BastaBugie n�88 del 29 maggio 2009
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I FINI RAGIONAMENTI DI FINI
Autore: Fabio Luoni - Fonte: 19 Maggio 2009
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L'ARCIVESCOVO DI BOLOGNA: BASTA COMUNIONE SULLA MANO
Si eviti il più possibile che il Santissimo Sacramento sia trattato con superficialità o addirittura in modo irriverente o, peggio ancora, sacrilego
Autore: Cardinale Carlo Caffarra - Fonte: 27 aprile 2009
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HITLER ABOLI' LA VIVISEZIONE E SAPPIAMO COME E' ANDATA A FINIRE, MA ANCHE OGGI LA FOCA VALE PIU' DI UN UOMO
Autore: Andrea Galli - Fonte: 7 maggio 2009
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LE TORTURE A GUANTANAMO?
Talmente lievi che i musulmani non credono che sia vero...
Autore: Ann Coulter - Fonte: 29 Aprile 09
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IN UN LIBRO IL CARDINALE MARTINI E DON VERZE' FANNO A PEZZI LA DOTTRINA CATTOLICA
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: 12 maggio 2009
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LA VERA MALATTIA MORTALE DEL NOSTRO TEMPO
La negazione della legge naturale
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: 4 Maggio 2009
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SAN GREGORIO VII E LA CHIAREZZA DEL DICTATUS PAPAE
L'autorita' senza confini della Chiesa
Autore: Plinio Corrêa de Oliveira - Fonte: Tradizione Famiglia Proprietà
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INVASIONE ISLAMICA
Ecco come la sharia sta penetrando silenziosamente in Europa
Autore: Camille Eid - Fonte: 5 maggio 2009
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SAMURAI: IL MARTIRIO DEI 37.000 CATTOLICI GIAPPONESI
Autore: Andrea Galli - Fonte: 13 maggio 2009
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I FINI RAGIONAMENTI DI FINI
Autore: Fabio Luoni - Fonte: 19 Maggio 2009
Fini, parlando di Costituzione, bioetica e testamento biologico: «Il Parlamento deve fare leggi non orientate da precetti di tipo religioso». Se non ricoprisse l’importante carica istituzionale di presidente della Camera, non perderemmo tempo a commentare l’ennesima uscita sgangherata del presidente Fini. Registriamo che nella sua concezione dello Stato, ormai da qualche periodo, Fini non riesce a capire il seguente concetto: la difesa del valore della vita umana, soprattutto nelle condizioni di maggiore debolezza e fragilità, è la base razionale per la convivenza civile all’interno di ogni comunità. Se si iniziano a fare eccezioni, il diritto alla vita diventa relativo e in balia della volontà di questa o quella maggioranza, questo o quel governante: si avrà quindi che di volta in volta, come la storia e l’attualità insegnano, a qualcuno verrà in mente di limitare o togliere questo diritto al bambino nel grembo della mamma, all’anziano malato, all’handicappato, a chi ha un colore della pelle diverso, o appartiene ad un’altra razza o etnia. Mi sembra che ciascun uomo debba preoccuparsi che le leggi del suo Stato difendano tale diritto fondamentale, senza bisogno di tirare in ballo precetti religiosi. Evidentemente Fini, avendo dimenticato questo principio, discrimina chi la pensa diversamente da lui e dalla sua concezione relativista di Stato senza valori. Il ragionamento è il seguente: se la pensi diversamente da Fini sui temi di bioetica sei mosso da precetti religiosi, che non vanno bene per definizione. Quindi se devi scrivere delle leggi sulla bioetica devi pensarla come Fini, puoi essere orientato dal niente, o da quello che vuoi, anche dalle scemenze, basta che tu non sia orientato dalla tua fede in Dio.
Fonte: 19 Maggio 2009
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L'ARCIVESCOVO DI BOLOGNA: BASTA COMUNIONE SULLA MANO
Si eviti il più possibile che il Santissimo Sacramento sia trattato con superficialità o addirittura in modo irriverente o, peggio ancora, sacrilego
Autore: Cardinale Carlo Caffarra - Fonte: 27 aprile 2009
Fin dalle sue origini la Chiesa apostolica ha espresso la convinzione di fede che i discepoli s’incontrano con il Risorto, ne fanno esperienza nel primo giorno dopo il sabato ascoltando la Parola di Dio e la sua spiegazione e spezzando il pane eucaristico (cfr. Le 24, 13-35; Al 20, 7-12). San Giustino nella I Apologia, al n. 67 testimonia l’ulteriore sviluppo di questa prassi. La predicazione degli apostoli, poi, illustrava ai fedeli la grandezza del Sacramento dell’altare e le disposizioni interiori necessarie per potervi partecipare con frutto, senza correre il rischio di mangiare e bere la propria condanna (cfr. 1 Cor 11, 29), ma al contrario perché mangiando di quel pane, Corpo di Cristo dato per la vita del mondo, chi crede possa avere la vita eterna (cfr. Gv 6, 51). È quindi preciso dovere dell’apostolo esortare spesso i cristiani perché possano ricevere degnamente il Corpo di Cristo plasmando la propria vita ad immagine di Colui che nel sacramento viene ricevuto. La pietà e la venerazione interiore con cui i fedeli si accostano all’Eucaristia si manifesta anche esteriormente nel modo con cui essi ricevono il Pane consacrato. La catechesi dei pastori non manchi dunque di soffermarsi anche sul modo con cui ci si può accostare all’Eucaristia perché si eviti il più possibile che il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia sia trattato con superficialità o addirittura in modo irriverente o, peggio ancora, sacrilego. Dobbiamo infatti prendere atto che purtroppo si sono ripetuti casi di profanazione dell’Eucaristia approfittando della possibilità di accogliere il Pane consacrato sul palmo della mano, soprattutto, ma non solo, in occasione di grandi celebrazioni o in grandi chiese oggetto di passaggio di numerosi fedeli. Per tale motivo è bene vigilare sul momento della santa Comunione partendo dall’osservanza delle comuni norme ben note a tutti. La distribuzione dell’Eucaristia avvenga in modo pacato ed ordinato, sia fatta in primo luogo dai ministri ordinati (presbitero e diacono); solo in loro mancanza dai ministri a ciò istituiti (accoliti). Solo in casi veramente eccezionali si ricorra ad altri