IL PAPA E IL DOVERE DI ASSOLVERE
Se il penitente volutamente tace uno o più peccati mortali la confessione manca di un requisito essenziale (assolvere in questo caso significa ingannare il fedele)
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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SAN GIROLAMO E LA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO
A Gerusalemme entrò in contrasto con il vescovo che appoggiava gli eretici (pelagiani) ma riuscì a completare la traduzione in latino della Bibbia dal greco e dall'ebraico (la celebre Vulgata)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radio Roma Libera
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QUANDO E' LECITO EVADERE LE TASSE?
Secondo San Tommaso è lecito disobbedire a leggi dannose ed è doveroso se sono immorali (VIDEO IRONICO: Lo Stato, il tuo socio nascosto)
Autore: Don Stefano Bimbi - Fonte: La Bussola Mensile
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L'OMICIDIO DELLA STUDENTESSA RIACCENDE IL DIBATTITO SULL'IMMIGRAZIONE IN FRANCIA
L'assassino è un marocchino già condannato a 7 anni di carcere per uno stupro del 2019, ma per Libération e Le Monde è solo... ''un uomo di 22 anni''
Autore: Federica di Vito - Fonte: Sito del Timone
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L'UOMO MEDIOCRE E' MODERATO, IL CATTOLICO INVECE E' ANIMATO DA SANTA INTRANSIGENZA
L'intransigenza è la fermezza con cui si difendono le proprie idee ed è santa quando queste idee sono cattoliche (per questo la maggiore intransigenza è espressa dai dogmi della Chiesa)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radio Roma Libera
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TRUMP ESPOSTO ALL'ODIO POLITICO DA UNA SICUREZZA INEFFICIENTE
Due attentati in due mesi denotano errori nella sicurezza, ma il problema di fondo è l'odio nei suoi confronti (VIDEO IRONICO: L'attentato a Trump)
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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OMELIA XXVII DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 10,2-16)
Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire
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IL PAPA E IL DOVERE DI ASSOLVERE
Se il penitente volutamente tace uno o più peccati mortali la confessione manca di un requisito essenziale (assolvere in questo caso significa ingannare il fedele)
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 27 settembre 2024
Era passata inosservata l'ennesima grave esternazione di papa Francesco in occasione del recente viaggio in Indonesia. Ma ci ha pensato il fido Antonio Spadaro a riesumarla e farla conoscere al mondo sul sito de La Civilità Cattolica, riportando diversi colloqui di Francesco in occasione del Viaggio Apostolico, incluso quello con 42 gesuiti di Timor Est, il 10 settembre. Il Papa ha ripetuto ancora una volta di non aver mai rifiutato l'assoluzione, aggiungendo però un dettaglio che lo pone direttamente sotto l'anatema del Concilio di Trento. Già nel novembre 2022, parlando ai Rettori e ai Formatori dei Seminari dell'America latina, Francesco si era spinto molto alla deriva (vedi qui), etichettando come "delinquenti" quei sacerdoti che rifiutano l'assoluzione. Poi, il 14 gennaio scorso, ospite della trasmissione Che tempo che fa, aveva ostentato la sua misericordia, affermando che «in 54 anni di sacerdozio ho soltanto negato una sola volta l’assoluzione per l’ipocrisia della persona». Ora, con i confratelli di Timor Est, il Papa confessa «che in 53 anni di sacerdozio non ho mai rifiutato un’assoluzione». Non è solo il computo degli anni di sacerdozio a non tornare (dal prossimo 13 dicembre saranno infatti 55), ma anche il contenuto dei suoi racconti: questa benedetta assoluzione l'ha negata almeno una volta all'ipocrita o non l'ha mai negata? Quale sarà la prossima versione? La sensazione che Bergoglio se le inventi di sana pianta è piuttosto difficile da rintuzzare. Ma questa volta il Papa ha pensato bene di aggiungere al suo già problematico palmarès una nuova "nota di demerito". Ha infatti affermato di aver sempre perdonato, anche quando la confessione «era incompleta» (corsivo nostro). E ha proseguito: «Ho sentito dire a un cardinale che, quando è in confessionale e le persone cominciano a dirgli i peccati più gravi balbettando per la vergogna, dice sempre: "Vada avanti, vada avanti, ho capito già", anche se non ha capito niente. Dio capisce tutto. Per favore, non trasformiamo il confessionale in un consultorio psichiatrico, non trasformiamolo in un tribunale. Se c’è una domanda da fare, e spero che siano poche, la si fa e poi si dà l’assoluzione».
LA CONFESSIONE INCOMPLETA Come si può notare, il Papa ha esplicitamente fatto riferimento ad una confessione incompleta. L'aggettivo è indicativo di una precisa espressione teologica, che si riferisce ad una confessione nella quale il penitente volutamente tace uno o più peccati mortali da lui commessi e non precedentemente confessati. In simili situazioni, la confessione viene a mancare del requisito essenziale dell'integrità, ossia la confessione di tutti i peccati gravi (la confessione dei peccati veniali è consigliata, ma non obbligatoria) di cui si è consapevoli, dopo un attento esame di coscienza, alla luce dei santi Comandamenti. Ora, l'integrità dell'accusa è condizione necessaria per ottenere la remissione dei peccati, ossia è condizione per la validità del sacramento, esattamente come il pentimento e il proposito di emendarsi. Vi sono situazioni in cui ovviamente il sacerdote non può sapere che il penitente stia tacendo dei peccati gravi, perché non ne ha elementi oggettivi. Altre in cui ne ha il sospetto e allora ha il dovere di porre delle domande per aiutare il penitente a confessare tutte le colpe gravi commesse; è il classico caso della persona che non si confessa da 30 anni e dice solo di aver mangiato una caramella in Quaresima... Vi sono poi altre situazioni in cui il sacerdote ha la certezza che la confessione non sia integra, come nel caso di un peccatore pubblico che taccia appunto la colpa nota. Le parole del Papa portano decisamente a questa terza ipotesi, dal momento che Francesco ha fatto riferimento ad una confessione effettivamente incompleta e non al sospetto insolubile che potesse essere tale. In sostanza, il Papa si è posto come esempio per esortare i confratelli ad impartire assoluzioni invalide, finendo piuttosto chiaramente sotto l'anatema scagliato dal Concilio di Trento nel settimo dei Canoni sul sacramento della penitenza: «Se qualcuno dirà che nel sacramento della penitenza per ottenere la remissione dei peccati non è necessario di diritto divino confessare tutti e singoli i peccati mortali che si ricordano dopo debito e diligente esame, anche quelli segreti e commessi contro i due ultimi precetti del decalogo [...], sia anatema (Denz. 1707). Importante la sottolineatura «di diritto divino» (iure divino), che indica espressamente che l'integrità della confessione è condizione costitutiva del sacramento e non derogabile da parte di qualsivoglia autorità ecclesiastica, fosse appunto anche il Papa, che non è affatto superiore al diritto divino.
