sud” e unità nazionale) consonanti con l’identità e le aspirazioni di una parte significativa della popolazione. 9. Senza dimenticare le riserve quanto al campione utilizzato per questo sondaggio, la lezione che si ricava dalla tornata elettorale europea è che – per chi non si lasci ingannare da “spiriti fini” che vanno a cercare maliziosamente colpevoli di sconfitte in buona parte immaginarie – il richiamo ai valori della vita e della famiglia e all’identità (anche nel contrasto dell’immigrazione clandestina e dell’ultra-fondamentalismo islamico) ha dato buoni risultati: se s’intende continuare a operare in consonanza con le aspirazioni reali degli elettori non va abbandonato ma semmai ulteriormente reiterato e spiegato. Un’analisi di tutte le sfaccettature del sondaggio elettorale mostra però (e questo vale, tra l’altro, per gli elettori e i quadri de La Destra, oggi comprensibilmente preoccupati: ma vale anche per chi nel PDL, illuso dai sondaggi, oggi è deluso) che le soluzioni e le alleanze ad horas difficilmente danno frutti. Gli esiti politici sono sempre preparati da un lungo, faticoso lavoro di studio e di formazione pre-politica, attraverso la riflessione sulla storia, sulla dottrina, sui principi. A questo lavoro pre-politico – alla luce non di alchimie elettorali, ma della dottrina sociale della Chiesa – Alleanza Cattolica offre da sempre il suo contributo. Per i valori non negoziabili, per l’identità e le radici cristiane dell’Europa e dell’Italia, per la maggior gloria di Dio anche sociale.
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IL DIFFICILE MESTIERE DEL GENITORE
Raccontato da una mamma vera
articolo non firmato
Parlo prima di tutto come mamma (quattro figli da uno a dieci anni), poi come professionista che da 11 anni esercita professioni di ruolo a diretto contatto con bambini da zero a 12 anni e a breve eserciterà anche come maestra di scuola primaria ed infine da pedagogista e specializzata in relazioni familiari ed educative alla cattolica di Brescia. Posso essere anche d'accordo sull'analisi di come si è arrivati allo stato di fatto anche se se ne potrebbero fare di molto più approfondite. Il punto è che: noi adulti abbiamo una responsabilità ed un impegno importanti di cui farci carico. Penso che la nostra generazione, in senso allargato (da quella dei quasi trentenni a quella dei sessantenni) abbia bisogno di credere nella dignità della persona umana e della famiglia umana, penso che abbia bisogno di sentirsi capace di educare ritrovando nella propria coscienza valori che le sono insiti. Penso che abbiamo bisogno di smettere di idolatrare altri uomini o particolari tecnologie o particolari stati di benessere o di guadagno o particolari ideologie. Semplicemente dobbiamo scoprire ciò che è inscritto nel cuore di ogni uomo, farlo scoprire ai nostri figli e condividerlo con chi ci sta accanto. Nel cuore di ogni uomo stanno iscritti i dieci comandamenti, consapevolmente o no così è, o almeno noi cattolici diciamo di crederlo. I dieci comandamenti si riassumono nei due comandamenti di Amore...e questo è un linguaggio universalmente comprensibile....per chi lo vuole intendere.. Se ci mostreremo ancora una volta deboli ed insicuri nei confronti di questa fede, allora sarà come vergognarsi di Cristo e la nostra debolezza ed insicurezza si rifletterà sui nostri figli che saranno trascinati dal paganesimo, dall'esoterismo, da altre religioni, dall'edonismo. Se apriamo gli occhi e ci accorgiamo che cosa sta impregnando i testi di studio e le scuole dei nostri figli ci possiamo accorgere molto bene di questa cultura sfacciata che inneggia al ricorso ad incantesimi, che parla sempre più spesso di fortuna e quasi mai di Provvidenza, che si preoccupa soprattutto di trasmettere ai ragazzi l'aspetto giocoso, ludico e relazionale degli apprendimenti, raccomandandosi con le insegnanti che è quello il più importante perché anche se i contenuti diminuiscono non importa... Anche quando sembra mossa dalle migliori intenzioni questa "cultura non cultura" vuole sottilmente rendere i nostri figli orfani dei propri genitori, che finiranno per soccombere dinnanzi al parere