BastaBugie n�881 del 10 luglio 2024

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1 CON GASPARRO AL PALIO DI SIENA HA VINTO L'ARTE SACRA
Ci voleva un artista cattolico per dipingere una Madonna che unisse cielo, terra... e contrade (lontana anni luce da quelle degli ultimi anni al centro di polemiche)
Autore: Stefano Chiappalone - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 UNA NUOVA GUERRA CIVILE IN AMERICA E' POSSIBILE
Civil War di Garland (film molto violento e per adulti) esce nei cinema alla vigilia di elezioni bollenti in USA, in un'epoca di massima divisione dell'opinione pubblica (VIDEO: trailer e recensione)
Autore: Stefano Magni - Fonte: Atlantico Quotidiano
3 IL PROBLEMA DELL'AFRICA SONO GLI AFRICANI
La drammatica guerra in Sudan e le sanguinose rivolte in Kenia mettono a nudo come il flusso continuo di soldi occidentali a fondo perduto non serva a nulla
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Sito di Nicola Porro
4 COME COMBATTERE GLI SCRUPOLI (CHE NON SONO LA VOCE DI DIO, MA DEL DIAVOLO)
La ricerca di una perfezione impossibile rende la vita cristiana logorante e spinge prima o poi lo scrupoloso ad arrendersi
Autore: Roberto Marchesini - Fonte: Bussola Mensile
5 DIECI COSE SULLA PORNOGRAFIA CHE NON SAI
La pornografia è legata al traffico sessuale con abusi e violenze sulle ''attrici'' e inoltre vedere i video genera dipendenza e ossessione, cambia lo sguardo sugli altri, corrode la fiducia, avvelena le relazioni sentimentali
Autore: Manuela Antonacci - Fonte: Sito del Timone
6 FRANCIA, LA MEZZALUNA AVANZA NELLE SCUOLE E NELLE AZIENDE
Gli insegnanti e le aziende sono terrorizzati per le pretese di studenti o dipendenti islamici di imporre i dettami del Corano a scuola o sul posto di lavoro (con l'aiuto dei sindacati e delle lobby gay)
Autore: Lorenza Formicola - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 OMELIA XV DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 6, 7-13)
Scuotete la polvere sotto i vostri piedi
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

1 - CON GASPARRO AL PALIO DI SIENA HA VINTO L'ARTE SACRA
Ci voleva un artista cattolico per dipingere una Madonna che unisse cielo, terra... e contrade (lontana anni luce da quelle degli ultimi anni al centro di polemiche)
Autore: Stefano Chiappalone - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 6 luglio 2024

«Il cencio dipinto di luce ed oro»: così è stato ribattezzato tra l'unanime ammirazione il drappellone (detto appunto "cencio" o "palio", da cui prende il nome l'intero evento simbolo di Siena) dipinto dal pittore barese Giovanni Gasparro per la corsa o "carriera" prevista per martedì 2 luglio in onore della Madonna di Provenzano, e poi effettivamente disputata giovedì 4 luglio, dopo due rinvii legati al maltempo. A conquistarlo è stata la contrada dell'Onda con il fantino Carlo Sanna detto Brigante, in sella a Tabacco - anzi, senza sella, poiché nel Palio si cavalca "a pelo".
Una Madonna incantevole che guarda verso il basso, verso la città di Siena, circondata da angeli (come l'"archetipo" della Madonna di Provenzano venerata nell'omonima chiesa senese), il cui stesso manto, candido e lucentissimo, si trasforma in drappellone, che nella parte inferiore reca gli stemmi delle contrade in campo, il cui ricamo in oro richiama lo sfondo della parte superiore. «L'oro è attributo del divino, come Siena ha insegnato al mondo attraverso i suoi polittici medievali, per l'appunto, a fondo oro. Desideravo che le Contrade si sentissero investite dalla benedizione della Vergine», spiega Gasparro intervistato da La Nazione. Curiosa coincidenza: a fare da modella, prestando il volto alla Vergine, è stata la diciottenne Eleonora Sabatino, imparentata con san Pio da Pietrelcina.
Se pure il drappellone non è in senso stretto destinato al culto, occorre ricordare che il Palio non è mero folklore: è evento insieme civico e religioso, anzi marcatamente mariano. A cominciare dalle date: il 2 luglio in onore della Madonna di Provenzano (ricorrenza legata alla festa della Visitazione nel calendario pre-riforma liturgica) e il 16 agosto in onore dell'Assunta. Il drappellone viene inoltre benedetto dall'arcivescovo, così come i cavalli nelle rispettive contrade. E il primo atto dopo la vittoria vede la contrada vincente recarsi in chiesa (quella di Provenzano a luglio o il duomo, che è dedicato all'Assunta, ad agosto) per intonare il Maria Mater Gratie, popolarmente benché impropriamente detto Te Deum (ma nel senso generico di "inno di ringraziamento").

IL DRAPPELLONE PIÙ BELLO
Giovedì sera la contrada dell'Onda si è recata nella chiesa di Provenzano con il drappellone appena conquistato, verosimilmente il più bello almeno degli ultimi decenni, da fare invidia alle altre contrade vincitrici delle passate edizioni. Sembrano decisamente lontane le polemiche del passato recente per alcune raffigurazioni apparse ben poco adeguate, specie da quando è invalso l'uso di affidarne la realizzazione ogni volta a un artista diverso (tra Settecento e Ottocento c'era un solo pittore del drappellone, o al massimo due o tre alternati nel corso del Novecento).
A partire dagli anni Settanta a cimentarsi nella realizzazione del "cencio" troviamo: Renato Guttuso, Mino Maccari, Corrado Cagli, Ugo Attardi, Ernesto Treccani, Aligi Sassu, Renzo Vespignani, Riccardo Tommasi Ferroni, Fernando Botero, Milo Manara, Emilio Giannelli, per citare solo alcuni dei nomi più famosi. Va da sé che questa ideale rassegna d'arte contemporanea costituita dalla serie dei drappelloni sia andata incontro, di edizione in edizione, quantomeno al gradimento di alcuni e al dissenso di altri.
E non è indifferente affidare un'immagine mariana alla mano di un cattolico (come Gasparro) o a un ateo oppure... a un musulmano, come accadde nel luglio 2010, quando Alì Hassoun dipinse sulla corona della Vergine la mezzaluna, la croce e la stella di David. Qualcuno parlò di "drappellone islamico" e l'allora arcivescovo Antonio Buoncristiani intervenne a chiedere il rispetto della «tradizione iconografica della festa senese», specificando che l'accostamento fra i tre simboli era improprio, dal momento che «la Madonna per i musulmani è solo la Madre di un Profeta e non la Madre di Dio». E aggiunse che «in passate occasioni, ci si è trovati di fronte a palii nei quali il senso religioso era pressoché assente, testimoniando piuttosto quella secolarizzazione che svuota simboli e immagini religiose di ogni significato».

