BastaBugie n�921 del 16 aprile 2025
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COVID, PASSERELLA DI REGIME CHE SI AUTOCELEBRA E PREMIA BURIONI
Mattarella elargisce medaglie al merito, ma dimentica Giuseppe De Donno e le storie di Camilla Canepa (morta per il vaccino) e Fabio Milani (medico processato ingiustamente)
Autore: Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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OGGI A SCUOLA MI HANNO SPIEGATO COME CAMBIARE SESSO
I manifesti di Pro Vita & Famiglia e la reazione furiosa di Roma Capitale e delle lobby Lgbtq+ che applicano una dura censura
Fonte: Provita & Famiglia
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SANTA MARIA MADDALENA DE' PAZZI: IN PARADISO NON SI VA IN CARROZZA
Gesù le chiese penitenze al limite della sopportazione, le mise una corona di spine e le fece vivere l'esperienza dell'inferno con risate sguaiate, grida, bestemmie e diavoli che la picchiavano per spingerla al suicidio
Autore: Don Stefano Bimbi - Fonte: La Bussola Mensile
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RE MENTONE DEI FRATELLI GRIMM FA CAPIRE CHE NON PUOI RIFUGIARTI NEL TUO MONDO, PERCHE' IL MONDO E' UNO SOLO
Per Tolkien la fantasia è passione per il vero e per il reale, una chiave di lettura che può evidenziare il miracolo che rende la realtà un codice con cui cogliere la presenza continua di Dio
Fonte: I tre sentieri
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L'EDUCAZIONE SPETTA ALLE FAMIGLIE: TRUMP VUOLE ABOLIRE IL DIPARTIMENTO
Con l'ultimo rivoluzionario ordine esecutivo il presidente cerca di togliere al governo centrale l'indottrinamento nelle scuole (ma Democratici e sindacati faranno guerra)
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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UNA SOCIETA' CHE PREFERISCE GLI ANIMALI AI FIGLI
Fa pochi figli chi considera il cane e il gatto parte integrante della famiglia e in grado di dare vita a relazioni più vere di quelle tra uomini
Autore: Fabio Piemonte - Fonte: Provita & Famiglia
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OMELIE PASQUA DI RISURREZIONE - ANNO C
Veglia Pasquale e Messa del giorno
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: La rivincita del crocifisso
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COVID, PASSERELLA DI REGIME CHE SI AUTOCELEBRA E PREMIA BURIONI
Mattarella elargisce medaglie al merito, ma dimentica Giuseppe De Donno e le storie di Camilla Canepa (morta per il vaccino) e Fabio Milani (medico processato ingiustamente)
Autore: Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 9 aprile 2025
Provate a pensare a un medico che offende pesantemente i colleghi, che deride i pazienti, che passa più tempo sui social che in corsia, ambulatorio o laboratorio. Un medico di tal genere dovrebbe essere severamente richiamato all'osservanza del codice deontologico, a un'etica fondata sul rispetto. Invece accade che tale medico riceva un importante riconoscimento pubblico da parte del Capo di uno Stato. Sembra inverosimile, mentre purtroppo è quello che accade in Italia. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha consegnato, al Quirinale, le medaglie al "Merito della salute pubblica" e ai "Benemeriti della salute pubblica" a una lista di personaggi, che viene aperta proprio da Roberto Burioni, il virologo del san Raffaele che attraverso i microfoni sempre generosamente offertigli da Fabio Fazio, divenne la prima virostar dell'epidemia, caratterizzandosi per uno stile aggressivo, irridente, arrogante, che doveva anche purtroppo fare scuola, risultando uno stile di comportamento che venne adottato da tanti medici e infermieri che si sentivano in diritto di insultare i pazienti e i colleghi con un pensiero diverso sulla narrazione pandemica cui veniva rifiutato ogni tipo di dialogo e di confronto. Il divulgatore di Stato Burioni non è stato certo l'unico a ricevere l'onorificenza da Mattarella, ma certamente questa scelta ha un forte significato. E' il "metodo Burioni" che viene premiato, il metodo dell'offesa, del turpiloquio, della chiusura al dibattito scientifico. Oltre al pesarese, sono stati una sessantina coloro che hanno ricevuto un riconoscimento, professionisti di vari ambiti della sanità, ma circa un terzo di essi hanno avuto a che fare col Covid, e non tanto per le cure, ma per il sostegno pubblico dato alla campagna vaccinale e alla divulgazione della narrazione ufficiale. Un riconoscimento hanno ricevuto coloro che erano addetti alla "logistica" della gestione pandemica: la medaglia d'oro "al merito della sanità pubblica" è stata ad esempio conferita al professor Ciro Aprea, un ingegnere che è stato il responsabile del mantenimento della "catena del freddo dei vaccini" anti virus. Una "catena del freddo" che sembrava inizialmente una delle principali caratteristiche dei salvifici supersieri, anche se ben presto i vaccini vennero fatti anche sulle spiagge assolate. E dal momento che nella narrazione di Stato la pandemia era vista come una guerra (prove tecniche di militarizzazione del pensiero), non potevano mancare i riconoscimenti ai portatori di divisa. Al generale Francesco Figliuolo è stata riconosciuta la medaglia d'oro "ai benemeriti della salute pubblica" per come ha lavorato "al fine di fronteggiare la complessa fase emergenziale dovuta alla pandemia, nonché per aver portato l'Italia ai primi posti a livello mondiale per la risposta vaccinale all'emergenza pandemica". Così il generale si è ritrovato una nuova mostrina da aggiungere alla collezione, sempre ostentata sui media, da far invidia al Maresciallo Montgomery. Stesso riconoscimento al generale di divisone Girolamo Petrachi e al maggiore generale Tommaso Petroni, che facevano parte della Struttura commissariale per l'emergenza pandemica. Il maggiore generale Michele Tirico ha avuto lo stesso riconoscimento per aver diretto la task force militare che ha dato manforte ai colleghi del servizio sanitario nazionale "impegnati nelle aree più duramente colpite dalla pandemia". Queste scelte, e relative motivazioni, fatte da Mattarella, sembrano una volta di più ribadire agli occhi dell'opinione pubblica che il Covid era un nemico contro il quale si è combattuto e vinto, anche se con danni collaterali non trascurabili, grazie ad un'arma formidabile, il vaccino. Con tanto di medaglie finali agli "eroici" combattenti. Questa è la versione ufficiale che deve passare alla storia, ma è una versione falsa, e non potrà esserci in futuro una autentica e auspicabile riconciliazione nazionale, e doverosa soprattutto verso le vittime e i familiari dei morti e danneggiati a causa dei vari protocolli e delle scelte strategiche operate, se non emergerà tutta la verità. La commissione di inchiesta non dovrà farsi condizionare dalla passerella svolta al Quirinale, e anche i medagliati dovranno rispondere del loro operato. Infine, c'è un mancato riconoscimento alla memoria che dà molta amarezza e tristezza: quello al professor De Donno, eroe autentico e dimenticato.
Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano nell'articolo seguente dal titolo "Il vaccino ha ucciso, ma nessuno ha "sparato": tutti assolti" parla racconta la storia di Camilla Canepa, morta per il vaccino, come ha riconosciuto il processo, ma incredibilmente lo stesso processo si è concluso con l'assoluzione perché i medici "non sono responsabili". Nessun colpevole, nemmeno il governo, gli enti di controllo e le case farmaceutiche. E vissero tutti felici e contenti, tranne chi è morto e i suoi familiari. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 aprile 2025: Non c'era da illudersi che il processo per la morte di Camilla Canepa avvenuta il 10 giugno 2021 a seguito della vaccinazione anti covid con Astrazeneca, potesse scrivere una nuova pagina di giustizia applicata al dramma dei danneggiati da vaccino. Col proscioglimento da parte del Gip di Genova, perché «il fatto non sussiste», i cinque medici che erano stati indagati vengono assolti, ma non perché non sia stato il vaccino ad uccidere la giovane 18enne inoculatasi nel corso di un open day nella sua città, Sestri Levante, il 25 maggio. Semplicemente non è da imputare a quei medici, che si trovarono ad affrontare le conseguenze della Vitt (la trombocitopenia da vaccino) la morte della giovane. Che è da imputare unicamente al vaccino. Lo si comprenderà meglio con le motivazioni della sentenza che usciranno tra 90 giorni, ma è praticamente certo che il giudice confermerà che ad uccidere la giovane sia stato il vaccino, come del resto la stessa Procura di Genova aveva appurato, ma non è colpa dei medici che l'hanno poi curata, se non è stata riconosciuta in tempo la Vitt. «All'epoca non si sapeva», si dirà facilmente. Che è un altro modo per dire che anche questa volta non è colpa di nessuno. E fa pensare che neppure su questo caso, che pure è stato il più eclatante e mediatizzato, non sia stato concesso dal giudice alcuno spazio di dibattito nell'aula di giustizia. I medici hanno avuto gioco facile, effettivamente, nel difendersi dicendo che all'epoca non c'era nessun protocollo di intervento per una conseguenza simile dopo la vaccinazione. E questo nonostante già dal 9 aprile precedente fosse nota, perché pubblicata sul prestigioso New England Journal of Medicine, la conseguenza post vaccino della trombocitopenia. La Vitt, infatti, era stata scoperta solo pochi mesi prima dall'equipe del professor Andreas Greinacher dell'Università tedesca di Grefswald con uno studio pubblicato il 9 aprile 2021 sul The New England journal of medicine: lo studio dimostrò che la vaccinazione con i vaccini a vettore virale come quello della casa di Oxford poteva provocare rari casi di trombocitopenia trombotica. Ma quasi nessuno ne parlò. Della conferenza stampa del professor Greinacher si parlò a mala pena anche in Italia (uno dei pochi giornali che vi partecipò fu il Fatto Quotidiano) mentre l'approccio degli altri giornali fu di sostanziale rassicurazione. «Il 22 aprile, ad esempio - così scrivevamo nel 2024 -, il Corriere Salute fece un servizio molto documentato per parlare delle trombosi, ma sempre con il noto approccio "da pompiere" che caratterizzava la produzione giornalistica dell'epoca. Si dava conto della ricerca di Greiswald con dovizia di particolari, ma con il controbilanciamento di posizioni come quella del professor Giuseppe Remuzzi volte a rassicurare: studiare e capire, ma le probabilità sono basse, la campagna vaccinale non deve fermarsi». Con queste premesse, a cui si aggiunge la totale assenza di circolari ministeriali o di Asl su quello che la scienza stava scoprendo, è stato inevitabile che i medici non siano stati riconosciuti colpevoli, del resto l'approccio dei medici a seguito delle reazioni avverse gravi da vaccino è sempre stato di sostanziale disinteresse e ostilità: quanti danneggiati hanno raccontato di accessi al pronto soccorso a vuoto, con il ritorno a casa solo con prescrizioni di ansiolitici? A parlare di quegli studi, che evidenziavano criticità, erano pochi e coraggiosi medici e giornalisti, però tenuti confinati nella ridotta ignominiosa del complottismo no vax, mai considerati dai media e dalle istituzioni. Inutile stupirsi adesso che nessuno sapesse, perché è proprio così: nessuno sapeva, ma tutti erano immersi nel rumore di fondo di una narrazione che doveva dire che andava tutto bene e che il vaccino non creava nessun tipo di problema. Chi oggi prova a negarlo mente ed è moralmente responsabile di queste morti, perché anche il silenzio uccide. Ecco perché la tragica vicenda processuale di Camilla, non poteva che avere questo esito più che scontato, che certifica che il vaccino ha ucciso, ma pazienza: nessuno dovrà pagare perché nessuno è responsabile. Del resto, la vicenda Canepa si è conclusa esattamente come la vicenda di Stefano Paternò, il militare di Marina che morì a seguito dello stesso vaccino: il Tribunale di Catania mise nero su bianco in sentenza che la sua morte fu da ricondurre ad una sindrome da distress respiratorio acuto a seguito del vaccino anti covid, ma nessuno per quella morte ha pagato e il caso è stato archiviato. Quella di considerare la morte causa vaccino, ma senza responsabili diretti, infatti, è stata sempre una costante della giurisprudenza italiana, costruita sapientemente con le procedure suggerite dal Massimario della Cassazione, che hanno scoraggiato tutti i giudici dal prendere decisioni coraggiose: ad oggi, infatti, nessun medico vaccinatore ha pagato per una reazione avversa da vaccino causata ad esempio da un'anamnesi insufficiente o errata per il semplice motivo che le anamnesi dei fattori di rischio pre-vaccinazione erano sconosciute e ritenute inutili. Per il semplice motivo che stare a considerare tutti i possibili rischi connessi all'inoculo a seconda dei fattori di rischio di ognuno, avrebbe reso vana la mastodontica campagna vaccinale coatta di massa portata avanti da un apparato militare, che proprio in settimana, è stato premiato da Mattarella con la medaglia d'oro. Come abbiamo scritto nel libro Vaccinocrazia a proposito del caso Paternò, «tutto questo non è stato sufficiente per arrivare alla condanna di un responsabile. E questo era ampiamente previsto. Non lo poteva essere la casa produttrice, che ha potuto dimostrare di aver ottenuto una salvaguardia, da contratto, sulla quale lo Stato si è assunto ogni tipo di responsabilità e non lo possono essere i sanitari vaccinatori perché blindati da uno scudo penale che rappresenta una cornice invalicabile per la ricerca della responsabilità. Quindi non può averla nemmeno lo Stato che scaricando la responsabilità sui poveri cittadini, di fatto ha lasciato a loro l'onere della prova, la vita sul campo e il peso di doverlo dimostrare. Ne consegue che i danneggiati da vaccino – e Camilla era tra questi ndr – firmando la liberatoria all'inoculo estorta attraverso la perversa minaccia della perdita del lavoro e la vita sociale, è stata di fatto la loro condanna a morte (Vaccinocrazia, Cap X "Cercando giustizia", p. 108)». E non potevano esserlo nemmeno i vertici istituzionali, come ad esempio i sindaci e i governatori che organizzavano giulivi le trappole degli open day o come l'allora ministro della Salute Roberto Speranza, vista e considerata la velocità con cui il Tribunale dei ministri ha archiviato la denuncia sul suo conto presentata dal Comitato Ascoltami che riunisce i danneggiati. D'altra parte, come dissero i giudici archiviando la sua posizione, Speranza di fatto eseguiva soltanto gli ordini di Ema, in uno scaricabarile di Stato indegno di un paese civile come dovrebbe essere il nostro. E non poteva esserlo neppure l'Aifa, il cui direttore generale Nicola Magrini è ancora formalmente indagato per la stessa vicenda dalla procura di Roma, ma il fascicolo giace stranamente da più di un anno e mezzo sulla scrivania del procuratore capo. Così come non potevano esserlo Ema e le istituzioni europee, perché in fondo, se nemmeno la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen non ha avuto particolari conseguenze negative dalla vicenda dei contratti siglati via sms con Big Pharma, è impossibile andare a individuare un colpevole. Tutti assolti, dunque, i medici, le istituzioni, gli organi di controllo e farmacovigilanza, le case produttrici dei vaccini. Ecco servito il primo caso in cui la Giustizia italiana individua le cause della morte, ma rinuncia a scoprire chi l'ha favorita. Tutti assolti, anche se l'assassino è chiaramente indicato nella stanza: è il vaccino, che in questa vicenda assume sempre più le fattezze di una pistola. Solo che, a differenza dei romanzi gialli, nessun giudice ha avuto il coraggio di voler scoprire chi ha premuto il grilletto.
CURÒ IL COVID, ASSOLTO DOPO LA DELAZIONE DEL COLLEGA Andrea Zambrano nell'articolo seguente dal titolo "Curò il Covid, assolto dopo la delazione del collega" racconta l'assurda storia di Fabio Milani, medico bolognese che curò una famiglia con polmonite da Covid abbandonata dal curante a Tachipirina e vigile attesa: segnalato dal collega all'Ordine per non essersi vaccinato ha subito un processo per esercizio abusivo della professione. Oggi è stato assolto e alla Bussola dice: «Cinque anni durissimi». Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'11 marzo 2025: Ha subito un processo per esercizio abusivo della professione medica perché un collega delatore lo aveva segnalato all'Ordine in quanto non vaccinato. Ora, dopo tre anni, il dottor Fabio Milani può finalmente cantare vittoria. Il 20 gennaio scorso il giudice della seconda sezione penale di Bologna Stefano Levoni lo ha assolto dall'accusa di esercizio abusivo della professione medica (articolo 348 cp) ristabilendo così la sua onorabilità professionale, che in tempo di Covid sopperiva alle assenze degli altri colleghi medici. Come quella del collega di Bologna, che lo fece denunciare per esercizio abusivo della professione mentre Milani stava visitando proprio i pazienti che quello non voleva andare a curare. «Una vicenda drammatica ed emblematica della situazione, che molti medici hanno vissuto», commenta oggi il suo legale alla Bussola, l'avvocato Riccardo Luzi di Cesena che lo ha seguito in questa vicenda kafkiana. E paradigmatica, perché in un colpo solo condensa tutte le storture subite in pandemia: l'abbandono terapeutico a base di Tachipirina & vigile attesa, la sospensione dei medici non vaccinati e la delazione dei colleghi. Una storia che merita di essere raccontata fin dall'inizio. Il dottor Fabio Milani è uno stimato medico del bolognese che durante il Covid ha curato non solo i suoi pazienti, ma anche quelli degli altri medici che si rifiutavano di andare a casa a visitarli, forti della raccomandazione Tachipirina & vigile attesa delle circolari ministeriali, che oggi si cerca di nascondere o negare. Con l'introduzione del Dl 44/2021, Milani decide di non sottoporsi alla vaccinazione e per questo nel luglio 2021 riceve una segnalazione dalla sua Asl che lo sospende da tutte quelle attività inerenti il rischio di diffusione del Sars-Cov 2. Una definizione piuttosto generica e non vincolante sulla quale torneremo nell'analisi del suo caso in tribunale. Il 16 dicembre di quello stesso anno, Milani viene contattato da una donna di Bologna che sta male. Anche il marito e la figlia hanno gli stessi sintomi da Covid e necessitano di un medico. Il loro curante, però, per ben due volte si rifiuta di andare a casa a visitarli. «Io a casa loro non ci metterò mai piede», avrebbe detto il medico di medicina generale secondo il verbale di accertamento dei Nas, mentre il dispositivo del giudice così recita: «Per tale ragione aveva contattato il proprio medico curante, il quale le aveva detto di prendere della Tachipirina e di vedere l'evolversi della malattia, nonostante gli fosse stata rappresentata la gravità della condizione clinica della stessa e del marito». A quel punto entra in campo Milani, contattato grazie ai suggerimenti di alcuni conoscenti tramite il passaparola. Ricordate? In quei giorni si cercavano disperatamente medici disponibili a curare mentre i titolari di quei pazienti si facevano di nebbia e su questa vergogna sanitaria non si indagherà mai abbastanza da parte della Commissione bicamerale Covid. Milani si reca a casa della famiglia riscontrando in tutti i tre componenti una polmonite in atto. Prescrive farmaci, tra cui il Rocefin (un antibiotico) e il Medrol (un cortisonico). È il 16 dicembre, padre, madre e figlia ringraziano e iniziano le cure. Dopo qualche giorno, terminata la prima scatola di antibiotici, la donna richiama il medico di medicina generale, lo aggiorna sulle loro condizioni e gli chiede una nuova ricetta per quei farmaci necessari per proseguire le cure. Ma a quel punto accade l'inverosimile: il curante, saputo della visita di Milani a casa dei suoi assistiti indaga su di lui e scopre che il medico è destinatario di una segnalazione dell'Asl che lo sospende (anche se tecnicamente è un termine improprio) dalle attività di cura. In realtà, Milani non era stato ancora sospeso dall'Ordine dei medici di appartenenza, pertanto, non aveva alcuna limitazione prescrittiva e di cura. Ma il collega pensa di segnalarlo comunque all'Ordine. Parte così il procedimento penale per esercizio abusivo della professione medica, che vedrà Milani imputato per diversi anni in un processo che non sarebbe dovuto nemmeno iniziare: «Anzi, invece di indagare quel medico per omissione di soccorso e omissione d'atti d'ufficio, sono venuti da me che sono stato l'unico che ha curato quelle persone», ha detto Milani alla Bussola aggiungendo che durante le udienze, anche la famiglia curata da lui, si è precipitata in tribunale per testimoniare a suo favore. Una volta iniziato il processo, anche il Pm si convince dell'estraneità dei fatti di Milani e aderendo alla memoria del legale ne chiede l'assoluzione, che arriva il 20 gennaio scorso: «P.Q.M - così recitano le formule - assolve Milani Fabio dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste», come si può leggere nel dispositivo reso noto in questi giorni. «In punta di diritto, la mossa vincente - spiega l'avvocato Luzi - è stato aver eccepito che il 16 dicembre 2021, il mio assistito non era affatto sospeso dall'esercizio della professione medica. Fino al 31 dicembre 2021, infatti, per l'applicazione della legge 44/2021 (quella che regolamentava l'obbligo vaccinale dei sanitari ndr.) era in vigore un regime di sospensione comminato dalle Asl, ma che non inibiva l'esercizio della professione. Successivamente, col Dl 172/2022 si è dato un giro di vite, chiamando in causa direttamente gli ordini professionali anche per altre professioni. Quindi Milani a quella data non era sospeso, cosa che invece accadde solo successivamente». Il giudice gli ha dato ragione. E oggi il dottore può tirare un sospiro di sollievo: «Ha fatto bene il suo lavoro e invece di sentirsi dire "grazie" si è trovato in questa situazione drammatica», ha concluso Luzi. Mentre Milani così ha aggiunto: «È stato pesante, sono stati cinque anni di lotta, ma rifarei tutto perché ho testimoniato che il nostro dovere di medici è quello di curare, cosa che durante la pandemia purtroppo non è sempre avvenuta».
DOSSIER "CORONAVIRUS" Sì alla prudenza, no al panico Per vedere articoli e video, clicca qui!
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 9 aprile 2025
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OGGI A SCUOLA MI HANNO SPIEGATO COME CAMBIARE SESSO
I manifesti di Pro Vita & Famiglia e la reazione furiosa di Roma Capitale e delle lobby Lgbtq+ che applicano una dura censura
Fonte Provita & Famiglia, 13 aprile 2025
"Oggi a scuola un attivista Lgbt ha spiegato come cambiare sesso - Giulio, 13 anni". "Oggi a scuola ci hanno letto una favola in cui la principessa era un uomo - Anna, 8 anni". "La mia scuola ha permesso anche ai maschi di usare i bagni delle femmine - Matilde, 16 anni". Sono questi i messaggi, accompagnati dai volti di bambini e adolescenti con uno zaino scolastico sulle spalle, che campeggiano sui manifesti della nuova campagna nazionale di affissioni lanciata lo scorso 7 aprile da Pro Vita & Famiglia onlus per chiedere una legge che impedisca lo svolgimento di qualsiasi progetto sulla fluidità di genere in aula, il consenso informato preventivo dei genitori su ogni attività sensibile, la possibilità per le famiglie di poter esonerare i propri figli dai corsi gender è infine lo Stop agli attivisti LGBTQ+ nelle scuole. Si tratta di oltre 50 affissioni in tutta Roma - e che nelle prossime settimane toccheranno le altre principali città italiane - ma che hanno in pochissime ore scatenato un polverone mediatico oltre che una vera e propria reazione violenta e censoria, quasi da dittatura, da parte tanto del Comune di Roma Capitale quanto dal mondo Lgbt. Vi spieghiamo perché sono tutte accuse infondate e perché i nostri manifesti sono tutt'altro che illegali.
LA CENSURA DI ROMA CAPITALE Non sono durati neanche 24 ore, infatti, i nostri manifesti, che subito è arrivata la richiesta di rimozione da parte dell'amministrazione di Roma Capitale, tra l'altro con motivazioni assurde, false e ideologiche, volte solo a screditare e gettare fango sulla buona fede del messaggio delle affissioni. Il Comune, infatti, ha chiesto alle ditte concessionarie di rimuoverli in tutta la città poiché "segnati da stereotipi nella rappresentazione della comunità Lgbtqai+, rappresentata come minaccia e dannosa per lo sviluppo dei bambini e dell'infanzia". La Campagna di affissioni infatti, sarebbe - secondo l'amministrazione - offensiva "delle declinazioni di identità sessuale diverse da quella tradizionale" e contraria «alle politiche di genere portate avanti da Roma Capitale". E' palese che siano tutti patetici pretesti per giustificare l'ennesima e vergognosa censura a opera di uno squadrismo Lgbt ormai istituzionalizzato, in piena violazione del diritto costituzionale alla libertà di espressione contro cui ovviamente Pro Vita & Famiglia farà ricorso in Tribunale, come ha già annunciato Jacopo Coghe, portavoce dell'associazione. Non si deve infatti dimenticare che l'ideologizzazione di Roma, a chiare tinte arcobaleno, è ormai cosa nota e radicati da anni, fin da quando l'attuale amministrazione guidata dal sindaco Roberto Gualtieri a creato un apposito Ufficio per i diritti Lgbtiqia+ e ci ha messo a capo Marilena Grassadonia, già in passato presidente di "Famiglie Arcobaleno".
GLI ATTI VANDALICI Come se non bastasse la già vergognosa censura del Comune, sempre nel giro di meno di 24 ore su molti dei manifesti di Pro Vita & Famiglia si è abbattuta l'altra mannaia a cui l'associazione è ormai - ahinoi - abituata da anni, ovvero quella della violenza vandalica. Le affissioni, infatti, sono state danneggiate e strappate da parte di ignoti. Il solito modus operandi che agisce su due binari, quello istituzionale e quello "da strada", ma che converge nell'unico obiettivo di chi la pensa diversamente: quello di tappare la bocca e non far circolare la libera manifestazione del pensiero altrui, in barba al dettato Costituzionale. Ma la vergogna censoria non finisce qui. A dar man forte a Comune e vandali, ci ha infatti pensato il mondo Lgbtqia+, che è insorto contro i manifesti di Pro Vita & Famiglia, chiedendo apertamente la rimozione, auspicandola e parlando - anche qui, in modo del tutto falso e lontanissimo dalla verità - di illegalità o inappropriatezza delle affissioni. Per esempio Arcigay Roma, che ha dichiarato che «le affissioni che tappezzano Roma veicolano messaggi lesivi della dignità delle persone Lgbtqia+, promuovendo stereotipi dannosi e alimentando un clima di discriminazione e intolleranza» e chiedendo apertamente al Comune «di rimuovere i manifesti per il loro contenuto discriminatorio e lesivo dei diritti individuali». A fare da eco +Europa che falsifica la realtà e attacca la buona fede dell'associazione parlando di «manifesti manipolatori» e di voler «generare paura e odio». Inoltre sempre +Europa propina fake news quando afferma che «nessuno obbliga» nelle scuole «le bambine a immaginarsi principi invece che principesse» poiché purtroppo ci sono decine se non centinaia di prove di progetti e iniziative gender nelle scuole italiano di ogni ordine e grado che vanno proprio in questa direzione. A inserirsi in questo mare magnum di polemica e falsità, anche la nota attivista arcobaleno e avvocato Cathy La Torre, che ha addirittura chiamato i suoi follower a una «rivolta civile» e a denunciare ogni qual volta si vede per strada uno dei nostri manifesti. Secondo La Torre, infatti, la legittima Campagna "Mio Figlio No" di Pro Vita & Famiglia non è espressione di un'opinione o di una libertà, ma è addirittura «propaganda illegale, discriminatoria, lesiva dei diritti».
