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IO, CATAPULTATO NEGLI ANNI '70 TRA PICCHETTI ANTI ABORTO E STREGHE
La testimonianza (raccontata in terza persona) di chi si è sentito urlare: ''Obiettore, ti sprangheremo senza fare rumore'', ''Solo odio, Federvita sottoterra'', ''Viscido cristiano, nella bara ti mettiamo''
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14 ottobre 2024
Sabato in occasione del Convegno di Federvita Piemonte sul tema "Per una vera tutela sociale della maternità" al collegio San Giuseppe di Torino, si è svolto un presidio organizzato dai collettivi femministi, vicini al centro sociale Askatasuna. Tra slogan, muri imbrattati e picchetti, che hanno impedito ai relatori e ai partecipanti di poter entrare, si è reso necessario l'intervento delle forze dell'ordine per poter dare il via all'iniziativa pro life. Il convegno, alla presenza del vescovo Giovanni D'Ercole, è iniziato con notevole ritardo e alcuni relatori non hanno potuto prendervi parte. Ecco di seguito il racconto in presa diretta di uno dei relatori, la firma della Bussola Tommaso Scandroglio, che invece è riuscito ad entrare scortato da un agente di Polizia. «Sembra musica rave», annota mentalmente il relatore, pur non sapendo bene quale musica si ascolti durante un rave. Sono le 9.10 e il relatore, mentre si avvicina al Teatro San Giuseppe, vede un furgone del Reparto mobile della Polizia e alcuni poliziotti in assetto antisommossa. L'uomo in cappottino blu e ventiquattrore nera realizza in un attimo cosa sta accadendo. Una trentina di fanciulle, che poi si apprenderà appartenenti ai centri sociali e al gruppo Non una di meno, bloccano l'accesso al Teatro. «Ma quale Stato, ma quale Dio, sul mio corpo decido io», gridano le femministe. Il relatore le guarda con occhio da maschio-etero-bianco-occidentale: «Come tutte le femministe sono poco femminili». Sul muro di fronte alcune scritte concilianti: Obiettore ti sprangheremo senza fare rumore - Solo odio, siete merda, Federvita sottoterra - Cloro sul Clero - Viscido cristiano, nella bara ti mettiamo - Nell'aborto che vorrei, antiabortista non ti vorrei (che è un involontario elogio all'antiabortista). Il relatore elabora un pensierino sulle emule di Dante: «Manco una semplice rima sono capaci di mettere insieme». Poi altre due scritte dedicate ad altrettanti relatori del convegno: "Marrone, Torino ti abortisce" - "Adinolfi = aborto mancato". La superbia del relatore si rattrista nel non vedere scritto sul muro nemmeno un insulto a lui dedicato. Ad esempio almeno un "Dagli a Scandroglio, servo di Bergoglio".
INUTILE DISCUTERE CON CHI HA PERSO L'UDITO L'uomo con il cappottino per sua natura sarebbe andato a parlamentare e poi sarebbe entrato a forza. Ma, seppur queste ragazze non se rendano conto, sono pur sempre donne e le donne non si toccano nemmeno con un dito. Inoltre, è inutile discutere con chi ha perso l'udito per aver ascoltato l'errore per troppo tempo e a volume ideologico troppo alto. Il relatore allora si avvicina ad un agente e chiede lumi. «Guardi torni indietro e giri a sinistra senza farsi notare e provi ad entrare dall'altra parte». L'uomo con la ventiquattrore fa finta di chiedere informazioni perché il gruppetto di fanciulle, che probabilmente avranno ricevuto un Daspo per tutti i centri di estetica italiani, è molto vicino e può sentire. Allora lascia via Andrea Doria, ma anche l'accesso in via San Francesco da Paola è ostruito da un gruppetto di amazzoni della rivoluzione. Passa in mezzo a loro. Queste lo guardano, lui le guarda, loro abbassano lo sguardo. Continua a camminare, svolta di nuovo a sinistra in via dei Mille. Anche il terzo ingresso è presidiato. C'è una camionetta dei carabinieri e alcuni uomini dell'arma anche loro con caschi e scudi. Si avvicina ad un gruppo di uomini che sono vestiti così in borghese che si capisce lontano un miglio che sono della questura. Il relatore si presenta e chiede ad uno di questi: «Perdoni, ma qui si configura l'illecito penale di violenza privata perseguibile anche d'ufficio. Non fate nulla?». E l'altro assai cortese: «Ha perfettamente ragione, ma adesso cerchiamo di capire come intervenire». Il relatore lo rincuora: «Capisco benissimo che non potete usare le maniere forti altrimenti domani su tutti i giornali uscirebbero titoli come Il governo fascista e patriarcale manda all'ospedale il dissenso. Basterebbe un graffio sull'immacolata testa di una qualsiasi di queste fanciulle e un'altra testa, quella del Ministro dell'Interno, cadrebbe all'istante». Lo sguardo dell'agente parla da sé.
