BastaBugie n�901 del 27 novembre 2024
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IL DOGMA DEL PATRIARCATO
Chiunque neghi l'esistenza del patriarcato viene guardato come se avesse osato negare la Shoah... eppure ci sono ragioni valide per farlo
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radio Roma Libera
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COP29, SOLITO FLOP: SI PARLA DI CLIMA MA SI TRATTA SUI SOLDI
L'emergenza climatica è il pretesto della Conferenza sul clima per favorire la speculazione finanziaria offrendo 300 miliardi di dollari ai Paesi in via di sviluppo
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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LA BUFALA DEL GENOCIDIO DI ISRAELE A GAZA SMASCHERATA ANCHE DALL'ONU
La malafede dei media: 8.000 vittime sono tante (anche solo 8 sono comunque troppe), ma la differenza con i numeri della propaganda palestinese (42.000) è eclatante
Autore: Stefano Magni - Fonte: Sito di Nicola Porro
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I MIRACOLI SERVONO A RICONOSCERE LA PRESENZA DI DIO
Sono proprio i miracoli ad attestare la divinità di Gesù, del resto la Scrittura ne è piena... eppure c'è chi pensa che per risultare credibili i cristiani dovrebbero metterli da parte
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: La Bussola Mensile
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L'ELEZIONE DI TRUMP HA CAMBIATO LA POLITICA AMERICANA (E MONDIALE)
Gli elettori hanno rifiutato il woke, l'immigrazione clandestina, il transgenderismo e la politica economica socialista che ha provocato l'inflazione
Autore: John Horvat - Fonte: Tradizione Famiglia Proprietà
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ORA DI RELIGIONE, LA CEI PROGETTA IL RITIRO (IN NOME DEL PLURALISMO)
La Commissione per l'ecumenismo della Cei toglie alla Chiesa la sua missione di Maestra: triste epilogo dell'equivoca storia dell'Insegnamento della Religione Cattolica (IRC)
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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OMELIA I DOM. AVVENTO - ANNO C (Lc 21,25-28.34-36)
I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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IL DOGMA DEL PATRIARCATO
Chiunque neghi l'esistenza del patriarcato viene guardato come se avesse osato negare la Shoah... eppure ci sono ragioni valide per farlo
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radio Roma Libera, 24 novembre 2024
Il "fantasma del patriarcato" è il tema di un editoriale del quotidiano "Il Messaggero" pubblicato il 24 novembre a firma del sociologo Luca Ricolfi. Scrive Ricolfi: "Chiunque neghi l'esistenza del patriarcato viene guardato con stupefatto rimprovero, come se avesse osato negare la Shoah. La ragione è semplice: siamo stati talmente martellati dalla tesi che la violenza sulle donne dipende dalla sopravvivenza del patriarcato che, per molti, negare il patriarcato suona come negare la violenza sulle donne. Eppure, se lasciamo per un attimo gli ardori ideologici dei credenti nel patriarcato, e ci concediamo il minimo sindacale di lucidità, non possiamo non vedere le ottime ragioni dei negazionisti. Che sono tante e solidissime. La più importante è che, a parte alcune specifiche enclave (...) nelle società occidentali sono scomparsi quasi interamente i tratti distintivi delle società patriarcali: il potere dispotico del capofamiglia, il matrimonio combinato, la sottomissione dei figli (anche dei figli maschi) all'autorità genitoriale, più in generale il primato dei doveri sui diritti in quasi ogni campo della vita sociale (lavoro, famiglia, guerra). Il processo è durato secoli, ma ha avuto due impulsi fondamentali: l'ascesa del matrimonio d'amore fra Settecento e Ottocento, in epoca romantica, e le rivoluzioni libertarie e anti-autoritarie degli studenti e delle donne negli anni '60 e '70 del Novecento. Un aspetto fondamentale di questi processi è l'evaporazione della figura del padre, e più in generale di ogni autorità, tempestivamente annunciata da Alexander Mitscherlich con il suo libro Verso una società senza padre (Feltrinelli 1972), uscito in lingua tedesca fin dal 1963. Su questo, fra i sociologi, gli psicologi sociali e gli psicoanalisti sussistono ben pochi dubbi".
LA FIGURA DEL PADRE È SCOMPARSA A questo punto il prof. Ricolfi pone un'ovvia domanda: come si fa a parlare di società patriarcale, quando la figura del padre è scomparsa non solo nella famiglia, ma più in generale nella società? La risposta è questa: "l'ipotesi che dovremmo prendere seriamente in considerazione è che la violenza di cui le donne sono vittime sia semmai il risultato - controintuitivo e paradossale - della sconfitta del patriarcato. Sono sempre più numerose le voci che attirano l'attenzione sul fatto che potrebbero essere proprio le grandi conquiste di libertà e di autonomia delle donne negli ultimi 50 anni, combinate con il crescente individualismo, consumismo, ipertrofia dei diritti - tutti tratti tipici del nostro tempo - ad avere reso gli esautorati maschi sempre più aggressivi, insicuri, fragili, possessivi, e in definitiva incapaci di reggere la minima sconfitta, o di accettare un semplice rifiuto. Insomma: l'odierno maschilismo sarebbe anche una sorta di contraccolpo a conquiste delle donne per cui i maschi non erano pronti, né disposti a farsi da parte. La violenza maschile non sarebbe il segno della sopravvivenza del patriarcato, ma semmai della sua agonia, e del disordine che da quest'ultima deriva". Non c'è da stupirsi dunque di quello che Ricolfi chiama il "paradosso nordico", ovvero "il fatto - a prima vista sorprendente - che la violenza sulle donne, dagli stupri ai femminicidi, sia maggiore nei paesi più civilizzati (come quelli scandinavi) e che un paese come l'Italia, in cui il gender gap è ancora relativamente ampio, sia fra i meno insicuri del continente europeo".