PERCHÉ I NOSTRI MANIFESTI SONO LEGALI Niente di più falso. Innanzitutto, infatti, le affissioni della onlus non sono né discriminatori né lesivi di alcun diritto altrui, poiché portano avanti una legittima campagna per tutelare la libertà educativa dei genitori, il consenso informato preventivo e non attaccano nessuna persona né alcuna categoria. E non sono nemmeno illegali. Ecco perché. L'amministrazione Gualtieri, nella richiesta di rimozione, cita l'art. 12 bis del Regolamento comunale e l'art. 23 c. 4 bis del Codice della Strada per definire le affissioni: "lesive della libertà di orientamento sessuale e identità di genere"/"segnate da stereotipi contro la comunità Lgbtqai+"/"contrarie alle politiche di genere di Roma Capitale". Il punto è che sia il Regolamento che il Codice riguardano solo pubblicità commerciali e non le campagne sociali come quelle di Pro Vita & Famiglia. Inoltre l'art. 23 c. 4 bis è inapplicabile poiché mancano del tutto i decreti attuativi. Come se non bastasse, il Comune non può censurare opinioni "contrarie alle politiche" che promuove perché è palesemente una roba da regime. L'unico atto illegale, quindi, è la censura del Comune di Roma, poiché va contro l'Art. 21 della Costituzione Italiana che recita: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione". La Consigliera regionale del Lazio Chiara Iannarelli, esponente di FdI, è intervenuta per esprimere solidarietà nei confronti di Pro Vita & Famiglia onlus. L'attuale vicepresidente della Commissione Lavoro, Formazione, Politiche Giovanili, Pari Opportunità, Istruzione e Diritto allo Studio ha dichiarato che «viviamo in un mondo alla rovescia, dove manifesti che si oppongono all'imposizione di contenuti legati all'ideologia Lgbtia+ nelle scuole vengono censurati come accade nei regimi totalitari. È assurdo che la stessa amministrazione che nega il consenso informato ai genitori promuova corsi obbligatori fin dagli asili, spesso condotti da attivisti, per "decostruire gli stereotipi di genere", distruggendo così punti di riferimento fondamentali per lo sviluppo dei bambini. Da anni - ha aggiunto Iannarelli - si diffonde nelle scuole la teoria della fluidità di genere e del transessualismo, ignorando i gravi rischi legati all'uso di bloccanti della pubertà, già ampiamente criticati dalla comunità scientifica. Ma tutto ciò, per il Comune di Roma, è considerato normale, perché perfettamente coerente con la propria visione ideologica», ha concluso.
Fonte: Provita & Famiglia, 13 aprile 2025
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SANTA MARIA MADDALENA DE' PAZZI: IN PARADISO NON SI VA IN CARROZZA
Gesù le chiese penitenze al limite della sopportazione, le mise una corona di spine e le fece vivere l'esperienza dell'inferno con risate sguaiate, grida, bestemmie e diavoli che la picchiavano per spingerla al suicidio
Autore: Don Stefano Bimbi - Fonte: La Bussola Mensile, febbraio 2025
Come mai facciamo tanta fatica ad accettare la vita cristiana per quello che è: una via crucis che ha come obiettivo la risurrezione? Santa Maria Maddalena de' Pazzi (1566-1607), al secolo Caterina, nacque a Firenze in una nobile famiglia. Fin dall'infanzia, Caterina dimostrò una profonda inclinazione spirituale e una sensibilità straordinaria verso la preghiera e la contemplazione. All'età di nove anni faceva veglie e digiuni impensabili per una bambina. Trascorreva ore in adorazione del Santissimo Sacramento ed aveva visioni celesti. Subito dopo la prima comunione fece voto di verginità. A 16 anni entrò nel monastero delle Carmelitane Scalze di Santa Maria degli Angeli a Firenze, assumendo il nome di Maria Maddalena. Qui si dedicò a un'esistenza di preghiera, penitenza e servizio. La sua vita fu caratterizzata da intensi fenomeni mistici con cui Dio la preparava a soffrire per riparare l'ingratitudine degli uomini verso Gesù. A diciannove anni, iniziò il suo Calvario. Il Signore le chiese di cibarsi di solo pane, di dormire solo cinque ore, di indossare la veste più povera possibile e fare a meno di scarpe e calze. In una apparizione Gesù le mise sulla testa una corona di spine che le provocò un continuo mal di testa che aumentava ogni venerdì, giorno in cui si ricorda la passione e morte di nostro Signore. Una volta rimase quaranta ore in estasi e sperimentò la presenza di Maria al sepolcro potendo tenere tra le braccia il corpo esanime di Gesù.
L'INFERNO Dal 1585 visse l'esperienza dell'inferno per cinque anni: udiva risate sguaiate, grida e bestemmie. Aveva visioni di diavoli che le causavano una grande tristezza. Un demonio la picchiava per diverse notti e la faceva cadere spesso dalle scale. Cercava la protezione di Dio, ma ne era allontanata da una forza sovrumana. Anche la vita religiosa le era diventata noiosa e per questo sentiva la spinta ad uscire dal monastero. Tutto sembrava inutile ed ebbe la tentazione di uccidersi con un coltello. La salvò all'ultimo momento il pensiero della Madonna che veniva spesso a trovarla per darle il coraggio di affrontare queste tremende prove. Per questo Maria Maddalena riusciva con pazienza a sopportare tutto. Nel 1590 fu finalmente liberata dalle persecuzioni diaboliche. Come premio Dio le dette la speciale grazia di vedere sempre Gesù al suo fianco. Grazie al suo esempio di vita riuscì a convincere tutte le consorelle del monastero a riformarlo per mirare solo alla gloria di Dio e a offrirsi eroicamente a Lui e ad amarsi le une le altre accettando qualunque sofferenza e umiliazione. La vita del monastero tornò ad essere austera come aveva insegnato santa Teresa d'Avila per la riforma dell'Ordine carmelitano. Un giorno una voce le disse che le restavano pochi anni da vivere. Sapendo che in Paradiso non si soffre più, con il permesso della superiora, chiese ancora sofferenza a Gesù, come se fosse poco quello che aveva vissuto. Gesù accettò la sua richiesta. Da allora la sua anima sperimentò l'aridità e fino alla morte fu bloccata a letto provando enormi dolori fisici. Diceva spesso: "La mia anima non è capace che della sofferenza". Morì il 25 maggio 1607, a soli 41 anni, lasciando un'eredità spirituale di rara profondità. Fu canonizzata nel 1669 da Papa Clemente IX, diventando testimone della spiritualità carmelitana e della devozione mistica. Le sue lettere e scritti riflettono un'intensa intimità con Dio e un amore ardente per l'umanità. È venerata come patrona delle malattie mentali e invocata per la guarigione spirituale.
IN PARADISO NON SI VA IN CARROZZA La vita di Santa Maria Maddalena de' Pazzi non può lasciarci indifferenti e suscita delle domande importanti riguardanti la nostra fede. Per noi con il telefonino in mano è difficile accettare così tanto dolore. Ci sembra una prova tanto grande e può sembrare strano che Dio la permetta in una creatura che Egli ama. Però, a pensarci bene, lei è una santa e quindi se le nostre idee sul dolore e su Dio contrastano con la sua vita, forse dobbiamo cambiare noi le nostre idee. Non si può cambiare il fatto che la sua vita è questa e che è stata proclamata santa dalla Chiesa. Con un po' di sforzo, dobbiamo abbandonare l'idea che in paradiso ci si vada in carrozza, che Dio perdoni sempre e che ci chieda soltanto di andare alla Messa, di dire qualche preghiera e di mandare i figli a catechismo. Certo sono cose buone, ma non bastano per essere cristiani. Gesù dice chiaramente nel vangelo: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23). Evidentemente per seguire Gesù dobbiamo rinnegare noi stessi e quindi non puntare a "realizzare noi stessi", ma abbandonare la nostra realizzazione come scopo di vita e rinunciare alle comodità, alla vita agiata, a soddisfare ogni nostro desiderio. Del resto tutti i santi ci insegnano che sono diventati tali con forti privazioni e scelte radicali. Ma anche rinunciare a noi stessi non è sufficiente. Prendere la croce ogni giorno è necessario e comporta grandi sacrifici. Del resto se vogliamo seguire Gesù non possiamo non seguirlo nella via della croce. Se poi ci chiediamo come Dio padre possa aver permesso le grandi sofferenze di Maria Maddalena de' Pazzi, beh allora dobbiamo prima chiederci come ha potuto permettere che suo figlio morisse in croce tra atroci sofferenze come sono state ben rappresentate nel film della Passione di Mel Gibson. E poi la sofferenza di Maria in vedere così straziato il figlio? Flagellato, crocifisso e morto. Beh anche la Madonna ha sofferto tantissimo.