di tanti esperti che danno loro anche i consigli che non chiedono. E' una cultura dell'apparenza, del buonismo, dell'ipocrisia, dell'ambientalismo esasperato a scapito dell'uomo cattivo che abita il pianeta, è una cultura in cui il bravo genitore che non passa mai tempo coi propri figli perché deve guadagnare per loro è ampiamente giustificato e pontificato mentre il genitore che si interessa, che si sacrifica per poter avere più tempo da trascorrere coi figli viene considerato come uno che si intromette nel lavoro della scuola, quando invece dovrebbe essere la scuola a mettersi al servizio della famiglia, ma in realtà stiamo vivendo un inizio di dittatura culturale e neanche ce ne accorgiamo. Siamo troppo impegnati a fare conferenze sull'emergenza educazione per accorgerci che le conferenze non bastano, bisogna iniziare a fare scelte scomode, avere il coraggio di dire dei no anche quando risultano impopolari (e non solo coi nostri figli, anche con tutti quegli ex sessantottini che ci troviamo a fianco che non sono mai stati educati ai no), avere il coraggio di intraprendere strade diverse. Io lo sto facendo nel mio piccolo, mi sta costando molto, ma penso che ne valga davvero la pena perché quello che posso trasmettere educando ed istruendo i miei figli ora, finché sono piccoli e hanno bisogno della mia presenza al loro fianco non potrò più farlo per loro tra qualche anno, tra qualche anno loro faranno esperienze autonome e allora forse avranno più bisogno del mio stipendio che della mia presenza, ora invece è il contrario, ma tutto questo ha un prezzo da pagare, soprattutto quando si è in pochi a fare certe scelte e si viene giudicati impopolari o esagerati anche dagli insospettabili. Penso che si faccia molta meno fatica ignorando il problema o parlandone soltanto per lasciarlo invariato o infiocchettarlo di interventi ipocriti, che cercando di affrontarlo, ma appunto voglio contrastare questa non cultura che sta insegnando ai nostri figli che la fatica è una brutta cosa perché "traumatizza" e che secondo me ha lo scopo principale di rendere ignoranti le masse per permettere a qualche elite di casta di manovrarle meglio, ha lo scopo di togliere la vera libertà di pensiero e di opinione perché vuole togliere il senso critico, vuole togliere la speranza di trovare la Verità, vuole rinunciare alla ricerca della Verità per tuffarsi nel piacere. Purtroppo per amara esperienza (e non parlo solo per reazione a situazioni che vivo, ma anche per riflessione su situazioni che non avrei mai immaginato di vivere un giorno) anche tra noi cattolici questa non cultura, non etica e non educazione si sta diffondendo a macchia d'olio. Per la mia parte prego Dio di farmi accorgere quando una di queste erbacce tenta di trovare terreno nel mio cuore...e anche di darmi la forza di estirparla attraverso il conforto dei Suoi Sacramenti, unico che mi permette di superare i miei limiti umani proprio perché è conforto Divino.
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LA GRANDE RIVOLTA DEI SAMURAI CRISTIANI
Questo si' che e' un romanzo da leggere (altro che Angeli e demoni e co.)
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: 3 giugno 2009
Un romanzo straordinario, il racconto di un fatto vero che ha segnato la storia di un paese e della comunità cristiana, un evento epico e commovente, una vicenda che narra l’eroismo di samurai e contadini, che pur di avere la libertà religiosa morirono tutti martiri. “Il crocifisso del samurai”, edito da Rizzoli e scritto da Rino Cammilleri, racconta la grande rivolta dei samurai cristiani di Shimabara avvenuta nel 1637. Quarantamila cristiani giapponesi, donne e bambini compresi, si ribellarono alla persecuzione e si arroccarono nella penisola di Shimabara, nel castello in disuso di Hara. Qui tennero testa per cinque mesi al più grande esercito di samurai che la storia del Giappone avesse mai visto. Nella battaglia finale i cristiani vennero uccisi, migliaia delle loro teste vennero infilzate su pali per terrorizzare chiunque avesse voluto farsi cristiano. L’armata dello Shogun riuscì a stroncare la ribellione, ma al costo di settantamila uomini