IL PENTIMENTO DI TUTTE LE COLPE Nella sua parte espositiva, il medesimo Concilio spiegava la ragione profonda dell'importanza e necessità di non tacere alcuno dei peccati gravi di cui si è consapevoli: «Mentre i cristiani si sforzano di confessare tutti quelli che vengono loro in mente, senza dubbio mettono tutti i loro peccati davanti alla divina misericordia perché li perdoni. Quelli, invece, che fanno diversamente e tacciono consapevolmente qualche peccato, è come se non sottoponessero nulla alla divina bontà perché sia perdonato per mezzo del sacerdote» (Denz. 1680). Il sacramento della penitenza esiste per rimettere i peccati ed essere così riconciliati con Dio. Ora, conservare il legame con un peccato che, per sua natura, ci separa da Dio (ossia un peccato mortale), impedire volontariamente che venga alla luce per essere rimesso e la nostra anima sia così risanata, significa sottrarsi alla misericordia di Dio. Sarebbe semplicemente ridicolo pensare che il Signore rimetta "parzialmente" le colpe, ritenendo che intanto si possano assolvere le colpe confessate, ma non quelle occultate; ed ancor più assurdo sarebbe pensare che Dio rimetta quelle colpe che noi vogliamo sottrarre al suo perdono, tacendole. I peccati mortali sono sì di specie molteplici, ma tutti accomunati da una caratteristica: commettendoli, l'anima si distoglie da Dio e si priva della grazia santificante. Per questa ragione, il penitente deve ripudiarli tutti e singoli per non conservare quell'affetto al peccato, che lo manterrebbe nello stato di privazione della grazia. Perché - e questo è ciò che questo pontificato ha dimenticato e fatto dimenticare - tra il peccato mortale e la grazia santificante c'è esclusione reciproca: o c'è l'uno o c'è l'altra. Appunto perché non si tratta di "cose" che possono stare l'una accanto all'altra, ma di disposizioni dell'anima che o si volge a Dio con un vero pentimento di tutte le sue colpe oppure si distoglie da lui, conservando affetto per la colpa.
ASSOLVERE ANCHE SE NON SI PUÒ SIGNIFICA INGANNARE IL FEDELE Papa Francesco è nuovamente cattivo maestro: assolvere un penitente, sapendo che la sua confessione non è integra, significa ingannare gravemente il fedele, simulando un'assoluzione che non può che essere invalida, e profanare così il sacramento. Lasciare che il fedele occulti le proprie colpe, significa lasciarlo nella melma della colpa ed impedire la sua guarigione. Si tratta dunque a tutti gli effetti di una falsa e pericolosa misericordia. Non meno problematica è l'esempio riportato dal Papa, nel quale si evince che non sarebbe necessario che il penitente specifichi di quali peccati si sta accusando, né che il sacerdote lo comprenda. Il Concilio di Trento, al contrario, insegna che parte essenziale dell'integrità della confessione è lo specificare il tipo di peccato ed anche «le circostanze che mutano la specie del peccato, perché senza quelli né i penitenti esporrebbero integralmente i peccati, né i giudici li conoscerebbero a sufficienza per percepirne esattamente la gravità e imporre ai penitenti una pena proporzionata» (Denz. 1681)». Perché, quanto alla gravità, altro è rubare una matita al compagno di classe e altro rubare ad una famiglia il necessario per vivere; quanto alla specie, altro è rubare al supermercato e altro rubare la pisside con le ostie consacrate dal tabernacolo. Non basta, per esempio, accusarsi di aver peccato contro la purezza: senza entrare ovviamente in dettagli inutili e morbosi, si deve però confessare se il peccato contro il sesto comandamento è avvenuto da soli, o con altre persone; e se queste altre persone sono sposate o libere, se sono persone del proprio sesso o no, perché, come è facile comprendere, cambia la specie di peccato. È da notare inoltre come il Concilio tridentino non tema di chiamare il confessore «giudice», e, come se non bastasse, di definire «empio affermare che una tale confessione», nella quale si confessano tutti i peccati gravi che si ricordano e le circostanze specificanti, sia «impossibile o chiamarla tortura delle coscienze». Esattamente quanto fa di continuo papa Francesco, mettendosi così nell'infelice compagnia di Lutero, Melantone e Calvino, che sono i bersagli espliciti di questo testo del tridentino.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 27 settembre 2024
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SAN GIROLAMO E LA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO
A Gerusalemme entrò in contrasto con il vescovo che appoggiava gli eretici (pelagiani) ma riuscì a completare la traduzione in latino della Bibbia dal greco e dall'ebraico (la celebre Vulgata)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radio Roma Libera, 22 settembre 2024
Il 30 settembre si celebra la memoria di san Girolamo (347-420) uno dei più grandi Dottori della Chiesa, che, come sant'Agostino, si trovò a vivere il dramma della caduta dell'Impero romano. Girolamo nacque a Stridone, in Dalmazia, nel 347, studiò a Roma, dove ricevette il battesimo. Si recò quindi in Oriente, soggiornando soprattutto ad Antiochia. Tornato a Roma nel 382, divenne segretario di papa Damaso e indirizzò all'ideale ascetico vari nobili romani. Un gruppo di donne dell'aristocrazia si riunirono sotto la guida di Girolamo per condurre una vita più perfetta, seguendo il suo appello a una nuova nobiltà cristiana, basata sulla preghiera e sulla verginità. Tra queste ricordiamo Marcella che fece del suo palazzo sull'Aventino una sorta di convento femminile, Fabiola, Proba, Paola. Dopo la morte di san Damaso però, Girolamo fu fortemente combattuto dalla Curia romana, e venne perfino accusato della morte di una sua discepola per i suoi digiuni eccessivi. Nel 386 lasciò allora Roma e si trasferì in Palestina. Alcune discepole, tra cui Paola e la figlia Giulia Eustochio, che saranno entrambe canonizzate, per non perdere i suoi insegnamenti, lo seguirono e decisero di rimanere con lui in Terra Santa fino alla fine dei loro giorni. "Onore a queste valorose! - scrive dom Guéranger - La loro fedeltà, la loro sete di sapere, le loro pie importunità procureranno al mondo un tesoro che non ha prezzo: la traduzione autentica dei Libri santi (Conc. Trid. Sess. IV)". Infatti fu grazie alla loro collaborazione che Girolamo realizzò quella che fu la principale opera della sua vita: la traduzione della Bibbia dal greco e dall'ebraico al latino, la celebre Vulgata, che è ancora oggi il testo biblico ufficiale a cui fa riferimento la Chiesa. Girolamo subì durante la sua vita attacchi e diffamazioni, anche all'interno della Chiesa. A Gerusalemme entrò in contrasto con il vescovo Giovanni, che appoggiava l'eretico Pelagio. "Forti dell'appoggio del vescovo di Gerusalemme, - scrive Dom Guéranger - i Pelagiani si armarono una notte di torcia e di spada e si gettarono all'assassinio e all'incendio sul monastero di Girolamo e sulle vergini, che dopo la morte di Paola riconoscevano per madre Eustochio. Virilmente affiancata dalla nipote, Paola la giovane, la santa raccolse le sue figliuole e riuscì ad aprirsi un passaggio in mezzo alle fiamme. Ma l'ansietà della terribile notte aveva consumate le sue forze e Girolamo la seppellì presso la mangiatoia del Dio Bambino, come la madre e, lasciando incompiuto il suo commento a Geremia, si dispose egli pure a morire".
