BastaBugie n�891 del 18 settembre 2024

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1 SINISTRA E' ORMAI SINONIMO DI REPRESSIONE DEL DISSENSO: E' LA PROPAGANDA DI REGIME 2.0
È giusto limitare la libertà di espressione se non rispetta la morale naturale, mentre non lo è più quando essa va solo contro il politicamente corretto... eppure nelle democrazie liberali accade oggi esattamente il contrario!
Autore: Eugenio Capozzi - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 LA QUESTUA: DAGLI ORDINI MENDICANTI ALLE PARROCCHIE DI OGGI
Un gesto concreto di amore nei confronti della propria comunità cristiana, ma anche un segno di appartenenza
Fonte: Holyart
3 IL BEATO SCHUSTER, ARCIVESCOVO DI MILANO
Ricordiamolo a 70 anni dalla morte: era cardinale e monaco di San Benedetto, di cui meditò a fondo la Regola (che deve plasmare la vita non solo dei monaci, ma di chiunque sia disposto a vivere cristianamente)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radio Roma Libera
4 LA RIVOLUZIONE CHE NON FINISCE MAI
L'utopia di un mondo senza differenze: da Saint-Simon all'uomo nuovo di Asimov
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Sito di Nicola Porro
5 COSA SAREBBE SUCCESSO CON LA LEGGE ZAN
Un insegnante irlandese che si è opposto ad utilizzare il pronome ''loro'' per uno studente che non si identifica in un genere preciso, dopo 400 giorni di carcere, è stato arrestato di nuovo
Autore: Alessia Battini - Fonte: Pro Vita e Famiglia
6 IL SINODO FARSA RIDEFINISCE I PECCATI
Peccato di troppa dottrina, peccato contro la sinodalità, peccato contro i migranti: dovremo cambiare l'esame di coscienza (e i comandamenti)?
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 OMELIA XXV DOMENICA T. ORD - ANNO B (Mc 9,30-37)
Se uno vuole essere il primo sia l'ultimo di tutti
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

1 - SINISTRA E' ORMAI SINONIMO DI REPRESSIONE DEL DISSENSO: E' LA PROPAGANDA DI REGIME 2.0
È giusto limitare la libertà di espressione se non rispetta la morale naturale, mentre non lo è più quando essa va solo contro il politicamente corretto... eppure nelle democrazie liberali accade oggi esattamente il contrario!
Autore: Eugenio Capozzi - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 22 agosto 2024

La tendenza alla negazione del pluralismo democratico, alla criminalizzazione del dissenso e alla censura, già emersa da tempo nelle società occidentali che ancora si definiscono liberaldemocratiche, appare ulteriormente consolidarsi, e anzi subire una decisa accelerazione. Più specificamente, essa si manifesta ormai come la caratteristica principale di tutto il mondo politico, intellettuale e mediatico accomunato in qualche modo sotto l'etichetta di "progressismo" e "sinistra".
Molti episodi delle ultime settimane confermano tale crescente torsione repressiva: dalla massiccia persecuzione poliziesca e giudiziaria di opinioni dissenzienti – comprese quelle espresse sui social media - lanciata dal governo britannico laburista di Keir Starmer contro i manifestanti anti-immigrazione, alla grottesca lettera minatoria inviata dal commissario Ue Thierry Breton a Elon Musk per minacciare ritorsioni per lo spazio mediatico da lui concesso a Donald Trump, fino alle esplicite minacce del deputato europeo macroniano Sandro Gozi di sopprimere tout court il social medium X, di proprietà dello stesso Musk, sul territorio dell'Unione. Ma se si volessero citare tutte le continue richieste di cancellazione delle voci avversarie, su ogni questione in discussione, provenienti dalle sinistre occidentali l'elenco sarebbe infinito.
Non si tratta, ovviamente, di una tendenza nata ieri. L'"album di famiglia" storico di ideologie e partiti di sinistra in tal senso è molto cospicuo, dal giacobinismo fino alle dittature comuniste del XX secolo.
Nel secondo Novecento l'inclinazione repressiva, a dispetto delle invocazioni sessantottine al free speech e al "vietato vietare", ha preso un corso meno apparentemente evidente, ma altrettanto pericoloso con il progressivo abbandono del paradigma della lotta di classe in favore di quello dei "diritti civili" intesi come "risarcimento" a gruppi minoritari per le più varie discriminazioni, secondo la traccia della identity politics. In merito a tali temi, l'argomentazione del liberal occidentale, esplicita o implicita, diventava più o meno la seguente: chiunque critichi nel merito qualsiasi misura invocata in nome della non discriminazione compie un atto di violenza contro i gruppi minoritari già discriminati. Su quelle misure la political correctness autorizza soltanto una posizione favorevole "a prescindere": il pluralismo diventa automaticamente "discorso di odio", e va quindi impedito, bollando come "razzista" "suprematista", o "fobico" ogni oppositore delle deriva "dirittista" promossa in nome del nuovo mito "tribale" del progresso.

