BastaBugie n�148 del 09 luglio 2010
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L'EVIDENTE IDEOLOGIA NEGLI ESAMI DI MATURITA' 2010
Dio non esiste, godi e divertiti, al limite credi agli extraterrestri
Fonte: Corrispondenza Romana
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LA MEZZALUNA ISLAMICA SOPRA IL CAPO DELLA MADONNA A CUI E' DEDICATO IL PALIO DI SIENA
Eppure per secoli i senesi avevano ringraziato la Madonna per aver salvato l’Europa dall'islamizzazione...
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
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IL LICEO TEDESCO SESSANTOTTINO DOVE SI TEORIZZAVA CHE INSEGNARE E' SBAGLIATO E CHE NON C'E' DIFFERENZA TRA ADULTI E BAMBINI... E DOVE SI SONO VERIFICATI STUPRI DI GRUPPO E SEVIZIE SU MINORI
Ecco perché nessuno ve ne ha parlato e nessuno ci farà un film
Autore: Alessandro Giorgiutti - Fonte: Tempi
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LA NUOVA CHIESA DI SAN GIOVANNI ROTONDO E' PIENA DI SEGNI MASSONICI
Quando alla bruttezza si aggiungono particolari inquietanti
Autore: Valerio Pece - Fonte: Tempi
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BENEDETTO XVI RICORDA LA LEGGE CHE PRECEDE LE LEGGI
A difesa dell'uomo il diritto naturale chiarisce che non tutto si decide a maggioranza
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire
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IL DRAMMA DEL NOSTRO TEMPO SI CHIAMA PEDOFOBIA
Cosa ci si può attendere di buono da un’umanità che rifiuta i bambini come intrusi inquinanti e antieconomici?
Autore: Carlo Bellieni - Fonte: Tempi
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IN DIFESA DELLE GLORIOSE CROCIATE
Il vero spirito del cristianesimo è combattere per la verità (ecco perché la Chiesa ha sempre rifiutato il pacifismo)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Il Foglio
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IO, OMOSESSUALE, OFFRO LA VITA A CRISTO
E ringrazio il Papa e la Chiesa Cattolica
Fonte: Avvenire
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OMELIA PER LA XV DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 10,25-37)
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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L'EVIDENTE IDEOLOGIA NEGLI ESAMI DI MATURITA' 2010
Dio non esiste, godi e divertiti, al limite credi agli extraterrestri
Fonte Corrispondenza Romana, 3/7/2010
Le tracce del tema di italiano per gli esami di maturità 2010 gettano luce sul processo di indottrinamento della gioventù che la scuola pubblica conduce ormai da diversi anni. Per l’ambito artistico-letterario è stato scelto l’argomento dal titolo Piacere e piaceri (la traccia esplora tutti gli ambiti del piacere, spaziando, nella proposta dei documenti, dal sesso al dolore. Oltre a D’Annunzio e a Leopardi, vengono citati Ungaretti, Brecht, Mantegazza); per l’ambito socio-economico La ricerca della felicità (la traccia fa riferimento alla Costituzione italiana e a quella americana laddove prevedono che ciascuno debba essere messo in condizione di poter vivere con dignità e migliorando se stesso) ; per quello tecnico-scientifico Siamo soli? (con esplicito riferimento alla possibilità di vita extraterrestre). Quello che colpisce è il sottile ma evidente legame tra i temi proposti: il filo conduttore sembra essere costituito da una visione dell’esistenza umana tesa a negare qualsiasi idea di trascendenza; si sottolinea la necessità per l’uomo di ubbidire al dogma moderno dell’“orizzontalismo”, in cui la spasmodica ricerca del piacere fine a se stesso e la conseguente illusoria felicità basata sulla soddisfazione immediata di ogni tipo di aspirazione od impulso, fa da sfondo ad una vita che diventa priva di senso se l’uomo non è posto nella condizione di poterla “consumare”, prima che la morte ponga drammaticamente fine al tutto. Possiamo toccare con mano i disastri che la società edonista e nichilista ha prodotto negli adolescenti: suicidi, depressione, abuso di alcol e sostanze stupefacenti, uso smodato e pervertito della sessualità. Eppure, malgrado ciò, l’unica proposta di “superamento” del razionalismo scientista è affidato alla possibilità che esistano gli alieni in qualche parte dell’universo, in modo tale da far passare il concetto che non esiste alcun disegno intelligente alla base della Creazione ma un semplice susseguirsi casuale di eventi fisici e chimici in grado di innescare la vita, non solo sul nostro pianeta.
Fonte: Corrispondenza Romana, 3/7/2010
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LA MEZZALUNA ISLAMICA SOPRA IL CAPO DELLA MADONNA A CUI E' DEDICATO IL PALIO DI SIENA
Eppure per secoli i senesi avevano ringraziato la Madonna per aver salvato l’Europa dall'islamizzazione...
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 1° luglio 2010
A Siena sta accadendo qualcosa di grave, dal punto di vista spirituale e simbolico, perpetrato dall'establishment cittadino, (post) comunista, con l'avallo dell'arcivescovo. Qualcosa che avrebbe fatto insorgere Oriana Fallaci, ben più della Moschea di Colle val d'Elsa, e che dovrebbe far indignare tutti i cristiani e tutti coloro che hanno un minimo di consapevolezza culturale. Prima che dalla Torre del Mangia - o magari dal campanile del Duomo - facciano cantare un muezzin, si devono sapere alcune cose: il Palio, l'antica corsa di cavalli delle contrade in Piazza del Campo, è una festa religiosa, una festa mariana. Infatti quello del 2 luglio è da sempre dedicato alla Madonna di Provenzano, il santuario cittadino che conserva un'antica icona miracolosa della Vergine. Mentre il Palio di agosto, che si corre il 16 di quel mese, nasce e da sempre è dedicato alla Madonna Assunta che si celebra il giorno prima. Del resto le contrade si formano precisamente nel medioevo come "popoli", cioè attorno alle chiese parrocchiali della città e - come scrivono due senesi doc - è fortissimo "questo legame indissolubile fra il Palio e la fede cattolica (la processione dei Ceri e dei Censi, la festa dei tabernacoli, la benedizione del cavallo, le feste patronali delle contrade...)". La devozione alla Madonna ha dato forma alla storia (anche civile) di Siena. Alla Madonna Assunta è dedicato il Duomo, ma anche "il campanone", che è il simbolo della libertà comunale. La grande facciata della cattedrale, definita una Summa di marmo, è una rappresentazione della storia umana che ha al centro la figura esile e dolcissima di Maria di Nazaret. E l'antica repubblica senese batteva moneta con la scritta "Sena Civitas Virginis". La Madonna - un po' come in Polonia - era il simbolo stesso della libertà cittadina. Per questo "La Maestà", cioè la Madonna in trono, è l'immensa tavola di Duccio, dipinta nel 1311, che stava sull'altare centrale della Cattedrale. E per questo, negli stessi anni, l'altro grande pittore della città, Simone Martini, fu chiamato a dipingere un altro grande affresco della "Maestà" per la Sala principale del Palazzo pubblico. Perfino il celebre affresco del Buongoverno del Lorenzetti, in filigrana, è un inno alla regalità di Maria. Alla Madonna è dedicato pure il grande e antichissimo ospedale, "Santa Maria della scala", fondato nel X secolo dai canonici della Cattedrale. Ai piedi della "Madonna del voto" furono deposte le chiavi della città quando Siena, alla vigilia della battaglia di Montaperti, fu sul punto di essere assalita e distrutta: era il riconoscimento della sua regalità e non a caso il Palio di questo 2 luglio celebra proprio il 750° anniversario dell'evento. Perché da allora sempre, nel corso dei secoli, il popolo di Siena è ricorso a Lei per la protezione da pestilenze, terremoti, guerre e ogni altra calamità. La sua materna protezione - simboleggiata dal suo mantello - è stata rappresentata, nel corso dei secoli perfino sulle tavole dei libri contabili del Comune (le Biccherne), così come la stessa Piazza del Campo ha la forma del mantello della Vergine, in cui Ella accoglie i suoi figli, il popolo senese. Per tutte queste ragioni da secoli si tramandano rigidissime norme iconografiche che devono essere rispettate nel dipingere