BastaBugie n�877 del 12 giugno 2024

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1 IL VATICANO OFFRE AI BAMBINI IL MONOLOGO ATEO DI BENIGNI
Il comico toscano in San Pietro per la Giornata Mondiale dei bambini propina il suo personalissimo catechismo mainstream
Autore: Don Stefano Bimbi - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 CANNES, LA MIGLIORE ATTRICE E' UN UOMO... IN EFFETTI, SE LI HA CONVINTI, RECITA BENE
Intanto sulla sua piattaforma X (ex Twitter) Elon Musk inizia una sana battaglia contro i neologismi LGBT a partire da ''cisgender'' che da maggio è parola poco gradita (VIDEO IRONICO: Cisgender e patriarcato)
Autore: Raffaella Frullone - Fonte: Sito del Timone
3 LO SPIRITO ROMANO DELLA CHIESA CATTOLICA
Lo spirito romano si respira solo a Roma, la città sacra per eccellenza, centro del Cristianesimo, patria eterna di ogni cattolico (che può considerarsi cittadino romano)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana
4 INDIPENDENTE DAL MARITO, MA SCHIAVA DEL LAVORO
Ci sono delle dipendenze che ci rendono schiavi, invece quella di dipendere dal marito è veramente liberante
Autore: Raffaella Frullone - Fonte: Il Timone
5 MOLTMANN, IL PADRE DEGLI ERRORI DELLA TEOLOGIA CONTEMPORANEA
Il teologo protestante morto a 98 anni ha avuto una grande influenza negativa, anche in ambito cattolico, perché all'origine degli errori delle teologie alla moda oggi
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 LA CONVERSIONE AL CATTOLICESIMO DELLA MAMMA DI TOLKIEN
Dopo la morte del marito e il ritorno alla Chiesa Cattolica, fu abbandonata dai genitori e dai suoceri protestanti al momento della sua malattia (per questo Tolkien considerava sua madre martire per la fede)
Autore: Paola Belletti - Fonte: Sito del Timone
7 OMELIA XI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 4,26-34)
Il seme germoglia e cresce
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

1 - IL VATICANO OFFRE AI BAMBINI IL MONOLOGO ATEO DI BENIGNI
Il comico toscano in San Pietro per la Giornata Mondiale dei bambini propina il suo personalissimo catechismo mainstream
Autore: Don Stefano Bimbi - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 11 giugno 2024

Domenica 26 maggio in Piazza San Pietro il Papa ha celebrato la Messa e recitato l'Angelus per la Giornata Mondiale dei Bambini. A rendere l'incontro appetibile per la televisione c'è stato il monologo di Roberto Benigni, comico toscano che non perde occasione per rifilare a un pubblico distratto i suoi sermoni di chiara matrice politica e ideologica.
Certamente non ha eseguito L'inno del corpo sciolto che cantava nei suoi primi spettacoli, né ha riservato battute offensive al pontefice, come quando all'indirizzo di San Giovanni Paolo II gridava in televisione «Wojtylaccio!», cosa che gli costò un processo in Vaticano per vilipendio di un capo di stato straniero, un milione di multa e un anno di galera con la condizionale. Niente di tutto questo, anzi una sviolinata a Papa Francesco che secondo Benigni «ha attorno a lui la polvere di fata, come quella di Campanellino ed è un bambino pure lui». Poi l'invito a presentarsi alle elezioni in una lista insieme a lui e infine la corsa a dargli un bacio.
Avvenire ha titolato entusiasticamente: «Benigni: Le uniche cose sensate le ha dette Gesù nel Vangelo» definendo quella del comico «Una grande performance tenuta nel giusto equilibrio tra il serio e il faceto». Anche Famiglia Cristiana è felice dell'intervento definendolo uno «spumeggiante monologo» di uno «spumeggiante Roberto». Ora, a parte la scarsa fantasia negli aggettivi, ci si potrebbe chiedere se davvero quello di Benigni sia stato un bell'intervento. Nessun dubbio pare avere padre Enzo Fortunato, coordinatore della Giornata che ha dichiarato: «Grazie a Benigni che ha invitato i bambini a prendere in mano la loro vita e a farne un capolavoro e a portare il bene e rendere gli altri felici».
Insomma sembra che sia andato tutto alla grande. Però... Ad ascoltare tutto il monologo della durata di ventiquattro minuti qualche dubbio viene, a partire dall'inizio quando, raccontando che da piccolo voleva fare il Papa, il comico toscano auspica che ci sia «il primo papa africano della storia». Peccato che di papi africani ce ne siano già stati: Vittore I martire, 14º papa (dal 189 al 199), Milziade o Melchiade, 32º papa (dal 311 al 314); Gelasio I, 49º papa (dal 492 al 496). Bastava consultare Wikipedia per evitare la figuraccia.

IL PAPA DONNA
Ma poi Benigni va oltre e spera che ci sia «il primo papa donna della storia. Mamma mia! Ne parlerebbero sulla luna, sarebbe straordinario, pensate che roba». Qui bisognava ridere pensando che fosse una battuta e invece il pubblico applaude. Eppure Cristo ha voluto conferire l'ordinazione ai dodici apostoli, tutti uomini, che, a loro volta, lo hanno comunicato ad altri uomini e la Chiesa si è riconosciuta sempre vincolata a questa decisione del Signore. San Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica Ordinatio sacerdotalis, del 22 maggio 1994, ha insegnato (e «in modo definitivo») «che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale» (n. 4). Lo ha ricordato anche Papa Francesco durante il volo di ritorno dal viaggio apostolico in Svezia, il 1° novembre 2016. Possibile che nessuno abbia notato la stonatura di Benigni?
Ma oltre a invitare le bambine a sognare di fare il Papa, il comico propone alcuni esempi tra cui spicca quello della scienziata Rita Levi Montalcini. Certamente ha avuto gli applausi del mondo coronati dal Premio Nobel e dalla nomina a senatrice a vita, ma come mai? Forse perché era convintamente atea e a favore di eutanasia, fecondazione artificiale e aborto? In che cosa un simile personaggio deve essere presentato ad esempio del popolo cattolico riunito intorno al successore di Pietro? Non era forse meglio proporre ad esempio per le bambine santa Maria Goretti, martire della purezza, o santa Teresa di Lisieux, con la sua piccola via per arrivare al paradiso?
Per quanto riguarda le letture per bambini Benigni non vede di meglio che suggerire le favole di Gianni Rodari. Ma chi era costui? Un intellettuale di sinistra che diceva di considerare il marxismo la corretta concezione del mondo... da inculcare nelle menti dei bambini. Molto politicamente corretto, ma forse sarebbe stato meglio suggerire i libri scritti da Tolkien per i suoi figli come Roverandom. Le avventure di un cane alato o Lettere da Babbo Natale. Oppure il Corrierino delle famiglie di Giovannino Guareschi. Ma come potevano uscire queste citazioni da parte di un comico di sinistra?

