I DAZI NELLA STORIA DEGLI USA SVELANO LA VERA POSTA IN GIOCO OGGI
Il 2 aprile Trump ha introdotto un dazio universale e tariffe più elevate su 57 Stati: nulla di strano, è già accaduto più volte nella storia (e l'Europa ha fatto peggio con gli incentivi green)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radio Roma Libera
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UN BAMBINO MIRACOLATO POTREBBE PORTARE IL CARD. PELL VERSO GLI ALTARI
Un bambino caduto in una piscina ha smesso di respirare per 52 minuti, ma i genitori hanno invocato il cardinale australiano, considerato un martire
Autore: Nico Spuntoni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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L'INCONTRO CON CRISTO, UNO SGUARDO FULMINANTE
A distanza di 20 anni dalla Passione di Mel Gibson, l'attore Pietro Sarubbi ricorda quando ha interpretato Barabba (VIDEO: Testimonianza di Pietro Sarubbi)
Autore: Vanessa Gruosso - Fonte: Amici del Timone di Staggia Senese
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COME L'ISLAM STA CAMBIANDO IL MODO DI LAVORARE IN FRANCIA
La Francia sta cambiando come prevedeva lo scrittore Houellebecq: in 7 casi su 10 l'islam influisce nella vita lavorativa dei francesi
Autore: Lorenza Formicola - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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LA STORIA DELL'UOMO RISPARMIATO AD AUSCHWITZ GRAZIE A PADRE KOLBE
Sopravvisse alla guerra, grazie al sacrificio del santo, ma la sua vita fu segnata dal dolore e dalla sofferenza che quasi rimpianse di essere stato salvato
Autore: Paola Belletti - Fonte: Sito del Timone
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I MONACI BENEDETTINI DI NORCIA: CUSTODI DEL GREGORIANO... E DELLA BIRRA
Dalle rovine del terremoto alla rinascita: l'antica città di San Benedetto continua a ispirare preghiera e sacrificio a giovani di tutto il mondo (VIDEO: I monaci di Norcia)
Autore: Andrea Galli - Fonte: Avvenire
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OMELIA DOM. DELLE PALME - ANNO C (Lc 22,14-23.56)
Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà
Autore: Don Stefano Bimbi - Fonte: BastaBugie
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OMELIA GIOVEDI SANTO - ANNO C (Gv 13,1-15)
Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: La rivincita del crocifisso
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I DAZI NELLA STORIA DEGLI USA SVELANO LA VERA POSTA IN GIOCO OGGI
Il 2 aprile Trump ha introdotto un dazio universale e tariffe più elevate su 57 Stati: nulla di strano, è già accaduto più volte nella storia (e l'Europa ha fatto peggio con gli incentivi green)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radio Roma Libera, 6 aprile 2025
Il 2 aprile 2025, in quello che ha definito il "Giorno della Liberazione", il presidente americano Donald Trump ha annunciato l'introduzione di un dazio universale del 10% su tutte le importazioni negli Stati Uniti. Inoltre, ha imposto tariffe più elevate su 57 partner commerciali, giustificando queste misure come necessarie per correggere pratiche commerciali considerate sleali e per riequilibrare la bilancia commerciale statunitense. L'iniziativa di Trump ha provocato sconcerto e proteste in tutto il mondo, ma non è in sé scandalosa. I dazi, in inglese Tarifs, sono un classico strumento del protezionismo, che è la politica economica adottata da uno Stato per proteggere le proprie industrie e produzioni nazionali dalla concorrenza estera. Ciò avviene attraverso l'applicazione di imposte indirette sulle merci che attraversano i confini di uno Stato, sia in importazione che in esportazione. I prodotti esteri divengono a questo punto meno competitivi rispetto a quelli locali. Al protezionismo si oppone la politica economica del libero scambio, che considera nociva per uno Stato ogni barriera opposta al commercio internazionale. Il più conosciuto teorico del libero scambio è l'economista britannico Davide Ricardo (1772-1823). Tutti gli studenti di economia conoscono la sua teoria dei vantaggi comparati, secondo la quale ogni paese può trarre vantaggio dal commercio internazionale, poiché gli scambi tra paesi favoriscono la specializzazione produttiva e permettono una maggior produzione a livello mondiale. A Ricardo si oppose il suo contemporaneo tedesco Friedrich List (1789-1846), favorevole all'utilizzazione di dazi e di interventi statali, soprattutto per proteggere le industrie nascenti. La tesi dell'industria nascente, elaborata da List era stata enunciata per la prima volta dal segretario al Tesoro degli Stati Uniti Alexander Hamilton (1755-1804) con l'obiettivo di costruire una nazione forte partendo da un'industria solida e autonoma.
FIN DALLA NASCITA Fin dalla loro nascita gli Stati Uniti adottarono politiche protezioniste per sostenere lo sviluppo industriale interno contro la concorrenza europea, soprattutto britannica. La Tariff Act, la legge sui dazi del 1789, fu uno dei primi strumenti approvati dal Congresso statunitense dopo l'indipendenza. Per quasi un secolo, almeno fino alla Guerra civile (1861-1865), l'applicazione di dazi su tutti i prodotti importati era la principale fonte di entrate per il governo federale. La legge dei dazi del 1930 (Smoot-Hawley Tariff Act), voluta dal presidente Herbert Hoover per proteggere l'economia americana dalla Grande Depressione, non risolse però la crisi globale e avviò una fase di declino del protezionismo. Dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti guidarono la costruzione di un nuovo ordine economico internazionale basato sulla liberalizzazione degli scambi. Furono tra i principali promotori del GATT (poi divenuto WTO, l'Organizzazione Mondiale del Commercio) e firmarono numerosi accordi di libero commercio, tra cui il NAFTA con Canada e Messico. Il Trattato di Maastricht del 1992 inserì l'Europa in questo processo di globalizzazione che sarebbe dovuto avvenire attraverso l'abbattimento delle frontiere e la mondializzazione dei mercati. Gli anni 2000 hanno visto però la crisi del nuovo ordine mondiale, che si sta capovolgendo in un grande disordine internazionale. La pandemia del Covid ha inferto un duro colpo alla globalizzazione, costringendo gli Stati nazionali a imporre forti restrizioni alla libertà di circolazione dei propri cittadini. L'Europa è stata in prima linea e le sue proteste europee contro le barriere commerciali rivelano una buona dose di ipocrisia. Negli ultimi anni, infatti, l'Unione Europea si è messa alla testa della Green economy contro il cambiamento climatico. Tra le sue politiche prioritarie spicca il cosiddetto "protezionismo verde", ossia l'uso di politiche ambientali (come tasse sulle emissioni, regolamenti climatici, standard verdi) che, limitano o condizionano l'importazione di beni da paesi terzi. Questa politica economica non si ispira alla logica liberista di Davide Ricardo, ma a quella protezionista di Friedrich List, perché protegge le industrie strategiche in nome di un "fine superiore" o di un'"emergenza", che ieri era lo sviluppo industriale, oggi è il cambiamento climatico. In pratica, è una forma di protezionismo commerciale mascherato da tutela ambientale.
ANCHE BIDEN E L'EUROPA IMPONGONO DAZI Anche l'amministrazione Biden, si è servita di misure protezionistiche, per realizzare la Green Economy. L'Inflation Reduction Act, approvato negli Stati Uniti nel 2022, prevede centinaia di miliardi di dollari in sussidi per le imprese che producono tecnologie verdi (come auto elettriche, pannelli solari e batterie), se parte della produzione avviene sul suolo americano. Si tratta di una forma evidente di protezionismo. Il mito della globalizzazione sembra ormai alle nostre spalle. La prima presidenza di Donald Trump (2017-2021) ha segnato un ritorno al protezionismo, con l'imposizione di dazi su acciaio, alluminio e beni cinesi, nel tentativo di ridurre il deficit commerciale. Nel discorso di insediamento alla Casa Bianca del 20 gennaio 2025, che ha inaugurato il suo secondo mandato, Trump si è richiamato al 25esimo presidente americano William McKinley (1843-1901), "padre" di un'ondata di dazi, approvata nel 1890, che avrebbe contribuito alla "Gilded Age" americana. La guerra tariffaria di Donald Trump deve lasciarci dunque tranquilli e soddisfatti? Non è così. Dopo la caduta del muro di Berlino, è stato creato, in nome della "Repubblica Universale", un mondo fragile e interdipendente. Un intervento troppo forte su questo sistema debole può creare un effetto domino, scatenando una serie di crisi sistemiche che, alimentandosi a vicenda, possono produrre un collasso economico planetario. Va ricordato che l'economia non è solo fatta di numeri e algoritmi. I mercati sono profondamente emotivi e le decisioni economiche sono spesso basate, non solo su ciò che sta accadendo, ma su cosa si crede accadrà. La grande crisi del 1929 fu causata soprattutto da un crollo di fiducia che si trasformò in panico collettivo. La pandemia ha lasciato profonde tensioni che ancora oggi si ripercuotono sulla psicologia dei popoli. In Europa la guerra russo-ucraina e l'immigrazione incontrollata hanno contribuito ad accrescere questa instabilità psicologica, che può rapidamente portare alla destabilizzazione politica ed economica, e quindi al caos. La civiltà moderna, nata trionfante sulle macerie di quella medievale, sembra vicina al suo crollo, ma il ritorno all'ordine o sarà religioso e morale, o non sarà.