ogni Palio che poi viene esposto in Cattedrale e nella Basilica di Provenzano e benedetto dal vescovo durante una solenne liturgia. Queste regole prescrivono anzitutto che la tela debba avere al suo apice la Madre di Dio che veglia sulla città e governa, maternamente, la sua storia. In passato il Comune - che assegna l'investitura al pittore - ha chiamato a dipingere il Palio celebri artisti come Guttuso, Sassu, Botero, Vespignani. Quest'anno il compito è stato affidato a un "pittore musulmano". Sia chiaro, non è questo il problema, checché ne dicano i leghisti. Fra l'altro sarebbe interessante sapere se sia sempre stato musulmano perché in un'intervista ha sorprendentemente detto: "ho scoperto la spiritualità dell'islam proprio in Italia". E prima? Casomai il fatto emblematico è un altro: questo pittore, Alì Hassoun, è libanese. Bisogna sapere che il Libano è l'unico Paese storicamente cristiano del Medio Oriente ed ha subito per secoli l'oppressione musulmana. Con la seconda guerra mondiale, conquistata l'indipendenza, proprio perché Paese cristiano ha avuto un regime democratico (rarissimo in Medio oriente). Ma 30 anni fa il Libano è stato militarmente invaso e soggiogato dalla Siria, nell'indifferenza dell'Occidente. E tantissimi libanesi sono dovuti scappare, esuli, perché cristiani. Ormai da decenni i cristiani libanesi, che hanno subito pesanti persecuzioni, sono costretti a vivere sotto il "padrone" siriano. Dunque ad Alì Hassoun il Comune - governato sempre dai comunisti - ha fatto dipingere il Palio. E lui ha rappresentato la Madonna con una corona dove stanno una croce, la mezzaluna islamica e la stella di David. Un sincretismo che strizza l'occhio al più banale "politically correct", ma che è un pugno nello stomaco per chi sa quanti cristiani sono stati massacrati dai turchi all'insegna della mezzaluna (e quanti sono oggi perseguitati). Non solo. Attorno al volto della Madonna, Alì ha scritto in arabo "Sura di Maria", in riferimento alla sura 19 del Corano dove ella è celebrata come madre di Gesù, che l'Islam ritiene un profeta, ma nega categoricamente che fosse Figlio di Dio, Dio fatto uomo (per l'Islam questa è la più grande bestemmia). Cosicché abbiamo una icona che dovrebbe essere cristiana e celebrare la Madre di Dio, nella quale invece si celebra la Maria del Corano in cui è negata la divinità di Gesù, il fondamento del cristianesimo. Come se non bastasse la figura centrale e grande del Palio è un presunto san Giorgio, che in realtà è un guerriero saraceno (somigliante al pittore), con la kefiah araba, che trafigge un drago, il quale rappresenta - dice Alì - "un demone". Qualunque musulmano lo interpreta come l'Islam che trionfa sull'infedele e sul grande Satana. Qualche cristiano ha scritto all'arcivescovo, monsignor Buoncristiani al quale tutti questi simboli non danno alcun fastidio. Nemmeno l'arabo del Corano: mica è il latino della messa tridentina che al vescovo di Siena fa venire l'orticaria. Alessandra Pepi e Giampaolo Bianchi, dicevo, gli hanno scritto: "Come cristiani, molto prima ancora che come senesi e contradaioli, questo palio ci offende e ci pare una vera bestemmia... la supplichiamo di non permettere che questo dipinto entri nella Casa del Signore. Lei solo ha l'autorità e la responsabilità della Chiesa di Santa Maria in Provenzano. Lei solo ha la responsabilità dei gesti liturgici che compie a nome di tutti i Suoi fedeli... La preghiamo: non benedica un'immagine che non è cristiana, una Madonna solo madre di un profeta!". Il caso vuole, peraltro, che proprio nella Basilica di Provenzano siano state esposte per secoli le insegne e le armi conquistate ai Turchi nella battaglia di Lepanto, come ex voto alla Madonna per aver salvato l'Europa intera dall'invasione turca e dall'islamizzazione. Nessuno fra i cristiani vuole rievocare guerre. Ma evitare una profanazione sì. Se è scontato che se ne infischino i comunisti, i quali non credono più a niente e, avendo visto crollare nell'orrore la loro ideologia, cercano di umiliare i cristiani "usando" i musulmani, non è accettabile che se ne infischi un vescovo. Rievocando le lettere di santa Caterina al Papa, Alessandra e Giampaolo gli scrivono: " ‘sia uomo virile e non timoroso'… Noi ci crediamo o no, che Maria sia la Madre di Dio? O è diventato solo un modo di dire?". Forse per certi vescovi è solo un modo di dire... Ed è la conferma di quanto ha detto il Papa l'altroieri: "il pericolo più grave" non sono le persecuzioni, perché "il danno maggiore" la Chiesa "lo subisce da ciò che inquina la fede". Dall'interno. Urge una messa di riparazione.
DOSSIER "IL PALIO DI SIENA" Le polemiche per il drappellone Per vedere articoli e video, clicca qui!
Fonte: Libero, 1° luglio 2010
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IL LICEO TEDESCO SESSANTOTTINO DOVE SI TEORIZZAVA CHE INSEGNARE E' SBAGLIATO E CHE NON C'E' DIFFERENZA TRA ADULTI E BAMBINI... E DOVE SI SONO VERIFICATI STUPRI DI GRUPPO E SEVIZIE SU MINORI
Ecco perché nessuno ve ne ha parlato e nessuno ci farà un film
Autore: Alessandro Giorgiutti - Fonte: Tempi, 29 aprile 2010
Se non avete mai sentito parlare della scuola tedesca Odenwaldschule la colpa non è vostra. Nei giorni in cui si pubblicavano articoli scandalizzati sul fratello del Papa, don Georg Ratzinger, che aveva l’unica “colpa” di aver dato qualche scapaccione ai suoi allievi indisciplinati, solo qualche riga imbarazzata veniva dedicata all’istituto fondato esattamente cento anni fa, nel 1910, nell’Odenwald, vicino a Francoforte. Un istituto nel quale, si apprende oggi, si sono verificati «almeno dal 1971» abusi e violenze «che superano la nostra capacità di immaginazione» (parola dell’attuale preside, Margarita Kaufmann). È stato pudicamente definito «liceo laico», «la Eton tedesca» o «scuola delle élites» (a ragione: la retta costa più di duemila euro al mese), ma la scuola-convitto, legata all’Unesco a partire dagli anni Sessanta, è in realtà qualcosa di molto particolare. Si tratta di una delle prime realizzazioni concrete delle ambizioni riformatrici della pedagogia d’inizio Novecento. Il fondatore, Paul Geheeb, nato in Turingia nel 1870, studi teologici alle spalle e barba da profeta lunga fino al petto, decise per prima cosa di abolire il concetto stesso di educazione: «Preferisco non usare le parole “educazione” e “educare” – diceva – preferisco parlare di sviluppo umano». Al bando anche l’anacronistica distinzione tra maestri e allievi. Gli adulti non devono essere educatori ma “amici” di bambini e adolescenti: «Bisogna che noi veramente viviamo insieme. Gli adulti non devono limitarsi a giocare, lavorare, passeggiare con i bambini, e condividere con loro le piccole e le grandi gioie come le tristezze; è necessario far partecipare questi ultimi, secondo il loro grado di maturità, alle nostre stesse esperienze ed azioni». Non si trattava di guidare, ma di accompagnare. Nessuno doveva essere educato perché ciascuno è il miglior educatore di se stesso. Da subito, il convitto di Odenwald fece gran scalpore per le idee molto “aperte” e le innovazioni radicali. La mitica assemblea (di bambini, adolescenti e adulti) che si riunisce periodicamente per discutere e prendere decisioni. La promiscuità tra alunni maschi e femmine (si trattava di una vera rivoluzione, per l’epoca). E anche qualche scelta decisamente più ardita: come l’educazione fisica praticata insieme, nudi, da bimbi e bimbe. Con la forza attrattiva delle mode culturali, i princìpi educativi “anti-autoritari” spingono molte famiglie dal cognome importante e dal portafoglio pieno a iscrivere i propri figli al convitto di Odenwald. Qui, per citarne alcuni, studiano scrittori come il figlio di Thomas Mann, Klaus, e Andreas von Weizsäcker, figlio di un presidente della Repubblica, imprenditori come Wolfgang Porsche, oggi al vertice della casa automobilistica di famiglia, e Beate Uhse, che diverrà la regina incontrastata dei sexy shop. E Daniel Cohn-Bendit, il futuro leader sessantottino ed eurodeputato dei Verdi che avrebbe successivamente descritto con orgoglio i suoi giochi erotici con bambini di quattro e cinque anni.