MACCHÈ INFERNO! MACCHÈ PURGATORIO!
Poi Benigni scherza su san Pietro che per una piccola bugia gli dice: «Ora mi tocca mandarti all'inferno o in Purgatorio cinquant'anni, mamma mia che paura. [...] ma voi non abbiate paura perché non esistono inferno o purgatorio, esiste solo il paradiso». Qui si raggiunge il paradosso. Innanzitutto l'inferno è una cosa seria e non ci si va per una piccola bugia. Ma poi negando l'inferno e il purgatorio ci si chiede se questo attore sia lo stesso che ha commentato con tanto pathos la Divina Commedia di Dante. Inoltre se, come diciamo nel Credo, Gesù è disceso dal Cielo «per noi uomini e per la nostra salvezza», ci si chiede da cosa ci abbia salvati se l'inferno non esiste. E poi la Madonna a Fatima deve aver ingannato i tre pastorelli mostrandogli l'inferno, che però non c'è. A questo punto sarebbe stato bello se una guardia svizzera avesse preso a calci Benigni rimandandolo a studiare il catechismo della prima comunione.
Ma la ciliegina sulla torta, o meglio la polpetta avvelenata, arriva verso la fine quando il comico dice con un tono paternalistico: «Ecco ora lo so voi siete piccoli, siete ancora nell'età che ancora non sapete che fare, che avete tanti dubbi, però non vi preoccupate [...] non vi fidate di chi vi dice "Siate sicuri", "Vai dritto per la tua strada". No, io vi dico l'opposto: dovete essere insicuri quanto più siete incerti, indecisi, scettici, dubbiosi, più dubbi avete meglio è, son belle le certezze, ma l'incertezza è più bella». Di fronte a questo elogio del dubbio cascano le braccia e anche molto altro. Proporre lo scetticismo assoluto a un pubblico di bambini vuol dire uccidere in loro la sete di verità. Forse perché Benigni non ha mai avuto un figlio, non può capire i bambini? Eppure siamo stati tutti bambini. Soprattutto a quell'età si pretendono certezze. Si pretendono. Con le loro domande i bambini vogliono la verità ed hanno una logica impeccabile. Ogni minimo errore di un adulto viene subito notato e le risposte vaghe o contraddittorie non soddisfano.
In conclusione viene da chiedersi come mai vengano offerti palchi prestigiosi come Piazza San Pietro a personaggi che nulla hanno di cattolico, ma che sono l'espressione più bieca del politicamente corretto.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 11 giugno 2024

2 - CANNES, LA MIGLIORE ATTRICE E' UN UOMO... IN EFFETTI, SE LI HA CONVINTI, RECITA BENE
Intanto sulla sua piattaforma X (ex Twitter) Elon Musk inizia una sana battaglia contro i neologismi LGBT a partire da ''cisgender'' che da maggio è parola poco gradita (VIDEO IRONICO: Cisgender e patriarcato)
Autore: Raffaella Frullone - Fonte: Sito del Timone, 28 maggio 2024

Dopo i concorsi di bellezza e le gare di atletica, poteva forse il cinema rimanere indietro nell’ormai diffusissima arte di premiare gli uomini in competizioni femminili? Certamente no. In nome della fluidità, e della parità di genere ovviamente. Non si vedono manifestazioni femministe contro questa che altro non che l’usurpazione da parte di un uomo di un premio femminile.
Ma passiamo ai fatti. Siccome ormai "i generi " ormai tantissimi, e soprattutto non sono mai binari, e ci si può percepire come si vuole e quanti si vuole, a Cannes hanno voluto esagerare. Così la miglior attrice sono quattro persone? Che c’è di strano? Se una persona può farsi chiamare con il pronome "they ", ossia "loro ", perché il Festival del Cinema non può decidere che una donna sono in realtà quattro? Dunque il premio è stato assegnato - a pari merito, s’intende, per non far torto a nessuno, o a nessuna, o a nessun* - a Zoe Saldana, Selena Gomez, Adriana Paz Carlos Sofia Gascon, in arte Karla. Ossia l’attrice che non è un’attrice, ma un attore. Cosa che però non si può dire, al massimo si può dire che "è trans " ossia una persona che "si percepisce di un sesso diverso rispetto a quello biologico ".
Dire che è un uomo sarebbe "discriminazione " e noi non siamo persone che discriminano, siamo persone perbene, leggiamo anche il principale quotidiano italiano. Il Corriere della Sera che sulla vicenda mette in pagina un articolo dal titolo «Noi trans siamo persone», quasi si sente la voce incrinata dal pianto, e il tono grave (e si legge anche quello che non c’è scritto ossia "chiunque abbia qualcosa da obiettare, sta dicendo che i trans non sono persone ") Il pezzo inizia così: «Quando muove le mani, porta il polso all’indietro, aprendo le dita in modo molto femminile. Sorride: Le donne spagnole e italiane gesticolano in modo esagerato. Da Carlos a Karla. È la prima volta che un festival premia un’attrice transgender». Dunque per il Corriere è assolutamente normale che una persona si percepisca di sesso diverso, è normale assecondare il desiderio di esser chiamati al femminile e non c’è niente di strano nel premiare un uomo nella sezione miglior attrice, è tutto talmente normale che nel titolo non ci finiscono i meriti sul campo del vincitore, meno che meno aspetti riferibili alla cinematografia, no, l’articolo verte su un’unica cosa, la cosiddetta identità di genere di Gascon e racconta "la transizione ". «L’ho fatta tardi - spiega - nel 2018, a 46 anni, in Messico dove vivo. Ho aspettato fin troppo. Ne avevo veramente bisogno. Mia moglie mi chiese: e adesso cosa farai?». Sì perché Carlos è ma padre di una figlia, di tredici anni. Il Corriere gli chiede che rapporto ha con lei e Gascon risponde così «Ci adoriamo, sono suo padre, sua madre, ma sono anche sua amica». What else? Nel film ovviamente il premiato veste i panni di una persona che, oltre a voler cambiar vita, vuole "cambiar sesso", chi lo avrebbe mai detto. Eppure c’è stato un tempo in cui l’identità non era un orientamento sessuale, meno che meno una percezione e se qualcuno provava disagio nel suo corpo sessuato, veniva aiutato ad affrontarlo. Invece oggi si vuol dar l’illusione - dolorosa - che tutto sia possibile.
Anche Repubblica risponde prontamente all’appello dedicando al premio una pagina intera e un articolo dal titolo «Karla Sofía Gascón "La mia transizione è una battaglia vinta Ora sono felice "». Anche loro dove vanno a parare? Sulla "transizione " ovviamente. «Ha 52 anni, la sua transizione è avvenuta pochi anni fa. È stata difficile per tanti motivi, compresi quelli legali. È stata dura, ho iniziato il processo di transizione in Messico ma ho dovuto fare il percorso burocratico anche in Spagna: servivano nuovi documenti per me, per mia figlia, mi sono appellata a tutti gli uffici. Per me è stato un percorso di grande sofferenza. Ci sono stati momenti in cui mi sono chiesta se fossi necessaria in questo mondo, ho pensato anche di togliermi la vita "». Qui il colpo da maestro, fedele ad uno dei pilastri della teoria affermativa del genere secondo cui l’alternativa è tra "cambiare" genere o togliersi la vita. Tertium non datur.
E con questo spauracchio, chi ha il coraggio di dir qualcosa? Meglio limitarsi tutti dire che sì, il Re è vestito e sì, Karla una donna, anche perché se fosse un uomo reciterebbe davvero bene. Avrebbe convinto tutti. Meriterebbe un premio.

