BastaBugie n�83 del 01 maggio 2009
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LE PROVE CHE LE ATTIVITA' UMANE SONO RESPONSABILI DEI MUTAMENTI CLIMATICI?
Manca il serio rigore scientifico
Autore: Antonino Zichichi - Fonte: 5 marzo 2009
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SINDONE
Tutte le prove scientifiche sono a favore (eccetto una, che pero' si e' dimostrata non scientifica)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: 21 Apr 2009
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REPORT (RAI 3), OVVERO L'INFORMAZIONE DROGATA, IDEOLOGICA, POLITICA E DI PARTE
Autore: Gianluca Zappa - Fonte: 28 aprile 2009
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LA TERAPIA REIKI NON E' COMPATIBILE CON LA DOTTRINA CRISTIANA
Autore: Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti - Fonte: Commissione per la Dottrina
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LA RIFORMA PAZIENTE DI BENEDETTO XVI
Autore: Vittorio Messori - Fonte: 20 aprile 2009
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CI ERAVAMO SBAGLIATI!
Il comunismo non e' finito
Autore: Giovanni Formicola - Fonte: 6 aprile 2009
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NOI E L'ISLAM 1
Secondo Obama l’islam ha plasmato gli Stati Uniti
Fonte: 25/4/2009
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NOI E L'ISLAM 2
Debiti con l’islam? Nessuno!
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: 4 aprile 2009
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NOI E L'ISLAM 3
Ebrei, cristiani e musulmani possono pregare insieme? Certo che no!
Autore: Magdi Cristiano Allam - Fonte: 23 aprile 2009
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LE PROVE CHE LE ATTIVITA' UMANE SONO RESPONSABILI DEI MUTAMENTI CLIMATICI?
Manca il serio rigore scientifico
Autore: Antonino Zichichi - Fonte: 5 marzo 2009
II problema del riscaldamento globale (global warming) è al centro dell'attenzione di tutti i governi e dell'opinione pubblica su scala mondiale. Le conclusioni del Comitato intergovernativo delle Nazioni Unite (Ipcc) sono state prese come fossero dettate da certezza scientifica. E invece sarebbe proprio necessario far capire al grande pubblico che la scienza è lungi dall'avere le certezze di cui si parla tanto. Vediamo perché. È necessario anzitutto distinguere meteorologia e climatologia. Prevedere il tempo che farà in intervalli che vanno dalle ore ai giorni fino al massimo di due settimane è compito della meteorologia. Quando entrano in gioco tempi lunghi, tipo decine e centinaia d'anni, entra in gioco la climatologia. Il grande pubblico è convinto che la scienza galileiana abbia capito tutto, sia nello studio dei tempi brevi, sia nello studio dei tempi lunghi. E purtroppo lo stesso fanno i governi. La strada è invece ancora molto lunga per arrivare ad un tale traguardo. Sarebbe necessario un impegno politico, forte, per dare vita ad un Laboratorio mondiale interamente dedicato allo studio dell'innumerevole serie di problemi meteo-climatologici. La scienza del clima ha saputo mettere su basi di rigorosa logica matematica la descrizione di ciò che avviene nei dieci chilometri d'aria che circondano la superficie solida e liquida di questo satellite del Sole. E ha concluso che non può esistere l'equazione che descrive tutti questi fenomeni. Questi fenomeni hanno infatti come unica possibile descrizione matematica, non una equazione in grado di portare a soluzioni esatte ma un sistema di equazioni, differenziali non lineari, fortemente accoppiate. Il grande pubblico vuole sapere se è vero che le attività dell'uomo stanno portando ad uno sconvolgimento delle caratteristiche climatiche della Terra. Per venire a capo di questo problema è stato istituito dall'Onu il Comitato permanente — prima citato — composto da oltre duemila scienziati di tutte le nazioni, l'Ipcc (Intergovernmental panel for climatic changes), che ha lavorato per diversi anni portando l'opinione pubblica mondiale a credere che la scienza ha capito tutto sul clima: presente, passato e futuro. Se fosse vero, il destino climatologico del nostro pianeta dovrebbe essere privo di incertezze e sotto il rigoroso controllo della scienza. Non è così. E' necessario riportare nel cuore dei Laboratori scientifici queste tematiche, togliendole dalle mani di coloro che ne hanno fatto strumento indispensabile per soddisfare ambizioni che nulla hanno a che fare con la verità scientifica. Il grande pubblico vuole sapere quali sono le conclusioni che il rigore scientifico può permettere di derivare dall'analisi delle misure fatte. Ecco le risposte. Incominciamo con l'anidride carbonica. Le misure dicono che è aumentata e su questo non c'è nulla da discutere. Ma i modelli dell'Ipcc prevedono che, con questo aumento, la temperatura avrebbe dovuto aumentare tre volte più di ciò che si misura. Un confronto rigorosamente basato su matematica e scienza ci ha portato a due conclusioni. Bisogna lavorare ancora molto e con maggiore rigore per migliorare i modelli matematici finora usati. E infatti sulla base di quanto fatto fino ad oggi non è possibile escludere che i fenomeni osservati siano dovuti a cause naturali. Può darsi che l'uomo c'entri poco o niente. Un'analisi sulle variazioni climatiche dei periodi trascorsi, da milioni di anni fino a pochi secoli fa, dimostra che i raggi cosmici influiscono molto sul destino del clima, ma nessun modello matematico ha finora introdotto questa variabile. Eppure è per via dei raggi cosmici che la Terra perde le due calotte polari ogni 140 milioni di anni. Nell'ultimo mezzo miliardo di anni è successo ben 4 volte: l'uomo non era ancora apparso. Qui stiamo parlando di clima. Ci sono però fenomeni che non possono essere spiegati da ciò che fanno il Sole e la Terra. C'è bisogno di qualcosa che abbia tempi molto lunghi. Entra così in gioco la climatologia cosmica. Essa dipende da dove si trova la Terra rispetto ai "bracci" della Galassia. I "bracci" sono infatti zone in cui l'intensità dei raggi cosmici può arrivare ad essere dieci volte più alta