LA MORTE DI SAN GIROLAMO San Girolamo morì poco dopo, il 30 settembre 420. Prima di morire fu testimone nelle sue lettere degli eventi terribili che aprirono il IV secolo. Il 31 dicembre dell'anno 406 i barbari attraversarono il Reno su una spessa lastra di ghiaccio, irrompendo all'interno dei confini dell'impero. Erano Vandali, Alani, Svevi, tribù intere, con donne e bambini, carri, bestie e greggi, quelli che travolsero ogni resistenza e dilagarono in Gallia. Nulla poté più fermarli. Una lettera che san Girolamo scrisse da Betlemme nel 409 ci offre un'immagine impressionante della situazione in cui allora versava l'Impero: "Se fino a questo momento alcuni di noi, per quanto rari, stiamo ancora a casa nostra, non è merito nostro ma lo dobbiamo alla misericordia di Dio. Popolazioni senza numero e ferocissime hanno occupato tutte quante le Gallie. Tutto ciò che è compreso tra le Alpi e i Pirenei, tra l'Oceano e il Reno, i Quadi, i Vandali, i Sarmati, gli Alani, i Gepidi, gli Eruli, i Sassoni, i Burgundi, gli Alemanni e - oh, Stato disgraziato! - i Pannoni, nostri nemici, tutto quanto hanno saccheggiato. Magonza, quell'illustre città d'un tempo, è stata presa e rasa al suolo; nella sua chiesa è stata fatta una carneficina di migliaia e migliaia di persone. (...). Le province dell'Aquitania, di Novempopulonia, di Lione e di Narbona sono state completamente rase al suolo (...). Non mi riesce di ricordare Tolosa senza uno scroscio di lacrime. Se finora non è stata demolita lo si deve ai meriti del suo santo vescovo Esuperio. Anche le Spagne sono lì per lì per ricevere il colpo di grazia (...). Da tempo le regioni comprese tra il Ponto Eusino e le Alpi Giulie e che appartenevano a noi, non sono più nostre; e sono ormai trent'anni che, violato il confine del Danubio, si sta combattendo in pieno territorio dell'impero romano. A forza di versar lacrime, le abbiamo perse tutte invecchiando" (Lettera 123, 15-16).
IL SACCO DI ROMA Il peggio non era ancora venuto. San Girolamo e le sue discepole si trovavano a Betlemme quando nell'agosto del 410 un immenso esercito di Visigoti, Unni, Alani e Sciti, guidati da Alarico, giunse, senza incontrare resistenza alle porte di Roma e la invase. Rapine, incendi, stragi, desolarono una città che, da ottocento anni, non era mai stata invasa dal nemico. La notizia del sacco di Roma produsse in tutto il mondo un senso di stupore e di profonda costernazione. La città sovrana, la città eterna, Roma, era stata esposta all'oltraggio dei barbari che essa aveva mille volte debellati. Sono commoventi le espressioni di dolore nelle quali proruppe san Girolamo alle successive e sempre più tristi notizie della caduta della città eterna. "Stavo per tradurre Ezechiele - egli racconta - quando mi giunse in Palestina la notizia della presa di Roma per mano di Alarico e della barbarica devastazione dell'Occidente; rimasi istupidito, e nulla più feci se non piangere". "Il più risplendente lume - egli esclama - si è spento; il capo del mondo è tronco e nella rovina di una sola città è perito tutto l'impero". "La città - così egli continua - che aveva soggiogato tutti i popoli, è stata espugnata; quella che aveva raccolto e accumulato tutti i tesori della terra, è ora spoglia e ridotta ad un mucchio di rovine". Eppure mentre l'astro di Roma si spegneva una nuova luce si accendeva: era la Roma cristiana, la Roma degli Apostoli Pietro e Paolo, la Roma che a differenza di quella pagana, avrebbe sfidato i secoli e i millenni. La luce di questa Roma che non tramonta continua a illuminare il mondo anche quando esso, come oggi accade, sembra immerso nelle tenebre. Il mondo moderno sembra seguire il percorso autodistruttivo dell'Impero romano; la Chiesa di Roma è destinata ad affermarsi sulle rovine del mondo moderno, come già accadde dopo il V secolo.
Fonte: Radio Roma Libera, 22 settembre 2024
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QUANDO E' LECITO EVADERE LE TASSE?
Secondo San Tommaso è lecito disobbedire a leggi dannose ed è doveroso se sono immorali (VIDEO IRONICO: Lo Stato, il tuo socio nascosto)
Autore: Don Stefano Bimbi - Fonte: La Bussola Mensile, giugno 2024 (n. 9)
Un artigiano aveva completato dei lavori nella casa di un uomo che insegnava catechismo in parrocchia. Aveva chiesto al cliente se preferisse pagare senza fattura in modo da potergli fare uno sconto, ma la risposta fu che non esistono solo i peccati di natura sessuale, ma anche quelli legati alla violazione delle norme fiscali. Il catechista era convinto di aver fatto il proprio dovere di cristiano. Ma chi aveva ragione: l'artigiano o il catechista? Prima di affrontare direttamente il dilemma, è necessario distinguere tra due tipi di leggi: quelle naturali e quelle positive. Le prime sono insite nella natura umana, cioè scritte da Dio nel cuore di ogni uomo, credente o non credente che sia. Le troviamo riassunte nei dieci comandamenti e sono valide per tutti gli uomini. Rappresentano le fondamenta della convivenza civile, senza le quali si cadrebbe nella legge del più forte. Tuttavia, le leggi naturali forniscono solo linee guida generali, senza regolamentare dettagliatamente le questioni pratiche. Ad esempio, è ovvio che per utilizzare veicoli nelle strade occorre una regolamentazione, altrimenti si violerebbe il principio del "non uccidere". La legge naturale non prescrive se bisogna usare la corsia di destra o di sinistra, arrestarsi al semaforo quando è rosso o verde. Questo è compito della legge positiva, ossia posta dall'autorità civile, per garantire nella pratica i principi della legge naturale. Di conseguenza, gli individui non sono obbligati sotto pena di peccato a rispettare solo la legge naturale, ma anche quella positiva, altrimenti regnerebbe il caos. Questo perché ogni forma di autorità deriva da Dio e pertanto merita rispetto. Come afferma san Paolo: «Infatti non c'è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio» (Rm 13, 1b-2a). Ma siamo sempre tenuti ad obbedire alla legge? Alla legge naturale, sì. Non si può mai uccidere un innocente, ad esempio un bambino concepito, nemmeno se la mamma è stata stuprata o se il bambino presenta malformazioni. Invece per quanto riguarda le leggi positive, dipende. Quando Hitler ordinò l'olocausto degli ebrei, le sue leggi erano state promulgate in modo legittimo, da un parlamento democraticamente eletto. Tuttavia, ciò non significa che le sue leggi dovessero essere rispettate in quanto contrarie alla legge naturale. Stessa cosa vale per le leggi attuali sull'aborto. Risulta dunque evidente che l'autorità civile deve essere rispettata, ma non in ogni caso.