SLOGAN VECCHI DI CINQUANT'ANNI Le ragazze del collettivo, tra cui una vestita da simil Gabibbo, urlano: «L'aborto non si tocca!». E poi: «L'utero è mio e lo gestisco io!». Slogan vecchi di cinquant'anni. Sembra di essere tornati agli anni Settanta, ma tutto appare anacronistico e così prevedibile, stereotipato, polveroso. Attaccano un microfono ad una cassa portatile. Una rabbiosa invettiva sul corpo delle donne che deve diventare un sepolcro per i loro figli, sulla libertà di scelta di essere mandanti di un omicidio, sulla persecuzione di quei medici che non vogliono fare i sicari, come ha detto Papa Francesco. Tutto berciato con la schiuma alla bocca. «Più che Non una di meno mi pare Ma ora ti meno», conclude mentalmente l'uomo con il cappottino. La pietà verso queste fanciulle masticate da una vetero cultura femminista è frammista dalla noia di ascoltare un disco rotto. Gli agenti della questura scattano foto alle ragazze e le ragazze ricambiano. I click degli smartphone hanno sostituito lacrimogeni e bombe molotov. Passa il tempo, l'uomo con la ventiquattrore chiama alcuni organizzatori: sono riusciti ad entrare prima che arrivassero le paladine dell'utero vuoto di vita. Ritorna in via Doria. Un giornalista lo intervista. Il relatore parla di aborto come assassinio, di inesistenza del diritto dei medici di uccidere le persone perché chiamati a fare l'opposto, al dato che tutte le donne dal '78 ad oggi che hanno voluto abortire lo hanno fatto senza problemi, purtroppo. Il giornalista chiede in continuazione se ha capito bene, se davvero crede vere tutte queste cose. «Senta - risponde il relatore - se voleva altre risposte, poteva andare da quelle lì con gli striscioni in mano». Le forze dell'ordine intanto hanno chiuso via San Francesco. I collettivi rosa hanno compreso che gli sbirri, come li chiamano loro, vogliono organizzare un cordone per far entrare nel teatro relatori e pubblico e dunque tutte la giacobine convergono in via San Francesco. Un agente inizia a discutere con loro. Il relatore è troppo lontano e non riesce a sentire.
OLTRE LO SLOGAN IL BUIO Invece accosta un altro uomo in borghese della questura: «Senta, voglio entrare». E lui: «Allora mi segua». Fanno un ampio giro per seminare alcune sentinelle. La scena è surreale: un agente di polizia deve seminare chi si è macchiato almeno di qualche reato in quella giornata. «L'hanno già inquadrata», fa l'agente al relatore e questi pensa: «Ovvio, sono venuto vestito in alta uniforme da conferenziere». Tornano a via dei Mille, ormai deserta. L'agente chiama il custode che apre la porta mentre si avvicinano altri partecipanti al convegno. Purtroppo questi sono stati pedinati. Ecco allora che il relatore e i partecipanti si fiondano nello stretto vano della porta immediatamente seguiti da una ragazza che riesce mettere un piede tra la porta e lo stipite. Con eccelsa grazia e delicatezza il piede viene divelto dalla porta. «Sono dentro», mormora tra sé il relatore. Altra scena surreale. Sembra di essere in un fortino. Asserragliati dai nemici dei bambini, che dentro quel teatro invece trovano protezione, sequestrati dall'abortismo estremo, ostaggi del pensiero unico che fa passare dentro il teatro unicamente chi vuole, che dialoga solo con chi la pensa uguale, che ha l'esclusiva sull'inclusione, che accetta le differenze solo se sono identiche al suo modo di pensare, che è per il pluralismo delle idee a patto che quelle idee vengano solo da una parte, che è per la pace ma solo con gli amici. All'uomo in cappottino viene da pensare che la libertà di pensiero in Italia è tutelata benissimo: intervengono addirittura dozzine di agenti e carabinieri per difenderla. Il relatore entra in teatro. Le luci sono fioche. Una decina di persone recitano il rosario guidato da Mons. Giovanni d'Ercole, vescovo emerito di Ascoli Piceno e uno dei relatori. L'uomo con la ventiquattrore incontra poi un amico che ha parlato con alcune di queste ragazze. Incalzate sul fatto che il nascituro è un essere umano ad un certo punto se ne sono andate. Il buio oltre lo slogan. Dopo due ore il cordone di polizia fa entrare i partecipanti e finalmente iniziano le relazioni. Adinolfi e l'assessore regionale Marrone non verranno. Strategia mediatica per farsi passare come vittime di una protesta illiberale. Una consapevolezza pare aleggiare in platea: convegno riuscitissimo. Le agenzie di stampa battevano la notizia già prima dell'inizio del convegno. Arriva l'ora di pranzo. Le femministe tornano a casa. La mamma ha fatto i ravioli con ripieno di ricotta. I ravioli sono più efficaci dei manganelli e la rivoluzione può attendere. La fame è pro-life.
