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« Torna agli articoli di Ermes Dovico
Se non si è superata fin qui la fantasia di Kafka (vedi l'infelice Josef K. del suo Processo), è solo perché il caso di Novak Djokovic è finito davanti a un giudice, Anthony Kelly, che ha mostrato buonsenso. Ricordiamo in sintesi i fatti.
Dopo che il tennista serbo era stato trattenuto dai funzionari di frontiera all'aeroporto di Melbourne la notte tra il 5 e il 6 gennaio, e il suo visto temporaneo cancellato, il giudice Kelly nell'udienza di ieri ha ribaltato la decisione sul visto e disposto che Djokovic venisse liberato entro mezzora dalla detenzione per immigrati. Come è poi avvenuto. La toga australiana ha anche stabilito che il Ministero degli Interni, l'altra parte convenuta in giudizio, debba pagare le spese processuali di Novak. Nell'ordine del giudice si legge che il ministro Karen Andrews (che nei giorni precedenti l'udienza aveva detto che Djokovic non era prigioniero ma «libero di lasciare l'Australia») ha concesso che la decisione alla frontiera di cancellare il visto era «irragionevole» per le circostanze in cui è stata presa.
In particolare, alle 5.20 locali della mattina del 6 gennaio - dopo un'intera notte tra interrogatori vari nei quali il tennista aveva spiegato di avere tutte le carte in regola - a Djokovic era stato concesso tempo fino alle 8.30 (appena tre ore!) per riposare un po' e poter contattare i suoi legali, così da fornire le risposte capaci di evitare l'annullamento del visto. Ma gli stessi funzionari avevano svegliato il fuoriclasse neanche un'ora dopo cercando di convincerlo che fosse meglio per lui concludere prima l'interrogatorio, senza contattare nessuno. Risultato: alle 7.42 il visto di Djokovic veniva cancellato. Una (fondamentale) concessione di tempo rinnegata, insomma, come ha affermato, dopo aver letto i verbali degli interrogatori alla frontiera, il giudice Kelly. Il quale, in aula, ha pure osservato: «Abbiamo queste persone che dicono: "Guarda, contattare i tuoi avvocati non servirà a nulla, quindi perché non la finiamo qui?"».
DETENUTO IN UN HOTEL-PRIGIONE
Di fronte a questa plateale lesione dei diritti di Djokovic - cui si è aggiunta l'umiliazione di essere detenuto in un hotel-prigione per richiedenti asilo, privato di quasi tutti gli effetti personali, con cibo avariato e scarafaggi nelle camere (così la stampa), impossibilitato a partecipare alle celebrazioni del Natale ortodosso e senza potersi allenare per quattro giorni (fino a ieri, quando è andato alla Rod Laver Arena da uomo libero) - l'avvocato C. Tran, per il Ministero degli Interni, ha dovuto comunicare che il ministro Andrews aveva deciso di riconoscere l'irragionevolezza della decisione di cui sopra. Ma prima della fine dell'udienza la Corte è stata informata che un altro esponente del Governo australiano, il ministro per l'Immigrazione Alex Hawke, considererà se esercitare il suo potere personale, molto discrezionale, di cancellare comunque il visto.
Un fatto che potrebbe portare a un divieto di ingresso di Novak sul territorio australiano per 3 anni. Secondo quanto riferisce il giornale The Age, Hawke avrebbe dovuto decidere entro 4 ore, ma il ministro ha rinviato a martedì 11 gennaio ogni eventuale decisione. Nel momento in cui scriviamo, alla luce delle 7-10 ore di fuso orario con l'Australia, non sono trapelate novità.