Nota di BastaBugie: nell'articolo seguente dal titolo "X, cisgender non gradito " spiega perché da maggio la parola "cisgender " è poco gradita sulla piattaforma di Elon Musk.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 11 giugno 2024:

Da maggio sulla piattaforma X di Elon Musk, l’ex Twitter, se un utente scrive un post con le parole "cisgender" e "cis ", in automatico appare questa scritta: «Questo post contiene un linguaggio che può essere considerato un insulto da X e potrebbe essere usato in modo dannoso in violazione delle nostre regole». Ma non c’è nessun divieto ad usare queste parole, ma solo un ammonimento.
Cisgender è un neologismo dell’ideologia LGBT che indica le persone che si riconoscono nel sesso a sua volta riconosciuto alla nascita. Insomma tutti noi, eccetto le persone transessuali. Musk dichiarò a tal proposito: «Le parole ‘cis’ o ‘cisgender’ sono da considerare insulti sulla piattaforma».
Musk ho voluto mandare un messaggio ben preciso: la normalità non deve essere ostaggio della grammatica arcobaleno, non deve apparire come una tra le possibili variabili naturali dell’identità sessuale.
Naturalmente questa sua decisione gli ha attirato gli strali della comunità LGBT. Il sito Washington Blade, sito di punta di gay e trans negli States, ha scritto a riguardo: «Elon Musk è ufficialmente un pericolo per la società. [...] Musk è noto per la sua transfobia». Il sito Wired, proLGBT, appunta: «X si fa sempre più discriminatoria».
La guerra sulle parole e la guerra per riconquistarsi la realtà.

VIDEO: CISGENDER E PATRIARCATO
Nel seguente video (durata: 1 minuto) si ironizza su gender e conseguenze dell'ideologia lgbt.


https://www.youtube.com/watch?v=N9LpPPrEnhg

Fonte: Sito del Timone, 28 maggio 2024

3 - LO SPIRITO ROMANO DELLA CHIESA CATTOLICA
Lo spirito romano si respira solo a Roma, la città sacra per eccellenza, centro del Cristianesimo, patria eterna di ogni cattolico (che può considerarsi cittadino romano)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana, 14 aprile 2021

Lo spirito romano è quello che si respira solo a Roma, la città sacra per eccellenza, centro del Cristianesimo, patria eterna di ogni cattolico, che può ripetere «civis romanus sum» (Cicerone, In Verrem, II, V, 162), rivendicando una cittadinanza spirituale che ha come confini geografici quelli non di una città, ma di un Impero: non l'Impero dei Cesari, ma quello della Chiesa cattolica, apostolica e romana.
Un tempo i vescovi delle diocesi più lontane mandavano i loro seminaristi e sacerdoti a Roma, non solo per studiare nelle migliori facoltà teologiche, ma per acquisire questa romanitas spirituale. Per questo Pio XI, rivolgendosi ai professori e agli studenti della Gregoriana, così si esprimeva: «La vostra presenza Ci dice che la vostra suprema aspirazione, come quella dei vostri Pastori che qui vi inviarono, è la vostra formazione romana. Che questa romanità che siete venuti a cercare in quella Roma eterna della quale il grande Poeta - non solo italiano, ma di tutto il mondo, perché poeta della filosofia e teologia cristiana (Dante, n.d.r.) - proclamava Cristo Romano, si faccia signora del vostro cuore, così come Cristo ne è Signore. Che questa romanità vi possieda, voi e l'opera vostra, così che tornando nei vostri paesi ne possiate essere maestri ed apostoli» (Discorso del 21 novembre 1922).
Lo "spirito romano" non si studia sui libri, ma si respira in quell'atmosfera impalpabile che il grande polemista cattolico Louis Veuillot (1813-1883) chiamava «le parfum de Rome»: un profumo naturale e soprannaturale che emana da ogni pietra e memoria raccolta nel lembo di terra in cui la Provvidenza ha posto la Cattedra di Pietro. Roma è allo stesso tempo uno spazio sacro e una sacra memoria, una "patria dell'anima" come la definiva un contemporaneo di Veuillot, lo scrittore ucraino Nikolaj Gogol, che visse a Roma, a via Sistina, tra il 1837 e il 1846.