LA LOTTA CONTRO LE EMERGENZE
Ma il salto di qualità decisivo nel senso della mutazione genetica della democrazia in regime "a partito unico", nella mente e nelle azioni dei "progressisti" occidentali, è avvenuto, tra gli anni Dieci e Venti del XXI secolo, con l'avvento di un paradigma ideologico che vede nella politica in primo luogo una lotta contro "emergenze". Una lotta che rappresenta una questione di vita o di morte per le collettività, e che dunque in quanto tale non può essere esercitata efficacemente attraverso la democrazia pluralista (le cui procedure ritarderebbero o pregiudicherebbero fatalmente azioni inevitabili e necessarie) ma deve essere affidata a "comitati di salute pubblica" organizzati con una logica tecnocratica e/o giustificati in nome della "scienza".
Tale paradigma si è imposto innanzitutto attraverso la predicazione martellante dell'ideologia millenaristica del catastrofismo climatico, in cui l'esigenza di ridurre a tutti i costi le "emissioni" di anidride carbonica per "salvare il pianeta" è stata affermata come punto assoluto e imprescindibile, senza alcuna possibilità di discussione. Poi è stato riproposto in forma altrettanto radicale con l'epidemia di Covid 19, additata come minaccia talmente apocalittica da giustificare restrizioni inaudite delle libertà individuali sancite dagli ordinamenti liberaldemocratici. Infine, con toni ultimativi è stato invocato in occasione della guerra russo-ucraina per tacitare ogni critica alla linea di contrapposizione totale nei confronti di Mosca adottata da Nato e Ue.
Chi si oppone all'immigrazione indiscriminata, all'aborto assolutizzato come "diritto fondamentale", all'utero in affitto, alla "transizione di genere" illimitata sui minori, all'indottrinamento gender nelle istituzioni formative viene etichettato dai "progressisti" contemporanei come un odiatore, un razzista, un omofobo/transofobo di "estrema destra" violento e pericoloso. Ma chi contesta il millenarismo climatista viene automaticamente considerato colpevole dell'estinzione dell'umanità, del collasso dell'ecosistema, delle sette piaghe d'Egitto, e deve essere sistematicamente messo a tacere per la salvezza di tutti.

LA PROPAGANDA DI REGIME
Nella stessa logica chi critica come irrazionali, inutili e illegittimi i lockdown, i coprifuoco, i ricatti e gli obblighi vaccinali viene additato come untore, responsabile morale di ogni contagio, sofferenza o morte dei "fragili". E chi critica la corsa all'escalation militare, l'abbandono di ogni via diplomatica, la riduzione dell'economia a economia di guerra viene accusato con disprezzo - da sinistre improvvisamente convertitesi dal pacifismo dogmatico al bellicismo moralista - di essere ipso facto al soldo di un tiranno, e di favorire il massacro degli aggrediti da parte degli aggressori.
Dalla identity politics all'emergenzialismo coatto la cultura politica dei progressisti occidentali completa la sua torsione verso un ripudio strutturale del pluralismo, verso la riduzione della democrazia a regime in cui è possibile e necessaria una sola scelta, imposta dalle "magnifiche sorti e progressive" della civiltà unica, o dalla salvezza contro catastrofi globali. Il tutto, attraverso la versione aggiornata di quella che era stata la propaganda di regime a senso unico nelle dittature novecentesche: lo storytelling o "narrazione", trasformazione della dialettica politica in ricostruzione edificante ed emotiva di qualsiasi questione in ballo, proposta allo stesso modo da un coro di media – tradizionali/generalisti, digitali, social – e di agenzie istituzionali tutti coordinati secondo una regia comune, dall'informazione alla cultura fino all'intrattenimento. Se qualche mezzo di informazione, qualche centro di elaborazione scientifica e culturale, qualche intellettuale indipendente, qualche artista "stona", e si pone in contrapposizione al coro, scatta immediatamente la richiesta indignata e rabbiosa di censurarlo, zittirlo e cancellarlo. [...]
Il progressismo del XXI secolo appare regredito solo all'invocazione a tappare la bocca agli altri in nome di parole d'ordine dogmatiche, primordiali, fondate sul puro dominio della paura.

Nota di BastaBugie: Stefano Fontana nell'articolo seguente dal titolo "La censura, quando è lecita e quando non lo è" spiega che è lecito e perfino doveroso limitare la libertà di espressione quando questa non rispetta i principi della morale naturale, mentre non lo è più quando essa semplicemente contraddice la versione politicamente corretta, del potere di turno. Ma nelle democrazie liberali accade oggi esattamente il contrario.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 13 agosto 2024:

Facebook ha oscurato il profilo del filosofo Richard Dawkins, il quale su X era intervenuto sulla questione del gender alle Olimpiadi di Parigi, sostenendo che le identità sessuate sono solo due. Questo tipo di censura è inaccettabile, ma lo è solo perché toglie la libertà di parola ad una persona? Questi casi di censura nelle piattaforme digitali pongono la questione più generale della censura in quanto tale: quando e a quali condizioni qualcuno può impedire ad un altro di esprimere la propria opinione? Ora, sulla base del solo principio della moderna libertà di opinione fatta propria dalla democrazia liberale il problema non è risolvibile.
I social sono realtà private che si danno il proprio codice di comportamento e la propria "etica" interna. Stabiliscono quali sono le parole che non possono essere postate e quali sono i temi vietati e quelli permessi. La loro "etica aziendale" è una loro costruzione artificiale e anzi spesso vietano proprio di dire la verità, come nel caso di Dawkins riportato sopra. Il fatto di essere entità private non impedisce loro di fare politica, di creare costume e di plasmare mentalità. Se giuridicamente sono private, la loro attività è comunque senz’altro pubblica, anche se non statale. La critica che si dovrebbe muovere loro, allora, consiste nel denunciare la mancanza di un fondamento oggettivo e universale della loro "etica comunicativa", e di sostituirlo con un codice artificiale variabile a loro uso e consumo. Spesso ciò significa ad uso e consumo dei centri di potere, di cui essi stessi fanno parte. È lecito e perfino doveroso limitare la libertà di espressione quando questa non rispetta i principi della morale naturale, non lo è più quando essa contraddice la versione politicamente corretta, o quella del potere di turno, o quella più conveniente per motivi estrinseci. Senza riferimento ad un criterio naturale, il potere di censura diventa arbitrario. Per questo la democrazia liberale non riesce a incarnarlo.
Troviamo la conferma anche spostandoci al piano politico. Anche qui riscontriamo due cambiamenti: si è cessato di esercitare la censura su tematiche che in passato si riteneva che la meritassero, e si attua una nuova censura su atteggiamenti e idee che in passato invece venivano promosse e sostenute. Ciò che ieri era censurato ora non lo è più, anzi viene censurato l’opposto. La bestemmia veniva punita, il buon costume difeso, l’ostentazione della volgarità era trattenuta, quanto poteva danneggiare l’immagine pubblica della famiglia era biasimato. La naturalità dei rapporti veniva protetta dalla censura, cosa che oggi si fa nei confronti della innaturalità. Anche qui abbiamo l’esistenza di un soggetto politico (lo Stato) che si comporta in fondo come un privato, ossia sciolto da doveri di rispettare un bene comune oggettivo e universale. Non solo Facebook si rifà ad un codice proprio di natura artificiale, ma anche l’autorità politica che, infatti, alle Olimpiadi di Parigi non ha censurato nulla, anzi ha promosso il vilipendio alla religione e l’ostentata esaltazione di atteggiamenti innaturali. Anche in politica allora non ci si deve limitare a difendere la libertà di opinione, perché questa può esercitarsi bene o male, in modo giusto o ingiusto. Bisogna rifarsi ad un criterio oggettivo della moralità delle opinioni quale solo la legge morale naturale può essere.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 22 agosto 2024

2 - LA QUESTUA: DAGLI ORDINI MENDICANTI ALLE PARROCCHIE DI OGGI
Un gesto concreto di amore nei confronti della propria comunità cristiana, ma anche un segno di appartenenza
Fonte Holyart, 19 agosto 2024

La questua è il momento in cui i fedeli contribuiscono concretamente alle necessità della chiesa attraverso donazioni volontarie. Questo gesto di carità ha un duplice significato: da un lato, risponde ai bisogni materiali della chiesa; dall'altro, rappresenta un'espressione tangibile di amore e solidarietà verso la comunità. Le offerte raccolte durante la questua vengono utilizzate per il mantenimento della chiesa e per sostenere varie cause caritatevoli.
La questua in chiesa è una pratica antica e radicata nella tradizione cristiana, che continua a svolgere un ruolo significativo ancora oggi. Attraverso la questua, i fedeli non solo sostengono le necessità materiali della chiesa, ma rafforzano anche i legami di comunità e di fede, contribuendo anche sul piano pratico a creare una comunità di fedeli e persone, uniti dalla religione, ma anche da obiettivi comuni e virtuosi. Un aspetto da non sottovalutare, in un'epoca come la nostra, in cui sembra essere diventato difficile perfino intrattenere rapporti civili e solleciti con i vicini di casa! Anzi, vedremo come, nonostante i cambiamenti delle abitudini moderne, la sacralità della questua è rimasta invariata e permette ai cristiani di aiutare la comunità religiosa, rafforzando il senso di preghiera e appartenenza. In questo articolo esploreremo il significato di questua, l'uso della borsa per questua nelle chiese moderne e l'offertorio nella Messa.

SIGNIFICATO DI QUESTUA
La questua è una pratica che consiste nella raccolta di offerte da parte dei fedeli per sostenere le attività e le necessità della chiesa. Anticamente si intendeva con questo termine l'opera dei questuanti, ovvero i frati appartenenti agli Ordini Mendicanti incaricati di elemosinare porta a porta per provvedere al mantenimento dei confratelli. Dobbiamo pensare che gli Ordini Mendicanti vivevano esclusivamente della generosità dei devoti. Questi ordini fiorirono tra il XIII e il XV secolo. Gli uomini che aderivano ad essi abbracciavano i concetti di umiltà, obbedienza e povertà evangelica. Essi praticavano la predicazione ambulante, spostandosi di paese in paese, spesso dormendo all'addiaccio, e rivendicavano una certa libertà dalla giurisdizione vescovile. Inoltre erano uniti da profonda fraternità, che riflettevano anche nel loro comportamento verso chiunque incontrassero, tutti fratelli e sorelle in Dio. Da questi particolari uomini di chiesa nasce il termine frate, che distingue l'appartenente a un ordine mendicante da un monaco. I primi e più importanti tra gli Ordini Mendicanti furono i Domenicani e i Francescani, che con la loro scelta di fede e soprattutto di vita ribaltarono completamente la tradizione monastica. Infatti, a differenza dei monaci, che vivevano chiusi nelle abbazie dividendosi tra preghiera, lavoro e contemplazione, i Mendicanti viaggiavano nel mondo predicando la Parola di Dio. In seguito nacquero altri Ordini mendicanti, come i Frati Minori Cappuccini, di cui fece parte anche Padre Pio.