ACCETTAZIONE DELLA SOFFERENZA Insomma la vita cristiana è tutto questo. E se uno dicesse «se è così, non voglio essere cristiano perché non voglio soffrire tanto», la cosa sarebbe curiosa in quanto anche i non cristiani soffrono. La differenza è che il cristiano sa perché soffre - per avere il paradiso - ed ha accanto a sé Gesù e la Madonna che lo confortano. Invece il non cristiano soffre, ma non sa il perché e non ha a chi rivolgersi... se non allo Stato per chiedere l’eutanasia. Insomma la vita cristiana non è una roba per stomaci delicati, una minestrina riscaldata che non sa di nulla. Il cristianesimo è fatto per uomini (e donne, ovviamente) veri e forti. E la forza non ci viene dalla nostra buona volontà, ma dall'aiuto che Gesù ci da facendoci partecipare al suo sacrificio. In fondo la Santa Messa è proprio questo: partecipare al sacrificio di Cristo che viene attualizzato nella consacrazione del pane e del vino. Lo dice anche il sacerdote prima della consacrazione: «il mio e il vostro sacrificio sia gradito a Dio padre onnipotente». Non è riferito al sacrificio di andare alla Messa, ma il sacrificio della nostra vita unito al sacrificio di Cristo sulla croce. Questo è il cristianesimo di cui ci parlano i santi. Santa Maria Maddalena è un fulgido esempio di accettazione della sofferenza per amore di Cristo. Del resto l'amore può esprimersi solo con la sofferenza per l'amato. Santa Gianna Beretta Molla che ha sacrificato la sua vita per partorire la quarta figlia (rimandando le cure per non far morire la figlia nel suo grembo) diceva: «Se amare non ci costa nulla, significa che non si ama veramente». Del resto ogni mamma che partorisce il figlio soffre per il parto, ma siccome sa perché soffre, accetta la sofferenza per amore del figlio. Insomma non c'è amore se non c'è sofferenza. Santa Maria Maddalena è un fulgido esempio di accettazione della sofferenza per amore di Cristo. Se è difficile per noi accettarlo, chiediamo a Dio la forza. Il Signore vincerà la resistenza che facciamo ad accettare l'amore come legge suprema della nostra vita.
Fonte: La Bussola Mensile, febbraio 2025
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RE MENTONE DEI FRATELLI GRIMM FA CAPIRE CHE NON PUOI RIFUGIARTI NEL TUO MONDO, PERCHE' IL MONDO E' UNO SOLO
Per Tolkien la fantasia è passione per il vero e per il reale, una chiave di lettura che può evidenziare il miracolo che rende la realtà un codice con cui cogliere la presenza continua di Dio
Fonte I tre sentieri, 10 aprile 2025
Il cattolico Tolkien, famoso autore della trilogia de Il Signore degli anelli, scrive nel suo Le fiabe: "Il compositore della fiaba si dimostra un sub-creatore riuscito. Egli costruisce un Mondo Secondario in cui la nostra mente può introdursi. In esso, ciò che egli riferisce è vero: in quanto in accordo con le leggi del mondo". Tolkien ha ragione. La fantasia non è surrealismo. Questo nasce dalla pretesa folle di riscrivere il reale, rifiutandone le sue costitutive leggi. La fantasia, invece, è passione per il vero e per il reale. È una passione di tale portata che arriva ad offrire di questo vero e di questa realtà una chiave di lettura che possa meglio evidenziarne il mistero. Quale mistero? Il miracolo che rende la realtà un codice con cui cogliere la presenza continua di Dio e la bellezza della sua Verità. Ecco dunque che si può fare apologetica anche attraverso le fiabe.
RE MENTONE (FRATELLI GRIMM) C'era una volta un Re che aveva una figlia immensamente bella, ma allo stesso tempo così superba ed arrogante che nessun pretendente le andava bene. Prima li sbeffeggiava, infine li scartava miseramente. Una volta il Re diede una grande festa alla quale furono invitati pretendenti da ogni dove. Li fece mettere tutti in fila, e in ordine di rango: prima i sovrani, poi i granduchi, dopo i principi, poi i conti, poi i baroni, infine gli aristocratici; uno per uno, furono presentati alla principessa, ma ella trovò in ognuno di loro qualcosa da obiettare. Qualcuno era troppo grasso: "Assomiglia tanto a una botticella" disse; un altro era troppo alto: "alto e smilzo, sembra un manico di scopa". Naturalmente, il terzo era troppo basso: "basso come un tappo e pure tracagnotto". Il quarto era per lei troppo pallido: "smunto come la morte". Il quinto era troppo rosso: "gallo da primo premio." Mentre il sesto era addirittura troppo poco dritto: "Legna verde fa fumo nel camino". E così via; furono ridicolizzati e bocciati tutti senza appello, in modo particolare un giovane e buon re che si trovava in prima fila, il cui mento era leggermente sporgente. "Ma guardatelo!" esclamò, ridendo, "ha un mento che sembra il becco di un tordo!". E da quel momento lo battezzò «Re Mentone». A quel punto, il vecchio Re, stufo di vedere la figlia che non faceva altro che schernire la gente e offendere tutti i pretendenti alla sua mano, andò su tutte le furie e le giurò che il primo straccione che avesse varcato la soglia del palazzo, l'avrebbe avuta in moglie. Qualche giorno dopo giunse sotto le finestre del palazzo un suonatore ambulante venuto da chissà dove per guadagnare qualche soldo. Il Re se ne accorse e lo fece salire, e così, il vecchio cantore, vestito di stracci lerci e consunti, fu ammesso a cantare per il Re e la Principessa; a fine esibizione domandò una piccola offerta, e il Re, disse: "La tua canzone mi è piaciuta tanto, che voglio concederti la mano di mia figlia". A quelle parole la principessa inorridì, ma il Re disse: "Ho giurato che ti avrei fatta sposare al primo mendicante che si fosse presentato, e intendo mantenere la parola". La fanciulla protestò, ma inutilmente: il Re convocò immediatamente un sacerdote ed ella fu unita in matrimonio al menestrello in seduta stante. Ma non basta: appena le nozze furono celebrate, il Re disse: "Non sta bene che la moglie di un mendicante soggiorni nel mio palazzo. Ti invito, quindi, ad andartene via subito con tuo marito". Il mendicante prese sua moglie per mano, ed ella dovette andar via con lui, a piedi; arrivarono a una grande foresta, ed ella chiese al marito: "A chi appartiene questo bel bosco?". "è di Re Mentone. Se l'avessi sposato, oggi tutto questo sarebbe tuo." "Oh, me misera! Se solo avessi accettato di sposare Re Mentone..." Dopo un po', attraversarono una prateria, ed ella chiese ancora: "Di chi è questa bella e verde prateria?" "Appartiene a Re Mentone. Se tu l'avessi accettato come marito, oggi sarebbe tua". "Oh, me misera! Se solo avessi accettato di sposare Re Mentone..." "Senti, non mi va che tu stia sempre a lagnarti che hai sposato me e non un altro" disse il menestrello, "non ti vado bene, io?". Finalmente giunsero a una misera capanna, e la moglie chiese al marito: "Oh, buon Dio... com'è minuscola questa casa... a chi appartiene questo misero tugurio?" Il vecchio rispose: "A me. Questa è casa mia, e da oggi è anche la tua. Ci vivremo insieme." Tanto era basso l'ingresso, che la ragazza dovette chinarsi per entrare. "Dov'è la servitù?" chiese al marito. "Quale servitù?" rispose il mendicante, "d'ora in poi dovrai arrangiarti da sola. Su, forza, adesso: accendi subito il fuoco e metti a bollire dell'acqua, e preparami qualcosa da mangiare, che sono molto stanco." Ma la principessa non ne sapeva nulla di come si accende un fuoco e di come si cucina, e quindi il mendicante dovette aiutarla a fare tutto, poiché lei non sapeva fare niente. Quando ebbero finito di consumare il loro misero pasto se ne andarono a letto, e la mattina dopo la fece alzare di buon'ora per fare i mestieri di casa. Per alcuni giorni, i due poterono tiare avanti così, come potevano, ma ben presto esaurirono le poche provviste. Il vecchio mendicante disse allora alla moglie: "Moglie, se vogliamo continuare a mangiare e a bere, dobbiamo guadagnare dei soldi. Da oggi intreccerai dei cesti." E andò fuori a tagliare dei salici, e li portò in casa; cominciò allora ad intrecciare, mai giunchi duri le rovinavano le mani delicate. "Vedo che non fa per te" disse il menestrello. "Forse è meglio che provi a filare: magari ti riesce meglio." La fanciulla sedette all'arcolaio e cominciò a filare, ma il filo duro e grezzo le tagliava le dita delicate fino a fargliele sanguinare. "Povero me! Sei proprio una buona a nulla! Non ho fatto un grande affare con te. Proverò ad intraprendere un commercio di vasi di terracotta. Tu dovrai solo portarli al mercato e venderli." Ed ella pensò, ' Oh, me misera! Se dovessero vedermi i servi di mio padre, si prenderebbero gioco di me.. una principessa che vende terraglia all'angolo di una strada!" Protestò, invano, e alla fine dovette fare come il marito ordinava, se non voleva morir di fame. All'inizio andò tutto bene; la gente comprava volentieri da lei perché era una bella donna, e pagava senza lamentarsi: c'era persino chi le regalava il denaro senza portarsi via la merce, e con il ricavato di quelle vendite tirarono a campare, fino a quando i soldi finirono, e il marito dovette acquistare altra terracotta; la principessa si mise all'angolo del mercato ed espose la merce, ma improvvisamente un ussaro ubriaco galoppò proprio in mezzo alle terraglie, frantumandole in mille pezzi. La poveretta si mise a piangere, e si disperò tanto che non sapeva più che cosa fare. "Oh, buon