MA UNA MELA E' UNA MELA, OPPURE NO?
In morale bisogna oggi tornare alla (forse inventata) leggenda che narra che san Tommaso abbia mostrato agli allievi una mela dicendo: ''Questa è una mela. Chi non è d'accordo può uscire''
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: ProVita & Famiglia
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IMMIGRAZIONE FUORI CONTROLLO, IN FRANCIA COSTA 2 MILIARDI L'ANNO
In Italia più del doppio, ma a chi importa? In Francia il rapporto sull'immigrazione clandestina rivela inoltre che il 90% degli ordini di espulsione non ha effetto
Autore: Paola Belletti - Fonte: Sito del Timone
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ORA DI RELIGIONE: LA FEDE IN BALIA DELLE OPINIONI
L'IRC (Insegnamento della Religione Cattolica) nella scuola pubblica è stretto fra il pochissimo tempo a disposizione e l'accondiscendenza verso il mainstream, per non sembrare troppo cattolici
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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HOLYART, L'AMAZON DEGLI ARTICOLI RELIGIOSI
Intervista a Stefano Zanni che dal 2006 ha un fatturato di 15 milioni di euro: 67.000 articoli, 160 Paesi raggiunti, 70 collaboratori (nessuno lavora il sabato e la domenica)
Autore: Paola Belletti - Fonte: Il Timone
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SPIACE, MA... L'INFERNO ESISTE E NON E' VUOTO
Non è lecito pensare o sperare una realtà che non solo non è contenuta nella fede cattolica, ma la contraddice (VIDEO: L'inferno non è vuoto)
Autore: Roberto De Mattei - Fonte: Radio Roma Libera
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SAN PIER DAMIANI E LA DENUNCIA DELL'OMOSESSUALITA'
Eremita di mille anni fa, il suo Liber Gomorrhianus risultò scomodo anche ai papi che erano d'accordo con lui (sentivano la pressione dei chierici sodomiti?)
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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OMELIA V DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 1, 29-39)
Guarì molti che erano affetti da varie malattie
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire
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MA UNA MELA E' UNA MELA, OPPURE NO?
In morale bisogna oggi tornare alla (forse inventata) leggenda che narra che san Tommaso abbia mostrato agli allievi una mela dicendo: ''Questa è una mela. Chi non è d'accordo può uscire''
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: ProVita & Famiglia, 28/01/2024
Tutte le ideologie, compresa quella Lgbt e il femminismo, hanno un minimo comune denominatore: il rifiuto della realtà. Ora, qual è il primo dato di realtà? Che qualcosa c'è, che qualcosa esiste. Il secondo dato inoppugnabile della realtà è il principio di identità: quell'ente - ossia quella particolare cosa che esiste - è l'unico a essere se stesso. Nessun altro ente sarà mai identico a lui, altrimenti sarebbero la stessa cosa e non ci sarebbero più due enti, ma uno solo. Da ciò deriva che quell'ente è diverso da tutti gli altri enti, magari non in tutto, ma di certo in quegli spetti che lo fanno essere unico e irripetibile. Gli altri enti sono dunque a lui irriducibili. Perciò se A = A, non si può dare nello stesso tempo che A = B. Altrimenti si violerebbe il principio di non contraddizione. Un caso palmare di violazione di questo principio è quando una donna vuole essere un uomo dal punto di vista sociale - femminismo - o quando un uomo vuole essere una donna o una donna vuole essere un uomo dal punto di vista fisico e psichico - transessualismo. Queste volontà cozzano con l'identità della persona che, come visto, non può essere altro da sé. E dunque una donna sarà una donna - e dovrà pure comportarsi da donna - e un uomo sarà un uomo - e dovrà pure comportarsi da uomo. Paiono ovvietà, ma sappiamo che viviamo nell'era della post-evidenza.
PRINCIPIO DI IDENTITÀ Come queste due ideologie tentano di scavalcare il principio di identità? (ovviamente senza riuscirci). Il percorso è culturale e fa leva sul concetto di limite. Prendiamo un triangolo disegnato alla lavagna. Perché il triangolo compaia sulla lavagna occorre disegnare con il gesso la forma del triangolo. La forma quindi individua il triangolo, lo fa venire a esistenza sulla superficie della lavagna. E dunque i tre lati del triangolo tra loro uniti sono ciò che rendono quella figura piana un triangolo. Lo limitano, è vero, ma in questa limitazione sta proprio l'identità del triangolo. Lo de-finiscono rendendolo finito e dunque, a rovescio, la sua finitezza lo identifica. Togliete, invece, un lato oppure aggiungetene un altro e non avremo più un triangolo. I lati del triangolo insieme agli angoli sono quindi i confini che distinguono il triangolo da tutto ciò che sta fuori di esso, sono il limes (confine in latino) che separano ontologicamente quel triangolo da tutto ciò che non è quel triangolo. L'ideologia, come visto, odia la realtà e quindi l'identità delle cose perché costituita da limiti. Senza limiti sparirebbe l'identità delle cose e quindi le cose stesse. L'odio verso l'identità degli enti non può che essere odio verso i limiti perché percepiti come costrizioni alla libertà individuale che vorrebbe espandersi senza limiti e vorrebbe la persona diversa da sé: un maschio se femmina, una femmina se maschio, per esempio. Il limite, da elemento che individua la persona, diventa allora nemico della libertà di essere qualcosa di assolutamente diverso da sé. E così se sei nato triangolo vuoi diventare quadrato o cerchio. Come, allora, tentare di compiere il salto da triangolo a cerchio e da uomo a donna o da donna a uomo? Eliminando i limiti. Ecco il così tanto celebrato principio di liquidità. Pensiamo a un contenitore diviso al suo interno da una paratia: a destra avremo un vano con un liquido giallo, a sinistra un vano con liquido blu. Togliamo la paratia, il limite che divide i due vani: i liquidi si mescolano e daranno una colorazione nuova, il verde. Ecco occorre fare lo stesso con l'uomo, portarlo alla confusione dei ruoli, dei sessi, dei valori, delle culture, delle religioni per generare l'uomo nuovo.