LA CULTURA ANTI-PATRIARCALE E ANTI-MASCHIO È esattamente la conferma, proveniente da un sociologo, di quanto scrivevamo su RadioRomaLibera, un anno fa, il 2 dicembre 2023, commentando la profonda crisi di identità, che si è avuta in seguito alla distruzione del modello sociale del patriarcato: "Il cosiddetto femminicidio non è frutto della vecchia cultura patriarcale, ma della nuova cultura anti-patriarcale, che confonde le idee, fragilizza i sentimenti, destabilizza la psiche, privata di quel sostegno naturale che, fin dalla nascita, offriva la famiglia, con suoi punti di sicurezza, paterni e materni. L'uomo è solo con i suoi incubi, le sue paure, le sue angosce, sull'orlo di un abisso: l'abisso del vuoto in cui si precipita quando si rinuncia ad essere ciò che si è, quando si abbandona la propria natura immutabile e permanente di uomo, di donna, di padre, di madre, di figlio". "E se tutti parlano di femminicidio, - aggiungevamo - nessuno parla di un crimine ben più esteso e diffuso: quello di infanticidio, commesso ogni in giorno in Italia, in Europa e nel mondo, da padri e madri che esercitano la massima delle violenze contro il proprio figlio innocente, prima ancora che egli veda la luce". L'articolo di Ricolfi ha preso spunto dalla "Giornata internazionale contro la violenza sulle donne", celebrata il 25 novembre di ogni anno. A Roma il giorno prima si è tenuta una manifestazione nazionale contro la violenza delle donne nel corso della quale sono stati scanditi slogan femministi, tra i quali "Disarmiamo il patriarcato", ed è stata bruciata una immagine del ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Valditara, colpevole di aver affermato, in un videomessaggio alla presentazione alla Camera dei deputati della Fondazione dedicata a Giulia Cecchettin, che il patriarcato non esiste più in Italia e "l'incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale". Invitato a commentare queste dichiarazioni alla trasmissione Piazzapulita, sul canale La7, il prof. Ricolfi ha ribadito che il patriarcato, scomparso dalla società occidentale, oggi esiste solo nelle famiglie di immigrati: Noi aggiungiamo: come grottesca e violenta caricatura islamica del modello di patriarcato cristiano e occidentale. Più che di patriarcato bisognerebbe parlare in questo caso di forme di maschilismo islamico altrettanto selvaggio del femminismo occidentale. Ringraziamo il ministro Valditara e il prof. Ricolfi, per avere rotto il silenzio del politicamente corretto, ricordando una verità che è sotto gli occhi di chiunque la voglia vedere.
PER DIFENDERE LE DONNE DOBBIAMO TORNARE AL PATRIARCATO L'assassino di Giulia Cecchettin non è causato dal patriarcato, ma dal '68, relativista e femminista (se invece la moglie rispetta il marito e i figli rispettano i genitori, la donna non è uccisa, ma amata e rispettata) di Roberto De Mattei https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7623
DOSSIER "FEMMINICIDIO" L'emergenza che non esiste Per vedere articoli e video, clicca qui!
Fonte: Radio Roma Libera, 24 novembre 2024
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COP29, SOLITO FLOP: SI PARLA DI CLIMA MA SI TRATTA SUI SOLDI
L'emergenza climatica è il pretesto della Conferenza sul clima per favorire la speculazione finanziaria offrendo 300 miliardi di dollari ai Paesi in via di sviluppo
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 25 novembre 2024
La transizione energetica a tappe forzate è un flop, e i soldi non ci sono. Questa è la triste realtà che spiega l'ennesimo fallimento dell'annuale Conferenza delle Parti (Cop, si tratta dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici), arrivata quest'anno alla 29esima edizione, appena conclusasi a Baku (Azerbaigian), con due giorni di ritardo rispetto al previsto, proprio per la difficoltà a trovare qualsiasi intesa. Alla fine un accordo si è trovato sulla cifra che dai Paesi sviluppati deve trasferirsi verso i Paesi in via di sviluppo: 300 miliardi di dollari l'anno entro il 2035, vale a dire il triplo di quanto si era già deciso in precedenza. Ma si tratta di un accordo che salva la faccia, non la sostanza. Anzitutto perché i 300 miliardi di dollari vanno ancora trovati: i Paesi sviluppati si fanno essenzialmente promotori di questa ricerca di fondi «da una larga varietà di fonti, pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, incluse fonti alternative». Ma soprattutto la cifra è nettamente inferiore a quanto ritenuto giusto e richiesto dai Paesi più poveri: alla vigilia della Cop29 si parlava di cifre che andavano dai mille miliardi l'anno e svariate migliaia di miliardi; e dopo settimane di duri negoziati il gruppo dei G77+Cina (che comprende la maggior parte dei Paesi di America Latina, Africa e Asia) era arrivato a indicare i 500 miliardi di dollari come la linea invalicabile sotto la quale non si poteva scendere. Alla fine però si sono dovuti accontentare di un accordo sui 300 miliardi di dollari, che però è stato duramente contestato dall'Alleanza delle Piccole Isole Stato (AOSIS nell'acronimo in inglese) e dai Paesi meno sviluppati (LDC), le cui delegazioni a un certo punto hanno anche abbandonato la stanza dei negoziati. E il rappresentante dell'India ha fortemente criticato la cifra «terribilmente scarsa», che rende impossibile «l'azione climatica necessaria per la sopravvivenza del nostro Paese». Proprio quest'ultima presa di posizione dà l'idea del corto circuito che si è creato nel mondo assumendo le emissioni di CO2 come criterio fondamentale anche per le relazioni finanziarie. Nel negoziato infatti una delle richieste dei Paesi sviluppati era quello di inserire i Paesi che fanno parte del gruppo allargato dei BRICS tra i soggetti che devono alimentare il fondo "di risarcimento" a favore dei Paesi poveri; Cina, India, Brasile e gli altri si concepiscono invece come Paesi in via di sviluppo, danneggiati, e perciò destinatari dei fondi. Il fatto è che la Cina è il Paese che in assoluto emette più CO2, il 31% circa del totale; e subito dopo gli Stati Uniti (13,5%) c'è proprio l'India (7,3%) al terzo posto. E l'India è quella che sta registrando l'aumento più rapido delle emissioni: raddoppiate nel corso degli ultimi 15 anni, promette - di pari passo con lo sviluppo e la necessità di energia - di moltiplicarle ancora nei prossimi anni; basti pensare che la principale fonte di energia elettrica dell'India è il carbone (70% del mix elettrico), con una capacità produttiva quadruplicata negli ultimi 5 anni, che progetta di ulteriormente raddoppiare da qui al 2032. In altre parole, la situazione creatasi è talmente paradossale che Unione Europea e Stati Uniti dovrebbero finanziare anche Paesi come Cina e India che da sole fanno quasi il 40% delle emissioni globali e che per il loro sviluppo fanno ampio ricorso a fonti energetiche che da noi sono diventate tabù. E proprio mentre i rigidi obiettivi "verdi" abbracciati dall'Unione Europea - e solo dall'Unione Europea - stanno mettendo in crisi sia l'industria sia l'agricoltura. Il caso della crisi dell'industria automobilistica è lì a dimostrarlo. Unione Europea che tra l'altro rischia di rimanere sola visto che con la presidenza Trump gli Stati Uniti hanno già annunciato di uscire dagli Accordi di Parigi (2015) di cui anche questo piano finanziario è figlio. È sempre più evidente che tutta la faccenda delle politiche climatiche si sta riducendo a una mega-operazione finanziaria: trasferimento e speculazione. Sulla base dell'esistenza di una presunta emergenza climatica, di cui sarebbero responsabili i Paesi ricchi a danno di quelli poveri, si stanno mettendo in atto piani e politiche di risarcimento che prevedono il trasferimento di somme ingenti dai Paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo, come appunto previsto dall'accordo di Baku. Dall'altra parte si estende a livello globale, sotto l'egida dell'ONU, il mercato del carbonio, che già funziona nell'Unione Europea (previsto dagli accordi di Parigi, in occasione della Cop29 si è raggiunto l'accordo sugli standard di questo mercato finanziario). Si tratta di una costruzione artificiale che si fonda su tesi scientifiche tutte da dimostrare - quella dei cambiamenti climatici provocati dalle attività umane che debbono necessariamente avere esiti catastrofici - e su scelte politiche fortemente viziate dall'ideologia del terzomondismo: i poveri sono tali a causa dei ricchi che li sfruttano. Non solo le basi di questa costruzione sono false, ma il suo esito lungi dal favorire lo sviluppo dei Paesi poveri sarà quello di distruggere l'economia dei Paesi sviluppati. Le catastrofi non saranno provocate dal clima ma dalle politiche del clima.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 25 novembre 2024
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LA BUFALA DEL GENOCIDIO DI ISRAELE A GAZA SMASCHERATA ANCHE DALL'ONU
La malafede dei media: 8.000 vittime sono tante (anche solo 8 sono comunque troppe), ma la differenza con i numeri della propaganda palestinese (42.000) è eclatante
Autore: Stefano Magni - Fonte: Sito di Nicola Porro, 18 novembre 2024
Ipnotizzati dalle elezioni americane e dalla scelta dei segretari nella prossima amministrazione Trump, rischiamo di perderci la notizia più importante sul Medio Oriente da un anno a questa parte. Cosa è successo? Non sui campi di battaglia di Gaza e del Libano, ma nelle sedi delle Nazioni Unite, è stata di colpo ribaltata la narrazione prevalente del conflitto mediorientale: i morti palestinesi non sono 42.200, ma 8.119, ultima stima accertata riguardo alle operazioni dal 1 novembre 2023 al 30 aprile 2024. Lo si legge nel rapporto pubblicato dall'Alto Commissariato per i Diritti Umani dell'Onu, lo scorso 8 novembre. La stima è stata elaborata con le dovute cautele, perché si parla pur sempre di una guerra in corso e di una zona, la Striscia di Gaza, che è difficilmente accessibile in modo sicuro da ispettori civili e riguarda i primi sei mesi di guerra. Quindi va presa con le molle. Ma la differenza fra la stima delle Nazioni Unite (8119 morti per i primi sei mesi di guerra) e quella diffusa a ottobre dal "Ministero della Sanità" palestinese (42.200 morti) è troppo eclatante per essere ignorata. Da notare che il Sud Africa, denunciando alla Corte Internazionale di Giustizia per "genocidio" Israele, nel gennaio scorso (otto mesi prima della pubblicazione del rapporto) parlava di 25.700 vittime dell'azione militare israeliana. E un mese fa, il 14 ottobre, lo stesso segretario generale dell'Onu, senza attendere i risultati di un'indagine condotta dall'Onu stessa, parlava in pubblico di 42.200 vittime dell'azione israeliana a Gaza, riportando pari-pari i numeri diffusi dalla propaganda… pardon, dal "Ministero della Sanità" palestinese.
SILENZIO E MISINFORMAZIONE Si parla di morti, a cui va tutto il nostro rispetto e come rileva giustamente Iuri Maria Prado, sul Riformista: "Si tratta, evidentemente, di una materia delicatissima e da affrontare con il dovuto tatto. Perché neppure 8 mila, ma già solo 8 morti sono troppi, sempre e comunque. È una necessità di pietoso riserbo, tuttavia, che dovrebbe comandare la parola di tutti, ma di cui non sente la pressione chi da un anno a questa parte largheggia nella distribuzione propagandistica di quei numeri incontrollati soltanto per fare chiasso, per rimestare nella carne della popolazione sofferente e agitare poi le mani sanguinanti a denuncia dello sterminio." Se le indagini dell'Onu sul campo sono difficili e le ultime stime sono da prendere con le molle, perché tutti, persino Guterres stesso, con grande sicumera, hanno deciso di diffondere le cifre della "Sanità" palestinese? E perché, neppure di fronte a questo rapporto, la stragrande maggioranza dei media italiani e internazionali non si pone neppure il dubbio di aver detto il falso sul numero dei morti a Gaza? Perché, detto per inciso, la reazione dei media italiani, dopo la pubblicazione del rapporto delle Nazioni Unite, è stata peggiore del silenzio: andate su Google, cercate la notizia e troverete solo che "il 70% delle vittime sono donne e bambini, secondo il rapporto dell'Alto Commissariato Onu per i diritti umani". I maniaci della correttezza dell'informazione, la chiamerebbero: misinformazione. Cioè l'uso polemico e tendenzioso di una notizia che, benché vera, è estrapolata dal suo contesto.