delle zone esterne ai "bracci". La caratteristica di ciascun "braccio" è quella di possedere una potente attività di formazione di Stelle, quindi di tutta la sequenza astrofisica associata. In essa ci sono i flussi dei raggi cosmici. Questi "raggi" consistono in massima parte di quelle particelle che sono la cenere elettricamente carica e pesante del Big Bang e dette "protoni". Entrare in un "braccio" della Galassia vuoi dire esporre la Terra a un flusso di raggi cosmici intenso. Questo vuol dire periodo glaciale. Nelle zone dello spazio galattico fuori dai "bracci" il flusso di raggi cosmici diminuisce - come detto prima - di circa dieci volte. Questa diminuzione porta la Terra ad attraversare periodi climatici molto caldi. Se scarseggiano i raggi cosmici, la Terra entra in un periodo di clima torrido. Il dato molto interessante è il valore della periodicità relativa ai passaggi attraverso i "bracci" della spirale galattica: 143 milioni di anni. Nel corso degli ultimi 500 milioni di anni ci sono state quattro glaciazioni e quattro periodi di clima torrido. Quando diminuisce il flusso di raggi cosmici, diminuisce la formazione nuvolosa attorno alla Terra e la temperatura aumenta. Da quando è nata la meteorologia gli studi per capire la evoluzione climatica davano per scontato che a giocare il ruolo dominante erano i gas ad effetto serra e prima tra tutti l'anidride carbonica. In verità la serie di eventi cui diamo il nome di evoluzione climatologica dipende da molti fattori. In sintesi: la composizione chimica dell'atmosfera; la dinamica dei movimenti delle grandi masse oceaniche; le distribuzioni geografiche dei continenti che sono dotati di movimenti lentissimi ma che, nel corso di milioni di anni, incidono sul motore meteorologico; il campo magnetico prodotto dal cosiddetto "vento solare", tutti questi elementi hanno un ruolo nella dinamica climatologica. In essa mancavano però gli effetti legati alla traiettoria che la Terra percorre in seno alla Galassia. Saranno necessari ulteriori studi e ricerche per stabilire entro quali limiti gli effetti, da noi prima citati e considerati importanti per il clima, possano agire da cassa di risonanza in tempi brevi per l'evoluzione del clima dovuta al nostro viaggio tra i bracci della Galassia. Questa sintesi dimostra quanto sia necessaria una forte azione politica affinchè si possa dare al grande pubblico, ed ai governi di tutto il mondo, la certezza che il futuro meteo e climatologico della nostra Terra sia nelle vere mani della comunità scientifica. Comunità che sente l'esigenza di una nuova alleanza tra potere politico e scienza. E infatti già nei lontani anni Ottanta del secolo scorso, prima che nascesse l'Ipcc, avevo richiamato l'attenzione dei miei colleghi, nella mia relazione di apertura alla Conferenza mondiale della Wmo (World meteorological organization, allora diretta dal collega e amico Obasi) sui pericoli che correva la scienza nella sua proiezione culturale su vasta scala. Un modello matematico non potrà mai essere più preciso dei dati usati per metterlo in grado di descrivere l'evoluzione atmosferica. Non bisogna scoraggiare i costruttori di modelli matematici. Bisogna incoraggiarli a far meglio, senza però avallare come valide le loro previsioni, quando esse vanno al di là del prevedibile. Qui entra in gioco la credibilità della scienza. Con i modelli meteo-climatologici dell'Ipcc la scienza rischia, infetti, di perdere la sua credibilità, sé non fa sentire con forza la sua voce al fine di permettere al grande pubblico ed ai governi di capire come in effètti stanno le cose su ciò che è possibile prevedere e su ciò che si è effettivamente capito. L'istituzione di un Laboratorio mondiale per mettere su basi di rigore scientifico il futuro meteo-climatologico di questo satellite del Sole, sarebbe la prova di una nuova grande alleanza tra politica e scienza.
Fonte: 5 marzo 2009
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SINDONE
Tutte le prove scientifiche sono a favore (eccetto una, che pero' si e' dimostrata non scientifica)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: 21 Apr 2009
Antonio Gaspari il 6.4.09 ha intervistato Marco Tosatti, vaticanista de «La Stampa» sul suo libro Inchiesta sulla Sindone (Piemme). A proposito della famigerata analisi al C14 che dichiarò la Sindone un falso medievale, Gaspari ricorda che il cardinale Anastasio Ballestrero, arcivescovo di Genova, accennò a certe frange massoniche interessate a screditare quello che forse è un testimone muto della Resurrezione. Tosatti sostiene che l’esame al carbonio fu sbagliato: «I numeri, non io, sono giunti a queste conclusioni. Diciamo intanto che i laboratori e il British Museum non hanno mai fornito, nonostante ripetute richieste da parte del committente, la diocesi di Torino, i “dati grezzi” degli esami compiuti, necessari per capire che cosa è veramente successo. Ma anche solo esaminando i dati pubblicati su Nature un ingegnere di Milano, Ernesto Brunati, si è accorto che c’era qualche cosa che non andava. Ho chiesto di rifare i calcoli a due professori di matematica e statistica della Sapienza, che non c’entrano nulla con il mondo della Sindone. Livia De Giovanni e Pierluigi Conti, che hanno confermato: c’era un errore di calcolo, tale da inficiare la validità dell’esame. La “tolleranza” di errore che i tre laboratori si erano dati era del 5%; e dai numeri di Nature sembrava che si fosse raggiunto proprio il minimo, il 5%. In realtà è stato raggiunto l’1%. L’esame avrebbe dovuto essere rifatto, ma i campioni ormai erano distrutti. Grazie agli esami di alcun professori americani, l’ultimo dei quali è Roberto Villareal, del Los Alamos Center, che ha presentato le sue scoperte nell’agosto 2008, credo che si sia scoperto qual era il problema. Una contaminazione fortissima del tessuto e un “rammendo invisibile” praticato nel Medioevo o dopo. L’unico risultato scientifico che supporta la tesi del falso medievale è l’esame al C14. Se questo cade, come secondo me è caduto, tutta la discussione si riapre».
