LE ELEZIONI IN GERMANIA E IN ROMANIA: LA DEMOCRAZIA COME FINZIONE
In Germania saranno al governo anche i partiti che hanno perso voti (in Romania sono state annullate le elezioni perché avrebbe vinto il candidato non gradito all'UE e a tre mesi dal ri-voto...)
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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UOMINI, FATE L'AFFARE DELLA VOSTRA VITA: SPOSATEVI!
Gli uomini sposati sono più ricchi, più felici ed hanno una salute migliore
Autore: Brad Wilcox - Fonte: Provita & Famiglia
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SE CRISTO NON AVESSE FATTO MIRACOLI, PERCHE' CREDERGLI?
Quando l'omelia riduce il soprannaturale a un semplice messaggio sociale, la fede cristiana diventa inutile
Autore: Don Stefano Bimbi - Fonte: La Bussola Mensile
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LA VERA DIFFERENZA TRA PSICOLOGO E CONFESSORE
Uno psicologo (se molto bravo) potrà individuare il problema, ma non lo risolverà, mentre la confessione attua una liberazione che nessun mezzo umano può dare
Autore: Mauro Piacenza - Fonte: Il Timone
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TRUMP: LA CONTRORIVOLUZIONE PARTE DALLE CANNUCCE DI PLASTICA
Una decisione più importante di quel che si creda... e intanto inizia la riforma della polizia federale con due nomine ai vertici dell'Fbi, anche in difesa dei cattolici (VIDEO: Trump al Congresso USA)
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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BEATA ELISABETTA SANNA, LA PICCOLA SARDA DALLE BRACCIA PARALIZZATE
Nonostante il suo handicap a 19 anni è richiesta in sposa (il marito dice agli amici: ''Mia moglie non è come le vostre, è una santa!'') e resterà vedova a 37 anni con cinque figli
Autore: Gianpiero Pettiti - Fonte: Santi e Beati
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OMELIA I DOMENICA QUARESIMA - ANNO C (Lc 4,1-13)
Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane
Autore: Don Stefano Bimbi - Fonte: BastaBugie
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LE ELEZIONI IN GERMANIA E IN ROMANIA: LA DEMOCRAZIA COME FINZIONE
In Germania saranno al governo anche i partiti che hanno perso voti (in Romania sono state annullate le elezioni perché avrebbe vinto il candidato non gradito all'UE e a tre mesi dal ri-voto...)
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26 febbraio 2025
La democrazia europea dimostra sempre più di avere alla base una finzione. Le recenti elezioni politiche in Germania lo hanno evidenziato ancora una volta. I partiti che hanno perso andranno con grande probabilità al governo con il partito che ha vinto. Chi ha preso solo una manciata di voti ottiene lo stesso risultato di chi ha fatto il pieno. Era successo così anche a seguito delle elezioni del Parlamento europeo. Anche in quel caso socialdemocratici e verdi, molto ridimensionati alle urne, sono stati cooptati nella maggioranza di Strasburgo e nel "governo" (le virgolette nel caso dell'Unione europea sono d'obbligo) di Ursula von der Leyen. C'è poi il fatto che, data ormai la grande astensione dal voto per una diffusa disaffezione diversamente motivata, chi viene eletto raccoglie solo una piccola parte dell'elettorato. Le percentuali di consensi che i partiti sbandierano riguardano non gli aventi diritto al voto ma quanti si sono recati alle urne, quindi sono la maggioranza sì ma di una minoranza, ossia minoranza anch'essi. Il principio di maggioranza è diventato il principio di minoranza. A questo si aggiunge il problema del "parlamentarismo", un vanto delle democrazie europee ma che si regge anch'esso su una finzione. Il parlamentarismo, principio secondo il quale la centralità della vita politica starebbe nel parlamento, permette quello che è successo a Strasburgo e che probabilmente succederà a Berlino, vale a dire gli accordi per stabilire una maggioranza cooptando i perdenti. È evidente che tutto questo sfilaccia la democrazia e il bello è che lo fa democraticamente.
CHI PERDE GOVERNA Non si deve pensare che queste magie democratiche, per cui chi perde governa, siano casuali. Alla loro base c'è una finzione, anzi più di una, che ne caratterizza la natura. Se non viene riveduta a fondo, la nostra democrazia non può che essere una finzione. Uno dei filosofi della politica che hanno influenzato in modo particolare la democrazia europea recente è stato Hans Kelsen. Egli era un giurista e un politologo "positivista", negatore dell'esistenza di un diritto naturale. Era anche dell'idea, come Max Weber, che i valori fossero solo atti di volontà, e fautore di una "dottrina pura del diritto", ove per "pura" egli intendeva appunto una dottrina priva di valori e derivante solo da una Grundnorm, o norma fondamentale, semplicemente posta dal potere. Nella sua opera La democrazia, risalente agli anni Venti del XX secolo, Kelsen giustifica una prima finzione, ossia il passaggio dalla democrazia diretta alla democrazia partecipativa. Si tratta di una finzione perché la volontà di tutti viene ceduta alla volontà di alcuni, ritenuti, appunto tramite la finzione, ugualmente espressione della volontà generale. È vero che per Rousseau la volontà generale non è sinonimo di maggioranza numerica né della espressa volontà di tutti, ma per una visione positivista come quella di Kelsen dovrebbe essere così, perché altrimenti si cadrebbe nelle mani di valori assoluti indipendentemente dal voto dei cittadini come avviene nei totalitarismi.
LE TRE FINZIONI Quindi prima si è costretti a fingere che la volontà di chi si reca alle urne abbia il valore della volontà di tutti, e poi si è costretti a fingere che la volontà degli eletti rappresenti la volontà di tutti. Si tratta di una doppia finzione procedurale che, secondo Kelsen, non contraddice i presupposti democratici perché renderebbe applicabile nel concreto il patto iniziale col quale i cittadini hanno fondato la società. Così, però, emerge un'altra finzione, anzi la finzione fondamentale, perché questo supposto patto, con cui tutti i cittadini avrebbero dato vita alla società sottoponendosi ad una norma fondamentale posta dal potere in loro nome, non è mai esistito. E così nel novero delle finzioni siamo arrivati addirittura a tre. Di tutte e tre, la principale è quest'ultima, perché è quella fondativa, le altre vengono di conseguenza. Agli inizi della moderna Dottrina sociale della Chiesa, pontefici come Leone XIII avevano messo in evidenza come la democrazia liberale fosse una finzione. Avevano detto che l'errore originario era di fingere che il popolo fosse "moderatore di se stesso", in quanto origine e fondamento, tramite un presunto patto, della vita sociale. In base a questa finzione, chi è sottomesso all'ordine sociale sarebbe anche l'autore di quello stesso ordine. In questo modo si pensava di dare tutto il potere al popolo, ma poi si finse che degli eletti dal popolo ugualmente esprimessero per convenzione il volere del popolo, si finse anche che questa delega fosse valida anche se fatta da un'esigua minoranza, e che fosse pienamente democratica anche se fatta da un'aggregazione qualsiasi – nata in parlamento – di partiti diversi. L'artificio originario del popolo moderatore di se stesso si prolungò quindi nelle altre finzioni convenzionali fino agli esiti delle elezioni tedesche dei giorni scorsi. Scriveva Kelsen: «L'unità del popolo rappresenta un postulato etico-politico che l'ideologia politica assume come reale con l'aiuto di una finzione tanto universalmente accettata che ormai non si pensa più di criticare». Sarebbe invece il caso di riprendere a criticarla.