CAMPAGNA CONTRO ISRAELE Non è paranoia se affermiamo che è in corso una campagna di mostrificazione di Israele. Senza tirare in ballo l'antisemitismo, che comunque è ancora vivo e diffuso, la causa è l'ideologia anticolonialista fuori tempo massimo che identifica in Israele (paese nato con una guerra di indipendenza) un residuo di colonialismo occidentale e "bianco". Israele, in tempo di pace, viene accusato di razzismo e apartheid, condanne che l'Onu ha cercato addirittura di formalizzare, più volte nel passato recente, come durante la Conferenza contro il razzismo di Durban nel 2001. In tempo di guerra, Israele viene accusato di genocidio. E non è la prima volta che succede, perché anche durante la Seconda Intifadah (2000-2005) veniva usata l'etichetta "genocidio" per condannare le operazioni antiterrorismo, anche in quel caso sparando cifre inverosimili delle vittime civili palestinesi, poi tutte regolarmente smentite. Singolare fu il caso del raid israeliano a Jenin nel 2002: "500 morti civili" che poi si rivelarono essere 48, di cui appena 5 erano civili. Non si tratta di un lavoro da macabri contabili delle disgrazie altrui: sparare una cifra piuttosto che un'altra fa la differenza fra la vita e la morte delle comunità ebraiche nel mondo, soprattutto in Europa, dove subiscono la pressione delle comunità islamiche. Se gli israeliani, in un anno, hanno provocato 42.200 morti a Gaza, con una percentuale altissima di civili, quasi tutti bambini, allora stanno compiendo un genocidio. Allora è "normale" che ad Amsterdam vengano aggrediti per strada. Diventa "normale" che un albergo nelle Dolomiti non accetti clienti israeliani. È "comprensibile" che collettivi studenteschi occupino le università e pretendano l'interruzione di ogni rapporto e collaborazione con le istituzioni di uno Stato "genocida". Diventano "giustificate" le aggressioni a chiunque porti la kippah. Perché c'è un "genocidio" e allora, si sa, c'è qualcuno che si può arrabbiare nei confronti di chi fa parte dello stesso popolo "genocida". Ma il punto è che: il genocidio non c'è. A Gaza è in corso una guerra, non uno sterminio sistematico. In compenso, le cifre mostruose (in tutti i sensi) sparate a reti unificate sulle vittime civili a Gaza, provocano anche una colpevole rimozione: quella delle 1.200 vittime israeliane del pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023. Di fronte al "genocidio di Gaza" le vittime di un atto genocida vero, gli ebrei di Sderot e dei kibbutz del Negev occidentale, vengono cancellati dalla memoria collettiva con un atto di negazionismo in tempo reale.
Fonte: Sito di Nicola Porro, 18 novembre 2024
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I MIRACOLI SERVONO A RICONOSCERE LA PRESENZA DI DIO
Sono proprio i miracoli ad attestare la divinità di Gesù, del resto la Scrittura ne è piena... eppure c'è chi pensa che per risultare credibili i cristiani dovrebbero metterli da parte
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: La Bussola Mensile, novembre 2024
Ogni tanto bisogna tornarci sopra. Parliamo dei miracoli, della loro presenza ostinata e ingombrante nelle Sacre Scritture: ostinata perché li ritroviamo quasi ad ogni pagina della Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, senza eccezioni e pure con la pretesa che si tratti di fatti veri e propri, ben distinti dal racconto edificante e parabolico. Ingombrante, perché nell'epoca dell'incenso immolato cotidie alla Scienza, provoca sempre un certo imbarazzo leggere nei testi fondativi e sacri della fede cristiana di guarigioni, esorcismi, tempeste sedate e persino risurrezioni di morti. Come facciamo a mostrarci credibili e ragionevoli di fronte ai nostri contemporanei, sedotti e convinti solo da grafici, statistiche e formule chimiche? La domanda è senz'altro curiosa, perché inverte di 180 gradi il senso della presenza dei miracoli nelle Scritture: quello di mostrare proprio la credibilità della fede nel Dio d'Israele e in Gesù Cristo. Ciò che a noi suscita un certo disagio è presente nei testi sacri precisamente per mostrare con forza l'azione di Dio in mezzo al suo popolo, per togliere ogni dubbio sulla verità della sua presenza, per rafforzare la fede in un'opera e un messaggio che la sola ragione umana, lasciata a se stessa, non riuscirebbe a credere. Si presta molta attenzione ad affermare - e giustamente - che i miracoli sono segni che vogliono esprimere una profonda realtà da credere, un tratto della divinità a cui aderire; ma non di rado questa enfasi ha finito per mettere in ombra il senso più generale e fondamentale del miracolo: achtung! Dio è all'opera! Per non parlare di quelle interpretazioni che, così attente al carattere di segno, ritengono persino superfluo indugiare sulla veridicità del fatto narrato: l'importante è il significato. «Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,30-31). Così il primo epilogo del quarto Vangelo (il secondo è 21,24-25) esprime in modo piano il senso per cui il Signore Gesù ha compiuto miracoli e per cui essi sono stati narrati a quanti non hanno potuto vederli di persona: «perché crediate... e perché, credendo, abbiate la vita». L'evangelista Giovanni lega il miracolo nientemeno che alla salvezza eterna, in quanto supporto di quella fede necessaria per la salvezza. Non è cosa di poco conto, che spiega come mai, tra l'altro, il Signore non abbia perso il vizio di disseminare i suoi prodigi nella storia.