Fonte: 21 Apr 2009
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REPORT (RAI 3), OVVERO L'INFORMAZIONE DROGATA, IDEOLOGICA, POLITICA E DI PARTE
Autore: Gianluca Zappa - Fonte: 28 aprile 2009
Informazione di parte, taroccata, gravemente scorretta o lacunosa… non trovo più aggettivi per dipingere l'altro programma televisivo sotto accusa dopo Anno Zero, e cioè Report, in onda, ovviamente, su RaiTre. Ieri sera si parlava di scuola. Mi sono bastati alcuni minuti per capire tre cose: una persona che ha scelto per i suoi figli una scuola paritaria non statale, paga una retta a volte anche abbastanza consistente per garantire la sopravvivenza di quella scuola; in più paga le tasse come tutti, per sostenere anche la scuola statale; in più paga il canone Rai per sentirsi dire che sarebbe meglio se la scuola che ha scelto chiudesse i battenti. La Gelmini, intervistata, dice che il ritorno al maestro unico non è stato solo motivato da bisogni di tagli alle spese, ma principalmente perché si crede che sia un modello educativo migliore per i ragazzini (e, fra l'altro, diffuso in tutta Europa, aggiungiamo noi)? La voce fuori campo commenta: finalmente abbiamo sentito la Gelmini ammettere che è una questione di cassa. La preoccupazione educativa è finita in un attimo nel cesso. Complimenti! Piuttosto, incredibilmente (direi che è l'unica nota positiva dell'inchiesta) si rileva che il sistema dei moduli è stato varato nel '90 solo per mettere più gente a lavorare e che ha comportato aggravi di tutti i tipi per le scuole e per la pubblica finanza. Sprechi, insomma. Forse lo si ammette perché è una verità così evidente che è impossibile da nascondere. Subito dopo, però, si fa una tale, voluta, confusione, una ricostruzione piuttosto approssimata dei fatti, per cui risulta che, ancora una volta, saranno le scuole "private" a potersi permettere un sistema di compresenze (due maestri insieme a lavorare coi ragazzi) che è molto efficace e che nella scuola statale invece sarà impraticabile. A riprova si porta una scuola privata riminese collegata con la Svizzera. Un'eccezione, insomma, per niente rappresentativa di quella che veramente è la scuola paritaria italiana. Già, ancora una volta le private, vero bersaglio dell'inchiesta. E per cosa poi? Per quella miseria di 120 milioni di euro che il Governo ha restituito alle paritarie; una miseria, rispetto ai miliardi che si ciuccia la scuola statale. Una gocciolina nell'oceano, che (ma questo non lo si dice) si sta inoltre riducendo, visto che negli anni precedenti di milioni di euro ne erano stati stanziati 133. "Non era meglio tagliare anche lì?", chiede l'ineffabile conduttrice. Ma si è tagliato anche lì! Questa, signori, è la disinformazione scientifica che va in onda su Tele Kabul International, al secolo RaiTre. Il ragionamento va avanti. Non si è tagliato perché? Ovviamente per accontentare il Vaticano (immagini di porporati e sullo sfondo il cupolone)! Se ne deduce che gli sprechi e l'emorragia endemica della scuola italiana si risanerebbe chiudendo le scuole paritarie e togliendo di mezzo i professori di religione. Certo, non si è avuto il piacere (almeno finché ho seguito l'inchiesta) di sentire cos'ha da dire il gestore di una scuola paritaria. Magari uno di quei maledettissimi preti o di quelle schifosissime suore che trescano all'ombra del Vaticano alle spalle del mai abbastanza laico Stato italiano. Peccato! Se, pluralisticamente, si fosse entrati in una scuola di quel tipo, si sarebbero sentite delle storie interessanti. Di professori che insegnano, con passione e professionalità ed entusiasmo, spesso per pochi euro l'ora, alcuni per una forma di volontariato, altri con la speranza di tirare su un punteggio che li porterà ad insegnare alla scuola statale; di maestre che, siccome i soldi non ci sono e le famiglie non possono essere munte, tirano la cinghia ed aspettano mesi prima di prendere lo stipendio; di bilanci che non quadrano perché il contributo statale è già tanto basso e per giunta arriva dopo mesi e mesi, anzi, spesso l'anno scolastico successivo, per cui si regge l'anima (la scuola) coi denti e si fanno debiti, e si beccano multe per i ritardi nei pagamenti dei contributi INPS… Con il risultato che molte scuole paritarie non ce la fanno più e chiudono i battenti. Si sarebbe potuto constatare come, nonostante ciò, la scuola paritaria offre un'ottima formazione, spesso innovativa, con risultati eccellenti per i propri studenti che poi si vanno ad inserire nel circuito statale. Si sarebbe potuto rilevare come la scuola paritaria in tutti questi anni ha svolto il meritorio ruolo di gavetta per molti insegnanti, che poi sono arrivati nella statale carichi di un'esperienza didattica che né le università, né i corsi del Ministero o dei provveditorati sono mai stati in grado di dare. Si sarebbe potuto ragionare in termini economici, snocciolando cifre precise che sono direttamente verificabili, se solo si volessero verificarle. Per cui, ad esempio, un bimbo alla scuola d'infanzia di una paritaria costa in media all'anno 2.600 euro (costo sostenuto per 2.000 euro dalle famiglie), mentre in una statale costa 6.600 euro (integralmente a carico dello Stato). Se ne sono accorti molti comuni, che preferiscono fare delle convenzioni, piuttosto che gestire in proprio un baraccone sempre in rosso. Scusate, che senso ha tagliare ancora i miseri contributi a delle istituzioni che fanno già risparmiare allo Stato 4.000 euro a ragazzino (e stiamo solo parlando di scuola materna)? Come si può contrabbandare una simile cretinata per la panacea di tutti i mali? Ecco, questa, precisamente è l'informazione drogata, ideologica, di parte, scarsamente pluralistica, politica. Garantita da un servizio pubblico che tutti paghiamo. Questa è la televisione che vuole la sinistra. Non sarà un caso se la stragrande maggioranza dei giornalisti che fanno carriera politica (vedi i Santoro, i Badaloni, le Gruber, i Marrazzo…) vengono da questa televisione. Libertà di disinformazione. Questo è ciò che si vuole garantire in una certa Italia ipocrita, culturalmente lottizzata e monocolore, perfino sfacciata nell'uso che fa del servizio pubblico. Che schifo!