IL PEGGIORE
L'annus horribilis fu il 2018, malgrado la presenza addirittura di un Palio straordinario disputato a ottobre in occasione dei 100 anni dalla fine della Grande Guerra. In quel caso il drappellone fu affidato a Gian Marco Montesano, il quale celebrò l'anniversario dipingendo un soldato che offriva dei fiori e baciava la mano di una giovane donna... scena che tuttavia risultò troppo simile a un'immagine reperibile online e riprodotta dal pittore con poche varianti (la vicenda è sintetizzata su Artribune, con il confronto tra il dipinto e la foto). Era andata sicuramente peggio ad agosto dello stesso anno: la Madonna dipinta col suo peculiarissimo stile dal belga Charles Szymkowicz si attirò varie etichette da «inguardabile» a «vilipendio al palio». Effettivamente guardando l'immagine si fatica davvero a vedervi «la più bella fra le donne» (Ct 5,9). Poiché a tutto c'è un limite, mons. Buoncristiani non benedì il drappellone (caso unico!): «È un'opera d'arte moderna ma non rispetta i caratteri della cultura mariana e per questo benedico la città, ma non il drappellone».
«Audace nel suo classicismo»: così Axel Hémery, direttore dei musei nazionali di Siena, ha definito il dipinto di Gasparro: «Il simbolo primordiale per questo grande intenditore di religione e di mistica è il bianco immacolato della purezza e della perfezione morale. Un bianco che unisce il registro celeste e quello terreno». E ci voleva davvero l'audacia di questo «grande intenditore di religione e di mistica» che approfondisce il sacro invece di desacralizzare col pretesto di innovare, laddove ai nostri giorni persino nelle opere e negli edifici destinati al culto prevale troppo spesso la ricerca di una stravaganza a ogni costo che in fin dei conti si riduce a una nuova forma di conformismo.
I vincitori di questo Palio sono due: la contrada dell'Onda con Brigante e Tabacco, e l'arte sacra con Giovanni Gasparro.

DOSSIER "IL PALIO DI SIENA"
Le polemiche per il drappellone

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 6 luglio 2024

2 - UNA NUOVA GUERRA CIVILE IN AMERICA E' POSSIBILE
Civil War di Garland (film molto violento e per adulti) esce nei cinema alla vigilia di elezioni bollenti in USA, in un'epoca di massima divisione dell'opinione pubblica (VIDEO: trailer e recensione)
Autore: Stefano Magni - Fonte: Atlantico Quotidiano, 24 aprile 2024

"Civil War" di Alex Garland è un film che ha iniziato a far parlare molto di sé e a destare sospetti fin dalla diffusione del suo primo trailer, a dicembre. In un momento in cui tutto è complotto, è ovviamente nata una teoria della cospirazione anche su questa pellicola prodotta da A24. La tesi? Che il governo, d'accordo con Hollywood, stia preparando psicologicamente la popolazione alla guerra civile.
Come si vede sin dalle premesse, fantasia e realtà si sovrappongono perfettamente in questa epoca turbolenta, di massima polarizzazione dell'opinione pubblica americana e alla vigilia di uno dei voti più difficili di sempre. E quindi, complotto o no, sicuramente "Civil War" è il film giusto uscito al momento giusto.
Ma di che cosa parla "Civil War" e perché colpisce così tanto? È la storia di una giornalista veterana, Lee (interpretata dalla sempre più brava e sottovalutata Kirsten Dunst) che, al culmine di una seconda guerra civile americana, capisce che il presidente sta perdendo, nonostante tutta l'informazione ufficiale dica il contrario. E quindi vuole fargli un'ultima foto da vivo e un'ultima intervista.
Nonostante gli aerei non volino e tutte le autostrade siano chiuse, si imbarca in un difficile on the road, per raggiungere una Washington già assediata. E per farlo recluta uno spericolato corrispondente della Reuters (Wagner Moura), suo compagno di tante avventure. Che però, a sua volta, decide di portare con sé anche un anziano e saggio reporter di guerra (Stephen McKinley Henderson) e una ragazza impaziente, e anche un po' tanto invadente, che vuole diventare fotoreporter (Cailee Spaeny).

UN REPORTAGE DI GUERRA
Si tratta, dunque, di un film su un reportage di guerra che ricorda molto alcuni classici del genere, come "Un anno vissuto pericolosamente", "Sotto tiro", "Salvador" e "Urla nel silenzio". I quattro personaggi rappresentano quattro modi diversi di fare giornalismo. Lee è depressa, non tanto perché, nella sua carriera, ha visto cose che noi umani nemmeno immaginiamo, ma perché ritiene di aver fallito nella sua missione: "Ad ogni scatto di guerra, io vi dicevo: non fatelo". E invece il suo stesso Paese è precipitato nell'abisso della violenza che lei aveva visto e documentato nel resto del mondo.
Attraverso Lee, il regista Garland vuole veicolare un messaggio forte e chiaro: potrebbe succedere anche qui. L'intento è esattamente quello del romanzo di Sinclair Lewis "Qui non è possibile" (1935) dove lo scrittore si immaginava come anche gli Usa potessero diventare una dittatura, mentre fascismo, comunismo e nazismo già dominavano in Europa.
Negli Usa, negli anni '30, si ritenevano immuni da quel pericolo. Ma non lo erano. Le stesse tendenze, diffuse in Europa a sostegno delle dittature, erano presenti anche negli Usa e una dittatura sarebbe stata possibile, se solo fosse emerso l'uomo sbagliato al momento giusto. Gli Usa, da un secolo e mezzo, si ritengono immuni dalla guerra civile e sono lontani fisicamente da tutte le guerre. E invece...
Per mostrare a cosa gli americani andrebbero incontro, in caso di guerra civile, Garland adotta uno stile quasi documentaristico, benché ritragga uno scenario di fantapolitica. Già la prima scena di guerra che vediamo, una scaramuccia fra governativi e Boogaloo Boys è di un realismo disturbante.
In guerra emergono i caratteri peggiori, sadici ed estremisti hanno l'occasione per dare libero sfogo alle loro fantasie represse. E così abbiamo il benzinaio che tortura l'ex compagno di scuola perché è accusato di "sciacallaggio", il nazionalista che riempie le fosse comuni di "non americani", i fanatici che si trasformano in attentatori suicidi, le fucilazioni sommarie di prigionieri, ma anche regioni intere che vivono come se la guerra non esistesse. E che non vogliono neppure saperne di partecipare.

I NUOVI UNIONISTI E SECESSIONISTI
Ma da chi viene combattuta questa guerra e perché? Il regista ce lo lascia solo immaginare, ci dà pochissimi indizi. Innanzitutto ci racconta una guerra fra Stati, come la vecchia, unica vera Guerra Civile Americana del 1861-65. Per evitare una ripetizione troppo evidente, chiama le forze secessioniste "Ovest" (e il loro esercito è quello delle Western Forces). Ma in questo Ovest è compreso in realtà anche tutto il vecchio Sud, a partire dal Texas che, assieme alla California, ha dato vita alla nuova secessione, a cui ha aderito (forse, perché le notizie sono confuse) la Florida.
Già la scelta, non casuale, di mettere assieme Texas, Stato conservatore per eccellenza, con la California, epicentro del progressismo nel mondo, ci suggerisce che Garland non vuole parlarci dell'America di oggi, ma di un'America del futuro in cui la geografia politica è molto cambiata. E quindi ha cercato di evitare polemiche sterili fra conservatori e progressisti, nessuno dei quali si può identificare con i nuovi unionisti o con i futuri secessionisti (si riconoscono solo i Boogaloo, per le loro caratteristiche camicione hawaiane...).
Visto che la trama è ambientata a guerra inoltrata, le sue origini si apprendono solo in alcuni dialoghi fra i giornalisti e da indizi sparsi qua e là. È però assolutamente chiara la causa immediata del conflitto: un presidente che rischia di trasformarsi in dittatore. È un comandante in capo debole, insicuro, ma aggrappato al potere in modo ossessivo, un presidente che scioglie l'FBI, ma non esita a usare l'esercito contro le proteste civili.
E quando cerca di restare per un terzo mandato, allora gli Stati secedono. Non possiamo spoilerare nulla, non vi possiamo dire chi vince e chi perde, chi vive e chi muore, ma possiamo dirvi solo che all'origine della guerra c'è il caro vecchio principio di resistenza alla tirannide. Ed è questa l'America che ci piace, con buona pace dei complottisti.