Nota di BastaBugie: Julio Loredo nell'articolo sottostante dal titolo «A Torino si è mostrata la dittatura abortista» completa con la sua esperienza il racconto di Tommaso Scandroglio. Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 14 ottobre 2024: Sabato 12 ottobre, si è tenuto a Torino il convegno di FederVita Piemonte dedicato al tema "Per una vera tutela sociale della maternità". Avrei dovuto dire che si è a malapena tenuto, poiché è stato pesantemente boicottato e assalito da uno stuolo di femministe militanti, appartenenti a diverse realtà della sinistra. Arrivate prima dell'orario di apertura, le femministe hanno bloccato l'ingresso, impedendo fisicamente alle persone di accedere al teatro del Collegio San Giuseppe, in via Andrea Doria. Scandendo slogan minacciosi ("obiettore ti sprangheremo senza fare rumore") e facendo scudo col proprio corpo, le femministe sono riuscite a ritardare l'inizio del convegno per ben due ore. Alla fine, e solo grazie all'azione combinata della Polizia locale, la Questura e i Carabinieri, i partecipanti hanno potuto fare ingresso, scortati da agenti in assetto antisommossa. Uno dei relatori ha commentato: mi sento come in un fortino in territorio nemico. Infatti, gli agenti hanno dovuto presidiare tutti gli ingressi del Collegio per la durata del convegno. Il convegno alla fine si è potuto realizzare, anche se con numeri ridotti. Alcuni non se la sono sentita di affrontare la furia delle femministe e sono tornati indietro. Altri, nonostante gli sforzi, non sono proprio riusciti a entrare. Fra i relatori c'era mons. Giovanni d'Ercole, vescovo emerito di Ascoli Piceno. La protesta, in realtà, era cominciata la notte prima, quando mani ignote hanno imbrattato i muri circondanti con slogan tipo "Cloro al clero"; "Viscido cristiano, nella bara ti mettiamo"; "Dovette andare sottoterra". E uno che si stagliava su tutti: "Solo odio!". In calce, l'A cerchiata, simbolo degli antagonisti. Io c'ero, e me la sono cavata solo perché in possesso del tesserino di giornalista. Le femministe non sono riuscite a contestare il mio diritto alla cronaca, e anche a fare fotografie. Mi hanno comunque minacciato con denunce nel caso le avessi pubblicate. Evidentemente ignorano la normativa sulla privacy, che permette la pubblicazione di fotografie di persone in luoghi pubblici purché non leda la loro dignità. Mentre scrivo, già di sera, i pensieri si accavalcano nella mia testa. Cercherò di metterci un po' d'ordine. 1. Sento dire, di qua e di là, che l'aborto è già terreno conquistato dalla sinistra e che qualsiasi tentativo di ribaltare la situazione è ormai fuori tempo massimo, fatica sprecata, battaglia persa a priori. Dicono che la gente non ci pensa più: lo ha già "metabolizzato". La reazione scomposta delle femministe - che rappresentavano diverse realtà della sinistra - mi sembra indicare tutt'altro. L'entità di un'azione si può misurare anche dalla reazione che provoca. Se la difesa della vita innocente suscita una tale ferocia e una tale bramosia di sopprimerla, vuol dire che è ancora un tema vivo. Non ci si scomoda per qualcosa senza importanza. "¡Ladran, Sancho, señal que cabalgamos! - Ci abbaiano, Sancio, segno che stiamo cavalcando!", diceva Don Chisciotte. Ci odiano e ci assaltano, segno che stiamo avanzando, potremmo dire i difensori della vita innocente. 2. Una seconda riflessione si desume dal contenuto del convegno: la difesa della vita umana e della maternità. Come mai la difesa della vita innocente e della maternità suscita tanto odio e tanta contestazione da parte della sinistra antagonista? È chiaro che i rivoluzionari capiscono che qui c'è un filo rosso, un caposaldo della morale, della dignità umana e della civiltà che bisogna assolutamente abbattere per poter avanzare verso l'anarchia. In altre parole, vedono nella lotta in favore dell'aborto, e conseguentemente contro la famiglia, un fattore importante per l'avanzo della Rivoluzione. Lo diceva già Lenin: "Perché la Rivoluzione trionfi abbiamo bisogno delle donne. E l'unico modo per averle è toglierle dalle loro case. Dobbiamo distruggere l'istinto materno individualistico. Una donna che ama i suoi figli non è altro che una cagna". Ora, io non sempre vedo in alcuni ambienti pro-vita italiani una simile e speculare comprensione della difesa della vita innocente e della maternità come fattori di Contro-Rivoluzione. "Non bisogna mischiare le carte", mi sento a volte dire. Senza inquadrare la difesa della vita innocente e della maternità, e quindi della famiglia, in un panorama più ampio di scontro fra bene e male, fra civiltà e anarchia, insomma fra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, non avremmo mai lo stesso dinamismo né la stessa ampiezza di vedute della sinistra. 