OBIEZIONI AI MIRACOLI L'obiezione che normalmente si solleva è che la fede, se autentica, non ha bisogno dei miracoli, i quali ne costituirebbero addirittura una sorta di "contaminazione". Gesù stesso sembra confermare questa posizione, allorché rimproverò il funzionario del re, venuto a Cana di Galilea per implorare la guarigione del Figlio: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (Gv 4,48). Un'altra obiezione, certamente sensata, è che gli uomini facilmente ricercano il miracolo come soluzione ai loro problemi di quaggiù: malattia, miseria, pericoli sono tutte situazioni nelle quali domandiamo a Dio di intervenire non per rafforzare la nostra fede, ma per liberarci dai mali materiali che incombono su di noi. E dunque, paradossalmente, l'aspettativa del miracolo o persino un miracolo effettivamente compiuto, rischierebbero pure di favorire in noi questo attaccamento alle cose che passano. È la situazione descritta nel racconto della moltiplicazione dei pani, narrata nel Vangelo di Giovanni, che ha provocato il rimprovero del Signore: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (Gv 6,26). Ancora, si osserva che il miracolo può addirittura aggravare la condizione spirituale di una persona: di fronte ad un prodigio, il rifiuto di credere e l'indurimento del cuore peggiorano la situazione, aggravando la colpa di fronte a Dio. Anche questo dramma è attestato nel Vangelo e raggiunge il suo apice in occasione della risurrezione di Lazzaro. Di fronte alla straordinaria risurrezione di un cadavere quadriduano per mezzo della sola parola, la reazione del Sinedrio è stata così riassunta laconicamente da Giovanni: «Da quel giorno, dunque, decisero di ucciderlo» (Gv 11,53). Dalla bocca stessa di Gesù proviene la dura parola verso coloro che recalcitrano di fronte a chiari prodigi: «Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli compiuti tra voi, già da tempo si sarebbero convertiti vestendo il sacco e coprendosi di cenere. Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi» (Lc 10,13-14).
RISPOSTA ALLE OBIEZIONI E tuttavia il Signore Gesù, che ben conosce in cosa consista la purezza della fede, come la nostra reticenza a volgerci alle realtà celesti, sia infine la durezza incredula del nostro cuore, non si è affatto rifiutato di compiere miracoli. Perché? Abbiamo una prima traccia interessante di risposta nel famoso brano dei discepoli del Battista che erano stati mandati da Gesù a domandargli se fosse lui colui che doveva venire. A costoro il Signore replicò di andare a riferire a Giovanni «ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me» (Mt 11,4-6). Il Signore articola la sua risposta attingendo ai testi messianici del profeta Isaia ben noti ai suoi uditori: la venuta del Messia sarebbe stata riconosciuta da alcuni segni: i ciechi vedono, i sordi odono, i muti parlano e gli zoppi camminano. Gesù invita i discepoli di Giovanni a constatare che tali segni sono lì presenti, davanti ai loro occhi. Il miracolo serve dunque a riconoscere la presenza divina. Ed è per questo che il Signore "corre" i tre rischi, assolutamente reali, sopra riportati: gli uomini devono poter riconoscere i segni chiari di Dio presente in mezzo a loro per credere e, credendo, ottenere la vita eterna. Certamente Dio non si limita a questa azione esterna: mentre compie il prodigio, egli muove anche i cuori dall'interno, suscitando e sostenendo la risposta dell'uomo, che resta sempre libera. E tuttavia la logica di Dio, che ritroviamo anche nell'Antico Testamento, è quella di dare agli uomini segni prodigiosi perché credano. Il grande evento fondatore del popolo d'Israele, l'Esodo, non è stato forse tutto all'insegna di segni miracolosi? Jahvé non ha forse mandato Mosè dal Faraone a compiere prodigi? Egli non è forse intervenuto a liberare il suo popolo compiendo il grande segno dell'attraversamento del Mar Rosso? L'ingresso nella Terra promessa, sotto la guida di Giosué, non è forse avvenuto con un altro prodigioso attraversamento, quello del fiume Giordano? Il libro del Deuteronomio non è altro che una continua esortazione a ricordare i prodigi che Dio ha compiuto sotto gli occhi di coloro che stavano ascoltando la parola di Mosè: «Ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un'altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore vostro Dio in Egitto, sotto i vostri occhi?» (Dt 4, 34). O ancora: «ricordati delle grandi prove che hai viste con gli occhi, dei segni, dei prodigi, della mano potente e del braccio teso, con cui il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire» (Dt 7,19).
IL DIO VERO E I FALSI DÈI Proprio l'onnipotenza rivelata dai prodigi compiuti distingue il Dio d'Israele dai falsi dèi delle nazioni. Non fu forse questa la discriminante tra il Dio di Elia e i Baal (cf. 1Re 18,1-40)? Gli idoli delle genti non sono forse caratterizzati dalla loro incapacità di compiere qualcosa degno di Dio? «Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano» (Sal 114, 5-7). Per questo il senso della presenza di Israele in mezzo alle nazioni era precisamente quello di ricordare «i prodigi che egli ha compiuti, i suoi miracoli e i giudizi della sua bocca» (1Cr 16,12), perché tutti potessero riconoscere il vero Dio. Gesù si mette esattamente nella stessa linea, mostrando a tutti che egli è quello stesso Jahvè che ha compiuto meraviglie per il popolo d'Israele e che ora è venuto nella carne per compiere una liberazione più radicale e definitiva: quella dalla tirannia del male. Tra i miracoli compiuti da Gesù ve n'è uno che rivela specificamente questa logica: la guarigione del paralitico calato dal tetto (cf. Lc 5,17-26). Il miracolo della guarigione avviene precisamente per mostrare che al Figlio dell'uomo è stato dato il potere di rimettere i peccati. Un grandioso segno visibile rivela qualcosa di ancora più grandioso che non può essere compreso dai nostri sensi. A ben vedere, è una dinamica analoga a quella della creazione: la creazione esprime sensibilmente le perfezioni divine e quel mondo spirituale non accessibile ai sensi; analogamente, segni che oltrepassano il corso naturale, manifestano ed esprimono la presenza del mondo soprannaturale. Dio si "tocca" solo tramite la fede, e non senza un senso di smarrimento e di vertigine, ma questa fede è richiesta all'uomo rispettando la sua natura ragionevole. Cristo è Dio stesso, può rimettere i peccati, redime l'uomo con la sua morte e risurrezione, ci spalanca le porte dell'eternità: realtà che fanno girare la testa. Ma Dio ci tende la mano: «Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse» (Gv 14,11).