Dio! Che ne sarà di me? Che cosa dirà, adesso, mio marito?" Corse a casa a raccontargli la disgrazia. "Chi è così sciocco da piazzarsi sull'angolo della strada con tutta la merce?" disse il marito. "È palese che non sei capace di lavorare, comunque, adesso smettila di piangere e ascoltami: oggi sono capitato per caso al palazzo del re, e ho chiesto se per caso avessero bisogno di una lavapiatti; mi hanno promesso di prenderti: in cambio avrai vitto gratuito." Così, la figlia del re diventò una sguattera; dovette dare una mano a cucinare e da quel momento tutti i lavori più pesanti toccarono a lei. S'allacciò una brocchetta alle tasche, e lì nascondeva gli avanzi di cibo da portare a casa, e vissero di quello. Accadde poi un giorno che furono annunciate le nozze del figlio minore del re, e la poveretta andò a sbirciare attraverso la porta del salone. Quando furono accese tutte le luci e vide la sala addobbata in pompa magna per l'avvenimento, nel vedere sfilare una ad una donne bellissime, vestite da gran dame, pensò allora alla sua scarna condizione con il cuore gonfio di tristezza, e in quel mentre maledì l'orgoglio e la boria che l'avevano condannata a tanta miseria. Un odorino prelibato usciva dalle pietanze luculliane che passavano in rassegna, stuzzicando le sue narici; di tanto in tanto qualche cameriere le lanciava un boccone, che prontamente acchiappava per infilarlo nella brocchetta per portarselo a casa. Improvvisamente il promesso sposo varcò la soglia, indossando abiti eleganti di seta e velluto, portando al collo tante catenine d'oro; quando vide quella bella donna che stava ferma davanti alla porta, la prese per mano e la invitò a ballare, ma ella rifiutò, spaventata, poiché vide che era Re Mentone, il pretendente che aveva respinto e deriso. Cercò di divincolarsi, ma lui la spinse nel salone, ed ecco che la cintura che le teneva allacciata la brocca alla vita, si slacciò, finendo per rovesciarsi in terra con tutto il suo contenuto: la minestra colava e gli avanzi si sparsero dappertutto. A quella scena, gli ospiti risero e si presero gioco di lei, e lei si sentì sprofondare dalla vergogna. Con un balzo raggiunse la porta, decisa a fuggire, ma un uomo l'afferrò per un braccio e la ricondusse nella sala, e quand'ella volse lo sguardo vide che era ancora Re Mentone, che le disse affettuosamente: "Non avere paura. Sono io il povero menestrello che ha vissuto con te nella miserabile capanna nel bosco. Mi sono travestito per amor tuo, e fui ancora io l'ussaro che quel giorno ti distrusse tutti i vasi di terracotta. Ho fatto tutto questo per domare il tuo orgoglio e per punirti dell'arroganza con la quale mi avevi trattato." La principessa pianse amaramente e disse: "Ho agito malissimo, non merito di diventare vostra moglie." Ma lui disse: "Rasserenati, quel tempo è finito, e adesso celebreranno il nostro matrimonio." Entrarono due damigelle e vestirono la principessa sontuosamente; poi, venne anche suo padre, e tutta la corte augurò ogni bene alla coppia, ed ella divenne la sposa di Re Mentone, e da quel momento la loro felicità fu completa.
LA PROVVIDENZA CI FA CAPIRE CHE IL MONDO È UNO SOLO! Nella vita di san Luigi IX, Re di Francia, si legge che egli spesso si recasse all'ospizio degli ammalati per curare personalmente i più disgraziati. Arrivava perfino ad imboccare coloro ch'erano presi da maggior patimento e non erano, come oggi si dice, "autosufficienti". Eppure stiamo parlando di un Re, e non di un Re di un regno qualunque, ma della Francia, che allora era la nazione più importante. Anche gli storici di estrazione più laica hanno dovuto ammettere che la Francia non ha mai funzionato così bene come sotto il regno di Luigi IX. Un re che trascorreva tanto tempo a pregare i cappella e che assisteva gli ammalati. Il Cristianesimo riconosce il valore dell'aristocrazia, perché questa deve essere segno di sacrificio e di servizio, e quindi deve essere anche modello visibile del fatto che la vita debba essere "spesa" per l'ideale. D'altronde molti aristocratici erano di origini umilissimi, avendo poi ricevuto titoli per essersi distinti per atti a favore della comunità Si pensi a Giovanna d'Arco. Ella era una semplice guardiana di oche, ma, per quello che fece, ottenne un titolo nobiliare. Il vero nobile, pur dovendosi distinguere formalmente (perché la forma è anche sostanza) rispetto agli altri, pur dovendo essere riverito e riconosciuto, non solo deve conoscere la vita, ma deve anche "chinarsi" sulla vita stessa. Chinarsi sulle ferite dei più sfortunati. Chinarsi sui problemi dei più disagiati. Chinarsi per sanare le ingiustizie più manifeste. Come un vero padre! La superba principessa della fiaba non aveva capito nulla della nobiltà. Pensava che tutto dovesse essere autoreferenziale. Che esistesse solo lei. Che a servire dovessero essere gli altri e non lei. Ma la Provvidenza le fa una grazia (perché di grazia si tratta): la costringe a vivere ciò che ella non aveva mai voluto prendere in considerazione, da cui si era volutamente distratta: la povertà e la sofferenza. Ella pensava che potessero esistere due mondi che non si sarebbero mai dovuti incontrare: di godimento spensierato e di sofferenza affannosa. La Provvidenza le fa una grazia per farle capire che il mondo è uno solo: cioè che a tutti spetta il sacrificio. Spetta a chi soffre, ma anche a chi deve rimboccarsi le maniche per sanare la sofferenza.
Fonte: I tre sentieri, 10 aprile 2025
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L'EDUCAZIONE SPETTA ALLE FAMIGLIE: TRUMP VUOLE ABOLIRE IL DIPARTIMENTO
Con l'ultimo rivoluzionario ordine esecutivo il presidente cerca di togliere al governo centrale l'indottrinamento nelle scuole (ma Democratici e sindacati faranno guerra)
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 21 marzo 2025
Con un altro ordine esecutivo che farà discutere molto, il presidente americano Donald Trump ha dato disposizioni per lo smantellamento del Dipartimento dell'Educazione. Non si tratta di un procedimento facile, occorrerà un voto al Congresso a maggioranza qualificata per abolire il Dipartimento federale e, con la maggioranza risicata di cui dispongono i Repubblicani i numeri non ci sono, a meno di non convincere qualche Democratico a disertare. Ma sarà sempre possibile ridurre il Dipartimento ai minimi termini. E il principio, intanto, è passato: l'istruzione non è compito del governo federale, ma delle famiglie, prima di tutto, e in via sussidiaria delle istituzioni che rappresentano le comunità locali fino, al massimo, al livello dello Stato. Prima di tutto è bene distinguere il Dipartimento dell'Educazione degli Usa dal nostro Ministero dell'Istruzione. Il primo non gestisce direttamente le scuole pubbliche del paese che restano appannaggio dei singoli Stati. Si tratta di un'amministrazione relativamente piccola, finanziata mediamente con appena il 2% del budget federale annuale. Ed è molto recente, istituita durante l'amministrazione Carter nel 1979, con una legge votata da un Congresso a maggioranza democratica. Serve, tuttavia, per dare un indirizzo all'educazione pubblica, vigilare sul rispetto dei diritti civili nelle scuole e concedere prestiti agli studenti. I Repubblicani, a partire da Reagan nel 1981, hanno sempre visto con sospetto questa nuova istituzione, temendo politicizzazione e indottrinamento liberal. Ma non l'hanno mai abolita. Anzi, hanno contribuito ad ampliare i prestiti agli studenti che, attualmente ammontano a quasi 1.700 miliardi di dollari concessi a 43 milioni di debitori in tutto il paese. Linda McMahon, attuale segretaria all'Educazione avrà dunque il primo e più difficile compito di tagliare sui prestiti federali concessi agli studenti. Una voce di spesa che finora era stata trattata come una “mangiatoia” elettorale, soprattutto dai presidenti e dai candidati democratici. E si può solo immaginare quanta opposizione ci sarà in Congresso. Un'altra fonte di dissenso è quella dei sindacati degli insegnanti. «Ci vediamo in tribunale!» è stato il laconico e chiaro commento di Randi Weingarten, della Federazione Americana degli Insegnanti. Alcune cause sono già in corso, una intentata da procuratori generali democratici contro i licenziamenti nel Dipartimento che ne impedirebbero già il regolare funzionamento, un'altra dei genitori degli studenti con disabilità che temono di perdere le agevolazioni sinora concesse e infine altre due cause contro il taglio degli incentivi a sostegno dell'insegnamento di qualità. Il guanto di sfida è stato comunque lanciato. E la sfida riguarda principi fondamentali sull'educazione che possiamo leggere già nell'introduzione dell'ordine esecutivo di Trump: «Il futuro luminoso della nostra nazione si basa su famiglie responsabili, comunità impegnate e ottime opportunità educative per ogni bambino. Purtroppo, l'esperimento di controllare l'educazione americana attraverso programmi e fondi federali, e la burocrazia irresponsabile che questi programmi e fondi sostengono, ha chiaramente deluso i nostri figli, i nostri insegnanti e le nostre famiglie». In sintesi: l'educazione parte dalla famiglia e non dallo Stato. Un principio che, per altro, sarebbe anche nella nostra Costituzione italiana, se solo qualcuno lo ricordasse.