QUANDO SI PUÒ VIOLARE UNA NORMA GIURIDICA? Esaminiamo i due casi in cui è lecito violare una legge positiva, secondo gli insegnamenti di san Tommaso d'Aquino. Il primo caso riguarda le leggi positive emanate dall'autorità civile che sono contrarie alla legge morale naturale, alla legge divina o a quella ecclesiastica (come, ad esempio, se uno Stato imponesse il divieto di partecipare alla Messa la domenica). In questo caso non si deve obbedire ad esse. Poiché lo Stato è subordinato sia a Dio che alla Chiesa, non è lecito disobbedire all'ordine di un superiore per seguire quello di un inferiore. Nei casi in cui vi sia conflitto tra la legge dello Stato e quella naturale (o divina o ecclesiastica), la legge statale non solo perde la sua forza vincolante, ma è addirittura obbligatorio trasgredirla. Se uno Stato costringesse i medici a prescrivere contraccettivi o a praticare aborti, essi non solo avrebbero la facoltà, ma il dovere morale di violare tali leggi. Chi non lo facesse commetterebbe peccato. Se adesso è chiaro che bisogna disobbedire all'autorità quando impartisce comandi ingiusti, meno diffusa è la consapevolezza che esiste un'altra categoria di leggi che è lecito disobbedire senza incorrere nel peccato. Si tratta delle norme dannose. Rientrano in questa categoria tutte quelle norme che non perseguono il fine della legge positiva, che è il bene comune, imponendo ai sudditi oneri eccessivi o non necessari. San Tommaso afferma che queste norme sono piuttosto violenze che leggi e quindi si ha il diritto alla legittima difesa nei confronti di esse. Anche lo Stato può essere, e a volte lo è, un aggressore contro cui difendersi. La differenza tra le norme immorali e quelle dannose è che nel primo caso è obbligatorio violarle, mentre nel secondo è lecito farlo, ma non è un obbligo. Ad esempio, è un'ingiustizia che lo Stato imponga la raccolta differenziata per lucrare su questo commercio oppure abbassi eccessivamente i limiti di velocità per scoraggiare l'uso delle auto. In questi casi, un cittadino, se ne ha la possibilità, è libero di obbedire o disobbedire, e in entrambi i casi non pecca. Peccato sarebbe invece per chi, potendo evadere tasse ingiuste, abbassasse invece il tenore di vita della propria famiglia.
DUNQUE COSA FARE OGGI? In Italia la pressione fiscale supera il 60%. Di fatto, chi lavora fino a luglio lo fa gratuitamente per lo Stato, e solo da agosto in poi comincia a guadagnare per sé. È evidente a chiunque che si tratta di un vero e proprio saccheggio, perpetrato con il suadente slogan di "pagare tutti per pagare meno". L'idea che l'evasione fiscale sia il principale problema della società odierna e che vada perseguita con ogni mezzo, nonché con la riprovazione sociale, è una grossa menzogna, alimentata da decenni di tassazione esosa senza alcun cambiamento significativo, nonostante le promesse dei politici di abbassare le tasse. Per ridurre le imposte non serve perseguire gli evasori, ma è necessario ridurre drasticamente i servizi forniti dallo Stato. In Italia lo Stato interviene in ogni ambito: istruzione, sanità, infrastrutture, gestione dei rifiuti, sussidi per chi non lavora e per la maternità. Il problema è che lo Stato è un pessimo imprenditore, privo dell'incentivo costituito dalla competitività sul mercato. Questo è il motivo per cui i dipendenti pubblici sono spesso accusati di essere negligenti e svogliati. Questo è dovuto al fatto che i dipendenti pubblici rischiano meno essendo meno a rischio di perdere il lavoro rispetto a chi lavora nel settore privato. Ognuno di noi conosce casi di dipendenti pubblici che passano le giornate facendo poco o nulla, ma che continuano a ricevere lo stipendio, a differenza di chi, nel settore privato, deve realmente meritarselo. Ovviamente non si può generalizzare e ci sono dipendenti pubblici bravissimi che fanno il loro dovere, ma il problema è che ricevono lo stesso stipendio di chi invece non lavora con la stessa dedizione. Infine bisogna notare che in passato ci sono stati Paesi con livelli di tassazione ancora più elevati di quelli attuali. Sono i Paesi comunisti, dove lo Stato si appropriava quasi del 100% della ricchezza dei cittadini per ridistribuirla a suo piacimento. Si diceva che questo sistema avrebbe garantito una maggiore giustizia sociale e così "eliminare la povertà" (anche questo un ricorrente slogan di oggi). Qual è stato il risultato? Gli stati comunisti erano caratterizzati da povertà diffusa. Se tutto appartiene allo Stato, perché impegnarsi per produrre di più visto che la ricchezza verrà redistribuita a chi non si impegna altrettanto? Inoltre, per rendere i cittadini tutti uguali, si privano della libertà. Non si può essere contemporaneamente liberi e uguali. Liberté ed égalité erano l'utopia rivoluzionaria. O scegli di rispettare la libertà e quindi ci sarà di conseguenza diseguaglianza, oppure l'unica alternativa è privare della libertà per costringere una forzata ed innaturale uguaglianza.
