BastaBugie n�78 del 27 marzo 2009

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1 LA SCIENZA CONFERMA: IL RISCALDAMENTO GLOBALE (SE C'E'...) NON È COLPA DELL'UOMO

Autore: Franco Battaglia - Fonte: 12 febbraio 2009
2 MUSICA CATTOLICA
Meglio professionisti o dilettanti?
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: 9 Marzo 2009
3 LA POVERTA' DEI POVERI NON E' COLPA DEI RICCHI
La cause radicali della povertà non sono né la colonizzazione, né le multinazionali né l'egoismo dei Paesi ricchi
Autore: Piero Gheddo - Fonte: Avvenire
4 TESTAMENTO BIOLOGICO?
No grazie!
Autore: padre Giorgio M. Carbone - Fonte: 28 febbraio 2009
5 IL BOMBARDAMENTO SUL PAPA E' DIVENTATO IL PASSATEMPO QUOTIDIANO DEI GIORNALI

Autore: Antonio Socci - Fonte: 18 marzo 2009
6 IL PAPA IN AFRICA 1
Il viaggio cucinato dai mass media e quello che c'e' stato davvero
Autore: Mimmo Muolo - Fonte: 22 marzo 2009
7 IL PAPA IN AFRICA 2
La verita' su profilattico e aids
Fonte:
8 IL PAPA IN AFRICA 3
La Chiesa cattolica e l'aids
Autore: Padre Bernardo Cervellera - Fonte:
9 IL PAPA IN AFRICA 4
Per l'aids, una testimonianza sul campo
Autore: Paolo M. Alfieri - Fonte: 21 marzo 2009

1 - LA SCIENZA CONFERMA: IL RISCALDAMENTO GLOBALE (SE C'E'...) NON È COLPA DELL'UOMO

Autore: Franco Battaglia - Fonte: 12 febbraio 2009

Faccio parte di un organismo internazionale, l’N-Ipcc (la N sta per “non-governativo”) che ha valutato la stessa letteratura scientifica a disposizione del più famoso Ipcc, (Intergovernmental Panel on Climate Change) ma è giunto a conclusioni opposte di quest’ultimo, e ha pubblicato il rapporto “La Natura, non l’Uomo, governa il clima” tradotto in 5 lingue, la versione italiana è pubblicata dall’editore 21mo Secolo (http://www.21mosecolo.it/).
Il rapporto è stato inviato – assieme alla firma di oltre 650 scienziati da tutto il mondo – al Senato americano, per far ascoltare la voce del dissenso (o, visti i numeri, direi più correttamente, del consenso sul dissenso). Ciò che è importante, sul tema, è capire, perché con il riscaldamento globale l’uomo non c’entra. Vi sono una mezza dozzina di indizi, a nessuno dei quali nessuno ha fornito spiegazione, e che tutti insiemi fanno una schiacciante prova.
1) Il pianeta è già stato più caldo di adesso: senza invocare tempi geologicamente lontani, lo è stato per molti secoli nel cosiddetto “periodo caldo olocenico” di 6000 anni fa, e per un paio di secoli nel “periodo caldo medievale” di 1000 anni fa. È spontaneo chiedersi se, per caso, ciò che rese caldo il pianeta allora, sia anche ciò che lo sta rendendo caldo ora.
2) L’attuale riscaldamento è cominciato non nella seconda metà del XIX secolo, all’inizio dell’era industriale – come i rapporti dell’Ipcc (escluso l’ultimo rapporto, del 2007), erano soliti riportare – ma nel 1700, quando si era nel minimo della cosiddetta piccola era glaciale. Ma nel 1700 l’industrializzazione e le emissioni d’origine antropica erano minimali e la popolazione mondiale contava mezzo miliardo di persone. Il riscaldamento cominciato nel 1700 è poi continuato fino al 1940 quando l’industrializzazione era molto inferiore a quella odierna e la popolazione mondiale era un terzo di quella odierna.
3) La temperatura del pianeta è diminuita per ben 35 anni, dal 1940 al 1975, tanto che a metà degli anni Settanta del secolo scorso si era diffusa l’idea che stavamo andando incontro ad una nuova glaciazione. Eppure quelli furono gli anni di grande crescita industriale, del boom demografico e dell’aumento delle emissioni di gas-serra. Secondo la teoria del Global Warming sarebbero dovuti essere anni caldissimi. A questo proposito, l’ultimo rapporto dell’Ipcc – a differenza dei tre precedenti ove attribuiva all’uomo la responsabilità del riscaldamento globale degli ultimi 150 anni – si limita ad attribuire all’uomo la responsabilità del riscaldamento globale iniziato “nella seconda metà del secolo scorso”, cioè dopo il 1975.
4) È dal 1998 che la temperatura del pianeta ha smesso di crescere e il 2008 sarà probabilmente dichiarato il più freddo degli ultimi 10 anni; anche se dal 1998 le emissioni di gas-serra a livello mondiale sono aumentate ininterrottamente.
5) Tutti i modelli matematici che attribuiscono ai gas-serra antropici il ruolo di governanti del clima prevedono che nella troposfera a 10 km al di sopra dell’equatore si dovrebbe osservare un riscaldamento triplo rispetto a quello che si osserva alla superficie terrestre; orbene, le misure satellitari non rivelano, lassù, alcun aumentato riscaldamento, men che meno triplo, ma, piuttosto, un rinfrescamento.
Come si vede, quindi, l’attuale riscaldamento è occorso nei tempi e nei luoghi sbagliati rispetto alla congettura che lo vorrebbe d’origine antropica. L’ultimo indizio, poi, non è un indizio: nato come “impronta digitale” della congettura antropogenica del global warming, esso si è evoluto in impronta digitale della inconsistenza di quella congettura.
La parola chiave in questo contesto è “sensitività climatica”, cioè l’aumento della temperatura conseguente ad un raddoppio della concentrazione atmosferica di gas-serra; orbene, la sensitività climatica è concordemente valutata inferiore ad 1 oC, (grado centigrado), il che significa che alla fine del XXI secolo potremmo aspettarci un contributo antropico alla temperatura della Terra di, forse, 0.2 oC, cioè una misura significativamente piccola rispetto alle molto più ampie variazioni naturali.
Mi piacerebbe che la discussione sui cambiamenti climatici fosse liberata dai condizionamenti ideologici e di interesse economico speculativo, anche se più che un auspicio, la mia sembra una pia illusione, perché intorno alla tesi del riscaldamento globale antropogenico si è sviluppata una vera e propria bolla speculativa.
L’applicazione della carbon tax, il commercio dei carbon credit, l’aumento del prezzo dei carburanti, dell’energia e dei trasporti, ha messo in moto una serie di progetti tanto grandiosi quanto inefficienti e a volte inutili, tipo: il fantasioso sequestro della CO2, la bassa produzione e redditività dei parchi eolici, la speculazione sugli impianti fotovoltaici.
Il tutto con la benedizione del Parlamento Europeo; il quale, promuovendo la politica energetica del cosiddetto 20-20-20, fondata sul falso scientifico di pretendere di governare il clima, sta penalizzando oltremodo la nostra capacità produttiva.