Nota di BastaBugie: Luca Volontè nell'articolo seguente dal titolo "Romania, Georgescu arrestato a tre mesi dal voto. Non è democrazia" racconta cosa sta succedendo in Romania in una democrazia europea, democrazia per modo di dire. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 28 febbraio 2025: Non è democrazia, non è Stato di diritto ciò che sta accadendo in Romania in vista delle auspicabili elezioni presidenziali, ormai oggetto di appropriazione indebita da parte delle burocrazie europee e delle camarille socialiste, liberali e centriste del paese. L'Europa che si è risentita, a torto, delle parole di JD Vance, dovrebbe ora e prima che sia troppo tardi, fare un serio esame di coscienza. Non è con l'eliminazione politica o giudiziaria dei partiti e candidati delle destre popolari e patriottiche e finanche dei semplici dissenzienti verso le imposizioni centraliste di Bruxelles che le istituzioni europee possono rifiorire, anzi il modo di procedere degli ultimi mesi in Romania è un chiaro ritorno ai metodi sovietici e totalitari contro i quali l'Europa stessa è nata. Diverse persone, tra cui il potenziale ri-candidato alla presidenza rumena Călin Georgescu, sostenuto anche dal partito conservatore Aur, sono state arrestate e mercoledì 26 febbraio sono state effettuate numerose retate nelle proprietà dei suoi collaboratori, tra cui la sua guardia del corpo personale Horaţiu Potra, ex capo di un gruppo mercenario in Africa. Georgescu, che si è candidato come indipendente alle elezioni presidenziali dell'anno scorso, si era assicurato una sorprendente vittoria al primo turno di votazioni a novembre, come abbiamo descritto su La Bussola. Tuttavia, dopo le semplici accuse, tutt'ora senza alcuna prova che le sostengono, di interferenza russa, la Corte costituzionale della Romania aveva prima validato il voto, successivamente e anche su pressione europea, aveva annullato i risultati e annullato il secondo turno di votazioni. Le interferenze antidemocratiche e le violazioni della sovranità popolare erano considerate così 'naturali, che l'ex commissario europeo Thierry Breton aveva ammesso, in un'intervista televisiva alla emittente francese Bfm Rmc del 9 gennaio che la Corte costituzionale rumena (Ccr) era stata condizionata nella sua scelta di annullare le elezioni presidenziali grazie alle pressioni dell'Ue e solo solo perché al primo turno era in vantaggio il candidato di destra, euroscettico e contrario al continuo rafforzamento della Nato, Călin Georgescu. Infine, dopo le dure critiche di JD Vance a Monaco e alla Cpac dei giorni scorsi sul caso romeno del 14 febbraio e, pochi giorni prima, la visita di dell'incaricato di Trump per le missioni speciali Richard Grenell a Bucarest, come abbiamo descritto su La Bussola, con le dimissioni del Presidente Klaus Iohannis del 10 febbraio pareva che la situazione del paese e, soprattutto, la garanzia di trasparenza e rispetto delle regole democratiche per il voto presidenziali del prossimo maggio fosse garantita. Tutt'altro, le vicende accadute ieri gettano una coltre di nebbia sull'intero sistema democratico rumeno e accrescono i sospetti delle formidabili complicità delle istituzioni europee per impedire che si svolga un voto libero e democratico e venga eletto dal popolo un Presidente della Repubblica scelto dagli elettori. Sconcertanti le grida di giubilo delle ambasciate di Francia, Germania e Paesi Bassi che hanno pubblicato giovedì 27 febbraio sulla piattaforma X, messaggi di sostegno e fiducia nel sistema giudiziario della Romania e nel rispetto dei valori democratici. Ebbene, le accuse rivolte a Georgescu sono tanto gravi quanto generiche e, per alcuni aspetti ridicole. La Procura generale ha annunciato ieri l'avvio di un procedimento penale contro Călin Georgescu che è indagato per incitamento ad azioni contro l'ordine costituzionale (manifestazioni di piazza che da dicembre si svolgono per chiedere il ripristino del voto presidenziale), false dichiarazioni sulle fonti di finanziamento della campagna elettorale e promozione di idee fasciste e legionarie. Questi i reati di cui è accusato nel dettaglio: Incitamento ad azioni contro l'ordine costituzionale, diffusione di informazioni false, false dichiarazioni (reato continuato) sulle fonti di finanziamento della campagna elettorale e sulle dichiarazioni patrimoniali, avvio o costituzione di un'organizzazione fascista, razzista o xenofoba, promuovere pubblicamente il culto di individui colpevoli di crimini di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, nonché di sostenere pubblicamente idee, concetti o dottrine fasciste, legionarie, razziste o xenofobe avviare o fondare un'organizzazione antisemita, nonché aderire o sostenere tale organizzazione in qualsiasi forma. Tra le restrizioni imposte a Georgescu c'è il divieto di apparire sui "mass media", né di creare account sui social media, in poche parole lo hanno messo in un "gulag d'isolamento". È chiarissimo che la magistratura politicamente sollecitata vuole impedire a Georgescu, che ha già dimostrato lo scorso autunno di essere il più apprezzato dal popolo, di potersi candidare. Non a caso, i sondaggi di questi giorni lo considerano il più amato, Călin Georgescu otterrebbe il 38,4%, seguito da Nicușor Dan (indipendente e sindaco di Bucarest) con il 25,4% mentre il candidato comune di tutti i partiti di governo, Crin Antonescu, si fermerebbe al 15,8% e sarebbe fuori dal ballottaggio. È chiaro? Fatto fuori Georgescu, almeno il candidato del potere costituito potrà arrivare al ballottaggio. Ma non finisce qui la vergognosa manfrina messa in scena dai socialisti, liberali e centristi romeni che il 25 febbraio ha deciso di promuovere il licenziamento di Toni Greblă, presidente dell'Autorità elettorale permanente, l'istituzione responsabile dell'organizzazione delle elezioni, scelta non banale di garanzia in caso Georgescu riuscisse a candidarsi e/o Antonescu arrivasse al ballottaggio. "Nessuno è al di sopra la legge", vero, nessuno nemmeno i fautori ed i complici di colpi di Stato.
L'ATTACCO DI VANCE METTE A NUDO UN'EUROPA CHE TRADISCE SE STESSA Il vice-presidente USA denuncia gli abusi di potere: dagli arresti per le preghiere davanti alle cliniche abortiste fino alle elezioni annullate in Romania perché i vincitori sono sgraditi all'UE (VIDEO: Vance alla Conferenza di Monaco) di Eugenio Capozzi https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8084
VIDEO: Vance alla Conferenza di Monaco (durata: 19 minuti)
https://www.youtube.com/watch?v=zd1IN99OZR0
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26 febbraio 2025
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UOMINI, FATE L'AFFARE DELLA VOSTRA VITA: SPOSATEVI!
Gli uomini sposati sono più ricchi, più felici ed hanno una salute migliore
Autore: Brad Wilcox - Fonte: Provita & Famiglia, dicembre 2024
Dunque, è così? Il matrimonio avrebbe «zero vantaggi statistici» per gli uomini di oggi? Il matrimonio sarebbe solo un trofeo in più per gli uomini che ce l'hanno già fatta, di poca importanza intrinseca al di là di un simbolo di successo? Seguiamo il consiglio dei critici usando la testa invece del cuore per esaminare cosa dicono le scienze sociali a proposito del matrimonio e di tre aspetti importanti per la vita degli uomini: denaro, felicità e aspettativa di vita.
