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Il cambiamento del testo sulla pena di morte nel Catechismo, voluto da Papa Francesco, esclude in modo definitivo anche quei casi-limite che, nella versione precedente, erano più o meno implicitamente contemplati. Se è pur vero che le moderne società occidentali possono tutelare il bene comune imprigionando i delinquenti in carceri ben munite, non è detto, infatti, che questo possa essere garantito in migliaia di zone disastrate e poco civilizzate sparse in tutto il mondo dove le strutture di detenzione sono spesso in condizioni precarie.
Ancora, chi ci dice che un domani il mondo non possa precipitare in un nuovo terribile conflitto armato, con la legge marziale che, da sempre, vi si associa?
Rammentiamo innanzitutto un principio di morale naturale: esiste un dovere etico di difendere la propria Patria. Per alcuni questo significa imbracciare un fucile e quindi esporsi al rischio di morire. Il venir meno a questo dovere può comportare da parte dello Stato una risposta sanzionatoria, la quale per essere giusta, tra le altre condizioni, deve tenere in conto della qualità del bene violato o messo in pericolo a causa dell'omissione del dovere (funzione retributiva). Nei conflitti armati ciò può significare la perdita ingentissima di vite umane innocenti e dunque la pena di morte potrebbe avere una sua giustificazione.
Altra condizione perché la pena sia giusta è quella che fa riferimento alla funzione dissuasiva. Se la storia è maestra di vita, a cento anni dalla fine della Grande Guerra, vale la pena approfondire lo spirito che animò una delle scelte più dolorose e drastiche riguardanti la disciplina militare. Pochi ricordano che in Italia, se la pena di morte è stata abolita nel lontano 1948, essa è stata abrogata nel Codice penale militare di guerra solo nel 1994.
IL SOLDATO CHE COMBATTE AL FRONTE E IL RISCHIO DELLA VITA
È passato quasi mezzo secolo fra i due provvedimenti per via di una circostanza piuttosto ovvia: il soldato che combatte al fronte è a rischio della vita. Se la sua eventuale diserzione o ammutinamento vengono puniti con il carcere, questo equivale a garantirgli la certezza della sopravvivenza. Qualsiasi pena detentiva diviene, quindi, in tal caso, un beneficio vero e proprio. Viene così meno il principio di deterrenza per atti che, in guerra, mettono in enorme pericolo la salvezza non solo dell'esercito, ma anche dell'intera comunità. Basti pensare a come finirono la Russia zarista o l'Impero austroungarico, crollati proprio a causa degli ammutinamenti. Si ricordi che a Caporetto la II Armata fu spazzata via anche a causa del disfattismo e delle idee pacifiste-socialiste che vi erano penetrate sobillando i militari alla diserzione e alla ribellione.
"Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie" scriveva Ungaretti. Come noto, nel '15-'18 la vita al fronte era così precaria che i soldati meno coraggiosi, oltre a darsi alla macchia, erano soliti compiere atti di autolesionismo, sparandosi sugli arti, o provocandosi infezioni. Il carcere, il manicomio, l'ospedale, i lavori forzati, tutto sarebbe stato preferibile pur di portare la pelle a casa.
Per imporre la massima deterrenza verso tali fenomeni, da millenni, negli eserciti di tutto il mondo al soldato vile o insubordinato si è sempre garantita la certezza della morte. Terribile, certo, ma essenziale per la sopravvivenza della collettività.
ITALIANI DALLA DISCIPLINA INFLESSIBILE
E' molto difficile ammetterlo, ma la Grande Guerra fu vinta dal nostro Paese anche grazie a una disciplina inflessibile. Non è affatto vero che questa fu una caratteristica solo italiana dovuta al "dispotico sadismo del cattolicissimo generale Luigi Cadorna", come diffuso da certa propaganda, in primis perché tale prassi era in uso in tutti gli eserciti belligeranti, in secundis perché sotto il comando del suo successore, il generale Armando Diaz, le condanne a morte non solo non diminuirono, ma furono proporzionalmente superiori a quelle comminate sotto Cadorna.
In Italia sono documentate 750 condanne alla fucilazione, eseguite dopo regolare processo, relativamente poche se raffrontate con i numeri del Regio esercito, composto da ben 5 milioni di uomini in armi. Per quanto possa essere politicamente scorretto ammetterlo, non si può negare che la pena capitale sia stata un male necessario che ha salvato un intero esercito e un intero Paese. Una triste sorte per pochi, un bene per molti.
Dopo il crollo del Muro di Berlino, lo Stato italiano, laico, ha deciso di stralciare la pena di morte dal Codice penale militare con un provvedimento che potrebbe anche essere reversibile in caso di una nuova guerra mondiale, così come la politica si adegua sempre alle necessità che via via si presentano.
Tuttavia, ci si aspetta che il Catechismo dia indicazioni al di là del tempo e della situazione geopolitica contingente, offrendo un faro morale assoluto ispirato alla Parola di Dio. Cassando in modo definitivo ogni ammissibilità della pena di morte, senza neppure accennare a particolarissime condizioni emergenziali, il Catechismo non solo si espone a obiezioni razionali difficilmente contestabili, ma precipita nel qui ed ora, dimostrandosi modificabile in base alla sensibilità del tempo.