L'OFFERTORIO DURANTE LA MESSA
Il significato di questua oggi come ieri risiede nell'atto di generosità e condivisione. Se in passato le offerte erano rivolte al sostentamento dei frati, ed erano spesso costituite non da denaro, ma da beni di consumo, cibo, vino, vestiti, eccetera, col passare del tempo la raccolta di denaro da parte della chiesa è diventato un gesto per contribuire al mantenimento della parrocchia, ma soprattutto un modo con cui i membri della comunità contribuiscono volontariamente per il bene comune.
La questua rappresenta un gesto concreto per la chiesa, da parte dei fedeli. Le offerte vengono utilizzate per la manutenzione della chiesa o per altre cause specifiche di comune interesse per la comunità parrocchiale. Ma la questa è anche un'espressione di carità cristiana, un gesto d'amore motivato dallo spirito di carità verso chi è meno fortunato. Come abbiamo visto, il significato della questua era originariamente legato alla donazione di cibo e beni di prima necessità ai frati, che, a loro volta, spesso devolvevano quanto raccolto a chi era ancora più sfortunato e bisognoso di loro, ai più poveri. Così avviene ancora oggi.
L'Offertorio è [...] il momento della Liturgia in cui il sacerdote compie l'offerta del pane e del vino a Dio. Contestualmente, i fedeli possono presentare le loro offerte, lasciando piccole somme di denaro in un cestino o nell'apposita borsa da questua che viene fatta girare tra i banchi dai chierichetti o da un assistente del Presbitero. In questo modo la questua si ripropone come gesto simbolico e concreto, simbolico perché avviene proprio nel momento in cui il Sacerdote presenta i doni del pane e del vino, concreto perché, grazie alle offerte raccolte, sarà possibile intervenire con lavori di manutenzione all'edificio o sostenere le iniziative parrocchiali. [...]

Fonte: Holyart, 19 agosto 2024

3 - IL BEATO SCHUSTER, ARCIVESCOVO DI MILANO
Ricordiamolo a 70 anni dalla morte: era cardinale e monaco di San Benedetto, di cui meditò a fondo la Regola (che deve plasmare la vita non solo dei monaci, ma di chiunque sia disposto a vivere cristianamente)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radio Roma Libera, 1 settembre 2024

Il 30 agosto sono ricorsi i 70 anni dalla morte del beato cardinale Ildefonso Schuster, monaco benedettino, cardinale di Santa Romana Chiesa e arcivescovo di Milano.
Fu battezzato con il nome di Alfredo Ludovico a Roma, dove nacque il 18 gennaio 1880, primogenito di Giovanni, zuavo pontificio di origine bavarese, e della sua terza moglie, Maria Anna Tutzer di Bolzano. A nove anni, perse il padre e per interessamento del barone Pfiffer d'Altishofen, colonnello delle guardie svizzere, venne mandato a studiare presso i benedettini del monastero romano di S. Paolo fuori le Mura. Qui ebbe come maestro il beato Placido Riccardi (1844-1915), rettore dell'abbazia di Farfa, che lo aiuto a discernere la vocazione religiosa. Entrato come novizio nell'ordine benedettino col nome di Ildefonso prese i voti nel 1899, si laureò in filosofia al Collegio di S. Anselmo e nel 1904 divenne sacerdote.
Mostrò, fin da giovanissimo, grandi qualità di studioso, nei campi della storia, dell'archeologia, della liturgia, della musica sacra, ma soprattutto si distinse per una grande pietà ed esattezza nell'osservanza della disciplina monastica. Gli vennero perciò affidati importanti incarichi, come il rettorato del Pontificio istituto Orientale e la missione di visitatore apostolico in Lombardia, Campania e Calabria. Il 26 marzo 1918, a soli 38 anni, fu eletto abate del monastero romano di S. Paolo fuori le Mura, incarico che mantenne fino a quando, nel 1929, Pio XI lo scelse come arcivescovo di Milano, creandolo cardinale. Fu il primo vescovo a prestare giuramento di fedeltà davanti a Vittorio Emanuele III, come prevedevano i Patti Lateranensi appena firmati tra Italia e Santa Sede l'11 febbraio dello stesso anno.
Il cardinale Schuster osservò una posizione di lealismo nei confronti delle legittime autorità politiche, che in quel momento erano rappresentate dal sovrano sabaudo e dal Duce del fascismo Benito Mussolini. Ciò non gli impedì di resistere ai tentativi di ingerenza del regime fascista nella vita della sua diocesi e di denunciare il razzismo hitleriano come "un'eresia", in una celebre predica dal pulpito del Duomo, il 13 novembre 1938, che suscitò la protesta del regime (Angelo Majo, Schuster, una vita per Milano, NED, Milano 1994, pp. 64-65).

UN PASTORE ESEMPLARE
Fu un pastore esemplare del popolo a lui affidato. Milano era una diocesi di 1000 parrocchie servite da 2000 sacerdoti. Schuster compì in venticinque anni ben cinque Visite Pastorali, consacrando 280 nuove chiese, ma senza mai mancare alla Messa Capitolare di ogni domenica e di ogni festa.
Durante la Seconda guerra mondiale appartenne a quel gruppo di coraggiosi Pastori, come i cardinali Elia Dalla Costa (1872 - 1961), arcivescovo di Firenze, e Antonio Santin (1895-1981), arcivescovo di Trieste, ai quali fu applicato il titolo di "defensor civitatis", per l'impegno con cui difesero la loro diocesi nelle ore più buie del conflitto. Nell'aprile 1945, alla caduta della Repubblica Sociale Italiana, il cardinale propose una trattativa tra i rappresentanti partigiani e Mussolini, ma quest'ultimo invece di consegnarsi agli alleati, preferì partire verso quel confine svizzero dove trovò la morte. Quando i corpi di Mussolini e dei gerarchi fascisti furono esposti a piazzale Loreto, Schuster ne condannò lo scempio e li benedisse per il rispetto che si deve a qualsiasi cadavere. Nel dopoguerra fu eletto primo presidente della Conferenza episcopale italiana e nel 1954, ammalato, si ritirò nel seminario di Venogono, da lui fatto costruire, dove si spense il 30 agosto di quell'anno. Fu beatificato il 12 maggio 1996 da Giovanni Paolo II, che ne fissò la memoria liturgica al 30 agosto. E' sepolto nel Duomo di Milano, dove è continuo il flusso davanti ai suoi resti mortali.
Il cardinale Schuster fu sempre e innanzitutto un figlio di San Benedetto, di cui meditò a fondo la Regola, basata sull'Ora et labora. Egli era convinto che questa Regola, che fonde in un armonioso equilibrio la preghiera e l'azione, potesse plasmare la vita non solo dei monaci, ma di chiunque sia disposto a vivere nel mondo, ispirandosi alla spiritualità benedettina.  
Prese certamente come modello uno dei suoi predecessori più illustri nel governo della diocesi di Milano, san Carlo Borromeo, ma non bisogna dimenticare, un'altra eminente figura a lui particolarmente cara, il beato benedettino, Giuseppe Benedetto Dusmet, dei marchesi de Smours (1818 - 1894), cardinale-arcivescovo di Catania, pastore amatissimo del popolo della città etnea.