CINQUE FALSITA' SUI DAZI DI TRUMP + TRE CONSIGLI ALL'EUROPA (CHE I BUROCRATI IGNORERANNO) Ogni barriera doganale è una tassa nascosta sulla libertà di scelta: ecco perché si deve rispondere con più libertà (VIDEO: Dazi amari) di Stefano Magni https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8116
I DAZI DI TRUMP METTONO A NUDO LO SFACELO DELL'UNIONE EUROPEA Piuttosto lamentiamoci delle follie che ci hanno imposto Obama, Biden e soci: auto green, guerre e woke (intanto Trump si ritira dal Consiglio per i diritti umani dell'Onu perché è composto dai paesi che li vìolano tutti) di Rino Cammilleri https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8073
Fonte: Radio Roma Libera, 6 aprile 2025
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UN BAMBINO MIRACOLATO POTREBBE PORTARE IL CARD. PELL VERSO GLI ALTARI
Un bambino caduto in una piscina ha smesso di respirare per 52 minuti, ma i genitori hanno invocato il cardinale australiano, considerato un martire
Autore: Nico Spuntoni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 29 marzo 2025
Un miracolo di Pell? Poco più di due anni dopo l'improvvisa morte del cardinale australiano, una straordinaria notizia arriva dall'altra parte dell'oceano. Protagonista è un bambino di un anno e sei mesi dell'Arizona che, dopo essere caduto in una piscina ed aver smesso di respirare per 52 minuti, si è improvvisamente ripreso senza alcun danno. I genitori del bambino di nome Vincent hanno confessato di aver invocato in quei drammatici momenti l'intercessione di Pell. La storia è stata rivelata qualche giorno fa a Sydney dall'arcivescovo locale Anthony Colin Fisher, già ausiliare e amico del primo prefetto della Segreteria per l'economia. L'intervento del presule domenicano è avvenuto nel corso dell'evento organizzato mercoledì al Campion College Australia per presentare la biografia George Cardinal Pell Pax Invictis. A Biography scritta dalla giornalista di The Australian Tess Livingstone che conobbe molto bene il cardinale. La serata ha registrato il tutto esaurito, a dimostrazione del grande affetto che la sua arcidiocesi continua a riservare al principe della Chiesa mandato in prigione ingiustamente per 404 giorni. Alla presentazione, oltre a monsignor Fisher, hanno partecipato e parlato ben due ex primi ministri d'Australia: John Howard e Tony Abbott. I due politici avevano continuato a supportare Pell anche nei giorni più difficili e si erano pubblicamente definiti suoi amici nonostante l'iniziale verdetto di condanna per abusi. Durante la serata è stata anche svelata la targa che intitola alla memoria del cardinale la grande hall del college. A prendere la scena, in ogni caso, è stato il racconto di Fisher sul bimbo americano in pericolo di morte. Nei 52 minuti di terrore i genitori hanno invocato l'intercessione di Pell che avevano conosciuto nel 2021 a Phoenix durante una presentazione del suo libro Diario di prigionia (in Italia edito da Cantagalli). Fisher ha spiegato che Vincent «è sopravvissuto e non ha riportato danni al cervello, ai polmoni o al cuore. Ora sta bene e i medici lo definiscono un miracolo». È stato dimesso dopo 10 giorni dall'ospedale e suo zio, un sacerdote cattolico, ha segnalato l'accaduto all'ex segretario particolare di Pell, padre Joseph Hamilton che ora guida la Domus Australia a Roma. Durante la presentazione, Livingstone ha sollevato la possibilità che questa guarigione potrebbe essere citata un domani in una eventuale causa di beatificazione e canonizzazione. Per avviare l'istruttoria serviranno però altri 3 anni perché sono richiesti almeno 5 anni di distanza dalla morte del candidato per garantire una maggiore obiettività di valutazione. Resta il fatto che Pell già in vita veniva considerato un martire, perseguitato in odium fidei. Negli ultimi tempi romani l'anziano cardinale veniva ripetutamente fermato ed omaggiato, spesso in ginocchio, da vescovi, sacerdoti e funzionari laici vaticani che lo incontravano e che si rivolgevano a lui per avere la benedizione speciale di un martire. Persino un altissimo dignitario della Curia, accogliendolo nell'anticamera del Palazzo Apostolico per l'udienza concessagli il 12 ottobre 2020 da Francesco, si inginocchiò al suo cospetto commosso e ammirato per l'esempio offerto nel calvario giudiziario e mediatico. Una riabilitazione arrivata dopo anni di maldicenze e di freddezza in Curia, con presunti retroscena che gli scaricavano addosso accuse di «spese pazze» e fatti uscire proprio nel momento in cui Pell, ingiustamente accusato, tornava in Australia ad affrontare un processo già indirizzato. Mentre dal basso mai è venuta meno la fiducia e l'affetto per quel gigante un po' burbero e ancora oggi il suo santino funebre è uno dei pochi in evidenza nei gabbiotti dei portieri dei palazzi in cui ha vissuto e lavorato.
Nota di BastaBugie:Nico Spuntoni nell'articolo seguente dal titolo "Morto Pell: subì la persecuzione, difese la verità" racconta la storia dell'arcivescovo di Sidney e prefetto della Segreteria per l'Economia. Subì un caso di persecuzione giudiziaria, conobbe il carcere e venne privato della possibilità di dire Messa per 400 giorni. Poi fu assolto e riabilitato. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'11 gennaio 2023, il giorno dopo della sua morte: Dieci giorni dopo Benedetto XVI, la Chiesa perde un altro leone della fede del nostro tempo. È morto improvvisamente ieri a Roma a 81 anni il cardinale George Pell, già arcivescovo di Sidney e in seguito prefetto della Segreteria per l'Economia della Santa Sede. Sembra che il decesso sia dovuto alle complicazioni relative ad un intervento chirurgico all'anca. Nel momento in cui scriviamo, l'entourage del porporato non ha ancora notizie sul funerale e si limita a confermare la triste e inaspettata notizia. Pell, però, aveva confessato tempo fa ad alcuni amici in contatto con La Nuova Bussola Quotidiana la sua preferenza per una sepoltura all'interno della cripta della cattedrale di Santa Maria a Sidney, lì dove era stato arcivescovo per tredici anni. Il suo nome rimarrà inevitabilmente legato ad una delle pagine più nere della storia mediatico-giudiziaria del XXI secolo. Di recente, nel discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Francesco aveva ricordato che la libertà religiosa e le discriminazioni contro i cristiani sono in aumento anche in quei Paesi dove, almeno sulla carta, questi sono la maggioranza. Ebbene, il quasi ottuagenario Pell dovette sopportare più di quattrocento giorni senza la possibilità di celebrare Messa nelle celle in cui era stato rinchiuso per una condanna che venne annullata dall'Alta Corte nell'aprile 2020. Non accadde in Corea del Nord, ma nell'Australia in cui il cristianesimo continua ad essere la religione più diffusa. E della cui vita pubblica George Pell fu un protagonista assoluto, non solo perché primate d'Australia in quanto arcivescovo di Sidney dal 2001 al 2014, ma perché non ebbe paura di prendere posizioni coerenti con gli insegnamenti della Chiesa e dunque scomode nelle società sempre più scristianizzate dell'età contemporanea. Schietto com'era, il porporato di Ballarat non fece mistero della convinzione maturata che a mandarlo alla sbarra fu proprio la sua difesa della visione giudaico-cristiana su famiglia, vita, sessualità. Nel 2017 accettò di lasciare Roma, farsi congedare da prefetto della Segreteria per l'Economia, e tornare in Australia per affrontare un processo da cui l'opinione pubblica non si aspettava nient'altro che una sua condanna. Lui avrebbe potuto trincerarsi dietro allo status diplomatico, ma non lo fece. Finì con una condanna a sei anni e tredici mesi in carceri di massima sicurezza, senza alcun occhio di riguardo. Pell venne prosciolto nell'aprile del 2020 dall'Alta Corte e rilasciato poco dopo dalla prigione in un'Australia alle prese con la pandemia. Un finale non scontato di una brutta storia mediatica e giudiziaria nella quale, però, spiccarono dimostrazioni di coraggio ed amore della verità come quella data dal giudice Mark Weinberg che pur messo in minoranza nella sentenza della Corte d'Appello produsse un corposo parere dissenziente mettendo in evidenza la debolezza dell'impianto accusatorio su cui poi la difesa riuscì ad ottenere il proscioglimento davanti all'Alta Corte. Allo stesso modo, fecero un grande lavoro quegli organi di stampa di Oceania, America ed Europa che non si accodarono alla linea forcaiola