SENZA LIMITI, DUNQUE INFINITO, DUNQUE ONNIPOTENTE Occorre allora liquidare i limiti, liquefare la rigidità della forma, abbattere i muri. Superare gli steccati, perché tutti elementi che tarpano le ali della libertà, che comprimono un libero arbitrio che vuole essere senza limiti, dunque infinito, dunque onnipotente (tutte caratteristiche di Dio). È un copione vecchio: occorre superare le classi sociali omologandole tra loro come voleva il comunismo (ma le classi sociali sono di diritto naturale, quindi sono fenomeni in se stessi buoni); fondere le diverse culture (multiculturalismo) e valori (pluralismo); trascendere le differenze tra le varie religioni (cattivo ecumenismo); superare i rigidi dogmi per optare per le flessuose opinioni dettate dalle circostanze (casuistica); eliminare ogni sorta di gerarchia sociale (colpire dunque al cuore il principio di paternità e quindi di autorità: il ruolo dei genitori è uguale a quello dei figli - e così abbiamo i padri che fanno gli amici dei figli; il ruolo dei laici è uguale a quello del clero e la responsabilità dei fedeli è identica a chi governa la Chiesa, sfociando così in un omologante democraticismo decisionale). E dunque è altrettanto necessario sfondare il soffitto di cristallo che divide le donne dagli uomini; contrastare la differenza sessuale (il tanto vituperato binarismo). Non solo quindi è doveroso predicare il salto tra i sessi (applicazione in ambito antropologico del salto darwinista tra una specie e l'altra), ma è altresì doveroso predicare l'assenza di sessi, perché lo stesso sesso - maschile o femminile che sia - è un limite, è una condizione castrante il libero arbitrio. La conclusione doverosa di queste premesse sfocia nel transumanesimo e nel post-umanesimo. Il primo, in buona sostanza, vuole che l'uomo, pur rimanendo uomo, diventi un super-uomo, tanto super da travalicare, in realtà, la propria natura umana e quindi, ancora una volta, diventare altro da sé. Il post-umanesimo si spinge ancor più in là nella lotta al limite e predica una fusione cosmica di tutti gli enti, volendo superare la distinzione tra esseri inanimati, vegetali, animali e persone. Il femminismo e il transessualismo sono quindi punti intermedi di un percorso storico della rivoluzione antropologica che nasce da lontano e tende alla dissoluzione totale dell'esistente. Perché anche l'essere per il fatto di essere è un limite a non-essere. Il traguardo quindi è il nulla, vera condizione di piena potenza e libertà infinita. Chiamasi nichilismo. O delirio.
Fonte: ProVita & Famiglia, 28/01/2024
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IMMIGRAZIONE FUORI CONTROLLO, IN FRANCIA COSTA 2 MILIARDI L'ANNO
In Italia più del doppio, ma a chi importa? In Francia il rapporto sull'immigrazione clandestina rivela inoltre che il 90% degli ordini di espulsione non ha effetto
Autore: Paola Belletti - Fonte: Sito del Timone, 8 gennaio 2024
Sarebbe dovuto uscire il 13 dicembre, ma la sua pubblicazione è stata intenzionalmente differita. Ad ammetterlo Pierre Moscovici, già ministro dell'economia e delle finanze nei due governi Ayrault, e attualmente primo presidente della Corte dei Conti della Repubblica francese. Si tratta del rapporto sull'immigrazione clandestina in Francia, fenomeno contro il quale il governo aveva promesso il pugno di ferro: il ministro dell'Interno Gérald Darmanin sbandierava fieramente l'efficacia della sua gestione degli immigrati clandestini e afferma che il tasso di espulsione degli stranieri delinquenti è aumentato del 30%. Il rapporto che riferisce i numeri del fenomeno migratorio - che si configura oggi come epocale per tutta l'Europa, come ha evidenziato il Timone di novembre (qui per abbonarsi) - è invece un atto di accusa contro l'operato del governo.
TEMPISMI SOSPETTI Darmanin, che non ha potuto far tornare i conti in modo che confermassero la bontà della gestione dell'esecutivo di Macron, ha deciso di non renderli noti nel momento in cui avrebbero potuto pesare maggiormente sul dibattito parlamentare che proprio in quei giorni si stava infiammando, l'11 dicembre infatti l'Assemblea nazionale aveva bocciato il progetto di legge sull'immigrazione: la mozione è stata votata con 270 voti favorevoli contro 265, impedendo di fatto l'approvazione del progetto di legge all'Assemblea nazionale e infliggendo l'ennesima sconfitta politica alla maggioranza di Macron. La proposta di legge era invece passata al Senato francese qualche settimana fa e numerose organizzazioni si erano mobilitate per evitare che il progetto di legge passasse in via definitiva. Il presidente della Corte ha spacciato per rigore morale una omissione, se non una manomissione strumentale a favore del governo in carica (e sotto una fitta grandine di malcontento sociale): si è difeso spiegando che non voleva che "questa pubblicazione interferisse in alcun modo con il dibattito politico". A prendere in considerazione i numeri del rapporto si capisce anche come a pensar male, anche in questo caso, si rischi poco di sbagliare.
CONTROLLI INESISTENTI, RISORSE SCARSE, SPESA ELEVATA Nel pezzo a firma di Hélène de Lauzun l'elenco, seppure sintetico, è impietoso: la gestione delle frontiere è giudicata catastrofica, con controlli di identità praticamente mai effettuati e nessuna informazione seriamente raccolta. Le amministrazioni e i tribunali responsabili delle deportazioni sono totalmente saturi, poiché il numero di ordini di lasciare la Francia (Obligation de Quitter le Territoire Français, o OQTF) emessi è effettivamente aumentato del 60% negli ultimi cinque anni, mentre il numero di personale responsabile del loro trattamento è aumentato solo del 9%. Gli OQTF sono spesso contestati e i tribunali amministrativi non sono in grado di gestire correttamente i casi a causa della mancanza di personale e risorse. Altro limite significativo è la mancanza di applicazione degli ordini di espulsione emessi: solo il 10% diventa effettivo: di sicuro questa sproporzione non rimanda un'immagine di semplice disorganizzazione; ciò che comunica all'opinione pubblica nazionale e internazionale è un senso di inefficacia e perdita di controllo da parte dell'autorità politica. Tra i numeri che l'ex ministro socialista ha preferito tacere il più a lungo possibile spicca senz'altro quello del costo dell'immigrazione clandestina sui bilanci dello Stato: 1,8 miliardi di euro all'anno, essenzialmente a carico del Ministero dell'Interno. Questa cifra sconcertante mina un argomento spesso avanzato dalla sinistra, vale a dire che l'immigrazione ha "arricchito" il paese. E il rapporto della Corte esamina solo il costo dell'immigrazione illegale.