Fonte: 12 febbraio 2009

2 - MUSICA CATTOLICA
Meglio professionisti o dilettanti?
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: 9 Marzo 2009

Apprendo con gioia che, su iniziativa del musicista americano Ray Herrman, il famoso attore Liam Neeson (Schindler List) darà voce a una Via Crucis su musiche di S. Alfonso de’ Liguori. Herrman è cattolico è ed vincitore di un Grammy Awards (l’Oscar della musica), ha lavorato anche con Christina Aguilera, i Chicago, Carlos Santana, Bob Dylan, Stevie Wonder. Il suo marchio discografico Little Lamb Music ha messo in vendita un Cd intitolato “Praying The Way of the Cross” (Pregando la via della Croce). Herrman è un cattolico da rosario, che si aggira in un mondo, quello dello spettacolo, dominato da ben altre mentalità. Ma gli americani hanno questo di buono: amano i soldi, da qualunque parte provengano. E sanno che i cattolici negli Usa sono davvero tanti. Dunque, un investimento in tal senso non può non essere ampiamente remunerativo. A patto, però, che si facciano le cose professionalmente. Nel caso in questione, un attore di primo piano e un musicista dello stesso rango. Qui in Italia, invece, la musica cattolica è in mano ai dilettanti. E ai preti, il che è lo stesso. Abituati a ricevere in dono e non a spendere, al massimo ti fanno lo Zecchino d’Oro: zero investimento, altissimo guadagno. Ma con questo giro mentale non si approda a niente e si rimane, sempre, nell’insignificanza culturale.

Fonte: 9 Marzo 2009

3 - LA POVERTA' DEI POVERI NON E' COLPA DEI RICCHI
La cause radicali della povertà non sono né la colonizzazione, né le multinazionali né l'egoismo dei Paesi ricchi
Autore: Piero Gheddo - Fonte: Avvenire, 5 marzo 2009

La cause radicali della povertà non sono né la colonizzazione, né le multinazionali né l'egoismo dei Paesi ricchi.
I ricchi del mondo hanno tante responsabilità e colpe, ma non quelle di essere stati la radice della povertà dei popoli poveri.
Mi fa pena quando leggo su libri e riviste non "popoli poveri" ma "popoli impoveriti". E spiegano che, prima dell'incontro con la colonizzazione occidentale, ad esempio, i popoli africani o gli indios amazzonici, vivevano una vita naturale, felice, pacifica, solidale.
E' la visione dell'Illuminismo, che non ammetteva il peccato originale: l'uomo nasce buono, la società lo rende cattivo. Ma è una visione ideologica del tutto contraria alla realtà storica.
Basta leggere le biografie dei primi missionari che sono venuti a contatto con popoli anche prima dell'intervento coloniale. Ad esempio i missionari del Pime sono andati nella Birmania orientale nel 1868, quando la colonizzazione inglese, in quelle regioni abitate da popolazioni tribali che vivevano all'età della pietra (non conoscevano il ferro), è iniziata verso la fine del secolo XIX.
Ebbene, i missionari scrivevano che le tribù erano continuamente in guerra fra di loro e descrivono la loro vita grama dicendo che era una vita disumana, poco al di sopra di quella degli animali. Altro che "impoveriti"! Anzi i tribali della Birmania si sono evoluti proprio con l'azione dei missionari, che hanno portato la pace, insegnato a fare e coltivare le risaie (prima erano nomadi), aperto le strade e le scuole, portato la medicina moderna, studiato le loro lingue e fatto vocabolari e raccolte di loro proverbi e racconti e via dicendo.
I "no global" avevano coniato, nel 2001 al G8 di Genova, uno slogan efficace "noi siamo ricchi perché loro sono poveri e loro sono poveri perché noi siamo ricchi". Dico sempre che non si aiutano i poveri raccontando bugie. Come l'altro slogan: "Il 10% della popolazione mondiale consuma il 90% delle risorse ed il 90% degli uomini consumano solo il 10% delle risorse disponibili". Io dico che bisogna correggere così: "il 10% degli uomini producono e consumano il 90% delle risorse, il 90% degli uomini producono e consumano il 10% delle risorse".
Il problema in radice è che prima bisogna produrre e poi consumare: si consuma se si produce e nei Paesi poveri non si produce abbastanza per mantenere il ritmo di crescita della popolazione.
L'Africa è passata da 300 milioni di abitanti nel 1960 a più di 800 di oggi, ma l'agricoltura di base è ancora in buona parte ferma all'epoca coloniale. Alcuni "catastrofisti" dicono che ci sono troppi uomini per poter vincere la fame. Non è vero, il Giappone che ha 342 abitanti per chilometro quadrato (l'Italia 194), una delle densità più alte del mondo e in un Paese tutto montagnoso (è coltivabile solo il 19% del territorio) e dal clima infelice, è autosufficiente nel cibo di base che consuma, cioè il riso.
La fame non deriva dai troppi uomini e donne, ma dal fatto che non sono istruiti, educati a produrre di più, oltre al livello della pura sussistenza.
Ma questo in Occidente non si vuol sentire perché chiama in causa la nostra vera responsabilità, che non è di non aiutare maggiormente e finanziariamente i Paesi poveri e di non pagare con giustizia le loro materie prime (anche questo, ma non anzitutto questo), bensì di non contribuire ad educarli per diventare autosufficienti, prima di tutto nella produzione di cibo e poi di tutto il resto.
Il distacco fra ricchi e poveri nel mondo non è anzitutto un fatto economico, ma culturale-politico. Mentre in Europa, dopo secoli di lento cammino verso l'industria e l'agricoltura moderna, siamo giunti ad avere le tecniche, le capacità, la mentalità imprenditoriale e lavorativa (oltre alla democrazia e al libero mercato), molti popoli del Sud del mondo sono passati, alla fine dell'Ottocento o inizio del Novecento, dalla preistoria (cioè assenza di lingue scritte) alla modernità in un secolo, con due guerre mondiali in mezzo!
In situazioni come questa è superfluo dire che loro hanno grandi valori umani, che sono giovani e intelligenti e simpatici, pieni di buona volontà. Queste cose le so benissimo anch'io, ma il balzo culturale dalla preistoria al computer e all'aereo si può assorbire da parte di alcuni in senso tecnico, non in senso culturale.
Le masse popolari usano bene il telefonino e la televisione, ma la testa, le abitudini, i costumi di vita, la mentalità di fondo sono rimasti più o meno al tempo passato. Le fedi religiose e le culture non si cambiano rapidamente, ci vuole tempo. Questo è il ritornello che più sento ripetere dai missionari che vivono una vita con i popoli poveri, ma che in Occidente ancora non si capisce o non si vuol ammettere.
Nel dicembre 2007 sono stato in Camerun, uno dei Paesi modello dell'Africa a sud del Sahara: esteso una volta e mezzo l'Italia, con 18 milioni di abitanti, politicamente stabile, senza guerre o guerre intestine, con una passabile forma di democrazia e libertà di stampa. Crescita economica annuale dal 2 al3% del Pil. Reddito medio pro-capite: 800 dollari l'anno, quando in molti Paesi africani è dai 100 ai 300 dollari (l'Italia è poco sotto i 30.000 dollari). Debito estero quasi inesistente, poche decine di milioni.
Tutto bene, ma il fatto è che il Camerun produce poco o nulla in campo industriale. Non ha una vera industria, ma solo cementifici, produzione tessile e dello zucchero, di birra e di sigarette, sgranatura del cotone, poco altro. Importa quasi tutti i beni moderni, comprese lampadine e frigoriferi, esportando ricchezze naturali (petrolio, minerali vari, legno) e prodotti agricoli. E una crescita economica senza industria non è possibile.
Il secondo cancro del Camerun è la corruzione a livello politico e amministrativo, statale. Nella lista dei Paesi più corrotti del mondo stilata dall'Onu, il Camerun è sempre nei primi posti; nel 2007 era addirittura il primo. Non è colpa specifica di questo o quel capo di Stato o amministratore, è un costume che deriva dalla mentalità: quando uno ha il potere deve pensare anzitutto alla sua etnia, tribù, villaggio, famiglia. E' un cancro diffusissimo in tutta l'Africa - e non solo in essa, naturalmente - che laggiù frena moltissimo lo sviluppo, perché i sussidi e i doni che si ricevono dall'Onu o da altri Stati finiscono quasi tutti nelle tasche appunto di chi detiene il potere.
E, ripeto, questo vale per i governanti ad alto livello e per gli amministratori, i militari, eccetera, ma anche per chi ha qualsiasi potere sugli altri. Ci sono eccezioni certo, ma il malcostume di cui tutti parlano è questo. Queste sono le vere radici del sottosviluppo.
Lo sviluppo è un fatto non solo tecnico ed economico, ma parte anzitutto dalla cultura, dall'istruzione: è opera dell'uomo e non dei soldi, parte dall'uomo e non dalle macchine, nasce in un popolo attraverso l'educazione, la quale però è un processo lungo, paziente, che non si fa con interventi d'emergenza, ma vivendo assieme ad un popolo. Noi occidentali facciamo pochissimo per l'educazione dei popoli poveri, anche perché non si parla mai di valori culturali e religiosi che portano allo sviluppo: è un tema ignorato dai mass media e dagli 'esperti' occidentali, che privilegiano gli aiuti economici e tecnici.