Fonte: 28 aprile 2009
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LA TERAPIA REIKI NON E' COMPATIBILE CON LA DOTTRINA CRISTIANA
Autore: Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti - Fonte: Commissione per la Dottrina
1. Di volta in volta questioni sono state sollevate in merito a varie terapie alternative, che sono spesso disponibili negli Stati Uniti. Ai Vescovi viene a volte chiesto, "Qual è la posizione della Chiesa su tali terapie?" La Commissione per la Dottrina USCCB ha preparato questo documento, al fine di assistere i vescovi nelle loro risposte. I. GUARIGIONE PER GRAZIA DIVINA E GUARIGIONE ATTRAVERSO I METODI NATURALI 2. La Chiesa riconosce due tipi di guarigione: la guarigione per grazia divina e la guarigione che utilizza le risorse naturali. Per quanto riguarda il primo tipo di guarigione, il riferimento non può essere che il ministero di Cristo, il Quale ha operato molte guarigioni fisiche ed ha incaricato i suoi discepoli di proseguire in un tale ministero. Fedele alla missione affidatale sin dal tempo degli Apostoli, la Chiesa è sempre intervenuta in favore dei malati invocando su di essi il Nome del Signore Gesù, per chiedere la guarigione attraverso la potenza dello Spirito Santo, sia in forma di sacramentale con l'imposizione delle mani e l'unzione con olio benedetto oppure in forma di semplici preghiere di guarigione, che spesso includono anche un appello ai santi per ottenerne l'intercessione. Per quanto riguarda il secondo tipo di guarigione, la Chiesa non ha mai escluso il ricorso a mezzi naturali di guarigione, la quale è e rimane comunque sempre un dono di Dio, attraverso la pratica della medicina. Oltre al sacramento dei malati ed alle varie preghiere di guarigione, la Chiesa ha una lunga storia nel prendersi cura dei malati con mezzi naturali. Il segno più evidente di questo è il grande numero di ospedali cattolici che si trovano in tutto il nostro paese. 3. I due tipi di guarigione non si escludono a vicenda. Perché è possibile essere guarito dalla potenza divina non significa che non dobbiamo usare mezzi naturali a nostra disposizione. Non dipende dalla nostra decisione se Dio guarirà o no qualcuno con i mezzi soprannaturali. Come il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda, lo Spirito Santo dà talvolta ad alcuni esseri umani "uno speciale carisma di guarigione in modo da rendere evidente la potenza della grazia del Signore risorto". Tale potere di guarigione non è a disposizione dell’uomo, tuttavia, "anche la più intensa preghiera non sempre può ottenere la guarigione di tutte le malattie". Il ricorso a mezzi naturali di guarigione rimane dunque del tutto appropriato, in quanto queste sono a disposizione dell’uomo. In realtà, la carità cristiana esige che noi non trascuriamo i mezzi naturali di guarigione di persone che sono ammalate. II. REIKI E GUARIGIONE A) LE ORIGINI E LE CARATTERISTICHE DI BASE DI REIKI 4. Reiki è una tecnica di guarigione che è stato inventato in Giappone nel 1800 da Mikao Usui dallo studio di testi buddisti (è stato inoltre affermato che egli semplicemente ha riscoperto un antica tecnica tibetana, ma manca la prova di tale affermazione). Secondo l'insegnamento del Reiki, la malattia è causata da un qualche tipo di perturbazione o di squilibrio della "energia vitale". Gli effetti curativi del praticante di Reiki si avrebbero ponendo la sua mano in certe posizioni sul corpo del paziente, al fine di facilitare il flusso di Reiki, la "energia vitale universale", dal guaritore Reiki al paziente. Vengono insegnate, dai master Reiki, numerose posizioni delle mani per affrontare diversi problemi. I fautori del Reiki sostengono che il guaritore Reiki non è la fonte di energia di guarigione, ma solo un canale per essa (come si vedrà più avanti, tuttavia, le distinzioni tra Sé, mondo e Dio tendono a sovrapporsi nella filosofia del Reiki. Alcuni insegnanti Reiki spiegano che si raggiunge, infine, la realizzazione di Sé quando il Sé si fonde con la "energia vitale universale", che “sono universali forza di vita e che tutto è energia, compresi noi stessi"). Per diventare un praticante di Reiki, uno deve ricevere un'"iniziazione" o "armonizzazione" da un Reiki Master. Questa cerimonia fa diventare "canali" della "energia vitale universale" e permette di servire come un canale essa. Dicono che il Reiki si compone di tre diversi livelli di iniziazione (alcuni insegnanti dicono che sono quattro). Conseguendo i più elevati livelli di iniziazione Reiki si può canalizzare l’energia Reiki e il suo effetto di guarigioni a distanza, senza contatto fisico. B) REIKI COME UN MEZZO NATURALE DI GUARIGIONE 5. Sebbene i fautori del Reiki sembrano concordare sul fatto che Reiki non rappresenti propriamente una religione, ma una tecnica che potrebbe essere utilizzata da persone provenienti da molte tradizioni religiose, ha molti aspetti di una religione. Il Reiki è spesso descritto come un mezzo "spirituale" di guarigione rispetto alle comuni procedure mediche di guarigione che utilizzano mezzi fisici. Gran parte della letteratura sul Reiki è piena di riferimenti a Dio, alla Dea, al "potere di guarigione divina" e alla "mente divina". La forza di energia vitale è descritta come diretta da Dio, la "Intelligenza più alta" o la "Coscienza Divina". Allo stesso modo, le varie "iniziazioni" che il praticante di Reiki riceve da un Reiki Master sono realizzate mediante "cerimonie sacre" che implicano la manifestazione e la contemplazione di alcuni "simboli sacri" (che sono sempre state tenuti segrete da Reiki Master). Inoltre, Reiki è spesso descritto come un "modo di vivere", con un elenco di cinque "precetti del Reiki" stabilendo una corretta condotta etica. 6. Tuttavia, vi sono alcuni operatori Reiki, soprattutto gli infermieri, che tentano, approcciano il Reiki semplicemente come un mezzo naturale di guarigione. Visto come mezzi naturali di guarigione, tuttavia, il Reiki è soggetto alle norme delle scienze naturali. È vero che ci possono essere strumenti di guarigione naturale che non sono stati ancora capiti o riconosciuti dalla scienza. I criteri di base per valutare se si dovrebbe o non dovrebbe affidarsi ad un particolare mezzo di guarigione naturale, tuttavia, restano quelli della scienza. 