CRISI MIGRATORIE: È ORA CHE LA REALTÀ PREVALGA SULL'IDEOLOGIA Chi segue il fenomeno migratorio francese ed europeo non si è stupito più di tanto di ciò che il documento ha restituito; ciò che ha indignato molti in Francia è stato il comportamento da uomo di partito da parte di un amministratore pubblico che invece ha l'obbligo istituzionale e morale di servire il bene comune in modo imparziale, non schierato. Moscovici ha barato perché temeva che la realtà documentata dal rapporto avrebbe pesato a favore delle linea dura della destra in tema di gestione dei flussi migratori. Un atteggiamento, conclude chi firma il pezzo, emblematico della resistenza dello stato profondo francese a una vera riforma dell'immigrazione. Quanto al nostro Paese, possiamo evidenziare come l'Italia, per gestire il fenomeno migratorio, destini indicativamente 4,6 miliardi di euro (dato del 2018), cifra divisa su diversi ministeri e voci di spesa. Il costo per ogni rimpatrio è di circa 2.400 euro per ogni persona immigrata clandestinamente (in questa cifra convergono costi di polizia, sorveglianza, assistenza e viaggio). Stando ai dati forniti dal Viminale, nei primi sei mesi del 2023 sono stati oltre 54.000 gli immigrati sbarcati in Italia - non vengono considerati di conseguenza quelli arrivati nel nostro Paese via terra attraverso la cosiddetta rotta balcanica - un dato più che doppio rispetto allo stesso periodo del 2022 (21.800) e del 2021 (16.500).
Fonte: Sito del Timone, 8 gennaio 2024
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ORA DI RELIGIONE: LA FEDE IN BALIA DELLE OPINIONI
L'IRC (Insegnamento della Religione Cattolica) nella scuola pubblica è stretto fra il pochissimo tempo a disposizione e l'accondiscendenza verso il mainstream, per non sembrare troppo cattolici
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23 gennaio 2024
In questo periodo dell'anno famiglie e studenti devono scegliere se avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica (IRC). Le diocesi fanno quindi la loro promozione. Talvolta intervengono direttamente i vescovi, altre volte i responsabili degli uffici diocesani e si stampano manifesti che vengono collocati agli ingressi delle chiese parrocchiali. Gli argomenti per convincere sono sempre gli stessi: si esclude che sia un indottrinamento, si precisa che non è catechismo, si conferma che l'approccio deve essere culturale e non confessionale, che il clima è di dialogo, che si vuole dare spazio alle domande dei giovani, che si affronteranno temi di vita concreta, che verrà analizzato il fenomeno religioso in senso lato, che si favorirà una apertura mentale per poter comprendere la storia e la cultura della nazione e così via. Al di là di queste belle parole, l'IRC nella scuola pubblica non è affatto un mondo di rose e fiori. In molti casi gli insegnanti scelgono questa attività in via provvisoria, in attesa di migliori sistemazioni. Qualcuno di loro ha frequentato un Istituto di Scienze Religiose ma molti non hanno una preparazione specifica in campo teologico. La selezione dei docenti avviene da parte del rispettivo ufficio diocesano, che in certi casi procede con criteri poco trasparenti. Il docente, pur se nominato dalla diocesi, deve essere gradito anche al dirigente scolastico, in caso contrario costui può richiederne la rimozione.
1) NON SI PARLA DI RELIGIONE CATTOLICA Ciò crea un certo imbarazzo nel docente che spesso si vede costretto a "compiacere" alle linee educative della dirigenza scolastica della scuola in cui insegna. Il dirigente è avvantaggiato perché le "pratiche", comprese le sostituzioni in caso di assenza, sono a carico della diocesi e non della propria segreteria, ma nello stesso tempo è preoccupato che i docenti in questione non esprimano posizioni di cultura religiosa troppo forti e alternative. Ci sono poi i dirigenti militanti che nell'orario settimanale collocano le ore di religione cattolica nelle posizioni più adatte a disincentivare l'adesione degli studenti. Del resto, con una quarantina di minuti a disposizione alla settimana, togliendo poi le sospensioni o i rimaneggiamenti del calendario per molti motivi, cosa si può riuscire a dire di fondato? Le difficoltà ora accennate non sono comunque le più importanti. Il fatto principale è che alla fine non sembra che l'IRC nella scuola pubblica insegni veramente la religione cattolica. Le ore di questo insegnamento vengono riempite da docenti nel modo più vario. Si parla di tutto e, spesso, senza mai parlare della religione cattolica. Si parla di sessualità e amore, di altre religioni cristiane e non cristiane, di fatti di cronaca, di problematiche morali, di educazione civica, di guerra e pace, di ecologia, di politica, di temi scottanti (sempre quelli) come l'evoluzionismo, le crociate o l'inquisizione, di "nuovi diritti"... Ci sono docenti che preparano un programmino organico, ma altri entrano in classe ed improvvisano, spesso lasciando che gli studenti pongano qualche problema per poi suscitare un dialogo attorno ad esso. Alla varietà dei temi trattati, corrisponde la varietà delle convinzioni teologiche dei docenti che sono cattolici in modo spesso molto diverso tra loro.