della maggioranza dei media ed analizzarono i documenti del processo con obiettività in un momento in cui a difendere Pell era rimasta soltanto la sua piccola ma agguerrita cerchia di amici e collaboratori. La Nuova Bussola Quotidiana fece la sua parte ed il cardinale non lo dimenticò, esprimendo la sua gratitudine personale non solo per gli articoli ma anche per le intenzioni di preghiera dei lettori. Il processo a Georg Pell resterà per sempre una macchia non nella vita di questo carismatico uomo di fede, ma del sistema giudiziario di uno dei Paesi occidentali più evoluti. Sul caso che lo aveva riguardato, diceva: «La mia opinione è che più verosimilmente la giuria mi avesse ritenuto riprovevole, meritevole di essere punito per questioni estranee al processo, e che (...) sono stato vittima della politica dell’identità: bianco, maschio, in una posizione di potere, appartenente a una Chiesa i cui membri avevano commesso atti vili e i cui leader, fino a poco tempo fa, avevano messo in atto un vero e proprio insabbiamento». La sua esperienza è stata raccontata in un Diario di prigionia (edito da Cantagalli in Italia) che - ora sappiamo grazie al libro di monsignor Georg Gänswein - venne apprezzato molto da Benedetto XVI a cui venne letto nel Monastero Mater Ecclesiae. Il Papa emerito non abbandonò Pell nel momento più difficile e gli inviò una lettera in prigione rivelandogli che aveva pregato per lui e scrivendogli significativamente: «temo che adesso dovrà pagare anche per la sua incrollabile cattolicità, ma in questo modo sarà molto vicino al Signore». Nonostante ciò, il cardinale australiano a cui non faceva difetto un carattere a tratti un po' brusco, non lesinò critiche alla scelta di Ratzinger di rinunciare e poi a quella di scegliere il titolo di Papa emerito. Le spigolosità di Pell lo portarono anche ad attaccare pubblicamente un suo confratello finito in disgrazia, il cardinale Angelo Becciu con il quale c'erano stati screzi ai tempi in cui entrambi lavoravano in Curia. Ma lui stesso, pur continuando a non amare l'ex sostituto, aveva espresso in colloqui privati le sue perplessità per le modalità di svolgimento del processo vaticano che vede quest'ultimo ancora imputato. Francesco, comunque, che lo aveva chiamato a Roma dall'Australia per gestire la riforma delle finanze vaticane, ne ha riconosciuto più volte in questi ultimi anni i meriti e nella recente intervista a Fabio Marchese Ragona su Mediaset aveva parlato esplicitamente di lui come di una «vittima di calunnia» in patria in riferimento al processo per abusi. Ma «è un grande uomo e gli dobbiamo tante cose», ha anche aggiunto il Papa. Un atto di stima - e di riabilitazione definitiva anche agli occhi dei tanti avversari interni - arrivato a ridosso di Natale che avrà fatto piacere persino al cardinale Pell, uno abituato spesso a reagire infastidito ai complimenti.
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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 29 marzo 2025
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L'INCONTRO CON CRISTO, UNO SGUARDO FULMINANTE
A distanza di 20 anni dalla Passione di Mel Gibson, l'attore Pietro Sarubbi ricorda quando ha interpretato Barabba (VIDEO: Testimonianza di Pietro Sarubbi)
Autore: Vanessa Gruosso - Fonte: Amici del Timone di Staggia Senese, 30 marzo 2025
La giornata della Bussola della Toscana del 2024 ha avuto il suo momento più emozionante nella testimonianza dell'attore Pietro Sarubbi. Il suo intervento ha saputo intrecciare risate, scatenate dalle sue battute, e momenti di commozione, con frasi spezzate da un nodo alla gola. L'attore ha iniziato il suo percorso artistico lavorando in teatro. Nel 1980 arrivano i primi contratti Rai per Portobello, Fantastico e numerosi film tv. Debutta nel cabaret con Zelig e dal 1985 partecipa a film-tv, fiction e sit-com di successo tra cui Casa Vianello e Camera Cafè. La presenza fissa al Maurizio Costanzo Show gli dà una certa notorietà. Poi la svolta grazie alla sua interpretazione di Barabba nel film di Mel Gibson "La Passione di Cristo". Sarubbi ha raccontato il suo incontro con il regista, durante il quale scoprì che il suo personaggio non pronunciava nessuna battuta. Egli, che fino ad allora aveva pensato solo alla gloria e al profitto, non voleva accettare quella parte, perché avrebbe significato un basso guadagno, infatti più un personaggio parla, maggiore è il guadagno dell'attore. Sarubbi quindi continuava a ripetere a Gibson di fargli dire qualche battuta o, in alternativa, di interpretare un altro personaggio, magari San Pietro. Gibson tentò di convincerlo spiegandogli l'importanza di Barabba, che in aramaico significa "figlio del padre", una traccia del suo essere figura messianica, una sorta di alter ego di Gesù, Figlio del Padre del cielo. Sarubbi non capiva perché Mel Gibson stava lì ad insistere per convincerlo. A lui, che era un attore secondario, il regista disse che aveva bisogno della sua vera rabbia per il "suo" Barabba. Questo personaggio era discendente del capo degli zeloti e si era ormai abbruttito a causa del male fatto e della prigionia: in pratica era diventato come una bestia. E come tale non parlava più, ma esprimeva tutto con grida ed espressioni facciali minacciose. Alla fine Sarubbi si convinse ad interpretare Barabba. Iniziarono le riprese, durante le quali Mel Gibson non permetteva a nessun attore di incontrare Jim Cavizel che interpretava Gesù. Mel Gibson voleva infatti che il primo incontro che gli attori avevano con Gesù fosse autentico. Questo per catturare il primo sguardo e la reazione che suscitava il vedere concretamente Gesù. Il regista infatti ha realizzato il film ponendo molta attenzione agli sguardi, come del resto il vangelo racconta usando molte volte il verbo "vedere", "guardare". Peniamo a tutti gli sguardi che si vedono nel film: quelli tra Gesù e sua Madre, lo sguardo di Gesù che si posa su San Pietro, ecc. Sarubbi ha quindi fatto vedere una scena della flagellazione in cui Gesù, stremato dalle frustate dei romani, incontra lo sguardo di sua Madre. Questo gli da la forza di rialzarsi e sopportare una fustigazione ancora più crudele. Dopo diverse riprese arriva il momento fatidico dell'incontro tra Barabba e Gesù. La scena della liberazione di Barabba, provata più volte da solo, adesso si svolge alla presenza degli altri attori. Mentre Barabba scende le scale che lo porteranno verso la libertà si volta a guardare per un attimo Gesù. In quell'attimo, l'attore ha una fulminazione. In quello sguardo di Gesù, Sarubbi si perde e rimane a fissarlo per un lungo interminabile minuto e tutto il set si ferma. Nessuno se la sente di dire niente. Sconvolto, quella sera non esce con gli altri attori come sempre alla fine delle riprese ma se ne va a casa, in uno stato febbrile. Non riesce a dormire e ha paura di restare al buio perché sente ancora quegli occhi addosso e sono occhi pieni di amore. Non capisce cosa gli stia succedendo, non capisce come possa un solo sguardo, tra l'altro nel contesto di finzione del set cinematografico, essere così sconvolgente, così vero. Dopo mesi con questa domanda e con lo sguardo di Gesù fisso nella mente, incontra un sacerdote che gli regala l'enciclica "Deus Caritas Est". Sfogliandola in treno incontra la frase "il Signore sempre di nuovo ci viene incontro attraverso lo sguardo di uomini, con cui egli traspare" e capisce improvvisamente tutto: quella frase è la risposta alla sua domanda di senso. Inizia un cammino di conversione che lo porterà a sposarsi con la donna con la quale conviveva e dalla quale stava per avere il quarto figlio. Perché decide di sposarsi? Perché ormai è diventato fondamentale per lui il rapporto con l'Eucarestia a cui però non può accedere perché in situazione irregolare di matrimonio. Ma lui vuole essere degno di ricevere Gesù e per questo inizia a mettere a posto la sua vita. A questo punto sente il desiderio di raccontare quello che gli è successo a quelli che incontra, ma questo gli costerà la carriera cinematografica.Al termine dell'intervento il direttore della Bussola, Riccardo Cascioli, ha consegnato all'attore il premio "Viva Maria" non solo per il suo talento artistico, ma soprattutto per il coraggio di testimoniare la fede nonostante le difficoltà che questo ha significato. La Giornata della Bussola si è rivelata un evento di grande spessore culturale e spirituale, capace di unire riflessione scientifica, analisi