GLI UOMINI SPOSATI SONO PIÙ RICCHI Dal punto di vista economico i dati sono solidi e chiari: gli uomini in un matrimonio stabile (che si sono sposati e sono rimasti sposati) che si avviano alla pensione hanno un patrimonio familiare dieci volte più elevato rispetto ai coetanei divorziati o che non si sono mai sposati. Tenendo conto delle differenze di istruzione, razza e occupazione, il premio medio del matrimonio in termini di patrimonio familiare per gli uomini stabilmente sposati è di 290.000 dollari più elevato rispetto ai coetanei non sposati. Insomma, esattamente il contrario di «zero vantaggi statistici». Una situazione analoga si verifica con il reddito. Anche dopo aver controllato età, razza, etnia, istruzione e dimensioni del nucleo familiare, gli uomini sposati hanno un reddito familiare del 40% più elevato rispetto ai coetanei non sposati. Similmente, gli uomini sposati nel fiore degli anni hanno una probabilità del 55% più bassa di vivere in povertà. Per confutare la tesi secondo la quale il matrimonio non avrebbe economicamente benefici intrinseci, ma attirerebbe solo persone già agiate in partenza, si possono esaminare gli studi condotti su gemelli. Uno studio del 2004 condotto su gemelli monozigoti ha scoperto che il matrimonio fa aumentare il salario degli uomini: i gemelli sposati guadagnano circa il 26% in più dei gemelli non sposati. Questo succede perché, come sostengo nel mio libro Get Married: Why americans must defy the élites, forge strong families, and save civilization, le responsabilità associate al matrimonio fanno sì che gli uomini lavorino di più, in modo più intelligente e più responsabile. Sappiamo, per esempio, che gli uomini sposati lavorano per più ore e hanno meno probabilità di essere licenziati rispetto ai coetanei non sposati.
GLI UOMINI SPOSATI SONO PIÙ FELICI Il denaro conta, ma vi sono cose più importanti come la felicità. In che modo per gli uomini il matrimonio è collegato alla felicità? Anche in questo caso le evidenze sono chiare: i dati mostrano che gli uomini sposati hanno circa il doppio della probabilità di essere "molto contenti" della propria vita rispetto agli uomini non sposati, e questo vale soprattutto per gli uomini sposati che sono anche padri. Secondo l'Institute for Family Studies/Wheatley Institute Family Survey, condotto nel 2021 da YouGov, quasi il 60% dei padri sposati sostiene che la propria vita è significativa "per la maggior parte del tempo" rispetto al 38% dei coetanei single senza figli. Per quanto riguarda in particolare la felicità, nel 2002 lo scienziato sociale James Q. Wilson ha scritto: «A parità di età le persone sposate sono più felici di quelle non sposate, non solo negli Stati Uniti, ma in almeno altri 17 Paesi in cui sono state fatte indagini simili». Wilson osserva che «sembra che vi siano buone ragioni per questa felicità», dati i notevoli benefici in termini di salute e benessere «associati al matrimonio». I critici potrebbero eccepire che ciò avviene non per merito del matrimonio, ma solo perché le persone più felici in partenza sono anche più propense a sposarsi e a rimanere sposate. Tuttavia, ancora una volta, ciò che emerge è l'influenza positiva intrinseca del matrimonio, come ha rilevato per esempio Tyler Vander Weele - professore di biostatistica alla School of Public Health di Harvard - che ha studiato a fondo la questione. Egli scrive che «gli studi longitudinali esistenti, così come gli studi trasversali, indicano che il matrimonio è associato a una maggiore soddisfazione nella vita e a una maggiore felicità dal punto di vista affettivo». VanderWeele sostiene che «matrimonio e famiglia risultano essere una porta d'accesso alla prosperità».
GLI UOMINI SPOSATI HANNO UNA SALUTE MIGLIORE Gli uomini single hanno molte più probabilità di ammalarsi e di morire. Il lavoro di Anne ase e Angus Deaton, economisti di Princeton, rivela che centinaia di migliaia di uomini hanno perso la vita a causa delle cosiddette "morti per disperazione": overdose, patologie correlate all'abuso di alcol, suicidio. In particolare sono gli uomini non sposati e non laureati che hanno una maggiore probabilità di morire per questi motivi. Il sociologo Philip N. Cohen, dell'Università del Maryland, che ha studiato il legame tra matrimonio e morte per disperazione, afferma che «la presenza di rischi di mortalità inferiori delle persone sposate rispetto ai single è una componente costante nella struttura gerarchica delle famiglie statunitensi». Jonathan Rothwell, principale economista della Gallup, giunge nella sua ricerca a conclusioni simili, rilevando che i modelli regionali di questi decessi sono fortemente associati alla percentuale di adulti sposati. Egli osserva che «in effetti, nella previsione delle morti per disperazione, le misurazioni relative al tasso di matrimonio sono più rilevanti dei tassi di istruzione universitaria e della componente riguardante l'età e la razza». Il matrimonio riduce il rischio di morte per suicidio sia per gli uomini che per le donne, un dato importante visto l'aumento nell'ultimo decennio dei tassi di suicidio tra gli uomini, soprattutto giovani [dal 2010 il tasso di suicidio tra gli uomini statunitensi di 25-34 anni è aumentato del 34%, ndR]. Charles Fain Lehman, dell'Institute for Family Studies, riferisce che «il tasso di suicidio tra gli adulti divorziati è più del triplo di quello degli adulti sposati, mentre il tasso di suicidio tra i single è da 1,5 a 2 volte più elevato di quello dei coniugati». Altre ricerche suggeriscono che il potere protettivo del matrimonio nei confronti del suicidio è particolarmente marcato per gli uomini. Come osservo in Get Married: «La verità è che le donne e soprattutto gli uomini che volano in solitaria hanno oggi in America molte più probabilità dei loro coetanei sposati di andare in pezzi, fino a finire prematuramente in una tomba».
C'È BISOGNO DI PIÙ UOMINI SPOSATI Gli uomini sposati hanno una sicurezza economica maggiore, sono più felici e meno inclini a soccombere alla morte per disperazione. Esistono fondate evidenze del fatto che alcuni dei benefici per gli uomini sposati derivino da come l'istituto del matrimonio protegge gli uomini dalla solitudine e dalla mancanza di senso e li aiuta a lavorare meglio e con maggiore successo. La buona notizia è che, dopo decenni di declino, pare che il matrimonio si stia leggermente rafforzando. Il rischio di divorzio è ora ben al di sotto del 50%. In effetti la maggior parte dei matrimoni, circa il 60%, dura. E ci sono cose che gli uomini possono fare per ridurre ulteriormente il rischio di finire in tribunale per divorziare: serate eleganti insieme, il dare la priorità a un'occupazione stabile, una pratica religiosa condivisa. Troppi uomini nella società di oggi sono alla deriva, disperati, smarriti e infelici. Il matrimonio sembra ridurre l'incidenza del malessere maschile. La società ha bisogno di più uomini sani, felici e produttivi, e la maggior parte delle donne sicuramente concorderà. La società ha bisogno di più uomini sposati.
Fonte: Provita & Famiglia, dicembre 2024
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SE CRISTO NON AVESSE FATTO MIRACOLI, PERCHE' CREDERGLI?