Nota di BastaBugie: nell'articolo seguente dal titolo "Trump: il gender è un abuso sui minori" si trova un recente discorso di Donald Trump contro l'ideologia di genere. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il marzo aprile 2025: Donal Trump ha proclamato aprile Mese Nazionale per la Prevenzione degli Abusi sui Minori. Nel discorso di proclamazione, tra le altre cose, ha affermato: «Purtroppo, una delle forme più diffuse di abuso sui minori che il nostro Paese si trova ad affrontare oggi è la sinistra minaccia dell'ideologia di genere. I sostenitori del movimento dell'ideologia di genere stanno indottrinando in modo oltraggioso i nostri figli con la devastante menzogna che sono intrappolati nel corpo sbagliato e che l'unico modo per essere veramente felici è alterare il loro sesso con terapia ormonale, bloccanti della pubertà e interventi di mutilazione sessuale. Le malvagie e retrograde menzogne della follia di genere stanno privando i nostri figli della loro felicità, salute e libertà, imponendo al contempo un dolore inimmaginabile a genitori e famiglie. Come ho affermato nel mio discorso congiunto al Congresso il mese scorso, il mio messaggio a ogni bambino americano è semplice: sei perfetto esattamente come Dio ti ha creato. Come Presidente, ho firmato con orgoglio l'Ordine Esecutivo 14187 che proibisce alle scuole pubbliche di indottrinare i nostri figli con l'ideologia transgender, intervenendo al contempo per tagliare tutti i finanziamenti pubblici a qualsiasi istituzione che si dedichi alle mutilazioni sessuali dei nostri giovani».
DOSSIER "DONALD TRUMP" Il presidente nemico del politicamente corretto Per vedere articoli e video, clicca qui!
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 21 marzo 2025
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UNA SOCIETA' CHE PREFERISCE GLI ANIMALI AI FIGLI
Fa pochi figli chi considera il cane e il gatto parte integrante della famiglia e in grado di dare vita a relazioni più vere di quelle tra uomini
Autore: Fabio Piemonte - Fonte: Provita & Famiglia, 12 aprile 2025
Le coppie oggi mostrano di preferire prendersi cura degli animali anziché di avere figli. È quanto attesta uno studio recente realizzato dal Dipartimento di Etologia dell'Università Elte in Ungheria, il quale ha rilevato una stringente correlazione tra l'aumento del numero di persone che desiderano un animale domestico (in particolare un cane) e il calo dei nuovi nati. Un trend in crescita non solo in Ungheria ma in tutta Europa, Italia compresa. «Il 19% delle persone senza figli e il 10% dei genitori con un cane considerano il proprio amico a quattro zampe non solo parte integrante della famiglia, ma anche in grado di dare vita a relazioni intense e più vere di quelle tra esseri umani», ha osservato la docente Enikő Kubinyi, capo del Dipartimento di Etologia della stessa università, nel commentare i dati della ricerca. Kubinyi ammette altresì che, per quanto il volersi prendere cura di un cane non sempre sostituisca il desiderio di genitorialità di una coppia, è pur vero che «molti proprietari di cani non desiderano diventare genitori, ma si sentono già 'mamme e papà' dei propri amici a 4 zampe». E in effetti, secondo la medesima ricerca, oggi «il 90% dei genitori ungheresi non dedica neanche un'ora alla settimana alla cura dei bambini piccoli» o sceglie ancor più gravemente di non metterli proprio al mondo, nel timore «che non avranno alcun aiuto nell'educazione dei loro figli». Meglio allora dunque l'affetto che si presume incondizionato di un cane a quello di un bambino. Senza nulla togliere alle cure pur doverose e apprezzabili nei confronti degli amici a quattro zampe, è necessario precisare che queste non potranno mai sostituire l'atteggiamento squisitamente umano di prendersi cura intenzionalmente, e dunque a maggior ragione quando ciò richiede impegno, fatica e sacrificio, dei propri simili e cari, in particolare di quanti - come neonati, bambini, anziani e malati - hanno anche un bisogno maggiore di cure e premure. Se insomma da un lato è sicuramente lodevole prendersi cura degli animali, dall'altro rivolgere il proprio affetto a un animale invece di un altro essere umano costituisce un fattore decisamente preoccupante, sintomatico di una società in cui domina ormai un individualismo egolatrico che preferisce le responsabilità minime che richiede un cucciolo rispetto a quelle oggettivamente più impegnative ma nel contempo decisamente più gratificanti legate al prendersi cura in special modo di un "cucciolo" d'uomo. Bisogna infine, altresì, evidenziare che nel nostro Paese i pochi aiuti concreti sul piano economico e la precarietà lavorativa contribuiscono a infondere nelle giovani generazioni l'ansia rispetto al futuro e ad amplificare i timori legati al prendersi cura dei figli; tuttavia se il tasso di natalità continua a scendere ai minimi storici di anno in anno, ciò non dipende esclusivamente da queste ragioni. Per rilanciare la natalità non bastano quindi i 'bonus' una tantum, occorrono politiche lungimiranti e ancor più un cambiamento culturale radicale, che comporti una fuoriuscita dal cerchio della propria autoreferenzialità individualista ed edonista che non riesce a guardare al di là del proprio ombelico e produce solo schiavitù dal piacere e dalle proprie comodità.
Fonte: Provita & Famiglia, 12 aprile 2025
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OMELIE PASQUA DI RISURREZIONE - ANNO C
Veglia Pasquale e Messa del giorno
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: La rivincita del crocifisso
1) VEGLIA PASQUALE Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro
Da questa lunga e suggestiva celebrazione - con l'efficacia propria del mistero liturgico, che sa farci oltrepassare gli spazi e la successione dei tempi - siamo stati portati al cuore dell'universo e al cuore della storia del mondo. Il cuore della storia del mondo è la Pasqua di Cristo: è il trasferimento di Gesù di Nazaret attraverso la morte e la risurrezione, dall'oscurità dello stato terrestre allo splendore della gloria del Padre. Egli - come nuovo Mosè posto a capo del popolo di Dio, che siamo noi - per primo ha operato questo passaggio di liberazione, perché noi tutti potessimo lasciare i pensieri di disperazione e di morte, che sono propri della condizione umana, per arrivare alla certa speranza della vita vera e senza fine. Il cuore dell'universo è lui, il Crocifisso risorto nel quale tutte le cose cono state pensate: solo se guardate in lui, se illuminate dal suo Vangelo, se orientate al servizio della sua opera di amore e di salvezza, le realtà dimostrano di possedere un pregio che non si svaluta e un senso che non viene mai meno. Così è stato stabilito nell'eterno disegno del Creatore; il disegno che in questa veglia siamo andati amorosamente contemplando. È un disegno che può essere percepito solo dagli occhi resi penetranti dalla fede: i prodigi di Dio restano nascosti a quelli che vogliono tutto ridurre alla misura della loro corta vista e della loro angusta esperienza. La risurrezione di Cristo e la rinnovazione del mondo avvengono nella notte, senza verifiche o testimonianze mondane. Ma per chi crede e accetta il progetto trascendente del Padre, sta scritto: La notte splenderà come il giorno, e sarà fonte di luce per la mia delizia.
UNA SOCIETÀ SEMPRE PIÙ DISUMANA Se Cristo crocifisso e risorto è il cuore dell'universo, allora comprendiamo perché l'esistenza, la vita associata, il modo generalizzato di convivere e di operare - che oggi non vuol porsi in sintonia col Signore risorto e vivo, e anzi positivamente lo rifiuta - si dimostri senza senno e senza misericordia. Siamo diventati tecnicamente bravi, abbiamo i mezzi per le indagini più raffinate e i più spericolati interventi sulla natura, sull'economia, sulla stessa psiche dell'uomo; eppure la società che si va progressivamente configurando appare nelle sue consuetudini e nei suoi ritmi sempre più impietosa, sempre più arida, sempre più disumana: senza cuore, appunto. Se la Pasqua di Cristo è il cuore della storia, cioè l'evento centrale che solo può dare un senso all'avventura enigmatica dell'umanità sulla terra, allora comprendiamo perché questo continuo mutare nelle varie epoche dello scenario offerto all'immutabile tragedia umana, questo succedersi troppo spesso violento di sistemi politici e di ideologie dominanti, questa serie senza fine di sopraffazioni e di guerre, che è la storia, appaia così irragionevole: proprio perché, considerata per se stessa, fuori da ogni prospettiva pasquale, non ha più un significato né un traguardo al suo divenire. Ciò che stiamo compiendo e vivendo stanotte non è dunque qualcosa di secondario o di marginale. Celebrare o non celebrare la Pasqua - si capisce, non nominalmente o folcloristicamente, ma nella verità delle cose - non è senza conseguenze di rilievo per la vita dell'uomo e per la storia del mondo.