ministri istituiti (lettori), alle religiose o a fedeli ben preparati. Durante la Comunione i ministranti assistano il ministro, per quanto possibile, vigilando che ogni fedele dopo aver ricevuto il Pane consacrato lo consumi immediatamente davanti al ministro e che per nessun motivo venga portato al posto, oppure riposto nelle tasche o in borse o altrove, né cada per terra e venga calpestato. L’Eucaristia è infatti il bene più prezioso che la Chiesa custodisce, presenza viva del Signore Risorto; tutti i fedeli si devono sentire chiamati a fare ogni sforzo perché questa presenza sia onorata prima di tutto con la vita e, poi, con i segni esteriori della nostra adorazione. In ogni caso, considerata anche la frequenza in cui sono stati segnalati casi di comportamenti irriverenti nell’atto di ricevere l’Eucaristia, disponiamo che a partire da oggi nella Chiesa Metropolitana di S. Pietro, nella Basilica di S. Petronio e nel Santuario della B.V. di San Luca in Bologna i fedeli ricevano il Pane consacrato solamente dalle mani del ministro direttamente sulla lingua. Raccomandiamo poi a tutti i sacerdoti di richiamare al popolo loro affidato la necessità di essere in grazia di Dio per poter ricevere l’Eucaristia e il grande rispetto dovuto al sacramento dell’Altare: con la catechesi, la predicazione, la celebrazione attenta e amorosa del Santi Misteri, educando i fedeli ad adorare il Dio fatto uomo con l’atteggiamento della vita e con la partecipazione curata in tutto, anche nei gesti, alla Mensa del Signore. Esortiamo infine i fedeli a mettere ogni impegno perché l’Eucaristia, fonte e culmine di tutta la vita cristiana, sia sempre più amata e venerata, riconoscendo in essa la presenza stessa del Figlio di Dio in mezzo a noi.
Fonte: 27 aprile 2009
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HITLER ABOLI' LA VIVISEZIONE E SAPPIAMO COME E' ANDATA A FINIRE, MA ANCHE OGGI LA FOCA VALE PIU' DI UN UOMO
Autore: Andrea Galli - Fonte: 7 maggio 2009
Da quando è stato approvato il VI Programma quadro per la ricerca, nell’autunno 2006, l’Unione europea finanzia con fondi comunitari la ricerca sulle linee cellulari ricavate da embrioni umani. Eppure sia a Strasburgo che a Bruxelles in pochi sembrano porsi problemi al riguardo, anzi. Agli eurodeputati sta più a cuore il futuro delle foche. A costo di sfidare le ire di Paesi amici. L’altroieri, infatti, il Parlamento ha approvato a larghissima maggioranza l’accordo raggiunto tra i Ventisette per vietare l’importazione di pelli di foca e di prodotti derivati, accogliendo le sollecitazioni di cittadini e associazioni animaliste che hanno inviato le loro proteste sull’onda emotiva delle immagini delle uccisioni cruente sulla banchisa. Il regolamento entrerà in vigore fra poco meno di un anno, in tempo per la prossima stagione venatoria. Il Canada, uno dei Paesi dove si concentra la caccia alle foche insieme a Groenlandia, Namibia, Norvegia e Russia, ha annunciato un ricorso direttamente all’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto). Ma lo zelo per il welfare animale della Ue non si limita certo alle foche. Sempre l’altro ieri, il polacco Janusz Wojciechowski, del gruppo Europa per le Nazioni, ha chiesto che sia evitata ogni sofferenza inutile agli animali al momento della macellazione (in Europa ogni anno vengono macellati 360 milioni di capi d’allevamento tra maiali, bovini, pecore e capre, oltre a 4 miliardi di polli). Soprattutto, nella stessa giornata, è arrivato il primo sì di Strasburgo a una proposta di direttiva della Commissione per rafforzare l’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di sperimentazioni sempre sugli animali. L’obiettivo è quello di ridurre questo tipo di test e di promuovere metodi alternativi, per arrivare prima o poi a un bando totale. Un 'prima o poi' che ha lasciato tuttavia l’amaro in bocca a molti. Monica Frassoni, per citare una voce di casa nostra (è presidente dei Verdi/Ale al Parlamento e capolista di Sinistra e Libertà per il nord ovest alle elezioni del prossimo 7 giugno), «il risultato complessivo è sotto le nostre attese non sottolineando a sufficienza la necessità di giungere sempre più a considerare la sperimentazione animale un eccezione e non la normalità». La Frassoni, all’epoca del referendum sulla Legge 40, nel 2005, sostenne con forza i quattro «sì», con l’obiettivo, tra gli altri, di garantire «le reali possibilità di favorire la ricerca». Sugli embrioni umani, ovviamente. La deriva animalista dell’Ue, se deve preoccupare, non deve certo stupire, essendo il riflesso di un’onda lunga culturale che tocca pressoché ogni landa occidentale. E che pubblicamente sembra destare sempre meno scalpore. Se infatti ha suscitato ancora qualche sorpresa la risoluzione approvata dalla commissione ambiente del parlamento spagnolo la scorsa estate, quella in cui si invitava il governo di Madrid ad aderire al «Progetto Grandi Primati», iniziativa internazionale tendente a riconoscere il diritto alla vita e alla libertà alle scimmie antropoidi (orangutan, scimpanzé, gorilla e bonobo), poco risalto è stato dato ai risultati a cui è giunta lo scorso ottobre, in Svizzera, una Commissione federale di etica per l’Ingegneria genetica, incaricata di stilare un rapporto sull’identità della flora e il suo rapporto con l’uomo. Secondo la commissione elvetica, fiori e piante avrebbero dignità e un valore morale, ovvero diritti e sentimenti, per cui sarebbero da condannare le violenze gratuite – come la «decapitazione di un fiore di campo senza un valido motivo» – oltre alle manipolazioni genetiche. Soli pochi mesi prima, il Parlamento di Berna aveva approvato una legge che obbliga i padroni dei cani a completare un corso completo di trattamento dei quadrupedi – con teoria e pratica – promuove la realizzazione di una «pesca umana» – per non turbare eccessivamente il benessere dei pesci – e stabilisce il modo in cui quelli eventualmente acquistati per essere tenuti in un acquario o in una palla di vetro debbano essere trattati dai rispettivi proprietari. Per un Paese che ha aperto in pochi anni ad aborto e suicidio assistito, è certamente un bilancio di tutto rispetto.