LA BUSSOLA MENSILE Questo articolo è tratto dalla Bussola Mensile. Per ricevere il mensile cartaceo è possibile abbonarsi al costo annuo di 30 euro (11 numeri) oppure si possono acquistare le singole copie nelle parrocchie che la espongono. Per abbonarti a La Bussola Mensile, clicca qui! Per ulteriori informazioni scrivere a distribuzione@lanuovabq.it
Fonte: La Bussola Mensile, novembre 2024
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L'ELEZIONE DI TRUMP HA CAMBIATO LA POLITICA AMERICANA (E MONDIALE)
Gli elettori hanno rifiutato il woke, l'immigrazione clandestina, il transgenderismo e la politica economica socialista che ha provocato l'inflazione
Autore: John Horvat - Fonte: Tradizione Famiglia Proprietà, 15 novembre 2024
Non tutti si rendono ben conto di quanto le elezioni abbiano cambiato la scena politica americana. I Democratici cercano di minimizzare il danno con sedute di biasimo, di esami di coscienza e di dita puntate alla ricerca di capri espiatori. Tuttavia, la perdita non può essere ridotta a persone o a politiche specifiche. Le elezioni hanno rappresentato un cambiamento storico. La prima conclusione è che la sconfitta non riguarda solo l'economia. Gli americani sono abituati a pensare alle elezioni in termini di portafoglio. La risposta tipica a qualsiasi sconfitta elettorale è il familiare ritornello: È l'economia, stupido! Tuttavia, questa elezione è stata diversa. Pur avendo dimensioni economiche, le elezioni non hanno riguardato solo l'economia. Le questioni principali ruotavano intorno al programma incendiario della sinistra. Gli elettori hanno rifiutato il wokismo, l'immigrazione clandestina di massa, il transgenderismo e lo scollamento del Partito Democratico con quanto sta accadendo nella società nonché le politiche economiche socialiste che hanno provocato l'inflazione. Un grande malcontento: Quando è troppo è troppo Le elezioni hanno riguardato il grande malcontento per l'indirizzo dato all'America. Questo malcontento è stato aggravato dal risentimento che l'americano medio prova per un programma che gli viene imposto. Non si trattava tanto di un voto per il presidente eletto Donald Trump, quanto di una protesta contro ciò che rappresentava la sua opposizione. Uno scaltro politico francese, Hubert Védrine, ha definito i risultati "un'ondata popolare viscerale, nel senso più ampio del termine, di persone che vogliono porre fine al progressismo e al globalismo americano che dura da sessant'anni". L'ex ministro degli Esteri socialista ha osservato che la vittoria è stata una rivolta. Il suo messaggio era: "Progressismo: Basta! Quando è troppo è troppo!".
DIVERSITÀ, EQUITÀ E INCLUSIONE? ORA BASTA! Secondo Fareed Zakaria del Washington Post, una delle cause principali della sconfitta è stata "il dominio a sinistra dell'ideologia dell'identità, che ha fatto sì che i democratici spingessero per tutti i tipi di politiche di diversità, equità e inclusione che sono uscite in gran parte dalla bolla urbana e accademica, ma che hanno alienato la gente comune". In altre parole, le elezioni hanno messo a repentaglio un lavoro di sessant'anni. I cittadini ritengono che i progressisti li stiano spingendo troppo lontano e troppo in fretta. Sono stufi dell'atteggiamento arrogante di tanti liberal che disprezzano chi non è d'accordo con loro. Ann Bauer, romanziere del Minnesota, ha scritto un'espressiva op-ed sul Wall Street Journal (7 novembre 2024) spiegando perché ha votato contro i Democratici. Il suo non è stato un voto per Trump, ma una protesta contro il "fanatismo della sinistra". "Abbiamo votato per controllare lo slancio di questi movimenti, per fermare una malattia progressiva. Abbiamo votato contro l'idea che andare oltre sia sempre meglio. In cuor nostro, molti di noi si sono ribellati al prepotente senso di superiorità, alle persone che ci dicevano che noi eravamo troppo stupidi per capire, o troppo razzisti, troppo sessisti, troppo auto-odio, troppo simili ai nazisti". La sua valutazione esprime bene l'atteggiamento inflessibile di tanti che si rifiutano di ascoltare ciò che accade nelle situazioni reali. La situazione diventa intollerabile e gli elettori del mondo reale vogliono uscire dall'incubo del wokismo. La gente esclama: "Smettetela, per carità!". Il peso del voto cattolico Allo stesso modo, anche il modo in cui la sinistra ha trattato la religione è stato un fattore critico in queste elezioni. Particolarmente importante è stato il voto cattolico. Molti pensano che sia stato essenziale per ribaltare la situazione contro i Democratici. (ndr, vedi sopra Visto da Roma di Julio Loredo). Il voto cattolico rispecchia in genere il voto americano complessivo. Tuttavia, quest'anno i cattolici hanno votato per il candidato repubblicano con un margine medio superiore, più del 18%. Il professore del Grove City College Paul Kengor attribuisce questo cambiamento al fatto che "la nazione non aveva mai visto un ticket presidenziale così estremista come quello di Harris e Walz sulle questioni morali e culturali".
OSTILITÀ VERSO I TEMI RELIGIOSI Egli osserva inoltre che la candidata democratica ha mostrato indifferenza e ostilità verso i temi religiosi. La campagna di Trump ha abbracciato immagini e temi cattolici. Il presidente eletto ha persino invocato San Michele Arcangelo nel giorno della sua festa. I risultati delle elezioni hanno convogliato il messaggio che la religione è importante per gli americani. Chi ignora questa influenza ne paga le conseguenze. Un disastro di proporzioni bibliche Pertanto, l'elezione non è stata solo una sconfitta, bensì una batosta. Rappresenta il rifiuto del programma sessantennale del progressismo. Ha rivelato l'impazienza e il risentimento di molti americani che sono stanchi di essere cancellati, ridicolizzati e ignorati. Lo stratega democratico Chris Kofinis ha misurato la portata della sconfitta, commentando: "È un disastro storico di proporzioni bibliche. Il Partito Democratico, così com'è, è morto. Questo è un riallineamento storico". Secondo un'analisi elettorale della Reuters, le elezioni hanno mostrato ai Democratici che "i loro valori, orientati a sinistra e socialmente liberal, sono ora decisamente una minoranza tra gli americani". Doug Sosnik, un altro stratega democratico, ha osservato: "Le elezioni del 2024 segnano il più grande spostamento a destra del nostro Paese dalla vittoria di Ronald Reagan nel 1980". Gli elettori si sono espressi con una brusca virata a destra. Sono sconvolti dal messaggio sprezzante della sinistra. Sono esausti della velocità della marcia caotica della sinistra verso il socialismo, il transgenderismo e la rivoluzione woke in genere. Gli elettori hanno percepito un processo di autodistruzione che andava fermato.