3. Un terzo elemento di riflessione lo traggo dagli slogan dipinti sui muri: "cloro al clero", "viscido cristiano", ecc. La sinistra capisce benissimo che questa è una guerra di religione. Io vedo che alcuni esponenti del mondo pro-vita negano questo fatto evidente, e vogliono restringere la loro azione alla difesa della dignità della donna, della libertà di scelta e via dicendo, cause senz'altro eccellenti, ma che non toccano il nucleo della questione: l'aborto è un problema morale, e come tale è, in ultima analisi, un problema religioso. Durante lo stesso convegno, di fronte a gruppi di persone che, impossibilitate di entrare, si erano messe a pregare sul marciapiede, non mancò chi suggerisce di non farlo "per non essere accusati di clericalismo". Escludere l'argomento religioso dalla causa pro-vita e pro-famiglia equivale a privarla della sua arma più potente. Ci piaccia o meno, questa è una guerra di religione. La sinistra lo capisce. Quanto prima lo capiremo noi meglio sarà. 4. Un'altra riflessione prende spunto dal pamphlet che le femministe distribuivano: "Non lasceremo spazio a questi antiabortisti!". Illustrato con un pugno alzato, nero e minaccioso, simbolo del socialismo. "Togliere lo spazio" agli avversari è la propria essenza della dittatura. Ed è ciò che hanno fatto, impedendo i partecipanti al convegno - perfino un vescovo - di entrare. Volevano poi infiltrarsi nel teatro per interromperne i lavori. Ossia, hanno calpestato la nostra libertà di movimento e volevano calpestare anche la libertà di parola. Non ci possiamo illudere. Non c'è niente di più brutalmente dittatoriale della Rivoluzione quando si sente trionfante. Gli abortisti sbandierano la libertà come valore definitorio della loro lotta. In realtà, la Rivoluzione dà poca importanza alla libertà per il bene. Gli interessa solo la libertà per il male. Quando è al potere, toglie facilmente e perfino allegramente al bene la libertà, in tutta la misura possibile. Sorge quindi la domanda: si può "dialogare" con questa gente? 5. Un'ultima riflessione riguarda il divario fra l'età anagrafica delle manifestanti e l'"età anagrafica" degli slogan che recitavano. La maggior parte era anagraficamente molto giovane. Ma gli slogan erano gli stessi che le loro nonne urlavano nei cortei degli anni Sessanta. Con una differenza. Confrontate con argomenti, le loro nonne sapevano ribattere. Ne risultavano a volte dibattitti non esenti di profondità e di spirito. Queste ragazze, invece, restavano mute di fronte alla minima argomentazione logica o scientifica. Ripetono senza capirli slogan insegnatigli dai leader. Aveva ragione Cristina Zaccanti, coordinatrice regionale del Popolo della Famiglia, quando commentava la "fragilità argomentativa ed esistenziale" delle manifestanti. Io stesso mi sono confrontato con tre di loro, pacatamente e al margine della manifestazione, e sono rimasto scioccato dalla loro inconsistenza dottrinale e temperamentale. Tirando le somme, credo che sia stata un'esperienza non esente da elementi positivi, che permetterà di sollevare tante domande riguardo alla causa pro-vita nel nostro paese.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14 ottobre 2024
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BAMBINI SU COMMISSIONE PER GLI SCAPOLI INGLESI OVER 50
In Gran Bretagna si noleggiano uteri e si vendono ovuli anche a uomini single e in età matura, così i figli non sono voluti per se stessi, bensì per soddisfare le voglie dei committenti
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 1° ottobre 2024
Dal 2019 la legge inglese permette l 'accesso alla pratica della maternità surrogata anche ai single, uomini compresi, senza limiti di età. Il The Mail on Sunday ha chiesto al governo di accedere ad alcuni dati riguardanti proprio i single maschi e l 'utero in affitto. Il quotidiano inglese ha pubblicato una sintesi di questi dati: negli ultimi cinque anni, 293 sono stati gli uomini over 50 che hanno chiesto di diventare padri legali tramite l 'utero in affitto, tra questi 95 erano single. Il record in fatto di età è stato battuto da uno scozzese di 73 anni. Alcuni commentatori fanno notare che esiste un rischio concreto che alcuni pedofili possano ottenere un bambino da seviziare tramite un procedimento assolutamente legale come la pratica della maternità surrogata. Su altro fronte la genitorialità acquisita tramite l 'utero in affitto e, in modo più ampio, tramite fecondazione artificiale eterologa non necessita di tutte quelle verifiche a cui sono sottoposti i genitori quando decidono di adottare un bambino che biologicamente non è loro. Ma al di là di questi rilievi assolutamente condivisibili, il fenomeno dei maschi single over 50 che conquistano lo status di padri per mezzo di donne a nolo, magari non fornendo neppure il proprio seme, diventa paradigmatico di un certo sentire diffuso, di una certa sensibilità e quindi di una certa cultura. La cultura del "senza". Il tempo presente scorre senza Dio, un 'assenza imposta dalla suprema legge della libertà individuale. Cancellata la prima paternità, la paternità per eccellenza, la paternità degli uomini scade nel disordine e così un quasi pensionato si può ritrovare padre legittimo di un bambino senza figura materna. Oggi si vive non solo senza Dio, ma anche senza natura umana (e questo ci fa concludere, tra l 'altro, che l 'ambientalismo non può essere vero amico della natura). Sta scritto in noi che il figlio deve essere frutto d 'amore e di un amore carnale. Nei laboratori della fertilità è impossibile sintetizzare l 'amore. Inoltre un bambino deve crescere nel ventre di sua madre, non di una locataria retribuita. E poi un bambino deve essere educato non da un padre-nonno. Da aggiungere che questi bambini cresceranno senza la madre e spesso senza il padre biologico. Lo stesso committente lo crescerà senza moglie, né compagna. Padri senza madri. Un altro "senza" è il "tu". Noi viviamo senza gli altri, chiusi in un solipsismo da buco nero, dove anche la luce non riesce a sfuggire dal suo centro di gravità. Gli altri non esistono per se stessi, ma per noi, ossia sono specchi di Narciso che riflettono la nostra immagine affinché possano regalarci il piacere del consenso, del like, della lode, dell 'apprezzamento. Gli altri sono solo utili ad ingrassare il nostro ego. Stessa sorte toccherà a questi bambini di uomini soli e âgée. Non sono stati voluti per se stessi, bensì per soddisfare le voglie dei committenti. Sono strumentali al desiderio di paternità. C 'è chi dopo i 50 prende il brevetto di pilota e chi prende il brevetto di padre. Ciò ci porta a dire che questi figli nati da maternità surrogata sono essi stessi surrogati perché nascono con un altro "senza": senza l 'autenticità delle condizioni naturali. Surrogati perché mimano il figlio autentico nato dal letto condiviso di un padre e di una madre. La dignità di questi bambini viene allora compromessa e vilipesa proprio dalla scelta della mono-genitorialità senescente e della surrogazione della maternità. Vengono squalificati nella loro condizione, sono bambini volutamente di serie B perché mancanti di molti diritti. Figli di molti "senza".