Fonte: 7 maggio 2009
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LE TORTURE A GUANTANAMO?
Talmente lievi che i musulmani non credono che sia vero...
Autore: Ann Coulter - Fonte: 29 Aprile 09
Senza neanche una parvenza di argomentazione, che i liberal non sono capaci di articolare per ragioni neurologiche, i media mainstream, a proposito dei metodi di interrogatorio, invero piuttosto delicati, utilizzati a Guantanamo, sostengono che si tratti di “torture” e che abbiano irrimediabilmente danneggiato l’immagine dell’America all’estero. In realtà, solo la seconda di queste due illazioni è vera. Certamente la decisione del presidente di rendere pubblici i protocolli di interrogatorio del Dipartimento di Giustizia non ha giovato all’immagine dell’America all’estero, poiché ora ridono di noi alla grande tutti coloro che nel mondo sanno che cosa sia veramente la tortura. Gli arabi, poi, penseranno sicuramente che questi verbali siano fasulli. “Che ci raccontate delle pillole in possesso degli americani che sarebbero capaci di trasformarci tutti in checche?” Le tecniche usate contro i membri di al-Qaida più agguerriti, come Abu Zabaydah, includono la procedura terrificante nota come l’“attention grasp”. Secondo quanto riportato in tutto il suo orrore nei memorandum del Dipartimento di Giustizia, l’“attention grasp” consiste nell’ “afferrare il soggetto con entrambe le mani, una su ogni lato dell’apertura del colletto, con un’azione controllata e veloce. Nell’ambito della stessa azione, il soggetto è condotto all’interrogatorio”. Finito! Si dice che Dick “Darth Vader” Cheney, volesse vietare l’uso di mentine per l’alito agli inquirenti prima che ponessero in atto la procedura, ma che il Dipartimento di Giustizia abbia ritenuto la cosa troppo crudele. E non è tutto! Perché i tormenti devono aumentare a poco a poco, al gradino successivo troviamo il “walling”:il terrorista viene spinto contro una parete elastica, nel mentre il suo “capo e il suo collo sono trattenuti da un cappuccio arrotolato o da un asciugamani che funge da collare anatomico per prevenire colpi di testa”. Nei parchi giochi con le montagne russe, ci sono persone che pagano per venire sottoposti a trattamenti ben più bruschi di questi. Del resto con questi muri di plastica e questi collari soffici, il “walling” sarebbe la prima tecnica di tortura al mondo che è stata perfezionata grazie alla Fisher-Price, [la casa che produce giocattoli per l’infanzia N.d.T.]. I protocolli osservano minacciosamente che il walling non produce alcuna sofferenza, e che tuttavia incute paura perchè fa assai rumore: “La finta parete è costruita apposta perché all’impatto provochi un rumore fragoroso, col conseguente effetto di shock e di sorpresa”(!!!). Se avete bisogno di qualche istante per riprendervi da tutto questo orrore, prendetevi una pausa prima di continuare a leggere. Potrebbe risultare utile un impacco freddo sulla fronte, a patto di non farlo gocciolare: rischiereste di sottoporre voi stessi al “waterboarding”. Se pure fossero ispirate allo sketch comico sull’Inquisizione Spagnola di Monty Python, le tecniche di interrogatorio della CIA non potrebbero essere più esilaranti. Cardinale! Colpiscila con i cuscini imbottiti!... Uhm! Ha una tempra più forte di quanto credessimo! Cardinale Fang! Vada a prendere La SEDIA CONFORTEVOLE! Credi di essere forte perché hai resistito ai cuscini imbottiti. Bene, adesso vedrai. Biggles! Mettila sulla Sedia Confortevole! Ora, resterai seduta nella Sedia Confortevole fino all’ora di pranzo e, per quanto riguarda il caffè, ne avrai una sola tazza alle 11. Sul gradino successivo della scala della tortura (quella di Guantanamo, non di Monty Python) troviamo l’ "insult slap" [lo schiaffo con le sole dita sulla guancia N.d.T], pensato per non provocare di fatto alcun dolore fisico, ma che prevede che l’inquirente invada “lo spazio personale del soggetto” Se non funziona, l’inquirente si fa vedere il giorno successivo vestito con la stessa divisa del detenuto (che imbarazzo). Vi risparmierò gli altri particolari agghiaccianti di queste ridicole tecniche di interrogatorio della CIA e passo immediatamente alla penultima “tortura” del loro repertorio: il “caterpillar”. Nella sua indicibile brutalità, un innocuo bruco è posto nella cella del terrorista. Il Dipartimento di Giustizia ha esplicitamente negato l’assenso alla richiesta degli inquirenti di poter ingannare il terrorista dicendogli che l’insetto fosse dotato di pungiglione. Tra i vari gruppi che si battono per i diritti umani, qualcuno ha sostenuto che l’essere rinchiusi in una cella con un bruco vivo è “brutale”, altri “straziante”, poi ci sono, naturalmente, anche quelli per cui la cosa è “adorabile”. Se il terrorista riesce a sopravvivere all’espediente del bruco