LA REALTÀ DOPO QUESTA SCONFITTA Tutte queste preoccupazioni dovranno essere affrontate dal panorama politico del dopo novembre e la sinistra dovrà valutare come fare i conti con la realtà dopo questa sconfitta. All'indomani del massacro elettorale, la sinistra è in crisi e incolpa alla sua leadership, al suo messaggio e alle sue strategie, mai alle sue idee. Molti esponenti della sinistra raddoppiano le loro politiche fallimentari e adottano atteggiamenti ancora più paternalistici e spregianti nei confronti degli elettori che ritengono non abbiano compreso i veri problemi. I radicali sentono di aver aspettato troppo a lungo per la loro rivoluzione e credono erroneamente che la radicalizzazione della sinistra è il loro cammino verso la vittoria. Altri esponenti della sinistra sembrano disposti a cambiare tutto, tranne la narrazione marxista della lotta di classe e dell'oppressione. Questa è la narrazione non negoziabile e comune per tutte le sfumature della sinistra. Un cambio di rotta In effetti, per rispondere alle preoccupazioni degli elettori, la sinistra dovrebbe smettere di essere di sinistra. Dovrebbe abbandonare il suo rigettato programma, che da oltre sessant'anni fa gravare sulla società. Ma qualsiasi arretramento verso il centro rischia di demoralizzare il suo nucleo radicale. Questa necessità di avanzare e arretrare contemporaneamente mette la sinistra in una posizione difficile. Michael Sean Winters del National Catholic Reporter raccomanda ai Democratici di cambiare il proprio messaggio verso il centro "per riconquistare gli elettori della classe operaia". Durante queste elezioni, quindi, è accaduto qualcosa di molto profondo in America. Non è stata l'economia, ma il cambiamento di una popolazione esausta. Non vuole il socialismo, ma un ritorno all'ordine.
Fonte: Tradizione Famiglia Proprietà, 15 novembre 2024
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ORA DI RELIGIONE, LA CEI PROGETTA IL RITIRO (IN NOME DEL PLURALISMO)
La Commissione per l'ecumenismo della Cei toglie alla Chiesa la sua missione di Maestra: triste epilogo dell'equivoca storia dell'Insegnamento della Religione Cattolica (IRC)
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26 novembre 2024
Insegnamento della religione cattolica (Irc) nella scuola statale: la Chiesa si ritira, non per fare altro e meglio, si ritira e basta. Questo è il senso vero della proposta lanciata dal vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, che è anche presidente della Commissione per l'ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana (Cei): abolire l'ora facoltativa di Irc e sostituirla con un'ora obbligatoria di «pluralismo religioso». Queste le sue parole contenute in un articolo pubblicato sulla Rivista del clero italiano: «Non più un'ora di religione cattolica, facoltativa, quanto piuttosto un insegnamento obbligatorio del fenomeno religioso in chiave plurale per abituare lo studente a diventare un cittadino capace a meglio comprendere la società in cui si trova». In questo modo la Chiesa «potrà fare un passo indietro, rinunciando ad uno spazio che le spetta di diritto per far fare alla società un passo avanti. Il pluralismo religioso, inteso come tema educativo, aiuta a ripensare la laicità in termini inclusivi». Il passo indietro veramente necessario sarebbe che la Chiesa ponesse fine a questa equivoca storia dell'Irc nella scuola statale, sciogliendosi da questo abbraccio mortale con lo Stato, per realizzare veramente il proprio diritto ad educare in pubblico senza più i compromessi e i vincoli che l'accordo con lo Stato richiede. Invece il passo indietro proposto dal vescovo Olivero è la dichiarazione di non voler più educare, è una rinuncia ad insegnare in pubblico le verità della religione cattolica, è la richiesta che la Chiesa non faccia più la Chiesa. Peggio ancora, è l'idea che, quando la Chiesa insegna le proprie verità, fa del male ad alunni e studenti: se la Chiesa insegna in pubblico, la società va indietro, se la Chiesa non si fa più presente nell'educazione la società fa un passo in avanti. È come dire che l'insegnamento di verità soprannaturali indebolisce anziché rafforzare le relazioni sul piano naturale. Per Olivero la Chiesa deve astenersi dall'educare per non essere, così facendo, diseducativa. L'Irc fa più male che bene alla Chiesa. La filosofia della scuola di Stato è una laicità ideologica secondo la quale ogni cittadino - in questo caso ogni alunno o studente - ha il diritto costituzionale ad abbracciare ciò che egli considera vero e buono. La presenza di un Irc, in un simile contesto di pensiero, non ha diritto ad esistere, se non trasformandosi in modo innaturale. L'accordo sull'Irc tra Chiesa italiana e Stato si basava sull'idea dell'importanza di questo insegnamento per capire la storia e la cultura italiane. Si trattava di un'argomentazione storica, che non poteva reggere a lungo davanti all'avanzata del nuovo senso falsamente democratico, liberale e individualistico (per non dire relativistico) di laicità. Per decenni si è così protratto un grande equivoco. Si disse che non bisognava fare catechismo ma favorire un approccio culturale alla religione cattolica: ma come farlo se non riprendendo in aula le fondamentali verità teologiche che la identificano? Si disse che quell'ora di lezione doveva essere di formazione al confronto critico e di aiuto al dialogo: ma come riuscirci evitando di insegnare i criteri cattolici del confronto critico e del dialogo? Si scese così dal piano religioso a quello etico, ritenendo che questo genere di questioni fossero più nelle corde dei giovani: ma come trattare adeguatamente in modo cattolico questo piano senza riferimento a cosa dice la religione cattolica sul bene? C'è stato quindi un lungo calvario durante il quale si è completamente persa di vista la natura "disciplinare" di quest'ora di lezione, spesso riempita