SULL'EUTANASIA, IGNAZIO MARINO CITA IL CATECHISMO, MA LO FA PER INGANNARE I CATTOLICI
Il neoeletto sindaco di Roma sostiene il diritto a togliersi la vita fino alla possibilità di sospendere nutrizione e idratazione, in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa
di Giacomo Samek Lodovici
«Sulla fine della vita mi trovo assolutamente d'accordo con il Catechismo della Chiesa cattolica»: l'ha dichiarato lunedì Ignazio Marino, candidato sindaco di Roma, citando il punto 2278, nel quale si spiega che «l'interruzione di procedure mediche straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all''accanimento terapeutico'. Non si vuole procurare così la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente [...] o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente». Impossibile tuttavia non ricordare che Marino è da tempo un paladino del testamento biologico, e per come questo viene inteso da chi ne richiede l'adozione (l'autodeterminazione spinta fino a farsi dare la morte) esso è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa.
Infatti, o il testamento prevede solo la possibilità che si esiga di non subire terapie sproporzionate, rafforzando quello che è già un dovere del medico, o prevede anche la possibilità di rifiutare terapie proporzionate e/o l'idratazione e l'alimentazione.
In un appello pubblico del 2008 (di cui Marino fu primo firmatario) si legge: «Chiediamo una legge che dia a chi lo vuole [...] la possibilità di indicare, quando si è pienamente consapevoli e informati, le terapie alle quali si vuole essere sottoposti, così come quelle che si intendono rifiutare, se un giorno si perderà la coscienza e con essa la possibilità di esprimersi». I fautori del bio-testamento si spendono sempre per includervi la sospensione di alimentazione e idratazione a chi si ritrovasse in stato «vegetativo», cioè la possibilità di far morire di fame e di sete queste persone se l'hanno chiesto per iscritto in passato.
Si potrebbe argomentare che dar da mangiare e da bere non significa mettere in atto una terapia. Si potrebbe ancora argomentare che, anche qualora fossero terapie, la vera questione è vagliare, caso clinico per caso clinico, se siano pratiche proporzionate o sproporzionate. Infatti, alimentazione e idratazione vanno sospese solo e soltanto se non riescono a nutrire o idratare, cioè non sortiscono il loro effetto. Ma qui possiamo solo rilevare che chi assume una simile posizione è in contrasto con quanto detta la Chiesa con Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, due Papi cui invece Marino si è esplicitamente richiamato.
Papa Wojtyla, per esempio in un discorso del 20 marzo 2004, diceva: «Vorrei sottolineare come la somministrazione di acqua e cibo, anche quando avvenisse per vie artificiali, rappresenti sempre un mezzo naturale di conservazione della vita, non un atto medico. Il suo uso pertanto sarà da considerarsi, in linea di principio, ordinario e proporzionato, e come tale moralmente obbligatorio, nella misura in cui e fino a quando esso dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che nella fattispecie consiste nel procurare nutrimento al paziente e lenimento delle sofferenze».
Fonte: Avvenire, 06/06/2013
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