UN ESSERE STRANO Chi celebra la Pasqua nella verità ha una visione dell'uomo e della storia, della fatica di esistere e della gioia, delle libertà personali e del rispetto della vita e della dignità altrui, che lo colloca ben lontano dalle idee di chi la Pasqua non celebra e perciò non ha punti di riferimento né criteri per una oggettiva valutazione. Molte volte colui che celebra la Pasqua nella verità sembrerà all'opinione comune e agli occhi delle potenze mondane come un essere strano, un sognatore o un fanatico, o, come capita curiosamente di ascoltare, un integralista. Ma la ragione è con lui; solo lui sa leggere giustamente le cose e gli accadimenti, solo lui in definitiva può vivere con ragionevolezza, perché soltanto la luce della Pasqua può disperdere le tenebre della nostra assurdità esistenziale. Anche le prime testimoni di Gesù vivo e Signore - Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo - hanno sperimentato l'incomprensione: le loro parole - ci ha detto il Vangelo - parvero «come un vaneggiamento». Ma avevano ragione loro: il loro annuncio - non lo scetticismo saputo degli altri - ha percorso la terra, rinnovandola e facendovi fiorire la gioia. Questa è anche la nostra sorte e la nostra missione. Il messaggio, che noi da questo rito vogliamo recare con la nostra fede operosa in ogni angolo della città degli uomini, e l'avvenimento, di cui siamo chiamati a dar garanzia con la nostra vita, potranno anche non essere accettati, potranno perfino essere irrisi. Ma dall'accoglimento di questo messaggio di risurrezione e dal riconoscimento di questo avvenimento rinnovatore dipende la salvezza della ragione in questo nostro tempo dotto e farneticante; dipende anzi la stessa sopravvivenza della famiglia umana, insidiata com'è da una cultura egoista che ha come suo logico approdo la sterilità, lo scetticismo, la morte. Noi però abbiamo una fiducia che nessuna delusione potrà far mai vacillare, perché ci viene proprio dalla realtà perenne della Pasqua. Il Signore è vivo e «la morte non ha più potere su di lui»; e se il Signore. è vivo, la sua Chiesa non muore; se il Signore è vivo, anche noi siamo vivi per lui; se il Signore è vivo, tutta l'umanità possiede una speranza sempre rinascente di salvezza e di vita.
2) MESSA DEL GIORNO DI PASQUA Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino
Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone (Lc 24,34). Questa è la prima espressione della fede pasquale da parte degli apostoli, di quegli uomini, cioè, che poi avrebbero fatto della testimonianza resa al Cristo vincitore della morte il senso e lo scopo di tutta la loro vita. Percepiamo in queste parole lo stupore per un avvenimento inaudito, la primizia di una immensa speranza, come l'aurora di una luce consolante che solo da pochi istanti aveva rotto le tenebre di uno sconforto che in quegli uomini dopo la scena spaventosa del Golgota pareva definitivo. Al tempo stesso sentiamo in questa frase una immediatezza, un tono familiare, quasi una freschezza non letteraria che ci garantisce della sua autenticità: Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone. Per la verità da molte ore avevano trovato il sepolcro di Cristo scoperchiato e vuoto; ma il sepolcro vuoto era servito a gettarli nello sconcerto, non era bastato a fondare una certezza troppo bella per essere persuasiva. Sì, fin dalla mattina avevano ascoltato alcune donne che asserivano di aver visto vivo il Nazareno; ma alle donne in queste cose - pensavano quei semplici e concreti pescatori di Galilea - è meglio non prestare troppa attenzione: «Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse» (Lc 24,11). Ma, in un momento imprecisato di quel giorno fatale, il Maestro, che essi avevano visto morire dissanguato sulla croce, appare anche a Simon Pietro, appare cioè a colui che era stato costituito loro capo; e allora le cose cambiano: Pietro non è un uomo che patisca allucinazioni, lo conoscono bene, a lui si può dare credito. In lui, per così dire, è tutta la Chiesa che accoglie la straordinaria notizia che da allora non ha più finito di risuonare: «Il Signore è risorto». Il colloquio tra Gesù redivivo e l'apostolo che aveva tradito non ci è riferito da nessun vangelo: è rimasto un segreto racchiuso nel cuore del più diretto interessato. Ma da quell'incontro - che sarà seguito verso sera da quello con tutto il gruppo degli Apostoli radunato - incomincia ufficialmente la proclamazione ecclesiale: «Davvero il Signore è risorto».
I DISCEPOLI DI EMMAUS Al tramonto di quello stesso giorno però Gesù, dimostrando di essere sovranamente libero nella scelta dei suoi testimoni, si era rivelato a due personaggi del tutto secondari, che compaiono qui per la prima volta e poi non saranno più ricordati nella storia delle origini cristiane. L'episodio ci è raccontato dalla suggestiva pagina di san Luca che abbiamo ascoltato. Se con l'apparizione a Pietro e agli Undici viene dato il fondamento a tutta la predicazione della Chiesa, con l'apparizione ai due sconosciuti discepoli ci è detto che ogni uomo - pur desolato e dubbioso e senza speranza - alla fine può e deve arrivare alla fede. In Clèopa e nel suo anonimo compagno ciascuno di noi può riconoscere se stesso, e può riconoscere anche tutta la famiglia umana nei suoi rapporti con Cristo. I due viaggiatori materialmente non mancano di una mèta: sono diretti a Emmaus. Ma spiritualmente non hanno più una prospettiva: camminano, ma non sanno più verso dove; vivono, ma non capiscono più per che cosa. Avevano avuto una speranza, per così dire, «politica»: la liberazione della loro terra dall'oppressione straniera. «Noi speravamo - dicono - che fosse lui a liberare Israele». Adesso tutto ai loro occhi sembrava crollato, e invece tutto stava per cominciare. Pensavano di essere ormai preda dello scetticismo, e non erano mai stati così vicini alla verità. È un po' la situazione che stiamo tutti vivendo. Dopo aver sperimentato il tramonto sanguinoso dei miti del nazionalismo, della razza, della violenza presentata come il motore della storia (che cinquant'anni fa parevano forti e vincenti), il nostro popolo sta assistendo disorientato al declino della più affascinante e drammatica utopia che sia mai comparsa sulla faccia della terra. Dopo cento anni di illusioni e cento milioni di innocenti inutilmente uccisi, la grande menzogna comincia adesso a essere vista nella sua tragica inconsistenza. «Noi speravamo», si dicono in fondo al loro cuore deluso quanti - di quelli che si erano lasciati sedurre - vogliono ancora essere un po' onesti con se stessi. Noi ci chiediamo: di chi sarà questa gente, che comincia a dubitare dei propri dogmi e delle proprie bandiere? Dove andranno questi uomini che non hanno più un ideale, neppure quello falso e impietoso che li ha finora arruolati? Ci auguriamo che non finiscano nella religione del niente sontuosamente rivestito di cultura, di tecnica, di esasperato edonismo. Ci auguriamo che si accorgano del Divino Viandante, il quale, silenziosamente ma tenacemente, si è messo accanto a tutti noi che percorriamo il cammino penoso dell'esistenza e vuole guidarci a poco a poco a riconoscerlo «nello spezzare il pane». Ci auguriamo che abbiano il coraggio di ripercorrere a ritroso la via del loro smarrimento fino ad arrivare a Gerusalemme, fino a tornare all'antica madre che non ha cessato di amare e di attendere tutti coloro che per vari malintesi si sono allontanati da lei, fino a riscoprire la verità e la bellezza della Chiesa apostolica che custodisce sempre fresco e giovane l'annuncio pasquale e offre a tutti l'energia salvifica del Risorto.
RICONOSCERE CRISTO VIVO E PRINCIPIO DI VITA Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. È difficile trovare parole che descrivano con più nitidezza ed efficacia la situazione nostra e di tanti nostri contemporanei. Molti pensano di essere lontani da Dio, da Cristo e dalla Chiesa; non è vero. Come possono essere lontani, se Gesù non cessa di star loro vicino e, anche se non se ne avvedono, cammina con loro sulla strada della vita? Non c'è lontananza da parte sua, c'è piuttosto incapacità da parte nostra di vederlo per quello che è, a causa dei molti pregiudizi, degli interessi contrastanti, delle reciproche incomprensioni delle parti. Ma l'esito rasserenante del racconto evangelico ravviva la nostra fiducia: Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Riconoscere Cristo vivo e principio di vita, questa è la grazia più bella e più alta che siamo invitati a chiedere in questo giorno di Pasqua. Il Signore ci è accanto quando abbiamo qualche amarezza e qualche ragione di sofferenza: è l'unico che non abbandona. Il Signore ci è accanto anche quando percorriamo i campi nebbiosi del dubbio o quelli infecondi dell'incredulità. Il Signore ci è accanto anche quando sbagliamo e prevarichiamo: il Salvatore, che ha versato il suo sangue per tutti, non si rassegna mai alla perdita di qualcuno dei suoi fratelli. Certo tutti noi abbiamo qualche volta l'impressione che stia calando la notte su un'esistenza che diventa sempre più opaca e senza incanti, e su un'umanità che sempre meno capisce quale sia il suo vero destino e dove stiano i percorsi giusti per arrivare alla gioia. In quei momenti la preghiera dei due discepoli di Emmaus sembra venire proprio dal nostro cuore: Resta con noi, Signore, perché si fa sera e il giorno volge al declino. Quando l'uomo arriva alla sincerità di questa implorazione, è arrivato già alla salvezza.
Fonte: La rivincita del crocifisso
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