che non punge, il più diabolico dei metodi di tortura mai concepiti dalla mente umana che non comprenda anche la visione forzata di “The view” [trasmissione televisiva del mattino paragonabile al nostro Verissimo N.d.T.] – gli agenti della CIA hanno ancora un sadico asso nella manica. Non mi è permesso divulgare ogni dettaglio. Posso solo fare memoria del nome di questa pratica veramente terrificante: “la coccinella”. Siamo finalmente arrivati alla più barbara delle tecniche di interrogatorio a Guantanamo: il “waterboarding” che è solo un tantinello più rude della Sedia Confortevole. Nel corso degli ultimi trent’anni, decine di migliaia di nostri soldati sono stati sottoposti al waterboarding, che è parte integrante del loro addestramento. Solo, però, quando vi è stato sottoposto Khalid Sheikh Mohammed – la mente dietro l’attacco dell’11 Settembre all’America – le coscienze dei progressisti si sono turbate. Lo shock deriva forse dal fatto che non riuscivano a immaginare come Joey Buttafuoco fosse finito a Guantanamo [si tratta di un personaggio protagonista nel 1992 di un fattaccio di cronaca, dal cognome particolarmente buffo per gli statunitensi, che viene tirato in ballo nei contesti più imprevedibili nei programmi di intrattenimento]. Come combattenti non in uniforme, secondo le leggi di guerra, ognuno dei detenuti a Guantanamo sarebbe potuto andare incontro a un’esecuzione sommaria sul campo. E invece di un colpo da arma da fuoco, diamo loro sedie confortevoli, avvocati gratis, cibo migliore di quello servito alle nostre truppe nelle grotte in Afghanistan, tappettini per la preghiera, attività ricreative, assistenza sanitaria di primo livello – quella di cui si è giovato, ad esempio, un terrorista che, una volta rilasciato, è potuto tornare a combattere per la jihad forte di una costosa gamba artificiale che gli è stata fornita a Guantanamo coi complimenti dei contribuenti americani. Solo tre terroristi – che, lo ripetiamo, avevamo il diritto di uccidere all’istante – hanno subìto il waterboarding, una tecnica pericolosa quasi quanto lo “snowboarding”, che notoriamente causa un dolore fortissimo alle natiche e circa dieci morti ogni anno. Gli esseri umani normali – specialmente quelli che sono coetanei di mio fratello maggiore Jimmy – non possono leggere i protocolli di questi interrogatori senza mettersi a ridere. Ad Al-Jazeera non credono che questi protocolli siano veritieri. I musulmani li leggono e dicono: È QUESTO TUTTO QUELLO FANNO? Noi lo facciamo per abitudine, lo facciamo ai nostri amici. Ma il New York Times è pieno di persone che si indignano perché vivono in un paese che mette bruchi nelle celle dei terroristi.
Fonte: 29 Aprile 09
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IN UN LIBRO IL CARDINALE MARTINI E DON VERZE' FANNO A PEZZI LA DOTTRINA CATTOLICA
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: 12 maggio 2009
La pillola anticoncezionale? Spesso è giocoforza che vada consigliata e fornita. L’etica cristiana? Incongruente, da rifare. I divorziati risposati? Basta fisime clericali. Il celibato ecclesiastico? Una finzione, buttiamolo a mare. I vescovi? Li elegga il popolo di Dio. Tutto ciò fermandosi solo alle anticipazioni di Siamo tutti sulla stessa barca (Editrice San Raffaele, 96 pagine 14,50 euro) libro firmato dal cardinale Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano, e da don Luigi Verzé, fondatore dell’Ospedale San Raffaele e rettore dell’Università Vita-Salute. Sarebbe interessante sapere che cosa pensano di queste tesi le autorità preposte alla salvaguardia della dottrina cattolica. Perché è venuto il momento di dire se, in materia di dottrina e di morale, i fedeli sono tutti uguali e devono accettare tutti le stesse regole o se, invece, c’è qualcuno più uguale degli altri. Il cattolico medio non può ignorare che se il Papa si pronuncia su un tema, subito spunta il cardinale Martini a fare da contraltare. Il Papa scrive un libro su Gesù? Lui l’avrebbe fatto meglio. Il Papa liberalizza la Messa in latino? Lui non avrebbe suscitato perniciose nostalgie. Il Papa ribadisce il primato di Pietro? Lui si appella alla collegialità. Il Papa prende atto degli scivoloni del Vaticano II? Lui convoca il Vaticano III. Così come non può ignorare che don Verzé ha riempito la sua università di nomi come Massimo Cacciari, Roberta De Monticelli, Vito Mancuso, Salvatore Natoli, Emanuele Severino, Edoardo Boncinelli: il meglio del pensiero anticattolico sulla piazza. Del resto, don Verzé è l’inventore di un’inedita dottrina simil-cattolica grazie alla quale si è auto-autorizzato a praticare nel suo ospedale la fecondazione artificiale omologa condannata dalla Chiesa. Lo ha fatto con una decisione del comitato etico del San Raffaele e poco gli importa di essere stato