VIDEO: Trailer italiano di Civil War (1 minuto)



https://www.youtube.com/watch?v=wg5gOtK0drY

VIDEO: Recensione del film più coraggioso dell'anno (5 minuti)



https://www.youtube.com/watch?v=D_lrIVTihBU

Fonte: Atlantico Quotidiano, 24 aprile 2024

3 - IL PROBLEMA DELL'AFRICA SONO GLI AFRICANI
La drammatica guerra in Sudan e le sanguinose rivolte in Kenia mettono a nudo come il flusso continuo di soldi occidentali a fondo perduto non serva a nulla
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Sito di Nicola Porro, 29 giugno 2024

In Kenia, una volta tanto, la gente è scesa in piazza non per appoggiare qualche golpe ma per fame. Protesta spontanea, insomma, contro il tentativo del governo di aumentare le tasse. Cioè, contro il caro vita di una vita già cara. Finale: 23 morti ammazzati dalla polizia che ha sparato sui dimostranti. E un centinaio di feriti.
Immaginate se una cosa del genere fosse accaduta nella Mosca putiniana o nella Roma meloniana. Ma anche nella Washington woke e in qualunque città dei "bianchi". Sì, perché il vero razzismo è questo, mica quello hollywoodiano: degli africani (ma anche degli arabi, degli indiani o dei cinesi) non ce ne frega niente, tranne quando annegano in acque internazionali e i tiggì continuano a dire che è accaduto "di fronte alle coste calabresi", perché a noi interessa la battaglia politica interna e nient'altro. Ci commuoviamo a comando.
Ma, per tornare al Kenia, come mai l'Africa è sempre alla fame? E/o eternamente alle prese con genocidi e profughi? È dagli anni Sessanta che l'Occidente versa valanghe di denari in "aiuti ", che hanno reso mendicante perpetuo un intero continente. Dove finisce questo flusso continuo di soldi a fondo perduto? Soldi che, periodicamente, vengono aumentati da quelli rastrellati in "concerti" internazionali tipo Live Aid o For Africa, nei quali si esibisce il fior fiore della musica pop, con tenori al seguito. Però gli africani continuano a preferire il rischio di annegare pur di andarsene da laggiù. Infatti, ecco la risposta: i soldi finiscono nelle tasche di chi comanda. Il quale, dopo essersi comprato la Rolls con le maniglie d'oro, trasferisce il resto nelle banche occidentali e/o in qualche mega -villa a Parigi o a Londra o altro luogo finanziariamente interessante.
Cioè, il problema è la corruzione, e non diciamo niente di nuovo. Se ne era accorto anche Obama, che in tal senso aveva bacchettato i politici africani quando era presidente e in visita ufficiale. Ma, direte voi, se il problema è la corruzione dei ceti dirigenti, perché i popoli africani li votano? Perché, come è stato rilevato, in Africa si vota non per un partito ideologico ma per uno etnico. Lo zulu vota per il candidato zulu, lo xhosa per quello xhosa, e così via. [...] Chi non ci sta può sempre andarsene via barcone. Anzi, se se ne va è meglio. Così, l'europeo (specialmente l'italiano) sborsa due volte: una in "aiuti" e l'altra per mantenere gli sbarcati.
Insomma, il problema dell'Africa sono gli africani, ed è inutile girarci intorno o tacciare il sottoscritto di razzista. Infatti, non lo dico io, ma, nel caso del Kenia, i vescovi locali, che sono africanissimi. La corruzione, dunque. E la fame di potere (è lo stesso) di tanti capi e capetti, cui le ecatombi che provocano non destano preoccupazione. [...] Guardate il Sud Sudan: ottenuta la (sanguinosa) indipendenza, eccoli a scannarsi tra loro per decidere chi deve comandare.

Nota di BastaBugie: Anna Bono nell'articolo seguente dal titolo "Sudan, la crisi umanitaria peggiore del pianeta " racconta la situazione nel Sudan a cui accennava alla fine l'articolo precedente.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'8 luglio 2024:

Due generali si contendono il Sudan dall'aprile del 2023, entrambi decisi a deporre le armi solo dopo aver sconfitto l'avversario. Il generale Abdel Fattah al -Burhan, capo delle forze armate e della giunta militare che nel 2021 ha preso il potere con un colpo di stato, comanda l'esercito governativo, forte di oltre 100mila unità. Il generale Mohamed Hamdan Dagalo, suo vice prima dello scoppio della guerra, ha ai suoi ordini i 100mila paramilitari delle FSR, le Forze di Supporto Rapido.
I combattimenti sono iniziati nella capitale Khartoum e nella regione del Darfur, poi hanno rapidamente coinvolto altre aree del paese. Fin dall'inizio entrambi gli eserciti hanno mostrato totale disinteresse per la sorte dei civili, per la loro sicurezza e per le loro crescenti difficoltà causate dalle ripercussioni negative del conflitto sull'economia, sui servizi e sulle infrastrutture. Con il trascorrere delle settimane inoltre, i civili, oltre che vittime in quanto "effetti collaterali" della guerra, sono diventati anche bersagli, colpiti deliberatamente soprattutto dove, come nella regione del Darfur, il fattore etnico ha reso i contendenti ancora più spietati.
È la crisi umanitaria più grave del pianeta. Si stima che i profughi siano da 10 a 12 milioni, da un quinto a quasi un quarto della popolazione, circa due milioni dei quali rifugiati negli stati vicini, gli altri sfollati in territori del paese considerati sicuri, ma costretti a spostarsi ancora e ancora man mano che il conflitto li raggiunge. Ancora superiore è il numero delle persone denutrite. La produzione interna di generi alimentari è crollata e i due eserciti rallentano e in certe regioni impediscono l'arrivo dei soccorsi internazionali. Usano la fame come arma di guerra. Gli esperti ritengono che entro settembre il 70% della popolazione sarà alla fame, a meno di una tregua che i due generali continuano a escludere.
La situazione peggiore è quella di chi è intrappolato nelle aree in cui si combatte e non riesce a lasciarle, per mancanza di denaro, perché non sa dove andare o perché i contendenti non accettano di sospendere il fuoco per il tempo necessario a farli transitare in sicurezza. È il caso, quest'ultimo, delle persone che da oltre un anno sono ospiti della missione cattolica Dar Mariam situata nel distretto di al-Shajara, nei pressi di Khartoum, gestita da cinque suore missionarie, Figlie di Maria Ausiliatrice, affiancate da un sacerdote salesiano, padre Jacob Thelekkadan.
La missione comprende una scuola elementare e un centro per la promozione della donna. Dall'inizio della guerra le suore hanno chiuso sia la scuola che il centro e ne usano i locali per ospitare i profughi, attualmente circa 80 tra donne e bambini, numero che di notte raddoppia, specie quando si combatte nelle vicinanze, con l'afflusso di decine di persone che sperano di essere più al sicuro entro le mura della missione. La parte più protetta del complesso, il cortile e alcuni locali, è stata destinata ai bambini, è grande abbastanza perché possano anche giocare. Per loro, per distrarli, le suore organizzano lezioni di teatro e canto. Ma la struttura è stata anch'essa presa di mira e bombardata più volte. Lo scorso novembre i bombardamenti hanno distrutto una grande immagine della Madonna posta all'ingresso della missione, hanno distrutto il secondo piano dell'edificio principale e hanno incendiato un tetto. A gennaio un altro bombardamento ha distrutto le stanze delle suore.
Siccome molti sono i feriti da proiettili vaganti e schegge e la maggior parte degli ospedali della capitale sono chiusi o comunque non hanno medici né medicine a sufficienza, la missione è diventata anche un ambulatorio improvvisato che si cura ogni giorno di decine di feriti e di ammalati privi di assistenza. Per come possono, le suore inoltre si prendono cura anche delle persone, alcune centinaia, che vivono nei dintorni della missione cercando almeno di offrire loro un pasto al giorno. Ma procurarsi del cibo è diventato sempre più difficile per mancanza di denaro e, quando i combattimenti si avvicinano, per l'impossibilità di recarsi ai mercati locali.
Qualche volta l'esercito governativo ha fornito alla missione generi di prima necessità: oltre al cibo, del carburante per i generatori indispensabili durante le frequenti interruzioni di corrente per attingere acqua dai pozzi. Inoltre per due volte ha fatto volare padre Thelekkadan a Port Sudan, città sul Mar Rosso, dove ha raccolto denaro e provviste. Tuttavia spesso la missione non è in grado di preparare altro che scarse razioni di porridge, lenticchie e fagioli e, nei momenti peggiori che stanno diventando sempre più frequenti, le suore hanno raccolto foglie ed erbe per far mangiare almeno ai bambini mentre gli adulti hanno saltato i pasti.
Lo scorso dicembre la Croce Rossa ha provato a portare in salvo le suore, il sacerdote e i loro assistiti. Ma il convoglio diretto alla missione è stato attaccato e costretto a tornare indietro. Due persone sono state uccise e sette ferite. Esercito e FSR si sono vicendevolmente accusati. Di recente l'esercito governativo si è offerto di traghettare al di là del Nilo e mettere in salvo le suore e padre Thelekkadan, ma non i loro ospiti. Per quanto spaventati e ansiosi di andarsene, hanno rifiutato. «Quando la strada sarà sicura - ha detto padre Thelekkadan agli inviati dell'agenzia Reuters che lo hanno raggiunto telefonicamente grazie a una connessione Starlink fornita dall'esercito - saremo i primi a partire, ma con la gente».

Fonte: Sito di Nicola Porro, 29 giugno 2024

4 - COME COMBATTERE GLI SCRUPOLI (CHE NON SONO LA VOCE DI DIO, MA DEL DIAVOLO)
La ricerca di una perfezione impossibile rende la vita cristiana logorante e spinge prima o poi lo scrupoloso ad arrendersi
Autore: Roberto Marchesini - Fonte: Bussola Mensile, maggio 2024