ben armati e addestrati che morirono combattendo contro contadini e anziani samurai cristiani che pure erano affamati e indeboliti dal freddo, ma saldi nella fede in Gesù Cristo. Per evitare l’onta di non essere riuscito a domare la rivolta il generale giapponese Matsudaira Nobutsuna, offrì ai rivoltosi l’onore delle armi, la dilazione sulle tasse e il perdono, ma questi rifiutarono. L’unica cosa che chiesero era la libertà di professare la religione cristiana. Ma proprio questa libertà era ciò che le autorità giapponesi temevano. Per i due secoli successivi alla rivolta cristiana, il Giappone si isolò dal mondo e perseguitò tutti coloro che si dicevano seguaci di Cristo. Eppure, quando nella seconda metà dell’Ottocento i missionari europei poterono tornare in Giappone, trovarono che i discendenti di quegli antichi cristiani avevano conservato la fede nella clandestinità, tramandandosela di generazione in generazione. Rino Cammilleri, noto giornalista e saggista, ha svolto una intensa ricerca storica per scrivere questo romanzo così avvincente. Cammilleri, che ha trascorso la vita a indagare la storia della cristianità, è autore di rubriche in diverse testate giornalistiche. Ha pubblicato decine di libri, tra cui “I santi di Milano” (Rizzoli 2000), “Gli occhi di Maria” (con Vittorio Messori, Rizzoli 2001) e “Immortale odium” (Rizzoli 2007). PER ANNI LEI HA STUDIATO E RACCONTATO LA STORIA DEL CRISTIANESIMO. COME È ARRIVATO A QUESTA STRUGGENTE STORIA DEI MARTIRI GIAPPONESI? Cammilleri: Chi mi segue sa che mi sono a lungo occupato di sfatare le “leggende nere” che gravano sulla storia della Chiesa. I presunti scheletri nell’armadio del cristianesimo (Inquisizione, Crociate, Galileo, Conquistadores…) ormai li ho revisionati tutti. Ma in tutti questi anni mi sono imbattuto in storie meravigliose che nessuno ha mai raccontato, almeno non col risalto che meritano. Sono storie così avvincenti da superare la fantasia e sono ideali per un romanzo storico, genere al quale i cattolici non si dedicano più da troppo tempo. Ho deciso, allora di farlo io. Col precedente “Immortale odium” (Rizzoli) ho messo in scena il braccio di ferro ottocentesco tra la Chiesa e la Massoneria, prendendo spunto dall’attacco al corteo funebre del b. Pio IX nel 1881. Con questo “Il crocifisso del samurai” (sempre Rizzoli) ho puntato il riflettore sulla grande rivolta di Shimabara, in cui nel 1637 quasi cinquantamila cristiani giapponesi, guidati da samurai cristiani, si immolarono in nome della libertà religiosa e del loro diritto a professare la religione di Cristo. PERCHÉ LE AUTORITÀ GIAPPONESI EBBERO COSÌ PAURA DEL CRISTIANESIMO? Cammilleri: Con la battaglia di Sekigahara del 1600 erano finite le eterne guerre feudali e il clan dei Tokugawa si era imposto su tutto il Giappone, governando di fatto al posto dell’Imperatore. Il cristianesimo, portato da s. Francesco Saverio, era stato dapprima bene accolto e quasi trecentomila giapponesi si erano fatti battezzare. Ma contro di loro “remavano” i bonzi buddisti e i mercanti protestanti, invidiosi della concorrenza spagnola e portoghese. Misero la pulce nell’orecchio allo Shogun (il dittatore): i missionari cattolici erano l’avanguardia dell’invasione spagnola e portoghese. La prova? Il fatto che i cristiani, quando erano messi di fronte alla scelta tra le leggi dello Shogun e quelle di Cristo, preferivano farsi uccidere anziché disobbedire a quest’ultimo. PERCHÉ IL SANGUE DI QUEI MARTIRI SEMBRA AVER GENERATO COSÌ POCO FRUTTO? Cammilleri: Non direi, anzi. Per due secoli, proprio a causa di quella rivolta, il Giappone si chiuse al mondo esterno. Quando i missionari poterono tornare, nella seconda metà dell’Ottocento, trovarono che il cristianesimo era sopravvissuto nelle catacombe, tramandato di padre in figlio. I «cristiani nascosti», sfidando la morte (il cristianesimo sul suolo giapponese ebbe il permesso di esistere solo alla fine del secolo), contattarono il primo missionario e gli fecero addirittura l’esame per vedere se era cattolico o protestante. Non si è mai vista una fedeltà così tenace. L’animo giapponese ha anche questo bellissimo aspetto. NELLA PARTE FINALE