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"Cosa è stata la Gmg di Madrid? Cosa avete fatto?". Ho pensato più volte a come rispondere alle domande che mi avrebbero fatto parenti e amici al ritorno da Madrid, dove sono stato dal 15 al 21 agosto insieme a 30 ragazzi. Rispondere è molto difficile, ma penso sia opportuno raccontare una esperienza indimenticabile, e forse, in verità, indescrivibile.
Madrid, è stata anzitutto, dicevo al telefono a mia moglie, un "delirio": ore e ore di viaggio, con l'aereo o con il pulman, per italiani, asiatici, americani, australiani... Al termine delle quali si approdava in un'immensa città in cui per sette giorni abbiamo vissuto tutti "gomito a gomito" con migliaia e migliaia di connazionali e di stranieri. Condividendo i bagni, ridotti spesso a latrine, le docce, e le interminabili file per raggiungerli; condividendo la caccia a un ristorante dove mangiare, magari dopo un'ora o più di coda; provando la stessa sete, sotto un sole agostano sempre abbacinante e implacabile.
Non sto raccontando i contorni, come si potrebbe credere, ma una parte sostanziale della Gmg. Prima dei catechismi, delle messe, delle preghiere, la Gmg è stata tutto questo: un immenso esercizio alla pazienza, alla condivisione, alla fatica. Pellegrinaggio, infatti, è, da sempre nella storia, sinonimo di sacrificio: i pellegrini sono coloro che vogliono raggiungere una meta, lontana, difficile, ma per cui vale la pena partire. Sono persone che lasciano tutto ciò che hanno, il conforto delle loro case, la vita agiata e sicura di ogni giorno, per un qualcosa di più, che però non è gratis, né immediato.
Personalmente, in questi sette giorni di preparazione e di attesa per l'incontro col Papa, ho visto i miei ragazzi, alcuni dei quali, magari, un po' viziati come siamo tutti noi europei di oggi, stringere i denti, aiutarsi l'un l'altro, obbedire senza lamentarsi, fare interminabili file sotto il sole senza maledire nessuno. Perdonandosi volentieri a vicenda per questa o quella mancanza.
Ricordo una cena all'una di notte, un'altra alle due, perché prima era stato impossibile raggiungere un qualsiasi locale; bagni sognati, ma introvabili; docce raggiunte dopo code interminabili, eppure gelide; ricordo un po' d'acqua, anche calda, cercata con l'avidità dei beduini nel deserto; oppure ragazze a terra, sfinite dal sole, e gli amici intorno, a dar loro acqua, a sventolare giornali e ventagli. Ricordo camerate con migliaia di persone, afose e, diciamolo, puzzolenti, in cui non è mai (o quasi) sparito un oggetto, in cui non c'è mai stato un attimo di vera tensione.
Ecco, questo era il contorno alla vita di migliaia e migliaia di giovani che ogni mattina si spostavano - dopo aver passato la notte in grandi dormitori, per terra -, per raggiungere un luogo, costipato sino all'inverosimile, in cui avrebbero ascoltato un vescovo o un predicatore. Il tutto senza scenate, stringendo i denti, tirando fuori il meglio, nelle condizioni peggiori. Sino alla sera della veglia, il sabato 20: dopo anche otto ore ad attendere al sole, finalmente l'arrivo del Papa, il tempo di emozionarsi un po' e poi, subito dopo, un vento potente e la pioggia pungente...
Mentre il Papa parlava, anche lui stupito di quella immensa folla sconfinata, i pellegrini lanciavano sguardi ai sacchi a pelo bagnati, comprendendo che un'altra notte sarebbe passata senza quasi dormire. Ridere o piangere? Molti hanno iniziato a cantare, altri a ridere, altri ad abbracciarsi di fronte all'ennesima difficoltà. Pronti, però, a inginocchiarsi, in più di due milioni di persone, contemporaneamente, per adorare Cristo Eucaristia al canto del Tantum Ergo, in un perfetto, incredibile silenzio, rotto qua e là solo dal passare di un'ambulanza che andava a accogliere l'ennesima persona crollata a terra per la fatica.
In quel silenzio, in quell'atmosfera incredibile, il senso del Mistero si è fatto presente, con una forza inaudita. Lì, tra milioni di persone, di tende, di bandiere colorate, di anime tese e vibranti. In mezzo a quel silenzio quasi irreale. Ammoniva madre Tersa di Calcutta: «Il frutto del silenzio è la preghiera; il frutto della preghiera, la fede; il frutto della fede, l'amore».