smentito dalla Congregazione per la dottrina della fede. Senza dimenticare che, in piena bagarre sul caso Englaro, don Verzé rivelò di aver tolto la spina ad un amico attaccato a un respiratore artificiale. “Col pianto nel cuore”, ma lo fece. Due come il cardinale Martini e don Verzé sembrano fatti apposta per incontrarsi. E potrebbe stupire che, per anni, la curia sinistrorsa martiniana abbia fatto la guerra al san Raffaele e al suo fondatore. Ma si trattava di questione politiche e non teologiche. Perché sul metodo del dubbio applicato al dogma e sulla teoria delle “zone grigie” applicata alla morale messi a punto da Martini, don Verzé ci va a nozze. Tanto che, nel 2006, la sua università ha conferito la laurea honoris causa al porporato. E così ecco spiegato il presente libro, nel quale il fondatore del San Raffaele parla con rammarico di “un’etica ecclesiastica imposta”. Poi dice “che anche ai sacerdoti dovrebbe essere presto tolto l’obbligo del celibato” e annuncia che l’ora delle democrazia nella Chiesa suonerà con l’elezione diretta dei vescovi. “ La Chiesa cattolica è troppo lontana dalla realtà, e le fiumane di gente, quando arriva il Papa, hanno più o meno il valore delle carnevalate”. Don Verzé va giù di vanga, e allora Martini interviene con il fioretto ad allargare il solco. “Oggi ci sono non poche prescrizioni e norme che non sempre vengono capite dal semplice fedele”. Caro don Luigi, ha proprio ragione lei, qui bisogna cambiare tutto, che orrore quelle fiumane di gente ignorante e impreparata, avrà mai seguito almeno una lezione della Cattedra dei non credenti? Con studiata ritrosia, il cardinale conferma tutto. Senza dimenticare che, per rimettere un po’ d’ordine, “non basta un semplice sacerdote o un vescovo. Bisogna che tutta la Chiesa si metta a riflettere su questi casi”. Insomma, un altro Concilio. Siamo tutti sulla stessa barca, dice il titolo del libro. Qualcuno ci spieghi se è quella di Pietro.
Fonte: 12 maggio 2009
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LA VERA MALATTIA MORTALE DEL NOSTRO TEMPO
La negazione della legge naturale
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: 4 Maggio 2009
Ogni richiamo del Papa alla dottrina della Chiesa in materia morale costituisce ormai motivo di contestazione da parte delle lobby laiciste. È quanto è accaduto il 17 marzo quando, parlando con un giornalista francese sull’aereo che lo portava in Camerun, Benedetto XVI ha detto che il problema dell’AIDS non può essere risolto con la distribuzione di preservativi (in inglese “condom”); al contrario, ha aggiunto il Santo Padre, questi presentano il rischio di aumentare il problema. La soluzione, invece, «può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con i sacrifici, con rinunce personali, a essere con i sofferenti». Non è la prima volta che il Santo Padre esprime questi concetti. Lo aveva fatto il 6 ottobre 2005 in un discorso ai vescovi dell’Africa meridionale e il 2 dicembre dello stesso anno, in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS. In entrambi i casi, Benedetto XVI aveva ricordato che la vera lotta all’AIDS è quella basata sull’insegnamento della castità e della fedeltà. In termini analoghi si era espresso il suo predecessore Giovanni Paolo II, parlando ai vescovi dello Zambia, il 3 settembre 1994, ai vescovi del Gambia, della Liberia e della Sierra Leone, il 15 febbraio 2003, e a quelli della Tanzania, l’11 marzo 2005. In quest’ultimo messaggio, dal Policlinico Gemelli, Papa Wojtila aveva ricordato che «la fedeltà all’interno del matrimonio e l’astinenza al di fuori di esso sono gli unici metodi sicuri per limitare l’ulteriore diffusione dell’AIDS». Nulla di nuovo dunque, da parte della Chiesa; ma sufficiente per scatenare un linciaggio mediatico senza precedenti. Contro il Papa sono scesi in campo il Governo della Francia, per bocca del portavoce del ministro degli Esteri; il Governo tedesco, nella persona di due ministre, e la stessa Commissione Europea. Ma anche qualche vescovo cattolico, come quello ausiliario di Amburgo, Hans Iochen Jaschke, si è sommessamente unito al coro. In Francia, alla posizione del Governo, ha fatto eco una blasfema vignetta pubblicata dal quotidiano “Le Monde”, in cui si rappresenta Gesù Cristo mentre fa il miracolo della «moltiplicazione dei preservativi» distribuendone a piene mani ad una popolazione di africani. La pubblicazione di questo insulto alla fede di milioni di cattolici non ha suscitato nessuna protesta analoga a quelle avutesi anche in Europa contro le caricature di Maometto pubblicate nel 2006 dal giornale danese “Jylland Posten”. Ancora oggi, ai primi di aprile, il premier turco Erdogan si è opposto fino all’ultimo alla nomina del danese Fogh Anders Rasmussen alla guida della Nato, proprio per la sua