Rimane il fatto che Djokovic si è dovuto districare tra una giungla di regole, conflitti e rimpalli di responsabilità che coinvolgono Tennis Australia - la federazione nazionale che ha un normale interesse alla partecipazione del numero 1 al mondo e campione in carica degli Australian Open -, lo Stato di Victoria (dove Djokovic è atterrato e dove si svolgerà il torneo dal 17 al 30 gennaio) e il Governo federale. Rimandando a The Age per una ricostruzione delle principali date della saga, ricordiamo che il serbo aveva ottenuto dal Governo federale il 18 novembre 2021 un visto temporaneo per l'ingresso nel Paese, poi un'esenzione medica dalla vaccinazione ufficializzata da Tennis Australia il 30 dicembre e appoggiata da un panel di esperti dello Stato di Victoria (riguardo al giallo della presenza in pubblico all'indomani del test positivo del 16 dicembre, questo può contare come un'imprudenza di Djokovic ma se il test è veritiero non inficia l'esenzione ottenuta) e il 5 gennaio il premier federale Scott Morrison aveva affermato che l'esenzione fosse «una questione di competenza del governo di Victoria». Salvo cambiare rotta qualche ora più tardi, sull'onda del baccano pubblico contro Djokovic, e twittare «le regole sono regole» poco dopo la decisione dei funzionari di frontiera. Un pasticcio totale.
IL DIRITTO AL LAVORO
Leggendo tutta la trafila si comprende che Novak, lungi dall'essere trattato quale il "privilegiato" descritto dal mainstream, ha fatto il possibile per riacquisire un suo diritto - giocare a tennis, il suo lavoro - muovendosi tra regole (peraltro cangianti) al limite dell'impossibile per chi non si è vaccinato contro il Covid. Di qui la domanda retorica del giudice Kelly: «Che cosa poteva fare di più quest'uomo?».
Il suo caso è la punta dell'iceberg della barbarie del vaccinismo, inteso come ideologia che - si badi bene - nulla c'entra con la libera scelta di chi vuole vaccinarsi, bensì riguarda la volontà da parte di un potere centrale di costringere alla vaccinazione l'intera popolazione, senza riguardo a un virus che colpisce in modo diverso in base ad età e altre condizioni personali, alla possibilità di cure domiciliari precoci, alle riserve morali sui più noti vaccini anti-Covid e alle loro stesse peculiarità.
Gli ostacoli posti a Djokovic e a chi non si vaccina continuano a fondarsi sul pregiudizio antiscientifico, ma duro a morire, dei vaccinati totalmente non contagiosi (e anche "immuni") e dei non vaccinati untori. A ciò si aggiunga l'irrazionalità del giro di vite contro uno straniero che è venuto in Australia per giocare - uno contro uno - su un campo di tennis. Ma forse c'entra qualche incredibile stato di emergenza? No. L'Australia è in estate e i dati ufficiali, per un Paese di circa 26 milioni di abitanti, non tratteggiano certo un'emergenza: attualmente sono 324 i pazienti in terapia intensiva e 5.666 gli ospedalizzati; c'è un totale di 2.389 morti per Covid in due anni.
L'accanimento contro Djokovic è quindi il segno di un potere (non solo australiano, evidentemente) che sragiona e crea divisione sociale. Inducendo a condannare senza appello sui media di mezzo mondo un professionista che nell'aprile 2020 - con l'Italia in piena crisi da virus - era stato lodato per aver donato un milione di euro all'ospedale di Treviglio per fronteggiare il Covid (in mezzo ad altre donazioni). Questo prima che insorgesse il manicheismo vaccinista, che per il bene di tutti bisognerebbe lasciarsi alle spalle.
Nota di BastaBugie: aggiornamento della situazione tratto dal Corriere della Sera del 16 gennaio 2022.
Novak Djokovic ha perso il suo ricorso contro la decisione dell'Australia di cancellargli il visto, ed è stato espulso dal Paese. La sentenza della corte federale, che non doveva valutare il merito della vicenda, ma solo la correttezza formale della decisione del governo australiano, fondata sui poteri speciali di cui gode il ministro dell'Immigrazione Alex Hawke, era da molti considerata scontata. Djokovic ha lasciato il continente con un volo che è decollato intorno alle ore 12.30 italiane (le 22.30 australiane). Destinazione Dubai. Il 34enne serbo numero 1 del tennis mondiale non potrà dunque difendere il suo titolo all'Australian Open, il primo dei tornei dello Slam della stagione 2022 al via lunedì 17 gennaio, e andare alla caccia del suo 21° Slam in carriera, che gli farebbe staccare Rafa Nadal e Roger Federer, entrambi a quota 20.