2) SI PARLA CONTRO LA RELIGIONE CATTOLICA Va riconosciuto che in molti casi non solo non si parla di religione cattolica, ma si parla anche contro la religione cattolica. I responsabili dei progetti gender nelle scuole statali sono spesso i docenti di religione cattolica, naturalmente senza che l'ufficio diocesano competente abbia nulla da dire. Questo anche perché spesso questi docenti, per avere un "riconoscimento" vero della loro presenza nella scuola, essendo quello di insegnante di religione cattolica piuttosto debole, si impegnano in funzioni di coordinamento didattico. Sta di fatto che non si ha alcuna certezza che questo insegnamento serva alla religione cattolica. Anzi, si può legittimamente temere che, in generale, la danneggi deformandola e adattandola al gradimento degli studenti, riducendola quando va bene ad un confronto di opinioni, una specie di talk-show scolastico. Per essere accettato, l'insegnante di religione deve adattarsi alle campagne per le quali di volta in volta il potere decide di mobilitare gli studenti: ieri la verità per Giulio Regeni, oggi le tesi di Greta Thunberg o il femminicidio. La problematica in questione ha anche a che fare con gli Istituti di Scienze religiose. L'ultimo numero della rivista della Facoltà Teologica del Triveneto Studia Patavina riferisce che in Italia sono circa 10 mila i frequentanti questi Istituti e la maggioranza lo fa in vista dell'IRC nella scuola statale. Se questo insegnamento si riducesse sarebbe un guaio perché gli Istituti di Scienze religiose imploderebbero. Il 10 gennaio scorso il cardinale Zuppi e il ministro Valditara hanno firmato l'accordo per l'immissione in ruolo di cica 6400 insegnanti. La situazione dell'IRC illude la Chiesa italiana di essere efficacemente sul campo quanto a formazione, ma così non è. Essa dipende dallo Stato e dalle ideologie che entrano nella scuola statale. Lo stato di salute di questo insegnamento ci dice che con esso la Chiesa si riduce ad una minoritaria agenzia formativa di una non meglio precisata etica umanisticheggiante. Peccato che non si intravveda alcuna spinta a educare e istruire in proprio.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23 gennaio 2024
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HOLYART, L'AMAZON DEGLI ARTICOLI RELIGIOSI
Intervista a Stefano Zanni che dal 2006 ha un fatturato di 15 milioni di euro: 67.000 articoli, 160 Paesi raggiunti, 70 collaboratori (nessuno lavora il sabato e la domenica)
Autore: Paola Belletti - Fonte: Il Timone, dicembre 2023
Arrivo in anticipo presso la sede di Holyart, una grande e bella struttura che si pianta solida nella campagna reggiana solcata dalla A1. È tutto nuovo, ordinato, vivace come l'approccio delle prime persone che vedo. Mi viene incontro Stefano Zanni, fondatore e Ceo di Pulchranet, di cui Holyart è il brand principale. È un'impresa di e-commerce che dal 2006 distribuisce in tutto il mondo articoli religiosi, con un fatturato di 15 milioni di euro: 160 i Paesi raggiunti dalle consegne, 67.000 gli articoli a catalogo, 70 i collaboratori. Lo seguo nella visita agli spazi, 10.000 metri quadrati tra magazzino semi-automatizzato (con capacità logistica fino a 2.000 pacchi a turno) e uffici, sale meeting, spazi comuni, È il più grande hub logistico di articoli religiosi d'Europa. Dall'autostrada il marchio "si legge" inequivocabilmente, quel little bit di inglese lo conosciamo tutti. In un corridoio a piano terra campeggiano i volti di quelli che Zanni definisce senza soggezione i titolari della serie A dell'economia digitale: Jobs, Musk, Zuckerberg, Bezos, etc; Holyart gioca nello stesso campionato, sebbene con dimensioni non paragonabili. «In questo settore le scorciatoie per evitarsi tanti problemi sono relativamente semplici da imboccare», mi dice pensando anche alla spregiudicatezza dei big, «ma io ho deciso di non prenderle». La decisione dipende dal fatto che, oltre ad essere inaccettabili, possono alla lunga danneggiare la crescita? «La mia decisone di fondo è fare quello che è giusto, del resto non mi devo e non mi voglio preoccupare». Algoritmi, Ai, logistica... cosa può restare del romantico fattore umano in tutto questo? E di cattolico? Le cose, una volta avviate, funzioneranno quasi da sole... «Uno dei fattori principali che ha costruito e consente il successo di Holyart - più 8% nel 2022, e una crescita che prosegue anche dopo la spinta eccezionale del periodo Covid - è il lavoro di descrizione e correzione continua delle schede articolo». Un esempio emblematico? «Ho scoperto che la maggioranza dei sacerdoti, dicendo Messa ogni giorno, sa quante particole contiene una pisside solo prendendola in mano, ma se nella scheda legge il diametro, non gli è utile. Ora, dopo averla testata, indichiamo la capienza, il dato che può portare alla decisione d'acquisto, e lo steso avviene per tutto». Un continuo lavoro di ascolto clienti, dunque... «All'inizio il dialogo è col fornitore, in seguito è soprattutto grazie ai preziosi feedback dei clienti che possiamo migliorare». Siamo al 1° piano. «Se giù ci sono i fuoriclasse da cui prendiamo la carica, qua invece si prende serenità». I volti che costellano questo ambiente in effetti sono un'altra faccenda: Giovanni Bosco, Pio da Petralcina, Piergiorgio Frassati... li ha fatti scegliere ai suoi collaboratori e, tra i ritratti di questi sponsor del successo umano in senso stretto - che cos'è la santità, se non riuscita della nostra vera vocazione? -, c'è un sacerdote non ancora canonizzato a cui deve molto del suo cammino spirituale, don Pietro Margini, fondatore della Familiaris Consortio. «Nel nostro customer care sono tutti madrelingua dell'area che ci interessa. In questo settore è fondamentale la dimensione culturale, che non si riduce alla competenza linguistica. Facciamo il 70% di vendite all'estero, i fornitori sono quasi tutti artigiani del made in Italy». Dopo la grande abbuffata del periodo Covid, c'è stata una contrazione nel mercato digitale, mentre voi avete continuato a crescere. Qual è la ragione principale che giustifica questa tendenza? «Ci siamo concentrati sui clienti già acquisiti. Abbiamo lanciato un servizio premium e fatto investimenti significativi in tecnologia, utilizziamo moduli di Ai e siamo in grado di proporre un cross selling mirato, grazie al milione circa di contatti al mese». Cosa c'entra la fede nel suo modo di fare impresa e soprattutto di trattare le persone? «Ho sempre sognato di fare l'imprenditore, anche grazie all'esperienza vissuta in famiglia, non però come obiettivo ultimo della vita. Piuttosto come mezzo per permettere alle persone di realizzare i progetti che Dio ha su ciascuno; non è una cosa che ostento, non tutti sono credenti, ed è una posizione psicologicamente costosa: bisogna affidarsi a Dio, su certe questioni devi proprio dire "ci penserà Dio".» Per esempio? «Se hai quattro dipendenti e una va in maternità, viene meno il 25% della forza lavoro, è successo tante volte all'inizio. Ma noi abbiamo deciso che si fa festa ogni volta che un collaboratore annuncia l'arrivo di un figlio: accogliamo con gioia e incoraggiamento le nascite anche con un contributo economico, ora intorno ai 2.000 euro». Come riesce a integrare i serrati ritmi aziendali con quelli della maternità e dell'essere genitori? «Da imprenditore discrimino intenzionalmente le persone, perché chi ha una famiglia