mancata censura alle vignette anti-islamiche. Le accuse di “Le Monde” e dei politici europei si basano d’altra parte su di un grossolano sofisma: l’unico o il principale strumento di contenimento dell’AIDS, si dice, sono i profilattici. Criticandone l’uso, Benedetto XVI si rende colpevole della diffusione di questo flagello. Ergo: il Papa è un irresponsabile e un criminale. La reazione degli stessi ambienti cattolici a questo sofisma è stata tiepida e si è concentrata sul falso problema della scarsa efficacia dei “condom” contro l’AIDS. La questione è invece un’altra: il Papa ha perfettamente ragione nell’affermare che l’uso dei profilattici rischia di aggravare la diffusione dell’AIDS, perché la vera pandemia che affligge l’Africa e il mondo intero non è l’AIDS, ma la sregolatezza sessuale. L’AIDS è la conseguenza, non la causa, di un male che, per essere evitato, va curato alle radici. Le radici stanno in una filosofia che nega l’esistenza della legge naturale e pone la felicità dell’uomo nell’appagamento del piacere. Questa filosofia del piacere e della sregolatezza, riassunta dalla formula “vietato vietare” è stata diffusa in Occidente dalla Rivoluzione del Sessantotto. Come conseguenza di questa Rivoluzione culturale, il sesso oggi invade e pervade la nostra vita quotidiana. La pornografia ci assedia, dai cartelloni pubblicitari ai siti internet. Come la droga, essa costituisce uno dei principali “business” della nuova criminalità. Ma le origini del crimine stanno nel relativismo sessantottino, secondo cui tutto è permesso, perché nulla è vietato da una legge morale oggettiva e immutabile. Benedetto XVI ci ricorda, con le sue parole, l’esistenza di una “legge del sacrificio” opposta a quella del piacere: una legge che comporta la possibilità dell’astinenza sessuale in vista di un bene superiore. La castità, per i cristiani, può e deve essere praticata in forma parziale all’interno del matrimonio e in forma assoluta al di fuori di esso. È questo l’insegnamento perenne della Chiesa che il Papa ha voluto ricordare nel suo viaggio in Africa. Oggi campeggiano sui media le immagini di attrici, modelle, “showgirl”, “veline”, perfino suore “cubiste”, come quella che si è esibita il 7 aprile a Santa Croce in Gerusalemme davanti a illustri prelati: tratto comune a queste figure è la mancanza del sentimento del pudore. Eppure la storia della Chiesa e dell’Europa è anche quella di modelli femminili che hanno onorato la purezza fino all’offerta della vita. I nomi di santa Lucia, sant’Agata, santa Cecilia, sant’Agnese sono scolpiti nel martirologio antico, ma anche i tempi moderni hanno conosciuto esempi di eroica testimonianza. Dopo quello di santa Maria Goretti, morta a 12 anni, nel 1902, per difendere la sua verginità, vanno ricordati nomi meno noti ma altrettanto luminosi: la beata Carolina Kozka, polacca, trafitta nel 1914, a sedici anni, dalla spada di un soldato russo che aveva cercato di violentarla; la beata Albertina Berkenbroc sgozzata dal suo aggressore nel 1931, a 12 anni, in Brasile; la beata Antonia Mesina di Orgosolo, massacrata a colpi di pietra, a sedici anni, nel 1935, da un compaesano accecato dal suo rifiuto; la beata Teresa Bracco, piemontese, percossa a morte nel 1944 a 24 anni, da un soldato tedesco per aver difeso la propria castità; la beata Pierina Morosini di Bergamo, uccisa a 26 anni nel 1957, nel tentativo di difendersi dall’aggressione. Queste stelle di vergini e martiri brillano nel firmamento della Chiesa, mentre le “pornostar” sono destinate a spegnersi nel buio dell’eternità. Due concezioni del mondo oggi si affrontano: la prima si richiama al modello della purezza cattolica, la seconda al disordine sessuale, simboleggiato dal “condom”. I preservativi aggravano il male che vogliono evitare perché costituiscono un invito alla pratica del sesso, presentato come “sicuro” e, implicitamente, “necessario”. Il messaggio che essi veicolano è che è impossibile rinunciare al piacere sessuale, e anzi è doveroso fruirne, purché ciò avvenga senza rischio fisico. Nessuno ricorda l’esistenza di un rischio morale ben più grave della sofferenza temporanea del corpo: il peccato, che conduce alla perdizione eterna, ovvero alla eterna sofferenza dell’anima. L’AIDS è indubbiamente una tragedia sociale. Ma se ogni catastrofe naturale subita dagli uomini, come i terremoti, deve essere considerata anche nell’aspetto espiatorio che ha ogni sofferenza, a maggior ragione ciò vale quando la catastrofe non è solo subita, ma scelta da parte di chi deliberatamente viola la legge naturale. Peggiore ancora è la sorte di chi giustifica o teorizza la violazione di questa legge, soprattutto se riveste cariche pubbliche, magari addirittura ecclesiastiche. Questa, e non altra, è la malattia mortale del nostro tempo.