Fonte: Avvenire, 5 marzo 2009

4 - TESTAMENTO BIOLOGICO?
No grazie!
Autore: padre Giorgio M. Carbone - Fonte: 28 febbraio 2009

Nessuna persona in salute può prevedere che cosa prova quando si è colpiti da una malattia incurabile, né i progressi scientifici e medici nella cura. E potrebbe cambiare idea su come essere trattato, senza però essere in grado di dirlo.
Che cos'è il testamento biologico? Il testamento biologico è un documento redatto o un modulo sottoscritto da un qualsiasi cittadino con il quale egli, oggi sano, esprime la sua volontà circa i trattamenti sanitari e circa il suo morire, per il tempo in cui non sarà in grado di intendere e di volere.
Il testamento biologico - sostengono alcuni - sarebbe un ottimo strumento per escludere l'accanimento diagnostico-terapuetico. Ma l'accanimento è concordemente condannato: il Codice di deontologia medica contempla già tra i doveri del medico l'evitare l'accanimento. Perciò sotto questo profilo il testamento biologico è perfettamente inutile.
 TESTAMENTO BIOLOGICO E CONSENSO INFORMATO
II testamento biologico viene salutato come la più alta espressione della volontà del paziente, come il traguardo del consenso informato. Il cittadino, quando dovesse redigere il testamento biologico, sarebbe costretto ad immaginare una situazione futura sconosciuta, dovrebbe rispondere a una domanda simile: se mi trovassi attaccato ad un respiratore o immobilizzato in un reparto di rianimazione, che cosa chiederei al medico? Davanti ad un'ipotesi simile tutti proviamo paura ed orrore e ciò condiziona potentemente l'espressione della volontà.
L'estensore del testamento subirebbe cosi una coartazione della volontà ed esprimerebbe le proprie disposizioni senza conoscerne con precisione l'oggetto. Il testamento biologico non può essere giustificato sulla base del consenso informato, perché il consenso deve essere espresso quando il medico comunica la diagnosi e propone la terapia e l'informazione deve riguardare un quadro clinico concreto e non ipotetico.
TRE OBIEZIONI
Inoltre, la prudenza che nasce dall'esperienza della vita concreta può fare tre obiezioni.
1) Nessuna persona sana e nel pieno possesso delle facoltà mentali può sapere che cosa si prova quando si è colpiti da una i malattia incurabile e si è entrati nella fase avanzata di essa. Chi scrive il testamento è estraneo al vissuto della malattia. Perciò invocare il principio del consenso informato è fuorviante.
2) Nessuno può prevedere con certezza quali saranno i progressi scientifici e medici nella diagnosi e nella cura di una malattia. Terapie oggi penose, domani, grazie ai progressi tecnici, potrebbero essere praticate con minori oneri. Perciò il testamento reso oggi per un futuro prossimo o remoto potrebbe diventare impreciso o fuori luogo.
3) Non è detto che le volontà che io oggi esprimo corrispondano esattamente a ciò che io desidererà quando sarò colpito da una malattia grave e sarò incapace di esprimere i miei desideri. Potrei aver cambiato idea e non aver avuto il tempo di manifestarlo. Posti tutti questi dubbi circa un bene fondamentale, com'è quello della vita, è doveroso astenersi da qualsiasi atto che possa pregiudicarla in forza del principio di precauzione.
In altri termini, è vero che il medico non può essere certo che il malato abbia cambiato idea: potrebbe averla cambiata, il che è la cosa più probabile, però può anche non averla cambiata. Ma se è in dubbio sull'autentica volontà attuale del soggetto, non deve correre il rischio di non somministrare delle terapie proporzionate senza le quali il malato muore.
TESTAMENTO BIOLOGICO E LIBERTÀ DEL PAZIENTE DI DECIDERE IN AUTONOMIA
II testamento biologico è presentato dai suoi fautori come l'espressione più alta dell'autonomia del paziente: il malato sarebbe finalmente protagonista della propria vita, potrebbe decidere con la massima autonomia senza subire angherie dalla medicina moderna ed iniziative gratuite dal medico. Il modello medico-paziente che sottostà al testamento biologico è quello contrattualistico che suppone una parità fra medico e paziente. Tale modello, però, altera l'identità delle due figure. Il medico, da professionista che agisce nell'interesse ed in vista della salute del paziente, è ridotto ad essere un esecutore delle volontà del paziente: il medico sarà anche abilissimo tecnicamente, ma, una volta introdotto il testamento biologico, non potrà più prendere alcuna decisione e, se le disposizioni del testamento biologico fossero vincolanti, non avrebbe più la facoltà di valutare il quadro clinico ed il carattere proporzionato o meno delle terapie.
Il paziente diventerebbe un puro cliente che potrà chiedere tutto al medico. Il testamento riconoscerebbe al paziente anche la capacità di prevedere a tavolino un astratto quadro clinico e fissare dei limiti oltre i quali ci sarebbe accanimento.
In realtà, la parità tra i due contraenti non esiste, perché il medico «sa», mentre il paziente, anche quando è perfettamente informato sulle sue condizioni e sulle possibilità terapeutiche, non è libero di sfuggire alla malattia e spesso è incapace di un confronto obiettivo con istanze morali e scientifiche. Il rapporto medico-paziente è un rapporto strutturalmente asimmetrico. Il medico, se non vuole essere ridotto a semplice erogatore di servizi, deve conservare la sua autonomia professionale e la sua dignità etica per cui, avendo di mira il bene e la vita del paziente, valuterà sempre se le richieste del paziente o il trattamento terapeutico adottato siano adeguati al caso concreto.
È decisivo che il medico si faccia carico dello stato complessivo del paziente suo interlocutore, creando tutte le condizioni perché il paziente, mediante il dialogo, l'informazione e l'incoraggiamento, possa orientarsi verso la scelta migliore per la sua persona. Inoltre, il quadro clinico è qualcosa di estremamente mutevole e ciò incide sulla necessità di valutare in tempo reale e non astrattamente il grado di proporzione tra terapia ed effetti ottenuti o sperabili.
Perciò, il testamento biologico, mentre sembra esaltare la libera scelta del malato, in realtà ne lede gravemente la dignità, perché il valore di un individuo umano, per quanto malato, non dipende dalla più o meno normale vita di relazione, che è in grado di vivere. Il testamento biologico carica il futuro paziente di una responsabilità sproporzionata, quella di prendere adesso una decisione immaginando una situazione futura del tutto sconosciuta.
TESTAMENTO BIOLOGICO E TESTAMENTO PATRIMONIALE
Inoltre, dicono alcuni, come lo Stato riconosce efficacia giuridica al testamento con cui un cittadino dispone dei suoi beni patrimoniali, così è necessaria una legge dello Stato che dia efficacia giuridica alla volontà del cittadino in ordine alla fase finale della sua vita. In questo j modo il testamento biologico renderebbe disponibile il bene della vita fisica. Ora, le moderne società civili si fondano sul principio dell'indisponibilità della vita fisica, cioè del mio esistere. La vita fisica è indisponibile:
1) perché il mio esistere è la condizione! per poter compiere atti e gesti di libertà. Perciò è ovvio ricordare che, se disponessi del mio esistere privandomi di esso, mi precluderei qualsiasi esercizio futuro della libertà;
2) perché io, pur godendo dell'esistenza, sperimento di non esser venuto all'esistenza di mia iniziativa, ma piuttosto che l'ho ricevuta e che mi potrebbe essere tolta in qualsiasi istante, sebbene la volontà mia o altrui si opponga.
lo non sono la causa efficiente del mio esserci. Perciò devo ammettere di dipendere nell'essere e che il mio esistere è un bene che non mi sono dato. Ora, mentre posso disporre di quei beni alla cui esistenza io concorro come causa efficiente (come ad esempio la proprietà di oggetti o le prestazioni professionali), non posso eticamente disporre di quei beni di cui non sono causa. Ed è proprio questo il caso del mio esserci.
Sul principio «l'esistenza fisica umana è un bene indisponibile» si è costrutta la civiltà umana e la pacifica convivenza. Da esso si è sviluppata la convinzione della pari dignità e dell'uguaglianza tra gli esseri umani, perché dire che l'esistenza fisica umana è un bene indisponibile significa dire che essa non ha un prezzo, non è misurabile in termini monetari, ma ha un valore mai riducibile in termini quantitativi, ha appunto una dignità eccelsa.
TESTAMENTO BIOLOGICO E ABBANDONO DEL MALATO
Chi redige il testamento si espone - forse I senza saperlo - al rischio di morire di fame e di sete rinunciando all'idratazione ed all'alimentazione mediante fleboclisi o sondino naso-gastrico. Le motivazioni addotte a favore del testamento biologico giocano su un'ambiguità: per evitare l'accanimento - terapeutico si propone il testamento biologico, cioè la generica e vaga rinuncia a terapie. Tuttavia, mentre è moralmente lecito, anzi doveroso, sospendere tutti quegli atti diagnostici o/e terapeutici che si configurano come accanimento ostinato, non è mai lecito omettere di idratare e alimentare, perché idratare ed alimentare non sono terapie.
Se lo fossero, allora tutte le volte che ci sediamo a tavola ci sottoporremo a una terapia? Il testamento biologico nella sua genericità legittima l'abbandono terapeutico di molti malati che grazie alle moderne tecnologie potrebbero continuare a vivere e ad esprimere la loro personalità. Attenua la solidarietà umana e i! vincolo morale e professionale che lega il medico al bene della persona malata. Spinge verso l'eutanasia volontaria e preventiva.
UNO SCUDO PER I MEDICI
L'effetto principale del testamento di vita consiste nel mettere al riparo i medici dal pericolo di azioni giudiziarie in sede civile da parte dei parenti insoddisfatti per un trattamento in fase cronica o terminale. È in altre parole una specie di ombrello difensivo per i medici e per tutto il mondo che ruota intorno all'atto medico e alle responsabilità ad esso collegate. Con questo «trucco" legale, infatti, il medico si libera della responsabilità e scarica ogni decisione sulla volontà del paziente. Cosi, le assicurazioni degli ospedali e delle aziende sanitarie che tutelano l'operato dei dici possono stare finalmente più tranquille.
Per uscire dalla logica del testamento biologico è necessario superare il sospetto che il medico non agisca nell'interesse del paziente e promuovere il modello dell'alleanza terapeutica (cfr. il mio articolo sul Timone di gennaio) e l'umanizzazione del rapporto medico-paziente.