7. Giudicati in base a tali leggi, il Reiki manca di credibilità scientifica. Il Reiki non è stato accettato dalla comunità scientifica e medica, come un efficace terapia. Gli studi scientifici che attesterebbero l'efficacia di Reiki sono carenti, in quanto non spiegano scientificamente come sia plausibile l’efficacia del Reiki. La spiegazione dell'efficacia del Reiki poggia interamente su una particolare visione del mondo, come pervaso da questa "energia vitale universale" (Reiki), che è oggetto di manipolazione da parte del pensiero e della volontà dell'uomo. Gli operatori del Reiki sostengono che la loro iniziazione gli permette di incanalare la "energia vitale universale" che è presente in tutte le cose. Questa "energia vitale universale", tuttavia, è ignota alla scienza naturale. Visto che la presenza di tale energia non è stata osservata per mezzo delle scienze naturali, la giustificazione di queste terapie deve necessariamente risiedere in qualcosa di diverso dalla scienza. C) REIKI E LA FORZA RISANATRICE DI CRISTO 8. Alcune persone hanno cercato di identificare il Reiki con la guarigione divina nota ai cristiani. Si sono sbagliati. La differenza radicale può essere immediatamente notata dal fatto che per il praticante di Reiki il potere di guarigione è a disposizione dell’uomo. Alcuni insegnanti o Reiki Master vogliono evitare questa implicazione e sostengono che non è il praticante di Reiki che personalmente determina la guarigione, ma l’energia del Reiki diretta dalla Divina Coscienza. Tuttavia, resta il fatto che per i cristiani l'accesso alla guarigione divina è tramite la preghiera a Cristo come Signore e Salvatore, mentre l'essenza del Reiki non è una preghiera, ma una tecnica che viene trasmessa dal Reiki Master all’'allievo, una padronanza tecnica che, una volta acquisita, produrrà i risultati attesi (i Reiki Master offrono corsi di formazione con vari livelli di avanzamento, servizi per i quali richiedono un rilevante esborso economico. Il cliente del Reiki ha delle grande attese verso il Reiki Master che gli dà la garanzia che l’investimento di tempo e di denaro permetterà di padroneggiare la tecnica che prevedibilmente produrrà [mirabolanti] risultati). Alcuni praticanti Reiki tentano di cristianizzare il Reiki con l'aggiunta di una preghiera a Cristo, ma questo non cambia il carattere essenziale del Reiki. Per questi motivi, il Reiki e le altre tecniche terapeutiche simili non possono essere identificate con ciò che i cristiani chiamano guarigione per mezzo della Divina Grazia. 9. La differenza tra ciò che i cristiani riconoscono come la guarigione per mezzo della Grazia Divina e la terapia Reiki è evidente anche nei termini di base utilizzati dai praticanti del Reiki per descrivere ciò che accade nella terapia Reiki, in particolare quello di "energia vitale universale". Né la Scrittura né la tradizione cristiana nel suo complesso, parlano del mondo naturale basato sulla "energia vitale universale" che sarebbe soggetta alla manipolazione da parte del potere umano naturale di pensiero e di volontà. In realtà, questa visione del mondo ha la sua origine nelle religioni orientali e ha un certo carattere monista e panteista, in quanto le distinzioni tra Sé, mondo e Dio tendono a cadere (anche se questo sembra implicito nell’insegnamento del Reiki, alcuni fautori del Reiki affermano esplicitamente che non vi è, in definitiva, alcuna distinzione e tra il Sé e il Reiki. "L'allineamento del vostro Sé e al Reiki è un processo in corso. La disponibilità al continuno impegnarsi in questo processo che favorisce la vostra evoluzione può portare al riconoscimento, sostenuto dall’esperienza, che “tu sei la energia universale di vita"). Abbiamo già visto che gli operatori Reiki non sono in grado di distinguere chiaramente fra il potere divino di guarigione e il potere che è a disposizione dell’umano. III. CONCLUSIONE 10. La terapia Reiki non trova alcun sostegno né in base ai risultati delle scienze naturali o della fede cristiana. Per un cattolico che crede nella terapia del Reiki terapia si presentano problemi insolubili. In termini di cura per la propria e altrui salute fisica si tratta di impiegare una tecnica che non ha alcun supporto scientifico (o anche una plausibilità) pertanto ciò non è generalmente prudente. 11. In termini di cura per la salute spirituale, vi sono importanti pericoli. Per utilizzare il Reiki si dovrebbe accettare almeno implicitamente gli elementi centrali della visione del mondo della teoria del Reiki, che non appartengono né alla fede cristiana, né alle scienze naturali. Senza una giustificazione dalla fede cristiana o dalle scienze naturali, tuttavia, un cattolico, che pone la sua fiducia nel Reiki starebbe operando nell’ambito della superstizione, la terra di nessuno che non è né fede né scienza (alcune forme di Reiki insegnano la necessità del ricorso all'assistenza di esseri angelici o "spiriti guida del Reiki". Questo introduce l'ulteriore pericolo di esposizione a forze o poteri maligni). La Superstizione corrompe l’unico culto a Dio ruotando attorno a un sentimentalismo religioso e indirizzando verso una falsa strada. Sebbene a volte le persone cadano nella superstizione per ignoranza, è responsabilità di tutti coloro che insegnano in nome della Chiesa l’eliminare tale ignoranza per quanto possibile. 12. Poiché la terapia Reiki non è compatibile con la dottrina Cristiana e le prove scientifiche, sarebbe improprio per le istituzioni Cattoliche, come le strutture sanitarie Cattoliche, i centri di ritiro, o le persone che rappresentano la Chiesa, come i cappellani cattolici, promuovere o fornire sostegno alla terapia Reiki.
Fonte: Commissione per la Dottrina
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LA RIFORMA PAZIENTE DI BENEDETTO XVI
Autore: Vittorio Messori - Fonte: 20 aprile 2009
Dalla sostituzione del maestro di cerimonie alla reintroduzione del latino con una riforma «soft». Dopo avere varcato l'82˚genetliaco, Joseph Ratzinger inizia il quinto anno di pontificato. Smentendo ancora una volta coloro che non lo conoscevano, il peso della tiara non lo ha sfiancato e non gli sono mancate le energie per viaggi impegnativi come quello africano. Merito anche della prospettiva che trae dalla fede. Non dimentico l'espressione sorpresa quando gli chiesi se erano serene le sue notti da Cardinal Prefetto della Dottrina della fede. Allora infuriava la contestazione clericale e sul suo tavolo giungevano dossier inquietanti da ogni parte del mondo. È con sorpresa, dunque, che mi rispose: «Fatto l'esame di coscienza e recitate le mie preghiere, perché non dovrei dormire tranquillo? Se mi agitassi, non prenderei sul serio il Vangelo che ci ricorda, senza complimenti, che ciascuno di noi non è che un 'servo inutile'. Dobbiamo fare sino in fondo il nostro dovere, ma consapevoli che la Chiesa non è nostra, la Chiesa è di quel Cristo che vuole usarci come strumenti ma che ne resta pur sempre il signore e la guida. A noi sarà chiesto conto dell'impegno, non dei risultati». È con questo stesso spirito che ha accettato il peso del pontificato: per obbedienza, per amore della Chiesa, così come, ancor giovane professore, aveva sofferto ma non si era lagnato quando Paolo VI lo aveva strappato alla sua amata università per metterlo alla guida della grande diocesi di Monaco di Baviera. Passando, nell'aprile del 2005, alla nuova scrivania - poche centinaia di metri, in linea d'aria, da quella occupata per 24 anni non ha cambiato il suo stile, contrassegnato dalla costanza e dalla pazienza, su uno sfondo