DEL ROMANZO LEI RICORDA LA PROFEZIA DI TERTULLIANO SECONDO CUI “IL SANGUE DEI MARTIRI È SEME DI NUOVI CRISTIANI”, MA POI RIFLETTE ANCHE SUL FATTO CHE IN TANTI LUOGHI IL CRISTIANESIMO È STATO SOFFOCATO NEL SANGUE. HA UNA SPIEGAZIONE TEOLOGICA PER QUESTA APPARENTE CONTRADDIZIONE? Cammilleri: No. Io posso basarmi solo sui fatti storici. Nei luoghi dove si è stesa la cappa islamica, per esempio, il cristianesimo è praticamente scomparso. In Giappone la maggior concentrazione di cristiani era nella zona di Nagasaki. Ebbene, proprio a Nagasaki è stata sganciata la seconda bomba atomica. La cristianità nipponica è stata azzerata per due volte. Tutti i beatificati giapponesi sono martiri. Tertulliano aveva sotto gli occhi i cristiani romani. Noi, oggi, abbiamo una visuale più ampia della sua. Non basta impiantare il cristianesimo, occorre difenderlo: questo è quanto la storia ci insegna. In Indocina la persecuzione cessò solo quando intervennero le cannoniere francesi. In Cina, i massacri di cristiani da parte della setta dei Boxers smisero quando le potenze occidentali inviarono corpi di spedizione. OGGI IN GIAPPONE SOLO IL 4% DELLA POPOLAZIONE È CRISTIANO. CREDE CHE LA SITUAZIONE POSSA CAMBIARE E CHE I CRISTIANI POSSANO CRESCERE VERSO CIFRE SIGNIFICATIVE? Cammilleri: Il cristianesimo ha dalla sua, agli occhi degli orientali, il prestigio dell’Occidente. Ma anche la pessima immagine di sé che, sul piano morale, l’Occidente secolarizzato ormai offre. E’ l’Occidente che, nel bene e nel male, dà il “la” all’intero pianeta. E se il sale non riacquista sapore non serve davvero a niente. Se si rievangelizza l’Occidente il resto seguirà. I SAMURAI GIAPPONESI SEMBRANO MOLTO SIMILI AI LEGIONARI ROMANI. CON LA DIFFERENZA CHE I LEGIONARI CHE SI CONVERTIRONO AL CRISTIANESIMO, CHE PURE MORIRONO A MIGLIAIA, GENERARONO CHIESE, DEVOZIONE, ALTRE CONVERSIONI, FINO AD ARRIVARE ALL’IMPERATORE COSTANTINO. COSA È ACCADUTO IN GIAPPONE PERCHÉ LA STORIA SI SVOLGESSE IN MANIERA COSÌ DIVERSA? Cammilleri: Proviamo a immaginare se non ci fosse stato Costantino, se il cristianesimo fosse stato bandito dalle legioni, se si fosse continuato a perseguitarlo con l’efficacia ossessiva di Diocleziano. Le precedenti persecuzioni erano state sporadiche e localizzate. La pressione non fu mai così capillare da impedire alla pianticella di respirare e svilupparsi. Costantino, da buon giardiniere, diede spazio e acqua e concime. Infatti, già con Teodosio, sessant’anni dopo, il cristianesimo era diventato maggioritario nell’Impero. Ma in Giappone non fu così. Il cristianesimo fu perseguitato nei modi più feroci per più di due secoli, e solo esso. Una pausa di settant’anni, poi, come sappiamo, giù una atomica. Tuttavia, oggi c’è un detto in Giappone: quando si commemora il giorno della bomba, «Hiroshima urla, Nagasaki prega». Proteste antiamericane nella prima, composte liturgie nella seconda. Il “piccolo gregge” giapponese ha la pelle dura, e la testa anche di più. PER MOLTI ANNI IL MONDO GIORNALISTICO E LETTERARIO CATTOLICO ITALIANO È STATO IMPEGNATO A RISPONDERE ALLE CALUNNIE E ALLE ALLUSIONI DI DIVERSI SCRITTORI CONTRARI A CRISTO E ALLA CHIESA CATTOLICA. CON QUESTA SUA OPERA COSÌ COME CON IL LIBRO DI ROSA ALBERONI “LA PRIGIONIERA DELL’ABBAZIA” SI PUÒ COMINCIARE A DIRE CHE EMERGE E SI CONSOLIDA UN FILONE DI ROMANZI CHE RUOTANO ATTORNO AI VALORI, ALLE VIRTÙ, ALL’EPOPEA, ALLA STORIA, ALL’EROISMO DEI CRISTIANI? Cammilleri: Le cose emergono se c’è qualcuno che le fa emergere. Spero proprio che si tratti di «filone», perché per il momento mi pare solo una cocciuta iniziativa di pochi. Cocciuta, ho detto, perchè questi combattono non più contro intellettuali avversari ma contro il mercato. Se la gente preferisce comprare libri sui vampiri o sui serial killer, i casi sono due: o i romanzieri cattolici non sono capaci di avvincere e non annoiare, o anche il pubblico cattolico preferisce vampiri e serial killer. In quest’ultimo caso siamo davvero messi male.
Fonte: 3 giugno 2009
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CARI AMICI DI DAN BROWN, GALILEO NON È STATO CONDANNATO PER AVER DIMOSTRATO IL MOVIMENTO DELLA TERRA!