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 1° ottobre 2024
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CATTOLICI NELLE BANLIEUE CULTURALI, MA C'E' ANCORA IL DOMANI
Oggi la cultura cattolica è irrilevante, ma se l'oggi non vuole essere evangelizzato e del resto non si devono dare le perle ai porci, possiamo conservarle per domani
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 7 settembre 2024
Irrilevante. La cultura cattolica oggi è irrilevante. E parliamo sia della cultura autenticamente cattolica sia di quella fintamente cattolica, tinta tra il verde ambientalismo e i multicolori LGBT. Quest'ultima è anonima perché mimetica, ossia imita, seppur con toni più sbiaditi, il trend popolare in fatto di costumi e scostumatezze. È una Chiesa camaleonte. E qui sta la condanna all'estinzione di tale cultura. Seguir la Chiesa docente quando, mollata la dottrina e diventata fan della chimica, bercia contro l'anidride carbonica? Meglio la Thunberg, perché più radicale. Decidersi di andare a Messa perché benedette sono pure le coppie omoerotiche? Preferibile Vladimir Luxuria o Alessandro Zan perché più puri nelle loro fatiche rivoluzionarie. Prendere in mano la Bibbia perché ormai abbiamo navi che raccolgono in mare migranti battenti la bandiera della CEI? Più credibile farsi battezzare come mozzo sulla Sea-Watch dal capitano Carola Rackete. Veniamo però alla cultura autenticamente cattolica. Anche questa è sprofondata nella insignificanza più nera, ma per motivi opposti. Il mondo è nemico di Cristo e quindi anche del suo pensiero, fatto tutto di angoli acuti e lati taglienti. La nave di Pietro ha scaricato in un paio di scialuppe di salvataggio alcuni membri dell'equipaggio perché questi avevano deciso di continuare la spedizione in mare aperto, a loro affidata dall'Armatore, quando invece capitano ed ufficiali avevano pensato bene di tornare in porto. Difficile continuare la missione seppur non impossibile.
I TRE MOTIVI DELL'IRRILEVANZA DEI CATTOLICI Fuor di metafora: il primo motivo dell'irrilevanza della cultura cattolica sta nel fatto che è sostenuta da quattro gatti. Secondo motivo: lo sparuto gruppo di superstiti comanda appunto un paio di bagnarole. A parte qualche eccezione, i cattolici, quelli veri, non sono direttori di importanti giornali, rettori di università, governatori di regione, ceo di grandi aziende, star di Hollywood. Il motivo è assolutamente conseguente a ciò che si appuntava prima: non c'è posto nel mondo per chi lo combatte. Ed infatti, nel rispetto del detto "follow the money", la cultura cattolica vale economicamente zero. Zero è il suo peso nel mondo oggi. Terzo motivo: il cattolico proprio non riesce ad imparare la lingua del secolo. Risultato: è incompreso, talmente incompreso che l'interlocutore capisce esattamente l'opposto di ciò che il cattolico si perita di comunicare e quindi muove a lui guerra perché il suo pensiero è inaccettabile. Il cattolico sostiene ad esempio che l'omosessualità, l'aborto e l'eutanasia siano dei veleni. L'interlocutore capisce che costui odia a morte l'omosessuale, la donna che ha abortito e il paziente che si è tolto la vita. Il cattolico spiega che il divorzio è contro l'amore coniugale. L'interlocutore capisce che costui è nemico della libertà delle persone. Il cattolico dice che Cristo è la salvezza per tutti. L'interlocutore capisce che costui non rispetta i seguaci delle altre religioni. Insomma, la cultura cattolica è incomunicabile perché non esiste un Google translator "Mondo-fede cattolica". Mancano proprio le minime premesse comunicative, i praeambula della ragione. Se dici tondo e tutti, ma proprio tutti, capiscono quadrato non puoi che essere ignorato, anzi sempre più spesso perseguitato perché non hai ancora accettato il fatto lampante che il cerchio è fatto di angoli. Il paradosso grottesco sta nel fatto che Papa Francesco ci esorta ad andare nelle periferie. Ma siamo noi che viviamo nelle periferie, nelle baraccopoli della storia (che però sono assolutamente degnissime perché si celebra il culto a Dio con i sacri crismi). In centro ci stanno gli scippatori della speranza che ti hanno tolto la possibilità di cambiare vita dicendoti di rimanere nel peccato perché comunque Dio ti ama come sei; i truffatori della verità che, con la coscienza sporca, hanno sporcato anche le coscienze degli altri con il risultato che ciò che pare buono, allora buono lo è senz'altro; i violentatori del sacro che hanno stuprato la sacra liturgia; i sequestratori della dottrina che hanno chiesto come riscatto che tu spenga il condizionatore e applichi meglio la 194. Siamo dunque noi a vivere nelle banlieue culturali, nei sobborghi del pensiero. Siamo noi a far da contorno ad un'epoca così liquida che non ha più contorni.