economica e testimonianze di fede, confermando ancora una volta l'importanza di conferenze in presenza del pubblico. Infatti internet offre la possibilità di accedere a qualunque ora e gratuitamente a un numero quasi infinito di conferenze su tutto lo scibile umano da parte di relatori per tutti i gusti. Potrebbe quindi sembrare superata l'esigenza di ritrovarsi in un luogo per fruire di esperienze che possono essere fatte tranquillamente on line senza lo sforzo del viaggio. Giornate come quella vissuta a Staggia Senese dimostrano esattamente il contrario, e cioè che nulla può sostituire il vivere una esperienza in presenza, poiché così si possono cogliere le sfumature che non si vedono nel video, il prima e il dopo della conferenza, il parlare direttamente con il conferenziere una volta sceso dal palco, visitare gli stand dei libri, e per finire, instaurare nuove amicizie con gli altri partecipanti all'evento o magari salutare chi già si conosce e non si aveva altra occasione di incontrare. Anche il momento del pranzo ha aiutato i partecipanti a vivere un'esperienza di convivialità e conoscenza degna dello sforzo fatto per essere presenti. I partecipanti hanno espresso grande soddisfazione sia perché arricchiti da nuove conoscenze, sia per essere stati ricaricati da una forte motivazione di fede. Allo stand della Bussola molti hanno testimoniato di leggere da anni il sito e grazie a questo di avere un punto sicuro a cui appoggiarsi per una corretta informazione. Per alcuni è stata poi l'occasione per abbonarsi alla Bussola Mensile, la rivista cartacea che da un anno ha affiancato il sito della Bussola Quotidiana. Diversi sono stati i lettori della rivista che hanno espresso la gratitudine per questo evento che ha permesso loro di incontrare di persona il direttore e alcuni membri della redazione. L'appuntamento con la Giornata della Bussola della Toscana è per il primo sabato di giugno del 2025.
VIDEO: Testimonianza di Pietro Sarubbi (durata: 1 ora e 11 minuti)
https://www.youtube.com/watch?v=YurBxytmohw
Fonte: Amici del Timone di Staggia Senese, 30 marzo 2025
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COME L'ISLAM STA CAMBIANDO IL MODO DI LAVORARE IN FRANCIA
La Francia sta cambiando come prevedeva lo scrittore Houellebecq: in 7 casi su 10 l'islam influisce nella vita lavorativa dei francesi
Autore: Lorenza Formicola - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13 dicembre 2024
Come ogni anno dal 2013, l'Institut Montaigne - think tank di orientamento liberale molto vicino al presidente Macron - ha pubblicato il suo rapporto per determinare il peso della religione nel mondo del lavoro in Francia. L'indagine approfondita, firmata dal professore universitario di scienze gestionali dell'Institut d'Administration des Entreprises de Brest, Lionel Honoré, evidenzia come lo spazio, l'influenza e le circostanze segnate dalla fede in ambito lavorativo siano in netto aumento rispetto al 2022 e l'islam figura come la religione più rappresentata. Il rapporto entra nel merito e utilizza l'espressione sovrarappresentazione per l'islam. Honoré ha concentrato il suo lavoro di ricerca dedicando l'attenzione sul funzionamento delle aziende e sui comportamenti di dirigenti e dipendenti quando c'è di mezzo la religione. Dato che s'inserisce, a sua volta, in quello di un Paese dove l'ateismo è in crescita - circa il 40% della popolazione -, a dirsi ancora cristiani è poco meno del 50% e i musulmani dichiarati sono tra l'8 e 10%. Secondo l'Institut Montaigne, il 71% degli intervistati dichiara di esser stato testimone di un qualche tipo di episodio in cui la religione ha influito sulla gestione del lavoro, rispetto al 66,7% di due anni fa: questo significa che sette aziende su dieci identificano nel loro funzionamento quotidiano situazioni che è la religione a regolare, si tratta del dato più alto da quanto il rapporto viene pubblicato. L'islam è presente nell'81% delle situazioni, contro il 73% del 2022. In calo il cattolicesimo, che figura nel 19% dei casi e i culti evangelici nel 16% delle circostanze. L'ampio studio, basato sulle risposte di 1.348 dirigenti e 1.401 dipendenti, vuole fornire un indicatore efficace dell'evoluzione della religione all'interno della società. Se «nella maggioranza delle aziende, la presenza della religione è regolamentata e gestita senza notevoli difficoltà», nota l'autore del rapporto, Lionel Honoré, «le tensioni e i conflitti registrati sono in notevole aumento».
COMPORTAMENTO NEGATIVO NEI CONFRONTI DELLE DONNE E la sovrarappresentazione della religione musulmana si riflette in particolare nell'uso di simboli religiosi in forte aumento, - al 36% nel 2024 rispetto al 19% nel 2022 -, ma anche per quel che concerne le assenze e le richieste di cambiamenti d'orario: il 52% delle richieste arriva dall'islam. È il 44% degli intervistati a denunciare, invece, che alcuni simboli religiosi sono ragione di preoccupazione e turbano la quiete sul posto di lavoro. Anche il comportamento negativo nei confronti delle donne viene citato come conseguenza importante dei «fatti religiosi» osservati sul lavoro. Nel 2024, il 15% dei dipendenti intervistati ha assistito ad atteggiamenti sgradevoli, rispetto al 13% nel 2022. Secondo il rapporto, «fatti e comportamenti negativi nei confronti delle donne si riscontrano esclusivamente come legati all'islam». Più in generale, «ogni episodio trasgressivo sul posto di lavoro ha a che fare con l'islam»: nel 91% delle circostanze contro l'89% del 2022. Il 6% afferma che sta cambiando il proprio comportamento con le colleghe per motivi religiosi e un altro 6% ha già chiesto di non lavorare direttamente con o sotto supervisione di una donna. Secondo l'indagine, l'ebraismo risulta la fede più colpita da atti discriminatori. Gli atti frequenti di stigmatizzazione sono al 15% (+2 punti), mentre gli atti occasionali sono al 23%, con un aumento di ben 15 punti percentuali. Questi due dati sono in forte crescita rispetto alla rilevazione del 2022 (rispettivamente del 2% e del 13%). Nel dettaglio, lo stigma nei confronti delle persone di fede ebraica è particolarmente aumentato rispetto al 2022, passando dal 16% al 32%. L'indicatore dell'Institut Montaigne dimostra anche che la manifestazione dei fatti religiosi in atto è soprattutto una questione di età. Pertanto, la stragrande maggioranza delle situazioni (79%) coinvolge persone di età inferiore ai 40 anni. I casi di comportamento negativo nei confronti delle donne, attribuiti dal rapporto esclusivamente ai dipendenti musulmani, sono presenti in modo significativo prima dei 35 anni e poi si fanno più rari sopra i 40 anni.
CONDIZIONARE COMPORTAMENTI Lo studio sottolinea, così, come il crescente impatto di determinate convinzioni religiose nel mondo professionale sia capace di condizionare comportamenti, abitudini e consumi. Quello del think tank parigino non è, pertanto, un rapporto sui generis. Ma vuole essere una fotografia statistica rilevatrice di un Paese che sta andando in sofferenza nel rapporto con l'islam nello spazio pubblico. Basta tornare indietro di circa dieci anni, che poi è anche il momento in cui l'Institut Montaigne ha inaugurato le sue indagini annuali. Pochi giorni dopo gli attentati islamici del Bataclan, e in seguito alla notizia che voleva Samy Amimour, uno dei kamikaze, come autista di autobus della Ratp, la compagnia del trasporto pubblico parigina, iniziò ad emergere la preoccupazione dell'ingerenza islamica nel mondo del lavoro. Quell'attentato aprì tutta una serie di indagini in Francia ed emerse quel che già si sapeva: a Pavillons-sous-Bois - quartier generale del reparto autobus e tram della Ratp - i dirigenti non comandavano molto. La direzione raccontò di come le istanze delle comunità islamiche di fatto regolavano, già allora, le dinamiche sul posto di lavoro: dal rifiuto dei macchinisti di stringere la mano alle donne o di guidare se dietro un'auto a sua volta guidata da una donna fino agli autobus in sosta, nel bel mezzo della corsa giornaliera, per recitare le preghiere. Tra manifestazioni di pietà, rapporti tra uomini e donne, integrazione di nuovi dipendenti e addirittura di paura del terrorismo, la RATP dieci anni fa condensava, in una stessa azienda, tutti i temi propri dell'espressione della religione al lavoro e che oggi l'Istitut Montaigne analizza a livello nazionale raccontando di quelli che erano solo allarmi e oggi son fatti consolidati.