Quando l'omelia riduce il soprannaturale a un semplice messaggio sociale, la fede cristiana diventa inutile
Autore: Don Stefano Bimbi - Fonte: La Bussola Mensile, novembre 2024
Può capitare di ascoltare un'omelia in cui il sacerdote riduca o ignori un miracolo di Gesù, che pure era descritto realisticamente nel vangelo appena letto. Ad esempio, la moltiplicazione dei pani, anziché essere il primo annuncio del dono dell'eucaristia, il corpo di Cristo dato come vero cibo, può essere letta come un semplice invito a impegnarsi per un mondo più giusto, in cui tutti abbiano accesso al cibo e alle risorse necessarie per vivere, magari con il solito invito ai cristiani a lottare contro la fame nel mondo. Oppure la trasformazione dell'acqua in vino alle nozze di Cana potrebbe essere commentata mostrando genericamente la capacità di Gesù di trasformare le situazioni negative in positive, di portare gioia e speranza dove c'è tristezza e disperazione. Così si rischia di ridurre la fede a buonismo. Ma Se si esclude o si minimizza l'elemento soprannaturale, si rischia di trasformare la fede in un insieme di valori umani, perdendo di vista la dimensione trascendente che caratterizza il cristianesimo. Infatti è innegabile che Gesù abbia compiuto i miracoli. E l'ha fatto per un motivo preciso: per attestare la propria divinità. Infatti dice Lui stesso nel vangelo: «se non credete a me, credete alle opere» (Gv 10,38). Certo i miracoli, oltre a fatti storici inoppugnabili, hanno anche un valore simbolico. Infatti San Giovanni nel suo Vangelo non li chiama miracoli, ma segni. Il miracolo alle nozze di Cana è il primo segno, mentre la risurrezione di Lazzaro, è l'ultimo. Ma nonostante questo valore simbolico, i miracoli sono fatti reali e verificati da molti presenti:, come ad esempio i servi a Cana e la folla davanti alla tomba di Lazzaro. Persino gli avversari di Gesù sono costretti a riconoscere i miracoli da lui compiuti. Ad esempio la risurrezione di Lazzaro non viene contestata nemmeno dai nemici di Gesù i quali sono costretti ad ammettere: «quest'uomo fa molti miracoli. Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui» (Gv 11,47-48). Proprio per questo decidono di uccidere anche Lazzaro in modo da cancellare la prova vivente del miracolo effettivamente avvenuto. Del resto, non è forse vero che la nostra fede cristiana si basa sul miracolo più importante di tutti, cioè la risurrezione di Gesù dalla morte? Come ricorda San Paolo, infatti, se Cristo non fosse risorto dai morti, vana sarebbe la nostra fede (Cf 1Cor 15,17). Chi minimizza i miracoli nel Vangelo dovrebbe coerentemente parlare di uova e coniglietti nell'omelia di Pasqua. Il problema è che riducendo i miracoli alla dimensione umana e terrena, si rischia di cadere nel relativismo e considerare che tutte le religioni abbiano lo stesso valore e che non esista una verità assoluta. Ma allora perché dovrei credere a Gesù anziché ad altre divinità. Perché dovrei ubbidire ai comandamenti, ricorrere ai sacramenti ed andare perfino alla Messa? In conclusione è bene ricordare che i miracoli veri e propri avvengono solo all'interno della Chiesa Cattolica, ma ciò nonostante essi non sono una cosa che riguarda solo i cristiani, i quali ci credono perché hanno la fede. I miracoli sono fatti, interrogano la ragione anche del non credente. Se invece egli non si lasciasse interrogare, dimostrerebbe di avere un pre-giudizio. Come ben riassumeva il grande Chesterton: «Chi crede ai miracoli lo fa in base a un fatto, chi non ci crede lo fa in base a un'idea».
I MIRACOLI SERVONO A RICONOSCERE LA PRESENZA DI DIO Sono proprio i miracoli ad attestare la divinità di Gesù, del resto la Scrittura ne è piena... eppure c'è chi pensa che per risultare credibili i cristiani dovrebbero metterli da parte (VIDEO: Antonio Socci sui miracoli di Padre Pio) di Luisella Scrosati https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7990
Fonte: La Bussola Mensile, novembre 2024
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LA VERA DIFFERENZA TRA PSICOLOGO E CONFESSORE
Uno psicologo (se molto bravo) potrà individuare il problema, ma non lo risolverà, mentre la confessione attua una liberazione che nessun mezzo umano può dare
Autore: Mauro Piacenza - Fonte: Il Timone, novembre 2024
È fuori dubbio che, nel recente passato, si sia vista un'esplosione del ricorso alla psicologia - e segnatamente all'aiuto degli psicologi - in tutto l'Occidente. Le vicende storiche della pandemia e dell'esplosione clamorosa e, in parte, inattesa dei conflitti bellici hanno, se possibile, ulteriormente aggravato la situazione, al punto da indurre non pochi Governi a offrire ai cittadini un "bonus psicologo" per poter così ricevere l'aiuto di specialisti capaci di ascoltare e di dare un nome al diffuso disagio delle persone. Si potrebbe quasi dire che lo psicologo sta all'epoca moderna come il confessore stava all'epoca cristiana! Ma è davvero così? È sufficiente il ricorso allo psicologo per "risolvere" il problema umano? Colloquio con lo psicologo e dialogo della Confessione si equivalgono? La risposta a queste domande è, senza ombra di dubbio, negativa. Pur riconoscendo il legittimo valore della scienza umana detta "psicologia", è evidente come essa non possa, in alcun caso, essere confusa con il sacramento della Riconciliazione. I due "dialoghi"- quello con lo psicologo e quello con il confessore - possono avere alcune analogie, che proveremo a indicare, ma hanno certamente radici diverse e, soprattutto, esiti differenti.
UN GRANDE PARADOSSO Il grande teologo ambrosiano, prematuramente scomparso, Giovanni Moioli, nel suo saggio Il quarto sacramento (Ed. Glossa), descriveva la Riconciliazione come il «sacramento difficile», proprio per l'esigenza imprescindibile del dialogo verace, intimo e personale tra penitente e confessore, necessario perché ci sia la materia prossima del sacramento e perché esso sia valido. È fuori dubbio che l'apparente sostituzione della Riconciliazione sacramentale con il dialogo terapeutico affondi le proprie radici nella diffusa secolarizzazione del mondo occidentale; secolarizzazione che - è quasi un paradosso! - è anche la causa di tanto disagio sociale e personale dell'uomo contemporaneo. In un contesto culturale nel quale Dio è espulso dalla storia o dalla società e, nel migliore dei casi, è relegato al sentimento soggettivo, la risposta alle domande fondamentali dell'esistenza diviene per lo meno ardua, se non impossibile. Se Dio non c'è, l'uomo si riduce a essere l'esito dei propri antecedenti biologici, materia un po' più sviluppata del resto della natura, ma nulla di più, solo materia. Nel contempo, anche la dimensione teleologica, la dimensione del fine della vita e del senso delle azioni umane, perde il proprio significato. Da questo contesto generale è solo possibile immaginare quale mole di frustrazione, anche psicologica, possa derivare, poiché tutte le azioni umane, anche le più nobili e alte, perdono di significato o, nel migliore dei casi, gratificano l'ego, in un cortocircuito nel quale la domanda mai sopita del cuore umano cerca sempre nuove gratificazioni e mai da nulla si ritiene appagata.
UNA SOFFERENZA SVUOTATA Se a questo si somma la quasi totale censura di un possibile senso della sofferenza umana e della morte, il quadro appare drammaticamente completo. Se la sofferenza umana non ha senso, allora essa è da evitare accuratamente, senza eccezioni, a qualunque livello della coscienza e in qualunque stagione della vita. La contraddizione deflagrante è, tuttavia, che la sofferenza esiste e, semplicemente, non può essere evitata! Da qui l'ulteriore profonda frustrazione di una vita necessariamente frammista anche a momenti di sofferenza, che paiono non avere significato, inficiando così il senso stesso dell'intera esistenza. Al vertice di tale crisi di senso si pone, ovviamente, il mistero della morte, il quale, in un contesto radicalmente secolarizzato, viene sistematicamente censurato e, perfino, de-ritualizzato (basti pensare a tutte le agenzie laiche che si occupano di riti esequiali e, soprattutto, di cremazione), impedendo così quella ordinata e psicologicamente sana elaborazione del lutto, della quale la ritualizzazione è momento essenziale.