ha diritti e bisogni in più di chi non ha figli. Usiamo dove è utile lo smart working e definiamo con ogni mamma l'orario più adatto per ogni fase di vita del figlio». Il fatto che lei sia in questo settore è legato al caso fortuito di un residuo di negozio, quello del suo amico e attuale socio, Gabriele Guattieri. Farebbe impresa allo stesso modo se fosse in un altro settore? «È la più bella domanda che mi sia stata fatta su questo tema. Il mio ingresso nel mondo del lavoro è stato da dipendente, settore oleodinamica. In tutte le officine mi imbattevo nella terribile abitudine alla bestemmia, un vero shock, e i poster appesi non erano certo di Jobs o Musk, né di Padre Pio. La testimonianza cristiana nel lavoro è un tema decisivo anche dal punto di vista educativo; pensare che se l'azienda fosse tua allora sarebbe diverso, è un'illusione: chi non ha il coraggio della testimonianza da dipendente, fatica anche da imprenditore». Ha trovato questa difficoltà anche lei? «In realtà no, ma per pura grazia. Non ho scelto di fare l'imprenditore di articoli religiosi, ma si vede che il Signore ha ascoltato le mie preghiere. Se avesse visto che avevo le capacità di vivere il lavoro così anche in un'impresa metalmeccanica, forse avrei fatto quella». Essere credente e imprenditore sono dimensioni che possono correre vicine ma parallele o tra le due c'è un rapporto diverso per lei? «Per me essere un imprenditore è il frutto del desiderio del cuore e della pietà di Nostro Signore nei confronti dei miei limiti. È come se avesse detto: «Non ce la farà mai in un ambiente troppo lontano; facciamo in modo che tutti i giorni venda crocifissi, Madonne e segni concreti che gli ricordino la Mia presenza e aiutino tutti, musulmani, atei, cattolici ad avere uno sguardo diverso sul lavoro". Oggi posso dire che le due dimensioni si sono strettamente incontrate. Fare l'imprenditore è per me una questione anzitutto vocazionale, e lo è diventata per tanti, soci e collaboratori». Quando le scorciatoie immorali non sono facili da riconoscere ed evitate come fa? «Nessun e-commerce sopravvive nel lungo periodo se non sta aperto 7 giorni su 7, h 24, ma noi non lavoriamo il sabato e la domenica». Nessuno? Mai? «Nessuno, salvo rarissime occasioni. Ci sono cose che vengono prima del business, il che non significa che ce ne infischiamo del business, ma che facciamo l'impossibile per stare dentro questo gioco, modificando le regole che non ci piacciono». Tutto questo, che si traduce in valori e clima aziendale, arriva al cliente che riceve un pacco dall'altro capo del globo? «Sì. Come? Perché? Non lo so, ma arriva. Basta legger le recensioni che lasciano i clienti per rendersene conto. Lo stile, l'energia, l'attenzione per il prodotto e il cliente, che passano da come si risponde la telefono e in chat o si prepara l'imballo, entrano nel pacco e quando il cliente lo apre, li trova. Facciamo 15 milioni di fatturato con migliaia di articoli "inutili" che però sono simboli di fede: il contenuto che veicolano va oltre l'oggetto in sé». Quali sono i rapporti importanti che la aiutano a prendere le decisioni? «Tantissimi: do il merito di molte decisioni a incontri provvidenziali con persone competenti. Nel quotidiano mi aiuta il confronto con i collaboratori. Tutto quello che ho vissuto fino ad oggi è illuminato dalla direzione spirituale e dalla preghiera, azienda compresa. Mi conosco, so che sono una persona ambiziosa, e poiché la materia è così delicata la mia preghiera è questa: "Non c'è bisogno che Tu mi dia altra benzina, ne ho fin troppa. Quello che facciamo è più importante per la Chiesa e i cristiani, che non per il valore dell'azienda in sé; nella misura in cui vedi che prende una brutta strada, fermala". Temo poco il fallimento e molto l'essere di scandalo per la Chiesa, i giovani, i bambini. Non avrei questo timore se vendessi borracce».
Fonte: Il Timone, dicembre 2023
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SPIACE, MA... L'INFERNO ESISTE E NON E' VUOTO
Non è lecito pensare o sperare una realtà che non solo non è contenuta nella fede cattolica, ma la contraddice (VIDEO: L'inferno non è vuoto)
Autore: Roberto De Mattei - Fonte: Radio Roma Libera, 21 gennaio 2024
"Quello che dirò non è un dogma di fede ma una cosa mia personale: a me piace pensare l'inferno vuoto, spero sia realtà!". Lo ha detto il 14 gennaio 2024 Papa Francesco in un'intervista al conduttore televisivo Fabio Fazio su Canale Nove. Però ci domandiamo: è lecito sperare una realtà che non solo non è contenuta nella fede cattolica, ma la contraddice? E' infatti verità di fede che l'inferno esiste, e se esiste non è vuoto e non sarà svuotato, come pensavano gli origenisti, secondo cui tutti i dannati, angeli e demoni, alla fine si convertiranno L'inferno è un luogo riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di convertirsi. La pena consiste in un fuoco inestinguibile: un fuoco reale, non metaforico, che si accompagna a quello spirituale della perdita di Dio. E poiché l'anima è immortale, la pena dovuta al peccato mortale senza pentimento, dura quanto dura la vita dell'anima, cioè per sempre, per l'eternità. Questa dottrina è definita dai Concili Lateranense IV, II di Lione, di Firenze e di Trento. L'inferno non indica solo lo stato dei dannati, demoni e uomini morti in peccato mortale, che sono eternamente puniti. Esso indica anche il luogo in cui i dannati si trovano. E sant'Ignazio di Loyola, così spesso citato da papa Francesco, come il suo maestro spirituale, nel quinto dei suoi Esercizi ci invita a fare una cosiddetta "composizione di luogo" sulla realtà dell'inferno.
SANT'IGNAZIO DI LOYOLA, IL FONDATORE DEI GESUITI Questi i punti che, dopo due preludi, sant'Ignazio propone alla nostra meditazione nei suoi Esercizi spirituali: "Il primo preludio è la composizione: qui consiste nel vedere con l'immaginazione l'inferno in tutta la sua lunghezza, larghezza e profondità. Il secondo preludio consiste nel domandare quello che voglio: qui sarà chiedere un'intima conoscenza della pena che soffrono i dannati; così, se per le mie colpe dovessi dimenticarmi dell'amore dell'eterno Signore, almeno il timore delle pene mi aiuti a non cadere in peccato. Seguono poi i punti da meditare. Primo punto: vedo con l'immaginazione le grandi fiamme dell'inferno e le anime come in corpi incandescenti. Secondo punto: ascolto con le orecchie i pianti, le urla, le grida, le bestemmie contro nostro Signore e contro tutti i santi. Terzo punto: odoro con l'olfatto il fumo, lo zolfo, il fetore e il putridume. Quarto punto: assaporo con il gusto cose amare, come le lacrime, la tristezza e il rimorso della coscienza. Quinto punto: palpo con il tatto, come cioè quelle fiamme avvolgono e bruciano le anime. Infine il colloquio. Facendo un colloquio con Cristo nostro Signore, richiamerò alla memoria le anime che sono all'inferno: alcune perché non credettero alla sua venuta; altre perché, pur credendoci, non agirono secondo i suoi comandamenti. Distinguerò tre categorie: La prima, precedentemente alla sua venuta. La seconda, durante la sua vita. La terza, dopo la sua vita in questo mondo. Nel fare questo, lo ringrazierò perché non ha permesso che io fossi in nessuna delle tre categorie, mettendo fine alla mia vita; così pure perché fino ad ora ha sempre avuto per me tanta pietà e misericordia. Terminerò dicendo un Padre nostro."