GUARDIAMO AL FUTURO Eppure c'è un eppure. Se il tempo odierno non vuole con tutte le sue forze essere evangelizzato, guardiamo al tempo futuro. Se non possiamo dare le perle ai porci, custodiamole per giorni più promettenti. Oggi forse tutti noi siamo chiamati a diventare, nel senso letterale del termine, conservatori. Custodi non di una cultura, ma dell'unica cultura che possa vantarsi di questo nome, per poi tramandarla in tempi migliori. Tutti noi siamo dunque chiamati a diventare monaci postmoderni. Tra il IV e l'VIII secolo i monaci conservarono la cultura classica e la medesima cultura cristiana mentre il mondo attorno a loro implodeva. I monasteri, si sa, divennero centri che brillavano nel buio della devastazione provocata dalle invasioni barbariche. Il termine "barbaro" deriva del greco e significa "balbettante": ossia lo straniero per i greci era colui che balbettava l'idioma greco, colui che non sapeva parlare bene la loro lingua. Il barbaro oggi non sa parlare per nulla bene la lingua della fede, della verità, della carità. Noi allora dobbiamo vivere come monaci tra barbari. E quindi ogni volta che tentiamo di spiegare a nostro figlio, il quale vuole andare a convivere, che è meglio non convivere con le scelte mediocri, ma che bisogna sempre puntare all'eccellenza quando si tratta di amore; all'amico che vuole divorziare che così divorzierà dalla propria felicità; alla collega che vuole il figlio in provetta che uccidere i propri figli non è il modo migliore per averne uno in braccio; ai ragazzi in oratorio che chi si vergogna di Cristo, Cristo si vergognerà di lui; ogni volta che faremo una di queste cose dovremo essere animati non dalla speranza che il nostro interlocutore venga persuaso dalla bontà dei nostri ragionamenti - in un mondo dove nessuno ragiona, l'intelletto è un tasto muto - bensì dalla speranza che agendo così noi perlomeno stiamo conservando il seme buono sotto la neve, custodiamo sottoterra un tesoro che un giorno qualcun altro dissotterrerà. Se non lo faremo, non rimarrà nulla della buona Novella domani. È una evangelizzazione che guarda non tanto al figlio, amico, collega di oggi, ma al figlio, amico, collega di domani. Questo allora il nostro compito: noi dobbiamo diventare memoria per il futuro, memoria del futuro.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 7 settembre 2024
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IL BIMBO-LUPO CI PROIETTA VERSO LA DISFORIA DI SPECIE
Una scuola scozzese ottiene di assecondare il delirio di un minore che si crede lupo (ma allora tutti i disturbi deliranti verranno prontamente sanati dal politicamente corretto?)