Umiliazioni e suicidi Il modello dell’insegnante “amico” era la bandiera anche dello stimatissimo (un tempo) Gerold Becker, che diresse la scuola tra 1971 e 1985, cioè negli anni successivi alla sbornia del ’68, proprio quegli anni in cui si concentrarono le violenze (recentemente ammesse dallo stesso Becker). Secondo l’attuale preside del convitto, le vittime di abusi sarebbero almeno quaranta, anche se il giornale che per primo, anni fa, aveva pubblicato le denunce di alcuni ex studenti ipotizza una cifra vicina al centinaio. Violenze dei professori sugli allievi e degli allievi più grandi sui più piccoli. Stupri di gruppo consumati con la complicità dei supervisori. Maestri che provvedono a distribuire alcol e droga. Studenti costretti a prostituirsi nei fine settimana per soddisfare qualche visitatore amico degli insegnanti. Si sospetta inoltre che quattro ex allievi suicidi si siano tolti la vita proprio in seguito alla vergogna e alle umiliazioni patite (che non possono essere trascritte qui). Un dettagliato rapporto sugli orrori della Odenwaldschule fu consegnato nel 2002 alla deputata tedesca Antje Vollmer, esponente dei Verdi, allora al governo con i socialdemocratici di Gerhard Schroeder. Ma la Vollmer, che all’epoca era vicepresidente del Bundestag e guidava una commissione sulla politica scolastica, non diede credito al dossier che, se divulgato, avrebbe demolito l’immagine di una scuola considerata il fiore all’occhiello dell’educazione pubblica. Dell’esistenza di quel rapporto, redatto da un gruppo di insegnanti della Odenwaldschule, si è avuto notizia solo qualche settimana fa, proprio negli stessi giorni in cui l’attuale ministro della Giustizia tedesco, la liberale Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, accusava la Chiesa cattolica di aver eretto «un muro di silenzio» sui casi di pedofilia. Un infortunio clamoroso, perché il ministro faceva esplicito riferimento al documento De delictis gravioribus del 2001 col quale il Vaticano istituiva la linea della “tolleranza zero”, ma tale da distogliere l’attenzione mediatica dagli insabbiamenti veri.
Fonte: Tempi, 29 aprile 2010
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LA NUOVA CHIESA DI SAN GIOVANNI ROTONDO E' PIENA DI SEGNI MASSONICI
Quando alla bruttezza si aggiungono particolari inquietanti
Autore: Valerio Pece - Fonte: Tempi, 6 maggio 2010
Laureato in Filologia classica, innamorato della cultura ellenica tanto da parlare correntemente il greco, a soli 29 anni Francesco Colafemmina è stato capace di trascinare nell’avventura dell’Appello al Papa per un’arte autenticamente cattolica mostri sacri come Nikos Salingaros e Martin Mosebach, oltre a illustri teologi, vaticanisti e docenti universitari. Da pochi giorni è uscito il suo nuovo libro, Il mistero della Chiesa di San Pio (ed. Settecolori) in cui il giovane filologo conclude un’indagine durata anni sulla chiesa progettata da Renzo Piano a San Giovanni Rotondo. DOTTOR COLAFEMMINA, NEL SOTTOTITOLO DEL SUO LIBRO SI LEGGE: “COINCIDENZE E STRATEGIE ESOTERICHE ALL’OMBRA DEL GRANDE SANTO DI PIETRELCINA”. PERCHÉ QUESTA INDAGINE? Tutto è nato da un semplice viaggio a San Giovanni Rotondo. Da devoto di padre Pio, nel maggio 2007 mi recai lì per una visita al santo, ma una volta entrato nel nuovo tempio sono dovuto fuggire, letteralmente spaventato. Ricordo poi che sentii un profondo richiamo da parte di san Pio. La notte non dormii e il giorno seguente ripartii subito alla volta di San Giovanni Rotondo. È così che è iniziata la mia inchiesta, che tra l’altro ho sempre sottoposto in Vaticano. A monsignor Piacenza, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, e a Josè Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi. E COSA È EMERSO DALLA SUA INCHIESTA? È affiorata pian piano la percezione di un chiaro programma. Quella chiesa con tutte le sue stravaganti opere d’arte doveva avere uno scopo diverso da quello che ci si attende da un luogo sacro. Così, nel corso della ricerca, non ho potuto fare a meno di imbattermi nella massoneria. COSA L’HA TURBATA IN QUELLA CHIESA? Innanzitutto va detto che chi entra in quel tempio prova un senso di straniamento, e ciò per l’assenza di connotati tipici di un luogo di culto. È proprio da qui che bisognerebbe partire, da questa impressione riscontrata da migliaia di fedeli, persone prive di pregiudizio ed esperienza nel riconoscere simbologie a-cristiane. PROVIAMO A FARE VIRTUALMENTE IL PERCORSO DEL FEDELE CHE SI APPRESTA AD ENTRARE NELLA NUOVA CHIESA. Anzitutto il viale che conduce al santuario non collega all’ingresso della chiesa, che è invece sul “retro” del santuario. Il fedele viene indotto ad entrare in chiesa in un modo nuovo, inusuale, a mo’ di “percorso di iniziazione”. Eccolo quindi dinanzi al portale: cosa rappresenta quel capretto con le gambe spezzate? Esiste nella simbologia cristiana? E quella stella a cinque punte? Sarebbe interessante saperlo. SUPERATO L’INGRESSO? Chi entra viene accolto da due colonne sormontate da volti umani, misteriosi, colonne piene di simboli assolutamente inintellegibili. Il fedele cerca poi il tabernacolo ma non lo trova. Bisogna andare nella Cappella dell’Adorazione, uno spazio a forma di triangolo in cui non c’è altro che una stele di pietra nera, una sorta di totem dedicato ad un Dio oscuro, nascosto e senza volto. L’esatto contrario del Dio cristiano. Ciò che più rattrista, poi, sono le formelle del tabernacolo: che ci fa una colomba nella scena della moltiplicazione dei pani e dei pesci? Non ve n’è traccia nella scrittura. E il gatto (egizio) ai piedi del banchetto pasquale? E quel Cristo con una bandana al posto della corona di spine, e con le mani rivolte verso il basso? Ecco, nel libro tento di documentare il vero significato di questa e altra simbologia. L’ALTARE? Anche questo ha una forma esoterica: è una piramide rovesciata con il culmine al di sotto dell’altare. Alzando lo sguardo non va meglio. C’è il grande arazzo di Robert Rauschenberg, l’esponente della Pop Art americana scomparso nel 2008. Colui che ha sbeffeggiato il cristianesimo in chiave demoniaca, nell’opera Monogram, in cui un caprone che rappresenterebbe il Cristo è intrappolato in uno pneumatico di automobile. L’ARAZZO PERÒ RAPPRESENTATA L’APOCALISSE. O NO? Oppure una