Fonte: 28 febbraio 2009

5 - IL BOMBARDAMENTO SUL PAPA E' DIVENTATO IL PASSATEMPO QUOTIDIANO DEI GIORNALI

Autore: Antonio Socci - Fonte: 18 marzo 2009

Ormai il bombardamento sul Vaticano e sul Papa è diventato il passatempo quotidiano dei giornali. In mancanza di fatti vanno bene pure le opinioni o i gusti soggettivi. Ieri, per esempio, La Stampa ha fatto una paginata – con richiamo in prima – che aveva questo titolo: “Maxi-schermi: piazza San Pietro come lo stadio”. Sottotitolo: “Installati per l’Angelus, restano anche in settimana”.
Di che si tratta? Nell’immensa piazza San Pietro, da tempo, per permettere ai pellegrini di seguire le udienze e gli Angelus del papa sono stati collocati dei cosiddetti maxischermi, che, date le dimensioni colossali della piazza, del colonnato del Bernini e della Basilica vaticana, in realtà appaiono davvero piccoli e (pur rendendo un buon servizio ai pellegrini) nell’insieme si vedono appena perché si confondono con il bianco dei marmi.
Ma c’è chi si è stracciato le vesti e, come certi esponenti Radicali, è arrivato addirittura a evocare la presunta violazione dei Patti Lateranensi da parte della Santa Sede per questa sciocchezza. A loro dire il Vaticano, che pure è uno stato sovrano, sul suo territorio non può neanche collocare qualche pannello (che non copre assolutamente nulla) perché ai Radicali non piace.
Il Papa dovrà forse sottoporre al gradimento di Pannella pure il colore dei suoi paramenti per le liturgie della prossima Pasqua e la collocazione del grande baldacchino davanti al portale, dove si celebra la Messa? O si dovrà chiedere a Emma Bonino di che colore vuole che siano le sedie con cui si allestisce la piazza per la cerimonia di Pasqua? Occorrerà domandare l’autorizzazione a Marco Cappato, d’ora in poi, per calare giù dalla loggia di San Pietro i grandi ritratti dei nuovi canonizzati? E se i Radicali diranno che trovano brutte le transenne che regolano le lunghe file d’ingresso e bloccano l’accesso al colonnato? E se eccepiranno su quei grossi macchinari della polizia (fra le colonne del Bernini) con i quali si controllano i visitatori e i bagagli come all’aeroporto?
Non stiamo esagerando. Non sono domande surreali. Tiriamo solo le somme di quanto asserisce esplicitamente Marco Staderini, della Direzione di Radicali italiani, facendosi addirittura giudice dell’ortodossia del Papa rispetto alla tradizione cattolica: “Questa gerarchia vaticana sembra aver perso le ‘nobili tradizioni artistiche della Chiesa cattolica’ ”. Difficile capire quali titoli possa esibire Staderini per emettere simili sentenze. Ma il politico radicale aggiunge: “In una situazione analoga Antonio Cederna affermò che ‘per il paesaggio urbano non può valere l’assoluta sovranità della Chiesa sui beni culturali all’interno del Vaticano’ ”.
E con ciò tanti saluti non solo alla sovranità dello Stato vaticano, ma pure al principio cavourriano – sbandierato a parole – “libera Chiesa in libero Stato”. Ritengo francamente che dei politici esperti come Pannella e la Bonino si rendano conto dell’assurdità della polemica. Tuttavia Staderini è deciso: “Non è solo questione di gusto” ribadisce “ma anche di rispetto del Trattato lateranense, il Vaticano è infatti obbligato, ai sensi dell’articolo 18 del Trattato, a rendere fruibili tesori d’arte come il colonnato del Bernini, senza nasconderlo con megaschermi da stadio”.
Sorvolando sull’errata (a mio parere) interpretazione di quell’articolo e sul fatto che i Radicali sono da sempre contro i Patti Lateranensi e contro i Concordati, resta il fatto che nulla impedisce la visuale del colonnato. I pannelli non saranno un abbellimento come una statua michelangiolesca, ma non sono neanche uno scempio. Né coprono alcunché. Quindi il problema neanche esiste. Ma figuriamoci se gli indignati speciali si placheranno. Supportati, secondo La Stampa, da Italia Nostra hanno già fatto un’interrogazione al ministro Bondi. Maurizio Turco si aspetta addirittura “che l’ambasciatore vaticano in Italia chiarisca”. Ma perché non investire l’Unione europea o addirittura l’Onu dell’apocalittica questione?
C’è pure una dichiarazione di appoggio raccolta dal giornale torinese, che ha, appunto, toni apocalittici: “E’ uno scempio assurdo che deturpa la piazza”, protesta Giorgio Muratore storico del’architettura, “siamo davanti ad uno spettacolo osceno, un’intrusione di smaccata modernità in un capolavoro senza tempo”.
C’è da chiedersi dove vivano questi critici e se veramente in Italia e nella Roma delle laiche amministrazioni di questi decenni, manchino i veri scempi e le vere oscenità architettoniche cosicché ci si debba indignare per quei banali e transitori schermi. Al giornale torinese, da sempre custode della tradizione risorgimentale, verrebbe pure da chiedere se, per caso, i piemontesi dopo la conquista militare di Roma non combinarono pasticci architettonici e urbanistici che sarebbero molto più adatti a essere analizzati per una discussione critica.
Ma la storia sembra non interessare a nessuno. Così la Chiesa che – accanto alle persecuzioni fisiche e ai massacri degli ultimi 200 anni – ha subìto lo scempio, la profanazione e il saccheggio dei suoi tesori artistici e architettonici con la rivoluzione francese, con l’invasione napoleonica dell’Italia e di Roma (un immenso ladrocinio di opere d’arte), con la conquista militare piemontese e poi – in tutta Europa – con le grandi distruzioni di opere d’arte e chiese da parte dei regimi comunisti, senza che nessuno abbia mai chiesto scusa e senza che nessun intellettuale abbia mai ricostruito l’enormità di questa devastazione, questa Chiesa – dicevo – che per secoli ha fatto fiorire l’arte e ha coperto il nostro Paese di capolavori e di bellezza, si vede puntare il dito accusatore per quei banali schermi di piazza San Pietro. In un Paese, peraltro, dove, da decenni, accade di tutto ai nostri Beni artistici e architettonici.
La Stampa ha rubricato quella sua incredibile pagina di ieri sotto la formula “fede e spettacolo”. Vorremmo capire a quale spettacolo si riferiscono questi zelanti puritani subalpini. E comunque, a proposito di spettacolo e opere d’arte, ora ci aspettiamo che insorgano, con pari indignazione, per il consueto megaspettacolo sindacale del 1° maggio, l’assordante e invasivo concerto allestito da anni a ridosso di San Giovanni in Laterano, la più antica basilica della cristianità, un tesoro dell’arte e dell’architettura. Si indigneranno se verrà fatto di nuovo lì? Non ricordo di aver sentito alcuna lagnanza negli anni passati e penso che nemmeno quest’anno ne sentiremo. Sui giornaloni laici sono troppo impegnati a sorvegliare i due piccoli, innocui e marginali pannelli di Piazza San Pietro.

Fonte: 18 marzo 2009

6 - IL PAPA IN AFRICA 1
Il viaggio cucinato dai mass media e quello che c'e' stato davvero
Autore: Mimmo Muolo - Fonte: 22 marzo 2009