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 2 ottobre 2024
C'era una volta un bimbo che si credeva un lupo. Non è l'inizio di una favola, ma l'inizio di un pezzo di cronaca. Il pezzo di cronaca è stato scritto dal Daily Mail il quale ci informa che un bambino che frequenta le scuole medie in Scozia si crede un lupo e gli organi scolastici hanno permesso allo studente di identificarsi ufficialmente come tale. Forse le vere bestie sono i docenti, il preside e il personale amministrativo che hanno concesso simile facoltà. Il personale scolastico ha fatto sapere che ha offerto allo studente un supporto psicologico da un «operatore del benessere» (figura professionale che vorremmo costantemente accanto a ciascuno di noi, ammettiamolo). L'operatore ha informato che, per trattare il caso del bambino-lupo, ha usato le linee guida del governo scozzese chiamate Getting It Right For Every Child (Girfec), ossia Far la cosa giusta per ogni bambino. E all'operatore e alla scuola è parso giusto assecondare il delirio del minore che da fantasia carnevalesca, grazie all'intervento degli adulti, si è consolidata in un atteggiamento potremmo dire psicotico. Nelle linee guida c'è uno strumento che si chiama Ruota del benessere che aiuta i bambini a «superare le disuguaglianze» e ad assicurare che le loro esigenze e il loro parere saranno ascoltati in quelle «decisioni che riguardano la loro vita». Dunque, se il bimbo si crede lupo occorre assecondarlo. Possiamo solo immaginare cosa potrebbe accadere al resto della classe o a tante altre classi qualora alcuni studenti non particolarmente brillanti a scuola si sentissero degli asini. Lo studente lupastro è stato anche astuto o fortunato, dato che ha scelto una specie protetta e dunque potrà ululare in classe senza tema di essere zittito perché tutelato dal divieto di non discriminazione. La scuola ha fatto sapere che la questione è seria e non risibile, dato che il discente soffre di disforia di specie, espressione che ovviamente è assente in letteratura scientifica (ma non temete che prima o poi comparirà). E così come c'è chi è uomo e si crede donna – e questa è la famigerata disforia di genere - ora c'è anche chi è essere umano e si crede animale - e questa è la disforia di specie. Ora, se il mio percepito riferito alla mia persona deve essere sempre riconosciuto da terzi, ne consegue che le categorie della disforia saranno numerose come le autopercezioni, perché non si può discriminare tra disforia e disforia. Dunque, potremmo avere la disforia di regno: una persona si crede una felce oppure un muschio o un'ortica o infine un cristallo di quarzo; la disforia di artificiosità se uno si crede un robot, uno smartphone, un castello o, in caso di bassa stima di sé, un bidet; la disforia di realtà se uno pensa di essere un personaggio di fantasia: se un bambino è un lupo, nulla vieta che la sua compagna di banco possa essere Cappuccetto Rosso; la disforia religiosa, quando un credente ritiene di essere un angelo, un demone o addirittura Dio con tutte le prerogative che dovremmo riconoscergli; la disforia filosofica, se Tizio pensa di essere un concetto o un'ideologia o una tesi di pensiero; la disforia grammaticale o sintattica, se uno crede di essere un articolo determinativo o una subordinata; la disforia personale se Carlo pensa di essere Marco (forse a motivo dell'avvenente moglie di Marco), la quale disforia ha più declinazioni. Ad esempio quella storica: Caio che si crede Napoleone o Giulio Cesare o Dante. Oppure quella professionale: Sempronio, che è contabile, si crede un neurochirurgo o un pilota di aerei di linea (e dato che non potete discriminarlo pregate che non diventi vostro medico o che non dobbiate imbarcarvi sull'aereo pilotato da lui). Tutti disturbi deliranti che verranno prontamente sanati dal politicamente corretto. Torniamo alla notizia del bimbo lupo a cui sommessamente consigliamo, se incline alla socialità, di evitare di incontrarsi con i suoi simili. Dopo aver letto che i docenti assecondano la credenza lupesca del loro studente, dobbiamo allora constatare che esiste una disforia più pericolosa delle altre: la disforia dell'intelletto. Essere stolti e credersi intelligenti.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 2 ottobre 2024
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OMELIA XXIX DOM. T. ORD. - ANNO B (Mc 10,35-45)
Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire
IL RIBALTAMENTO DI OGNI LOGICA UMANA: L’ASSOLUTO PRIMATO DELL’UMILE SERVIZIO E DEL SACRIFICIO PER IL BENE DEGLI ALTRI Una strana richiesta e una strana risposta: ecco ciò che l’odierna pagina evangelica ci offre come tema di riflessione. La richiesta è fatta a Gesù dai figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, due apostoli che ci sono noti per il loro temperamento focoso e impulsivo, tanto che avevano meritato il soprannome “figli del tuono”. Il Signore però li aveva in simpatia: con Pietro essi formano il terzetto dei discepoli che il Salvatore vuole avere vicino a sé nei momenti più rilevanti della sua vicenda; in particolare, li vorrà come compagni e testimoni nell’ora tremenda dell’agonia del Getsemani.
LA MENTALITÀ UMANA Noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo: come si vede, i due fratelli furbescamente tentano di farsi dire di sì, per così dire, “a scatola chiusa”, cioè prima ancora di aver formulato il loro desiderio. È una piccola astuzia alla quale talvolta si ricorre tra amici, specialmente se non si è tanto sicuri della buona accoglienza della domanda. Ma Gesù non cade nell’ingenuo tranello e li costringe a spiegarsi: Cosa volete che io faccia per voi? Trattandosi del Figlio di Dio – che sapeva sempre leggere i cuori – si potrebbe giudicare inutile questa contro-domanda. Ma il Signore non è di questo parere: non vuole certo che nella nostra preghiera sciupiamo molte parole a informarlo minuziosamente di quanto ci preme; vuole però che gli manifestiamo con chiarezza e confidenza le nostre necessità che egli pur conosce, perché il nostro rapporto di dipendenza da lui diventi in noi più consapevole e più convinto. Che cosa gli chiedono i due ambiziosi fratelli? Gli chiedono di potere un giorno primeggiare sugli altri: di aver cioè il massimo di potere e di onore nel Regno futuro di Cristo, che verosimilmente essi concepiscono alla stregua di una realtà sociale e politica. Insomma si prenotano per tempo ai posti migliori e meglio ricompensati. Possiamo ben capire come una simile pretesa abbia suscitato negli altri una reazione violenta di collera e di biasimo: All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Anche Gesù li corregge, ma senza ira, usando anzi una benevola ironia che li porti a poco a poco a capire quanto siffatti pensieri siano lontani dalla sua mentalità e dai progetti di Dio.
