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« Torna agli articoli di Giacomo Biffi
Il brano evangelico che abbiamo ascoltato offre alla nostra meditazione una parte dell'invettiva aspra e impietosa, pronunciata da Gesù senza ireniche attenuazioni all'indirizzo dei capi religiosi del suo popolo, indicati nelle due categorie emergenti degli "scribi" (i commentatori della Sacra Scrittura) e dei "farisei", che erano i rigidi osservanti delle prescrizioni legali. In sostanza, egli li accusa di incoerenza, di vanità, di oppressione culturale verso i più deboli e sprovveduti. La veemenza di questa requisitoria spiega come mai la tensione tra il profeta di Nazaret e le autorità giudaiche abbia potuto risolversi, appena qualche giorno dopo questo discorso, con la tragedia di una condanna a morte.
OGNI AUTORITA' E' STATA DATA IN VISTA DI UN SERVIZIO
Le parole del Salvatore sono un invito a un accurato esame di coscienza soprattutto per coloro che esercitano qualche autorità, anche legittima; e prima di tutto per coloro che all'interno della comunità cristiana sono investiti di qualche ministero. Essi si devono ricordare che nel cristianesimo non ci sono né re né padroni che siano tali nel significato che queste qualifiche assumevano nell'antica mentalità pagana: da quando è stato annunziato il Vangelo ed è stata celebrata la Pasqua liberatrice del sacrificio di Cristo, non è più ammessa, propriamente parlando, nessuna autorità di un uomo sugli altri uomini, se non in loro servizio. Vale a dire: più che di comando, si deve parlare di missione; più che di sovranità, si deve parlare di sollecitudine per il bene altrui. Questa prospettiva davvero rivoluzionaria vale per tutti: tutti ci dobbiamo lasciar mettere in crisi da questo insegnamento del Signore, perché la tentazione di dominare, di imporre la propria volontà, di atteggiarsi a condottieri, senza aver ricevuto nessun mandato, può insidiare ogni persona sia pure nell'ambito di una ristretta vita associata. Spesso, anzi, càpita che proprio all'interno dei gruppi che contestano ogni disciplina, anche la più doverosa, e disconoscono ogni presenza direttiva, anche la più necessaria, si facciano più pesanti e oppressive, da parte di qualcuno, le tirannie dello spirito e le intimidazioni ideologiche. Ci sono poi dei padri e delle madri che si proclamano fieri assertori della libertà dell'uomo contro tutti i condizionamenti e le ingerenze, e poi contrastano accanitamente la decisione dei figli anche adulti di scegliere la vita religiosa. Comunque, come ogni esame di coscienza che si rispetti, anche questo va compiuto lealmente e spregiudicatamente nel segreto del cuore, perché ciascuno di noi ha, nella sua piccola esistenza concreta, qualche prevaricazione di cui si deve correggere e qualche istinto di prepotenza da cui si deve guardare.
LA QUALIFICA DI "PADRE" E DI "MAESTRO"
In questo brano del Vangelo di Matteo Gesù ci rivolge inoltre due raccomandazioni molto concrete e precise. Prima raccomandazione: Non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo (Mt 23,9). E vuol dire: guardate che il titolo di "padre" è il più alto che si possa attribuire; dunque non lo dovete mai banalizzare. Nel senso più intenso e più vero conviene soltanto a Dio, che è la fonte totale di ogni essere; in forma subordinata conviene anche all'uomo che Dio, secondo il suo misterioso disegno, associa a sé nell'azione creatrice facendolo comprincipio di una nuova esistenza. Ognuno di noi ha dunque un solo padre in cielo e un solo padre in terra. Nel contesto dell'esperienza religiosa ed ecclesiale possiamo sì assegnare a qualcun altro questo appellativo sublime, ma solo se con ciò intendiamo con sincerità riconoscere che l'uomo onorato con questo nome è stato ed è strumento della grazia con cui Dio ha acceso e ha sviluppato in noi la sua stessa vita. In tal caso il titolo deve essere carico di rispetto, di amore, di gratitudine; diversamente l'uso del termine è quanto di più antievangelico si possa pensare. Seconda raccomandazione: Non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro maestro, il Cristo (Mt 23,10). Maestro non è chi comunica soltanto delle nozioni; tanto meno è maestro chi propone delle falsità. Maestro è colui che insegna il vero a proposito delle questioni che davvero importano per il destino dell'uomo. In questo senso soltanto a Gesù può essere riconosciuta questa qualifica, e a coloro che insegnano a suo nome e per sua autorità. Come lui stesso ha detto degli apostoli (e dunque dei loro successori): Chi ascolta voi, ascolta me (Lc 10,16).
Questa frase di Gesù contiene tre concetti ugualmente preziosi.
1. Il maestro è Cristo: quindi nessuno di noi è maestro a sé stesso. Proprio perché l'orgoglioso attaccamento al nostro personale modo di sentire non intralci il nostro cammino verso la verità, dobbiamo mantenerci di fronte a Gesù nell'atteggiamento docile di chi vuole imparare. Sulle questioni religiose e morali non ha molto senso ripetere, come se fosse una sentenza definitiva: "Io la penso così"; dobbiamo sempre ricercare che cosa oggettivamente ne pensi il Maestro.
2. Cristo è il solo maestro. Appunto perché il Maestro vero è unico, noi sappiamo come salvarci dalla molteplicità disorientante dei pareri e dalla confusione delle idee: ricorrendo con semplicità alla sua parola. Così non ci lasceremo troppo incantare dai maestri abusivi che dalle pagine dei giornali e dagli schermi televisivi pretendono di guidare le coscienze dei loro fratelli.
3. Cristo è il maestro nostro, cioè mandato apposta per noi dalla misericordia del Padre, perché lo scoraggiamento e lo scetticismo non ci paralizzasse nella esplorazione di ciò che è giusto e vero.
In conclusione, nella grande famiglia della Chiesa ognuno di noi deve preoccuparsi più di imparare che di insegnare, più di ascoltare che di parlare, più di aprirsi alla luce evangelica che di dar giudizi, perché, quale che sia la nostra cultura e la nostra posizione, noi tutti restiamo sempre discepoli dell'unico vero Maestro.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
ALTRA OMELIA XXXI DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 23,1-12)
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