Fonte: 4 Maggio 2009
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SAN GREGORIO VII E LA CHIAREZZA DEL DICTATUS PAPAE
L'autorita' senza confini della Chiesa
Autore: Plinio Corrêa de Oliveira - Fonte: Tradizione Famiglia Proprietà, 25 maggio 2009
In occasione della festa del Papa San Gregorio VII (1015?-1085) vorrei meditare su un testo attribuito al Santo Pontefice e che ne riflette comunque il pensiero, il “Dictatus Papae”, la cui prima redazione nota è del 1090: un testo cordialmente detestato dai teologi progressisti. È una specie di sommario delle tesi che gli erano care. Storicamente, la più significativa è la tesi – che ha una sua armoniosa bellezza, per quanto sia abitualmente disprezzata – relativa ai rapporti fra il Papa e l’Imperatore. Ricordiamo che l’Imperatore del tempo, Enrico IV (1050-1106), interveniva pesantemente negli affari della Chiesa e cercava di controllarla attraverso la nomina dei vescovi. San Gregorio VII combatté questa politica. Voleva eliminare questa pretesa del governo imperiale e dare una lezione all’Imperatore. E ci riuscì. Il “Dictatus Papae” mostra le relazioni che devono esistere fra il Sacro Romano Impero e il Papato. La seconda proposizione afferma che solo la monarchia del Romano Pontefice “può a buon diritto essere chiamata universale”. Questa universalità si riferisce al campo spirituale. Il Papa non pretende affatto di governare direttamente l’Impero. Ma rivendica il diritto di esercitare un’influenza decisiva. Nel Sacro Romano Impero il documento vede la spada del Papa: pronta a proteggere la Santa Chiesa Cattolica, a difendere la fede e a combattere i suoi nemici. Da una parte, il potere temporale deve governare in modo indipendente secondo il diritto naturale. Dall’altra, il Papato deve sorvegliare che questo effettivamente avvenga. In questo senso i due poteri sono diversi e indipendenti. Ma il “Dictatus Papae” afferma pure che, se ci si chiede qual è il potere più elevato ed eminente in Terra, la risposta è chiara – e rappresentata anche nell’arte dell’epoca. Il Papa è sempre un gradino sopra; l’Imperatore sta alla sua sinistra, un gradino sotto, e ancora al di sotto dell’Imperatore stanno tutti i re e sovrani della sfera temporale. Alla destra del Papa, ma anche loro un gradino sotto, stanno tutti i membri della gerarchia cattolica che governa la sfera spirituale. È certo che nella concezione di Gregorio VII dei due poteri il Papa ha un primato e una posizione centrale. In questo giorno della sua festa possiamo chiedere a San Gregorio VII d’intercedere per il mondo perché si recuperi lo spirito della sua nozione di distinzione e insieme di unità dell’ordine spirituale e dell’ordine temporale. Se questa diventasse una nozione generalmente accettata ci troveremmo all’alba del Regno di Maria. È anche vero che se venisse l’alba di una nuova epoca assai favorevole per la Chiesa, appunto il Regno di Maria, questa nozione ne farebbe parte. Preghiamo dunque San Gregorio VII perché chieda a Dio che questa sublime visione torni sulla Terra, in quanto ci è sommamente utile a trovare il giusto cammino.
(Traduzione di Massimo Introvigne)
Fonte: Tradizione Famiglia Proprietà, 25 maggio 2009
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INVASIONE ISLAMICA
Ecco come la sharia sta penetrando silenziosamente in Europa
Autore: Camille Eid - Fonte: 5 maggio 2009
La sharia ha da tempo varcato i confini degli Stati a maggioranza islamica.
GRAN BRETAGNA Da più di vent’anni anni in Gran Bretagna, nel nome del multiculturalismo di cui quel Paese è stato l’antesignano, operano tribunali islamici che possono deliberare su matrimoni e divorzi, eredità e contese patrimoniali. Recentemente il governo laburista di Gordon Brown ha di fatto avallato la poligamia riconoscendo gli assegni familiari ai musulmani poligami che si sono sposati in Paesi dove essa è permessa. E forti polemiche avevano suscitato le dichiarazioni del primate della Chiesa anglicana, Rowan Williams, favorevole all’adozione di alcune disposizioni della sharia. GERMANIA In Germania numerosi verdetti emessi dai tribunali tedeschi fanno riferimento a principi o consuetudini legate al diritto musulmano. Il 21 gennaio scorso, un giudice di Hannover ha respinto la richiesta di divorzio di una donna tedesca sposato con un egiziano che minacciava di uccidere la figlia diciassettenne stuprata: «I musulmani hanno una diversa concezione dello stupro. Semmai vanno rieducati sul fatto che lo stupro non è adulterio». Un altro giudice di Essen ha stabilito, il 2 marzo 2009, che le allieve musulmane in Germania non possono essere costrette a partecipare alle lezioni di nuoto o a studiare la teoria dell’evoluzione «perché sono incompatibili con la loro religione». In un altro caso un giudice di Dortmund, citando un brano del Corano, ha stabilito che un padre musulmano può picchiare la figlia quindicenne che si rifiuta di indossare il velo, senza essere punito. Un giudice di Francoforte ha fatto riferimento ad un passaggio nel Corano che dà diritto a un marito di picchiare la moglie in quanto «sia la moglie che il marito sono musulmani». L’avanzata della sharia non si limita ai tribunali. In una scuola tedesca il direttore ha fato istruzioni ai professori maschi di non stringere la mano alle ragazze musulmane alla consegna dei diplomi. Spiegazione: «Nell’islam è illecito». OLANDA Il teatro Zuidplein di Rotterdam, Olanda, ha accolto un mese fa la richiesta di un comico marocchino di riservare le prime cinque file alle donne, in nome della sharia. Il comico è noto per la sua opposizione all’integrazione dei musulmani nelle società occidentali. Il consiglio municipale ha difeso la sua scelta. «Secondo i nostri valori occidentali – si legge in un comunicato – la libertà di vivere la propria vita in funzione delle proprie convinzioni è un bene prezioso». ITALIA E anche in Italia il relativismo culturale e giuridico ha aperto varchi preoccupanti. Già nel 2003 una sentenza del tribunale di Bologna aveva riconosciuto indirettamente la poligamia per i musulmani che si sono sposati nei loro Paesi di origine, «essendo irrilevante il comportamento tenuto all’estero dallo straniero la cui legge nazionale riconosce la possibilità di contrarre più matrimoni». E nell’ottobre dell’anno scorsola Corte d’appello di Cagliari ha riconosciuto a un cittadino egiziano la legittimità del 'talaq', il ripudio che l’uomo compie verso la donna pronunciando tre volte una frase rituale davanti a un ufficiale del tribunale civile egiziano.
