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PANORAMA E IL PRETESO SCOOP SUI PRETI GAY
I giornali fanno di tutto per gettare melma sulla Chiesa ma non ci ruberanno la fiducia nei nostri sacerdoti
di Marina Corradi
 

Nella bonaccia di un luglio scarso di quei fatti di cronaca che aiutano le tirature dei giornali, uno dei più diffusi settimanali italiani dedica la copertina alle 'notti brave dei preti gay'. Sette pagine fitte di viaggio fra i peccati dei preti nella Città Eterna, fra feste, pub e saune; dove un prete afferma che 'il 98 per cento dei sacerdoti che conosce è omosessuale'. Foto, registrazioni, puntigliose verifiche, una ostinazione da Pulitzer. Per dimostrare cosa? Che ci sono, fra le molte centinaia di preti che vivono o studiano a Roma, dei gay. Mettiamo per ipotesi che tutto ciò che racconta Panorama sia oro colato. Che alcuni sacerdoti a Roma vivano una doppia vita. È un fatto che provoca dolore e sconcerto in un credente. Ma quella inchiesta accanita, quelle compiaciute immagini di mani maschili con le unghie laccate che sgranano una corona di Rosario, a cosa tendono davvero? Mettiamo che sia proprio tutto vero, la doppia vita, le feste e il resto. Quanto pesa la indegnità di alcuni di fronte della vita di 336 parrocchie romane, dove oltre 1300 preti – con una vita sola – si affannano ogni giorno a dir messa, a stare accanto agli esclusi, a educare ragazzi? La mole di una quotidiana oscura fatica annientata da quell’indice puntato sullo scandalo. Scandalo spiato, pedinato, zelantemente fotografato; a dire a chi legge, vedete, tutto è falso, bugia – tutto, in fondo, fango. Tra l’esercizio di questo compiaciuto nichilismo e la realtà però c’è una distonia netta, che chi frequenta chiese e oratori non può non vedere. I preti, a Roma e altrove, sono altra cosa da quei poveri commedianti raccontati da Panorama . Sono uomini che si spezzano la schiena tra i ragazzi, in oratori di periferia; sono i missionari che passano la vita intera in posti in cui noi non resteremmo tre giorni; sono quelli che ai vecchi e agli sconfitti testimoniano che non è tutto finito. È un esercizio mediatico di moda, oggi, gettare melma sui preti. Come, al di là dei loro peccati veri o presunti, in una sorda ostilità; nel bisogno di dimostrare quanto è assurdo promettere fedeltà, assoluta e per sempre, a un Dio. (Fedeltà? Ma via, guardate questi, in tonaca la mattina e al pub dei gay la sera). L’indice puntato sullo scandalo però lascia nel buio la parte più grande della realtà – la parte buona, che milioni di credenti ben sanno. Occorre guardarsi, dal riflettore che illumina una sola parte di ciò che è. Perché pretende di annientare, per la colpa di alcuni, un bene molto più grande. Tende a annichilire la nostra fiducia in mille altre facce. Facce di poveri uomini, che però ogni giorno testimoniano un’altra certezza, e una speranza infinitamente più grande. Squallida, se è vera, la storia dei preti che passano dai festini all’altare. Dei poveracci. Come, in forme meno vistose ed eclatanti, siamo in fondo quasi tutti noi: un poco bugiardi, infedeli, furbi. Guardateli, dice la grande inchiesta, i vostri preti, che cosa sono in realtà. Davvero, è la domanda, potete credere in simili uomini? Non esiste nessuno che meriti fiducia. Ministri di Cristo? Ma via, leggete qui dove vanno, la sera. Così un tarlo cerca di rodere la nostra speranza Usando il male per dire che il bene non esiste. E che l’unica cosa vera, attorno a noi, è il nulla. Però, guardatevi intorno: quel prete che sta accompagnando i vostri figli per i sentieri delle Dolomiti, quelli che camminano per i corridoi degli ospedali e delle carceri, o dicono messa ogni mattina in paesi dimenticati da tutti: nell’ombra, senza alcuna copertina, testimoni ostinati di speranza. Una speranza del tutto altra, e straniera a quelle millantate dai giornali.

 
Fonte: Avvenire, 24 luglio 2010