Oggi ci occupiamo degli scrupoli. La parola «scrupolo» deriva dal latino scrupulus, cioè sassolino. È il proverbiale "sassolino nella scarpa", ossia qualcosa di microscopico che però è fastidiosissimo e sembra enorme, gigantesco. È un problema spirituale che consiste nel sentirsi perennemente e gravemente inadempiente nei confronti delle leggi morali e religiose, dei propri doveri di cristiano. È un grosso problema psicologico che procura enormi sofferenze: ansia, inquietudine, continuo esame su pensieri, azioni e omissioni, momenti di profondo sconforto. Vediamo quindi di analizzare il problema e di proporre qualche aiuto per chi ne soffre.
Il primo e fondamentale scoglio da affrontare è la consapevolezza di avere un problema. Bisogna accettare l’idea che non si è obiettivi nel valutare se stessi, non si è in grado di fare una valutazione realistica e serena della propria persona. In una parola: si manca di umiltà. Per fare un esempio, è come se io facessi un viaggio in automobile e indossassi un paio di occhiali da sole; se mi dimentico di averli indossati, entrando in una galleria non vedrò più niente. Se, invece, sarò consapevole di indossare un paio di lenti scurenti, all’ingresso in galleria solleverò gli occhiali e potrò vedere la strada. La persona scrupolotica indossa, nel valutare se stesso, le proprie azioni e i propri pensieri, delle lenti scurenti: vede tutto più nero di come le cose sono in realtà. Se si rende conto che il mondo non è buio e oscuro, ma è il suo modo di vedere le cose, può «fare la tara», ossia prendere le distanze dalla sua opinione viziata dagli scrupoli.
Bisogna poi considerare che gli scrupoli non sono nostri amici, un aiuto per vivere cristianamente, tutt’altro: sono il nostro peggior nemico. Consideriamo le conseguenze degli scrupoli: isolamento, tristezza, sfiducia in Dio e nella Sua promessa di salvezza, omissione dei doveri di stato e, infine ma non ultimo, il peccato. Perché spesso, l’unico rimedio alla tristezza o, addirittura alla disperazione indotta dagli scrupoli, è il peccato mortale. Si capisce immediatamente, quindi, che gli scrupoli non sono la voce di Dio che parla alla nostra coscienza, ma uno strumento del diavolo che ci inganna, ci allontana dall’amore di Dio e ci conduce al peccato. Come scrive sant’Ignazio di Loyola negli Esercizi Spirituali: «Il demonio osserva bene se un’anima è grossolana o delicata. Se è delicata, cerca di renderla ancor più delicata fino all’eccesso, per turbarla e confonderla maggiormente; per esempio, se vede che uno non consente né a peccato mortale né a peccato veniale, né ad alcuna ombra di peccato volontario, allora il demonio, quando non può farlo cadere in qualche cosa che sembri peccato, cerca di fargli credere peccato quello che peccato non è, come una parola o un pensiero senza importanza» (349). Restando sempre agli Esercizi, sant’Ignazio spiega (nelle regole per il discernimento degli spiriti) che gli spiriti buoni, con le loro ispirazioni, serenità e gioia; mentre inquietudine e tristezza sono gli effetti delle ispirazioni degli spiriti malvagi. Dunque, chi decidiamo di ascoltare? Il nostro angelo custode o il nostro diavolo custode?
Una volta che lo scrupolotico ha sviluppato un atteggiamento diffidente nei confronti dei propri tormenti, si può procedere limitando o eliminando i continui rimuginamenti. Non possiamo perdere intere giornate a interrogarci accanitamente su ogni pensiero, azione o omissione: abbiamo delle cose da fare, abbiamo i nostri doveri di stato, ci sono persone che hanno bisogno di noi. Anche in questo caso, è una questione di umiltà: si tratta di accettare che, in questa vita, non tutto è chiaro, definito, prima di ombre. Fa parte della condizione umana: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa» (1 Cor 13,12). Procediamo a tentoni, sforzandoci di vivere meglio possibile, ma dobbiamo accettare la nostra limitatezza. Certi che, dopo questo esilio, sempre per seguire san Paolo, «vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (ibidem). Si tratta solo di aspettare.
Occorre chiarire un punto: la tentazione non è un peccato. Sì, perché lo scrupolotico considera peccato anche le tentazioni. Bene: Gesù non ha mai commesso un solo peccato, nemmeno veniale; eppure è stato tentato (Mt 4). La tentazione è una occasione, permessa da Dio perché possiamo guadagnarci il Paradiso; se superiamo la tentazione non abbiamo peccato ma, al contrario, abbiamo guadagnato dei meriti. Dunque il punto non è se siamo stati tentati o meno, ma come ci siamo comportati nella tentazione: l’abbiamo superata oppure no?
Altro punto: il Catechismo insegna che, perché ci sia un peccato mortale, devono essere soddisfatte contemporaneamente tre condizioni: materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso (CCC 1857). La materia grave è definita dai Dieci Comandamenti; la piena avvertenza consiste nella consapevolezza che quella cosa sia un peccato; il deliberato consenso è la piena e libera adesione della volontà al compimento di un atto malvagio conosciuto come tale. Se non c’è questa libera adesione al male, non c’è peccato mortale. Giovanni Paolo II, nella sua purtroppo dimenticata Teologia del corpo, insegna che il peccato non consiste (soltanto) nell’atto ma, soprattutto, nell’intenzione. «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla [cioè con l’intenzione di desiderarla], ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,27-28). Se, dunque, ho il dubbio di aver mancato di rispetto a Dio o alle cose sante, di aver indugiato in pensieri sconvenienti o peggio, posso chiedermi: avevo l’intenzione piena e deliberata di compiere un peccato mortale?
È fondamentale avere un confessore o un direttore spirituale (cosa, quest’ultima, sempre più difficile); ma è ancora più importante affidarsi a un confessore o a un direttore spirituale. Spiego. Molti scrupoli riguardano proprio la confessione: mi sarò spiegato bene? Avrò confessato proprio tutto? Avrò omesso qualcosa? Avrà capito bene la gravità di ciò che ho fatto? La penitenza sarà adeguata? L’assoluzione sarà valida? Eccetera eccetera. Ora: il buon Dio ha stabilito il mondo in modo ordinato; il che significa che ognuno ha il suo ruolo e le sue responsabilità. Il ruolo del confessore è confessare; quello del direttore, dirigere. È il loro compito, non il nostro. La responsabilità di chiedere delucidazioni, chiarimenti, di valutare la gravità dei peccati e di comminare una penitenza adeguata è del confessore; la valutazione dello stato spirituale e morale del diretto è del direttore. Quindi, se ci affidiamo a loro, facciamolo davvero. Lasciamo a loro la responsabilità: se sbagliano, ne risponderanno loro. O vogliamo forse saperne più di loro? E torna nuovamente il tema dell’umiltà...
Ed ecco, infine, la regola aurea: nel dubbio, non è peccato. Il bene e il male non generano dubbi: sono chiari. Se io voglio liberamente compiere una azione malvagia sapendo che è un male, non ho dubbi; se io voglio fare del bene, non ho dubbi. Se ho dei dubbi, è uno scrupolo. Quindi devo rigettarlo.

I RIMEDI
I rimedi agli scrupoli secondo il Compendio di teologia ascetica e mistica di padre Adolphe Tanquerey (1854-1932):
944. Bisogna combattere lo scrupolo subito da principio, prima che si sia profondamente radicato nell’anima. Ora il grande, anzi, a dir vero, l’unico rimedio è la piena e assoluta obbedienza a un savio direttore: oscuratasi la luce della coscienza, bisogna ricorrere ad altra luce; lo scrupoloso è come una nave senza timone e senza bussola: bisogna rimorchiarlo. (...)
945. (...) Ora con lo scrupoloso, non si deve discutere ma parlare con autorità, dicendogli nettamente quel che deve fare. Per ispirare questa confidenza, il direttore deve meritarla per competenza e premura.
946. Guadagnata la confidenza, bisogna esercitare l’autorità ed esigere obbedienza, dicendo allo scrupoloso: se volete guarire, dovete ubbidire ciecamente: obbedendo, siete pienamente al sicuro, quand’anche il direttore sbagli, perché Dio in questo momento a voi non chiede altro che di obbedire. La cosa è talmente così, che se voi non vi sentiste di obbedirmi, bisogna che vi cerchiate un altro direttore: la sola ubbidienza cieca vi potrà guarire e vi guarirà certamente.
947. Venuto il tempo, il direttore inculca il principio generale, che darà modo allo scrupoloso di disprezzar tutti i dubbi; occorrendo, lo può anche dettare in questa o altra simile forma: "Per me, in fatto di obbligo di coscienza, non c’è che l’evidenza che conta, ossia certezza tale che escluda ogni dubbio, certezza calma e piena, chiara come due e due fanno quattro; (...) fuori di questo caso, per me nessun peccato". Quando lo scrupoloso si presenterà affermando di aver commesso un peccato veniale o mortale, il confessore gli dirà: Potete giurare di aver chiaramente visto, prima di operare, che quell’azione era peccato e che, avendolo chiaramente visto, pure ci avete dato pieno consenso? Questa interrogazione chiarirà la regola e la farà capir meglio.

RICORDA
Sconfiggere gli scrupoli in 7 mosse:
1) Fai la tara a quello che pensi (non sei obiettivo).
2) Gli scrupoli sono il tuo nemico (non un tuo amico).
3) Evita i rimuginamenti.
4) La tentazione non è un peccato.
5) Se non avevi l’intenzione di fare il male, non è un peccato.
6) Affidati (ciecamente) al confessore o al direttore spirituale.
7) Se hai dei dubbi, non è un peccato.

Fonte: Bussola Mensile, maggio 2024

5 - DIECI COSE SULLA PORNOGRAFIA CHE NON SAI
La pornografia è legata al traffico sessuale con abusi e violenze sulle ''attrici'' e inoltre vedere i video genera dipendenza e ossessione, cambia lo sguardo sugli altri, corrode la fiducia, avvelena le relazioni sentimentali
Autore: Manuela Antonacci - Fonte: Sito del Timone, 4 luglio 2024

La pornografia e i suoi effetti negativi sulle persone sono ampiamente denunciati nella comunità scientifica e, tuttavia, non se ne parla o non se ne parla abbastanza. Eppure ci sono elementi sufficienti per denunciare questo business. Solo per citarne due: il traffico di esseri umani e gli abusi sui minori. Ma ci sono tanti aspetti su cui si riflette poco, altrettanto nocivi. Riprendendo quanto riportato dal sito ReligionenLibertad, analizziamo 10 solo per indicarne alcuni.