Autore: Carmen Elena Villa - Fonte: 9 giugno 2009
L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha dichiarato l’anno 2009 come Anno dell’astronomia, in occasione della commemorazione del quarto centenario della nascita del telescopio. Perché alcuni dicasteri della Chiesa e alcune istituzioni religiose si uniscono alle celebrazioni dell’Anno dell’astronomia proposto dalle Nazioni Unite? La pubblica opinione in generale manifesta una sorta di “allergia istintiva” ogni volta che si parla del caso della condanna della Chiesa a Galileo Galilei. Viene visto come un “santo laico”, come un “martire della scienza” e la Chiesa come la “grande inquisitrice” di questo genio dell’astronomia. Il caso di Galileo è citato anche nel libro “Angeli e Demoni” di Dan Brown, il cui film è stato lanciato in tutto il mondo lo scorso 13 maggio. Ne parliamo con monsignor Melchor Sánchez de Toca, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura e coautore del libro “Galileo e il Vaticano”, su quei miti storici e sulle verità storiche del processo che la Chiesa ha svolto su questo controverso personaggio. PARLIAMO UN PO’ DELLE LEGGENDE NERE DI GALILEO... Lo scorso 9 maggio stavo dando una conferenza su Galileo a Toledo, in Spagna, ad un pubblico formato principalmente da seminaristi e ricercatori cattolici, ed ho esordito dicendo che molti si sorprendono di scoprire che Galileo non è stato bruciato sul rogo né è stato torturato o messo in prigione. Alla fine della conferenza uno dei partecipanti mi ha detto: “io sono uno di loro, io ho sempre pensato che Galileo fosse morto sul rogo”. La cosa curiosa è che in realtà nessuno gliel’ha detto, né probabilmente l’ha letto da qualche parte. Semplicemente se lo immaginava. Questo dimostra la grande forza di questo mito che è stato costruito intorno a Galileo. Un mito in cui, diceva Giovanni Paolo II, la verità storica è molto lontana dall’immagine che è stata creata successivamente su Galileo. Tutti sono convinti che Galileo è stato maltrattato, condannato, torturato, dichiarato eretico, ma non è così. Per fare un esempio molto recente, il libro di Dan Brown “Angeli e Demoni” contiene un breve dialogo in cui presenta Galileo come membro della setta degli Illuminati, con una serie di errori storici grossolani accanto ad altre cose che sono corrette. POSSIAMO PARLARE DI QUESTI ERRORI STORICI DI “ANGELI E DEMONI” SUL TEMA DI GALILEO? In realtà il libro riflette stereotipi molto diffusi. Il problema di fondo di questo libro è che mescola idee filosofiche ed elementi scientifici. La trama presenta il professore e sacerdote Leonardo Vetra che viene assassinato da una setta poiché ha scoperto il modo per rendere compatibili la fede e la religione. Inoltre, si afferma che la fisica è il vero cammino verso Dio. Il professore sarebbe infatti riuscito, in laboratorio, a creare la materia dal nulla. Questo è concettualmente un assurdo perché fisicamente dal nulla non esce fuori nulla. Si può creare la materia partendo dal vuoto, ma il vuoto non è il nulla. Il vuoto “è”, mentre il nulla “non è”. È un principio filosofico elementare. Secondo questa tesi, la fisica rappresenta un cammino migliore e più sicuro per arrivare a Dio. Poi, riguardo in particolare a Galileo, si ripropone lo stereotipo secondo cui Galileo fu condannato per aver dimostrato il movimento della terra. Non è così. Galileo non ha dimostrato questo. Anzi è proprio questo l’elemento che gli mancava nella sua argomentazione. Galileo diceva, e in questo erano d’accordo anche i suoi accusatori, che non può esserci contraddizione tra il libro della Bibbia e il libro della natura, perché l’uno e l’altro procedono dallo stesso autore. La Bibbia, ispirata da Dio, e la natura ossequiosissima esecutrice dei suoi ordini. Se entrambi hanno lo stesso autore, non può esserci contraddizione. Quando sorge un’apparente contraddizione significa che stiamo leggendo male uno dei due libri. Al riguardo Galileo afferma: “È più facile che siamo noi ad equivocarci nel leggere il libro della Bibbia perché il senso delle parole della Bibbia a volte è recondito e occorre lavorare per tirarlo fuori, che sbagliare a leggere il libro della natura perché la natura non si sbaglia”. Una verità naturale, scientificamente dimostrata, ha una forza maggiore dell’interpretazione che io do del libro della Bibbia. Per questo, dice lui, in presenza di una verità scientifica dimostrata, dovrò correggere il modo di interpretare la Bibbia. La Bibbia non si sbaglia, sono quelli che la interpretano che si sbagliano. Un criterio chiarissimo, condiviso dai suoi giudici e dal mondo