molto tedesco di serietà, di precisione, di senso del dovere. Il programma lo aveva già chiaramente manifestato sin dal 1985 con il suo Rapporto sulla fede: una «riforma della riforma », con il ritorno al Vaticano II «vero», non a quello immaginario dei sedicenti, vociferanti progressisti. Fedeltà piena alla lettera dei documenti del Concilio, non a un presunto, imprecisato «spirito del Concilio»: dunque, continuità, non rottura, nella storia della Chiesa, per la quale non c'è un prima e un dopo. Un obiettivo chiaro, perseguito innanzitutto come principale consigliere teologico di Giovanni Paolo II che però, talvolta, non fu del tutto in sintonia con lui. La leale amicizia tra i due, divenuta presto affetto, non impedì la perplessità del Cardinale per alcune iniziative come le parate sincretiste di Assisi, le richieste di scuse per le colpe dei morti, la moltiplicazione dei viaggi a spese del governo quotidiano della Chiesa, l'eccesso di beatificazioni e canonizzazioni, la spettacolarizzazione di momenti religiosi, magari con rockstar sul palco papale e la scelta di paramenti liturgici secondo le indicazioni dei registi televisivi. Pianto, con dolore sincero, l'amico venerato, presone il posto, pur senza averlo auspicato, divenuto dunque Benedetto XVI, Joseph Ratzinger ha continuato il suo lavoro paziente. Un aggettivo che non usiamo a caso. In effetti, la pazienza lo contrassegna da sempre: per rispetto delle persone; per realismo da cristiano che sa quale lunga tenacia sia necessaria per modificare le cose; per consapevolezza che la Chiesa ha per sé tutta la storia e i suoi ritmi non sono quelli del «mondo». Così, sono stati spiazzati coloro che temevano o, al contrario, auspicavano una sorta di blitz in quella liturgia la cui «riforma della riforma» era, stando al Ratzinger cardinale, tra le cose più necessarie e magari urgenti. La sua «rivoluzione tranquilla» è cominciata non con qualche decreto per la Chiesa universale ma con la sostituzione del Maestro delle Cerimonie pontificie, scegliendo un liturgista a lui congeniale: così, prima che con gli ordini, il ritorno a riti nella linea della Tradizione sarebbe cominciata con l'esempio che scende dall'alto. Se celebra così il Papa, non dovranno, prima o poi, adeguarsi anche il vescovo e il parroco? Pazienza, e prudenza, anche per la lingua liturgica, non sconvolgendo i messali ma facendo convivere il latino accanto ai volgari, testimoniando anche così che il Vaticano II non è stato in rottura con la Tradizione e che san Pio V non fu meno cattolico di Paolo VI. Altrettanta pazienza nei confronti della Nomenklatura ecclesiale: essa pure non è stata sconvolta, ma all'osservatore attento non sfuggono sostituzioni e nomine che rivelano una strategia prudente e al contempo incisiva. Poco, comunque, si capirebbe di questo pontificato se non si mettesse in conto che, per Joseph Ratzinger, problema dei problemi non è la «macchina» ecclesiale ma il carburante; non è il Palazzo, sono le fondamenta. È, cioè, quella fede che sa minacciata alla radice, quella fede che molti credono incapace di reggere all'assalto della ragione, quella fede assediata da ogni lato dal dubbio. La crisi, più che della istituzione, è della verità del Vangelo che la sorregge e le dà senso. Come mi disse una volta: «Siamo ormai a un punto in cui io stesso mi sorprendo di chi continua a credere, non di chi non crede». Constatazione drammatica, che fa da sfondo a un pontificato il cui centro, non a caso, è la ricerca ( paziente...) di un nuovo rapporto tra la ragione moderna e la fede antica.
Fonte: 20 aprile 2009
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CI ERAVAMO SBAGLIATI!
Il comunismo non e' finito
Autore: Giovanni Formicola - Fonte: 6 aprile 2009
Forse si sono sbagliati. Le scene di devastazione e guerriglia urbana, a Londra e Strasburgo (ma non a Praga!), sulle quali campeggia la bandiera rossa con la falce e martello; i sequestri di manager e «padroni», che tendono a «travestirsi» e comunque a non farsi notare troppo. Scene di una rinascente lotta di classe? Esordio di una nuova stagione di tensioni rivoluzionarie? È certo presto per dirlo, e perciò «forse» si sono sbagliati. Ma è altrettanto certo che comunisti e comunismo non sono stati incalzati come sarebbe stato necessario e giusto. Troppo presto si è dato tutto per finito, e nessuno ha davvero voluto che venissero depositati i bilanci del fallimento. Si è fatto come se niente fosse accaduto. Al massimo un sorrisetto di compatimento – non senza una qualche simpatia per la generosa ingenuità – nei confronti di chi si attardava a dirsi comunista, e a perseguire il sogno della società dei liberi ed uguali – senza Dio, senza patria, senza famiglia e senza proprietà –, che avrebbe generato l’«uomo nuovo». Un sogno che già si era rivelato un incubo, com’è proprio di ogni utopia. Ma era bello e soprattutto «magnanimo» crederci. Il pregiudizio positivo è rimasto. Nessuno ha fatto una campagna anticomunista – paragonabile per intensità, capillarità, continuità e durata all’antifascismo ideologico, culturalmente egemone e di Stato – che mettesse in evidenza il carattere criminale dell’ideologia e dell’esperimento comunista; che rendesse parte del senso comune che decine di milioni di vite, probabilmente ben oltre i cento milioni, sono state sacrificate sull’altare di questo «sogno bello e generoso»; che evidenziasse come nessuno, ma proprio nessuno, dei problemi sociali di cui si annunciava la soluzione perfetta e definitiva è stato risolto. Anzi, quanto a quest’ultimo aspetto, il collettivismo, lo statalismo, il contrasto alla ricchezza, alla proprietà privata e al mercato – in ogni sua modalità, da quella hard sovietica, a quella soft socialdemocratica e dirigista – nonché ridurre la povertà l’hanno aggravata e generalizzata, portandola all’estremo della carestia e togliendole anche la speranza. Un progetto criminale e fallimentare, dunque, mortifero, affamatore e tirannico. sempre e dovunque sia stato sperimentato. Eppure, questo non è bastato per rendere impresentabile in società il nome stesso del comunismo. Eppure, nonostante l’entità del disastro, tutto sembra essere stato dimenticato, come hanno lamentato recentemente i vescovi dell’Europa centro-orientale. Forse perché, come gli stessi presuli hanno denunciato, il comunismo ha avvelenato il suolo della cultura e della civiltà, ed allora non se ne può parlare e film come Katyn non devono circolare. Per molti, il comunismo torna a essere una soluzione. Per altri, con i comunisti si può trattare, si possono concludere alleanze, perché «il comunismo è finito» (curioso modo di ragionare: provino ad applicarlo al nazionalsocialismo, che del resto è del comunismo fratello gemello eterozigote). Per tutti, comunque, il pericolo, se pure è stato tale, è scampato, e «l’anticomunismo è un disco rotto» (Fini e Follini). Forse si sono sbagliati. Forse si sbagliano.