1. LA PORNOGRAFIA È LEGATA AL TRAFFICO SESSUALE
Nel caso del traffico di esseri umani, questo può riguardare molte situazioni: pensiamo per esempio, ai bambini tailandesi venduti come schiavi sessuali o i casi di giovani donne attirate in un bordello con la promessa di un lavoro. Spesso, nonostante le vittime abbiano la libertà fisica di muoversi, tuttavia, il trafficante le mantiene in schiavitù attraverso la frode, la violenza fisica e l'intimidazione psicologica.

2. LA PORNOGRAFIA È COLLEGATA ALLO SFRUTTAMENTO MINORILE
Pensiamo solo al genere "teen porno", uno dei termini più ricercati, negli ultimi cinque anni, sui principali siti che offrono questi contenuti. I filmati mirano a normalizzare gli abusi sui minori. Infatti, un cliché ricorrente, in questa categoria, è la storia dell'adolescente che viene sfruttata da un uomo più anziano. Una fantasia tossica che alimenta l'abuso fino a normalizzarlo.

3. GLI ABUSI SUGLI ATTORI
L'industria del porno non si prende esattamente cura dei suoi attori. Infatti, non tutto ciò che accade sul set è consensuale. Una famosa attrice porno, Nikki Benz, è stata una delle prime artiste a parlare degli abusi subiti e a denunciarli nel 2016, e lo ha fatto descrivendo l'aggressione improvvisa, subita durante le riprese di una scena, in cui il protagonista le ha calpestato la testa e l'ha strangolata.

4. I CONSUMATORI FRUISCONO DI IMMAGINI FRUTTO DI VIOLENZE
Molte persone credono che se una persona recita in un film porno, il consenso sia scontato. Ma si tratta solo di un'ipotesi che non trova sempre conferma. In realtà, poi, di fronte alla telecamera, gli attori accetteranno gli atti a cui verrà detto loro di partecipare e, una volta completate le riprese, saranno costretti a dire che tutto era secondo il loro consenso, altrimenti il filmato della giornata verrà distrutto. E, inoltre, solo affermando che le riprese siano state effettuate in piena consapevolezza, sarà sicuro che verranno pagati per il "lavoro" svolto.

5. IL PORNO COME DIPENDENZA E OSSESSIONE
La pornografia colpisce il cervello: quando una persona guarda un contenuto pornografico inganna il proprio cervello inducendolo a pompare dopamina come se stesse guardando un potenziale partner. Questo, bombardamento forte e continuo, tuttavia, porta ad una graduale desensibilizzazione e, dunque, a ricercare quella sensazione sempre di più. Per cui da semplice abitudine questa ricerca, si trasforma in una dipendenza.

6. IL CONSUMO DEL PORNO SFOCIA NELLA VIOLENZA
La pornografia non è solo dipendenza, che sottrae tempo e attenzione alla vita quotidiana, ma può portare anche alla ricerca spasmodica di materiale più violento, di qualcosa che, prima di iniziare la discesa all'inferno nel mondo a luci rosse, sarebbe stato considerato inaccettabile o "disgustoso", come la pornografia infantile.

7. IL PORNO TI CAMBIA LO SGUARDO
La fruizione di materiale a luci rosse non rimane solo all'interno di uno schermo, ma entra in ogni aspetto della vita dei consumatori, fino a cambiare lo sguardo verso gli altri. La pornografia può persino alterare le preferenze sessuali di un consumatore, al punto che una persona può non rispondere più sessualmente allo stesso modo al proprio partner. E' stato scoperto anche che la visione della pornografia influenza gli atteggiamenti e le convinzioni nei confronti delle donne e delle relazioni. Da uno di questi studi è emerso che «le persone che consumano materiale pornografico, più frequentemente, hanno maggiori probabilità di arrivare ad approvare la violenza sessuale, fino ad impegnarvici di persona». Ovviamente, non tutti coloro che guardano il porno diventeranno violentatori o stupratori, ma questi risultati dovrebbero portarci a mettere in discussione la fruizione di materiale pornografico.

8. LA PORNOGRAFIA CORRODE LA FIDUCIA IN SE STESSI
Il consumo di pornografia è stato correlato a livelli più elevati di insoddisfazione fisica. In uno studio condotto su un gruppo di studenti universitari che consumavano materiale pornografico si è cercato di valutare il modo in cui si percepivano, in termini di soddisfazione corporea, soddisfazione relazionale e benessere emotivo generale. Si è scoperto che i ragazzi che guardano film a luci rosse hanno un minore senso di sicurezza emotiva. Hanno maggiori probabilità di provare ansia relazionale e di isolarsi maggiormente, rispetto ai loro pari che non consumano porno. Le donne riferiscono anche una mancanza di fiducia in se stesse e persino odio verso il proprio corpo dopo aver visto il porno.

9. LA PORNOGRAFIA AVVELENA LE RELAZIONI SENTIMENTALI
Circola da sempre la bufala secondo cui guardare la pornografia in coppia, sia utile per le relazioni sentimentali. In realtà è esattamente l'opposto. I ricercatori hanno scoperto che il consumo di pornografia fa sì che molte persone siano meno soddisfatte dell'aspetto fisico, delle prestazioni sessuali, della curiosità sessuale e dell'affetto del proprio partner. Nel corso del tempo, i consumatori tendono a diventare meno impegnati nelle loro relazioni, ad entrare meno in intimità con i loro partner e ad essere meno soddisfatti della loro vita romantica e sessuale. In altre parole: guardare contenuti sessualmente espliciti può danneggiare la vita sessuale reale.

10. IL PORNO NON ESISTE NELLA REALTÀ
Il porno costruisce fantasie e racconta palesi bugie sull'amore, sul corpo umano e sul sesso, e le sue conseguenze possono essere drammatiche. Secondo la pornografia, le donne sono desiderose di fare sesso sempre, ovunque e con chiunque. Secondo il porno, tutto ciò che gli uomini vogliono in una relazione è il sesso, e ne hanno il diritto, anche se è necessaria la forza. Il porno promette soddisfazione immediata, eccitazione infinita e intimità facile, ma alla fine nessuna delle tre cose è vera.

DOSSIER "PORNOGRAFIA"
Com'è nata e le sue conseguenze

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Fonte: Sito del Timone, 4 luglio 2024

6 - FRANCIA, LA MEZZALUNA AVANZA NELLE SCUOLE E NELLE AZIENDE
Gli insegnanti e le aziende sono terrorizzati per le pretese di studenti o dipendenti islamici di imporre i dettami del Corano a scuola o sul posto di lavoro (con l'aiuto dei sindacati e delle lobby gay)
Autore: Lorenza Formicola - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 27 giugno 2024

Siamo nel ventesimo arrondissement di Parigi, e il preside del liceo Maurice-Ravel, nel timore di andare incontro al medesimo destino di Samuel Patty o Dominique Bernard - due delle tante vittime dell'islamizzazione delle scuole d'oltralpe: sgozzate per aver parlato d'islam non come i musulmani vorrebbero -, ha deciso per il pensionamento anticipato. Tutto inizia il 28 febbraio, quando, il preside ricorda a tre studentesse di togliere il velo prima di entrare in aula, come vuole la legge. Due obbediscono, la terza no. Invitata a lasciare la scuola, sporge denuncia per "violenze" (poi archiviata per mancanza di prove) e si affida alla pagina Facebook del Collectif contre l'islamophobie en Europe'(associazione dissolta per propaganda islamista nel dicembre 2020). Secondo il meccanismo ormai consolidato, la comunità islamica si è sollevata: piovono violentissime minacce di morte contro il preside che trenta giorni dopo decide di lasciare, certo di non poter godere di nessuna protezione.