RIPARTIRE DALLA SUSSIDIARIETÀ Dovremmo a questo punto renderci conto che con un prelievo fiscale del 60% siamo un Paese che ha applicato l'ideologia comunista, magari senza che i cittadini se ne siano accorti in quanto non ci sono stati espropri forzati brutali. I moralisti che seguono la dottrina di San Tommaso ritengono che un'equa tassazione dovrebbe essere intorno al 10-15%. Se lo Stato prelevasse solo questa percentuale del reddito dei cittadini potrebbe limitarsi a fornire servizi essenziali come difesa dei confini e ordine pubblico, mentre alla società civile sarebbe restituita la gestione di scuole e strutture sanitarie, come avveniva nel medioevo quando scuole e ospedali nascevano, non a caso, per l'iniziativa dei cristiani e con l'aiuto della Chiesa nel rispetto di quel principio di dottrina sociale della Chiesa oggi così dimenticato che è la sussidiarietà: «Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare» (Quadragesimo anno, Papa Pio XI, 15 maggio 1931). In conclusione, applicando questi principi si rilancerebbe l'iniziativa della società civile. Ad esempio i genitori sarebbero stimolati ad occuparsi dell'educazione dei propri figli costituendo scuole parentali anche grazie alle risorse economiche che una giusta tassazione lascerebbe nelle loro tasche. Si avrebbe anche la conseguenza che i disoccupati non avrebbero diritto a sussidi provenienti dai soldi di chi lavora, ma dovrebbero cercarsi un lavoro o, se anziani, basarsi sui risparmi di quando il lavoro ce l'avevano. Questo stimolerebbe anche il rilancio della famiglia per farsi carico di chi non fosse abile al lavoro per motivi indipendenti dalla sua volontà. Coloro che guadagnano onestamente e non beneficiano di contributi statali saranno contenti di sentir dire queste cose, mentre chi gode di ingiusti privilegi si sentirà privato di presunti "diritti" (presunti in quanto sganciati dai relativi doveri che sono a carico di qualcun altro). Mi spiace davvero, ma vorrà dire che gli staremo simpatici la prossima volta.
LA BUSSOLA MENSILE Questo articolo è tratto dalla Bussola Mensile. Per ricevere il mensile cartaceo è possibile abbonarsi al costo annuo di 30 euro (11 numeri) oppure si possono acquistare le singole copie nelle parrocchie che la espongono. Per abbonarti a La Bussola Mensile, clicca qui! Per ulteriori informazioni scrivere a distribuzione@lanuovabq.it
VIDEO IRONICO: Lo Stato, il tuo socio nascosto (durata: 3 minuti) Nel seguente video viene spiegato in parole semplici (e ironiche, anche se non c'è molto da ridere) cosa fa lo Stato a chi si impegna ad aprire un'attività economica.
https://www.youtube.com/watch?v=AcKgPI2HMSw
Fonte: La Bussola Mensile, giugno 2024 (n. 9)
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L'OMICIDIO DELLA STUDENTESSA RIACCENDE IL DIBATTITO SULL'IMMIGRAZIONE IN FRANCIA
L'assassino è un marocchino già condannato a 7 anni di carcere per uno stupro del 2019, ma per Libération e Le Monde è solo... ''un uomo di 22 anni''
Autore: Federica di Vito - Fonte: Sito del Timone, 26 settembre 2024
Il corpo di Philippine Le Noir de Carlan, studentessa diciannovenne dell'Università Paris Dauphine, è stato trovato sabato 21 settembre nel bosco di Boulogne. È morta per asfissia, secondo i primi risultati dell'autopsia. Venerdì scorso, dopo aver pranzato alla mensa dell'università, Philippine invece di tornare subito a casa, aveva deviato per farsi una passeggiata nel bosco di Boulogne. Con i suoi 800 ettari, il grande parco dal quale la ragazza non avrebbe più fatto ritorno, è frequentato dai parigini durante il fine settimana e da molti studenti per la pausa pranzo, sebbene nasconda anche un sottobosco di degrado. Il sospettato dell'omicidio è già noto alla polizia: entrato in Francia dalla Spagna con visto turistico nel 2017, Taha O. è un marocchino di 22 anni già condannato a sette anni di carcere per uno stupro del 2019. Messo in detenzione a partire da marzo 2022, è poi uscito di prigione lo scorso giugno per essere posto in un centro di detenzione amministrativa a Metz, dove ha trascorso l'estate in attesa di essere rimandato in Marocco. Ma a settembre, un giudice lo ha rimesso in libertà vigilata, con obbligo di firma e un ordine di espulsione mai eseguito. Dopo una caccia all'uomo basata sul Dna, è stato arrestato in Svizzera alla stazione di Ginevra martedì sera. Nonostante la sua giovane età, Philippine frequentava già il terzo anno del corso di laurea in economia e ingegneria finanziaria. I suoi compagni di università la descrivono, a Le Figaro, come «molto volenterosa», «gentile», «discreta», «riservata». «Era un'ottima studentessa a cui piaceva molto leggere. Non era una persona stravagante. Passava del tempo con la sua famiglia quando poteva», aggiunge ancora una studentessa della sua università. Molto legata alla sua famiglia, ai suoi genitori e ai suoi cinque fratelli e sorelle, Philippine ogni venerdì rientrava alla casa di famiglia a Montigny-le-Bretonneux, nelle Yvelines. Dopo averla aspettata invano venerdì scorso, i famigliari hanno avvisato la polizia facendo partire le indagini.
CASA E CHIESA Cresciuta in una famiglia cattolica, Philippine era impegnata nella vita della parrocchia di Montigny-Voisins (Yvelines), in particolare per la Messa dei giovani, ed era anche membro delle Guide e degli Scout di Francia. «Era sempre disponibile se c'era bisogno di fare qualcosa o di motivare gli altri», ha testimoniato uno dei supervisori scout a Le Figaro. Sono sorte numerose iniziative di preghiera. La parrocchia della giovane donna ha organizzato domenica sera una veglia di preghiera nella chiesa di Saint-Pierre-du-Lac dove la giovane era solita andare a Messa fin da piccola. «Circondiamo tutta la sua famiglia così provata. Pensiamo molto a loro. Li portiamo nella nostra preghiera, con dolore, ma anche con la speranza della vittoria di Gesù sul Male», ha scritto l'abate Pierre-Hervé Grosjean, in un messaggio che circola sui social. Alcune parrocchie francesi hanno inserito nella preghiera dei fedeli un'intenzione per Philippine e la sua famiglia. I funerali di Philippine saranno celebrati venerdì nella cattedrale di Saint-Louis di Versailles. È stata anche aperta una raccolta fondi online su Leetchi per sostenere la famiglia, con il consenso dei genitori. Per la Francia, che proviene da un'elezione che ha visto centrali i temi della sicurezza, dell'immigrazione e del razzismo, diviene subito un caso politico. Il ministro degli Interni, Bruno Retailleau, che tre giorni fa nel primo Consiglio dei ministri del nuovo governo Barnier ha promesso lo «stop agli ingressi illegali», dopo questi fatti di cronaca ha voluto ribadire la proposta di cambiare le leggi sull'immigrazione. In effetti siamo tutti qui a chiederci come mai lo scorso 4 settembre quando il Marocco «ha inviato l'autorizzazione all'espulsione» alle autorità francesi, Taha O. non sia stato immediatamente prelevato e rimandato al suo Paese d'origine.