Fonte: 6 aprile 2009
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NOI E L'ISLAM 1
Secondo Obama l’islam ha plasmato gli Stati Uniti
Fonte 25/4/2009
Riportiamo un commento alle recenti dichiarazioni del presidente americamo Obama in materia di Islam di Robert Spencer, apparso su “FrontPageMagazine.com” il 7 aprile 2009). «Noi comunicheremo» ha detto Barack Obama al Parlamento turco lunedì 6 aprile, «il nostro profondo apprezzamento per la fede islamica, che ha fatto così tanto nei secoli per plasmare il mondo – come anche nel mio paese». Indubbiamente la fede islamica ha fatto parecchio per plasmare il mondo – un’affermazione che non dice nulla riguardo a come lo ha plasmato. Da secoli ha formato la cultura dominante in quello che è noto come il mondo islamico. Ma cosa mai voleva dire Obama quando ha detto che l’Islam ha fatto «così tanto» anche per plasmare il suo di paese? A meno che non si consideri un indonesiano, l’affermazione di Obama è stata straordinariamente strana. Come avrebbe plasmato gli Stati Uniti la fede islamica? C’erano musulmani lungo la cavalcata di Paul Revere, o accanto a Patrick Henry quando disse «Datemi la libertà o datemi la morte?» C’erano musulmani fra gli estensori e firmatari della Dichiarazione di Indipendenza, che dice che tutti gli uomini – non solo i musulmani, come vorrebbe la legge islamica – sono dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili, fra cui la vita, la libertà e la ricerca della felicità? C’erano musulmani fra coloro che redassero la Costituzione e discussero vigorosamente le sue clausole, o fra coloro che scrissero la Carta dei Diritti, che garantisce – anche qui contrariamente a quanto stabilito dalla legge islamica – che non deve esserci alcuna religione di Stato, e che non ci deve essere deroga alla libertà di parola? No, non ce n’erano. I musulmani hanno giocato un ruolo nel grande conflitto civile sullo schiavismo che ha contribuito così tanto alla nostra attuale comprensione della natura di questa repubblica e dei diritti dell’individuo al suo interno? No. La fede islamica ha forse plasmato il modo in cui gli Stati Uniti hanno risposto alle sfide titaniche delle due Guerre Mondiali, della Grande Depressione o della Guerra Fredda? No. La fede islamica, con il suo apparato legale che codifica la discriminazione contro i non-musulmani, ha plasmato forse il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti? No. La legge sui diritti civili del 1964 impose la parità di accessi alle strutture pubbliche – una vittoria duramente combattuta e costata molti sforzi, che i gruppi musulmani hanno cercato recentemente di rovesciare negli Stati Uniti. Un esempio particolare di tali tentativi è stata la controversia sull’alcool nei tassì, all’aeroporto internazionale di Minneapolis-St. Paul, quando i tassisti cominciarono a rifiutarsi di prestare servizio ai clienti che portavano dell’alcool, per motivi religiosi islamici. L’assunto che stava alla base di questa iniziativa – che è giustificata la discriminazione per motivi religiosi – avrebbe colpito al cuore il principio fondamentale della civiltà americana, che «tutti gli uomini sono creati uguali», cioè che hanno il diritto a uguale trattamento, nella legge e nella società. Sarebbe difficilissimo, anche a scandagliare l’intero arazzo della storia americana, trovare una minima traccia significativa di fatti con cui la fede islamica possa aver plasmato gli Stati Uniti in termini dei suoi principi guida e della natura della società americana. Allo stesso tempo si segnalano molti modi con cui, se ci fosse stata una significativa presenza musulmana nel paese all’epoca, alcuni dei più importanti e preziosi principi della società e della legge americane avrebbero potuto incontrare una feroce resistenza e non aver mai visto la luce del giorno. E allora, qual è il modo con cui la fede islamica ha plasmato il paese di Obama? L’avvenimento più significativo legato alla fede islamica che abbia plasmato il carattere degli Stati Uniti è stato l’attacco al World Trade Center e al Pentagono l’11 settembre 2001. Questi attacchi hanno plasmato la nazione in diversi modi: hanno portato a numerose innovazioni nella sicurezza delle compagnie aeree, che nelle future generazioni – se il clima politicamente corretto di oggi continuerà a offuscare le menti – potranno essere aggiunte alle future versioni della fantasiosa mostra di «1001 invenzioni musulmane» . La fede islamica ha plasmato gli Stati Uniti dall’11 settembre nel far spendere miliardi per provvedimenti anti-terrorismo e per le spedizioni in Iraq e Afghanistan, e a Guantanamo, per tantissimi aspetti del panorama politico e sociale moderno, così tanti da non potersi contenere nello spazio di un solo articolo. Naturalmente, Obama non si riferiva a nulla di tutto ciò. Ma cosa mai poteva avere in mente? La sua affermazione è stata o superficiale o da ignorante, o entrambe le cose – non certo qualità di cui abbiamo bisogno in un Comandante in capo, anche nei migliori dei tempi.
Fonte: 25/4/2009
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NOI E L'ISLAM 2
Debiti con l’islam? Nessuno!
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: 4 aprile 2009
Dai manuali scolastici abbiamo appreso che, mentre l’Europa gemeva nell’oscura barbarie, la civiltà araba era nello splendore. Dai numeri “arabi” ai logaritmi, tutto quel che comincia per al- (algebra, alchimia, alcool, albicocca…) lo dobbiamo all’islam. Non solo: dato il millenario contrasto tra Roma e Bizanzio, gli europei poterono conoscere l’antica sapienza greca solo ritraducendola dall’arabo. Ora, però, un libro di Sylvain Gouguenheim, docente di storia medievale all’Ecole Normale Supérieure di Lione (Aristote au mont Saint-Michel: les racines grecques de l’Europe chrétienne, ed. Seuil), ribalta tutto: fu la presa di Costantinopoli nel 1453 da parte dei turchi a far fuggire in Europa una valanga di intellettuali greci, che fecero conoscere i classici al mondo latino. Il libro ha creato scalpore perché fa passare dall’idea che si debba moltissimo all’islam all’idea che non gli si debba proprio niente. Al di là dello scandalo mediatico (l’autore è stato sottoposto in Francia a una specie di linciaggio politicamente corretto), il filosofo francese Rémi Brague ha cercato di riequilibrare il giudizio (tradotto da A. M. Brogi per «Vita e Pensiero», gennaio 2009). In effetti, c’è ancora chi pensa che la prima università al mondo sia stata quella di Fez, la Qarawiyin, fondata nell’859 (dunque, le università non sarebbero un’invenzione della Chiesa). In realtà era una moschea c. d. “generale” (jâmi’a: termine che designa, sì, le università nel mondo islamico, ma solo nell’evo contemporaneo) e vi si insegnava l’esegesi coranica, le tradizioni sul Profeta, il diritto islamico (fiqh) e quel tanto di “scienza” che serviva a calcolare i nomi di Allah e la direzione della Mecca. Una leggenda da sfatare riguarda la famosa «casa della sapienza» di Baghdad (IX secolo): i traduttori dei testi greci in arabo erano quasi tutti cristiani nestoriani ed essa era «innanzitutto per uso interno, per la precisione una sorta di fucina di propaganda a favore della dottrina politica e religiosa sostenuta dai califfi dell’epoca, in