GLI INSEGNANTI SONO TERRORIZZATI
Gli analisti registrano come i giovani immigrati di seconda e terza generazione ostentino un esacerbato ossequio nei confronti del loro credo, certamente maggiore dei loro genitori o nonni. E così accade che nelle scuole sia sempre più difficile far rispettare le regole ordinarie, quelle che valgono per tutti. A Mayotte, dipartimento d'oltremare della Francia, e dove la popolazione musulmana è già al 95%, la nuova università aperta per volontà dell'ex primo ministro Élisabeth Borne lo scorso gennaio è stata inaugurata da un rappresentante musulmano con tanto di preghiera islamica. Tempo tre mesi, è stata anche allestita una sala di preghiera, arrivata persino prima degli uffici per i professori.
In tutta la Francia gli studenti polemizzano per i programmi scolastici e per ogni sorta di regola che non risponda all'islam. Dimostrano di voler rimanere sostanzialmente "diversi" in attesa di plasmare ogni cosa secondo i dettami islamici. Non vogliono studiare storia dell'arte, scienze e storia, mentre l'ora di educazione fisica vede le ragazze presentare costantemente un certificato medico per non indossare la divisa sportiva. Durante il Ramadan, a mensa c'è una tensione costante.
Bernard - nome fittizio di un professore di Hauts-de-Seine - descrive a Le Figaro l'ingerenza dei sindacati di estrema sinistra che difendono e sponsorizzano il "comunitarismo" islamico. Risultato? «Gli insegnanti sono terrorizzati all'idea di parlare apertamente. Vi racconto il mio caso: nella mia classe avevo studenti segnalati come "Fiche S" - quanti sono considerati potenzialmente una minaccia per la sicurezza dello Stato -, ma nessuno mi ha mai detto chi fossero e perché erano stati segnalati. Una volta uno studente salafita mi ha minacciato di morte perché secondo lui avevo detto inesattezze sul re del Marocco. Ogni volta che c'è da affrontare il tema della Shoah è una tragedia. Apertamente, durante la lezione, c'è chi si rammarica che i nazisti "non abbiano portato a termine il lavoro" sostenendo che "gli ebrei si siano meritati ogni cosa". Guai a denunciare l'antisemitismo. Sai di essere solo di fronte a questo problema e che nessuno ti difenderà nel mondo della scuola».

LE AZIENDE HANNO DIFFICOLTÀ
Ma l'islamizzazione avanza anche in gran parte del mondo del lavoro. RATP, EDF, La Poste, Orange, Stellantis (ex PSA Peugeot), BNP Paribas: non si contano le aziende, pubbliche o private, che hanno adottato una guida per aiutare il loro dirigenti a gestire le "richieste religiose". Secondo il report condotto dall'Institut Montaigne sulle tensioni sul posto di lavoro, nel 2022 il 22% erano legate all'islam. Nel 2013 erano il 6%. «In molte aziende si improvvisano cartelli esplicativi su cosa possono e non possono fare i dipendenti proprio per far fronte all'entrismo islamico. Nel 20% delle aziende (grande distribuzione, logistica, subfornitura aeroportuale, pulizia, sicurezza, etc.), si riscontrano situazioni di grande tensione, con opposizione alla dirigenza e misoginia di "ispirazione religiosa"», commenta l'autore di uno studio a riguardo, l'accademico Lionel Honoré.
Le aziende hanno difficoltà, per esempio, ad imporre un capo donna a uomini islamici. E durante il Ramadan c'è la pretesa di fare un orario ridotto. Lo scorso aprile, il direttore di un negozio Geox di Strasburgo ha ricevuto minacce di morte - che qualcuno ha definito, per entità ed eco, una specie di fatwa -, corredate da un video denuncia che ha superato in poche ore il milione di visualizzazioni, per aver rifiutato di accettare che la donna che stava per assumere indossasse il velo nelle ore di lavoro.

L'ISLAMIZZAZIONE STA CAMBIANDO IL VOLTO DEL PAESE
Le grandi aziende, invece, onde evitare problemi simili, da H&M a Uniqlo, accettano di buona lena che le commesse siano velate, anche dalla testa ai piedi.
Dal 2010 le aziende, soprattutto nella regione parigina, si sono rese conto, forse per la prima volta, che l'espressione religiosa di alcuni dei loro dipendenti si stava trasformando in separatismo. Mense trasformate in sale di preghiera, autisti che rifiutano di mettersi al volante dell'autobus se nel turno precedente c'è stata una donna, bagni riservati alle abluzioni, scale d'improvviso privatizzate il venerdì a mezzogiorno per la preghiera.
L'islamizzazione non solo sta cambiando irrimediabilmente il volto del Paese - vedi la difficoltà di trovare un taxi all'aeroporto, la sera, nelle settimane del Ramadan - ma si registra anche un'anomala convergenza di lotta tra la lobby Lgbtq e quella islamica: la religione è diventata una rivendicazione identitaria come tutte le altre di moda in tempi recenti. Basti pensare al successo di una sorprendente campagna pubblicitaria della Planned Parenthood francese con tanto di donna velata che rivendica per sé il nuovo pronome "eil", che nella lingua francese è utilizzato dalle persone che si definiscono non-binarie e dunque non si riconoscono né nel genere maschile né in quello femminile.
Secondo l'ultimo studio Havas, realizzato da Arielle Schwab e Benoît Loz, lo scorso marzo, nelle aziende francesi il 34% dei dipendenti approva l'uso del velo, rispetto al 29% nel 2021. E la percentuale sale al 53% tra gli under 35, contro il 41% nel 2023. In nome di una certa inclusività, alcune aziende si giocano allora l'asso vincente: Ikea offre direttamente ai propri dipendenti un velo con il logo dell'azienda. Visti i problemi con il Ramadan, invece, l'azienda olandese di passeggini Bugaboo ha deciso di offrire ai dipendenti la possibilità di scegliere i giorni festivi in base alla loro religione.
L'islam cambia la Francia, ma per Parigi non è un problema.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 27 giugno 2024

7 - OMELIA XV DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 6, 7-13)
Scuotete la polvere sotto i vostri piedi
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