LA CITTÀ CHE OSPITA LE TOMBE DEI SANTI DI DUE MILLENNI
Roma è la città che ospita le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, è la necropoli sotterranea che nelle sue viscere contiene migliaia di cristiani. Roma è il Colosseo, dove i martiri affrontarono le belve feroci; è San Giovanni in Laterano, ecclesiarum mater et caput, dove si venera il solo osso di sant'Ignazio risparmiato dai leoni. Roma è il Campidoglio, dove Augusto fece innalzare un altare al vero Dio che stava per nascere da una Vergine e dove fu elevata la basilica dell'Aracoeli, in cui riposa il corpo di sant'Elena, l'imperatrice che ritrovò le reliquie della Passione oggi custodite nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Roma sono le vie, le piazze, le case e i palazzi, dove vissero e morirono santa Caterina da Siena e santa Francesca Romana, sant'Ignazio e san Filippo Neri, san Paolo della Croce e san Leonardo da Porto Maurizio, san Gaspare del Bufalo e san Vincenzo Pallotti, san Pio V e san Pio X. A Roma puoi visitare le stanze di santa Brigida di Svezia a piazza Farnese, di san Giuseppe Benedetto Labre a via dei Serpenti, di san Stanislao Kotska a S. Andrea al Quirinale. Qui puoi venerare la culla di Gesù bambino a santa Maria Maggiore, il braccio di san Francesco Saverio nella Chiesa del Gesù, il piede di santa Maria Maddalena nella chiesa di san Giovanni dei Fiorentini.
Roma ha subito flagelli di ogni ordine nella sua lunga storia: fu messa a sacco dai Goti nel 410, dai Vandali nel 455, dagli Ostrogoti nel 546, dai Saraceni nell'846, dai Lanzichenecchi nel 1527. La invasero i giacobini nel 1799 e i piemontesi nel 1870, fu occupata dai nazisti nel 1943. Roma porta nel suo corpo le cicatrici di queste profonde ferite, e di altre ancora, come la Peste Antonina (180), la Peste Nera (1348), l'epidemia di colera del 1837 e l'influenza spagnola del 1917. Secondo lo storico americano Kyle Harper (Il destino di Roma, Einaudi, Torino 2019), il crollo dell'Impero romano non fu causato solo dalle invasioni barbariche ma anche dalle epidemie e dagli sconvolgimenti climatici che caratterizzarono il periodo che va dal secondo al sesto secolo dopo Cristo. Queste guerre ed epidemie, anche nei secoli successivi, furono sempre interpretate come castighi divini. Così Ludwig von Pastor scrive che universalmente, presso gli eretici e presso i cattolici, «si vide nel terribile Sacco di Roma un giusto castigo del Cielo sulla capitale della cristianità sprofondata nei vizi» (Storia dei Papi, Desclée, Roma 1942, vol. IV, 2, p. 582). Ma Roma sempre si rialzò, purificata e più forte, come nella medaglia che nel 1557 fece coniare Paolo IV, dedicata a Roma resurgens, dopo una terribile carestia. Di Roma si può dire quello che si dice della Chiesa: impugnari potest, expugnari non potest: sempre combattuta, mai abbattuta.

COSA FARE OGGI
Per questo, nei giorni inquieti che viviamo, e che ancor più ci aspettano, dobbiamo sollevare lo sguardo verso la Roma nobilis, la cui luce non tramonta: la nobile Roma, che un antico canto di pellegrini saluta come signora del mondo, rosseggiante per il sangue dei martiri, biancheggiante per i candidi gigli delle Vergini: «O Roma nobilis, orbi et domina, Cunctarum urbium excellentissima, Roseo martyrum sanguine rubea, Albi et virginum liliis candida».
La Roma cristiana raccoglie ed eleva sul piano soprannaturale le qualità naturali della Roma antica. Lo spirito del romano è quello dell'uomo giusto e forte, che affronta con calma e imperturbabilità le situazioni più avverse. Il romano è l'uomo che non si lascia scuotere dal furore che lo circonda, è l'uomo che rimane impavido, anche se l'universo cade in frantumi sopra di lui: «si fractu inlabatur orbis, impavidum feriant ruinae» (Orazio, Carme III, 3). Il cattolico che eredita questa tradizione, afferma Pio XII, non si limita a rimanere in piedi nelle rovine, ma si sforza di ricostruire l'edificio abbattuto, impiega tutte le sue forze nel seminare il campo devastato (Allocuzione alla Nobiltà romana del 18 gennaio 1947).
Lo spirito romano è uno spirito fermo, combattivo, ma prudente. La prudenza è il retto discernimento intorno al bene e al male e non riguarda il fine ultimo dell'uomo, che è oggetto della sapienza, bensì i mezzi per conseguirlo. La prudenza è dunque la sapienza pratica della vita e tra le virtù cardinali è quella che occupa il posto centrale e direttivo. Perciò san Tommaso la considera il coronamento di tutte le virtù morali (Summa Theologiae, II-II, q. 166, 2 ad 1).
La prudenza è la prima virtù richiesta ai governanti è tra tutti i governanti nessuno ha una responsabilità più alta di chi guida la Chiesa. Un Papa imprudente, incapace di governare la navicella di Pietro, sarebbe la più grave delle sciagure, perché Roma non può essere senza un Papa che la governi e un Papa non può essere privo dello spirito romano che lo aiuti a governare la Chiesa. Se ciò accade, la tragedia spirituale è maggiore di qualsiasi sciagura naturale.
Roma ha conosciuto disastri di ogni genere, ma li ha affrontati come fece san Gregorio Magno, nel 590, di fronte alla violenta epidemia di peste, che si era abbattuta sulla città. Per placare la collera divina, il Papa, appena eletto, ordinò una processione penitenziale del clero e del popolo romano. Quando il corteo giunse al ponte che unisce la città al Mausoleo di Adriano, Gregorio vide sulla sommità del Castello san Michele, che, in segno del cessato castigo, riponeva nel fodero la spada insanguinata, mentre un coro di angeli cantava: "Regina Coeli, laetare, Alleluja - Quia quem meruisti portare, Alleluja - Resurrexit sicut dixit, Alleluja!". San Gregorio rispose ad alta voce: « Ora pro nobis Deum, Alleluja!».
Nacque così l'armonia che ancora risuona da un capo all'altro dell'orbe cattolico. Possa questo canto celeste infondere nei cuori cattolici un'immensa fiducia in Maria, protettrice della Chiesa, ma anche di quello spirito romano, forte ed equilibrato, di cui più che mai abbiamo bisogno in questi giorni terribili.