RTANTI STUDI SUI SACRAMENTI E SULLA LITURGIA
Il cardinale Schuster va ricordato inoltre per i suoi importanti studi sui sacramenti e sulla liturgia, come il Liber Sacramentorum (Marietti, Torino 1919-1929), un commento storico-liturgico in 9 volumi al Messale Romano, frutto delle lezioni tenute presso il Pontificio Istituto di Musica sacra. Il vescovo Cesario d'Amato, che di lui fu successore alla guida dell'abbazia di San Paolo, racconta di aver avuto, per due anni, l'onore di servire la Messa al futuro cardinale nel suo oratorio privato e riferisce che Schuster "[...] subito si metteva allo scrittoio a scrivere rapidamente il commento alla messa del giorno. La maggior parte del Liber Sacramentorum è nata così, per dirlo con una frase che gli piaceva: «sulle ginocchia».
Al centro della vita spirituale del cardinale Schuster è Gesù Cristo, Verbo Incarnato e Re della storia. Questo è il titolo delle sue Lezioni di storia ecclesiastica, in cui scrive: "la storia della società cristiana esige (...) un primo principio di azione tutto divino, onnipotente e sapiente che noi ammaestrati dalla Teologia riconosciamo nello Spirito di Colui che ci ha promesso che sarebbe rimasto tra noi sino alla fine dei secoli" (Gesù Cristo nella storia. Benedictina Editrice, Roma 1996, pp. 34-35).
Ai seminaristi di Venegono, poco prima di morire, disse: «Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità. La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un santo, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio» (Angelo Majo, Schuster, una vita per Milano, p. 32).
Vivo o morto. La distinzione è importante. Non sempre infatti nella vita di un santo tutti accorrono al suo passaggio. Sappiamo bene che molti attraversano il proprio tempo, ignoti o incompresi dai più. Ma tutti accorrono al passaggio dei santi dopo la loro morte, amandoli e onorandoli, soprattutto quando la Chiesa ne ha decretato le virtù. Così accade oggi per il beato cardinale Ildefonso Schuster, di cui chiediamo l'intercessione.

QUASI UN SECOLO FA NASCEVA ''L'AVANGUARDIA CATTOLICA''
Quando i cattolici sapevano difendersi: il cardinale Ildefonso Schuster scrisse di suo pugno il Decalogo della milizia
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1851

Fonte: Radio Roma Libera, 1 settembre 2024

4 - LA RIVOLUZIONE CHE NON FINISCE MAI
L'utopia di un mondo senza differenze: da Saint-Simon all'uomo nuovo di Asimov
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Sito di Nicola Porro, 28 agosto 2024