LA MISSIONE APOSTOLICA L’ORIGINE TRINITARIA DI OGNI MISSIONE APOSTOLICA 
La pagina evangelica, che oggi viene offerta dalla Provvidenza alla nostra meditazione, ci parla del primo invio degli apostoli all’umanità che è in attesa della salvezza. 
Siamo, con questo episodio, a una svolta nella vita pubblica di Gesù. Fino a quel momento, si era tratta to di una attività praticamente occasionale: predicava e operava lui solo, dovunque gli capitasse di arrivare. Adesso egli passa a un’azione organizzata e sistemati ca: manda a due a due (cf. Mc 6,7) i suoi messaggeri, secondo un progetto e con delle precise istruzioni. Manda i “Dodici”, quelli che lui si è scelto ufficialmente e con assoluta libertà (Mc 3,13: Chiamò a sé quelli che volle lui). Ogni vera missione nella Chiesa non può essere frutto soltanto di una ispirazione interiore, che nasca dal cuore dell’uomo. Non può essere nemmeno un incarico ricevuto dalla “base” della comunità. Ogni vera missione nella Chiesa è un’investi tura dall’alto. Chiamò a sé (Lc 9,1): prima chiamò a sé, poi mandò. Prima la “sequela” e l’adesione a Cri sto, perché tutto scaturisce da lui. E non può essere diversamente. Ogni missione apostolica deve essere compiuta in nome di Cristo; è, per così dire, un prolungamento della sua attività; anzi, a una considera zione più profonda, è un riverbero e una sovrabbondanza dell’impeto con cui ci è stato dato colui che è per eccellenza l’Inviato: L’apostolo e il sommo sacerdote della fede che professiamo (Eb 3,1). 
Perciò ogni missione apostolica ha la sua scaturigine prima addirittura nel segreto della stessa vita trinitaria: Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi (Gv 20,21). 

CONTENUTO DELLA MISSIONE APOSTOLICA È IL BENE INTEGRALE DELL’UOMO 
Che cosa sono inviati a fare? Qual è il contenuto della missione apostolica?
Il primo compito, che viene assegnato, è quello di annunciare l’evento della salvezza (“il Regno di Dio”). È la comunicazione appassionata e vibrante che, con l’incarnazione dell’Unigenito del Padre, il Regno di Dio si è ormai avvicinato, ed è alla nostra portata. Al tempo stesso è la proclamazione che per poter entrare nel Regno di Dio e salvarsi, occorre all’uomo che cambi vita e abbandoni la strada del male: Predicava no che la gente si convertisse (Mc 6,12). 
Ma non si tratta semplicemente della diffusione di una filosofia o di una dottrina morale. Il “Vangelo” è essenzialmente lotta contro le forze demoniache, che da sempre insidiano il bene e la gioia della famiglia umana: Diede loro potere e autorità su tutti i demoni (Lc 9,1). 
Gesù è mandato dal Padre a rovesciare l’impero di Satana. I suoi apostoli sono investiti della sua stessa forza divina. Essi non potranno ignorare l’esistenza dei demòni, ma non dovranno affatto temerli perché sono loro i più forti: Diede loro potere e autorità. 
Questa missione infine ha anche un aspetto irrinunciabile di attenzione all’uomo e alle sue sofferenze. L’annuncio evangelico è primariamente annuncio di una vita eterna e anticipazione in terra del Regno di Dio; ma non esclude, anzi suppone ed esige che la Chiesa si chini altresì sulle miserie e sui dolori degli uomini. Perciò è detto: Li mandò a guarire gli infermi (Lc 9,2). 

L’APOSTOLO CONFIDA NEL DIO PROVVIDENTE PIÙ CHE NEI MEZZI UMANI 
È molto interessante per noi fare attenzione alle istruzioni pratiche che Gesù imparte a chi manda nel mondo. 
Ordinò loro che… non prendessero nulla per il viaggio (Mc 6,8): né cibo né denaro né vestito di scorta. Qual è il giusto senso dell’ammonimento? 
Queste parole hanno prima di tutto una valenza storica contingente, cioè si riferiscono alla circostanza concreta di questa prima missione. È una missione del tutto sperimentale e provvisoria, che doveva concludersi entro brevissimo tempo. Perciò Gesù si preoccupa che gli apostoli non godano di una lunga autonomia, perché si ricordino che devono tornare presto da lui e all’organizzazione di base. 
Quando li preparerà al distacco definitivo e all’avventura di una partenza senza ritorno, le sue esortazioni saranno ben diverse, come ci è riferito dallo stesso Vangelo di Luca: “Quando vi ho mandato senza borsa né bisaccia né sandali, vi è forse mancato qualcosa?”. Risposero: “Nulla”. Ed egli soggiunse: “Ma ora chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia” (Lc 22,35-36). 
Le parole di Gesù, che stiamo esaminando, hanno però anche un significato assoluto ed eterno. Ed è che i suoi apostoli devono custodire nel loro cuore l’atteggiamento interiore degli anawim – dei “poveri di Iahvè” – che ripongono la loro fiducia sostanziale soltanto nel Signore. Le ricchezze umane, quando sono legittime, non sono condannabili; però sono pericolose. Perciò bisogna abituarsi a non collocare la nostra sicurezza sui mezzi economici che si possiedo no o che in futuro si potrebbero possedere, ma solo sul Dio vivo, l’unico che alla fine non delude. 

IL MINISTRO DEL VANGELO E IL SUO SOSTENTAMENTO 
Tutto ciò si compone, nel pensiero di Cristo, con l’affermazione che ci devono essere delle fonti di sostentamento per i ministri del Vangelo e per la causa della evangelizzazione. Lui stesso si era curato di trovarle, per sé e per i suoi, secondo quanto è testimoniato dall’ottavo capitolo di Luca: C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiri ti cattivi e da infermità: Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni (Lc 8,2-3).
Ma c’è di più. Nelle istruzioni date alla prima missione apostolica è enunciato anche il principio fonda mentale che deve ispirare tutta questa problematica e fonti di sostentamento si devono reperire tra colo ro che sono i beneficiari dell’azione di evangelizzazione e di salvezza: Entrati in una casa, rimanetevi fino a che non andiate in un altro luogo (Mc 6,10). San Luca, nel contesto analogo dell’invio dei settantadue discepoli, ci chiarisce bene la portata di questa espressione: Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l’operaio è degno della sua mercede (Lc 10,8).
Quando si propongono queste tematiche, è facile trovare tra i cristiani – e anche tra i preti, che pure di solito non rinunciano a ricevere quanto viene loro corrisposto – una specie di fastidio, quando addirittura non c’è la colpevolizzazione di chi le prospetta. La Chiesa – si dice – deve essere povera; e dunque non deve mai parlare di soldi. 
Chi fa di questi ragionamenti non merita di essere preso sul serio, prima di tutto perché è in disaccordo con il vero parere del Signore (come s’è visto). Ma anche perché è in contraddizione con la sua stessa affermazione. 
Solo ai ricchi, non ai poveri, è consentito di non pensare mai al denaro. Il povero ci pensa sempre, proprio perché non ne ha. 
Una Chiesa dove non si parli mai di soldi, dove si abbia vergogna a chiedere il contributo di tutti, come se fosse una contaminazione della religione, non sarebbe una Chiesa evangelica; sarebbe una Chiesa ricca: solo i ricchi infatti non hanno angosce finanzia rie e possono non chiedere nulla a nessuno.

Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
Per acquistare il libro "Stilli come rugiada il mio dire" che raccoglie le omelie per le Domeniche del Tempo Ordinario Anno B (€ 12), clicca qui!
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.

ALTRA OMELIA VI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 6, 7-13)
da Il settimanale di Padre Pio
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Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

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