intero. D’altra parte, ciò che diceva il Concilio di Trento è che nella lettura della Bibbia bisognava seguire l’interpretazione letterale e il consenso unanime dei suoi padri, a meno che ci fosse una verità dimostrata che ci permettesse di dare una lettura spirituale o allegorica. Il criterio era molto chiaro: ciò che è avvenuto è che Galileo pensò di essere lì lì per dimostrare il movimento della Terra. Ma una cosa è esserne convinto, un’altra è dimostrare che la Terra si muove. E Galileo non ha mai dimostrato che la Terra si muovesse. Era convinto di questo, e oggi sappiamo che aveva ragione, ma i suoi giudici gli dicevano di non capire perché dovessero cambiare il modo di interpretare la Bibbia, senza una prova definitiva e quando il sentire comune affermava il contrario. I giudici adottarono una posizione prudente. Ma Galileo andò oltre. Quale fu l’errore dei giudici di Galileo? Si sarebbero dovuti astenere dalla condanna. COME SI SVOLSE IN REALTÀ IL PROCESSO A GALILEO? Monsignor Sanchez de Toca: In sostanza Galileo fu processato nel 1633 per aver violato una disposizione del 1616. Tale disposizione, a cui Galileo non si attenne, gli vietava di insegnare la teoria copernicana, ovvero la dottrina secondo cui il Sole si trova al centro e la Terra gli ruota attorno. Galileo pensò che il divieto non fosse così rigido, soprattutto dopo l’elezione di Papa Urbano VIII, e pubblicò un libro nel quale, sotto l’apparenza di un dialogo in cui vengono esposte le argomentazioni a favore e contro sia del sistema tolemaico che di quello copernicano, in realtà si celava un’apologia mascherata del sistema copernicano. Ma non fu solo questo, che già era una violazione del divieto che gli era stato imposto. Egli inoltre ottenne in modo fraudolento l’imprimatur, ingannando chi glielo concesse dicendo che era un’esposizione imparziale, mentre non lo era affatto. Per questo motivo fu accusato e quindi sottoposto ad un processo disciplinare. Galileo non fu mai condannato per eresia, né la teoria copernicana fu dichiarata eretica. Semplicemente fu dichiarata contraria alle Scritture, perché sulla base delle prove allora esistenti non era possibile dimostrare il movimento della Terra. Per questo, dire che la Terra si muoveva sembrava andare contro le Scritture. Molto significativo fu che nel 1616 un gruppo di esperti dichiarò che la dottrina secondo cui la Terra si muoveva attorno al Sole era assurda e questo si comprende perfettamente nel contesto dell’epoca, perché era un assunto che non si poteva dimostrare e, in più, il sentire comune diceva che era il Sole che sorgeva e che tramontava. Senza una fisica come quella di Newton, senza una prova ottica del movimento della Terra, la cosa sembrava assurda. Noi siamo cresciuti sin da piccoli vedendo modelli e immagini del sistema solare, ma è un fatto che nessuno ha visto la Terra muoversi attorno al Sole, neanche un astronauta. Abbiamo prove ottiche del movimento della Terra, ma nessuno ha visto la Terra muoversi. Per questo la condanna di Galileo, pur rimanendo esagerata, risponde in realtà ad una logica. E RISPONDE NON SOLTANTO A CIÒ CHE PENSAVA LA CHIESA MA A CIÒ CHE PENSAVA LA SOCIETÀ IN GENERALE... Naturalmente. La teoria copernicana ha trovato una grane opposizione principalmente nelle università. È stata accettata solo in modo molto graduale e l’opposizione non proveniva solo dalla Chiesa cattolica. Anche le Chiese protestanti si opponevano a Copernico. Ancora nel 1670 l’Università di Upsala, in Svezia, ha condannato uno studente perché aveva difeso le tesi copernicane. QUALI FURONO GLI ERRORI COMMESSI DALLA CHIESA NEL PROCESSO A GALILEO E QUALI FURONO LE CONCLUSIONI DEL LAVORO SVOLTO DALLA COMMISSIONE CREATA DA GIOVANNI PAOLO II NEL 1981 PER STUDIARE IL CASO GALILEO? Questo lo ha espresso molto bene il cardinal Poupard nel discorso conclusivo del lavoro di questa Commissione, in cui le sue parole appaiono sottolineate per evidenziare che si tratta della valutazione del cardinale su ciò che avvenne nel passato: “In quella congiuntura storico-culturale – quella di Galileo – molto lontana dalla nostra, i giudici di Galileo, incapaci di distinguere il dato di fede da una cosmologia millenaria, credettero che l’accoglimento della rivoluzione copernicana, che peraltro non era ancora approvata definitivamente, avrebbe potuto rompere la tradizione cattolica e che fosse loro dovere vietarne l’insegnamento. Questo errore soggettivo di giudizio, così chiaro per noi oggi, li ha condotti ad adottare una misura disciplinare a causa della quale Galileo deve aver molto sofferto. È giusto riconoscere