"Nell'ultimo lavoro di Enfantin, La vie eternelle del 1861, l'androginia era presentata (...) come obiettivo dell'umanità". Così scriveva J. H. Billington nel suo magistrale ed enciclopedico Con il fuoco nella mente. Le origini della fede rivoluzionaria (Il Mulino, 1986). Enfantin era il successore del fondatore Saint-Simon e ultimo capo dei sansimoniani, che attendevano un Messia donna. E infatti si erano sparsi per l'Oriente proprio per cercarlo/a, convintisi, chissà perché, che proprio da là dovesse venire Colei che avrebbe condotto l'umanità verso il suo fatale destino di gloria, pace e unità.
Quest'ultima trovata, come tutte le altre, era uscita dall'unico vaso di Pandora della Rivoluzione Francese, madre di tutti gli -ismi che da allora non hanno cessato di affliggere l'Occidente (che ne ha contagiato il resto del mondo e ancora insiste). Saint-Simon e i suoi seguaci erano la punta avanzata della rivoluzione del pensiero prima che spuntassero Marx e il suo sol dell'avvenire. Marx, che volle apposta chiamare il suo socialismo "scientifico" per distinguerlo dai vaneggiamenti sansimoniani. Al femminismo Marx non pensava nemmeno, parendogli cosa folle. Infatti, i giacobini fin da subito avevano ghigliottinata Olympe de Gouges e la di lei Dichiarazione dei diritti delle donne. Di più: alla fastosa Festa dell'Essere Supremo vollero che le donne assistessero da un settore separato. Ed era la prima volta che una cosa del genere accadeva in Francia.
Billington fece notare che "politicamente, alla fine della rivoluzione le donne erano messe peggio che all'inizio". Fu con Napoleone III che i sansimoniani andarono a occupare "lucrose posizioni nelle banche, nell'industria e nel governo". Lui, ex carbonaro, che nel 1839 aveva pubblicato Des idées napoléoniennes, libro venduto nella stupefacente cifra, per l'epoca, di cinque milioni di copie in pochi anni. Infatti, i sansimoniani avevano avuto gran parte nella costruzione del Canale di Suez e nello sviluppo delle ferrovie. Già: sognavano un mondo senza confini e distinzioni di razze. È appurato l'influsso di Saint-Simon su Comte, padre del positivismo. E per Salvemini quattro quinti delle idee di Mazzini erano d'origine sansimoniana. Tornando a Enfantin, e a proposito di razze, costui in una lettera del 1835 al correligionario (il sansimonismo si pensava come la religione finale, con tanto di rituali) meticcio Urbain (anche Dumas lo era, meticcio, frutto delle colonie francesi), confessava quanto gli mancasse "il tuo volto bruno", quanto fosse affascinato dalla sua "carnagione scura", e lamentava che "Dio non mi abbia concesso comunione con quella carne". Eichtal, altro sansimoniano di spicco, "dimostra ancor più di Enfantin un'attrazione di tipo omosessuale per Urbain" (Billington).
Insomma, come si vede c'è già tutto. Tutto il nostro presente: il primato della donna, scavalcato ben presto da quello dell'omosessuale, che, ingegneria genetica permettendo, sarà a sua volta scavalcato dall'androgino, meta ultima e definitiva. Già gli artisti, che sono sempre in anticipo sui tempi e indicano la direzione, si presentano come "fluidi", anticipati dalla fantascienza di Asimov che concludeva il suo ciclo de La Fondazione con un "uomo nuovo" finalmente androgino, mix perfetto di indistinto, di individualismo e collettivismo. Neanche Huxley aveva osato, e nemmeno la Torre di Babele. Che Dio sdegnò, diversificando le lingue. Viviamo, infatti, nell'universo, il cui etimo è "unità nella diversità". Diversità. Solo così può nascere l'amore. Sennò è odio. O, peggio, indifferenza. Il cui etimo a sua volta è "nessuna differenza".

Fonte: Sito di Nicola Porro, 28 agosto 2024

5 - COSA SAREBBE SUCCESSO CON LA LEGGE ZAN
Un insegnante irlandese che si è opposto ad utilizzare il pronome ''loro'' per uno studente che non si identifica in un genere preciso, dopo 400 giorni di carcere, è stato arrestato di nuovo
Autore: Alessia Battini - Fonte: Pro Vita e Famiglia, 10 settembre 2024

Ne avevamo già parlato, e purtroppo siamo ancora qui... Ricordate l'insegnante irlandese costretto a 400 giorni di detenzione in carcere per essersi opposto all'utilizzo dei pronomi gender nella sua classe? Ebbene, lo scorso lunedì 2 settembre è stato nuovamente condannato alla reclusione dal tribunale di Dublino dopo essersi rifiutato di rispettare un'ordinanza che gli vietava di avvicinarsi alla Wilson's Hospital School, la scuola dove insegnava.
Per lo stesso motivo era già stato incarcerato nel settembre 2022, dopo essere stato sospeso dal consiglio scolastico dell'istituto nel maggio dello stesso anno per essersi rifiutato di usare il nuovo nome di uno studente che si era dichiarato trans e che pretendeva anche l'utilizzo del pronome "loro", non identificandosi in un genere preciso. È stato poi rilasciato dopo tre mesi e nuovamente incarcerato con l'accusa di oltraggio alla corte nel settembre 2023.
Dopo il rilascio lo scorso giugno, corrispondente all'inizio delle vacanze estive, nel recente periodo di ripresa delle lezioni, il professore Enoch Burke ha continuato a presentarsi a scuola e, intervistato da Sky News, ha dichiarato di essere ancora pagato dall'istituto e che si era recato lì per svolgere il suo dovere di insegnante. Alla domanda del giornalista sul perché non volesse rispettare l'identità transgender dello studente ha semplicemente risposto: «Io insegno a tutti gli studenti che sono nella mia classe, senza fare distinzioni. Ma quando mi impongono di fare qualcosa che va contro le mie convinzioni religiose obbligandomi a sostituire una nuova ideologia con i valori della mia fede, sulla base dei quali esistono solo due generi, allora si stanno violando i miei diritti».
Dopo queste dichiarazioni la scuola si è nuovamente rivolta all'Alta Corte di Dublino, dove lunedì si è svolta l'udienza che si è conclusa con la nuova - ed ennesima - condanna alla reclusione di Enoch Burke, che ha dichiarato: «Detesto la prigione, è un posto orribile dove perdi la tua libertà. Sei costretto a passare 18 ore al giorno chiuso in una stanza».
Intanto, il caso ha assunto un rilievo internazionale, e l'insegnante irlandese è diventato un simbolo dell'attuale battaglia tra l'ideologia progressista cosiddetta "woke" e la difesa dei valori tradizionali. Le opinioni nel Paese sono divise: chi sostiene l'effettiva lesione dei diritti costituzionalmente garantiti del professore, in particolare del suo diritto alla libertà religiosa, e chi al contrario considera il suo comportamento inaccettabile, sia a scuola sia in tribunale.
Il caso, inoltre, rischia di diventare un pericoloso precedente, non solo in Irlanda ma in tutta la nostra società occidentale, poiché in nome dell'ideologia si legittimano queste gravissime lesioni alla libertà personale. In Italia siamo riusciti a schivare il tentativo del Parlamento di approvare la proposta di Legge Zan, che avrebbe avuto effetti disastrosi come quelli che stiamo vedendo verificarsi in Irlanda e in altri Paesi, come gli Stati Uniti, dove la dittatura del pensiero unico si è affermata da tempo anche sul piano legislativo. Pensiamo, ad esempio, alla legge irlandese che vieta di pregare, anche silenziosamente, vicino alle cliniche per gli aborti, pena sempre la detenzione in carcere.
Qualcuno considera Burke un martire della causa, lui non si è mai considerato tale, ma sicuramente è una persona con un grande coraggio e un'immensa forza di volontà, oltre che una profonda fede. Una persona che è disposta a rischiare la prigione, la gogna pubblica e il divieto di continuare a svolgere il mestiere che ama, pur di continuare ad affermare la verità. Una grande ispirazione per ognuno di noi.