CLAUSOLA DI NEUTRALITÀ Era il 2005, quando veniva introdotta una clausola di neutralità nei contratti di lavoro per le prime difficoltà riscontrate. E nel 2011 venne addirittura pubblicato un primo codice etico in Francia. Ma l'iniziativa aveva un significato più simbolico che reale. Era l'epoca in cui la storica sigla sindacale francese, Force Ouvrière, venne soprannominata “Forza Orientale” perché appariva oltremodo aperta alle richieste della comunità islamica. Nel 2014, la Force Ouvrière sospese l'adesione di quasi 200 iscritti al sindacato perché non rispondevano ai valori dello Stato. Decisione che costerà un prezzo altissimo: alla fine del 2014 il sindacato ottenne solo il 9,6% dei voti e perse la sua rappresentanza alla RATP. A beneficio di un nuovo sindacato, appena nato, la SAP, ribattezzato tra gli addetti ai lavori come “l'Unione dei musulmani”. La cronaca francese del 2024 racconta di corrieri che rifiutano di consegnare casse di vino o birre, o, addirittura, di aziende di aiuto domestico responsabili della spesa per anziani non autosufficienti con dipendenti velate che depennano carne di maiale dalle liste della spesa. E poi c'è tutto il tema legato a quando, come e se lavorare durante il Ramadan. Nel 1987, Gilles Kepel propose di parlare di «estensione del dominio halal» per descrivere la trasformazione delle forme di religiosità che dalle periferie arrivavano in centro con una rigidità identitaria inedita al punto di spingere a governare la loro esistenza e il mondo che li circonda. Nel 1900: in Francia lo 0% dei neonati aveva un nome arabo-musulmano. Nel 2021 erano il 21,1%. Una dinamica, non marginale, che ha già trasformato profondamente il volto culturale della Francia. Houellebecq, il celebre scrittore francese, al Corriere della Sera, l'11 dicembre, raccontava, «quando ho lasciato la Francia nel 1999 non si parlava affatto d'islam. Quando sono tornato, 12 anni più tardi, non si parlava che di questo, continuamente». Aggiungendo, a proposito di una Francia cambiata o meno, dopo gli attentati del 2015, «il peggio è che non è cambiato niente. L'islamismo ha continuato ad avanzare». Il nucleo del romanzo fantapolitico Sottomissione che, probabilmente ha reso veramente famoso Houellebecq è la penetrazione nell'islam nella società attraverso l'università. Cosa che l'islam ha già fatto. Oggi, il rapporto dell'Institut Montaigne ci racconta che l'islam ha invaso il mondo del lavoro francese, quindi la società, modellandola. SOTTOMISSIONE: COSA SUCCEDERA' QUANDO SARA' ELETTO IN FRANCIA IL PRIMO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA MUSULMANO Il romanzo ''Sottomissione'' di Michel Houellebecq prevede un futuro possibile dopo la strage al settimanale Charlie di Gianandrea de Antonellis https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3630
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13 dicembre 2024
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LA STORIA DELL'UOMO RISPARMIATO AD AUSCHWITZ GRAZIE A PADRE KOLBE
Sopravvisse alla guerra, grazie al sacrificio del santo, ma la sua vita fu segnata dal dolore e dalla sofferenza che quasi rimpianse di essere stato salvato
Autore: Paola Belletti - Fonte: Sito del Timone, 25 marzo 2025
Franciszek Gajowniczek, prigioniero numero 5659, è morto quasi centenario 30 anni fa. Un nome, il suo, che immediatamente ai più forse non dice nulla, come il numero con il quale i destinati alla soluzione finale venivano umiliati privandoli della loro identità e del loro rango di persone. Non era così agli occhi di un sacerdote - e per molti, moltissimi altri che hanno illuminato come diamanti le tenebre e l'orrore dei campi di concentramento nazisti. Per padre Massimilano Kolbe quell'uomo era tanto prezioso e meritevole di amore anche in quella condizione di sofferenza e crudeltà estreme che per lui offrì in sacrificio la propria vita e, miracolo, la sua offerta fu accolta. Ne ripercorre la storia il National Catholic Register: «Il 29 luglio 1941, nel piazzale dell'appello di Auschwitz, un grido straziante squarciò la gola di Franciszek Gajowniczek: "Ho pietà di mia moglie e dei miei figli!"». L'uomo era stato scelto insieme ad altri nove, senza criterio di giustizia alcuna, per essere lasciato morire di fame: la loro sorte era nella logica del campo di sterminio una perversa riparazione per il tentativo di fuga di un altro prigioniero. «Pochi istanti dopo, accadde un evento straordinario. Dalle fila dei prigionieri uscì il francescano conventuale Padre Massimiliano Kolbe: "Sono un prete; voglio morire per lui!" La sua offerta fu accettata. Gajowniczek sopravvisse alla guerra, ma la sua vita fu segnata dal dolore e dalla sofferenza.»
IL GIOVANE FRANCESCANO E IL SOLDATO Il sacerdote, proclamato santo il 10 ottobre del 1982 da Giovanni Paolo II, morì pronunciando come ultime parole le prime della preghiera mariana per eccellenza: "Ave Maria". La sua vita era stata tutta tesa a diffondere il Vangelo e la devozione all'Immacolata, una missione realizzata con ingegno e creatività e in nome della stessa fede che lo ha portato a compiere il sacrificio estremo come naturale compimento del suo cammino. La sua storia ha come svelato l'intreccio invisibile ma reale che lega l'uomo al suo fratello, una trama che l'Incarnazione di Cristo ha riparato ed elevato al Cielo, fino a farsi carico della tutela del bene così prezioso della vita altrui, in vista del bene ultimo della vita eterna. «Gajowniczek proveniva da una povera famiglia polacca. Nacque il 15 novembre 1901 a Strachomin, un villaggio a circa 62 miglia a est di Varsavia. Attratto dall'esercito, prestò servizio nel 36° reggimento di fanteria della Legione accademica a Varsavia e fu persino ferito nel 1926 durante un colpo di stato politico in Polonia. A quel tempo, l'esercito era tutta la sua vita. Padre Maximilian Kolbe, di qualche anno più grande di Gajowniczek, nacque l'8 gennaio 1894 nella città industriale di Zduńska Wola. Iniziò il noviziato nel 1910, prendendo il nome di Maximilian. Quando si presentò l'opportunità per la Polonia di riconquistare l'indipendenza, intendeva lasciare l'ordine per combattere per una patria libera, ma la Provvidenza decise diversamente».
DUE STORIE DESTINATE A INTRECCIARSI Quando incontrò e si innamorò di Helena il giovane Franciszek trovò nel matrimonio la forma decisiva della sua vita: ebbero due figli e godettero della dolcezza della vita familiare. Nel frattempo il giovane Kolbe stampava e distribuiva quasi un milione di copie del Cavaliere dell'Immacolata pubblicazione della Milizia Mariana, da lui fondata quando studiava a Roma. Allo scoppio del conflitto mondiale Gajowniczek era sergente e si impegnò nella difesa della prima città polacca attaccata dai tedeschi dimostrando un coraggio eccezionale. «Dopo che la sua unità fu distrutta, cadde prigioniero dei tedeschi ma fuggì per unirsi alla resistenza clandestina. La Gestapo lo catturò mentre tentava di raggiungere l'Ungheria. Prima di arrivare ad Auschwitz, sopportò sette mesi di brutali interrogatori, entrando nel campo nel settembre 1940». La moglie non sapeva nulla di lui se non che era stato deportato in un campo. Sorte che toccò anche il giovane e battagliero sacerdote: la sua opera di soccorso e aiuto ai numerosi ebrei espulsi rifugiatisi nel monastero di Niepokalanów attirò le nefaste attenzioni naziste e venne arrestato. «Nel febbraio 1941, fu mandato nella prigione di Pawiak e in seguito ad Auschwitz».