FATIMA DIXIT Il segreto di Fatima, comunicato dalla Madonna ai tre pastorelli il 13 luglio 1917, si apre con una visione terrificante dell'inferno, che sembra una composizione di luogo ignaziana. Un inferno che viene mostrato come un luogo, non vuoto, ma pieno di anime di dannati: "un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto terra. Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma umana che fluttuavano nell'incendio [ ]". Se non fosse stato per la promessa della Madonna di portarli in cielo, scrive suor Lucia, i veggenti sarebbero morti per l'emozione e la paura. Le parole della Madonna erano tristi e severe: "Avete visto l'inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato". Un anno prima, l'Angelo di Fatima aveva insegnato ai tre pastorelli questa preghiera: "Gesù mio perdonateci le nostre colpe, preservateci dal fuoco dell'inferno, portate in Cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della vostra misericordia". E' celebre il miracolo del padre gesuita Antonio Baldinucci (1665-1717), ricordato nel suo decreto di beatificazione. Il 12 aprile 1706 padre Baldinucci tenne una predica nel paese di Giulianello vicino a Cori. Rivolgendosi ai suoi ascoltatori disse "Sapete mio popolo, come le anime cadono all'inferno? Come da quest'albero cadono le foglie". Appena ebbe pronunciato queste parole, dall'albero sotto cui predicò e che indicò con le sue mani, un olmo, cominciarono a cadere le foglie in tala massa come se nevicasse. La caduta delle foglie, dicono i testimoni, durava così a lungo che nel frattempo si sarebbe potuto pregare quattro volte il Credo. Non era autunno, ma primavera, e nessuna foglia cadde dagli altri olmi, vicini a quello sotto cui predicava. La scena fu talmente impressionante che provocò molte conversioni e cambiamenti di vita. "Tremare al pensiero della dannazione è una grande grazia che si riceve da parte di Dio" afferma il beato Columba Marmion (1858-1923). Il timore dell'inferno ha salvato infatti molte anime. La sua negazione offrirebbe una visione deforme di Dio, misericordioso, ma non giusto. La venerabile Luisa Margherita Claret de la Touche (1868-1915) così si esprime, rivolgendosi al Signore: "No, se non ci fosse l'inferno, mancherebbero tre gemme splendide alla corona delle tue perfezioni, mancherebbero la giustizia, la potenza e la dignità". Suor Josefa Menendez (1890-1923), religiosa del Sacro Cuore, vide molte anime di sacerdoti all'inferno e la Beata Suor Faustina Kowalska (1905-1938), che ebbe la straordinaria esperienza mistica di scendere, guidata da un angelo, negli abissi orridi dell'inferno, racconta di essere stata colpita dal fatto che la maggior parte delle anime che soffrivano all'inferno, erano anime che non credevano all'esistenza dell'inferno o forse, aggiungiamo noi, pensavano che fosse vuoto.
Nota di BastaBugie: nel seguente video dal titolo "L'inferno non è vuoto" (durata: 1 ora) padre Serafino Lanzetta spiega con la Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione della Chiesa che l'inferno esiste, è eterno e non è vuoto.
https://www.youtube.com/watch?v=uYZkEHurfjU
Fonte: Radio Roma Libera, 21 gennaio 2024
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SAN PIER DAMIANI E LA DENUNCIA DELL'OMOSESSUALITA'
Eremita di mille anni fa, il suo Liber Gomorrhianus risultò scomodo anche ai papi che erano d'accordo con lui (sentivano la pressione dei chierici sodomiti?)
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14 gennaio 2024
Un grande santo riformatore, ingiustamente poco conosciuto. Nato a Ravenna nel 1007, morto molto presto il padre e abbandonato dalla madre (anch'essa morirà poco dopo) per l'estrema povertà della famiglia, venne prima allevato da un fratello, che lo trattò molto duramente; quindi fu cresciuto da un altro fratello, l'arciprete Damiano, e avviato allo studio delle arti del trivio e del quadrivio. Divenuto professore, fu profondamente colpito da un episodio, nel quale lesse un monito divino: rifiutata ad un povero un'elemosina, secondo alcuni, o del pane bianco, secondo altri, rischiò di morire soffocato per una lisca conficcatasi nella gola. Decise così di abbracciare la vita solitaria, entrando nell'eremo di Fonte Avellana, monastero camaldolese non molto grande, che fu però fucina di santi (76, secondo la tradizione camaldolese) e di futuri vescovi, importantissimi per la riforma della Chiesa. Pier Damiani fu eletto priore nel 1043 e divenne protagonista di numerose nuove fondazioni, propagando con zelo la vita eremitica quale culmine della vita monastica cenobitica. Ma basta dare un'occhiata alle sue lettere, raccolte in otto volumi nell'Opera omnia, per capire come questo eremita fosse particolarmente attento alle piaghe di cui la Chiesa del suo tempo soffriva, soprattutto la simonia e l'omosessualità nel clero, cercando di denunciare il male, consigliare i pastori, papi inclusi, perché mettessero mano ad una coraggiosa riforma. Per questa ragione, papa Stefano IX (1020-1058) nel 1057 lo nominerà vescovo di Ostia e cardinale; carica che pare abbia accettato solo sotto pena di scomunica e che sopportò per soli dieci anni, ottenendo poi di ritornare alla vita eremitica. Ma facciamo un passo indietro. Con il pontificato di Leone IX (1002-1054), san Pier Damiani iniziava la sua influenza significativa sulla riforma della Chiesa. Due sono gli scritti di denuncia dei peccati del clero, diffusi e gravissimi, con la proposta di una linea più decisa e rigorosa da parte del papa: il Liber Gratissimus del 1052, sulla simonia, e il Liber Gomorrhianus, composto nel 1049, sull'omosessualità negli ecclesiastici. Entrambi gli scritti furono accolti da Leone IX, ma qualcosa nel rapporto tra i due finì presto per incrinarsi. Più tardi, nel 1059, scrisse anche un piccolo libro, il De cælibatu sacerdotum, appunto per esortare papa Nicola II (980 ca - 1061) ad agire contro i prelati che avevano concubine e che violavano la castità propria del loro stato.
