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1) VEGLIA PASQUALE
Il primo chiarore dell'alba non ha ancora vinto il buio della notte, quando l'angelo della Pasqua con una luce improvvisa squarcia le tenebre e investe un piccolo gruppo di donne, ancora malinconiche e desolate, che si apprestano a rendere al corpo esangue del Redentore gli ultimi omaggi di rito, secondo la consuetudine degli ebrei.
"Era folgore l'aspetto, era neve il vestimento": quel messaggero di Dio è la prima vittoria della luce. D'ora innanzi, non sarà più l'oscurità sfiduciata a dominare l'universo.
Non dovete più temere: Gesù crocifisso è risorto (cf. Mt 28,5-6): è l'annuncio che da allora ha attraversato i secoli e ha percorso le regioni della terra; è l'annuncio che colma della sua gioia e del suo splendore questa santissima notte.
Il Signore ha debellato per sempre la sua morte e la nostra: Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui (cf. Rm 6,9). E anche noi siamo destinati a vivere in eterno con lui. Dunque ormai non dobbiamo più temere: il tempo della paura è finito.
DUE TENSIONI CONTRAPPOSTE
Due tensioni contrapposte dilaniano il cuore degli uomini: da una parte, essi sperimentano una decadenza fisica progressiva che li costringe a prevedere una disgregazione e una fine; dall'altra non viene mai meno in loro il desiderio di vita, anzi la fame di una vita piena, gioiosa, senza termine.
L'uomo contemporaneo ha toccato molti traguardi che parevano irraggiungibili, ha superato molte insidie e vinto molti mali; e perciò non di rado è tentato di inorgoglirsi fino alla fatuità.
Ma c'è un pensiero che fatalmente lo ridimensiona, se ancora conserva un po' di interiore lucidità. L'enigma della morte - scoglio assurdo contro cui tutto si infrange: sogni, progetti, conquiste - egli né lo sa risolvere né lo può schivare. Si preoccupa sì di ritardarla con i progressi dell'arte medica, si sforza di dimenticarla, evita di parlarne, cerca di vivere come se non esistesse o riguardasse soltanto gli altri. Ma è una guerriglia vana: la nemica non gli dà pace, e il suo assillo si insinua tra le molte sollecitudini e i molti stordimenti. E più gli anni passano e più la sua prospettiva si impone.
L'unica energia che vale a liberarci da quest'angoscia ci proviene dalla risurrezione del Signore.
Gesù infatti non risorge solo per se stesso, ma, secondo la parola di san Paolo, come primizia di coloro che sono morti (cf. 1 Cor 15,20).
Se uno della nostra stirpe è pervenuto alla vetta della gioia, della luce, della vita senza fine, tutta l'umanità ha cominciato a toccare questa meta. Proprio questa è la "buona notizia", il "vangelo" della festa di Pasqua.
La risurrezione del genere umano è già in atto. E già è cominciata la nostra personale risurrezione, dal momento che col battesimo siamo stati conrisuscitati (cf, Cal 2,12) in colui che primo è risorto.
LA RINASCITA BATTESIMALE
Ecco perche nella veglia pasquale, celebrando la risurrezione di Cristo, noi celebriamo anche e riviviamo la rinascita battesimale, dalla quale ha avuto inizio in noi la vita eterna e la redenzione del nostro corpo (cf. Rm 8,23) dalla corruzione e dalla polvere.
In questa luce l'intera esistenza umana si trasfigura e assume un ben diverso significato: non è più un transito incomprensibile da un accadimento casuale, come la nascita, a un annientamento irrimediabile, come la morte. Non è più un camminare assurdo, come a prima vista parrebbe, dal nulla al nulla: è un pellegrinare da Dio a Dio. Nella sua verità profonda è un andare dal Padre, che per amore ci ha chiamati a questa vita, al Padre che per amore ci aspetta e ci accoglie nella sua felicità.
Non c'e più posto allora, nel nostro animo, per lo sconforto e la tristezza senza speranza.
IL PENSIERO DEI NOSTRI MORTI
In questa santissima notte, diventa dolce e consolante anche il pensiero dei nostri morti, perché è naturalmente accompagnato e rasserenato dalla certezza pasquale che essi sono vivi, più vivi di noi; che ci sono vicini, più vicini di quando ci erano accanto. La loro invisibilità non è assenza, ma è presenza nascosta con Dio; il loro silenzio non è incomunicabilità, ma la tacita e sostanziale comunione del nostro spirito con il loro spirito entro la realtà nuova di Cristo vincitore della morte.
"Gesù, il crocifisso, è risorto": l'angelo della Pasqua l'ha annunciato anche a noi. In lui, ritornato alla vita, vivono quanti "ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace". Quando anche per noi sarà compiuta la beata speranza (cf. Tt 2,13), il Signore risorto verrà con loro - con quelli che sono
morti affidandosi alla sua Pasqua - verrà a risvegliare anche noi; e così andremo a stare sempre con lui e con i nostri cari, nel giorno che non ha tramonto.
Questa nostra personale risurrezione ha una premessa e una radice nel tempo del nostro pellegrinaggio terreno; ed è la vita che nasce in noi dall'acqua e dallo Spirito Santo (cf. Gv 3,5).
Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme con Cristo nella morte; ed emersi da quelle acque con lui, anche noi dobbiamo camminare in una vita nuova (cf. Rm 6,4).
A questo precisamente mirano gli impegni battesimali che rinnoviamo in questa veglia. Sono impegni che ci vogliono fedeli agli insegnamenti di Gesù, imitatori dei suoi esempi, fiduciosi in lui per ogni difficoltà che possiamo incontrare.