DOSSIER "PAPI E ANTIPAPI"
Sede vacante e Papa legittimo

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Fonte: Corrispondenza Romana, 14 aprile 2021

4 - INDIPENDENTE DAL MARITO, MA SCHIAVA DEL LAVORO
Ci sono delle dipendenze che ci rendono schiavi, invece quella di dipendere dal marito è veramente liberante
Autore: Raffaella Frullone - Fonte: Il Timone, aprile 2024

Mi sono sorpresa l'altro giorno nell'apprendere che tra le dipendenze più diffuse nel nostro Paese c'è ancora quella da eroina. Così riportano diversi studi, mettendo al primo posto delle dipendenze maggiormente presenti tra gli italiani proprio quella da sostanze stupefacenti, in primo piano le cosiddette droghe leggere, come i cannabinoidi e gli oppiacei, poi la cocaina e infine appunto l'eroina, che io avevo lasciato nei miei ricordi degli anni Novanta, quando le siringhe per terra mi avvisavano che quello non era solo un presidio medico.
Sul podio delle dipendenze, e qui non ci sorprende per nulla, anzi, c'è la piaga della pornografia, che dilaga ormai a livelli inimmaginabili, naturalmente anche grazie a internet ma soprattutto agli smartphone. E qui arriva il terzo gradino del podio, ossia la dipendenza da social media e appunto da quell'oggetto che solo 25 anni fa era un banale cellulare e che oggi qualcuno ha definito un nuovo «ciuccio per adulti», ossia quell'oggetto che ci rilascia dopamina al bisogno. Nella classifica troviamo poi una voce sulla dipendenza da farmaci, antidolorifici in primis, ma subito dopo antidepressivi e ansiolitici, e poi il gioco d'azzardo. Infine, malamente sopravvissuta alle campagne antifumo degli ultimi decenni, la sigaretta.
Ma c'è un'altra dipendenza considerata socialmente pericolosa, soprattutto quando si parla di donne, la cosiddetta "dipendenza dall'uomo". Il marito su tutti, naturalmente, simbolo della società patriarcale che ci vuole tutte sottomesse. Dipendere dal marito è considerato non solo sconveniente, ma anche pericoloso, in particolare viene rimarcata l'importanza dell'indipendenza economica che la donna deve raggiungere perché quella sarebbe simbolo di libertà. L'altra faccia della medaglia è una dipendenza di cui nessuno parla in modo negativo, anzi è vista come buona, auspicabile, desiderabile, e anche qui simbolo di libertà, ossia la dipendenza dal lavoro. [...] Il mainstream ci vorrebbe convincere che lavorare 40 ore settimanali (o di più), magari facendo la commessa, magari a 30 chilometri da casa, magari lavorando anche la sera, magari lavorando anche la domenica e, perché no?, i festivi, magari bistrattata dal capo, è sempre e comunque preferibile che rimanere a casa - ad esempio - a crescere i propri figli "dipendendo" economicamente dal marito. Non c'è qualcosa di storto in questo?
Anche perché la storia della self mede woman, quella che si fa da sola, sta in piedi esattamente come quella del self made man, ossia non sta in piedi. Noi dipendiamo sempre da qualcun altro, dipendiamo da chi ha progettato la casa in cui abitiamo, da chi l'ha costruita, ci fidiamo del fatto che abbia usato materiali buoni e li abbia posati con coscienza, dipendiamo da chi ha realizzato la nostra autovettura, o l'autobus, dipendiamo da chi fornisce ogni giorno il banco del supermercato, grazie al quale siamo certi di portare qualcosa in tavola, dipendiamo dagli imprevisti che non controlliamo, dipendiamo dal nostro corpo che oggi ci porta in giro allegramente, ma basta un callo sotto a un piede e già camminare diventa faticoso. Dipendere dal proprio marito quindi non è affatto una prospettiva così terribile, anzi, perché lui è il nostro alleato, non quello che controlla se firmiamo il cartellino o quello che decide se darci o meno due giorni di ferie. Dipendere dal marito ci ricorda che tutti, uomini e donne, dipendiamo: dipendiamo dal Creatore, siamo nelle mani di Dio, un Dio buono, che per noi prepara solo il meglio. E questo è davvero liberante.

Fonte: Il Timone, aprile 2024

5 - MOLTMANN, IL PADRE DEGLI ERRORI DELLA TEOLOGIA CONTEMPORANEA
Il teologo protestante morto a 98 anni ha avuto una grande influenza negativa, anche in ambito cattolico, perché all'origine degli errori delle teologie alla moda oggi
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 11 giugno 2024

Il 3 giugno scorso è morto a Tubinga all'età di 98 anni il teologo protestante Jürgen Moltmann. Egli viene di solito ricordato come "il teologo della speranza" a motivo della sua opera principale Teologia della speranza, pubblicata nel 1964 in Germania e nel 1970 in Italia da Queriniana. Ricordarlo in questo modo non è sbagliato o riduttivo perché quel volume non intendeva trattare un capitolo della teologia, appunto la speranza, ma aveva l'intento di riformularla per intero.
Dalla speranza derivava una nuova spiegazione di tutti i temi teologici tradizionali: la rivelazione intesa non tanto nel suo carattere dottrinale quanto in quello storico, la trascendenza intesa in senso temporale come futuro anziché in senso spaziale, il peccato come rifiuto della speranza, la grazia come dono della possibilità e della capacità di sperare, la conversione come avversione al presente e conversione al futuro. Da qui l'impatto rivoluzionario della sua teologia, legato all'idea tutta protestante del mondo diventato adulto, della secolarizzazione come fenomeno cristiano, della necessità di transitare verso una teologia secolare come l'anno seguente, il 1965, avrebbe sostenuto anche Harvey Fox con il suo libro The Secular City. Storia, speranza, futuro, prassi: queste le coordinate della nuova teologia che ritroviamo poi in tutta la teologia, anche cattolica, successiva.