LINEA FERMA CONTRO LA SIMONIA E L'OMOSESSUALITÀ Quanto alla prima pubblicazione, Pier Damiani proponeva una linea ferma contro la simonia, ma nello stesso tempo spiegava che le ordinazioni conferite a o da prelati simoniaci erano comunque valide. Sul fronte opposto, il cardinale Umberto da Silva Candida (†1061), nell'Adversus simoniacos, sosteneva invece la necessità di riordinare quanti avevano ricevuto l'ordinazione da vescovi simoniaci. Leone IX appariva fortemente indeciso al riguardo, e fu solo con Nicola II, durante il Sinodo romano del 1060, che si prese la posizione definitiva della non riordinazione. Ma ancora più curiosa appare la gestione di Leone IX riguardo al problema dell'omosessualità. Il Liber Gomorrhianus rappresentava il più forte e chiaro tentativo di colpire al cuore questa piaga presente nel clero, che Pier Damiani chiamava «quadruplice vizio», in riferimento alle quattro modalità concrete con cui la pratica omosessuale si concretizzava, a partire dal peccare con sé stessi, che egli considerava come un primo grado del peccato contro natura, fino all'atto propriamente sodomita. La posizione di Pier Damiani, che pure non intendeva arrogarsi dell'autorità di comminare sanzioni ecclesiastiche, fu molto ferma e decisa non solo per la gravità del peccato contro natura, ma anche e soprattutto per il fatto che veniva commesso da chierici. Dichiarava infatti «contrario alla ragione e alle sanzioni dei Padri» che «quelli che si macchiano abitualmente con questa malattia purulenta osino entrare nell'ordine e rimanere nel loro grado». San Pier Damiani sosteneva dunque che quanti erano abitualmente implicati in qualcuna di queste quadruplici colpe, foss'anche quella non più grave, dovevano essere dimessi dallo stato clericale. Leone IX, nella lettera Ad splendidum nitentis (1054), rispondeva personalmente all'eremita, condividendo la ferma condanna della «sfrenata licenza della fangosa lussuria» e riconoscendo che quanti si sono macchiati di queste colpe sono sempre stati «rimossi da tutti i gradi della chiesa immacolata», a norma dei sacri canoni. Ma, non senza contrariare Pier Damiani, il Papa decise di operare «con maggiore benevolenza», permettendo che fossero reintegrati nel proprio grado dell'ordine sacro quanti, purificati da una «degna penitenza» e dopo aver messo «un freno alla libidine», erano sì rei, «ma con una pratica non lunga né con molte persone» e purché non avessero «peccato nelle terga».
LE PERVERSIONI NEL CLERO Una decisione sicuramente di condanna, ma che lasciava ampi margini di interpretazione, rischiando di fiaccare la lotta contro l'omosessualità attiva nel clero: cosa significava una «pratica non lunga»? E cosa si intendeva con «molte persone»? Che tra i due ci sia stato un certo distanziamento, sembra attestarlo una lettera (cf. PL 144, 208B-209C) scritta tra il 1050 e il 1054; Pier Damiani rimprovera il Papa di aver creduto ad alcune menzogne contro di lui, senza aver voluto verificare i fatti. Chi e per quale ragione abbia diffuso delle falsità a danno dell'eremita non è dato saperlo; e nemmeno sappiamo il contenuto di queste menzogne. Sta di fatto che il pontificato di Leone IX scivolò via, senza troppo ferire quegli ecclesiastici che praticavano l'omosessualità. Ma il Liber Gomorrhianus doveva andare incontro ad una sventura ancora più singolare. Quando, nel 1061, Anselmo da Baggio venne eletto Papa, scegliendo il nome di Alessandro II (+1073), sembrava suonata l'ora per le perversioni nel clero. Anselmo da Baggio era stato, insieme a Pier Damiani, protagonista della riforma della Chiesa di Milano; tra loro c'era comunione di intenti ed amicizia. Inoltre papa Alessandro doveva all'amico una strenua difesa della legittimità della sua elezione contro l'antipapa Onorio II. Anche le sue prese di posizione da pontefice indicavano una volontà di lottare strenuamente contro simonia e nicolaismo. Eppure, in una lettera (cf. PL 144, 270A-272C) indirizzata a due cardinali (tra i quali Ildebrando di Soana, futuro Gregorio VII), Pier Damiani lamentava che il Papa si era fatto prestare la copia, probabilmente l'unica, di un libro a lui caro (che molti identificano proprio con il Liber Gomorrhianus), e non gliela aveva più restituita. In sostanza, un sequestro. Non è difficile pensare che il libro in questione doveva essere molto scomodo e dare fastidio a più d'uno degli ecclesiastici che operavano nella Curia romana. San Pier Damiani non ebbe dunque vita facile proprio sul versante della denuncia dell'omosessualità nel clero. I pontefici erano di certo contrari a questa piaga, ma sembravano approcciarsi alla riforma con il freno a mano. Una certa vaghezza di Leone IX prima, e una probabile volontà di non urtare gli avversari di Pier Damiani da parte di Alessandro II poi, lasciano comprendere che evidentemente il problema era non solo diffuso, ma anche penetrato fin negli uomini più vicini ai papi. I quali evidentemente ne avvertivano la pressione. Il caso di Leone IX è poi particolarmente significativo: dietro a quel suo modo di agire “più umano”, non si può forse vedere il problema molto pratico che, a dimettere dallo stato clericale tutti quelli che si erano macchiati del «quadruplice vizio», ci sarebbero stati non pochi problemi a trovare sufficienti sostituti?