LA CONFESSIONE È LUOGO DELLA RISPOSTA Il sacramento della Riconciliazione, invece, si celebra non solo in un orizzonte valoriale, nel quale è riconosciuta l'esistenza di un Dio personale, creatore e provvidente, di un Dio Padre capace di un sempre continuo perdono nei confronti dei Suoi figli, ma anche nell'accoglienza del mistero dell'Incarnazione, per il quale il potere di Dio di perdonare i peccati, in Gesù di Nazareth, Signore e Cristo, è sceso sulla terra («Perché crediate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati...», Mt 9,6; Mc 2,10; Lc 5,24). Il sacramento della Riconciliazione, dunque, è da comprendere e celebrare in un orizzonte soprannaturale, che certamente abbraccia tutte le istanze naturali presenti nell'umana esistenza, ma le supera e le risolve come nessun psicologo potrà mai fare. La fede esplicita in Dio - e non in un "dio" generico a cui tutti possono indifferentemente fare rifermento, ma nel "Dio di Gesù Cristo", nel Dio-Amore trinitario, capace non solo di incarnarsi, assumendo un'integra natura umana, ma addirittura di scegliere di morire per amore della Sua creatura e per salvarla dal limite e dal peccato - diviene risposta piena di senso sull'origine e sul fine dell'umana esistenza, donando uno straordinario, eterno valore alla libertà umana e alle azioni che con essa, illuminata dall'intelligenza e sostenuta dalla volontà, l'uomo compie. Nulla è più liberante della fede in Gesù Cristo e del riconoscimento umile e grato del Dio-Amore dal quale tutti gli uomini provengono e al quale sono chiamati a rispondere, anche con le proprie croci. L'elemento "difficile" della sofferenza umana trova, non nello sterile ego soggettivo, ma nell'infinito oceano dell'Amore divino, un'unica possibile risposta; il mistero di un Dio-Amore, incarnato e crocifisso, di un Dio-Misericordia che continua a riversare, attraverso il sacramento della Riconciliazione, la sua Misericordia e il suo Amore sull'umanità, è l'unica reale risposta a ogni domanda che fiorisce dall'ineluttabile sofferenza umana, soprattutto quella innocente, e dall'inevitabile disagio che l'uomo prova di fronte a essa. L'amore della Croce è la risposta a ogni possibile sofferenza umana e, per quanto la scienza psicologica possa certamente, in alcuni casi, essere di grande aiuto, il migliore degli psicologi (se molto bravo) potrà individuare il problema, ma non lo risolverà e, soprattutto, non salverà l'umano. Gesù Cristo è, infatti, l'unico Salvatore.
Fonte: Il Timone, novembre 2024
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TRUMP: LA CONTRORIVOLUZIONE PARTE DALLE CANNUCCE DI PLASTICA
Una decisione più importante di quel che si creda... e intanto inizia la riforma della polizia federale con due nomine ai vertici dell'Fbi, anche in difesa dei cattolici (VIDEO: Trump al Congresso USA)
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13 febbraio 2025
Con tutti i problemi che ci sono nel mondo, Donald Trump deve proprio sprecare il suo tempo per firmare un ordine esecutivo in cui ripristina l'uso delle cannucce di plastica? È soprattutto questo il tenore delle critiche al presidente, oltre a una minoranza di eco-attivista anti-plastica che si sta stracciando le vesti. E c'è da scommettere che, per reazione, l'Ue imporrà una politica comunitaria ancora più stretta sull'imposizione dell'uso delle cannucce. Sembra una battaglia bagatellare, ma è un segnale importante per l'inversione di rotta in corso. Negli Usa non c'è un obbligo nazionale per le cannucce di carta, né un divieto dell'uso di quelle di plastica. Però sempre più città e Stati interi, nell'ultimo decennio, hanno vietato le cannucce di plastica, sostituendole con materiali alternativi e biodegradabili, o almeno eco-friendly. La cannuccia di carta, che si appiccica alle labbra e a volte si scioglie nella tazza, è diventata di uso comune, al di qua e al di là dell'Atlantico. Nell'ordine esecutivo, l'amministrazione Trump stabilisce che non vengano più comprate e distribuite cannucce di carta all'interno degli uffici federali. E al tempo stesso dispone la stesura di un piano nazionale per porre fine agli obblighi di uso delle cannucce di carta (da presentare entro 45 giorni) per «alleviare l'uso obbligatorio di cannucce di carta a livello nazionale». Trump ha dichiarato che le cannucce di carta, semplicemente "fanno schifo", sono disfunzionali e rovinano il piacere della bevuta. Nell'ordine esecutivo che ha firmato martedì 11 febbraio, specifica anche che siano anti-economiche (costano di più e spesso il consumatore ne deve prendere più di una per arrivare alla fine della bevuta), non sono così eco-friendly (non solo la produzione è inquinante, ma anche le sostanze di cui sono composte sono dannose per l'ambiente e potenzialmente anche per l'uomo) e a questo si aggiunge, molto spesso e volentieri, l'ipocrisia delle cannucce di carta avvolte nell'involucro di plastica.
RIMEDIARE ALL'ASSURDA BATTAGLIA ECOLOGISTA Non chiediamoci perché Trump arrivi a firmare un ordine esecutivo in cui deve porre fine agli obblighi sull'uso delle cannucce di carta. Chiediamoci, semmai, come si sia arrivati ad avere questi obblighi su un oggetto di uso quotidiano. La causa è la battaglia ecologista contro le "isole di plastica" che si sono formate nell'Oceano Pacifico. La loro dimensione e la loro stessa esistenza è tuttora oggetto di dibattito. Secondo i report più pessimistici, l'isola di rifiuti plastici che galleggiano nel Pacifico sarebbe grande quanto il doppio dell'Italia. Ma secondo tutti gli studi più recenti sulla questione, gli Usa non appaiono mai fra i maggiori contributori di rifiuti plastici (men che meno i paesi europei). È infatti quantomeno arbitrario stabilire che i maggiori produttori di plastica siano anche i maggiori inquinatori dell'oceano. Gli Usa, così come l'Europa, hanno sistemi di trattamento dei rifiuti molto più efficienti rispetto ai paesi in via di sviluppo che si affacciano sul Pacifico. Secondo uno studio pubblicato su Science nel 2015, i maggiori contributori dei rifiuti plastici sono la Cina, l'Indonesia, le Filippine, il Vietnam e lo Sri Lanka. In questa classifica gli Usa compaiono solo al 20mo posto. Al contrario, la Cina produce rifiuti quanto Indonesia, Filippine, Vietnam e Sri Lanka messi assieme.
L'ESALTAZIONE DELLA DECRESCITA Secondo uno studio di Lourens Meijer (e altri) del 2019, fra i primi 10 paesi inquinatori dell'Oceano Pacifico figurano: Filippine, Cina, India, Malesia, Indonesia, Myanmar, Vietnam, Bangladesh e Tailandia. Unico paese atlantico che entra nella classifica dei primi dieci è il Brasile. Uno studio ancor più recente condotto dall'associazione Ocean Cleanup, pubblicato nel 2022, rileva che la maggior fonte di inquinamento non sarebbero oggetti di plastica di uso quotidiano, ma grandi rifiuti prodotti dall'attività dei pescatori. E le responsabili sono soprattutto le industrie ittiche della Cina e del Giappone. Le cannucce di carta sono state dunque introdotte negli Usa, come in Europa, per "dare l'esempio" (virtue signaling, come si direbbe negli Usa), anche se né gli Usa né l'Europa possono ridurre le dimensioni dell'isola di plastica nel Pacifico. Perché non vi contribuiscono. Ma la cannuccia di carta, come ha ricordato brutalmente Trump, "fa schifo". È peggio, sotto tutti i punti di vista, delle cannucce di plastica che si propone di sostituire. Come in altri casi, si sceglie un materiale più inefficiente, costoso e meno amato dai consumatori, per obbedire a una logica che soddisfa solo l'ideologia verde. Siamo anche l'unica parte di mondo che è riuscita a produrre anche una teoria economica che mira alla "decrescita". Ben venga dunque un ordine che riparta dalle cannucce per una controrivoluzione del buon senso.