LA MENTALITÀ DI DIO Voi non sapete ciò che domandate. Vale a dire: voi non sapete che la mia potenza scaturirà dalla croce, non dalla prepotenza e dal dominio, che la mia gloria sarà fondata sull’umiliazione, che il mio Regno si inaugurerà con la redenzione del mondo ottenuta nella sofferenza; voi non immaginate che, chiedendo di stare più vicino a me, non chiedete una posizione comoda, perché chiedete in sostanza di patire prima e di più; voi non siete neppur sfiorati dal pensiero che essere i migliori e i più grandi, nell’ordine di cose che sono venuto a portare, significa essere i più generosi, i più solerti, i più umili nel servizio degli altri, i più pronti a pagare di persona, i più decisi a dare la propria vita in riscatto per molti. Voi non sapete ciò che domandate. Quante volte anche alle nostre petizioni il Signore dovrebbe rispondere così! Talvolta ci lamentiamo di non essere stati ascoltati nelle nostre preghiere, e invece dovremmo rallegrarci perché egli, quando sembra rifiutarci una grazia, in realtà ci viene incontro in un modo che lui sa più conforme al nostro vero bene. Sicché, se gli sollecitiamo qualche favore, dobbiamo sempre sforzarci di essere interiormente disposti ad accettare sopra ogni altra considerazione la sua volontà, pur nel caso che essa sembri non corrispondere alle nostre aspirazioni, per ché Dio sa meglio di noi ciò che ci conviene davvero. Ai due fratelli la risposta di Gesù dovette sembrare un po’ stravagante. E in realtà a prima vista sembrerebbe fuori argomento: che cosa c’entrano mai i bicchieri in questo discorso? Eppure Gesù dice proprio così: Potete bere il calice che io bevo?; cioè: siete capa ci di bere al mio bicchiere? Noi però siamo più illuminati sul senso profondo e tragico di questa frase: Gesù con questa immagine evoca la sua passione imminente, alla quale ormai sono indirizzati i suoi più segreti pensieri. Nel giardino degli Ulivi, in quella notte di appassionata orazione, egli vedrà davanti a sé il mare di dolore che l’aspetta; e lo vedrà come la coppa dell’ira di Dio per le prevaricazioni umane, della quale avevano parlato i profeti; lo vedrà come un calice di amarezza e di pena, presentato dal Padre a lui, Redentore di tutti, per la salvezza del mondo. Davanti a questa spaventosa prospettiva, sentirà fremere e venir meno la sua fragile natura di uomo; ma nella preghiera troverà la forza di mantenere la perfetta comunione col Padre e la totale adesione al divino volere: Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà (Lc 22,42). Giunto all’agonia – ci dice letteralmente il vangelo di Luca – pregava più intensamente (Lc 22,43). Il segreto della vera grandezza – questa è la risposta ai due discepoli pretenziosi – non sta nell’imporre a Dio i propri desideri, ma nell’aprirsi spiritualmente a lui e ai suoi disegni d’amore. Secondo la narrazione di Giovanni, il Salvatore usa la stessa espressione per correggere l’apostolo Pietro, risoluto a difenderlo con le armi dai soldati venuti per arrestarlo: Rimetti la tua spada nel fodero: non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato? Dopo quell’esperienza Giacomo e Giovanni avranno probabilmente capito che cosa volesse dire Gesù con quella parola, che essi avevano accolto in modo così spensierato ed incauto; e si saranno interiormente preparati a farsi degni del Regno di Dio, attraverso una vita spesa per Cristo fino al sacrificio totale. Così sono davvero arrivati alla potenza e alla gloria, come avevano domandato, ma percorrendo come Cristo e con Cristo il cammino della croce. Uno dei primi martiri cristiani, il vescovo Policarpo di Smirne, davanti alla catasta di legna sulla quale sarebbe stato bruciato vivo, ricordando proprio la pagina di Vangelo che oggi abbiamo ascoltato, pregava così: «Ti benedico, perché mi hai stimato degno di questo giorno e di quest’ora, e di aver parte, nel numero dei tuoi testimoni, al calice del tuo Cristo» (Mart. Pol. XIV,2). Come si vede, quella di oggi è una lezione seria e difficile. Comprenderla è comprendere il vero significato dell’essere cristiani, cioè “discepoli di un Crocifisso”. Chiediamo che sia data a tutti la grazia di saperla tra durre nella vita, ciascuno secondo quello che da lui il Signore vorrà.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
Fonte: Stilli come rugiada il mio dire
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