Allora ogni domenica, che è la pasqua settimanale, partecipando alla messa potremo in piena verità ripetere nel Credo con gioia vibrante: "Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà".
2) GIORNO DI PASQUA
Tra le primissime parole pronunciate dal Signore appena ritornato gloriosamente alla vita, c'è la frase detta a Maria di Magdala la mattina stessa di Pasqua: Va' dai miei fratelli e dì loro: io salgo al Padre mio e Padre vostro (cf. Gv 20,17).
I "miei fratelli" e il "Padre".
Nella luce della risurrezione, acquista una forza inaudita la duplice certezza che caratterizza il messaggio cristiano: la certezza che abbiamo tutti un padre nel cielo e la certezza che, in conseguenza, noi siamo fratelli; fratelli di Cristo, l'Unigenito di Dio, e fratelli tra noi.
Si direbbe che proprio nell'esperienza di non essere stato abbandonato nelle fauci della morte, Gesù scopre con più intima tenerezza la paternità di Dio, e ce ne mette a parte; in tal modo giustifica e fonda anche la nostra fraternità, e la proclama con voce resa più potente e più persuasiva dalla sua nuova condizione di risorto.
Le due certezze sono, a ben guardare, un'unica verità: una verità che sola può ridare speranza e serenità a un'umanità che ai nostri giorni, nonostante i traguardi raggiunti dalla scienza, dalla tecnica e dall'economia, si fa ogni giorno più inquieta e sfiduciata.
Che gli uomini tornino ad aprirsi a questa luce: ecco il migliore e più sostanzioso augurio pasquale che ci possiamo reciprocamente rivolgere.
FIGLI DEL CASO?
Oggi l'umanità pare aver perso il Padre. Il pensiero di un Dio, che è all'origine di tutto ed è ricco di amore e di misericordia, sembra essere uscito dall'orizzonte dei più e dalla loro attenzione esistenziale.
Ma così il mondo diviene una specie di malinconico orfanotrofio, abitato da gente che non ha altra alternativa che ritenersi figlia del caso.
Credersi figli del caso: bisogna riconoscere che questo passaggio di paternità - da Dio all'accidentalità cieca - non è molto consolante, anche umanamente parlando, anche attenendoci alla sola ragione.
Il caso - se davvero ci rassegniamo a ravvisare in lui l'autore dei nostri giorni - ci delude un po': sarebbe un genitore disinteressato, distratto, incapace di affetto verso i nati da lui; così impassibile e sordo che a lui non può essere rivolto non solo un palpito del nostro cuore, ma neppure una protesta o un lamento. Una solitudine algida e vuota diventerebbe logicamente il nostro destino.
Tra l'altro, quando si annebbia agli occhi dell'uomo la visione della paternità di Dio, anche la paternità umana - senza trascendenti modelli e senza superiori riferimenti - impallidisce, si svaluta, si fa insicura. E ancor più si estingue in noi la coscienza di appartenere a una storia di civiltà, il sentimento di comunione con le nostre tradizioni, la presenza irradiante entro il mondo interiore di quel patrimonio di verità, di bellezza, di umanità che dovrebbe costituire la nostra eredità più preziosa.
Senza radici, senza principi indiscussi, senza ideali, le generazioni che si affacciano all'esistenza finiscono con l'essere facile preda di ogni sbandamento e di ogni prevaricazione. Sono purtroppo queste le notizie che sempre più frequentemente ci affliggono.
Soprattutto, una volta smarrito il convincimento di un Dio che ci è padre, non ha più alcun sostegno ragionevole non solo il sentimento di una vera fraternità umana, ma neppure quello di una qualche "laica" solidarietà e di una qualche frigida filantropia.
Se non c'è un padre comune, perché mai dovremmo crederci e considerarci fratelli? E se non siamo fratelli, quale altro vincolo, se non i comuni interessi, può farci ritenere tra noi connessi e solidali?
IL SEPOLCRO È VUOTO
Per fortuna la Chiesa continua ancora impavidamente a celebrare la Pasqua. E gli uomini - con tutta la loro superficialità e la loro pigrizia - in questi giorni, bene o male, tendono ancora un poco l'orecchio a cogliere l'annuncio dell'angelo: Non è qui. È risorto come aveva detto (cf. Mt 28,6).
Non è qui: non vedete che il sepolcro è vuoto?
Il sepolcro è vuoto, come è vuota e insignificante la nostra vita quando è derubata della verità che il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che lo ha liberato dal potere degli inferi, è anche il Padre nostro; è colui che in virtù della vittoria pasquale del Figlio suo riscatterà anche noi dalle nostre colpe e da ogni assurda tirannia della morte.
Il sepolcro è vuoto, come non è vuoto il nostro pellegrinaggio terreno quando dalla celebrazione odierna è illuminato con l'annuncio gratificante che i figli di Adamo sono chiamati a costituire una sola famiglia fraternamente compaginata, dal momento che siamo "tutti fatti a sembianza di uno solo, figli tutti di un solo riscatto".
Nella luce del Signore risorto, noi scopriremo che l'universo ha un cuore: il suo cuore è l'amore sorprendente di Dio che ha fatto irruzione e si è insediato nel nostro mondo con il sacrificio e la gloria dell'Unigenito del Padre.
Le creature di quaggiù e le stelle del cielo lassù non sono dunque una accozzaglia di cose frantumate, mute, senza valore: dal momento che sono state rischiarate dalla luce che si e accesa a Gerusalemme nella notte di Pasqua, sono diventate un unico armonioso canto di lode all'Autore di tutto, da parte degli esseri riconsacrati e rinnovati nel sangue di Cristo.
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