particolare il mu’tazilismo». Un altro mito concerne l’iberico Al-andalus, mito nato più che altro per astio antispagnolo. «Si è cominciato con la “leggenda nera” sulla conquista del Nuovo Mondo. Diffusa dagli scrivani al soldo dei concorrenti commerciali di spagnoli e portoghesi, tra cui la Francia, consentiva loro di legittimare la pirateria di Stato (detta “guerra corsara”)». Per quanto riguarda la dominazione musulmana in terra iberica, il mitico Al-andalus, più che una coesistenza armoniosa «era un sistema paragonabile all’apartheid sudafricano», a tutto danno di ebrei e cristiani. La prima traduzione in latino del Corano la fece Pietro il Venerabile, abate di Cluny, nel XII secolo, ma si dovette attendere il XV e il cardinale Nicolò Cusano perché quel testo fosse studiato (e l’avvento della stampa, un secolo dopo, perché fosse conosciuto). Dunque, scarsa o nessuna “osmosi” tra le due culture. Le arti visive (pittura e scultura) del mondo greco transitarono in Europa senza intermediazione araba, perché l’islam vietava le immagini (anzi, l’eresia iconoclasta nel mondo bizantino fu dovuta al “contagio” della fortissima pressione islamica). Dice Brague che «dell’eredità greca è passato attraverso l’arabo solo ciò che riguardava il sapere in matematica, medicina, farmacopea eccetera. In filosofia (…) solo Aristotele e i suoi commentatori». Ma tutto il resto dovette attendere i «manoscritti importati dagli eruditi bizantini che fuggivano dalla conquista turca». E «tutto il resto è nientemeno che la letteratura greca»: Omero, Esiodo, Pindaro, Eschilo, Sofocle, Euripide, Erodoto, Tucidide, Polibio, Epicuro, Platone, Plotino, Ermete Trismegisto, «arrivati da Costantinopoli alla Firenze dei Medici, dove Marsilio Ficino tradusse in latino tutte le loro opere». I passaggi precedenti non sono che «una goccia d’acqua in confronto all’inondazione rovesciatasi sull’Europa a partire dal XV secolo. Essa ha riguardato tutto ciò che era disponibile in greco. E’ sfociata in una vera ellenomania durata parecchi secoli, dal Rinascimento italiano agli umanesimi e classicismi di tutta Europa». Ancora: «L’ellenismo in terra d’islam ha riguardato solo individui come i “filosofi” (falâsifa), intellettualmente dei geni ma socialmente dei dilettanti privi di collegamenti istituzionali. Solamente in Europa ha assunto la forma di fenomeno». Di più: «Solo in Europa si è imparato il greco in maniera sistematica» e lo si è fatto diventare addirittura «materia obbligatoria nell’insegnamento secondario». Del resto, non ci si può appropriare del sapere senza prima esserne divenuti capaci, senza essersi resi ricettivi in tal senso, cosa che l’Europa fece (rinascita giuridica, sulla scia della Lotta per le Investiture; rinascita letteraria con s. Bernardo, filosofica con s. Anselmo, riscoperta del diritto romano grazie alla Chiesa): «lo dimostra la stessa ricezione di Averroè». Infatti, «dopo la caduta degli Almohadi ai quali era stato legato, il suo ambiente d’origine lo dimenticò in fretta» ma «l’Occidente ha raccolto quel gioiello dalle “pattumiere” dell’islam». Brague si chiede infine se, in ogni caso, sia davvero giusto parlare di “debito”. L’Europa ha ricevuto dalla Cina la seta, il tè, la porcellana e la carta (quest’ultima attraverso il mondo arabo, come i numeri e lo zero, nati in India), e dalle Americhe il granturco, il tabacco, il cioccolato. Ma «nessuno si sognerebbe di dire che abbiamo un debito nei confronti degli aztechi, e tanto meno che dobbiamo parlare con infinito rispetto dei sacrifici umani che praticavano, per il solo fatto che mangiamo i pomodori». Insomma, non è vero che la civiltà occidentale non deve nulla a quella islamica. E’ anche vero, tuttavia, che non le deve granché. Solo che, oggi come oggi, non è politicamente corretto dirlo.
Fonte: 4 aprile 2009
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NOI E L'ISLAM 3
Ebrei, cristiani e musulmani possono pregare insieme? Certo che no!
Autore: Magdi Cristiano Allam - Fonte: 23 aprile 2009
«Nel nome del Dio unico»: così il presidente dell'Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia), Mohamed Nour Dachan, ha introdotto il discorso pronunciato il 10 aprile ai solenni funerali di Stato per le vittime del terremoto in Abruzzo, sentenziando che musulmani e cristiani sono «uniti come religiosi e cittadini che hanno in comune speranze e ideali». La tesi del Dio unico si è tradotta, come riferisce Barbara Uglietti sull'Avvenire del 12 aprile, nella partecipazione di cristiani e musulmani ai riti preparatori e alla messa di Pasqua nella chiesa cattolica della Sacra Famiglia di Gaza, condividendo la preghiera «perché il rosario è lo stesso», secondo il parroco Manuel Musallam. Ma È proprio vero che Ebraismo, Cristianesimo e Islam credono nello stesso Dio, al punto che i fedeli possono pregare insieme in sinagoga, in chiesa o in moschea? È da qui che dobbiamo partire per affrontare alla radice la piaga ideologica del relativismo che, accantonando l'uso della ragione affinchè non si entri nel merito dei contenuti, ha finito per mettere sullo stesso piano differenti religioni, culture e valori. La verità è che, pur nella fede del Dio unico professata dalle religioni monoteiste, non è affatto vero che si crede e si prega lo stesso Dio. Per l'Ebraismo, Yahweh è un Dio talmente unico e inaccessibile che il suo nome non può essere né pronunciato né scritto; per il Cristianesimo Dio è uno e trino (Padre, Figlio e Spirito Santo); per l'Islam, Allah è un Dio cui nessuno è pari», che «non generò e non fu generato». Così come è infondato il luogo comune delle «religioni del Libro». Questa definizione è corretta solo per l'Islam dove si venera il Corano «increato» al pari di Dio, mentre per il Cristianesimo e l'Ebraismo non lo è affatto perché i Vangeli e la Torah sono testi «creati» da uomini ispirati da Dio. Inoltre è infondato il luogo comune delle «religioni abramitiche», perché la verità è che l'Abramo coranico non ha nulla a che fare con l'Abramo biblico, venendoci presentato come un personaggio che sarebbe vissuto nella Penisola Arabica dove avrebbe fondato il culto monoteista alla Mecca. È lo stesso Benedetto XVI, anche nella sua lettera pubblicata nel libro di Marcello Pera "Perché dobbiamo dirci cristiani", a sostenere che un «vero dialogo» interreligioso «non è possibile senza mettere fra parentesi la propria fede». Il messaggio è che noi possiamo umanamente e dobbiamo cristianamente amare i musulmani come persone, ma nella consapevolezza che, se crediamo in Gesù Cristo come compimento della profezia e suggello della rivelazione, non possiamo al tempo stesso credere nell'Islam come religione rivelata, considerare il Corano come un tutt'uno con Dio, indicare Maometto come un profeta autentico. Qui, in Europa, a casa nostra, in questa terra di cristianità che ha saputo dare vita a una civiltà dove i diritti fondamentali dell'uomo sono un patrimonio collettivo, dobbiamo avere il coraggio di essere pienamente noi stessi, affermando a testa alta la verità e salvaguardando con la schiena dritta la libertà, attenendoci all'insegnamento di Gesù: Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».
Fonte: 23 aprile 2009
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