Nota di BastaBugie:l'autore del precedente articolo, Stefano Magni, nell'articolo seguente dal titolo "Due nemici dell'Fbi ai vertici dell'Fbi. Anche in difesa dei cattolici" parla delle nomine di Trump ai vertici della polizia federale degli Usa. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 27 febbraio 2025: Ai vertici della polizia federale degli Stati Uniti, la mitica Fbi, chi scegliere di meglio se non i due maggiori contestatori dell'Fbi degli ultimi anni? Trump ha scelto Kash Patel come direttore e poi Dan Bongino come vicedirettore. Il primo, avvocato di origine indiana, fedelissimo di Trump anche negli anni dell'opposizione, ha un curriculum di tutto rispetto, non di agente della polizia (che non è), ma di critico della polizia federale e della sua politicizzazione, con toni ai limiti dell'eversione. Il secondo, che i media italiani definiscono frettolosamente come "podcaster", è un ex agente della polizia di New York, poi entrato nel Servizio Segreto di scorta ai presidenti Bush e Obama e infine creatore di un vero impero mediatico di informazione alternativa. Ancor più di Kash Patel, è convinto che dell'Fbi debba essere "fatta piazza pulita". Kashyap Pramod Vinod "Kash" Patel è stato confermato per il rotto della cuffia con un voto di 51 a favore e 49 contrari al Senato. Anche le senatrici repubblicane Susan Collins e Lisa Murokowski hanno disertato (come in molte altre occasioni in passato, per altro). Di Kash Patel gli oppositori dicono: non ha esperienza nell'Fbi, ha clienti stranieri che possono costituire un conflitto di interessi, è un cospirazionista e che la nomina è dovuta solo a una preferenza personale di Trump, oltre alla sua voglia di vendicarsi di tutte le inchieste che ha subito dal 2016 al 2024 ad opera degli agenti federali. Che Patel non abbia esperienza nelle forze di sicurezza non è vero: dopo la sua attività di assistenza parlamentare nella Commissione antiterrorismo, nel 2017 è stato nominato nella prima amministrazione Trump come funzionario del Consiglio di sicurezza nazionale, consigliere senior per l'antiterrorismo per la Commissione Intelligence della Camera. Poi promosso direttore senior della Direzione antiterrorismo presso il Consiglio di sicurezza nazionale nel 2019. Se i Democratici lo odiano, è soprattutto per il suo attivismo in difesa di Trump, smontando la tesi del Russiagate (l'indagine, poi finita in un nulla di fatto, su presunte interferenze russe nella campagna elettorale del 2016), poi contestando l'indagine dell'Fbi sui documenti conservati da Trump nella sua residenza di Mar a Lago, infine difendendo anche i condannati del 6 gennaio, dunque gli estremisti arrestati a seguito dell'assalto del Campidoglio. Il suo proposito è quello di de-politicizzare l'Fbi, che ultimamente dava la caccia a "terroristi interni", fra cui associazioni di conservatori e di tradizionalisti cattolici, visti come potenziali minacce. Nella sua audizione in Congresso, Patel ha promesso di indagare sull'origine del documento anti-cattolico prodotto all'interno dell'agenzia in cui si chiedeva di tracciare le attività delle associazioni tradizionaliste. La sua nomina coincide con l'ordine esecutivo di Trump per porre fine ad ogni pregiudizio ideologico anti-cristiano nell'Fbi, in generale per riportare la polizia al suo compito originario: non più uno strumento politico, ma solo un mezzo per combattere il crimine su scala nazionale. Il suo braccio destro sarà Dan Bongino, un poliziotto di New York e scorta presidenziale, che è diventato celebre prima per i suoi libri di memorie, "dentro la bolla" di Washington e poi come podcaster. Nell'era di Internet ha sollevato fra i repubblicani lo stesso entusiasmo che Rush Limbaugh, commentatore repubblicano morto nel 2021, suscitava ai tempi della radio. Il Renegade Republican, poi diventato Dan Bongino Show, è diventato un vero e proprio impero mediatico. E almeno dal 2017, Dan Bongino ha colpito soprattutto un nemico: la polizia federale. Dal Russiagate a al Campidoglio, fino alle investigazioni nella residenza di Trump, l'Fbi è stata accusata da Bongino di essere un'entità interamente corrotta, governata dalle logiche oscure dello Stato Profondo. Per aver "diffuso disinformazione" sulle misure anti-pandemiche, Bongino era stato bannato permanentemente da YouTube e si era trasferito su Rumble, mantenendo intatto il suo audience. La vendetta è un piatto che si consuma freddo: ora sarà lui alla testa dell'Fbi, secondo solo a Patel. Con gran gioia di tutti gli agenti federali che ora si vedono comandare da questo detestato poliziotto di New York che per otto anni ha sparato contro di loro sul Web. Saranno nomine molto utili a tutti, se veramente mantenessero la promessa di spazzar via ogni incrostazione politica dall'Fbi. Benissimo se pongono fine al pregiudizio anti-cattolico che stava iniziando a mettere a rischio la libertà di religione negli Usa. Un compito difficilissimo che richiede nervi saldi e un'ottima capacità di sopravvivenza nella giungla delle burocrazie federali. Si vedrà negli anni se sono all'altezza del loro ruolo, o sono stati scelti solo perché, negli anni, hanno difeso pubblicamente Trump.
VIDEO: Trump al Congresso USA (1h 40m - 04/03/2025)
https://www.youtube.com/watch?v=Bna25LEJxXo
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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13 febbraio 2025
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BEATA ELISABETTA SANNA, LA PICCOLA SARDA DALLE BRACCIA PARALIZZATE
Nonostante il suo handicap a 19 anni è richiesta in sposa (il marito dice agli amici: ''Mia moglie non è come le vostre, è una santa!'') e resterà vedova a 37 anni con cinque figli
Autore: Gianpiero Pettiti - Fonte: Santi e Beati, 8 gennaio 2018
Ha le braccia atrofizzate e paralizzate, per cui non riesce a portare il cibo alla bocca e nemmeno a fare il segno di croce: una disabile, insomma, e per questo la vorrebbero proporre come protettrice di tutti i disabili del mondo. Il suo handicap è una conseguenza del vaiolo, contratto da bambina piccolissima, e di un'operazione maldestra: le è rimasta soltanto la possibilità di muovere dita e polsi, ma per poter mangiare deve utilizzare speciali bacchette in legno, realizzate apposta per lei. Malgrado questa menomazione, soprattutto perché non è tipo da piangersi addosso, riesce ad avere una vita normale e felice, anche per le condizioni discretamente agiate della sua famiglia, che nel clima di generale povertà di Codrongianos (Sassari) si distingue per il reddito garantito dei campi che lavorano onestamente. In Elisabetta Sanna soltanto le braccia sono inerti, perché in lei non mancano le idee e la volontà di tradurle in pratica: a casa sua si danno appuntamento le ragazze del paese per imparare catechismo, organizzare pellegrinaggi, occupare utilmente il tempo libero. E deve pure avere un buon seguito se nel 1803, quando ha solo 15 anni, alcune mamme del paese vanno a protestare ufficialmente dai suoi genitori, perché attira troppo le ragazze in chiesa. Impedita a pettinarsi, lavarsi la faccia, cambiarsi d'abito da sola, ha sviluppato tuttavia le sue capacità residue che le consentono di impastare, infornare e sfornare il pane e, nessuno mai lo potrebbe immaginare, anche allevare figli. Neanche lei, a dire il vero, perché le sembra impossibile aspirare al matrimonio nelle sue condizioni e poi perché si sente profondamente attratta dalla vita religiosa pur essa non priva di difficoltà, senonché all'improvviso saltano fuori ben tre pretendenti. Mentre mamma insiste perché si sposi e lei punta i piedi perché vuole andare in convento, si accorge di averli tutti contro, confessore compreso, a caldeggiare il suo matrimonio. Finisce per arrendersi e, potendo addirittura scegliere, dice il tanto sospirato "sì" a quello dei tre che è più povero, come a dire che con il matrimonio non è in cerca di una buona sistemazione.