questi errori, così come il Santo Padre ha chiesto”. I giudici di Galileo hanno sbagliato dunque non solo perché oggi noi sappiamo che la Terra si muove. Cosa che a quel tempo non era possibile saperlo. Ma d’altra parte la storia dell’umanità è piena di matti che hanno affermato cose sorprendenti, poi rivelatesi false, e di cui oggi nessuno ricorda il nome. Se Galileo avesse proposto una teoria diversa, oggi nessuno si ricorderebbe di lui. Questo fu il primo errore oggettivo. Il cardinal Poupard parla anche di un errore soggettivo. Quale fu questo errore? Di credere di dover vietare un insegnamento scientifico per timore delle conseguenze. Pensarono che permettere l’insegnamento di una dottrina scientifica che non era approvata poteva mettere in pericolo l’edificio della fede cattolica e soprattutto della gente più semplice. E credettero che fosse loro dovere vietare questo insegnamento. Oggi sappiamo che vietare l’insegnamento di una dottrina scientifica è un errore. Non è compito della Chiesa dire se è stata dimostrata scientificamente o meno. Tocca alla scienza. Galileo chiedeva che la Chiesa non condannasse la teoria copernicana, non tanto per timore della propria carriera professionale, quanto perché se si fosse dimostrato in seguito che la Terra ruota intorno al Sole, la Chiesa si sarebbe trovata in una situazione molto difficile e si sarebbe ridicolizzata di fronte ai protestanti e Galileo voleva evitare questo perché era un uomo cattolico sincero. Egli diceva: “Se oggi si condanna come eretica una dottrina scientifica, come è quella secondo cui la Terra si muove attorno al Sole, cosa succederà il giorno in cui la Terra dimostri di muoversi intorno al Sole? Bisognerà dichiarare eretici quindi coloro che sostengono che la Terra sia al centro?”. Questo è ciò che era in gioco, ed è molto più complesso di ciò che solitamente si sente dire. IN COSA CONSISTETTE IL CASTIGO INFLITTO A GALILEO? Si disse che Galileo si era reso veementemente sospetto di eresia, ma non fu mai dichiarato eretico. Gli fu chiesto di abiurare per dissipare ogni dubbio. Galileo abiurò. Disse che non aveva difeso le teorie copernicane. Venne messo all’indice il suo libro “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” e gli venne imposta una “pena salutare” che consisteva nel recitare una volta a settimana i sette salmi penitenziari, che la figlia si offrì di fare in sua vece, e – questo fu la cosa più umiliante – l’obbligo di inviare una copia della sentenza e dell’abiura a tutte le nunziature d’Europa. Fu condannato agli arresti domiciliari. In sostanza la condanna oggettivamente non fu pesante. Non stette in carcere neanche un momento. Per riguardo alla sua fama, alla sua età e alla considerazione che si aveva di lui, fu sempre trattato con grande venerazione. CHI HA INIZIATO A DIFFONDERE LA LEGGENDA NERA SECONDO CUI GALILEO FU BRUCIATO SUL ROGO? Questa è la cosa strana: nessuno l’ha detto ma tutti ne sono convinti. Probabilmente perché si sovrappongono le immagini di Galileo e di Giordano Bruno. In ogni caso, il mito di Galileo nasce con l’Illuminismo, che fa diventare Galileo una sorta di portabandiera del libero pensiero contro l’oscurantismo della Chiesa, un martire della scienza e del progresso. Galileo, e questo è ciò che sorprende molti, non solo non è mai stato né bruciato né torturato, ma è stato in realtà un cattolico e un credente per tutta la vita. Non ha il minimo segno di un libero pensatore. Non è stato un cattolico modello, è vero, e vi sono momenti della sua vita poco edificanti, ma in nessun momento egli ha rinnegato la sua appartenenza alla Chiesa. Anzi, sente il dovere di difenderla dal rischio di esposizione al ridicolo di fronte ai protestanti. Lo dice lui stesso, esagerando come sempre, in una lettera indirizzata ad un nobile francese: “altri possono aver parlato più piamente e più dottamente, ma nessuno è più pieno di zelo per l’onore e la reputazione della Santa Madre Chiesa di ciò che ho scritto io”. Ha un tono esagerato, ma in ogni caso dimostra che ciò è vero. AVEVA DUE FIGLIE SUORE? Ha avuto tre figli, due dei quali femmine. Quando si è trasferito da Padova a Firenze le ha messe in un convento, dovendo chiedere una dispensa perché erano molto giovani. Di una di loro, suor Maria Celeste, si conserva la corrispondenza con il padre, che è veramente ammirevole. Lei era una donna straordinaria, molto intelligente, di una grande perspicacia, una grande scrittrice; esiste un libro che si basa sull’epistolario tra suor Maria e il padre. CI PARLI DEL SUO LIBRO “GALILEO E IL VATICANO”, LA CUI EDIZIONE ITALIANA È