 Tutto ci si sarebbe aspettato dal primo viaggio in Africa di Benedetto XVI, ma non che alla fine i viaggi sarebbero stati addirittura due. Quello vero e quello raccontato da gran parte dei media occidentali. Si comincia ancor prima di toccare il suolo africano. A bordo dell’aereo, il Papa parla della fede gioiosa degli africani, dei problemi economici mondiali che rischiano di affondare ancor più il continente già duramente provato dalla povertà. Ma tutto si concentra su una frase: «L’Aids non si combatte distribuendo preservativi, che anzi aggravano il problema». Niente di nuovo sul piano del magistero della Chiesa, ma le reazioni dei soliti ambienti radical chic sono durissime. «Il Papa condanna a morte milioni di africani» è più o meno la vulgata del suo discorso, volto in realtà a ricordare come il profilattico non serva, se a monte non c’è un’autentica educazione sessuale e non si concentrano le risorse sulla cura dei malati. Anzi, all’arrivo a Yaoundé Benedetto XVI chiede espressamente medicinali gratis per tutti. Ma su questo, naturalmente, i mass media del primo mondo tacciono.
  Così come è quasi impossibile trovare traccia della trionfale accoglienza che gli africani (gli stessi che lui vorrebbe «condannare a morte») gli tributano in tutte le fasi della visita. I giornali di Yaoundé, il giorno dopo l’arrivo, hanno titoli del tipo 'In trionfo', ma nella Ue scendono in campo perfino diverse cancellerie e si scatena la solita canea dei sostenitori del business del preservativo. «Il Papa è un irresponsabile», è il commento più benevolo, e alcuni interventi sono davvero al limite dell’offesa personale. Tuttavia gli autori di tali dichiarazioni appartengono al gruppo di quei Paesi ricchi che nel Round di Doha hanno promesso di devolvere lo 0,7 per cento del Pil agli aiuti allo sviluppo e non l’hanno mai fatto; che attuano una colonizzazione economica che fa rimpiangere persino quella politica di qualche decennio fa; e che dimenticano sistematicamente guerre, carestie e malattie (leggi Darfur e malaria, ad esempio), a causa delle quali, invece, la gente muore davvero.
  Il Papa no. Non dimentica. Parla dei problemi dell’Africa, chiede il rispetto degli impegni presi a Doha, denuncia corruzione politica, guerre fratricide, violenze sulle donne e sui bambini, visita malati e rifiuta i conflitti in nome di Dio. Ma torna a far notizia solo quando stigmatizza che sotto il concetto di 'salute riproduttiva delle donne' si voglia far passare l’aborto come mezzo di regolazione delle nascite. E di nuovo fioccano le polemiche, con il fondo toccato da chi interpreta le parole del Pontefice come un appoggio al vescovo di Recife e alla sua frettolosa scomunica nei confronti della bambina brasiliana costretta ad abortire dopo la violenza subita dal patrigno. Incredibile ma vero. È successo anche questo nel viaggio mediatico di Benedetto XVI.
  Quello vero è un’altra cosa. È la risposta di chi sa che la vera speranza non viene da quanti vogliono vendere quantità industriali di preservativi per i propri interessi economici, ma da uomini e donne come i tanti sacerdoti religiosi e laici che ogni giorno stanno a fianco dei poveri. Questo fa la Chiesa, questo è venuto a testimoniare il Papa. E gli africani lo hanno compreso. A differenza di tanti commentatori occidentali.

Fonte: 22 marzo 2009

7 - IL PAPA IN AFRICA 2
La verita' su profilattico e aids
articolo non firmato

 Dopo il caso dei “Lefebvriani” un altro attacco al Papa. Offriamo delle considerazioni sulla questione “profilattico/AIDS” per poter chiarire le idee, nostre ed altrui, nella convinzione che sempre (ma oggi ancor di più) siamo chiamati a testimoniare –costi quel che costi- la Verità ovunque ci troviamo. Elenchiamo cinque punti.
 1) IL PROFILATTICO NON EVITA NECESSARIAMENTE LA TRASMISSIONE DI MALATTIE
Per due motivi. Primo, perché il profilattico non è il contraccettivo più sicuro. Secondo, per la sua stessa struttura. Veniamo al primo motivo. Tempo fa, in televisione, andò in onda uno spot in cui si reclamizzava una marca di profilattici con una sovrascritta che diceva: “il preservativo è il mezzo più sicuro per evitare una gravidanza indesiderata”. Dopo un po’ di tempo si continuò a trasmettere lo spot senza più la sovrascritta. Successivamente venimmo a conoscenza che le case produttrici di pillole antifecondative avevano minacciato querela contro quella falsa informazione pubblicitaria. Infatti, è risaputo che il mezzo contraccettivo più sicuro è appunto la “pillola”. Ragioniamo. Se la “pillola” ha un margine di sicurezza non del 100% vuol dire che il profilattico ne ha uno inferiore (si parla dell’80% e ancor meno). Dunque, se può fallire relativamente al concepimento, a maggior ragione può fallire come mezzo per evitare la trasmissione di malattie. Passiamo al secondo motivo, ovvero alla struttura stessa del profilattico. Esso ha una porosità che può non ostacolare la trasmissione del virus. Teniamo presente che il virus è molto più piccolo del batterio e che inoltre questa stessa porosità può facilmente alterarsi in conseguenza dello stato di conservazione e delle temperature. Scrive Tommaso Scandroglio, docente alla Facoltà di Bioetica dell’Ateneo “Regina Apostolorum”: “Il preservativo presenta fori 50 volte più grandi del virus dell'AIDS e quindi questo virus può benissimo attraversare la parete di gomma del profilattico. La dottoressa Susan C. Weller ha studiato la frequenza della trasmissione del virus, usando sempre il preservativo per un anno, tra coppie di marito e moglie nelle quali uno solo dei due partners è sieropositivo. In questo studio è emerso che ben il 30% delle persone sane si è ammalato nell'arco di un anno; ciò a dimostrare che questi soggetti, nonostante l'uso continuato del preservativo, sono stati contagiati dal loro coniuge. Una percentuale strabiliante che, se confermata, inficia del tutto il comune pensare di tanti promotori delle campagne del "sesso sicuro".