parodia dell’Apocalisse? Il protagonista dell’arazzo è indiscutibilmente il drago. Col suo Giudizio Michelangelo, per citare un esempio di immediata comprensione, non è stato certo equivoco: Cristo Giudice era bene al centro. Qui la stessa Vergine ha un ruolo marginale, il suo piede non schiaccia la bestia, sembra difendersi, certo non la sconfigge. Dov’è Cristo Vincitore? Dov’è l’Arcangelo Gabriele? Non ci sono. C’è solo il rendere onore ad un terrificante drago rosso a sette teste che si erge – si badi bene – al di sopra della stessa Gerusalemme Celeste, stranamente posta non sopra ma sotto di lui. CONTEMPLA LA POSSIBILITÀ CHE CON LA SUA INDAGINE ABBIA PRESO IL CLASSICO GRANCHIO? In tutta onestà debbo dirle che i miei studi sono stati giudicati credibili sia da esponenti del mondo ecclesiastico che da massoni professi a cui è stata chiesta una valutazione. Ciò detto però non sarebbe ragionevole escludere totalmente che io mi sia sbagliato, che tutta la mia analisi sia errata. Paradossalmente, però, la domanda più importante resterebbe in piedi: perché un cattolico totalmente estraneo alle dottrine esoteriche e alchemiche finisce per riscontrare in quelle che dovrebbero essere opere d’arte sacra dei simboli esoterico-massonici? Dov’erano i “controllori” dell’edilizia sacra mentre si realizzava un’opera dai connotati così ambigui? IL 19 APRILE SI È APERTO UN NUOVO CAPITOLO. LE RELIQUIE DEL SANTO, DOPO 42 ANNI, SONO STATE TRASLATE DA SANTA MARIA DELLE GRAZIE ALLA CRIPTA DELLA NUOVA CHIESA, CRIPTA CHE PER LA SUA SUNTUOSITÀ NON HA MANCATO DI CREARE PERPLESSITÀ. Da devoto del Santo non posso fare a meno di notare la lenta e inesorabile trasformazione del Santuario in una sorta di circo. La nuova cripta d’oro, che sarebbe certamente piaciuta a Ramses II o a Tutankhamon, è solo l’ultimo atto. Basterebbe leggere le volontà disattese di padre Pio, come quella contenuta nel suo testamento dell’agosto 1923: «esprimo il mio desiderio che, ove i miei superiori non si oppongano, le mie ossa siano composte in un tranquillo cantuccio di questa terra». Non esattamente sotto volte d’oro e pietre preziose, quindi.
Fonte: Tempi, 6 maggio 2010
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BENEDETTO XVI RICORDA LA LEGGE CHE PRECEDE LE LEGGI
A difesa dell'uomo il diritto naturale chiarisce che non tutto si decide a maggioranza
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire, 17 giugno 2010
Ieri il Papa ha per la seconda volta trattato la figura di san Tommaso d’Aquino, uno dei più grandi filosofi e teologi di sempre, toccando diversi e importantissimi temi, sia pure nel corso di una breve catechesi. Ne consideriamo qui solo uno, da lui affrontato in diverse occasioni, che rientra fra quelli decisivi e portanti del suo magistero: quello della legge morale naturale e dei 'valori non negoziabili', espressione che è diventata di uso frequente dal suo discorso del 30 marzo 2006 ai rappresentanti del Partito Popolare Europeo. Per san Tommaso e per Benedetto XVI la ragione è appunto «capace di discernere la legge morale naturale», cioè è capace, senza bisogno della Rivelazione, di guadagnare (beninteso progressivamente, non senza difficoltà e mai definitivamente) una parziale ma molto importante percezione del bene e del male e di alcuni principi etici generalissimi (per esempio 'non assassinare') che, nonostante le ricorrenti affermazioni contrarie, sono invece quasi universalmente condivisi in ogni tempo, come è stato documentato da diversi studiosi. Diciamo 'quasi', perché esistono vari ostacoli, personali e/o culturali, che ne possono impedire la comprensione. Ora, «tutti gli uomini, credenti e non credenti, sono chiamati […] a ispirarsi ad essa nella formulazione delle leggi»: come diceva già l’Antigone del greco Sofocle nel V secolo a.C. (ma si potrebbero riprendere molti filosofi, come Aristotele, Cicerone, Locke…), c’è una legge morale non scritta che dovrebbe ispirare quelle stabilite nei codici degli uomini. Per contro, «quando la legge naturale e la responsabilità che essa implica sono negate, si apre drammaticamente la via al relativismo etico sul piano individuale e al totalitarismo dello Stato sul piano politico». Non è possibile dimostrare in poco spazio questa tesi, però possiamo almeno dire quanto segue. Quanto al relativismo etico (su cui l’allora cardinal Ratzinger ha richiamato l’attenzione già nella messa di inizio dell’ultimo conclave), se non è conoscibile un bene oggettivo, il bene è meramente soggettivo o storicamente stabilito e pattuito in una società. Ma ciò può portare al totalitarismo: o la persona è «ciò che di più perfetto si trova in tutta la natura» (come dice san Tommaso), cosicché la sua dignità è un oggettivo bene inviolabile e il principio etico che la difende («non calpestare la dignità umana») non dipende dalla pattuizione, oppure si rischia di cadere nel «dispotismo della maggioranza»: se si decide esclusivamente secondo il principio per cui è giusto ciò che viene scelto dalla maggioranza, quest’ultima può decidere di sterminare il singolo e/o la minoranza senza che la si possa biasimare: la legge diviene così lo strumento attraverso cui i più forti (per numero, o per intelligenza, o per la capacità di manipolare l’opinione pubblica, ecc.) riescono a soggiogare i più deboli. Più a fondo, se non c’è un bene oggettivo non negoziabile, se non è un bene oggettivo (non pattuito) nemmeno il rispetto delle leggi pattuite, allora resta da fondare il dovere morale di osservarle e non può essere moralmente biasimato chi non ha interesse a rispettarle e perciò le trasgredisce. Per questo il Papa ha richiamato l’Evangelium vitae di Giovanni Paolo II: «Urge dunque, per l’avvenire della società e lo sviluppo di una sana democrazia, riscoprire l’esistenza di valori umani e morali essenziali e nativi, che scaturiscono dalla verità stessa dell’essere umano, ed esprimono e tutelano la dignità della persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere, ma dovranno solo riconoscere, rispettare e promuovere».
Fonte: Avvenire, 17 giugno 2010
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IL DRAMMA DEL NOSTRO TEMPO SI CHIAMA PEDOFOBIA
Cosa ci si può attendere di buono da un’umanità che rifiuta i bambini come intrusi inquinanti e antieconomici?