dai più vari contenuti a libera scelta dei disorientati docenti, lì inviati da disorientati uffici scolastici delle diocesi. Così quell'ora di lezione ha finito per non avere più niente di cattolico, per questo era ed è meglio fare un passo indietro per riprendersi in autonomia la questione educativa. Per fare una scelta simile c'era bisogno di una chiarezza di fede, di intelletto e di volontà che nel frattempo era andata dispersa. La Chiesa stessa aveva perso la convinzione che la fede fosse capace di generare una cultura e una civiltà. La Chiesa non credeva più che la fede fosse una forma di conoscenza e che, come tale, avesse un suo posto nel quadro del sapere. Aveva ripreso questa idea Benedetto XVI all'Università di Ratisbona, ma la nuova teologia era su posizioni contrarie e la mentalità ecclesiale diffusa era cambiata. Del resto, anche ammettendo per assurdo che la Chiesa avesse fatto la forza di denunciare l'accordo con lo Stato sull'Irc e avesse pensato di fare da sé, cosa avrebbe fatto poi? Di quali contenuti avrebbe riempito la riconquistata libertà educativa? La secolarizzazione e la laicità erano ormai ampiamente accettate anche dentro di essa, compreso il nuovo dogma del pluralismo religioso. Da tempo la Chiesa ha perso di vista il suo essere Maestra. Al punto da farsi ammaestrare dai cambiamenti sociali anziché il contrario. Il vescovo Olivero, infatti, su cosa fonda la necessità del passo indietro? Sul fatto che le adesioni all'Irc diminuiscono e che la società è ormai multireligiosa. Dati di fatto, questi, e non di diritto; essere, non dover-essere. La proposta di Olivero è la triste conclusione di questo processo. Essa può però avere anche una conseguenza positiva: la sua applicazione farebbe aumentare il numero dei genitori cattolici che ritireranno i propri figli, a vantaggio di vere scuole cattoliche libere.
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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26 novembre 2024
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OMELIA I DOM. AVVENTO - ANNO C (Lc 21,25-28.34-36)
I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni
Fonte Il settimanale di Padre Pio
È iniziato l'Avvento, ovvero il Tempo che ci prepara a festeggiare il Natale del Signore. In questo Tempo la Chiesa ci invita a riflettere sulla venuta del Signore. Vi è stata una prima venuta del Figlio di Dio sulla terra, a Betlemme. Questa prima venuta si è verificata nel silenzio e nel nascondimento: il Figlio di Dio è sceso su questa terra prendendo carne nel grembo della Vergine Maria. La Sacra Scrittura paragona questa discesa a quella della rugiada che irrora la terra, oppure a un germoglio che spunta da un ramo. Questa prima venuta è avvenuta nella povertà e nell'umiltà per insegnare a noi la via da percorrere se vogliamo raggiungere il Cielo. Vi è poi una seconda venuta che ci sarà alla fine dei tempi. Quest'ultima venuta sarà contraddistinta dalla gloria e dalla maestà: il Figlio di Dio verrà per giudicare il mondo intero e vi sarà la definitiva vittoria del bene sul male. Di queste due venute parlano le letture di oggi. La prima lettura si riferisce alla prima venuta. Il profeta Geremia, infatti, afferma: «In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra» (Ger 33,15). Della seconda venuta ci parla il Vangelo: «Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria» (Lc 21,27). Per prepararci a questa venuta, il Vangelo ci esorta a pregare con perseveranza: «Vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21,36). Nessuno sa quando Gesù verrà nella gloria. Una cosa sola è certa: quel giorno verrà all'improvviso, quando meno ce lo aspetteremo. Il Signore dice: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso» (Lc 21,34). Ogni giorno dobbiamo essere pronti per l'incontro con Dio. Del resto, quando verrà la nostra ultima ora, quella per noi sarà la fine e dovremo rendere conto a Dio della nostra vita. Poco importa sapere quando verrà la fine del mondo! I vizi e i peccati appesantiscono il nostro cuore e ci impediscono di pensare al Cielo. Per prepararci all'incontro con Gesù, san Paolo, nella seconda lettura di oggi, ci esorta a comportarci rettamente, ricercando la nostra santificazione e l'amore fraterno. Egli, infatti, così scrive ai Tessalonicesi: «Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell'amore fra di voi e verso tutti [...] per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità» (1Ts 3,12-13). Se faremo così anche noi, non avremo nulla da temere da quel giorno che verrà all'improvviso. Sarà un giorno di gioia per tutti quelli che amano il Signore, e un giorno di condanna per tutti quelli che moriranno in peccato mortale. Pertanto, la Chiesa ci esorta a confessarci spesso e a confessarci bene, sinceramente, con vivo pentimento e sincero proposito di non peccare più. Il modo migliore per vivere il Tempo dell'Avvento è quello di riordinare la nostra coscienza con un buon esame di coscienza, con una buona Confessione e con una preghiera più generosa. Un proposito molto bello potrebbe essere quello di leggere e meditare quotidianamente le letture della Messa. Da questa meditazione scaturiranno certamente dei propositi di miglioramento. Un altro proposito ci viene indicato dalla Colletta, ovvero dalla preghiera iniziale della Messa. Con quella preghiera abbiamo chiesto a Dio di suscitare in noi la volontà di andare incontro a Gesù con le buone opere. Il campo delle opere buone è sconfinato. L'Avvento sarà il tempo propizio per individuare cosa potremo fare concretamente. Riassumendo, possiamo dire che la preghiera e le opere buone devono essere il nostro proposito: allora il Natale che si sta avvicinando sarà il più bello della nostra vita, e Gesù tornerà a nascere nel nostro cuore.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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