LA PRIGIONIA AD AUSCHWITZ E IL SACRIFICIO DI SAN MASSIMILIANO KOLBE In quell'inferno che fu il campo di concentramento di Auschwitz i destini dei due uomini si incontrarono. Durante l'appello durato meno di un minuto per destinare 10 prigionieri al bunker della fame san Massimiliano Kolbe levò la voce con quell'insolita offerta che lasciò nello stupore gli altri prigionieri e soprattutto ottenne il consenso dei militari impegnati nell'esecuzione. La salvezza che Kolbe ottenne per Gajowniczek lo preservò in una vita però piena di prove, pericoli mortali dai quali lui e gli altri vollero strapparlo a tutti i costi perché, dirà lo stesso Franciszek non voleva rendere vano il suo sacrificio. «La volontà di vivere di Gajowniczek era straordinaria. Sopravvisse ad Auschwitz e a Sachsenhausen, un altro campo di concentramento nazista. Sopravvisse a una marcia della morte due settimane prima della fine della guerra: 12 giorni senza cibo né acqua, sopravvivendo con erba secca e ortiche. Non sapeva ancora che una tragica notizia lo attendeva a casa». Una volta tornato in Polonia si ricongiunse con la moglie e seppe della morte dei due figli. La moglie si era assentata per spedire un pacco al marito mentre i ragazzi perirono in un bombardamento dell'Armata Rossa, a guerra quasi finita. Una beffa del destino che amareggiò profondamente l'uomo che addirittura rimpianse di essere stato salvato perché se lui fosse morto sua moglie non avrebbe avuto nessuno a cui spedire provviste. Si arrese però alla imperscrutabile volontà di Dio che invece aveva disposto diversamente.
LA TESTIMONIANZA DI GAJOWNICZEK Fino a che lo stesso Gajowniczek non mandò la sua testimonianza alla rivista della Milizia Mariana del padre di famiglia per cui Padre Kolbe si era sacrificato non si sapeva nulla: «Come il Cavaliere dell'Immacolata sia arrivato nelle mani di Gajowniczek resta un mistero. Ciò che è certo è che, nel maggio del 1946, pubblicò la sua testimonianza, "La voce del sopravvissuto". Il suo passaggio finale spicca: "Sono cresciuto in un clima religioso; ho mantenuto la mia fede nei momenti più difficili; la religione era il mio unico sostentamento e la mia unica speranza in quel momento. Il sacrificio di Padre Massimiliano Kolbe ha ulteriormente intensificato la mia religiosità e devozione alla Chiesa cattolica, che dà vita a tali eroi"». Rimasto vedovo nel 1982, morì il 13 marzo del 1995 all'età di 94 anni con a fianco la seconda moglie Janina. «Al funerale, il vescovo disse: "Era una reliquia vivente rimasta dopo Padre Massimiliano"».
Fonte: Sito del Timone, 25 marzo 2025
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I MONACI BENEDETTINI DI NORCIA: CUSTODI DEL GREGORIANO... E DELLA BIRRA
Dalle rovine del terremoto alla rinascita: l'antica città di San Benedetto continua a ispirare preghiera e sacrificio a giovani di tutto il mondo (VIDEO: I monaci di Norcia)
Autore: Andrea Galli - Fonte: Avvenire, 15 giugno 2024
Grande festa oggi sulle colline appena fuori Norcia, in via Case Sparse. La comunità dei benedettini che lì risiede rende grazie per tre traguardi raggiunti. In primis i 25 anni di vita: la comunità fu fondata nel 1999 a Roma, dove ebbe i suoi inizi avventurosi prima di approdare fra i monti Sibillini. Poi la fine del restauro del complesso monastico, un antico convento dei cappuccini, dove i monaci si sono trasferiti dopo il terremoto del 2016 che ha distrutto il loro precedente monastero, contiguo alla concattedrale di Norcia. «Avevamo già comprato l'edificio e il terreno dalla diocesi, nel 2007 - spiega dom Benedetto Nivakoff - perché cercavamo un posto più tranquillo e silenzioso rispetto al centro di Norcia, ma il sisma ci ha costretti ad accelerare i nostri progetti». Infine l'elevazione canonica di quello che era tecnicamente un priorato benedettino e dallo scorso 25 maggio è un'abbazia, l'Abbazia di San Benedetto in Monte. Tre traguardi che insieme significano il ritorno pieno, ufficiale e stabile dei figli di san Benedetto nel luogo dove nacque il loro padre e padre del monachesimo d'Occidente, ma da dove gli ultimi benedettini se n'erano andati nel lontano 1810, a causa delle leggi napoleoniche, lasciando un vuoto che è stato riempito solo due secoli dopo, poco meno. A dimostrazione che le radici cristiane dell'Europa e anche delle nostre terre quando sembrano sofferenti, o financo morte, con la giusta linfa si possono riprendere più prontamente di quanto si pensi. La linfa in questo caso è arrivata tramite un religioso statunitense, Cassian Folsom. Nato nel 1955 a Lynn, nel Massachusetts, fattosi benedettino nell'abbazia di Saint Meinrad, nell'Indiana, padre Folsom venne in Italia per approfondire gli studi di liturgia e tra il 1997 e il 2000 ricoprì la carica di vice-rettore del Pontificio ateneo Sant'Anselmo (dove tuttora insegna). Nel 1995, mentre era su un treno diretto a Napoli, aveva avuto però l'ispirazione per un progetto extra accademico, ossia dar vita a una comunità che riprendesse il carisma e lo stile originario dell'ordine benedettino. La fondazione avvenne appunto a Roma nel 1999. Padre Folsom e tre benedettini americani si sistemarono in un piccolo appartamento nella capitale, con una stanza adibita a cappella. Nel 1999 la Santa Sede concesse loro l'approvazione canonica e nel 2000 si manifestò la possibilità di insediarsi a Norcia. Nel 2001 un estimatore di padre Folsom, il cardinale Joseph Ratzinger, si recò in Umbria per celebrare con lui e i suoi confratelli la festa di san Benedetto: per tutti una conferma speciale del cammino intrapreso. «Oggi siamo venti monaci - spiega dom Nivakoff, originario di New York, eletto abate lo scorso 28 maggio - provenienti da dieci Paesi: Italia, Stati Uniti, Germania, Polonia, Portogallo, Gran Bretagna, Brasile, Indonesia, Slovenia e Canada. L'età media è di 30 anni». L'eterogeneità delle nazionalità si deve anche al fatto che all'abbazia arrivano pellegrini, turisti e curiosi da diverse parti del mondo, spesso approfittando di vacanze o viaggi di studio in Italia. Il ritorno alle origini del carisma si riflette nella scelta liturgica fondativa - il rito benedettino antico - in una vita di preghiera particolarmente esigente - sveglia alle 3,30 ogni mattina - e nel recupero degli antichi digiuni dell'ordine - un solo pasto al giorno tra il 15 settembre e il tempo di Pasqua. Ora et labora. Per quanto riguardo il labora, tra l'altro i monaci di Norcia hanno elaborato da una decina d'anni la Birra Nursia, che porta come motto Ut laetificet cor, il prodotto con cui cercano di essere autosufficienti e che si inserisce in una tradizione gloriosa di birre monastiche. «Ora che abbiamo completato il restauro del monastero - chiosa dom Nivakoff - potremo dedicarci con più impegno alla nostra birra, cercando anche di farla conoscere meglio». [...]