  2) L’EFFICACIA OCCASIONALE NON DIVIENE EFFICACIA GENERALE, ANZI ACCADE PROPRIO IL CONTRARIO
Si obietta: ma se ciò è vero, è pur evidente che il profilattico qualcosa fa. Ebbene, a questa obiezione si risponde facilmente con un esempio. Dinanzi a noi c’è un cestino con 80 bussolotti bianchi e 20 bussollotti neri. Facciamo, bendati, una sola estrazione, è evidente che saranno molto di più le probabilità di pescare il bussolotto bianco piuttosto che quello nero; ma se invece di una sola estrazione ne facciamo decine e decine, allora le possibilità di prendere anche il bussolotto nero diviene quasi certa. In  questo caso se io non dico che ciò che si deve evitare è fare le estrazioni, ma mi limito a comunicare che sono più i bussollotti bianchi rispetto a quelli neri non eviterò a chi farà le estrazioni di afferrare anche questi ultimi, per il semplice motivo che molti penseranno che questa stessa percentuale eviterà loro ogni problema. Fuor di esempio: se si afferma “utilizzate il profilattico e non avrete problemi” è evidente che non si risolve nulla, perché tutti penseranno che basti questo quando invece la soluzione è la castità e la fedeltà monogamica.
 3) LE POLITICHE DI DIFFUSIONE DEL PROFILATTICO SONO CHIARAMENTE FALLITE
Uno degli stili tipici di certo laicismo è quello di non voler riconoscere i fatti. L’ideologia avrebbe sempre ragione a prescindere. Un noto marxista un giorno disse: Se i fatti non ci daranno ragione, peggio per i fatti! Ecco perché il laicismo non dice che le politiche di diffusione a tappeto di profilattici non hanno affatto risolto il problema…anzi. Basti pensare ai casi della Thailandia e della stessa Africa. Proprio in questo continente ci sono due soli dati in controtendenza che sono la Nigeria e l’Uganda. Non a caso Paesi dove forte è la presenza cattolica, e quindi è meno diffusa la promiscuità sessuale. In Uganda è stato il governo a scegliere la cosiddetta politica dell’A-B-C in senso di importanza: privilegiare l’astinenza (abstinence-A), poi la fedeltà monogamica (being faithful-B) e infine il profilattico (condom-C).
 4) PER I CATTOLICI NON È POSSIBILE ALCUN DISSENSO
Rammarica sentire molti cattolici dissentire sulle parole del Papa, forse proprio perché queste parole hanno avuto il merito di porre anche un’altra questione che è quella della diffusione della contraccezione perfino tra i cattolici. Va detto chiaramente che l’uso dei contraccettivi costituisce peccato mortale. L’enciclica Humanae Vitae, scritta da papa Paolo VI (dunque Ratzinger non c’entra!) dice testualmente: “E’  esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione.” Adesso vi offriamo due citazioni di Giovanni Paolo II, quel papa cioè che stando ad alcuni quotidiani sarebbe stato molto diverso (nel senso di più aperto) rispetto a quello attuale. D’altronde anche questo è uno stile del laicismo: il papa precedente è sempre migliore di quello attuale. Queste due citazioni le offriamo ai fedeli, ai teologi ed anche ai confessori. La prima è del 12 novembre del 1988, al Congresso Internazionale sulla Teologia Morale a Roma, in occasione del ventesimo anniversario dell’Humanae Vitae: “Quando scriveva che l’atto contraccettivo è intrinsecamente illecito, Paolo VI intendeva insegnare che la norma morale è tale da non ammettere eccezioni. Nessuna circostanza personale o sociale potrà né ora né mai rendere di per sé un tale atto lecito. Il fatto che esistano determinate norme concernenti il modo di agire dell’uomo nel mondo, munite di una forza vincolante tale da non ammettere per nessuna ragione alcuna possibilità di eccezioni, fa parte dell’insegnamento costante della Tradizione e del Magistero della Chiesa, e il teologo cattolico non può metterlo in dubbio.”  Ecco invece cosa Giovanni Paolo II disse, il 14 marzo 1988, ai partecipanti alla IV Conferenza Internazionale per la Famiglia d’Europa e dell’Africa: “Eppure, non posso tacere il fatto che oggi molti (sacerdoti) non aiutano le coppie sposate ad affrontare le proprie responsabilità, anzi tendono a creare maggiori ostacoli sul loro cammino (…). Questo può anche avvenire, con conseguenze davvero gravi e distruttive, quando si metta in dubbio la dottrina insegnata dall’Enciclica (l’Humanae Vitae), come è talvolta di alcuni teologi e pastori d’anime. Questo atteggiamento, difatti, può fare nascere dei dubbi su un insegnamento che la Chiesa ritiene certo; in questo modo offuscano la percezione di una verità che non può essere messa in dubbio. Questo non è certo segno di ‘comprensione pastorale’, bensì di comprensione erronea del vero bene delle persone. Non si può misurare la verità usando per metro le opinioni della maggioranza.”
 5) MA ALLORA COSA C’È DIETRO QUESTA VOLONTÀ DI NON CAPIRE?
Primo: il non voler riconoscere ciò che si è sbagliato. La cultura contemporanea si è anche costruita sulla cosiddetta “rivoluzione sessuale” atta a realizzare quella sovversione all’interno dell’uomo che doveva costituire l’esito ultimo del rifiuto dell’ordine naturale. Secondo: la volontà di colpire la Chiesa in generale e questo Pontefice in particolare, il quale si sta sforzando di precisare quanto la Chiesa cattolica non può venire a patti con il Mondo e con la Storia, ma è tenuta a rispettare il suo mandato: salvare il Mondo e la Storia! 


