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1) MESSA DELLA NOTTE
Nell'oscurità, nel silenzio notturno di una campagna remota dall'abitato, nell'umiltà di un piccolo villaggio lontano dai centri che fanno notizia, nasce tra noi il Figlio di Dio.
All'umanità - sempre attenta a tutte le novità e a tutti i pettegolezzi - sfuggono di solito gli eventi che sono davvero grandi e decisivi. Così è stato anche per questo prodigio incredibile dell'amore di Dio: nessuno degli storici antichi, nessuno dei cronisti di Roma, di Grecia, di Palestina, ha registrato il Natale di Cristo.
Solo dei poveri pastori, che vegliavano facendo la guardia al loro gregge (Lc 2, 8), si avvedono dell'avvenimento, sono chiamati a partecipare al gioioso mistero, entrano come attori nella scena indimenticabile del presepio.
Essi trovano in questa vicenda un posto privilegiato in grazia della loro semplicità e in grazia del dono di luce che scende su di loro dal cielo; per la semplicità dei loro cuori, che ignorano le complicazioni della scienza, le sottigliezze della teologia, le aride preziosità dei letterati, e per la luce dall'alto che ha improvvisamente rallegrato la loro solitudine e la loro emarginazione: La gloria del Signore li avvolse di luce (Lc 2, 9).
Queste due grazie appunto chiediamo oggi a Dio: un cuore semplice e un po' di luce dall'alto. Senza questi doni anche noi siamo ciechi e non percepiamo la presenza del Salvatore: tanto più ciechi quanto più crediamo di essere illuminati e sapienti.
Noi avvertiamo talvolta l'angoscia di chi è sì ricco di strumenti tecnici, di mezzi raffinati al servizio del nostro benessere, di progetti sempre più ambiziosi di trasformazione dell'universo; ma si ritrova poi con se stesso, di fronte all'enigma dell'esistenza, povero di speranza e desolato.
Oggi però viene annunziata anche a noi una grande gioia: Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce, perché un bambino è nato per noi... e grande sarà il suo dominio (Is 9, 1).
LA CECITÀ DELL'UOMO DI FRONTE AL MISTERO DI DIO
Il Natale è la manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore (Tr 2, 13).
Ma non si può dimenticare l'ombra di questo splendido quadro. La generosità di Dio si incontra troppo spesso con l'inspiegabile ripulsa dell'uomo. A Betlemme al Signore che bussa si oppone una porta chiusa: Non c'era posto per loro nell'albergo (Lc2, 7).
Anche stanotte dobbiamo malinconicamente rilevare che la gran parte degli uomini non sa vedere il Figlio di Dio nella sua verità.
Vede nel Natale l'occasione di una festa prolungata: vede il tempo piacevole e affannoso dello scambio dei regali; vede al più un momento di tenerezza umana, che ci lascia alla fine con il nostro vuoto. Ma non vede veramente in Gesù che nasce l'Emmanuele, cioè il mistero adorabile del Dio con noi; non vede la fonte della sola speranza che può dare ragionevolezza alla nostra vita; non vede la manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore (Tt 2, 13).
IL PRESEPIO: UNA LEZIONE DI VITA
Noi però vogliamo accostarci al presepio con la semplicità di cuore e con la luce dall'alto che è stata data ai pastori. Allora sarà anche per noi un incontro unico e risolutivo: non ci si può imbattere nel Signore Gesù e restare come prima. Allora con lo sguardo della fede sapremo cogliere nella scena di Betlemme una grande lezione esistenziale, che ci consentirà di oltrepassare e vincere le molte follie che oggi percorrono spavaldamente le nostre strade.
Che cosa vediamo nel presepio? Una vergine, un bambino, una stalla. Sono come tre segni che appaiono, a un cuore che crede, carichi di decisivi insegnamenti.
La Vergine, lieta e assorta nella comprensione dell'ora ineffabile e dolce che sta vivendo; la Vergine dall'animo sereno e dal cuore gonfio d'amore: è una immagine che sembra sfidare la frenesia sessuale che, gabellata per culto della libertà e della schiettezza, sta ossessionando e avvilendo il nostro tempo. Proponendoci di meditare sulla fecondità del suo stato verginale, Maria ci invita a una più alta e più sensata comprensione dei veri valori dell'esistenza.
Il Bambino, debole, indifeso, innocente, senza astuzia, senza aggressività: è un emblema di mitezza che contesta ogni inclinazione sempre rinascente alla prepotenza e condanna il mito scellerato (coltivato da troppo tempo a destra e a sinistra) che la violenza, la forza, lo spargimento di sangue possano recare al mondo una migliore giustizia.
La stalla, che è la raffigurazione della povertà estrema: non c'è una casa, neppure un letto è approntato per la nascita del Figlio di Dio.
In questo modo la divina sapienza ci esorta a superate l'adorazione della ricchezza, vista come la sola fonte e l'unica misura del prestigio umano, e a smentire la persuasione dell'onnipotenza e della intangibilità delle leggi economiche, quasi fossero più grandi e venerabili dell'uomo, dei suoi fondamentali diritti, delle sue necessarie speranze.
Come si vede, Dio, diventando l'Emmanuele ed entrando nella nostra storia, rifiuta di conformarsi alle nostre aberrazioni, e chiede al contrario che abbiamo noi a poco a poco ad assimilarci alla sublimità della sua saggezza.