Fonte: Pro Vita e Famiglia, 10 settembre 2024

6 - IL SINODO FARSA RIDEFINISCE I PECCATI
Peccato di troppa dottrina, peccato contro la sinodalità, peccato contro i migranti: dovremo cambiare l'esame di coscienza (e i comandamenti)?
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 18 settembre 2024

Il Sinodo sulla sinodalità sta tornando. I lavori in aula di questa seconda sessione dal titolo «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione» si svolgeranno dal 2 al 27 ottobre. Già nei giorni precedenti, però, i sinodali parteciperanno nella basilica di San Pietro a due appuntamenti: un ritiro spirituale che si protrarrà per due giorni (dal 30 settembre al 1° ottobre), e poi una Liturgia penitenziale che, secondo le indicazioni della Segreteria generale del Sinodo, prevede la confessione pubblica di alcuni peccati così elencati: contro la pace; il creato, le popolazioni indigene, i migranti; contro gli abusi; contro le donne, la famiglia, i giovani; contro il peccato della dottrina usata come pietra da scagliare contro; la povertà, la sinodalità ossia mancanza dell'ascolto, della comunione e partecipazione di tutti.
Questo Sinodo non gode di buona salute. Una ricerca demoscopica, subito cancellata dal Vaticano, aveva attestato che la grande maggioranza degli intervistati non si attendeva niente di buono dal sinodo. La fragilità teologica su cui pretende di fondarsi, le tattiche di politica ecclesiastica di cui è fatto oggetto, la prassi di un dialogo pilotato e includente e, soprattutto, la percezione che il suo punto di arrivo sia stato già deciso e che tutti questi percorsi siano strumentali hanno fatto adoperare la parola "farsa". Ci si avvicina, quindi, alla seconda sessione con una certa stanchezza.
Il Sinodo sulla sinodalità si dimostra una forzatura, uno strumento per far evolvere la prassi ecclesiale verso qualcosa di nuovo senza dirlo, un progetto pratico per inserire una nuova sensibilità, un modo di fare che cambi il modo di essere, un modo di sentire che cambi il modo di pensare la fede. Come abbiamo già osservato altrove, ciò è evidente anche nell'Instrumentum laboris redatto per questa seconda sessione, e ne troviamo conferma in quel farsesco elenco di peccati di cui chiedere perdono nella Liturgia penitenziale del 1° ottobre.

PROBLEMI DI DOTTRINA
I peccati qui elencati mancano di forma, non hanno la fattispecie, per cui il fedele non è in grado di valutare cosa significhi peccare nel senso di quei peccati. La forma del furto è appropriarsi di una cosa altrui. Ma qual è la forma del peccato contro i popoli primitivi o contro gli immigrati?  Non ci si può pentire e chiedere perdono di qualcosa che non si riesce a definire e, quindi, a valutare. Peccare contro la pace, il creato, le popolazioni indigene, i migranti... in generale, senza valutare i contenuti dell'azione, le circostanze e le intenzioni, risulta superficiale e moralmente non indicativo. C'è di più: apre facilmente le porte a contenuti politici o ideologici e, alla loro luce, finisce per chiamare peccato quanto magari è invece buon senso.
Nell'elenco della Liturgia penitenziale appaiono incomprensibili soprattutto due peccati: quello della "dottrina usata come pietra da scagliare contro" e quello contro la sinodalità. Quella espressione sulla dottrina è stata adoperata, come noto, più volte da Francesco, ma altro non è che uno slogan, una frase ad effetto che risulta difficilmente traducibile in un linguaggio teologico. È una frase polemica, per colpire qualcuno, per stigmatizzare ogni atteggiamento di fedeltà alla dottrina contro le minacce di una pastorale avventata, un modo di dire la priorità della prassi sulla dottrina senza affermarlo esplicitamente, o per liquidare quanti ritengono che i fondamenti dottrinali non cambino mai.

COS'È UN PECCATO CONTRO LA SINODALITÀ?
La frase che pretende di esprimere questo peccato segue la stessa logica della lotta agli hate speeches, ai discorsi d'odio, che in fondo è un modo per colpevolizzare chi dice verità che non garbano al potere. Oppure assomiglia alla condanna delle fake news: il potere è il primo ad adoperarle, poi però chiama alla lotta contro di esse quando esprimono verità sgradite. Spesso le fake news sono le uniche verità che si sentano. Dovremo chiedere perdono per aver richiamato qualche principio dottrinale confutando chi lo vuole cambiare? Chi ricorda le verità di sempre sarà assimilato ad un lanciatore di pietre?
Ancora più farsesco è il peccato contro la sinodalità. Se c'è un punto chiaro sulla sinodalità è che nessuno sa cosa sia. Lo stesso establishment ecclesiastico afferma che la sua natura è di essere processo: non abbiamo un Sinodo, siamo Sinodo e quindi siamo processo e percorso, e sarà durante questo percorso che scopriremo, ma mai definitivamente, cosa sia la sinodalità. Essa non avrà una forma definita, ma sarà una prassi da sperimentare.
Su queste basi come si può stabilire un peccato contro la sinodalità? Quando l'autorità stabilisse che questa o quest'altra azione è peccato contro la sinodalità, il processo sinodale si sarà nel frattempo evoluto e a peccare contro di essa potrebbero allora essere i censori. Quando si assume una logica storicistica - come fa la sinodalità come processo -, niente è più peccato, perché quando il peccato viene visto come tale lo si è già superato e non c'è più.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 18 settembre 2024