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14 gennaio 2024
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OMELIA V DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 1, 29-39)
Guarì molti che erano affetti da varie malattie
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire
Il fascino di questa pagina evangelica sta principalmente nel fatto che essa ci fa intravvedere, con molta ricchezza di particolari, una intera giornata del Signore Gesù. È una giornata di sabato, ma riesce a darci l'idea di come egli abitualmente viveva, come utilizzava il suo tempo, a quali occupazioni dava la preferenza; e quindi in che modo egli ha creduto di poter lavorare per la salvezza degli uomini. Per capire con esattezza la lezione che ne deriva, dobbiamo ricordare che anche la società del suo tempo aveva grandi mali esteriori e grandi problemi: problemi di ingiustizia sociale (c'erano non solo i poveri e i miserabili, ma perfino gli schiavi); problemi di sopraffazione politica (la terra d'Israele era dominata dagli stranieri); problemi di comportamento di fronte alla vita nazionale (bisognava o no partecipare alla lotta partigiana e alla guerriglia condotta dagli zeloti?). Su questo sfondo sarà più facile cogliere la natura delle scelte e delle preferenze di Gesù. Tutta la mattinata è spesa nella sinagoga a dare l'annuncio, attraverso alla lettura e alla interpretazione della Sacra Scrittura, dell'imminenza del Regno di Dio e della necessità della conversione. Il Signore ritiene che la salvezza degli uomini cominci da qui. Ritiene che di gente che crede di dover odiare in nome della solidarietà di nazione o di classe o di fazione politica; di gente che si fa prepotente in nome della giustizia; di gente che arriva perfino a uccidere per un astratto amore dell'umanità o per l'utopia della futura società perfetta, ce ne è sempre qualcuna di troppo. Gli uomini hanno invece una estrema scarsità della verità, cioè della parola che davvero nutre, illumina, salva. E per preservare la sua totale disponibilità all'annuncio evangelico - insidiata dalle richieste sempre più pressanti di interventi contro la miseria e il dolore - non si ferma a lungo nello stesso posto: Andiamocene altrove... perché io predichi anche là: per questo sono venuto. Finita la fatica della predicazione, Gesù - che non si presenta mai nelle vesti antipatiche del superuomo, fatto di ferro e insensibile alla stanchezza - prende un po' di riposo nella casa ospitale di Simone e di Andrea, dimostrando di accettare e di apprezzare la calda intimità di una famiglia. Ma poiché non c'è casa dove non ci sia qualche pena, anche lì trova una sofferenza e una preoccupazione: qualcuno lì è seriamente malato. Il Salvatore non si sottrae alle suppliche che gli vengono dai legami dell'amicizia, e guarisce la suocera di Simone. Appena arriva il tramonto quella povera casa subisce una specie di assedio. Calato il sole, finiva il riposo del sabato, e tutti potevano trasportare i loro infermi senza violare la legge. E tutta la misera e tormentata esistenza umana - cui sono toccati in sorte "mesi di illusione e notti di dolore" - sembra chiedere aiuto al Figlio di Dio. E Gesù, già stanco della giornata intensa, non si nega, anzi si prodiga per lenire ogni dolore. Non rifiuta la misericordia dei casi singoli con la ragione che bisogna piuttosto trovare la soluzione radicale, cambiando le strutture della società. Finché scende la sera e tutto ritorna in pace. In una giornata così assillata da non lasciar respiro, mancava ancora qualcosa. Mancava il tempo della preghiera silenziosa e solitaria. Gesù trova anche questo tempo, all'alba, quando ancora era buio. Avrebbe potuto dire: "Tutta la mia giornata è una preghiera". Oppure: "La vera preghiera è fare del bene agli altri". Oppure: "Io prego solo quando mi sento". Oppure: "La preghiera consiste nel far comunità con gli altri e avere una forte esperienza di fraternità". O qualcun altro dei molti lampi di insipienza, coi quali sappiamo giustificare l'aridità del nostro cuore e la nostra incapacità di isolarci sul serio dal mondo per entrare in dialogo con l'unico interlocutore veramente necessario, che è il Padre nostro che è nei cieli. Gesù invece si ritirò in un luogo deserto e là pregava.
EVANGELIZZAZIONE, LOTTA CONTRO IL MALE E PREGHIERA SONO I PILASTRI DELLA VITA CRISTIANA Questa era la giornata di Gesù, la giornata dell'unico Salvatore del mondo, tutta presa dall'annuncio del Regno e dell'amore del Padre; dalla semplicità del colloquio tra amici all'interno di una casa, dall'azione di misericordia verso tutte le pene degli uomini che concretamente gli venivano vicino, dalla preghiera segreta e appassionata, lontano dal chiasso degli uomini e dalle chiacchiere della gente; chiacchiere che, anche quando sono stampate sui giornali e sulle riviste, sempre chiacchiere sono. Se vogliamo adesso tentare di cogliere la logica interiore dell'azione salvifica di Cristo, che abbiamo visto dispiegarsi lungo le ventiquattro ore di un giorno, possiamo forse dire così. Tutto comincia con l'annuncio e l'insegnamento della verità; non con il confronto dei pareri e l'ascolto delle opinioni, ma con una dottrina nuova con potenza, come dice Marco. Questa irruzione di una luce dall'alto, che è la divina Rivelazione accolta nella fede, è l'unica vera novità nella storia del pensiero umano, che di solito è storia di errori ripetuti e di annebbiamenti ritornanti. Questa luce però non è un fatto puramente teoretico o speculativo, ma è radice, premessa, avvio di un cambiamento della realtà totale. Ma perché questo rinnovamento possa avvenire, deve essere sconfitto e spossessato il principe di questo mondo, che è il diavolo. Scacciò i demoni, è l'annotazione su cui più si insiste in questa pagina di vangelo. È una lotta senza quartiere; dai demoni Gesù non accetta neppure il favore di una testimonianza: Non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano. Dimenticare che questa lotta esiste, che è ancora in corso, che ci coinvolge tutti, è una grave infedeltà al messaggio di Cristo. Come segno e primizia della vittoria sul demonio, dal quale sono venuti tutti i mali dell'uomo anche fisici, Gesù moltiplica le guarigioni e gli atti di pietà verso i singoli sofferenti, senza però arrivare mai a lasciarsi imprigionare o distrarre da questa benefica attività. A chi gli dice: Tutti ti cercano, cioè cercano la tua meravigliosa capacità di guaritore, risponde: Andiamocene. E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni. L'annuncio della verità che salva e la guerra contro il demonio, che si annida in tutti gli angoli della nostra esistenza, sono l'indiscutibile programma della sua missione di Salvatore.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire". Per acquistare il libro "Stilli come rugiada il mio dire" che raccoglie le omelie per le Domeniche del Tempo Ordinario Anno B (€ 12), clicca qui! Per acquistare i tre volumi (Anni A, B, C) a prezzo scontato (€ 29) con anche in omaggio due piccoli libri sempre del card. Biffi (La fortuna di appartenergli e L'ABC della fede), clicca qui!
Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
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