Autore: Carlo Bellieni - Fonte: Tempi, 2 giugno 2010
Rovente dibattito sul Journal of Medical Ethics: “Fare figli è solo irrazionale o anche immorale”? Fior di filosofi quali Hayry, Bennett o Holm disputavano di recente tra queste due sponde con argomenti ferrei: “Far figli non dà vantaggi socioeconomici, dunque è irrazionale” dicevano gli uni, e gli altri rispondevano: “Ma ogni essere umano è destinato a soffrire, dunque farlo nascere è esporre un essere al dolore, cioè è immorale”. Non è fanta-filosofia, dato che erano davvero convinti delle loro affermazioni in cui l’ipotesi che far figli è un fatto naturale come respirare non era neanche accennato; fatto triste, ma da cui capiamo che il bambino è il vero “straniero” nel mondo di oggi. Non se ne fanno più. Quelli che nascono sono dei sopravvissuti al vaglio della diagnosi prenatale genetica di cui l’Italia ha il record mondiale: sette ecografie di media per gravidanza (ne basterebbero 1-2) e oltre 100.000 amniocentesi l’anno. Non si vedono più. Scomparsi dalle strade, per vedersi tra loro li ingabbiamo in “feste” e invece di giocare “fanno sport”. Una volta erano i padroni dei vicoli, oggi sono animali domestici che escono solo se il genitore ha tempo di scarrozzarli. Bambini cui è vietato toccare tutto - sporcarsi è follia - e questo li priva delle esperienze basilari e della prima prevenzione da allergie e infezioni; che non si possono permettere di sapere cosa è un fratello, un cugino, che non vedono più allevare i bambini più piccoli (le mamme non ne fanno più e ne parlano con spavento) e dunque non imparano ad allevarli quando toccherà a loro. Sono tutto tranne che “bambini”: “intrusi” finché non decidiamo che possono nascere, poi “bambolotti” da mostrare alle amiche, quindi “juke-box” dei desideri infantili frustrati dei genitori e infine degli “elisir di eterna giovinezza”… per noi vecchi. Perché al mondo ha cittadinanza solo chi può far a meno degli altri, e i bambini (così come gli anziani e i malati) non possono, dunque sono invisibili, valgono solo nella misura in cui ci scimmiottano o ci fanno far bella figura. E le famiglie con più figli sono guardate con sospetto, perché obbligano a fare i conti con i termini gratuità, o imprevisto, che sono al bando nella società occidentale governata da chi - come l’ONU - raccomanda di non far figli per prevenire il surriscaldamento globale (British Medical Journal novembre 2009). I bambini sono dei sovversivi: la società non li vuole. Si chiama pedofobia quest’avversione all’idea stessa di bambino, che fa trionfare la politica del figlio unico proprio come in Cina, solo che lì è un obbligo di legge, qui è un obbligo “sociale”, ma l’effetto (e la tragedia) è lo stesso. Nella società pedofobica il bambino si sente indesiderato: “Triste scoperta ragazzi, siamo facoltativi!”, scriveva Joaquin Lavado, e questa coscienza a detta di alcuni psichiatri genera una sorta di sindrome del sopravvissuto, per la quale si devono cercare sensazioni estreme per confermare di esser vivi e si sente un senso di colpa: io sono vivo, ma altri (mio fratello, mia sorella) non erano idonei e sono stati “respinti”… per far nascere me. Come dicono i sociologi, vivono di riflesso dei desideri dei genitori: in fondo, in maggioranza sono arrivati a nascere perché erano “graditi”. Questo non aiuta ad un equilibrato sviluppo affettivo, ma c’è dell’altro. I ragazzi hanno accesso a tutto il sesso del mondo, ma divieto assoluto non solo di fare ma anche di pensare a far figli; vivono in un mondo che impone una sessualità commerciale precoce, ma che anche impone di non fare famiglia, e li obbliga a giocare col loro corpo che non conoscono e li disturba (il corpo sta all’adolescente come una mosca al naso del gatto), castrati moralmente perché tutto impone di fare sesso ma assolutamente non fare figli. E nella società pedofobica gli adolescenti, che un tempo pensavano di trasgredire abortendo, la rivolta la fanno facendo figli: ed è il boom delle gravidanze teenager (nonostante i 6 milioni spesi dal governo inglese in prevenzione e preservativi gratis), a sfida degli adulti, come il gruppo di 17 amiche negli USA che hanno deciso di restare incinte (i padri sono anonimi) tutte insieme; ed è un fiorire nelle di programmi TV su questo tema, da Juno a “16 and pregnant” a “Vita segreta di una teenager americana”, segno di una sete di qualcosa che manca, di un equilibrio rotto. In una società pedofobica fiorisce la pedofilia, follia figlia di uno sviluppo affettivo alterato e del vedere il bambino come un oggetto. Un tempo ce n’era meno forse perché lo sviluppo affettivo non veniva danneggiato dal sentirsi “programmati” e non “voluti”, dalla censura della sola idea di procreare e far famiglia. C’era meno pedofilia soprattutto perché non si vedeva il bambino come un oggetto, un “prodotto”, un bene di consumo, una “scelta”, un “diritto”. Se ci sono dei mascalzoni criminali, dei malati mentali che portano questo alle estreme conseguenze, che li usano, li violentano, li fotografano, che siano insegnanti, preti, registi o altro, c’è forse da stupirsi? E si deve solo far scattare le manette o ripensare al tipo di messaggio che respiriamo ogni giorno rispetto ai rapporti più umani, quelli verso la vita? Non ci stupisce la pedofilia in un mondo in cui i figli sono progettati in base al colore degli occhi, scartati prima di nascere se hanno minime anomalie magari curabili, cioè se tutti li guardiamo come guardiamo un’auto o un vestito nuovo. Scriveva nel 1963 Bob Dylan: “Avete sparso la peggior paura: paura di mettere figli al mondo. Poiché insidiate il mio figlio non nato e senza nome, voi non meritate il sangue che scorre nelle vostre vene”; la pedofobia è il miasma che scaturisce da questa paura, dal rifiuto di quello che non è programmabile, di un “tu” – il bambino – che per definizione non si possiede. Nasce da me ma non è mio.