«Sono estremamente deluso dalla sentenza della Corte che ha respinto la mia richiesta, il che significa che non posso rimanere in Australia e partecipare agli Australian Open. Ora mi prenderò un po' di tempo per riposarmi e riprendermi, prima di fare ulteriori commenti - ha commentato a caldo Djokovic -. Rispetto la sentenza della Corte e collaborerò con le autorità competenti in relazione alla mia partenza dal Paese. Mi dispiace che l'attenzione delle ultime settimane sia stata su di me e spero che ora possiamo concentrarci tutti sul gioco e sul torneo che amo. Vorrei augurare ai giocatori, ai funzionari del torneo, allo staff, ai volontari e ai fan tutto il meglio per questa edizione. Infine, vorrei ringraziare la mia famiglia, i miei amici, la mia squadra, i tifosi e i miei compagni serbi per il vostro continuo supporto. Siete stati tutti una grande fonte di forza per me». Il padre Srdjan - che già nei giorni scorsi aveva paragonato il figlio a Gesù - ha usato invece altri toni in un post su Instagram: «Il tentativo di assassinare il miglior sportivo del mondo è finito, 50 proiettili nel petto di Novak».[...]
Per il presidente serbo Aleksandar Vucic, Novak Djokovic può tornare a testa alta nel suo Paese. Vucic ha detto di aver parlato con il tennista e di avergli detto che tutti lo aspettano in Serbia: «Quelli che pensano di aver affermato dei principi hanno dimostrato di non avere principi. Hanno maltrattato un tennista per dieci giorni per poi prendere una decisione che conoscevano dal primo giorno. Le autorità australiane stanno semplicemente mentendo. Dicono che in Serbia meno del 50% delle persone è vaccinato quando la percentuale è del 58%, un numero maggiore di molti altri Paesi europei. È un argomento inutile, ma è stato utilizzato in questa performance orwelliana». [...]
La sentenza è arrivata alle 7.45 italiane (le 17.45 in Australia) di domenica 16 gennaio dalla Corte federale australiana. Con una decisione unanime i giudici James Allsop, Anthony Besanko e David O'Callaghan hanno respinto il ricorso di Djokovic. [...]
Dopo la sentenza, il tennista è tornato al Park Hotel, in seguito si è recato in aeroporto per prendere il volo della Emirates per Dubai. Restano i dubbi sul suo futuro possibile rientro in Australia. Una sentenza del genere, usualmente, porta con sé un divieto di ingresso in Australia per tre anni (anche se sono previste delle eccezioni): un enorme ostacolo per il sogno di Djokovic di conquistare il Grande Slam, vincere cioè in un anno solare tutti e 4 i trofei principali del tennis mondiale: Australia, Parigi, New York e Wimbledon. Il serbo - che era stato inserito nel tabellone del torneo come testa di serie numero 1 - avrebbe dovuto esordire lunedì 17 alla Rod Laver Arena contro il connazionale Kecmanovic. Al suo posto in tabellone entra un «lucky loser»: è l'italiano Salvatore Caruso, numero 150 del mondo . Diventano quindi 10 nel tabellone principale gli italiani, guidati da Matteo Berrettini.
Djokovic, nella mattinata australiana - quando in Italia era ancora la serata di sabato - aveva lasciato il Park Hotel (la struttura per rifugiati dove era stato condotto dopo la prima revoca del visto e dove era tornato sabato) e raggiunto gli studi dei suoi legali, che hanno provato a ribadire la posizione del serbo. Nick Wood, uno degli avvocati di Djokovic, ha contestato - supportato anche da alcuni articoli pubblicati sui media (in particolare uno della Bbc del 6 gennaio) - che il ministro non abbia cercato le attuali opinioni di Djokovic a proposito della vaccinazione, riferendosi invece al pensiero del serbo dell'aprile del 2020, quando non c'era ancora un vaccino contro il Covid. Wood ha poi portato a sostegno della difesa del campione serbo la poca considerazione delle conseguenze dell'annullamento del visto e l'«irrazionalità» della decisione che potrebbe portare a una reazione dei no vax. «Il governo non sa quali siano le attuali opinioni del signor Djokovic», ha insistito Wood. [...]
VIDEO "RAGAZZO VACCINATO" parodia di Jovanotti
Nel seguente video ironico (durata: 4 minuti) dal titolo "Ragazzo vaccinato" si può ascoltare la parodia di Fabio Lucentini della canzone Ragazzo fortunato di Jovanotti.
https://www.youtube.com/watch?v=ZECV3UT8A14
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