Nota di BastaBugie: Stefano Fontana nell'articolo seguente dal titolo "Cambio sulla pena di morte, reazione a catena" parla di guerra giusta, legittima difesa, concetto di autorità politica, princìpi non negoziabili. Sono tutti elementi della dottrina della Chiesa messi in discussione dal cambiamento del Catechismo sulla pena di morte.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 7 agosto 2018:
Sulla questione della pena di morte, dopo il mutamento del Catechismo della Chiesa cattolica voluto da Papa Francesco, va notato che, cambiando questo principio, entrano in pericolo molti altri elementi e principi della Dottrina sociale della Chiesa nel suo complesso. Qualche commentatore ha parlato del Vaso di Pandora che il Papa avrebbe scoperchiato. La teologia morale cattolica, cui appartiene, almeno per la sua formalità disciplinare, anche la Dottrina sociale della Chiesa, è un tutt'uno che si tiene, eliminando un elemento, anche altri diventano instabili.
Per esempio il principio della guerra giusta o lo stesso principio della legittima difesa potrebbero essere rivisti. La dottrina della guerra giusta, come quella della pena di morte, fa parte della sapienza morale e sociale coltivata e tramandata dalla Chiesa cattolica ed anche i pronunciamenti conciliari e postconciliari sul tema (dalla Gaudium et spes alla Pacem in terris fino ai pronunciamenti di Giovanni Paolo II in occasione della guerra del Golfo) non hanno mai negato il principio, pur introducendo nuove considerazioni a seguito degli inediti contesti delle guerre moderne.
Non può sfuggire l'analogia tra pena di morte e guerra giusta: ambedue sono una difesa della comunità, ambedue tendono a ripristinare la giustizia, ambedue si possono applicare di principio ma in pratica sono soggette a numerose restrizioni morali. La morale cattolica ha sempre vietato in assoluto di uccidere l'innocente. Non ha mai vietato in assoluto e di principio di uccidere. Ora, invece, si vieta di uccidere in assoluto: la cosa viene detta per la pena di morte ma diventa possibile l'estensione ad altri ambiti, come appunto la guerra giusta e la legittima difesa. Perché anche la legittima difesa individuale? Perché se il principio del diritto di difendersi uccidendo il colpevole viene negato per la comunità politica non si capisce perché non dovrebbe essere applicato anche all'ambito personale. Per San Tommaso non bisogna uccidere difendendosi ma si può difendersi uccidendo, e questo vale anche per la guerra giusta.
Il cambiamento ha anche conseguenze sul concetto di autorità politica e sul suo ruolo in difesa del bene comune. A questo ultimo principio verrebbe tolto l'elemento essenziale della giustizia che porta in sé un aspetto retributivo che ora viene negato a proposito della pena di morte. La giustizia non è solo retribuzione ma nessuno può negare che sia anche ciò. Di conseguenza, toccando il tema giustizia, il cambiamento comporta delle conseguenze anche riguardo al diritto e i suoi riferimenti al diritto naturale, dato che la pena di morte è sempre stata considerata un'azione contemplata appunto dal diritto naturale.
Il cambiamento mette in crisi anche lo ius gentium così come lo abbiamo ereditato lungo i secoli, il quale ha sempre compreso la liceità (limitata) della pena di morte così come anche della guerra giusta - per tornare al parallelo di cui sopra -, intesa come guerra di difesa o di protezione dall'aggressore ingiusto, definendo alcuni fondamentali punti morali nelle relazioni internazionali che riguardano le regole dello ius in bello, ossia di una guerra in corso.
C'è poi una conseguenza molto importante per quanto riguarda gli assoluti morali e, di conseguenza per i cosiddetti principi non negoziabili. Come è stato giustamente scritto, il magistero attuale sembra avere introdotto nell'elenco degli assoluti morali negativi, ossia dalle azioni che non si devono mai compiere in nessuna circostanza e per nessun motivo, la pena di morte. Ma negli elenchi degli assoluti morali negativi che la Scrittura e il Magistero ci hanno fornito, la pena di morte non c'è mai. Per esempio la Gaudium et spes del Vaticano II (n. 27) parla di omicidio, genocidio, aborto, eutanasia, suicidio, mutilazioni, torture, condizioni disumane di vita, incarcerazioni arbitrarie, deportazioni, schiavitù, prostituzione, mercato delle donne e dei giovani, ignominiose condizioni di lavoro... ma non di pena di morte, a meno che essa non venga equiparata al primo dell'elenco, ossia all'omicidio, cosa che però sembra forzata. Il cambiamento degli assoluti morali negativi su punti così importanti ne indebolisce la concezione, facendoli dipendere dai corsi della storia e mette in crisi la dottrina dei principi non negoziabili enunciata da Benedetto XVI ed espressione della legge morale naturale.
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