Fonte: Tempi, 2 giugno 2010
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IN DIFESA DELLE GLORIOSE CROCIATE
Il vero spirito del cristianesimo è combattere per la verità (ecco perché la Chiesa ha sempre rifiutato il pacifismo)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Il Foglio, 8 giugno 2010
L'irenismo ecumenico è una distorsione della dottrina della chiesa e della sua storia. Il vero spirito del cristianesimo è combattere per la verità e per difendere le radici che affondano nei secoli luminosi del medioevo "L'addio della chiesa allo spirito di crociata" è un refrain che ricorre da almeno quarant'anni e che condensa la concezione del mondo di un certo cristianesimo, che ha fatto del dialogo ecumenista il suo vangelo. Questa visione si basa su di una distorsione storica e su di un'altrettanto grave deformazione della dottrina della chiesa. Nel caso dell'articolo di Giancarlo Zizola su Repubblica del 7 giugno, si aggiunge a ciò un impervio tentativo di attribuire allo stesso Papa regnante questo slittamento storico e dottrinale. Benedetto XVI, come egli disse nella sua prima udienza del 27 aprile 2005, ha assunto questo nome, non solo in onore di Benedetto XV, ma anche e soprattutto per evocare la straordinaria figura del grande "Patriarca del monachesimo occidentale", san Benedetto da Norcia, che "costituisce un fondamentale punto di riferimento per l'unità dell'Europa e un forte richiamo alle irrinunciabili radici cristiane della sua cultura e della sua civiltà". Ma quali sono quelle radici cristiane che, secondo Benedetto XVI, come per il suo predecessore Giovanni Paolo II, non solo i cattolici, ma anche i laici, hanno il diritto e il dovere di difendere? Queste radici, o se si preferisce, i frutti di queste radici, sono sotto i nostri occhi: sono cattedrali, monumenti, palazzi, piazze, strade, ma anche musica, letteratura, poesia, scienza, arte. Questa visibile mappa della memoria è impressa nel codice genetico della nostra civiltà. Ebbene le crociate fanno parte, come le cattedrali, del paesaggio spirituale europeo e ne esprimono la stessa concezione del mondo. Lo storico dell'arte Erwin Panofsky ha studiato il rapporto tra le vetrate gotiche e la filosofia scolastica, sottolineando come la luminosità delle cattedrali medievali corrisponda alla trasparenza di pensiero di opere come la "Somma Teologica" di san Tommaso d'Aquino (Erwin Panofsky, "Architettura gotica e filosofia scolastica"). Dall'epopea delle crociate traspare – potremmo aggiungere – la stessa luminosità, la stessa diafana bellezza, lo stesso slancio verso l'alto, la stessa forza creatrice, delle opere di san Tommaso d'Aquino e di Dante. Anche le crociate fanno parte di quel patrimonio di valori che, come scriveva Giovanni Paolo II, sono derivati dal Vangelo e si sono sviluppati in coerenza con esso ("Memoria e identità"). "I capolavori artistici nati in Europa nei secoli passati sono incomprensibili se non si tiene conto dell'anima religiosa che li ha ispirati (…)" – ha affermato ancora Benedetto XVI (udienza generale del 18 novembre 2009). Lo stesso potrebbe dirsi delle crociate, che hanno inciso nei campi di battaglia della Palestina quella stessa scala di valori che gli architetti infondevano in quegli anni nella pietra delle cattedrali. Né le crociate, né le cattedrali possono essere comprese da chi ignora il modo di pensare, e soprattutto, la fede vissuta, che animava i loro artefici. Nella cattedrale il popolo cristiano si raccoglieva attorno a un sacerdote che, celebrando la Messa su di un altare rivolto a oriente, rinnovava in maniera incruenta il mistero stesso del cristianesimo: l'Incarnazione, Passione e morte di Gesù Cristo. Nelle crociate, questo stesso popolo prendeva le armi per liberare la Città Sacra di Gerusalemme, caduta nelle mani dei maomettani. La tomba vuota del Santo Sepolcro era, con la Sindone, la testimonianza viva della Resurrezione e la reliquia più preziosa della cristianità. La prima crociata fu predicata come meditazione all'appello di Cristo che dice: "Chi vuole venire dietro di me rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt. 16, 21-27). Quella stessa Croce, attorno a cui si riuniva il popolo delle cattedrali, era impressa sulla veste dei crociati ed esprimeva l'atto con cui il cristiano si diceva disposto ad offrire la propria vita, per il bene soprannaturale del prossimo, impugnando le armi. Lo spirito delle crociate era, e rimane, lo spirito stesso del cristianesimo: l'amore al mistero incomprensibile della Croce. Il professor Jonathan Riley-Smith, caposcuola del rinnovamento degli studi sulle crociate, riferendosi a coloro che avevano risposto all'appello della prima crociata, afferma che essi erano "infiammati dall'ardore della carità", e alla carità, all'amor di Dio, fa risalire la motivazione profonda di questa impresa. Offrire la propria vita è infatti la più grande forma di amore e il più perfetto atto di carità, poiché ci fa perfetti imitatori di Gesù secondo le parole del Vangelo, secondo cui "nessuno ha più grande amore di colui che dà la sua vita per Lui e per i suoi fratelli" (Gv. 3, 16; 15, 13). Solo l'amore, riassunto dal sacrificio di Cristo sulla Croce, è in grado di sconfiggere la morte, che è la suprema sofferenza fisica, e il peccato, che è il supremo male morale. Tale spirito e stato d'animo, abbondantemente documentato dalle fonti, non sorge come un fiume limaccioso dall'inconscio collettivo dell'occidente, ma dall'atto libero di singoli uomini che nei secoli luminosi del medioevo rispondono ad un appello che si rivolge alla loro coscienza. La risposta a questo appello può essere considerata una "categoria dello spirito" che non tramonta. L'idea di crociata infatti non è solo un evento storico circoscritto al medioevo, ma è una costante dell'animo cristiano che nella storia conosce momenti di eclissi, ma che sotto diverse forme è destinata a riaffiorare. Espungere l'idea di crociata dalla propria "piattaforma programmatica" significa espungere l'idea stessa del combattimento cristiano. L'insegnamento che la vita spirituale è lotta è particolarmente svolto nelle lettere di san Paolo dove si trovano in molti luoghi metafore e immagini tratte dalla vita del guerriero; l'Apostolo spiega come la vita del cristiano sia un bonum certamen che va combattuto "da buon soldato di Gesù Cristo" (II Tim. 2, 3). "Spogliamoci – egli dice – dalle opere delle tenebre e indossiamo l'armatura della luce" (Rom. 13, 12); "Rivestitevi dell'armatura di Dio per potere resistere agli assalti del diavolo (…). State dunque cinti della verità, rivestiti della lorica della giustizia, calzati della saldezza del Vangelo della pace, impugnando lo scudo della fede, col quale potrete estinguere i dardi infuocati del Maligno, prendere l'elmo della salvezza e il gladio dello spirito, che è la parola di Dio" (Ef. 6, 11, 14-17). Lo spirito di crociata e quello del martirio hanno una comune origine in questa dimensione profonda del combattimento spirituale. Il martirio, come ogni sofferenza, presuppone il combattimento. La vita stessa di Gesù Cristo può essere considerata come un costante combattimento contro l'insieme delle forze ostili al Regno di Dio: il peccato, il mondo e il demonio. Che la vita del cristiano sia una lotta è uno dei concetti che più spesso risuona nel Nuovo Testamento dove si legge: "Non sarà coronato se non colui che avrà legittimamente combattuto" (II Tim. 2, 5). Il Vangelo del resto, nel suo significato originario, è annuncio di vittoria militare, in questo caso la vittoria di Cristo sul male e sulle potenze delle tenebre. Perché la chiesa non può abbandonare lo spirito di crociata? Molto semplicemente perché non può rinnegare la propria storia e la propria dottrina. La storia delle crociate non è una appendice insignificante della storia della chiesa, ma si intreccia strettamente con la storia del papato. Le crociate non sono legate a un singolo Papa, ma ad una storia ininterrotta di pontefici, per lo più santi, dal Beato Urbano II, che promulgò la prima crociata, a san Pio V e al Beato Innocenzo XI, che promossero "leghe sante" contro i Turchi a Lepanto, Budapest e Vienna, tra il XVI e il XVII secolo. Non è ignoto agli storici che, ancora nel XX secolo, Pio XII studiò la possibilità di bandire una "crociata" anticomunista dopo la rivolta di Ungheria nel 1956. A quella dei Papi, si aggiunge la testimonianza