STATA PUBBLICATA DI RECENTE. Questa ricerca non è esattamente sul caso Galileo, ma sul modo in cui la Commissione creata da Giovanni Paolo II ha studiato il caso Galileo. Come diceva don Mariano Artigas, il caso Galileo è un culebron (un tormentone) in un senso quasi letterale, che secondo il dizionario indica, oltre che una telenovela lunga e melodrammatica, anche una “storia reale con caratteristiche di un tormentone televisivo, ovvero insolita, strappalacrime, ed estremamente lunga”. La Commissione istituita da Giovanni Paolo II tra il 1981 e 1992 è stata oggetto di forti critiche. Dicono che non sia stata all’altezza delle aspettative di Giovanni Paolo II, che i discorsi conclusivi del cardinale Poupard e del Papa sono stati carenti e molto deboli, che la Chiesa non ha fatto realmente ciò che avrebbe dovuto. Il professor Artigas - l’altro autore del libro, che è morto nel 2006 - ed io abbiamo studiato l’intera documentazione che esiste negli archivi, per vedere esattamente ciò che la Commissione ha fatto e come lo ha lavorato. La nostra opinione è che alcuni elementi sono mancati sin dall’inizio. Mancavano mezzi, voglia di lavorare, ma nonostante tutto, i risultati sono stati buoni: ha consentito l’apertura degli archivi del Sant’Uffizio e ha dimostrato che in realtà non esistono documenti tenuti nascosti. Sono state pubblicate importanti opere di riferimento e credo che questo abbia permesso alla Chiesa di fare una sorta di esame di coscienza. Rileggere il caso Galileo sotto una luce diversa, senza scoprire cose nuove, perché questo è difficile, e fare in modo che la Chiesa nel suo insieme guardi serenamente al caso Galileo senza rancore e senza timore. PERCHÉ, SECONDO LEI, IL CASO GALILEO IRRITA TANTO L’OPINIONE PUBBLICA, AL PUNTO CHE ALCUNI PROFESSORI DELL’UNIVERSITÀ LA SAPIENZA HANNO NEGATO L’INVITO A PAPA BENEDETTO XVI, L’ANNO SCORSO, RICORDANDO UNA CITAZIONE SU GALILEO DA LUI FATTA IN UN DISCORSO PRONUNCIATO PROPRIO A LA SAPIENZA NEL 1990? Perché c’è chi vuole continuare a considerare Galileo una specie di “santo laico”, laico nel senso di anticristiano. Ma in realtà egli è stato un uomo di Chiesa, sebbene con tutte le sue mancanze. Ricordo, che un arcivescovo di Pisa, che era anche astronomo, nel 1922 propose di collocare in Piazza dei Miracoli, la piazza più famosa, quella della Torre di Pisa, una statua dedicata a Galileo. L’amministrazione comunale non lo ha permesso, perché voleva continuare ad avere l’esclusiva sulla figura di Galileo, come se fosse qualcuno che non apparteneva alla Chiesa ma al cosiddetto mondo laico. Allo stesso modo, ogni volta che da parte della Chiesa qualcuno cita Galileo, si scatena una reazione di “allergia istintiva” in questi contesti pseudoscientifici in cui si dice: “come vi permettete di parlare di Galileo, voi che l’avete bruciato”? PERCHÉ IL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA CONSERVA UN’IMMAGINE DI GALILEO NELLA SUA BIBLIOTECA? Proprio perché Galileo è un modello di scienziato credente. Studia il cielo, scopre cose nuove e cerca di integrare le sue nuove conoscenze all’interno della visione cristiana. Si sforza di dimostrare che queste non si pongono in contraddizione con le Scritture, con la Bibbia. Il problema è che l’ha fatto con un entusiasmo così esuberante da suscitare non poca irritazione in altre persone. Senza essere teologo, si era messo in un ambito che era riservato esclusivamente ai teologi. Nell’epoca della Controriforma, che un laico, senza aver svolto studi di teologia, si mettesse ad interpretare la Bibbia per proprio conto, per quanto fosse in sintonia con la Tradizione cattolica, suscitava immediatamente dei sospetti. LEI HA FATTO RIFERIMENTO ALLA CONDOTTA POCO ESEMPLARE DI GALILEO... Non è un mistero che Galileo non fu esattamente un santo. Alcuni addirittura, incentrandosi sulla sua caratteristica di scienziato credente, arrivano persino a chiederne la beatificazione. Non esageriamo... Nella sua vita, Galileo aveva convissuto con Marina Gamba, a Padova, dalla quale ebbe tre figli. Ciò non era particolarmente scandaloso, ma neanche era una cosa ben vista. Inoltre, Galileo aveva un carattere piuttosto irruente, come i grandi geni in generale. Aveva una lingua terribile. Era stato imprudente; si era rivolto alla Compagnia di Gesù, quando era un perfetto sconosciuto. I gesuiti lo accolsero a Roma e avallarono le sue scoperte. Fu un po’ presuntuoso, vanitoso e con un grande ego. Sono difetti che può avere chiunque e che non tolgono nulla alla genialità di Galileo.
Fonte: 9 giugno 2009
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