Fonte: 5 maggio 2009
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SAMURAI: IL MARTIRIO DEI 37.000 CATTOLICI GIAPPONESI
Autore: Andrea Galli - Fonte: 13 maggio 2009
Nel dicembre del 1637 circa trentasettemila kirishitan, cioè cristiani, si asserragliarono nel castello di Hara, nell’allora provincia di Hizen, nell’Isola di Kyushu, la più a sud dell’arcipelago nipponico. Ventimila tra contadini e commercianti, inquadrati militarmente da seicento ronin, samurai decaduti, più diciassettemila donne e bambini al seguito, decisi a resistere fino alla morte per rivendicare la libertà di culto e sfidare un potere feudale giunto a livelli di torchiatura fiscale e di crudeltà inauditi. A guidarli era un giovane di soli sedici anni, Amakusa Shiro, figlio di un samurai cristiano e creduto – per il suo carisma e una serie di miracoli che gli furono attribuiti – l’«inviato dal cielo» citato in una misteriosa profezia attribuita a San Francesco Saverio, ritrovata nel testo lasciato dietro di sé da un gesuita in fuga dalla persecuzione anticattolica. Era un popolino proveniente dalle isole Amakusa e dalla penisola di Shimabara, costretto a professare la fede nel segreto, pena la morte, odiato dai bonzi buddisti quanto dallo shogunTokugawa Ieyasu, che vedeva in ogni presenza cristiana un cavallo di Troia degli imperi marittimi di Portogallo e Spagna. Un popolino che, abituato a tirar di roncola più che di spada, aveva però scelto di uscire dalle catacombe e sfidare in armi le autorità locali: prima aveva tentato di assaltare i castelli di Hondo e Tomioka, poi aveva resistito alle rappresaglie, infliggendo pesantissime perdite alle spedizioni dei daimyo, i feudatari locali, poi era arrivato vicino all’inaudito, cioè la presa della fortezza principale della zona, quella di Shimabara, del daimyo Matsukura Katsuie. Infine, impossibilitato a continuare lo scontro in campo aperto contro un esercito via via sempre più imponente, grazie ai rinforzi provenienti dal resto del Giappone, si era rifugiato in un grande fortilizio abbandonato, a ridosso dell’oceano. Sapendo che da lì, salvo miracoli, non sarebbe più uscito vivo. Le navi che erano servite per approdare al castello furono distrutte e il legno fu usato per rinforzare le mura diroccate. Sui bastioni furono innalzate grandi bandiere bianche crociate e i kirishitan si apprestarono a combattere invocando l’aiuto di Iesu Kirisuto (Gesù Cristo), di Mariya e dei santi. Niente messe, perché di missionari o sacerdoti autoctoni per celebrarle non ne erano rimasti – quelli che non erano riusciti a lasciare il Paese erano stati trucidati –, solo rosari ed esortazioni mistiche dell’Inviato del Cielo. Per cinque mesi i ribelli resistettero all’impossibile, anche alle cannonate di una nave olandese guidata dal calvinista Nicolas Koekebakker, che aveva messo a disposizione per l’annientamento dell’insurrezione papista le sue bocche da fuoco. Fino alla capitolazione, per sfinimento, mancanza di viveri, munizioni, sabotaggi interni, il 12 aprile del 1638. I kirishitan furono massacrati e tutti decapitati. La spianata attorno al castello fu disseminata di pali con le loro teste mozzate, come un immenso campo di macabri girasoli. La testa di Amakusa Shiro fu portata a Nagasaki come trofeo e avvertimento per i restanti seguaci di Iesu Kirisuto e del gran regnante di Roma. Per raccontare la vicenda della ribellione di Shimabara, la Masada della Chiesa giapponese, poco conosciuta in Occidente, Rino Cammilleri, saggista prolifico e di lungo corso, ha scritto quello che probabilmente è il più bello tra i romanzi storici che finora ha firmato: Il Crocifisso del Samurai (Rizzoli, pagine 276, euro 18,50). Lo ha fatto miscelando una trama di fantasia che vede protagonisti tre seguaci di Amakusa Shiro – il giovane Kato, la sua amata Yumiko, prelevata dalle guardie di un daimyo e torturata pubblicamente con l’unica colpa di essere figlia di Kayata, samurai cattolico che non aveva potuto pagare le tasse alle autorità – e un racconto degli accadimenti di quel 1637 di sangue e della grande persecuzione dei decenni precedenti. Un’immersione in un Giappone arcaico e feroce, dove sulla fiorente Chiesa nata dalle missioni gesuitiche e francescane si abbatté una violenza che ha avuto pochi uguali nella storia. E dove gli shogun della dinastia Tokugawa, dopo aver preso il potere nel 1603 chiusero sempre più il proprio impero ai rapporti con gli stranieri – dopo la ribellione di Shimibara per oltre duecento anni il Giappone divenne sakoku, quasi totalmente blindato e autarchico – e i cristiani si eclissarono. Riemersero alla luce, come per miracolo, alla fine di un tunnel plurisecolare, solo nel 1865, quando i missionari tornarono in quella lande.
Fonte: 13 maggio 2009
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