UNA TEOLOGIA SECOLARE DAL LINGUAGGIO POLITICO
Sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento, secondo Moltmann, Dio non è inteso come consacrazione di tempi e luoghi ma collegato con una parola di promessa. La promessa vincola l'uomo alla storia che sta tra la promessa e il suo compimento. Questo è lo spazio per la responsabilità umana, per il futuro, la morale e la prassi. La teologia della speranza è elaborata in chiave escatologica, affidando d'ora in poi al teologo non il compito di «interpretare il mondo, la storia e la natura umana, bensì di trasformarli nell'attesa di una trasformazione divina». Il luogo della rivelazione di Dio diventa la storia e Dio si rivela tramite promesse storiche e con eventi storici, a cominciare dall'Esodo. Compito del cristiano non è tanto di chiedersi chi Dio sia e quali siano i suoi attributi, ma individuare dove Dio sia all'opera nella storia e partecipare attivamente alla sua opera di redenzione. Bisognava eliminare ogni dualismo metafisico e ogni visione spaziale di Dio, creare una teologia secolare dal linguaggio politico: «questo implica che noi discerniamo dove Dio è all'opera, e quindi ci uniamo al suo lavoro: quest'azione incessante è un modo di parlare: facendo ciò il cristiano parla di Dio». La verità diventa azione. Chi è Dio non lo dirà il teologo attraverso discorsi, ma lo dirà la prassi dei cristiani.
Con Moltmann la dimensione della storia entra nella teologia e ne sconvolge i connotati. Il già citato Harvey Fox si avvicinerà alla teologia della speranza e sosterrà che «Dio ama il mondo e non la Chiesa» e si serve del mondo e non della Chiesa, e nel suo libro Il cristiano come ribelle nota che «Il baseball professionistico e non la Chiesa ha fatto i primi passi verso l'integrazione razziale. Siamo molto in ritardo in tutta questa faccenda. Dobbiamo correre per metterci al passo con ciò che Dio sta già facendo nel mondo».

LA VERA SVOLTA INNOVATIVA DELLA TEOLOGIA CONTEMPORANEA
Come si vede, la "Chiesa in uscita" ha origini lontane. Le nuove suggestioni di Moltmann verranno riprese da Johann Baptist Metz nella sua "Teologia politica" e anche Karl Rahner farà propri gli stessi presupposti, a cominciare dalla secolarizzazione che impone di pensare che la rivelazione di Dio avviene nella storia dell'umanità prima che nella Chiesa. Si può pensare che la vera svolta innovativa della teologia contemporanea sia stata provocata da Moltmann. Tutte le altre teologie infatti seguiranno la strada inaugurata da lui. La teologia della speranza si può paragonare quindi ad uno scoppio che ne ha provocato altri a catena. Egli ha potuto occuparsi di teologia della rivoluzione e della liberazione, ha tenuto a battesimo la teologia nera e la teologia femminista. Inoltre, è stato al centro del dialogo tra cristiani e marxisti.
Questo ultimo spunto ci conduce ad un altro importante capitolo della vicenda Moltmann. Mi riferisco al dialogo di pensiero con il filosofo marxista della Germania orientale Ernst Bloch, che ha tanto influito sulla teologia di Moltmann poi e su quella successiva. Il principio speranza di Bloch e Teologia della speranza di Moltmann si richiamano a vicenda. Bloch riformula il marxismo sotto la categoria dell'utopia, vede tutta la realtà come governata dal futuro e spinta a superarsi, legge la Bibbia come espressione di un "trascendere senza trascendenza", il futuro e la storia sono i caratteri della religione cristiana come lo sono di questo mondo secolarizzato, il Dio di Israele è il Dio dell'ottavo giorno «che non è ancora stato e quindi è più autentico» e Cristo non ha nulla di spirituale, ma è l'uomo che si è seduto non alla destra di Dio ma al suo posto perché il cristianesimo è liberatorio e quindi ateo. In questo modo Moltmann si incontra non solo col marxismo ma col nichilismo ateo della modernità.
Dare un giudizio sulla teologia di Moltmann comporta darlo anche su tanta parte della teologia contemporanea. Celebrarne il pensiero esaltandolo vorrebbe dire avallare i grandi errori di questa teologia e di quelle che ne sono seguite. Mi sono limitato a richiamarne qui alcuni assunti di base. Il lettore, se crede, può esercitarsi a individuare i loro effetti negativi sulla teologia di questi decenni e anche sulla prassi della Chiesa di oggi.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 11 giugno 2024

6 - LA CONVERSIONE AL CATTOLICESIMO DELLA MAMMA DI TOLKIEN
Dopo la morte del marito e il ritorno alla Chiesa Cattolica, fu abbandonata dai genitori e dai suoceri protestanti al momento della sua malattia (per questo Tolkien considerava sua madre martire per la fede)
Autore: Paola Belletti - Fonte: Sito del Timone, 6 giugno 2024

Tolkien, il grande scrittore inglese cattolico, ci ha già abituati a rivelazioni stupefacenti per la bellezza e la profondità affidate alle lettere che si scambiava con il figlio. Ricordate quello che disse sull’Eucarestia e la necessità di nutrire costantemente il nostro personale rapporto con Cristo per mezzo della fin troppo evidente miseria della chiesa visibile? Un vademecum quanto mai attuale [...]: «L’unico rimedio contro il vacillare e l’indebolirsi della fede è la Comunione. [...]. La frequenza garantisce il massimo effetto. Sette volte alla settimana è più efficace che sette volte dopo lunghi intervalli. Inoltre ti raccomando questo esercizio (ahimè! è fin troppo facile trovare il modo di praticarlo): fai la tua Comunione in un ambiente che urti i tuoi sentimenti. Scegli un sacerdote che borbotta e tira su col naso oppure un frate orgoglioso e volgare; e una chiesa piena della solita folla borghese, bambini maleducati... giovani sporchi e con le camicie sbottonate, donne in pantaloni e spesso coi capelli arruffati e senza velo. Vai a fare la Comunione insieme a loro (e prega per loro)».
Chissà che proprio dalla madre non abbia rubato con gli occhi e il cuore questa tenacia, questa dolcezza penetrante che si tuffa direttamente in Dio e, pur sentendo il dolore per la durezza e la miseria degli uomini, confida solo in Lui. Sempre in una lettera al figlio, leggiamo sul National Catholic Register, che sua madre era una «donna dotata di grande bellezza e intelligenza, molto colpita da Dio con dolore e sofferenza che morì in gioventù a causa di una malattia accelerata dalla persecuzione della sua fede». Quando morì, nel 1904, furono in pochi a piangerla, ma siamo in tanti ad essere in debito con lei. Mabel Tolkien era allora una giovane, già vedova e con due figli. La sua pur breve vita, segnata da non pochi dolori e rivoluzionata dalla conversione alla fede cattolica, ha infatti avuto un impatto enorme sui figli e su tutto il mondo, se pensiamo a quante persone hanno letto e sono stati cambiate, ispirate e confortate dalle opere di uno dei suoi figli.