UN MATRIMONIO CHE FUNZIONA Incredibile a dirsi, il suo è un matrimonio che funziona e nel 1807, cioè a 19 anni, comincia ad essere sposa felice di un marito felice, Antonio Porcu. Tra il 20 novembre 1808 e il 20 novembre 1822 nascono sette figli, cinque dei quali sopravvivono, e lei riesce ad allevarli, possiamo immaginare con quanta difficoltà. Testimonianze giurate riferiscono che in quella casa il marito non fa nulla senza prima sentire la moglie e questa non finisce mai di dire di non esser degna d'un marito così buono. Peccato che quest'ultimo muoia il 25 gennaio 1825, lasciandola vedova a 37 anni con cinque figli, il più piccolo dei quali ha solo tre anni. Senza perdersi d'animo, si riorganizza la vita e la vedovanza, facendo innanzitutto voto di castità, come a ribadire di non volersi più risposare, caso mai se ne fosse ripresentata l'occasione. Insieme ai suoceri, con cui vive d'amore e d'accordo, avvia poi i figli più grandi al lavoro dei campi, mentre si prende cura dei suoi più piccoli, ma anche di quelli degli altri, perché non ha perso l'abitudine di aprir le porte di casa sua per far catechismo ed insegnare ai più piccoli a cantare e pregare. Si intensifica la sua partecipazione alla vita parrocchiale, senza che per questo ne risentano né l'educazione dei figli, né i lavori di casa, che tiene pulita come uno specchio. Torna, in questo periodo, il desiderio della vita religiosa, ma si sente legata ai suoi doveri di famiglia e glieli richiamano in continuazione anche i confessori. Che non riescono però a toglierle dalla testa il desiderio di fare un pellegrinaggio in Terrasanta, verso la quale si sente irresistibilmente attratta, volendo almeno una volta nella vita posare i piedi sulla stessa polvere calpestata da Gesù. Organizza il suo viaggio nel 1831, con la certezza che i suoceri baderanno ai figli e il fratello prete si prenderà cura del più piccolo fino al suo ritorno e si imbarca il 25 giugno. Il viaggio, però, subito si trasforma in incubo a causa di una burrasca, che per quattro giorni tiene in balìa delle onde la povera nave, costretta il 29 giugno ad un attracco d'emergenza a Genova. Sfinita al punto di non reggersi in piedi, qui Elisabetta si accorge di non avere il visto per raggiungere la Terra Santa e, dato che per ottenerlo bisogna attendere mesi, insieme ad altri pellegrini raggiunge Roma con un viaggio via terra molto faticoso.
MAMMA SANNA "Mamma Sanna" a Roma prende provvisoriamente alloggio in una locanda, ma ben presto le viene diagnosticato un grave problema di cuore per cui il medico esclude che, almeno per il momento, sia in condizioni di proseguire il viaggio o di rientrare in Sardegna perché non sopporterebbe la traversata. Tanto vale, quindi, trovare una sistemazione meno provvisoria e soprattutto più economica, visto che le sue risorse economiche si stanno esaurendo. Poiché la donna ha imparato a malapena a leggere, ma non sa scrivere, è don Vincenzo Pallotti (che sarà il suo direttore spirituale e che la Chiesa poi ha proclamato santo) a scrivere in Sardegna, al fratello prete di Elisabetta, per comunicare le sue condizioni di salute e l'impossibilità di un ritorno immediato. Per di più lei parla solo il dialetto sardo e non riesce a comunicare, perché nessuno a Roma lo capisce. Trova sistemazione in una soffitta, nei pressi della basilica di San Pietro, chiaramente una soluzione di fortuna e non certo ambita da molti, vista la difficoltà per accedervi e l'obbligo di condividerla con sgradevoli ed aggressivi topi, che saranno sempre suoi coinquilini. Unico pregio è la sua collocazione, a ridosso della basilica, che per lei diventa la sua collocazione abituale: chi vuole trovarla è in San Pietro che deve andare a cercarla, sprofondata in preghiera sul nudo pavimento, in un angolo buio e seminascosto. Dalle prime luci dell'alba, quando la basilica apre i battenti, fino a quando li chiude, un misterioso ininterrotto colloquio si svolge tra la donna dalle braccia inerti e il suo Dio, che evidentemente non ha problemi a capirla, anche se lo prega in strettissimo dialetto sardo. Come sempre accade, dall'intesa dell'uomo con Dio nasce poi quella con gli uomini, che poco a poco cominciano a capire ciò che dice quella donna, vestita in modo strano e che sembra avere "un fagotto sulla testa", che passa indenne tra gli sberleffi dei monelli, che entra quasi di soppiatto nelle case dei poveri e dei malati per curare pulire e servire con le sue braccia paralizzate, che ha imparato ad ascoltare e comprendere affanni regalando parole di consolazione e di speranza. C'è uno strano andirivieni nella sua soffitta infestata dai topi: nobili e poveri, cardinali e popolane, uomini d'affari ed esponenti della curia romana. Si è infatti sparsa voce che "Mamma Sanna" legga nei cuori, scruti le coscienze, investighi il futuro e interpreti il presente alla luce di Dio. Tutto questo avviene sotto gli occhi della "Virgo Potens", cioè il quadro mariano che tiene in camera, e davvero "potente" si rivela la sua intesa con la Vergine, se davanti ad esso avvengono piccoli e grandi eventi straordinari, guarigioni fisiche e conversioni, tutte rigorosamente attribuite alla Madonna, anche se agli occhi del popolo non è del tutto estranea l'intercessione di questa donna che pare abbia davvero un filo diretto con il Paradiso. [...]