OMICIDIO DI STATO In queste ore si sta parlando di "omicidio di Stato", perché, senza girarci troppo intorno, se la giustizia avesse fatto il suo corso Philippine sarebbe ancora viva. Sono in molti a puntare il dito sulle falle giudiziarie che finiscono per tutelare i carnefici e provocare a catena altre vittime. Per il leader del Rassemblement National di Marine Le Pen, Jordan Bardella: «La nostra giustizia è lassista, il nostro Stato è disfunzionale, i nostri leader lasciano che i francesi convivano con bombe umane». Sandrine Rousseau di Nouveau Front Populaire parla di «femminicidio» affermando che tanto «se fosse stato in un altro Paese, avrebbe messo altrettanto in pericolo altre donne» - e quindi per solidarietà se lo tengono loro in Francia? - Olivier Faure, segretario dei Socialisti, parla di «giustizia che funziona con mezzi ridotti» e François Hollande di «errori nella catena penale e amministrativa». Mentre in Italia siamo impegnati a esultare per il raggiungimento del quorum del Referendum sulla cittadinanza, i media fanno di tutto per non mettere in relazione "immigrazione" e "sicurezza". Ci beviamo sempre la stessa narrazione: tanti volti di donne, tanti carnefici di cui viene omessa la provenienza, spesso gli stessi già noti alle forze dell'ordine. Allora ecco che Libération e Le Monde quasi sommessamente annuncia la morte di Philippine definendo l'accusato come «un uomo di 22 anni». E per gli stessi motivi qualche settimana fa i nostri media specificavano che Moussa Sangare - reo confesso per l'omicidio di Sharon Verzeni - «è un italiano», cioè un immigrato di seconda generazione con la cittadinanza italiana, tanto per essere chiari. E poi si parla di patriarcato, di violenza contro le donne. Mentre nel nome di una società "multiculturale" - nella più negativa delle accezioni - in Europa molte donne stanno morendo, quasi martirizzate da un sistema che preferisce importare criminalità e conferire cittadinanze facili.
Fonte: Sito del Timone, 26 settembre 2024
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L'UOMO MEDIOCRE E' MODERATO, IL CATTOLICO INVECE E' ANIMATO DA SANTA INTRANSIGENZA
L'intransigenza è la fermezza con cui si difendono le proprie idee ed è santa quando queste idee sono cattoliche (per questo la maggiore intransigenza è espressa dai dogmi della Chiesa)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radio Roma Libera, 29 settembre 2024
L'intransigenza è la fermezza con cui si difendono le proprie idee. E' santa quando queste idee sono religiose. Non di una religione qualunque, ma di quella vera, fondata da Gesù Cristo, Uomo-Dio, Redentore del genere umano. La maggiore intransigenza che si possa immaginare è espressa dai dogmi della Chiesa cattolica, che sono talmente veri da essere definiti come infallibili. Per difendere il nome di Cristo e il Suo insegnamento, innumerevoli cristiani hanno affrontato persecuzioni, sofferenze e morte nel corso della storia. I martiri sono stati testimoni di Cristo, unica Via, Verità e Vita (Gv, 14, 8). All'epoca dell'Impero romano, come in quella odierna del relativismo, si riteneva che tutte le religioni dovessero essere equiparate. Nel Pantheon antico tutte le religioni dovevano subordinarsi al culto della dea Roma; nel Pantheon moderno devono subordinarsi al culto del relativismo che, negando a ogni religione, il diritto di definirsi assolutamente vera, le proclama tutte false. Per questo la società moderna può essere qualificata come intrinsecamente atea, anche se la dittatura del relativismo non arriva ancora alle persecuzioni cruente dei primi secoli della Chiesa. Coloro che abbracciano in pieno la filosofia del relativismo sono una minoranza, come sono una minoranza coloro che si comportano con santa intransigenza nell'ora attuale. La maggior parte degli uomini, oggi come allora, è fatta di mediocri, che odiano tutto ciò che porta allo scontro delle idee. L'uomo mediocre è colui che odia gli uomini a lui superiori, perché la loro presenza turba la sua tranquillità, che non è la "tranquillitas ordinis" classica, cioè la pace assicurata dall'ordine dei valori assoluti, ma è quella del proprio egoistico interesse. L'uomo superiore è invece colui che segue una regola di vita e di pensiero alta e disinteressata. E' un uomo di idee ferme e coerenti, di princìpi vissuti.
L'UOMO MEDIOCRE AMA PRESENTARSI COME MODERATO Lo scrittore francese Ernest Hello ha dedicato pagine memorabili all'"uomo mediocre". L'uomo mediocre - scrive Hello - è quello che vive nella paura di compromettersi. Ha paura delle polemiche, delle controversie. Detesta il genio e la virtù, ama la moderazione e quello che chiama il "giusto mezzo". Una sua caratteristica è la deferenza che ha per l'opinione pubblica. Non parla, ripete. Rispetta coloro che hanno successo, ma ha timore di coloro che sono combattuti dal mondo. Arriverebbe a fare la corte al suo peggiore nemico se questi fosse omaggiato dal mondo, ma è pronto a prendere le distanze dal suo migliore amico quando il mondo lo attacca. L'uomo mediocre ama presentarsi come "moderato". La moderazione, quando è vera, è una virtù, ma non ha nulla a che fare con il "moderatismo", che è invece una pratica di vita, che si oppone all'intransigenza di chi combatte per difendere la verità. All'ipermoderato la verità sembra un eccesso, come del resto l'errore. In un articolo pubblicato sulla rivista "Catolicismo" nel settembre 1954, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira, spiegava bene come "la caratteristica propria del moderatismo è quella di condurre in pratica ad una posizione "terzaforzista", intermedia tra la verità e l'errore, tra il bene e il male. Se ad un estremo sta la Città di Dio, i cui figli cercano di diffondere il bene e la verità in tutte le forme, e se all'altro estremo sta la Città di Satana, i cui seguaci cercano di diffondere l'errore ed il male in tutte le forme, è chiaro che la lotta tra queste due città è inevitabile: due forze, operando sullo stesso campo e in sensi opposti, debbono necessariamente combattersi. Da questo si deduce che non può darsi diffusione della verità e del bene che non implichi la lotta all'errore e al male; inversamente, non può esserci diffusione dell'errore e del male che non comporti la lotta contro la verità e il bene, contro coloro che diffondono la verità e che lavorano per il bene".