MABEL TOLKIEN
«Suo padre, John Suffield, era un commerciante sposato con Emily Sparrow. Insieme ebbero sette figli e gestirono un negozio a Birmingham. Quando Mabel aveva solo 18 anni iniziò a vedere un banchiere di 31 anni di nome Arthur Tolkien. I due si scambiarono numerose lettere mentre Arthur partiva per il Sud Africa in cerca di una redditizia carriera nel settore bancario.» Dopo due anni lontana dall’amato, decise di raggiungerlo e affrontò da sola il lungo viaggio in nave per coprire la distanza che li separava. Era il 1891, una volta ritrovatisi i due si sposano, secondo il rito anglicano perché entrambi appartenevano a quella confessione. In fondo essere britannici tendeva a coincidere con l’appartenenza alla chiesa anglicana. «Seguirono due bambini. I due ragazzi di Tolkien si chiamavano John Ronald Reuel e Hilary Arthur Reuel. Dopo alcuni anni, divenne sempre più preoccupata per i ragni giganti, per l’effetto del caldo intenso e per il pericolo degli animali selvatici intorno ai bambini, così lasciò il Sud Africa per l’Inghilterra con i bambini e con la promessa di tornare nel prossimo futuro».
Poco dopo, però, il marito si ammala e muore; la giovane sposa e madre di due figli, rimasta vedova, decide di trasferirsi in campagna, per educare e crescere i bambini in un ambiente bello e armonioso. Molti sostengono che sia stato proprio quello ad ispirare l’immaginazione di JRR Tolkien quando descrive la Contea e la struggente e semplice bellezza che la rende tanto desiderabile. Ma l’influenza della madre sui due ragazzi non si limitò a questo:  «È stata Mabel a insegnare ai suoi figli ad amare la lingua, la letteratura e l’arte. Mabel ha trasmesso anche il suo amore per Cristo. Nel 1900 Mabel e i suoi due figli entrarono nella Chiesa cattolica. Questa non avrebbe potuto essere una decisione facile poiché a quel tempo in Inghilterra il virulento anticattolicesimo era prevalente. Essere cattolico significava non essere britannico.»

NEMO PROPHETA IN PATRIA
La persecuzione, con le sue stilettate crudeli fatte di disapprovazione ed esclusione, la raggiunse in modo particolarmente doloroso proprio per mano dei suoi familiari. Non tutti, dal momento che anche la sorella May si convertì ed entrò con lei nella Chiesa cattolica, purtroppo però cedendo poco dopo alle dure pressioni del marito che la convinse a rinnegare la fede appena abbracciata, finendo per darsi allo spiritismo: «ma Mabel non ha mai rinunciato alla sua nuova fede, nemmeno di fronte all’ostracismo, sia a livello personale che economico. Le famiglie sostanzialmente tagliarono fuori la giovane vedova la cui salute stava peggiorando ma lei persistette con l’aiuto di un prete, padre Francis Xavier Morgan, che divenne una figura paterna per i ragazzi».
Ha solo 34 anni quando muore a causa del diabete. Il figlio John Ronald Reuel, allora dodicenne, ricorda con gratitudine la vita della madre che tanto significò per la sua crescita umana e spirituale e che senza dubbio impresse una traiettoria altrimenti impensabile alla sua opera letteraria. Lo riferisce lui stesso, con commozione, rivolgendosi al figlio Micheal in una lettera: «donna dotata di grande bellezza e intelligenza, molto colpita da Dio con dolore e sofferenza che morì in gioventù (a 34 anni) di un malattia accelerata dalla persecuzione della sua fede».
Una fede talmente centrale nella sua esistenza da dominare i suoi pensieri e le sue preoccupazioni negli ultimi momenti di vita terrena: «Mentre giaceva morente, non era tanto preoccupata per la propria morte ma per i suoi figli e la loro fede. Così preoccupata che i ragazzi sarebbero stati costretti a rinunciare alla loro fede cattolica dalla sua stessa famiglia o dai Tolkien, nominò padre Francis Xavier Morgan tutore legale dei ragazzi». Se tante generazioni possono godere della bellezza corroborante e piena di speranza delle geniali opere di Tolkien, lo dobbiamo soprattutto a lei, Mabel: ciò che ha testimoniato con la sua fede coraggiosa e ha trasmesso ai figli tesse la stupefacente trama delle sue storie più famose, dallo Hobbit al Signore degli anelli e per mezzo di quelle ha nutrito di coraggio e ispirazione la fede di molti.

Nota di BastaBugie: per sapere tutto, ma proprio tutto, su Tolkien e il Signore degli Anelli visita il sito FilmGarantiti.it

Fonte: Sito del Timone, 6 giugno 2024

7 - OMELIA XI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 4,26-34)
Il seme germoglia e cresce
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

Gesù aveva l'arte dei paragoni: sapeva calare la verità più alta nella concretezza di un'immagine vicina all'esperienza dei suoi ascoltatori. Questi paragoni - queste "parabole", per usare la parola evangelica - in qualche caso potevano apparire un po' enigmatiche nel loro significato profondo, ma una volta spiegate si iscrivevano nelle coscienze e non si dimenticavano più.
Tra gli "esempi" cari a Gesù c'è quello del "seme", una delle realtà più consuete a chi conduce una vita legata alla terra, ai suoi ritmi, alla sua fecondità. Nel Vangelo abbiamo quattro parabole centrate sull'idea di "seme": quella del diverso rendimento del terreno, quella del grano e della zizzania, e le due che oggi sono state richiamate, il seme di grano che cresce spontaneamente e il seme di senapa che, pur piccolo, diventa un arbusto di notevoli proporzioni.
L'argomento su cui le due parabole di oggi ci invitano a riflettere è il "regno di Dio": a che cosa possiamo paragonare il regno di Dio? Attenzione, però: non si tratta del "regno di Dio" come sarà alla fine, un regno nel quale speriamo di entrare dopo la nostra morte quando la nostra vicenda terrena si sarà conclusa, bensì del "regno di Dio" che secondo la parola di Cristo è già "in mezzo a noi" (cf. Lc 17,21), vale a dire della Chiesa, che già ci offre nella fede la conoscenza della verità che dà salvezza e nella carità già ci rende partecipi della stessa vita divina che impreziosisce l'anima dei beati del cielo.
Siamo dunque chiamati a meditare sulla condizione ecclesiale storica. La Chiesa, difatti, come ci insegna il Concilio Vaticano II, è appunto "il regno di Dio già presente mistericamente", cioè sotto il velo dei segni efficaci. La Chiesa è il regno di Dio nella sua forma iniziale, imperfetta, nascosta, ma autentica e sostanziale; è il regno di Dio che già possiede in sé la ricchezza definitiva, ma è ancora esposto alle intemperie della storia.