dei santi, a cominciare da Luigi IX, il re crociato per eccellenza, che con Giovanna d'Arco, anch'essa a suo modo "crociata", è patrono della Francia, la "figlia primogenita della chiesa". Contrapporre a queste figure il nostro san Francesco denota, se non malafede, una notevole misconoscenza storica. La più attendibile fonte che abbiamo del viaggio di Francesco è la testimonianza del suo compagno, frate Illuminato, che ci racconta come il santo difese l'opera dei crociati e propose al Sultano la conversione. E come dimenticare le legioni di francescani che si unirono, nei secoli ai crociati, a cominciare da san Giovanni da Capestrano (1386-1456), predicatore della grande crociata del XV secolo, culminata con la liberazione di Belgrado? Al nome di san Francesco dovremmo affiancare quello di santa Caterina da Siena, patrona d'Italia e Dottore della chiesa di cui in un recente saggio Massimo Viglione ha mostrato l'animo profondamente "crociato" ("L'idea di crociata in Santa Caterina da Siena"). A Lei potremmo aggiungere un altro dottore di sesso femminile, questa volta contemporaneo, santa Teresina del Bambin Gesù, che in una pagina toccante, rivolgendosi a Gesù, afferma di voler "percorrere la terra, predicare il tuo nome, e piantare sul suolo infedele la tua Croce gloriosa", riunendo in un'unica vocazione quelle dell'apostolo, del crociato, del martire. "Sento – ella scrive – la vocazione di Guerriero, di Sacerdote, di Apostolo, di Dottore, di Martire; insomma, sento il bisogno, il desiderio di compiere per te, Gesù, tutte le opere più eroiche. Sento nella mia anima il coraggio di un Crociato, di uno Zuavo Pontificio: vorrei morire su un campo di battaglia per la difesa della Chiesa…". E il 4 agosto 1897, sul letto di morte, rivolgendosi alla Superiora, mormora: "Oh, no, non avrei avuto paura di andare in guerra. Per esempio, ai tempi delle crociate, con quale felicità sarei partita per combattere gli eretici" ("Storia di un'anima", in "Opere complete"). La chiesa non ha mai professato il pacifismo. Il combattimento cristiano, che è prima di tutto un atteggiamento spirituale, ma che comprende la possibilità della legittima difesa, della guerra giusta e perfino della "guerra santa", appartiene alla più pura tradizione cattolica. Chi professa l'ecumenismo e il pacifismo a oltranza dimentica che esistono mali più profondi di quelli fisici e materiali, e confonde le conseguenze rovinose della guerra sul piano fisico, con le sue cause, che sono morali e risalgono alla violazione dell'ordine, in una parola a quel peccato che solo può essere sconfitto dalla Croce. Il mondo moderno, che è immerso nell'edonismo e ha perso la fede, giudica come mali, e come mali assoluti, solo quelli fisici, dimenticando che il male e il dolore accompagna inevitabilmente la vita dell'uomo, spesso elevandola. Lo spirito delle crociate e di Lepanto ci trasmette un messaggio di fortezza cristiana che è disposizione d'animo a sacrificare i beni terreni, di fronte a beni più alti, quali la giustizia, la verità, l'avvenire della nostra civiltà. Oggi il nemico che minaccia la chiesa e l'occidente è l'attitudine mentale di chi ritiene che sia finito il tempo di Lepanto e delle crociate e allo spirito del combattimento cristiano contrappone una visione del mondo secondo la quale nulla esiste di assoluto e di vero, ma tutto è relativo ai tempi, ai luoghi e alle circostanze. E' questo il relativismo denunciato da Giovanni Paolo II quando nelle sue encicliche "Splendor Veritatis" ed "Evangelium Vitae" parla di quella "confusione del bene e del male, che rende impossibile costruire e conservare l'ordine morale dei singoli e delle comunità" (SV n. 93). La battaglia contro il relativismo in difesa delle radici cristiane della società, a cui ha chiamato Giovanni Paolo II e oggi invita Benedetto XVI, è una battaglia in difesa della nostra memoria storica, senza la quale non c'è identità nel presente, perché è sulla memoria che si fonda l'identità degli uomini e dei popoli. Ma le radici cristiane non appartengono solo alla memoria o alla storia: esse sono viventi perché il Crocifisso, che le riassume, non è solo un simbolo storico e culturale, ma è una fonte attuale e perenne di verità e di vita, di sofferenza e di lotta. La chiesa ha nemici, anche se noi tendiamo a dimenticarlo perché abbiamo perso quella concezione militante della vita cristiana, fondata sulla Croce, che ha sempre caratterizzato il cristianesimo. La perdita di questo spirito militante è la conseguenza dell'edonismo e del relativismo in cui sono immersi purtroppo anche molti uomini di chiesa. Benedetto XVI ha parlato spesso di minoranze "creative"; potremmo aggiungere "militanti", perché quella in corso è una guerra culturale e morale in cui ci si affronta in termini di principi di concezioni del mondo. La storia del resto è fatta da minoranze militanti e anche Zizola appartiene a una di esse. Si può militare per il bene o per il male, in un campo o nell'altro, ma solo chi milita lascia il suo segno nelle vicende storiche. Non si illuda Zizola: si può e si deve sfuggire, per quanto possibile, allo scontro delle armi, ma non si può sfuggire allo scontro delle idee. Egli stesso ne brandisce una come una clava che vorrebbe abbattere sulle teste dure dei cristiani fondamentalisti o "lepantiani". D'altra parte, le idee che non si scontrano, non si "incontrano", ma si fondono, formando a loro volta nuove idee all'insegna dell'indifferentismo e del sincretismo. La chiesa è una società soprannaturale che ha la missione di annunciare una Verità salvifica e liberatrice. Essendo un'istituzione immersa nel mondo si serve, come è giusto, anche di strumenti politici e diplomatici, ma la politica per lei è mezzo, mai fine. Giuliano Ferrara nel Foglio del 7 giugno lo ha ben visto. Non bisogna confondere un viaggio diplomatico, come è stato quello recente del Papa a Cipro, con il messaggio teologico e spirituale che la chiesa ha il dovere di annunziare. Nell'omelia a Nicosia, il 5 giugno, Benedetto XVI ha peraltro sottolineato che il legno della Croce non è semplicemente un simbolo privato di devozione, non è un distintivo di appartenenza a qualche gruppo all'interno della società, ma è un segno di speranza, di amore, di vittoria. "Un mondo senza Croce – ha detto – sarebbe un mondo senza speranza". Anche un mondo senza spirito di crociata sarebbe un mondo senza speranza, perché significherebbe la rinunzia alla lotta per fare della Croce la salvezza di un mondo in rovine.
DOSSIER "LE GLORIOSE CROCIATE" Tutto quello che ci hanno insegnato è falso Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: Il Foglio, 8 giugno 2010
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IO, OMOSESSUALE, OFFRO LA VITA A CRISTO
E ringrazio il Papa e la Chiesa Cattolica
Fonte Avvenire, 30/04/2010
Gentile direttore, nel vero e proprio tsunami di accuse alla Chiesa sollevato in queste settimane, più volte e da diverse voci (alcune delle quali si pavoneggiano da artisti raffinati e liberi critici del pattume mediatico, ma finiscono a spaccare le noci di cocco in un isola davanti ad una telecamera) si è levata l’accusa alla Chiesa di essere omofoba, un’accolita di omosessuali repressi i quali da una parte sfogano le loro inconfessate attrazioni perseguitando chi queste le viva senza i loro complessi, e dall’altra coltivano nel segreto una ricerca del piacere che spesso esplode in violenze nei confronti dei piccoli e degli inermi. Non ho la pretesa, da laico, di affrontare la questione nella sua vastità e complessità. In questo senso mi limito ad esortare ciascuno, quale che sia la sua posizione o credo, a leggere la lettera del Santo Padre ai vescovi e fedeli d’Irlanda, facilmente reperibile su Internet. Lì troverà verità, giustizia e misericordia, come nessun altro sulla terra è in grado di proporre, in risposta ai tanti interrogativi ed aneliti che la vicenda suscita in ogni cuore desto. Come testimonianza personale mi soffermo su un solo aspetto, che tuttavia interroga il cuore di molte persone:non è vero che a una persona omosessuale restino solo due opzioni davanti alla Chiesa: una sorta di repressione mutilatrice, oppure l’adesione a uno stile di vita «gay». Entrambe queste strade fanno a meno dell’unica cosa che conta, lo sguardo di Gesù, che ci raggiunge ogni giorno da duemila anni. Chi scrive per anni ha vissuto relazioni omosessuali, e non si