Nota di BastaBugie:l'articolo dal titolo "Nursia, la birra dei monaci di Norcia vince tre volte" racconta come la birra dei monaci di Norcia sia diventata così apprezzata nel mondo. Per acquistare la birra, clicca qui! Ecco l'articolo completo pubblicato sul Sito del Timone il 3 aprile 2025: La prima sede di Birra Nursia, situata accanto alla Basilica di San Benedetto a Norcia, è stata resa inagibile dai terremoti del 2016. Ma i discepoli di San Benedetto che vivono nella sua città natale non hanno mollato il loro "pane liquido", come veniva chiamata la birra nei monasteri durante i periodi di digiuno. Ed ora, che vivono nel ristrutturato monastero di San Benedetto in Monte, da poco elevato ad Abbazia, si godono i premi che la loro Birra Nursia ha raggiunto. Untappd, la più rilevante community al mondo nel settore delle birre artigianali, ha premiato Birra Nursia Tripel con la medaglia d'oro come migliore Belgian Tripel italiana, Birra Nursia Bionda con l'argento come seconda Belgian Blonde del Paese e Birra Nursia Extra, già considerata "imperdibile" da Slow Food, con il bronzo come terza Belgian Strong Dark Ale prodotta nello Stivale. Questi riconoscimenti arrivano in occasione degli Untappd Community Awards e si basano su migliaia di recensioni offerte da esperti e appassionati di birra. Birra Nursia è prodotta dal 2012 dai monaci benedettini di Norcia e le sue tre ricette sono state sviluppate nel solco dell'antica tradizione birraria monastica belga. La sua lavorazione avviene con metodi artigianali, attraverso un processo lungo e attento e facendo uso di ingredienti selezionati tra cui il malto umbro. Dopo il terremoto del 2016 è iniziata un'amichevole collaborazione tra la comunità benedettina e Mastri Birrai Umbri. Affinché Birra Nursia potesse continuare a essere apprezzata in Umbria, in Italia e all'estero, il birrificio di Gualdo Cattaneo ha offerto ai monaci di utilizzare i suoi impianti, a una sola condizione: che fossero i monaci stessi a produrre la birra, per garantire l'autenticità del prodotto e il rispetto delle ricette originali. «Birra Nursia», dice Dom Agostino Wilmeth, monaco dell'Abbazia di San Benedetto in Monte e mastro birraio di Birra Nursia, «è nata dall'idea che una buona bevanda potesse accompagnare le prelibatezze gastronomiche di Norcia, conosciute in tutto il mondo. La nostra birra sostiene la vita dell'Abbazia ma contribuisce anche all'economia della città, che ha tanto sofferto nell'ultimo decennio. Vorremmo condividere simbolicamente questi premi con tutti i nursini: la qualità e la tradizione sono valori forti nella Regola di San Benedetto e qui a Norcia, e Birra Nursia li ha ricevuti in eredità».
VIDEO: I monaci di Norcia (durata: 7 minuti)
https://www.youtube.com/watch?v=vVT1yzNXGUY
Fonte: Avvenire, 15 giugno 2024
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OMELIA DOM. DELLE PALME - ANNO C (Lc 22,14-23.56)
Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà
Autore: Don Stefano Bimbi - Fonte: BastaBugie, 9 aprile 2025
La Domenica delle Palme apre la Settimana Santa: i giorni in cui riviviamo il cuore della fede cristiana. Non si tratta solo di ricordare eventi del passato. Si tratta di entrare, anche noi, nella Passione di Gesù, lasciandoci trasformare.
UN MOMENTO DI INTIMITÀ CON IL PADRE: ANDÒ AL MONTE DEGLI ULIVI Gesù "uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono". Egli aveva l'abitudine di ritirarsi in preghiera, ad esempio prima della scelta dei dodici apostoli. Anche noi abbiamo bisogno di momenti di silenzio e di preghiera per affrontare le sfide della vita: il lavoro, le relazioni, le incertezze sul futuro. Spesso siamo distratti, presi dalla frenesia o dalle distrazioni digitali. Gesù ci mostra che la preghiera non è un optional, ma una necessità. Quando è l'ultima volta che hai cercato un momento di silenzio per parlare con Dio? Cosa ti impedisce di farlo regolarmente? Come puoi trasformare un luogo o un momento della tua giornata in un "monte degli Ulivi" personale? San Francesco d'Assisi, nella sua vita, cercava spesso la solitudine per pregare, come quando si ritirava nei boschi o nelle grotte. Anche nei momenti di dubbio o sofferenza, trovava forza nell'abbandono a Dio, come quando disse: "Signore, che vuoi che io faccia?". Si sentì rispondere: "Va' e ripara la mia casa".
L'INVITO ALLA VIGILANZA: PREGATE, PER NON ENTRARE IN TENTAZIONE Gesù, giunto al Getsemani, dice ai discepoli: "Pregate, per non entrare in tentazione". Queste parole sono un monito per noi oggi. La "tentazione" non è solo il peccato, ma anche la stanchezza, la paura, la disperazione che ci fanno perdere di vista ciò che è veramente importante. Nella tua vita, quali sono le tentazioni che ti allontanano da Dio o dai principi cristiani? Potrebbe essere la pressione sociale, la ricerca del successo a tutti i costi, la paura di fallire, ecc. Gesù ci invita a essere vigili, a non "addormentarci" come i discepoli, che erano sopraffatti dalla tristezza. La preghiera non è solo parlare con Dio, ma anche ascoltare, lasciarsi guidare. È un'àncora che ci tiene saldi nelle tempeste. In quali momenti senti di essere più vulnerabile alla tentazione? Quali sono le "tentazioni" che ti distraggono dalla relazione con Dio o con gli altri? Come puoi essere più vigile e attivo nella tua vita spirituale? Da quanto tempo non vai a parlare con il tuo padre spirituale? Santa Teresa di Calcutta, pur vivendo nella povertà e nel caos delle strade, trovava tempo ogni giorno per pregare: ogni mattina tre ore che comprendevano la Santa Messa, l'adorazione e la meditazione personale. Diceva: "Nella preghiera troviamo la forza per affrontare qualsiasi sfida". La sua vigilanza spirituale le ha permesso di non cedere mai alla disperazione, anche nei momenti più difficili.
LA LOTTA UMANA DI GESÙ: ALLONTANA DA ME QUESTO CALICE Nella Passione vediamo Gesù nella sua umanità. Chiede al Padre di allontanare da Lui il "calice", cioè la sofferenza e la morte che lo attendono. È una preghiera sincera, che rivela paura e angoscia, ma termina con un atto di fiducia: "Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà". Questo ci insegna che è normale avere paura, sentirsi sopraffatti. La vera forza non sta nel basarsi sulle nostre forze, ma nell'affidarsi a Dio, anche quando non capiamo il suo progetto. Per noi questo può significare affrontare una scelta difficile soprattutto quando la malattia e la sofferenza, la solitudine e l'abbandono, bussano alla nostra porta inaspettatamente o per lungo tempo. Qual è il "calice" che fatichi ad accettare nella tua vita? Una situazione che non scegli, ma ti tocca vivere? Riesci a dire, come Gesù, "non sia fatta la mia, ma la tua volontà" o ti senti bloccato dalla paura o dall'angoscia? San Massimiliano Maria Kolbe accattò il calice della sofferenza quando offrì la sua vita per salvare quella di un padre di famiglia in un lager nazista. Nel bunker della fame e della sete, riservato a chi aveva tentato di evadere, non si abbandonò alla tristezza o alla disperazione, ma pregava e cantava in onore di Dio e della Madonna coinvolgendo gli altri condannati per far loro rivolgere lo sguardo al Cielo. Non morì di fame, ma dopo lunghi giorni di indicibile sofferenza gli fu praticata una iniezione letale. La sua vicenda sarebbe potuta rimanere sconosciuta, mentre ebbe una diffusione planetaria grazie ai testimoni oculari sopravvissuti alla prigionia.
LA LOTTA INTERIORE: IL SUO SUDORE DIVENTÒ COME GOCCE DI SANGUE Gesù, nella preghiera, lotta intensamente, tanto che il suo sudore diventa "come gocce di sangue". Questa immagine ci mostra quanto fosse reale la sua sofferenza, sia quella fisica che quella spirituale. Non era una recita con degli attori, ma una battaglia interiore tra la sua volontà umana e la missione che il Padre gli aveva affidato. Anche noi, a volte, viviamo battaglie interiori: dubbi sulla fede, sensi di colpa, pressioni esterne. Quali sono le tue "battaglie interiori" attuali? Come affronti queste lotte? Ti chiudi in te stesso, o cerchi conforto in Dio, nella preghiera e nei sacramenti? Come puoi trasformare queste difficoltà in un momento di crescita? San Giovanni Bosco, educando i giovani difficili del suo tempo, affrontò molte sfide e opposizioni. Una volta, per eliminarlo, chiamarono il manicomio dicendo che il sacerdote era diventato pazzo. Quando arrivò il mezzo trainato da cavalli per prenderlo capì dove l'avrebbero portato gli infermieri. Allora li convinse a salire prima loro e poi, anziché seguirli anche lui, chiuse lo sportello dicendo al cocchiere di andare via velocemente. I poveretti gridavano di non essere loro i pazzi, ma lui non gli dette retta visto che chi è veramente pazzo non sa di esserlo e le loro grida confermavano questa regola. La forza e l'astuzia di don Bosco veniva dalla preghiera e dalla fiducia in Dio, anche quando tutto sembrava perduto e tutti gli erano contro.