Nota di BastaBugie:Paolo Risso nell'articolo seguente racconta gli ultimi decenni della vita della beata a Roma. Ecco l'articolo pubblicato su Santi e Beati nel 2018: Nel suo pellegrinare per le chiese di Roma, assetata di preghiera, Elisabetta si incontra, in San Pietro con il Maestro dei Penitenzieri, Padre Camillo Loria, che, ascoltata la sua confessione, le ordina di tornare in Sardegna. Ella è decisa ad obbedire, ma proprio in quel periodo di dubbio e di ansia sul da farsi, incontra nella chiesa di Sant'Agostino, un santo prete romano, Don Vincenzo Pallotti, dedito ad un proficuo vasto apostolato, in cui coinvolge numerosi laici, dando vita nel 1835 alla Società dell'Apostolato Cattolico. Uomo di grande influenza sui religiosi e sui laici, ricco di un fascino singolare, Don Pallotti sarà canonizzato dal Santo Padre Giovanni XXIII nel gennaio 1963. Elisabetta è compresa e rasserenata da Don Vincenzo, che illuminato da Dio, vede la singolare missione a cui ella è chiamata nell'Urbe. Dirà: «Allora, mi quietai e dopo circa cinque anni che dimoravo a Roma, ebbi una lettera da mio fratello sacerdote che la mia famiglia era veramente lo specchio del paese e tutti ne erano edificati». Davvero è il caso di dire che ognuno ha da Dio la sua vocazione, anche se qualche volta, può apparire difficile da comprendere. Ma i santi sanno percepire la volontà di Dio. Elisabetta si dedica al lavoro che le basta per vivere in povertà e letizia e occupa grandissima parte del suo tempo nella preghiera e nella contemplazione di Dio. Per qualche tempo, collabora nella casa di Mons. Giovanni Saglia, segretario della Congregazione dei Vescovi e futuro Cardinale. Diventa terziaria francescana e soprattutto si occupa, come prima collaboratrice, nell'unione Apostolato Cattolico, fondato da Don Pallotti. Ai suoi figli in Sardegna, fa donazione di tutto quanto possiede, lieta di vivere in perfetta povertà. Chi la avvicina, dirà di lei: «Vedeva Dio in tutto e lo adorava in tutte le cose. L'amore di Dio era la sua vita. Ogni più grande interesse spariva di fronte all'interesse di Dio. Diceva spesso: Mio Dio, io vi amo sopra tutte le cose». Diventa nota a tutti la sua passione per l'adorazione eucaristica, specialmente per la Quarantore. Alla scuola di San Vincenzo Pallotti, cresce ancor più la sua devozione alla Madonna e la sua stanzetta, davanti a San Pietro diventa un piccolo santuario mariano dove si riunisce la gente a pregare con lei. Sembra che il cielo di Dio discenda in quella minuscola cella. Da numerosissimi romani che hanno modo di avvicinarla è venerata come madre, anzi come santa. Lo stesso Don Pallotti la porta in grandissima stima e conduce i suoi figli spirituali ad ascoltare la sua parola. Nel tempo della repubblica romana, quando il Papa Pio IX è esule a Gaeta e Roma è caduta nelle mani dei senza Dio, Elisabetta si dimostra di singolare fortezza, di fronte a coloro che la osteggiano: «Per chi preghi?», le domandano con ironia. «Per tutti!». «E anche per la Repubblica?». Risponde: «Io non conosco questa persona!». Don Pallotti muore il 22 gennaio 1850, morte prevista da Elisabetta la quale ora è ancora più sola. Intensifica la sua preghiera e il suo apostolato. Ora è davvero la santa che ha conquistato il cuore dei romani per donarli a Gesù. È ormai anziana e sofferente. Si è consumata come un cero che arde sull'altare. Il 17 febbraio 1857, con la morte dei santi, Elisabetta Sanna va incontro a Dio, dopo aver visto Don Pallotti e San Gaetano da Thiene, che vengono a prenderla per il Paradiso. Al suo funerale, la gente di Roma dirà: «È morta la santa di San Pietro». Fu tanto il consenso popolare su di lei che, appena quattro mesi dopo la morte, fu nominato il postulatore della sua causa di beatificazione, durata oltre un secolo e mezzo. È stata dichiarata Venerabile il 27 gennaio 2014. Il miracolo che l'ha condotta finalmente sugli altari, approvato da papa Francesco il 21 gennaio 2016, è la guarigione, avvenuta nel 2008, di una ragazza brasiliana da un tumore che le paralizzava un braccio. È stata beatificata il 17 settembre 2016 presso la basilica della Santissima Trinità di Saccargia a Codrongianos.
Fonte: Santi e Beati, 8 gennaio 2018
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OMELIA I DOMENICA QUARESIMA - ANNO C (Lc 4,1-13)
Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane
Autore: Don Stefano Bimbi - Fonte: BastaBugie, 5 marzo 2025
Il vangelo di questa prima domenica di quaresima racconta il momento in cui Gesù viene tentato dal diavolo nel deserto. Un episodio che ci aiuta a capire come vincere le tentazioni che incontriamo nella nostra vita quotidiana. Il brano inizia descrivendo Gesù come "pieno di Spirito Santo" e "guidato dallo Spirito nel deserto". È importante notare che Gesù non è spinto da una situazione di debolezza o disperazione. Non è nemmeno il diavolo a spingerlo in un luogo solitario per tentarlo. È invece lo Spirito Santo che lo guida nel deserto per affrontare un periodo di prova e discernimento. Quante volte nella vita ci troviamo in situazioni difficili, come se fossimo "nel deserto", senza risposte immediate o qualcuno che ci aiuti. A volte, proprio nelle difficoltà, possiamo scoprire una forza interiore che ci guida, una forza che non è nostra, ma che viene dallo Spirito di Dio, pronta a trasformare la prova in un'opportunità di crescita. Gesù ci insegna che ogni sfida è un'occasione per essere rafforzati spiritualmente, se siamo disposti a lasciarci guidare. "Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane" (Lc 4,3). La prima tentazione riguarda la fame fisica. Dopo quaranta giorni di digiuno, il diavolo invita Gesù a usare la sua potenza divina per soddisfare i suoi bisogni materiali. Gesù gli risponde: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo" (Lc 4,4). La società di oggi ci spinge continuamente a cercare il "pane" materiale: la carriera, il successo, i beni materiali. Queste sono necessità legittime, ma il Vangelo ci ricorda che la vita non si riduce alla soddisfazione immediata dei bisogni. La vera pienezza della vita si trova nel cercare ciò che è eterno: la relazione con Dio, la verità, l’amore che si dona gratuitamente. Quando ci sentiamo tentati di ricercare solo il materiale o l'effimero, possiamo chiedere a Gesù di aiutarci a guardare oltre, per scoprire la nostra vera vocazione a cominciare dal riscoprire i nostri doveri di stato: le mamme e mogli a fare le mamme dei loro figli e le mogli dei loro mariti, i padri di famiglia a fare il capofamiglia che prende le decisioni con responsabilità, i sacerdoti a fare i sacerdoti dispensatori della verità del Vangelo e della Grazia dei sacramenti, ecc. "Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo" (Lc 4,7). La seconda tentazione riguarda il potere e il dominio. Il diavolo offre a Gesù il controllo su tutti i regni della terra, ma Gesù rifiuta, citando la Scrittura: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto" (Lc 4,8). Il desiderio di avere il controllo e di essere rispettati è naturale. Tuttavia, questo brano ci invita a riflettere su dove riponiamo davvero il nostro cuore. Quanto siamo disposti a sacrificare per il potere? Quali compromessi al ribasso caratterizzano la nostra vita? La tentazione del potere è insidiosa perché promette sicurezza e status, ma Gesù ci ricorda che il vero potere è servire, non dominare. L'autorità vera viene dall’umiltà e dal servizio agli altri. La domanda è: stiamo cercando la gloria di Dio o la nostra? "Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù da qui, sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano" (Lc 4,9-10). La terza tentazione è quella della presunzione e del tentativo di manipolare Dio. Il diavolo invita Gesù a mettere alla prova Dio, a dimostrare la sua potenza in modo spettacolare. Gesù risponde citando la Scrittura: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo" (Lc 4,12). Questo tipo di tentazione è legato a una visione superficiale di Dio, come se dovessimo costringere Dio a fare miracoli per noi. A volte potremmo avere il desiderio di fare prove che ci confermino che Dio è veramente con noi, o di cercare esperienze straordinarie per sentirci speciali. Ma Gesù ci insegna che la vera fede non si basa su continui miracoli che risolvono magicamente ogni cosa, ma sulla fiducia in Dio soprattutto quando le prove sono particolarmente gravose o apparentemente senza senso. La fede non è un modo per manipolare la realtà, ma per affrontarla con abbandono a Lui. Dopo averlo tentato in ogni modo, il diavolo lascia Gesù, ma la tentazione non è finita. Il vangelo ci ricorda che la tentazione è un processo continuo: il diavolo si allontana "fino al momento fissato", indicando che la lotta spirituale è una realtà costante nella vita di ogni credente. Non si tratta di una vittoria finale su questa terra, ma di un cammino di crescita in mezzo alle tentazioni. La nostra vita è segnata da scelte quotidiane, da dubbi, da pressioni esteriori e interiori. Ci saranno momenti in cui è difficile resistere, ma ogni passo che facciamo verso Dio è una vittoria. E quando ci sentiamo sopraffatti, possiamo sempre contare sulla forza che viene dallo Spirito Santo ricordando che con la confessione possiamo rialzarci dopo ogni caduta. In conclusione, all'inizio di questo periodo quaresimale siamo invitati a riflettere su come affrontiamo le tentazioni nella nostra vita quotidiana. Gesù ci mostra che la tentazione non è qualcosa da temere, ma da combattere con la forza della Parola di Dio, come ha fatto Lui stesso.
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