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Ieri il Papa ha per la seconda volta trattato la figura di san Tommaso d’Aquino, uno dei più grandi filosofi e teologi di sempre, toccando diversi e importantissimi temi, sia pure nel corso di una breve catechesi. Ne consideriamo qui solo uno, da lui affrontato in diverse occasioni, che rientra fra quelli decisivi e portanti del suo magistero: quello della legge morale naturale e dei 'valori non negoziabili', espressione che è diventata di uso frequente dal suo discorso del 30 marzo 2006 ai rappresentanti del Partito Popolare Europeo.
Per san Tommaso e per Benedetto XVI la ragione è appunto «capace di discernere la legge morale naturale», cioè è capace, senza bisogno della Rivelazione, di guadagnare (beninteso progressivamente, non senza difficoltà e mai definitivamente) una parziale ma molto importante percezione del bene e del male e di alcuni principi etici generalissimi (per esempio 'non assassinare') che, nonostante le ricorrenti affermazioni contrarie, sono invece quasi universalmente condivisi in ogni tempo, come è stato documentato da diversi studiosi. Diciamo 'quasi', perché esistono vari ostacoli, personali e/o culturali, che ne possono impedire la comprensione.
Ora, «tutti gli uomini, credenti e non credenti, sono chiamati […] a ispirarsi ad essa nella formulazione delle leggi»: come diceva già l’Antigone del greco Sofocle nel V secolo a.C. (ma si potrebbero riprendere molti filosofi, come Aristotele, Cicerone, Locke…), c’è una legge morale non scritta che dovrebbe ispirare quelle stabilite nei codici degli uomini.
Per contro, «quando la legge naturale e la responsabilità che essa implica sono negate, si apre drammaticamente la via al relativismo etico sul piano individuale e al totalitarismo dello Stato sul piano politico». Non è possibile dimostrare in poco spazio questa tesi, però possiamo almeno dire quanto segue.
Quanto al relativismo etico (su cui l’allora cardinal Ratzinger ha richiamato l’attenzione già nella messa di inizio dell’ultimo conclave), se non è conoscibile un bene oggettivo, il bene è meramente soggettivo o storicamente stabilito e pattuito in una società. Ma ciò può portare al totalitarismo: o la persona è «ciò che di più perfetto si trova in tutta la natura» (come dice san Tommaso), cosicché la sua dignità è un oggettivo bene inviolabile e il principio etico che la difende («non calpestare la dignità umana») non dipende dalla pattuizione, oppure si rischia di cadere nel «dispotismo della maggioranza»: se si decide esclusivamente secondo il principio per cui è giusto ciò che viene scelto dalla maggioranza, quest’ultima può decidere di sterminare il singolo e/o la minoranza senza che la si possa biasimare: la legge diviene così lo strumento attraverso cui i più forti (per numero, o per intelligenza, o per la capacità di manipolare l’opinione pubblica, ecc.) riescono a soggiogare i più deboli. Più a fondo, se non c’è un bene oggettivo non negoziabile, se non è un bene oggettivo (non pattuito) nemmeno il rispetto delle leggi pattuite, allora resta da fondare il dovere morale di osservarle e non può essere moralmente biasimato chi non ha interesse a rispettarle e perciò le trasgredisce.
Per questo il Papa ha richiamato l’Evangelium vitae di Giovanni Paolo II: «Urge dunque, per l’avvenire della società e lo sviluppo di una sana democrazia, riscoprire l’esistenza di valori umani e morali essenziali e nativi, che scaturiscono dalla verità stessa dell’essere umano, ed esprimono e tutelano la dignità della persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere, ma dovranno solo riconoscere, rispettare e promuovere».
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