L'APPELLO ALLA RESPONSABILITÀ: PERCHÉ DORMITE? ALZATEVI E PREGATE Gesù trova i discepoli che dormono "per la tristezza". Non sono cattivi, ma fragili, distratti, incapaci di sostenere la prova. Quante volte anche noi ci "addormentiamo" spiritualmente, lasciando che la pigrizia, la distrazione o la paura ci tengano lontani dal cammino spirituale? Gesù li invita ad alzarsi e a pregare, a non arrendersi alla tentazione. Per noi questo può significare prendere decisioni coraggiose che diano una svolta alla nostra vita. Non possiamo permetterci di "dormire" quando il mondo ha bisogno di testimoni di Cristo. In quali aree della tua vita stai "dormendo" spiritualmente o moralmente? Cosa puoi fare, oggi, per "alzarti" e rispondere all'appello di Gesù? Santa Giovanna d'Arco, nonostante la sua giovane età, non si tirò indietro davanti alle voci dei santi che le dicevano che avrebbe salvato la Francia dall'invasore Inglese. Fu vigilante e coraggiosa, guidata dalla preghiera e dalla fiducia in Dio, anche quando tutti le voltarono le spalle, incluso Carlo VII che era riuscita a fare incoronare re di Francia.
LUCE NELLE TENEBRE: IL TRADIMENTO DI GIUDA E LA REAZIONE DI GESÙ Quando Giuda arriva per tradire Gesù con un bacio, vediamo il contrasto tra l'amore di Cristo e la malvagità umana. Gesù non reagisce con rabbia o violenza, ma con dignità e misericordia, guarendo persino l'orecchio del servo del sommo sacerdote che Pietro aveva mozzato con la spada. Questo ci insegna che, anche quando siamo feriti o traditi, dobbiamo rispondere con amore e perdono. Nella tua vita, hai mai sperimentato un tradimento come quello di Giuda o una delusione da parte di persone di cui ti fidavi? Come hai reagito? Come puoi imitare Gesù, scegliendo la misericordia invece della vendetta? Santo Stefano, il primo martire, mentre veniva lapidato, pregò per i suoi persecutori, dicendo: "Signore, non imputare loro questo peccato". La sua testimonianza di perdono è un esempio luminoso di come seguire Cristo anche nelle situazioni più dolorose. Santo Stefano è il primo ad aver seguito Gesù sulla via del martirio, ma è anche il primo dopo Gesù a perdonare i suoi persecutori.
VIVERE SPIRITUALMENTE LA SETTIMANA SANTA Oggi siamo entrati nella Settimana Santa con il ricordo della Domenica delle Palme: lasciamo che il racconto della Passione ci accompagni. Gesù ci mostra la strada: la preghiera, la fiducia in Dio, la vigilanza e il perdono. Non si tratta solo di ricordare ciò che è accaduto 2000 anni fa, ma di vivere oggi, nella nostra vita, la stessa passione di Cristo. Fai di tutto per partecipare il più possibile alle celebrazioni della Settimana Santa: la Messa del Giovedì Santo, la Via Crucis del Venerdì Santo, la Veglia Pasquale. Che questi giorni siano per ciascuno di noi un tempo di grazia, di conversione e di rinnovato impegno a seguire Cristo con tutto il cuore, confidando nell'aiuto costante di Dio che ci sostiene in ogni passo del nostro cammino.
Fonte: BastaBugie, 9 aprile 2025
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OMELIA GIOVEDI SANTO - ANNO C (Gv 13,1-15)
Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: La rivincita del crocifisso
Nessun'altra sera dell'anno scende sui nostri cuori con la dolcezza appassionata di questa. Scende a suscitare memorie e speranze, pentimenti e promesse, pensieri mesti e palpiti d'amore. Siamo qui a ricordare e a rivivere la «cena del Signore»; l'ultima che egli consumò prima di andare incontro al tradimento, alla morte di croce, alla gloria della risurrezione. Con questa cena egli chiuse l'Antica Alleanza, che veniva celebrata con Il banchetto dell' agnello (come ci ha ricordato la prima lettura); e con l'istituzione dell'Eucaristia inaugurò la Nuova Alleanza (come ci ha detto san Paolo nella seconda lettura). Nel pane e nel vino misteriosamente consacrati la Chiesa ha sempre riconosciuto e onorato la presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore morto e risorto. È il nutrimento arcano che in duemila anni non è mai mancato sulla mensa della comunità cristiana e non mancherà mai fino al termine della storia. Nel discorso di Cafarnao, preannunziando il grande dono dell'Eucaristia, Gesù si è presentato come il pane di Dio (cf. Gv 6,33), il pane vivo disceso dal cielo (cf. Gv 6,51). In tal modo, voleva significare di essere venuto al mondo proprio per saziare ogni vera fame degli uomini. Di che cosa noi abbiamo fame, nella profondità del nostro essere? Abbiamo fame di libertà, di amore, di vita. E proprio per essere nell'Eucaristia il nostro pane di liberazione, di amore, di vita, egli nel dramma della sua passione si consegna alla prigionia, all'odio, alla morte.
LA LIBERTÀ MINACCIATA Istituita nella cornice della Pasqua ebraica, che commemorava la liberazione del popolo dalla schiavitù egiziana, l'Eucaristia ci dona colui che è il sostegno e l'alimento della nostra libertà. La libertà dei figli di Dio, che ci è stata conferita col battesimo, è da più parti continuamente insidiata. È insidiata dalle nostre debolezze e dalle nostre incoerenze, che rischiano di riportarci sotto la tirannia del male. Abbiamo bisogno - oltre che del sacramento della riconciliazione - del pane eucaristico che ci ridà entusiasmo e vigore. Come dice sant' Ambrogio: «Chi ha una ferita cerca la medicina. La nostra ferita è l'essere soggetti al pericolo di peccare, la nostra medicina è il celeste e venerabile sacramento» (De sacramentis V,25). Ma la nostra libertà di figli di Dio è minacciata anche esteriormente dalla cultura anticristiana che cerca di intimidirci e quasi vorrebbe che la Chiesa rinunciasse alla verità del Vangelo per adeguarsi a tutte le aberrazioni imperanti. Dove potremo trovare la forza di resistere a tante prepotenze e di richiamare, contro tutte le irragionevolezze, la sapienza della legge di Dio, se non in questo «pane disceso dal cielo»? L'Eucaristia è anche pane d'amore, perché ci pone in comunione con colui che ha cosi tanto amato da accettare liberamente il sacrificio supremo per la salvezza di tutti. Non è facile praticare la legge evangelica dell'amore. Non è facile amare senza stanchezza, amare sempre, amare anche coloro che non sono amabili, amare anche quelli che ci vogliono e ci fanno del male. Eppure le nostre azioni agli occhi di Dio valgono non per la loro bravura o la loro risonanza, ma in proporzione della generosità del cuore da cui sono mosse e animate. Solo questo «pane d'amore» può rendere possibile, e perfino facile e gioioso, ciò che alla nostra natura è ostico e impraticabile. Solo coloro che lo ricevono degnamente, nell'umiltà e nella fede, si trovano arricchiti nell'anima e nel comportamento dal tesoro più prezioso di tutto, che è il tesoro della carità. Questa «riscoperta della carità» è in fondo la grazia più pertinente da chiedere in questa sera dell'ultima cena, quando, come abbiamo ascoltato, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv 13,1), cioè fino a mettersi tra le nostre mani come cibo che sostiene il nostro incerto e penoso pellegrinaggio terreno.
L'EUCARISTIA È PANE DI VITA Infine l'Eucaristia è altresì «pane di vita». Questa è anzi la connotazione sulla quale il Signore sembra avere insistito di più. Egli ha detto: lo sono il pane della vita (Gv 6,48). E inoltre: Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo (Gv 6,51). E ancora: Chi mangia di questo pane vivrà in eterno (Gv 6,58). Chi riceve con le dovute disposizioni l'Eucaristia accresce la vita eterna che il battesimo gli ha infuso, e accende nel suo cuore la vivezza della fede. Perché nella sua sostanza questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17,3). Se si smarrisce la conoscenza saporosa e coinvolgente di colui che è stato inviato come unico Salvatore, non si trova più la strada per andare al Padre. E se scompare dal nostro interiore orizzonte la figura di colui che è il Dio vivo e vero, da cui tutto proviene, si eclissa anche l'uomo, il senso della sua dignità, la persuasione del pregio e della sacralità della sua vita. È ciò che sta avvenendo in una società che, avendo perso di vista il Creatore, moltiplica gli attentati e le aggressioni alle creature che sono l'immagine viva di Dio. Un popolo di Dio che ritorni ad aver fame del «pane di Dio», del pane della libertà, dell'amore e della vita: questa è la grande speranza dell'umanità in questo annebbiato tramonto del secolo. Questa è l'accorata implorazione che eleviamo al Padre in questa sera pensosa e suggestiva del giovedì santo.
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