trattava di incontri furtivi e vergognosi, giacché all’epoca non ero cristiano. Ma ero triste, disperatamente triste perché, nonostante l’apparente appagamento delle relazioni, mi era chiaro come quello che davvero desideravo io non lo stessi trovando. L’abbraccio che cercavo, l’unione cui aspiravo non si trovava mai. Un anno fa scrissi queste parole al vostro giornale, e mi permetto di ripeterle qui: tutte le forme di disordine e di peccato attingono la loro forza da un’ultima, magari inconfessata disperazione: la disperazione che l’amore vero e totale non ci sia, che non sia possibile amare ed essere amati, e allora che noi lo si debba afferrare alle condizioni e con i mezzi di cui disponiamo. Questo ci riguarda tutti, quale che sia la nostra storia o difficoltà: tutti siamo feriti, tutti abbiamo bisogno di un amore che ci guarisca e ci colmi di pace vera. Quando ho incontrato lo sguardo di Cristo vivo nella Chiesa, lì ho scoperto quanto desideravo anche nei momenti più confusi del mio passato. Lì mi sono scoperto amato e abbracciato come mai avrei creduto possibile; mi sono sorpreso capace di amare chi già mi era caro, con una libertà, una forza, una profondità che era sempre sfuggita ai miei tentativi anche più determinati. Da allora ho deciso di dargli tutto, tutta la mia vita, tutto il mio cuore, nella quotidianità della mia esistenza, del mio lavoro, dei miei affetti. L’ho fatto per stare ogni giorno sotto il suo sguardo, e poterlo portare a coloro che mi sono cari. È questa la strada silenziosa di tante persone, in una declinazione di modi che varia da storia a storia. Talvolta il confronto con una sana psicologia autenticamente cattolica, che consideri l’uomo nella sua integrità, può essere utile per avere un quadro più chiaro della propria condizione e decidere liberamente cosa farne. Molti hanno trovato guarigione e pace nell’amore di una ragazza, con la quale si sono felicemente sposati; altre persone si fanno carico di questa condizione offrendola a Gesù nella verginità, sostenute dall’abbraccio del Signore nei sacramenti e in quel meraviglioso «ottavo sacramento» che, come diceva san Tommaso Moro, è costituito dall’amicizia vera e dall’affetto di tante persone. Questa è la mia offerta, il modo di essere povero davanti a Lui. Certo non mancano i momenti di difficoltà e confusione, le battaglie, le sofferenze, ma è così per ogni percorso di crescita nell’amore vero, si sia eterosessuali o omosessuali. Dal non censurare questo dolore è venuto anche tutto il vero bene della mia vita, perché ho potuto e posso ogni giorno incontrare Lui. Attraverso questo cammino quotidiano, le sue prove e le sue gioie e tante sorprese oggi sono me stesso, come non avrei neppure potuto sognare anni fa. Chiunque si trovi a fronteggiare difficoltà simili alle mie, sappia che con Gesù è davvero possibile amare ed essere amati. In un mondo e un clima culturale per il quale non esistono «ferite», e dove la libertà coincide con lo scrollarsi questi «pesi obsoleti» di dosso per seguire ciò che è facile e comodo, io rivendico il diritto di dire che sento la mia condizione come una ferita, di vivere una condizione che a volte può anche dolermi molto, ma che mi permette ogni giorno di mendicare l’unica cosa di cui abbiamo bisogno tutti: gli occhi vivi di quel Volto regale che tanti hanno modo di poter fissare a Torino. Egli ci conosce e ci ama. Egli ha attraversato la porta del dolore, della ferita e dell’infamia e l’ha fatta diventare porta dell’amore e della fiducia. Vale la pena andargli dietro: ogni giorno il paesaggio si spalanca un poco di più, perché Gesù ci porta sempre ai confini di noi stessi e ci fa scoprire qualcos’altro del Suo amore infinito. Non c’è cosa più bella che camminare con Lui, amare con Lui e farsi amare in Lui da tante persone che hanno abbracciato la mia vita, e nel cui sguardo io mi sono scoperto «visto» davvero, dentro e oltre la mia storia, nel mio valore unico e irriducibile. Questa mia lettera è anche il mio commosso ringraziamento al Santo Padre, che ogni giorno guida con coraggio e amore il popolo cristiano in un cammino nel quale ciascuno diventa sempre più se stesso e dove tutti gli aneliti più profondi del cuore trovano davvero risposta.
Fonte: Avvenire, 30/04/2010
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OMELIA PER LA XV DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 10,25-37)
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per l'11 luglio 2010)
Chi da Gerusalemme scende a Gerico si accorge subito di una cosa: che vi è un grande dislivello tra le due città. Gerusalemme è in montagna, mentre Gerico è in una depressione al di sotto del livello del mare. Questo non è un particolare di poca importanza. Gerusalemme è come il simbolo del Paradiso e della felicità di lassù; Gerico è il simbolo del male, del peccato. Gesù, raccontando questa parabola, voleva far comprendere che l’uomo che scendeva da Gerusalemme verso Gerico e che incappò nei briganti che lo depredarono, è l’umanità che cadde in peccato con Adamo ed Eva e che divenne preda del diavolo. Gesù è il Buon Samaritano che venne per salvare l’uomo decaduto e per ridonargli la dignità perduta. Questo è il primo e il più importante degli insegnamenti che ricaviamo dalla lettura di questa parabola. Se non fosse stato per Gesù e per la sua immensa carità, noi tutti giaceremmo ancora nel peccato. Con il peccato originale, l’uomo ha perso tutto o quasi. Ha perso l’amicizia con Dio, la sua grazia. Anche la natura è rimasta ferita: con il peccato originale è subentrata la sofferenza e la morte. Solo Gesù, il Buon Samaritano, poteva redimerci dal peccato e ridarci la vita. Gesù ha avuto compassione di noi (cf Lc 10,37) ed è disceso fino a noi per portarci di nuovo alla Gerusalemme di lassù. Egli ha fasciato le nostre ferite e si è preso cura di noi (cf Lc 10,34). Gesù continua a prendersi cura di noi. Egli si prende cura di noi per mezzo dei suoi sacerdoti e grazie ai Sacramenti da loro amministrati. Il sacerdote quando celebra la Messa e quando ci assolve dai nostri peccati è Gesù stesso che fascia le nostre ferite e ci ridona la salute dell’anima. Da parte nostra dobbiamo accostarci con fede al Sacramento della confessione e alla Comunione Eucaristica. Anche noi, però, dobbiamo prenderci cura dei nostri fratelli ed essere per loro dei “buoni samaritani”. Il brano del Vangelo di oggi ci insegna anche a praticare la virtù della carità, che è la regina delle virtù. C’è un particolare che deve farci molto riflettere. Passò un sacerdote e non si fermò; passo un levita e andò via diritto; solo un samaritano ebbe compassione del malcapitato incappato nei briganti e si prese cura di lui. I samaritani erano considerati come degli stranieri con i quali non bisognava aver a che fare. Questo ci insegna che la carità, a volte, la troveremo non tanto dai vicini, ma dai più lontani, da quelli con i quali non volevamo aver nulla da spartire. Dio permette questo per piegare il nostro orgoglio e la nostra presunzione. Facciamo dunque un esame di coscienza e vediamo se siamo stati anche noi come quel sacerdote o come quel levita e domandiamone perdono. È molto facile accorgersi di tanti altri peccati, ma dei peccati contro la carità, chissà perché, è sempre difficile rendersene conto. Tante volte “andiamo oltre” anche noi come quel sacerdote e quel levita e non ci accorgiamo di chi è nel bisogno. Si manca di carità in tanti modi: nel pensare, nel giudicare, nel parlare che tante volte è uno sparlare; si manca di carità anche senza dire parole, basta solo un atteggiamento del volto per dimostrare il nostro disprezzo per il fratello che ci è davanti; si manca di carità chiudendo il nostro cuore di fronte alle sventure del prossimo, non volendoci pensare e non volendo quindi fare ciò di cui abbiamo la possibilità. Questi ultimi sono tutti peccati di omissione. I peccati di omissione sono molti, ma la cosa più brutta è che, il più delle volte, nemmeno ce ne accorgiamo. Chiediamo alla Madonna che ci ottenga dal Signore la grazia di aprire bene i nostri occhi per renderci conto finalmente della nostra durezza di cuore. Chiediamo la grazia di diventare anche noi dei “buoni samaritani”, sempre pronti a soccorrere il nostro prossimo e a prenderci cura di lui.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per l'11 luglio 2010)
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