7 - OMELIA XXV DOMENICA T. ORD - ANNO B (Mc 9,30-37)
Se uno vuole essere il primo sia l'ultimo di tutti
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

La pagina evangelica odierna ci propone un altro discorso "impopolare" del Signore Gesù. Come quello di Cafarnao sull'eucaristia, che abbiamo meditato nelle domeniche di agosto, anche il discorso sulla croce, che è presentato qui, non raccoglie molto successo tra gli ascoltatori. La prospettiva della sofferenza viene rifiutata. I discepoli si dimostrano impermeabili all'annuncio della catastrofe umana, alla profezia della condanna e della morte: Essi non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Avevano cioè timore che il Maestro le confermasse nel loro significato più ovvio, che essi non volevano accettare.
Ma noi proviamo a chiedergli quelle spiegazioni, che i suoi primi discepoli non osavano domandargli. Cerchiamo cioè di capire bene il suo pensiero e la sua proposta. Gesù ha sempre davanti a sé il disegno del Padre: tutta la sua vita è progressiva comprensione e totale obbedienza nei confronti di questo disegno. Egli sa che la strada che gli è stata tracciata passa dal Calvario; sa che la salvezza che egli porta arriva attraverso la sua immolazione; sa che il suo trionfo - divino e invisibile - sarà ottenuto mediante il fallimento umano e l'insuccesso.
È un progetto difficile, duro, ripugnante alle nostre orecchie; ma questo, e solo questo, è il progetto del Padre. La conoscenza di questo disegno è per Gesù il più geloso segreto, è il senso stesso del suo trovarsi tra gli uomini. Perciò niente lo indigna di più, di chi cerca di distorglielo da questa strada, di chi gli propone una vittoria terrestre; di chi, come il demonio nella terza tentazione, gli offre di essere il dominatore clamoroso dei regni della terra. Di chi insomma assegna alla sua missione un significato soltanto mondano, sia pure per il trionfo della libertà e della giustizia.

SIAMO ANCORA PRIGIONIERI DI UNA CONCEZIONE TROPPO TERRENA DELLA VITA
E questo è proprio il caso degli apostoli, i quali, mentre Gesù parla della sua prossima sofferenza e della sua fine, si sentono il partito del futuro e discutono sull'assegnazione dei posti nel governo: Per la via avevano discusso tra loro di chi dovesse essere il più grande. Ma questo è anche il nostro caso; perché anche noi, di fronte a un Dio che pone davanti ai nostri occhi la prospettiva del regno dei cieli, continuiamo, nella nostra vita religiosa, a tenere lo sguardo alla terra e a interessare il Signore solo di tutti i nostri guai di quaggiù. Certo la terra ci è cara, e i suoi problemi sono inevitabilmente i nostri problemi. Ma la speranza in un destino eterno deve essere più forte di ogni altro pensiero.
Tanto più che senza la speranza di un destino eterno, tutto si banalizza, tutto si avvelena, tutto perde di senso. Non mi interesserebbe più niente neppure di questi pochi giorni terrestri che mi sono dati da vivere, se per un solo istante pensassi che essi mi fossero dati solo per raggiungere il buio orrendo del nulla. C'è gente, anche tra quelli che si vogliono riconoscere cristiani, che a sentir parlare del Paradiso sorridono ironicamente. Il pensiero del Paradiso, dicono, distoglie dagli impegni veri, dalle lotte che dobbiamo affrontare: è un pensiero alienante. Ma il problema vero non sta nell'appurare se il pensiero del Paradiso sia utile o no, ma nel vedere se il Paradiso ci sia o non ci sia. Se il Paradiso c'è, è matto - è alienato - l'uomo che non ci pensa mai.
E in ogni caso è sbagliato sorridere: perché, se non c'è, c'è poco da sorridere; se non c'è, tutto diventa inutile e irrilevante. E se c'è, sorridere non basta: bisogna fare salti di gioia, e capovolgere i propri interessi preminenti, le proprie attese, gli orientamenti fondamentali della propria vita. Per esempio, chi cerca la giustizia in questo mondo, senza una prospettiva eterna, sarà sempre deluso: in questo mondo la giustizia non c'è; anzi, chi è veramente giusto, finisce di solito sulla croce: Tendiamo insidie al giusto perché ci è di imbarazzo.
Chi si apre invece alla sapienza che viene dall'alto e che è pura, pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti (come abbiamo ascoltato dall'apostolo Giacomo), capirà un poco anche la difficile strada della croce e saprà aspettare - con desiderio, con fiducia, con tutto il suo essere - il giorno della risurrezione. La parola del Signore Gesù lo trasformerà dal di dentro, gli aprirà il cuore ed egli comprenderà la strada di Dio, anche se è una strada che passa per la rinuncia, per l'accettazione del dolore, per la partecipazione al mistero della croce. E questo in sostanza è l'atto di fede. Un po' di fede vera è ciò che ancora una volta ci sembra più utile domandare.

Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.

Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

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