ELOGIO DELL'INTOLLERANZA Il moderato, l'uomo mediocre detesta l'uomo coerente con le proprie idee, che definisce intollerante. In realtà l''intolleranza non è una virtù, così come non lo è la tolleranza, ma, come la tolleranza può essere conseguenza dell'esercizio della virtù. L'intolleranza può essere legata all'amor proprio, all'arroganza, allo zelo amaro, oppure nascere da un amore intransigente della verità, così come la tolleranza può derivare dalla carità e dalla prudenza, ma può anche essere figlia di un colpevole relativismo e spirito di compromesso. Intolleranza è il termine spregiativo che i filosofi dell'illuminismo, come Voltaire, diedero alla santa intransigenza. Colui che professa la santa intransigenza ha il suo modello nella Beatissima Vergine Maria. In un altro articolo dedicato questa volta, a L'Immacolata e la santa intransigenza, su "Catolicismo" del marzo 1954, il prof. Corrêa de Oliveira, dopo descritto l'epoca di confusione e corruzione morale del tempo che precedette la nascita di Cristo, scrive: "Mentre il mondo antico viveva tutte queste circostanze, chi era la Santissima Vergine, creata da Dio in quell'epoca di completa decadenza? Era la più completa, intransigente, categorica, inequivocabile e radicale antitesi del proprio tempo. (...) Immacolato" è una parola privativa. Essa significa etimologicamente l'assenza di macchie, e quindi di ogni e qualsiasi errore, per minimo che sia, e di ogni e qualsiasi peccato, per lieve e insignificante che sembri. È l'integrità nella fede e nella virtù. È quindi l'intransigenza assoluta, sistematica, irreducibile, è l'avversione completa, profonda e diametrale, ad ogni specie di errore o di male. La santa intransigenza nella verità e nel bene è l'ortodossia e la purezza, in quanto si oppone all'eterodossia e al male. Per amare Dio senza misura, la Madonna corrispondentemente amò di tutto cuore tutto quanto è di Dio. E poiché odiò senza misura il male, odiò senza misura Satana, le sue pompe e le sue opere; odiò il demonio, il mondo e la carne ["perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!" - cfr. Gv. 2, 16-17]. La Madonna della Immacolata Concezione è la Madonna della santa intransigenza." E per questo noi seguiamo con fierezza la scuola della "santa intransigenza".
Fonte: Radio Roma Libera, 29 settembre 2024
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TRUMP ESPOSTO ALL'ODIO POLITICO DA UNA SICUREZZA INEFFICIENTE
Due attentati in due mesi denotano errori nella sicurezza, ma il problema di fondo è l'odio nei suoi confronti (VIDEO IRONICO: L'attentato a Trump)
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26 settembre 2024
Come è stato possibile attentare la vita di Donald Trump, candidato presidente, per ben due volte in due mesi? Il Servizio Segreto ha pubblicato i risultati di una sua indagine interna venerdì 20 settembre e ieri, mercoledì 25 settembre, la Commissione per la Sicurezza Nazionale del Senato ha concluso la sua inchiesta, nello stesso giorno in cui il secondo attentatore alla vita dell'ex presidente veniva incriminato per tentato omicidio. Le inchieste rivelano inefficienze tali che dobbiamo domandarci, non solo se Trump si sia salvato per un vero miracolo, ma anche come facciano ad essere vivi tutti gli altri personaggi politici protetti dal Servizio Segreto. Perché le falle sono state tante e tali da far tremare le vene ai polsi. Nell'attentato a Butler, il 13 luglio mattina, la polizia aveva individuato il sospetto (e futuro attentatore) Thomas Matthew Crooks, con un'ora di anticipo rispetto al comizio, però, poi lo ha perso di vista. Ore prima, gli stessi genitori di Crooks, notando un comportamento insolito del figlio, avevano denunciato alla polizia la sua scomparsa. Per la sua azienda, risultava in ferie per un solo giorno per un motivo non specificato. Un altro indizio era il drone lanciato dallo stesso aspirante attentatore, prima del comizio. Ma l'agente che avrebbe dovuto intercettare il drone e scoprire chi lo avesse lanciato, da quanto è risultato nell'indagine, aveva appena un'ora di addestramento alle spalle, ha avuto problemi tecnici con il proprio sistema anti-drone e si è rivolto a una linea gratuita per una consulenza tecnica. Gli hanno risposto, a quanto risulta, ore dopo. Troppo tardi per prevenire qualunque pericolo.
UN CAPOLAVORO DI INEFFICIENZA Il capolavoro di inefficienza è comunque avvenuto dopo che il giovane Crooks, si arrampicò sul tetto di una fabbrica a circa cento metri dal palco di Trump. La polizia locale, così come la folla che assisteva al comizio, hanno visto e hanno capito cosa stava accadendo. Il comando di polizia ha comunicato subito il sospetto via radio, convinto che il Servizio Segreto fosse in ascolto. Ma non era in ascolto, perché i canali radio usati dalle due agenzie erano separati e non comunicanti. Nessun agente del Servizio Segreto era presente presso il comando di polizia, per coordinare le operazioni. Ma una persona che si arrampica su un tetto a così poca distanza dal bersaglio potenziale desta o dovrebbe destare almeno qualche sospetto in chi ha il compito di proteggerlo. O no? Una volta che Crooks è stato visto dai poliziotti, i tiratori scelti (pur senza comunicare con gli agenti locali), notando il movimento di polizia e pubblico, hanno iniziato a cercare nella direzione giusta, sui tetti. A questo punto è stato commesso un altro incredibile errore. Il capo della squadra dei cecchini non ha chiesto via radio alla squadra di Trump di far allontanare l'ex presidente dal palco del comizio. «Un pensiero che non mi è neppure passato per la mente», ha dichiarato l'ufficiale agli investigatori del Senato. I tiratori scelti hanno aperto il fuoco solo dopo che l'attentatore è riuscito a sparare otto colpi, sfiorando la testa di Trump, uccidendo il vigile del fuoco Corey Comperatore (che assisteva al comizio) e ferendo gravemente altre due persone del pubblico.
ERRORI EVITABILI «Ognuno di questi errori era evitabile e le loro conseguenze sono state terribili», ha dichiarato il senatore democratico Gary Peters, presidente della Commissione per la Sicurezza Nazionale del Senato. «Lasciare un tetto incustodito a poco più di 100 metri dal podio, con una linea di vista diretta, è stato un errore inaccettabile e imperdonabile - ha dichiarato il senatore repubblicano Rand Paul, già candidato presidente nelle primarie del 2016 - Il fatto che non ci fosse una chiara catena di comando significa che nessuno è passato di lì e ha detto: "Ehi, come mai non ci sono cecchini sul tetto?"». Una critica bipartisan che risulta già superata dalla storia. Perché l'incriminazione a carico di Ryan Wesley Routh, il secondo mancato attentatore, è rivelatrice di un altro miracolo per Trump e di un altro fallimento della sicurezza. Alla base dell'incriminazione, infatti, c'è la prova che stesse pianificando realmente un attentato al candidato presidente, studiando i suoi movimenti negli eventi pubblici e privati e trovando modo di appostarsi proprio lì dove il presidente sarebbe passato, il 15 settembre, in un campo da golf della Florida vicino alla residenza di Mar-a-Lago. Quel che le inchieste non affrontano e non possono affrontare è la radice del problema. Infatti qui non siamo di fronte a una semplice "polarizzazione", né ad un fenomeno di violenza politica genericamente inteso e neppure solo di inefficienza del Servizio Segreto. Ci sono stati due attentati a Trump. E solo a Trump. Ciò vuol dire che esiste un problema grave di istigazione all'odio contro il candidato repubblicano, un odio a senso unico. Su questo fronte è soprattutto la politica che deve lavorare, per gettare acqua sul fuoco e, dopo la politica, anche i media dovrebbero abbassare i toni. Finché Trump viene descritto come un potenziale dittatore e una minaccia potenziale alla democrazia americana, questi due attentati potrebbero essere solo i primi di una lunga serie di violenze politiche.