8 - IL PAPA IN AFRICA 3
La Chiesa cattolica e l'aids
Autore: Padre Bernardo Cervellera - Fonte:

“Non si può risolvere il flagello [dell’Aids] con la distribuzione di preservativi: al contrario, il rischio è di aumentare il problema”. Da giorni questa frase di Benedetto XVI viene accusata di insensibilità verso la tragica epidemia che colpisce molte parti del mondo, ma soprattutto l’Africa.
Il ministro olandese Bert Koenders ha detto che le parole del pontefice sono “estremamente pericolose e molto gravi” e che il papa “rende le cose più difficili”; il ministero francese degli esteri ha detto che i commenti di Benedetto XVI sono “una minaccia alla salute pubblica e al dovere di salvare vite umane”; il ministro tedesco della sanità ha giudicato “irresponsabile” il privare del preservativo i “più poveri dei poveri”.
Tanto (falso) umanitarismo di rappresentanti di governi europei è anzitutto irrazionale e per nulla scientifico. La stessa agenzia Onu per la lotta all’Aids ha dovuto confessare – in uno studio del 2003 - che il condom fallisce in almeno il 10% dei casi. Altri studi dimostrano che le percentuali di fallimento nel fermare l’epidemia raggiungono anche il 50%. In Thailandia, il dott. Somchai Pinyopornpanich, vicedirettore generale del dipartimento per il controllo delle malattie a Bangkok, afferma che si ammala di Aids il 46,9% di uomini che usano il preservativo e il 39,1% delle donne.
Anche l’affermazione del papa che “il rischio è di aumentare il problema” è confermato dalle statistiche. Paesi come il Sud Africa, che hanno abbracciato in pieno la campagna sul “sesso sicuro” con l’uso del condom, sostenuta dall’Onu, l’Unione europea e varie organizzazioni non governative, hanno visto uno spaventoso incremento della diffusione dell’Aids. Al contrario, Paesi dove si spingeva alla responsabilità, all’astinenza e alla fedeltà, hanno visto una riduzione dell’epidemia.
Valga per tutti lo studio del dott. Edward Green del Centro sulla popolazione e lo sviluppo di Harvard che ha verificato il programma ABC (Abstinence; Be faithful; Condom, cioè astinenza, fedeltà, preservativo) applicato in Uganda dal 1986 e che, dal 1991, ha visto un declino delle infezioni dal 21% al 6%. Non va dimenticato che Green era un sostenitore del “sesso sicuro” con il condom e invece è divenuto un sostenitore dell’astinenza e della fedeltà nei rapporti di coppia.
Molti studi – anche quelli promossi dall’Onu – hanno dimostrato che le nazioni che più hanno fatto uso di preservativi sono pure quelli con le maggiori percentuali di infetti da Aids. Norman Hearst, medico ed epidemiologo dell’università della California, uno studioso del settore, ha ammesso una volta: “La promozione di condom in Africa è stata un disastro”.
E tanto per vedere la “pericolosità” dell’influenza cattolica sulla diffusione dell’Aids, basta citare il caso delle Filippine, Paese cattolico all’85% dove la percentuale di malati di Aids è dello 0,01%.
Lo stesso New York Times, che in questi giorni ha attaccato il papa per la sua frase “pericolosa”, ha dovuto ammettere la vittoria sull’Aids nelle Filippine, dovuta alla moralità tradizionale, basata sull’astinenza e sulla fedeltà. In un articolo del 20 aprile 2003 definiva l’arcipelago filippino come un luogo in cui “un bassissimo uso dei condom e una bassissima percentuale di infezioni da Hiv sembrano andare mano nella mano. Gli sforzi di prevenzione dell’Aids sono spesso focalizzati sull’uso del preservativo, ma qui non sono facilmente reperibili – e in maggioranza disprezzati – in questa nazione di cattolici conservatori”.
Davanti a tutti questi dati ci si può domandare come mai personalità dell’Onu, dell’Ue e organizzazioni “umanitarie” continuino a sbandierare la necessità dell’uso dei condom e bastonano la Chiesa cattolica per la sua sottolineatura sull’importanza dell’educazione, dell’astinenza e della fedeltà nei rapporti di coppia.
È possibile che lo facciano per guadagnare? Che abbiano tutti delle azioni nelle ditte che producono preservativi? Forse no. Credo che questo accanimento sul condom e contro la Chiesa cattolica e il papa siano solo un’ultima edizione di una forma di neocolonialismo. Anzitutto – come ha detto un missionario del Pime in Africa da decenni – si pensa che l’uomo africano non possa essere educato alla responsabilità e per questo ridurre il “sesso sicuro” alla tecnica è la risposta più facile.
E non bisogna dimenticare che eliminando la responsabilità e la fedeltà dal rapporto di coppia si spinge a un uso strumentale il corpo della donna africana, e non solo. Avviene così che i più accaniti femministi, sventolando i condom, divengano i propugnatori di un nuovo schiavismo.
Ma il neocolonialismo più pericoloso è quello di far passare con la lotta all’Aids una rivoluzione pansessuale, dove manchi qualunque riferimento ideale e rimangano ferme solo due cose: l’autonomia e il narcisismo della rivoluzione sessuale e la cura contro l’Aids. Da anni l’Onu e l’Ue stanno cercando di promuovere un documento chiamato “Linee guida sull’Aids e diritti umani” in cui si suggerisce che se in ogni nazione non si cambiano le leggi sulla sessualità, l’Aids non potrà essere sconfitto. Le “Linee guida internazionali” chiedono una completa libertà sessuale dove vengano riformate le leggi che “proibiscono atti sessuali (compresi adulterio, sodomia, fornicazione e incontri di commercio sessuale) fra adulti consenzienti e in privato”, ma anche con minori (pedofilia). In tal modo le Linee guida salvano quegli atteggiamenti che sono causa della diffusione dell’Aids, ma si premuniscono chiedendo che ogni nazione metta a disposizione medicine e cure. Esse richiedono la legalizzazione internazionale del matrimonio omosessuale; l’aborto possibile ovunque e per ogni donna; ma suggeriscono che contraccettivi, condom e cure anti-Aids siano distribuiti a tutti, anche a minori usati nel commercio sessuale, (cfr. http://data.unaids.org/Publications/IRC-pub07/jc1252-internguidelines_en.pdf).
La lotta mondiale all’Aids a colpi di condom è in realtà la lotta per questa ideologia.