Sì, a Madrid c'è stata anche tanta preghiera. Così tanta, che proprio non me la aspettavo. Pensavo che avrei sicuramente visto tanti giovani ardenti, ma anche tanta promiscuità, tanta voglia di fare solo "casino", come avviene nei raduni di massa dei concerti o dei moderni baccanali pagani, a base di alcol e dissipazione. Invece ho negli occhi ragazzi e ragazze vicini, accanto, per ore, capaci di parlare, pregare, cantare, magari riposare un attimo, sempre con uno spirito buono, semplice, con stile cristiano.
Il Papa, certamente, ha aiutato. Ha voluto, infatti, celebrazioni sobrie, con tanto latino, la lingua della chiesa, sacrale ed universale; ha ridotto al minimo lo spazio per gli applausi alla sua stessa persona; ha caldeggiato svariati momenti di preghiera e di adorazione eucaristica, sia durante la veglia che in tutti i giorni della settimana.
Soprattutto Benedetto XVI ha voluto che si dedicasse tanto tempo a un sacramento essenziale, ma piuttosto dimenticato anche dai cattolici: la confessione. Nel Parco del Buon Ritiro, duecento confessionali disposti in due lunghe file, sono stati sempre a disposizione dei pellegrini. Ho visto persone piangere, come liberate, grazie al sacramento della penitenza, dal male che sentivano dentro; ho visto confessarsi persone che non lo facevano più da anni; ho visto volti assorti, nel silenzio e nella contemplazione. Volti belli, sereni, illuminati dal sorriso e dalla compunzione.
Ho visto migliaia di giovani inginocchiati, umilmente, a implorare il perdono e ad assaporare l'immensa Misericordia di Dio, pronta sempre ad abbracciare il peccatore pentito. Memori, i più fortunati, di una strepitosa catechesi del cardinal Angelo Bagnasco, in cui ci aveva ricordato che esiste il peccato, che il relativismo separa e divide, mentre la verità unisce; che la gioventù sta nel cuore e non negli anni; che la "vecchiaia vera" è quella del peccato e del rifiuto di Dio…
A Madrid, insomma, ho notato una attenzione nuova ai sacramenti fondamentali della vita cristiana, Eucaristia e confessione; ho sentito parole forti, e giovani contenti di ascoltarle; ho visto ragazzi e ragazze di tutti i paesi del mondo sentirsi uniti dalla fede, nonostante le differenze di paese, di cultura, di colore, di lingua; ho osservato sacerdoti e religiosi portare con orgoglio il proprio abito; ho ammirato giovani pregare ad alta voce nei ristoranti, prima di mangiare, senza vergogna; ho visto 28mila volontari per lo più spagnoli dare ogni attimo delle loro giornate, gratuitamente, per indicare una strada, per segnalare una via...
Accanto a tutte queste cose belle, non posso non rilevare alcune pecche. Anzitutto la disorganizzazione, soprattutto l'ultimo giorno, quando oltre due milioni di persone si sono trovate spesso senza acqua, sotto un sole cocente. Penso sia inevitabile notare che l'incapacità degli organizzatori di affrontare un sì grande oceano di folla, sia stata dovuta anche alla sorda ostilità del governo Zapatero, fieramente deciso a boicottare l'evento (come è chiaro se si pensa ad esempio che le forze dell'ordine in un aeroporto che conteneva oltre due milioni di persone erano alcune decine, cioè quelle che nel nostro paese si mandano fuori da un palazzetto dello sport durante una partitella di pallavolo).
La seconda nota stonata sono stati i manifestanti cosiddetti "laici", intolleranti e violenti, che hanno insultato, sputacchiato, oltraggiato centinaia di pellegrini, compresi adolescenti intimoriti e spaventati, incapaci di comprendere il motivo di tanto odio. A tener bordone a questi scalmanati, le paginate piene di bile e di rancore del quotidiano di sinistra El Pais, volgare nei suoi titoli, nelle sue cronache, nei suoi commenti, nelle sue banalizzazioni e falsificazioni, come neanche la Repubblica, in Italia, riesce a essere.
Ma a ben vedere anche questo, anche l'ostilità di Zapatero, dei giornali e degli indignados "laici", hanno avuto il loro significato: ci hanno ricordato che non sono mai mancati i nemici di Cristo. Anche lui è stato sputacchiato ed insultato. Esserlo oggi, significa, forse, aver ritrovato un po' di quel sale che rende la Fede più saporita, più vigorosa, più capace di essere segno di contraddizione e pungolo per tutti.
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