VIDEO INEDITO del SECRET SERVICE di Trump (durata: 1 minuto)
https://www.youtube.com/watch?v=AyylrFZ1zW8
DOSSIER "DONALD TRUMP" Il presidente nemico del politicamente corretto Per vedere articoli e video, clicca qui!
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26 settembre 2024
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OMELIA XXVII DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 10,2-16)
Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire
Essere cristiani significa essenzialmente riconoscere Gesù come Signore e Maestro, Signore dei nostri cuori e Maestro delle nostre menti. E riconoscere Gesù come Signore e Maestro significa ritenere che il nostro modo di ragionare e di vivere deve conformar si al suo insegnamento, anche e soprattutto quando il suo insegnamento è in contrasto con le idee, le norme, i comportamenti che nostra società appaiono dominanti. Oggi la parola di Dio ci richiama uno dei punti dove l’opposizione tra il Vangelo e il mondo è più netta, più stridente, più dolorosa: si tratta del diverso modo di concepire l’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio. È un argomento che tocca in profondo la nostra umanità, che provoca la nostra sensibilità e suscita la reazione degli animi, che è di estrema rilevanza per tutto il modo di condurre la nostra esistenza. Tanto più siamo chiamati a restare coerenti anche in questo campo con la nostra qualifica di cristiani.
GESÙ RIVENDICA L’INDISSOLUBILITÀ ORIGINARIA DEL MATRIMONIO La narrazione evangelica ci dice che i farisei vengono un giorno a interrogare Gesù a proposito del divorzio, e lo fanno per metterlo alla prova, cioè per avere un pretesto di accusarlo e un’occasione di renderlo impopolare. È una questione che ai nostri giorni “mette alla prova” anche la Chiesa e i pastori d’ani me, che quotidianamente sono penosamente alle prese con le conseguenze di una legislazione che ha spezzato l’antica tradizione del nostro popolo e si è posta in conflitto con la parola di Cristo. Il pensiero di Gesù era già noto, perché l’aveva espresso nel Discorso della montagna. Proprio per questo l’intervento dei farisei appare provocatorio, chiaramente finalizzato a dimostrare Gesù come non rispettoso della legge mosaica. Mosè aveva regolato questa materia, limitandosi a prescrivere che il marito, quando si stancava della moglie, dovesse mettere per iscritto le ragioni del ripudio. L’interpretazione rabbinica non era concorde sulla validità di queste possibili ragioni, che dovevano essere più o meno gravi, più o meno futili a seconda dei vari dottori della legge. Ma Gesù non si lascia impigliare in questa contesa. La sua risposta è come una spada di luce, che taglia tutte le discussioni. Egli dichiara che la verità va ricercata non nelle sottili argomentazioni dei dotti, ma nel progetto originario di Dio. Secondo questo progetto, l’uomo e la donna che si uniscono nel matrimonio assumono tra loro un vin colo che è più tenace di quello che c’è tra un figlio e i genitori (Lascerà suo padre e sua madre…) e ugual mente insopprimibile. Ciò che avviene, avviene per sempre. Quell’unione è difatti il naturale principio di una realtà che non si distruggerà più: la creatura chiamata all’esistenza dall’amore sponsale è immortale. In essa il padre e la madre restano come saldati tra loro, anche quando essi ritengono di essersi tra loro divisi in virtù di una legislazione compiacente. Qui Gesù appare davvero il Figlio di Dio e il Padrone dell’universo: solo lui poteva introdurre qualcosa di veramente nuovo nella storia ripetitiva dell’egoismo umano. L’indissolubilità del matrimonio era allora per tutti un fatto inaudito: né gli ebrei né i pagani la conoscevano. Ma, dice Gesù, perché tutti si erano allontanati dal disegno del loro Creatore. Anche i suoi fedeli discepoli sono stupiti di questa novità e rientrati a casa lo interrogano ancora sull’argomento. E ancora Gesù ribadisce la sua affermazione, chiarendo in più che, a differenza di quel che allora tutti pensavano, non c’è diversità di condizione tra l’uomo e la donna. Fino a quel momento, l’uomo era, nelle varie legislazioni, un privilegiato: a lui solo, e non alla donna, era consentito di rompere il matrimonio. Il Figlio di Dio proclama per la prima volta l’uguale dignità e l’uguale diritto dei due contraenti. LA NECESSITÀ DI UNA PREPARAZIONE ADEGUATA AL MATRIMONIO PER I NOSTRI GIOVANI Questo è ciò che il Signore pensa dell’unione sponsale. Pensare diverso vuol dire mettersi in pericolo di per correre una strada di malessere, di scontentezza, di sventure che spesso si ripercuotono sugli innocenti, cioè sui figli. Ai nostri ragazzi non mancano di solito le proteine, le vitamine, i mezzi di istruzione e di svago. Ma troppo spesso – da parte di chi disattende il comando di Cristo – essi vengono derubati dei loro più importanti diritti: il diritto di crescere in una famiglia stabile, concorde, in pace; il diritto di avere dei genitori che sappiano sacrificarsi per il bene dei figli; il diritto di avere un padre e una madre che si integrino a vicenda nell’opera educativa; il diritto di non essere vezzeggiati e colmati di regali da un padre e da una madre in discordia tra loro e quindi in gara per accaparrarsi con i doni e le concessioni l’affetto del figlio. Certamente il disegno di Dio è impegnativo, la sua proposta è altissima e talvolta sembra esigere troppo dalla nostra debolezza e dalla nostra fragilità. Appunto per questo al matrimonio bisogna che i giovani si preparino bene, con serietà e con determinazione, senza lasciarsi forviare dalla frivolezza e dalla stupidità che troppo spesso caratterizzano i discorsi che si sentono in giro, gli spettacoli che si vedono, gli esempi sciagurati di molti personaggi famosi. Hanno una vita sola da vivere: se non la vogliono sbagliare, devono mettersi in ascolto della parola del Signore, chiedendo a lui nella preghiera tutta la luce e la forza necessarie per vivere secondo il suo disegno.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
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