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« Torna agli articoli di Piero Vassallo
Nel solco del Frontespizio, L'Ultima e Controrivoluzione, le riviste che hanno impresso un segno indelebile nella storia del Novecento tradizionalista, si pubblica in Firenze, a cura dell'Istituto Teologico Immacolata Mediatrice dei Francescani dell'Immacolata, il semestrale Fides Catholica.
Il più recente fascicolo della bella rivista fiorentina propone interessanti testi dei padri Serafino M. Lanzetta (Editoriale e La valutazione del Concilio Vaticano II in Joseph Ratzinger poi Benedetto XVI), Serafino Tognetti (Don Divo Barsotti e il Concilio Vaticano II) e Luca Genovese (La dottrina luterana vista da San Lorenzo da Brindisi), scritti che offrono al lettore indicazioni utili a una fedele e rigorosa lettura dell'ermeneutica della continuità.
Nell'Editoriale, dopo aver citato le tesi di un seguace di Teilhard De Chardin secondo il quale la formazione religiosa non dovrebbe concentrarsi sui concetti ma orientarsi dinamicamente verso il progresso, padre Lanzetta dimostra che la teologia cattolica è insidiata da un'ondivaga passione per l'agire, attitudine che tradisce la dipendenza della nuova teologia dal moderno soggettivismo.
Poiché nella teologia postconciliare "la prassi ha prevalso sulla Fede", ai cattolici contemporanei incombe l'obbligo di "coniugare Fede e ragione, Fede e dogma, dunque fede e annuncio. Una catechesi su Cristo e sulla Fede non può semplicemente abbandonare le formule della Fede, il Catechismo come unità dogmatica, morale e spirituale, per fare spazio all'approccio più discorsivo della Fede solo esperenziale di Cristo. Si finisce purtroppo per credere in un altro Gesù, quello dei nostri desideri, quello che ci insegnerà una verità più consona all'oggi e alle mode del tempo".
Nel convincente saggio sul Vaticano II padre Lanzetta rammenta l'amara riflessione di Joseph Ratzinger sull'infelice esperienza di Teresa d'Avila in un convento d'avanguardia, "dove venivano interpretate con uno spirito largo le regole della clausura" e il coerente giudizio secondo cui la conversione della carmelitana venne quando lasciò da parte l'aggiornamento.
L'allontanamento della Santa d'Avila dalla disciplina mondanizzata introduce la corretta lettura del Vaticano II. Secondo Ratzinger: "I fedeli ai quali parliamo si domandano: il Concilio non ha preso la via inversa? Non vuole avere a che fare con la conversione per andare verso la perversione della Chiesa? Né l'una né l'altra di queste domande possono essere puramente e semplicemente scartate".
Padre Lanzetta sostiene risolutamente che nel Vaticano II la Chiesa visse un momento di grande timidezza davanti al mondo: "C'era uno spirito del Concilio con una tendenza masochista".
Eletto pontefice, Ratzinger ha peraltro affermato la perniciosità di un'ermeneutica che pone la Chiesa in conflitto con se stessa, "contro la sua storia e trasforma il Concilio in una Costituente (questa era un'idea molto cara a Giuseppe Dossetti, iniziatore della Scuola di Bologna)". Scuola che ha coltivato l'abbagliante illusione che nel Vaticano II contempla il nuovo inizio e .a nuova pentecoste del cattolicesimo.
In conclusione "non vi è opera di difesa [del Vaticano II] più benemerita che mostrarne la sua corretta interpretazione alla luce di tutta la Dottrina cattolica, ovvero la millenaria tradizione della Chiesa".
Padre Tognetti propone la rilettura dei duri commenti al Vaticano II scritti da don Divo Barsotti nel tormentato biennio 1967-1968. Un giudizio del mistico fiorentino riassume le cause dell'angoscia che opprimeva gli spettatori delle acrobazie verbali messe in scena dai teologi ubriacati dalle novità striscianti fra le righe del concilio: "Certi adattamenti non li capisco, certi rinnovamenti mi sembra siano solo tradimenti. Non riesco a capire chi sia Dio per tanti teologi, per tanti scrittori, per tanti preti e religiosi. Non riesco a credere che quello che fanno, che quello che dicono, che quello che scrivono derivi davvero da una fede vissuta, da una vita religiosa profonda, dalla preghiera".
Opportuna è infine la rivisitazione, proposta da padre Luca Genovese, degli scritti di uno strenuo contestatore della teologia, il cappuccino San Lorenzo da Brindisi (+1619), elevato al rango di Dottore della Chiesa da Giovanni XXIII nel 1959. La rievocazione di padre Genovese mostra la simultaneità del progetto di convocare un Concilio con l'alto riconoscimento della dottrina di un religioso illuminato e intransigente che ha segnato i limiti dell'ecumenismo.
Le incerte espressioni che baluginano nei documenti del Vaticano II, ad esempio il giudizio sulla sussistenza della vera fede nelle sette ereticali, si devono leggere pertanto nella luce della rigorosa ortodossia: "Poiché la setta dei Luterani non è stata fondata sopra questa pietra non può appartenere alla Chiesa di Cristo e neppure a Cristo ma è rivolta solo all'anticristo". Condiviso e apprezzato dal papa che ha convocato il Vaticano II, il giudizio di San Lorenzo indica il coerente orientamento dell'ermeneutica della continuità nella delicata e controversa questione dell'ecumenismo.
Merita una speciale citazione il saggio che lo storico Giuseppe Brienza ha dedicato a Fausto Belfiori, un fra i più coraggiosi testimoni della resistenza cattolica all'eversione teologica e politica nel XX secolo.
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