9 - IL PAPA IN AFRICA 4
Per l'aids, una testimonianza sul campo
Autore: Paolo M. Alfieri - Fonte: 21 marzo 2009

 «Quello che in molti faticano a capire è che il danno maggiore provocato dalla diffusione dei profilattici in Africa come mezzo per contrastare l’Hiv è di tipo culturale. Il sesso, nella cultura tradizionale africana, è sempre stato visto come un impegno serio da parte di due persone per un progetto di vita. Tutto ciò, però, in molte aree è cambiato: la diffusione del profilattico, infatti, ha reso il sesso niente più di un gioco da prendere alla leggera».
 Parola di Sam Orach, medico ugandese e segretario dell’Uganda Catholic Medical Bureau. Dottor Orach, lei parla di una «invasione culturale» subita dall’Africa anche in campo sessuale…
 Sì, assolutamente. Faccio un esempio: nelle società tradizionali africane se un uomo chiedesse a una donna di avere un rapporto sessuale con l’uso del profilattico otterrebbe un rifiuto. Questo perché la donna penserebbe che quello non è un uomo di cui fidarsi, è un uomo che ha rapporti con molte donne, o che, viceversa, lui non si fida di lei. L’invasione culturale che propaga il sesso come poco più che un passatempo, la stessa che spesso sponsorizza il profilattico, va a minare questa mentalità. Con danni gravi nella lotta all’Hiv.
 Spesso si cita l’Uganda come caso di successo.
 È vero, ed è interessante sottolineare che questo successo deriva dall’attenzione posta sull’educazione piuttosto che sulla diffusione del profilattico. In Paesi in cui questo è stato propagandato in modo capillare, come lo Swaziland, il contagio è aumentato o è rimasto invariato. In Uganda si nota una minore diffusione di Hiv in distretti quali il West Nile e il Karamoja, in cui la cultura tradizionale di cui parlavo prima non ha subito influenze esterne. Perché allora non aiutare le comunità a preservare questa cultura con l’educazione e a ridurre di conseguenza l’esposizione al rischio?
 Di quale educazione parla?
 Guardi, noi non abbiamo combattuto armi in pugno contro coloro che promuovevano il profilattico. Quel che abbiamo fatto, invece, è stato chiedere di lasciarci promuovere anche le alternative, come l’astinenza e la fedeltà di coppia. Queste ultime opzioni sono importanti ed efficaci, e in molti qui lo hanno capito. C’è però bisogno di continuare su questa strada puntando sulla prevenzione.
 Come hanno affrontato i media africani le polemiche di questi giorni?
 Vi hanno dedicato poco spazio e quindi credo che anche la gran parte della gente le ignori. Il punto è: i giornali che attaccano il Papa lo fanno perché pensano abbia torto o perché stanno promuovendo gli interessi di qualcun altro? L’unica cosa di cui posso esser certo è che non sono stati gli africani a contrapporsi a quanto detto dal Pontefice.
 Cosa condivide delle parole di Benedetto XVI?
 Innanzitutto c’è da dire che il Papa non ha offeso nessuno: ha solo chiesto di compiere la scelta giusta. In ogni famiglia spetta al padre consigliare il figlio per il suo bene. Il Papa ha sottolineato che il condom non è la panacea nella lotta all’Hiv. Il problema è che molti non accettano o negano il fatto che ci sono altri metodi per il controllo dell’Hiv, dall’astinenza alla fedeltà nel matrimonio. È qui che nasce il conflitto di opinioni. Ma la Chiesa non può far altro che insegnare il meglio. Bisogna evitare il rischio, e ciò può essere fatto mantenendo un comportamento sessuale responsabile.
 Benedetto XVI ha chiesto l’accesso gratuito alle cure...
 Anche qui ha ragione. Se una persona ha l’Hiv la società deve fare di tutto per aiutarla. In Uganda in 100mila hanno accesso alla terapia antiretrovirale, ma sono più di 300mila quelli che ne hanno bisogno. È altresì vero che se spendiamo ogni risorsa per i farmaci e dimentichiamo di impegnarci sulla prevenzione, presto realizzeremo che non ci sono abbastanza soldi. Oltre ad aiutare chi è già in difficoltà, insomma, bisogna fermare la piena del fiume in tempo se si vuole evitare di restare tutti travolti.

Fonte: 21 marzo 2009

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