Di là dalle emozioni di superficie, questo è il messaggio autentico del Natale, questa è la grazia che ancora una volta ci è offerta in questa santissima notte.
2) MESSA DEL GIORNO
Credo che basti per una efficace meditazione natalizia - augurare a tutti un "Buon Natale". Purché l'augurio sia riscattato dalla banalizzazione con cui gli uomini sanno troppo spesso svilire tutti i valori e spegnere tutte le luci; purché insieme si riscopra la fortuna di essere cristiani, cioè credenti in Cristo.
E la fortuna è questa: il cristiano non è l'unico che augura "Buon Natale", ma è l'unico che sa che cosa vuol dire. Vuol dire: celebra bene la tua stessa nascita: "Il Natale del Salvatore è il natale della nostra salvezza".
Noi dunque, se ci poniamo alla scuola della parola di Dio, non siamo i soli ad allietarci per questa festa; siamo i soli a conoscere che cosa essa sia nella sua verità.
IL NATALE È UN LIETO ANNUNCIO
Come sono belli sui monti i passi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, del messaggero di bene che annunzia la salvezza (Is 52, 7).
È un annuncio così bello, così consolante, cosi atteso e sperato che ancora oggi il mondo, abitualmente distratto, si ferma ad ascoltare. Si ferma dalle sue mille occupazioni, dalle sue beghe pettegole, dal suo lavoro, dal suo odio insensato. Noi vogliamo sperare che almeno oggi, in ogni angolo della terra, ci si vergogni ad uccidere.
È l'annuncio di un fatto, non un sentimento; è una notizia di una realtà avvenuta, non la recita di una poesia. Il fatto è la venuta tra noi del Figlio di Dio, che, essendo dall'eternità il Verbo (la Parola sostanziale) del Padre, è diventato uno di noi, ha saldato irresolubilmente il nostro destino al suo. Sicché, per quanto in certi momenti sembri difficile crederlo, noi sappiamo che l'umanità non può andare perduta.
Per questo il cristiano, pur nelle prospettive più oscure e più minacciose, non finisce mai di sperare: la sua fiducia è poggiata fermamente non su una ipotesi, non su una dottrina sociale, non su un calcolo politico, ma su un avvenimento irreversibile del quale lo stesso Figlio di Dio si è fatto protagonista.
IL NATALE È PERÒ ANCHE UN RISCHIO
La dolce scena del presepe, il calore delle tradizioni, la riscoperta degli affetti familiari sono valori autentici di questi giorni santi da custodire e da vivere in tutta la loro intensità. Ma non devono trarci in inganno, non devono distoglierci dalla consapevolezza della serietà della posta in gioco.
C'è un rischio implicito nell'annuncio natalizio: il rischio di dire di no a colui che viene.
Dio si offre, non si impone; si dona, ma non spadroneggia; bussa, ma non sfonda le porte che gli sono chiuse davanti.
Proprio perché la nostra adesione deve nascere liberamente dal cuore, c'è la tragica possibilità del rifiuto.
Dal senso di questa tragica possibilità è malinconicamente e quasi ossessivamente punteggiata anche l'altissima pagina evangelica che è stata poco fa proclamata: La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta (G1) 1, 5); il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe (Gv 1, 10); venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto (Gv 1, 11).
Preghiamo che ci sia data la grazia di dire di sì. Questo è il più grande, il più bello, il più utile dono che possiamo chiedere al Signore Gesù che nasce a Betlemme e viene in mezzo a noi.
Certo che il sì detto a Dio impegna: impegna nel tempo, perché non si può dire di sì il giorno di Natale e poi dimenticarsi totalmente di lui gli altri giorni dell'anno; impegna in profondità, perché non si può dire di sì in una celebrazione rituale, e dire di no quando sono in gioco la giustizia, la misericordia, il rispetto della vita umana, la coerenza con la propria fede; impegna senza ritorni, proprio come il Figlio di Dio si è impegnato per noi, non correndo cioè una temporanea avventura terrestre, ma facendosi uomo per sempre.
INFINE IL NATALE È PRINCIPIO DI UNA REALTÀ NUOVA
Il Natale rinnova l'universo: da quando il Verbo di Dio si è fatto uomo, l'umanità ha dentro di sé la sorgente perenne di un'esistenza diversa e più alta, di una speranza che si rigenera sempre, di un amore che l'odio e l'insipienza umana non riescono a consumare o a soffocare.
Il Natale rinnova ciascuno di noi: Diede il potere di diventare figli di Dio a quelli che credono nel tuo nome (Gv 1, 12). Ci è dunque offerta una realtà nuova che non nasce né dagli istinti, né dalla volontà di potenza, né dalle riforme economiche o sociali, ma nasce da Dio e viene a noi attraverso la fede: A quelli che credono nel suo nome (Gv 1, 12).
Noi siamo, noi vogliamo essere tra questi: abbiamo accettato la notizia portataci da Gesù; abbiamo puntato tutta la nostra esistenza, la nostra unica esistenza, su di Lui.
Da quando l'abbiamo incontrato siamo uomini nuovi; uomini che sono stati messi a parte del mistero centrale e del significato vero del mondo, poiché abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità (Gv 1, 14).
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