LA GRANDEZZA E LO SPLENDORE NASCOSTO DELLA CHIESA DI CRISTO
Il regno di Dio come oggi ci è dato, ci insegna il Signore, ha le connotazioni di un seme. Che cosa è il seme? Il seme è il futuro reso presente, è la garanzia di ciò che potremo avere alla fine, è speranza e al tempo stesso anticipazione della messe futura. Nel seme di un albero, tutto l'albero è già contenuto con la sua precisa identità, con il suo potenziale vigore, con la sua capacità di sviluppo; ma è contenuto in un piccolo spazio, in una condizione di fragilità, in una apparenza dimessa e senza splendore.
Così è la Chiesa. Non ha potere nel mondo, non sempre raccoglie la maggioranza degli uomini di un territorio, non ha grandi possibilità di farsi valere di fronte ai signori della politica, dell'economia, della cultura, della comunicazione. Anche la comunità cristiana, cui apparteniamo, si presenta esigua. E neppure siamo molto buoni: siamo anche noi pieni di egoismo, soggetti a mille debolezze. Magari non riusciamo sempre a dar vita a cose di rilievo né a provocare vistosi cambiamenti. Eppure abbiamo già il Signore con noi, abbiamo già il tesoro della sua grazia, abbiamo la forza inesauribile del suo amore. Possiamo già nella fede contemplare il disegno di Dio nella sua verità; già ci è data con la virtù della speranza la consapevolezza del nostro destino di gioia. In una parola, siamo già il "regno di Dio". Perciò deve essere sempre viva e coltivata in noi la consolante consapevolezza della "appartenenza"; cioè la letizia, la fierezza, la gratitudine di essere parte della grande e stupenda realtà che è la Chiesa di Cristo, anche se adesso essa si presenta sotto vesti povere e difettose.

LA VITALITA' SEGRETA E LA FORZA INTRINSECA DEL REGNO DI DIO
Poi Gesù ci dà un secondo insegnamento importante: il regno di Dio, che è già tra noi, è un seme che germoglia e cresce da se stesso, per l'energia che ha dentro di sé. La storia del regno di Dio sulla terra non può essere valutata dai nostri insuccessi. La vita divina, che nella vita ecclesiale è già donata alla terra, si sviluppa per suo conto.
Molte volte noi ci affanniamo con le nostre iniziative, con le nostre organizzazioni, eppure sembra che nel campo pastorale non spunti niente. Ma nelle coscienze segrete degli uomini e nelle stesse vicende della comunità cristiana, c'è sempre il momento in cui arriva un supplemento di luce, c'è sempre il momento in cui il Regno si dilata nella storia e nei cuori. Ci sono ore in cui le ostilità verso la Chiesa, che sembravano invincibili ed eterne, improvvisamente crollano; ci sono ore in cui i terreni più aridi si mettono a dare frutti di dedizione generosa alla causa di Dio; ci sono ore in cui i cuori più induriti si convertono. Il seme - ci ha detto Gesù - cresce spontaneamente: neppure noi sappiamo il come e il perché (cf. Mc 4,27).

L'OPERARE DIVINO NON ESCLUDE LA NOSTRA RESPONSABILITÀ
Dorma o vegli (Mc 4,27), precisa il Signore. Nella Chiesa c'è chi dorme sempre, e non si decide mai a fare qualcosa di positivo e di efficace al servizio del Vangelo; e c'è anche chi non ha pace nella sua attività. Quando arriverà il momento del giudizio finale, ci verrà chiesto conto delle nostre sonnolenze, se non sono state un po' troppe; e ci verrà chiesto conto anche delle nostre veglie, se sono state tutte e solo per il vero bene dei fratelli e per l'autentica vitalità della comunità ecclesiale. Perché, come ci ha ricordato san Paolo nella seconda lettura, tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male (2 Cor 5,10). Ma una cosa deve essere ben chiara: né le nostre inerzie né le nostre pigrizie riusciranno a ostacolare il cammino del Regno, né il nostro frenetico agitarci lo dilaterà, se non sarà accompagnato dall'energia della grazia divina che lavora nascostamente negli animi.

L'ATTESA FIDUCIOSA E PAZIENTE DELLA VITTORIA FINALE
Se poi qualche volta possiamo essere scoraggiati per la scarsità e la debolezza della comunità cristiana, che vive in mezzo alle grandi prepotenze che dominano la scena del mondo, ricordiamoci della parabola del granello di senapa. Anche se ora siamo piccoli e poveri, siamo destinati a diventare il grande Regno di Dio che nell'eternità radunerà in una sola gioiosa famiglia le schiere senza numero degli angeli e dei santi. In fondo, questa riflessione ci ha detto che la santa Chiesa Cattolica deve essere oggetto prima di tutto della nostra fede, in modo che se ne possa percepire la forza e la bellezza di là dalle sue disadorne apparenze; poi è l'argomento della nostra speranza, perché proprio la Chiesa ci garantisce che, di là dalle sconfitte terrestri, ci è riservata la vittoria finale della vita senza tramonto; ma soprattutto deve essere la destinataria del nostro amore, perché essa custodisce entro la sua umanità il grande dono divino fatto agli uomini, cioè la realtà meravigliosa del Regno.

Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.

ALTRA OMELIA XI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 1,40-45)
da Il settimanale di Padre Pio
Clicca qui!

Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

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